Africa Nr 2 - 2013 - Marzo Aprile

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n.2 marzo-aprile 2013

anno 91

www.missionaridafrica.org

Nigeria

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.

Incubo polio

Italia

Via Africa

Uganda

Missionari mormoni Congo

Maghi della lotta

etiopia

addis trionfa


Gerges Gobet / Afp

SPEZZIAMO LE CATENE richiedi la nuova mostra fotografica di Africa Disponibile per esposizioni in tutta Italia

Sia Kombou/Afp

La mostra Spezziamo le catene è stata realizzata da Africa in collaborazione con i Missionari d’Africa, Padri Bianchi e Suore Bianche, in occasione del 125° Anniversario della Campagna Antischiavista del Cardinale Charles Lavigerie

Quaranta straordinarie immagini per illustrare il dramma della schiavitù in Africa, dall’epoca delle navi negriere ai giorni nostri. Un collage di illustrazioni storiche, foto d’autore e testi di commento sulla tratta degli schiavi, la lotta per la liberazione dei neri, le più moderne e crudeli forme di oppressione e sfruttamento

Richiedere a Redazione Africa - animazione@padribianchi.it - tel. 0363 44726 cell. 3342440655 anteprima su www.missionaridafrica.org


di Raffaele Masto

Mali, una guerra giusta?

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ersonalmente - ma mi sento di parlare per tutta la redazione sono contro la guerra: non risolve i problemi, spesso produce una risposta analoga e poi rappresenta la sconfitta della ragione umana che, incapace di risolvere i problemi in altro modo, si abbandona - anzi, si arrende - alla violenza. Ho però approvato l’intervento francese in Mali. Avrei dovuto essere contrario, perché anche quella è guerra: provoca morti, militari e civili; produce profughi e sfollati, considerati freddamente e cinicamente una variabile del conflitto e annulla qualsiasi possibilità di affrontare la situazione con la ragione e la trattativa. La mia non è stata una reazione emotiva. L’alternativa, cioè l’arrivo a Bamako degli jihadisti e il controllo da parte loro del nord del Mali, mi sembrava una soluzione peggiore della guerra, anche di un intervento della Francia che, come sa bene chi segue

le vicende del continente, non interviene mai in Africa se non ha un tornaconto, a volte inconfessabile. Mi rendo conto che considerare la guerra in Mali un’eccezione apre la strada ad altre eccezioni; ma credo che la posizione intransigente a favore della pace, sempre e in ogni occasione, sia una risposta semplice ad un problema complesso. In altre parole, sono convinto che, se non vi sono alternative alla guerra, è perché non si sono affrontati e risolti i problemi che, in ultima analisi, sono le cause profonde del conflitto. Nel caso del Mali la guerra nasce dall’irrisolta questione dei Tuareg. Un popolo abbandonato dai colonialisti che hanno tracciato i confini dei Paesi della regione; un popolo privato della propria economia gravemente danneggiata da quelle frontiere; un popolo mai integrato nella vita politica non solo del Mali, ma anche del vicino Niger;

un popolo per il quale non sono mai state costruite scuole e ospedali. E non solo: un popolo che spesso è stato usato per altri interessi oppure da potenze, lobby economiche o faccendieri esterni interessati alle ricchezze del sottosuolo, come è avvenuto per l’uranio del Niger. Anche in questa occasione i Tuareg, di religione islamica ma fondamentalmente laici e lontanissimi da qualunque forma di intolleranza religiosa, sono stati usati da gruppi totalmente estranei alla cultura e alle tradizioni locali i quali, sfruttando il loro malcontento, si sono creati un humus adatto a piantare le loro radici in un deserto immenso e remoto, adatto a nascondere basi e traffici come quello del contrabbando di sigarette, della droga, delle armi, dei sequestri e dei migranti. Ecco allora che l’intervento della Francia ha sventato il pericolo. Ma i problemi sono ancora tutti irrisolti. In questo conte-

Marco Gualazzini

editoriale

sto, un modo per essere veramente pacifisti è quello di lavorare perché la questione tuareg sia affrontata e risolta. Allora avremo sventato altre guerre e potremo ancora viaggiare in un Paese variegato, ricco di culture e di popoli, un Paese musicale e colorato che ha rischiato di diventare grigio e nero, del colore degli integralisti. •

SONDAGGIO La Francia ha fatto bene a intervenire nella guerra in Mali? 50% Sì, senza esitazioni 30% No, con la guerra non si ottiene la pace 15% Parigi doveva far combattere gli africani 5% La guerra andava condotta in altro modo

africa rivista

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sommario

lo scatto Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) EditorE

Prov. Ital. della Soc. dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi dirEttorE rEsponsabilE

Alberto Rovelli

dirEttorE EditorialE

Paolo Costantini CoordinatorE

Marco Trovato wEbmastEr

Paolo Costantini amministrazionE

Bruno Paganelli

promozionE E UffiCio stampa

Matteo Merletto

progEtto grafiCo E rEalizzazionE

Elisabetta Delfini

dirEzionE, rEdazionE E amministrazionE

Cas. Post. 61 - V.le Merisio 17 24047 Treviglio (BG) tel. 0363 44726 - fax 0363 48198 africa@padribianchi.it www.missionaridafrica.org http://issuu.com/africa/docs foto

Copertina Darren Decker/Afp Si ringrazia Olycom CoordinamEnto E stampa

Jona - Paderno Dugnano

Periodico bimestrale - Anno 91 marzo-aprile 2013, n° 2

Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48 L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

38 copertina

8. Missione compiuta Mali

56. Per non dimenticare Ruanda

libri - musica

38 La dolce vita di Addis

46 Libri e musica

4 Vigneti in rivolta 10 Far west Sinai 12 La guerra della polio 18 Nel nuovo Eldorado 22 L’inferno dei baby-schiavi

48 A tavola con gli insetti

26 La banda della savana 30 La seconda vita di Sun City 32 Sono tornati gli uomini-leone 36 Luanda fa shopping in Portogallo

64 Sul treno più lungo del mondo

di G. Biondillo e A. Gandolfi

attualità di Khalo Edjabe

di Laura Cappon

di B. Adeyemi e T. Znidarcic di Raffaele Masto

di Linda de’Nobili

società

di Marelli, Trovato e Zanzottera di P. Harwood e D. Tamagni di K. Diouf e D. Tamagni di Riccardo Barlaam

di P.M. Mazzola e C. Agostoni

cultura

di Luca Spampinato

italia

50 Via Africa

di C. Agostoni e B. Zanzottera

sport

58 Gli incantatori del ring

di C. Six e G. Dubourthoumieu

viaggi

di Roberto Paolo

chiese

68 Fede e disciplina! togu na 76 vita nostra 77

di B. Adeyemi e T. Znidarcic

a cura della redazione

a cura della redazione

Africa rivista

@africarivista

COME RICEVERE AFRICA per l’Italia:

Contributo minimo consigliato 30 euro annuali da indirizzare a: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) viale Merisio, 17 - 24047 Treviglio (BG) CCP n.67865782 oppure bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda Missionari d’Africa Padri Bianchi IBAN: IT 93 T 08899 53640 000 000 00 1315

per la Svizzera:

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news

a cura della redazione

Africanews, brevi dal continente 1 Kenya, fiato sospeso Resta alta la tensione a Nairobi nell’attesa dei risultati delle elezioni presidenziali tenutesi il 4 marzo. I sondaggi danno come favorito il primo ministro Raila Odinga, leader del Movimento democratico arancio. A contendergli la vittoria c’è il vice-primo ministro Uhuru Kenyatta, in tandem con il deputato di Eldoret William Ruto. I due, esponenti della Alleanza del Giubileo, sono sotto inchiesta alla Corte penale internazionale dell’Aia per il presunto coinvolgimento negli scontri post-elettorali del 2008.

2 Angola, giù le baracche L’esercito angolano ha abbattuto le baracche di lamiera del sobborgo di Cacuaco, alla periferia di Luanda, interessato da speculazioni edilizie: migliaia le famiglie rimaste senza un tetto. L’Angola è il secondo esportatore di greggio dell’Africa, ma il 54% della sua popolazione vive con meno di un dollaro al giorno.

3 Eritrea, caos calmo Il regime eritreo ha punito i responsabili del tentato golpe di fine gennaio. Sembra che ci siano stati arresti arbitrari nelle famiglie dei militari, protagonisti dell’incursione nel palazzo della televisione di Stato lo scorso 22 gen-

naio, che chiedevano la liberazione dei prigionieri politici (ben 10mila) e il ripristino delle libertà democratiche. L’Eritrea è governata dal 1993 col pugno di ferro dal presidente Isayas Afeworki, 68 anni.

4 Camerun, primi diamanti Il Camerun entra nella produzione e nella commercializzazione dei diamanti su vasta scala: lo ha annunciato il governo di Yaoundé che ha incaricato una società sud-coreana di estrarre le pietre preziose dal giacimento di Mobilong, nell’est del Paese. Le autorità tuttavia non hanno fatto circolare nessuna stima relativa alle riserve di diamanti nel sottosuolo.

le casse dello Stato piangono e il governo di Harare ha dichiarato di essere sull’orlo della bancarotta.

cinali», hanno fatto sapere le autorità. L’Unicef ha segnalato nella regione un’allarmante epidemia di morbillo.

6 Gambia, settimana corta

8 Egitto, il Gran Muftì

Dallo scorso 1 febbraio la settimana lavorativa in Gambia dura solo quattro giorni: lo ha stabilito con un decreto il presidente Yahya Jammeh - noto per una certa eccentricità e nel mirino degli attivisti per violazioni dei diritti umani - che ha limitato tutte le attività pubbliche (comprese le scuole) dal lunedì al giovedì.

Il professore Shawky Allam è stato eletto Gran Muftì dell’Egitto da un comitato di studiosi di Al Azhar, la principale università dell’islam sunnita. A marzo Allam succederà ad Ali Gomaa, in carica dal 2003. Tradizionalmente, il Gran Muftì esprime pareri (fatwa) su questioni che ritiene significative riuscendo a condizionare la legislazione su questioni sociali e culturali.

7 Centrafrica, allarme profughi Emergenza sanitaria nelle regioni centro-settentrio-

Fonti: Bbc, Jeune Afrique, Misna, Reuters

5 Zimbabwe, qualcosa di muove Il Parlamento ha approvato un progetto di Costituzione che verrà sottoposto a referendum. Il testo finale è il frutto di un lungo e complesso negoziato tra il presidente Robert Mugabe (89 anni), il primo ministro Morgan Tsvangirai e il suo vice Artur Mutambara, alla guida dei tre partiti del governo di unità nazionale nato dopo la crisi elettorale e le violenze che segnarono il voto del 2008. Il referendum potrebbe tenersi entro aprile, mentre le elezioni legislative e presidenziali sono attese entro fine giugno. Serviranno aiuti dall’estero:

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6 nali occupate in dicembre dal gruppo ribelle Seleka, in guerra contro il governo di Bangui e il presidente Bozize. «I saccheggi, le violenze, gli abusi sessuali che hanno costretto migliaia di civili alla fuga e decine di operatori sanitari a ritirarsi stanno avendo conseguenze devastanti. Mancano dottori e medi-

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attualità

testo di Khalo Edjabe foto Afp

Vigneti in SUDAFRICA

Le proteste dei lavoratori si estendono alle campagne della regione del Capo

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li spari hanno cessato di riecheggiare tra i vigneti della regione del Capo. Ma è solo una tregua carica di tensione. La rabbia dei lavoratori agricoli potrebbe esplodere da un momento all’altro. Da gennaio la Provincia del Western Cape è sconvolta da scioperi, manifestazioni e tumulti repressi con la forza dalla polizia. A protestare sono i braccianti delle aziende vitivinicole sudafricane, tra le più nobili e ricche al mondo, che chiedono il raddoppio dell’attuale salario, pari a 69 rand al giorno, meno di 7 euro. «È una paga vergognosa che condanna alla povertà decine di migliaia di lavoratori», tuona Patrick Craven, portavoce della potente Confederazione dei Sindacati del Sudafrica (Cosatu). «C’è un’intollerabile sproporzione tra gli enormi profitti dei proprietari terrieri e le retribuzioni da fame dei loro operai agricoli, in gran parte sudafricani, ma anche immigrati da Zimbabwe e Mozambico». I lavoratori hanno ottenuto un aumento di 36 rand dello stipendio minimo, a partire dal 1° marzo: «Non è abbastanza!»

Ville e baracche

Le rivendicazioni salariali e i disordini scoppiati la scorsa estate nelle miniere di oro e platino a nordovest di Johannesburg si sono estesi alle campagne del Capo Occidentale dove si producono i pregiati vini del Sudafrica (Sauvignon blanc, Chardonnay, Cabernet, Merlot e Shiraz). Per tre secoli i coloni europei dediti alla coltivazione dell’uva hanno prosperato grazie all’habitat ideale della regione e allo sfruttamento dei braccianti di colore ridotti quasi in schiavitù. 4

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rivolta Anche l'industria vinicola del Sudafrica, in mano alla minoranza bianca, 猫 colpita dalla ribellione dei braccianti, stanchi di vivere in baracche e con salari da fame. In fumo i raccolti africa 路 numero 2 路 2013

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attualità

Le proteste hanno portato alla luce l’inadeguatezza della classe politica

Buoni vini, vini buoni Non tutto il vino sudafricano è prodotto da viticoltori bianchi. Benché il 97% del settore sia ancora controllato da ricchi proprietari terrieri di origini europee, oggi stanno affermandosi alcune cantine gestite da società o cooperative “nere”. «Stiamo colmando il nostro divario di competenze grazie alla formazione di giovani enologi con grandi prospettive future», spiega Vivian Kleynhans, 43 anni, portavoce della South African Black Vintners Alliance, che rappresenta una dozzina di aziende vinicole. «Siamo una piccola realtà, ma cresciamo: i clienti non comprano i nostri vini perché sono prodotti da neri, ma perché sono buoni». Tra le etichette di maggior successo ci sono M’hudi e Ses’fikile, guidate da manager cresciuti nelle township. E la cantina Thandi, gestita da 250 socilavoratori, è la prima a ricevere la certificazione FairTrade del commercio equosolidale. www.thandiwines.com

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Oggi i circa 4mila viticultori sudafricani - discendenti dei pionieri olandesi, francesi e inglesi - godono di favolosi guadagni e prosperano in splendide tenute circondate dai filari che ricoprono le colline. Al contrario, i loro dipendenti - 350mila persone appartenenti alla maggioranza nera - sono costretti a vivere ammassati in casupole di legno e lamiere, senza luce né acqua. «Non abbiamo neppure i soldi per vestire i nostri figli», ha spiegato alla Reuters una lavoratrice in sciopero. «Lottiamo per i nostri diritti e la nostra dignità. Contro le discriminazioni».

Bastione bianco A quasi vent’anni dalla fine dell’apartheid la questione razziale resta un nervo scoperto nella nazione arcobaleno creata da

Nelson Mandela. Il divario tra ricchi e poveri coincide ancora con il colore della pelle. All’indomani della fine del regime segregazionista, l’African National Congress (Anc), l’ex partito di lotta salito al potere nel 1994, aveva ideato una legge - nota come Black Economic Empowerment - allo scopo di mitigare le disparità razziali e favorire la collocazione di professionisti neri nei posti chiave dell’economia. Il meccanismo non ha funzionato ovunque. Ancora oggi l’industria vinicola (la quarta per fatturato, dopo quella mineraria, metalmeccanica e turistica) è in mano ad un ristretto numero di famiglie di origine europea che si tramandano le aziende da generazioni. Solo il 3% delle cantine è gestito da manager di colore. «Molti proprietari con-



lo scatto

testo di Philippe Duagni foto di Pascal Guyot / Afp

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Mali

compiuta u

n convoglio dell’esercito francese in marcia verso Gao, ultimo bastione conquistato alle milizie fondamentaliste che da circa un anno controllavano il nord del Mali. I quattromila soldati inviati da Parigi nell’ex colonia cominceranno a ritirarsi a marzo. Al loro posto arriveranno le truppe della Misma, una forza composta da seimila soldati dell’Africa occidentale, incaricate di mantenere la sicurezza e favorire il rimpatrio dei circa 400mila maliani fuggiti dalle loro case a causa delle violenze. Nella regione resta alto il pericolo di azioni terroristiche di stampo jihadista. •

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attualità

testo di Laura Cappon

Far west Sinai Reportage dalla penisola egiziana al confine con Israele e Gaza

Il deserto abitato dai beduini, da sempre un crocevia strategico per traffici di armi, sostanze stupefacenti e migranti, è diventato un rifugio per le nuove cellule terroristiche

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ono circa 350 i chilometri che separano il Cairo da El Arish, cittadina sul mare nel nord della penisola Sinai. El Arish è una località turistica con piccole casette sul lungomare e un unico resort, cuciti su misura per la media borghesia egiziana. La cittadina segna l’inizio di una zona da sempre calda per la geopolitica internazionale. Il Sinai, infatti, per la sua conformazione desertica, la situazione economica disastrosa e la posizione al confine con Israele e Gaza, è sempre stato un posto strategico

per traffici di armi, sostanze stupefacenti e migranti, spesso gestiti dai beduini che abitano la regione. Dallo scorso agosto la penisola è tornata alla ribalta della cronaca dopo l’attacco al confine con Israele nel quale sono rimasti uccisi 16 soldati egiziani. A questo episodio hanno fatto seguito altri attentati minori che, secondo le autorità egiziane e israeliane, non sarebbero imputabili ai beduini ma ad alcune “cellule terroristiche di matrice jihadista” infiltrate nella regione a causa della carenze di

sorveglianza. L’attacco di agosto ha fatto scattare l’operazione dell’esercito egiziano soprannominata Operation Eagle, che per il momento, a parte alcuni arresti, ha conseguito scarsi risultati. Da El Arish a Rafah ci sono 90 chilometri di deserto intervallato da piccoli campi di ulivi che a fatica vengono coltivati grazie a rudimentali cisterne che raccolgono l’acqua piovana. La scarsità d’acqua è uno dei problemi più sentiti in questa zona dove manca tutto, persino i servizi più elementari.

Senza sviluppo Anche Rafah è una cittadina poverissima, lo si capisce subito dalle sue strade impolverate, le case in mattoni senza intonaco e protette con infissi di fortuna. Anche i negozi sono miseri e sguarniti. Qui il sottosuolo è crivellato da tunnel, duemila gallerie sotterranee scavate per aggirare l’embargo imposto nel 2007 dopo la vittoria elettorale di Hamas nella striscia di Gaza. I tunnel sono una delle fonti di guadagno della cittadina e permettono il passaggio



La guerra

attualità

testo di Bandele Adeyemi foto di Tadej Znidarcic

Gli integralisti nigeriani ostacolano le vaccinazioni

Nel Nord della Nigeria è diffusa la credenza che le campagne antipolio siano un complotto occidentale per sterilizzare o infettare la popolazione islamica. I miliziani di Boko Haram bloccano la profilassi, esponendo la popolazione al pericolo di contagio

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minu Ahmed, quando era bambino, sognava di entrare nell’esercito e fare la carriere militare. Il sogno si è spezzato per colpa dalla poliomielite. Oggi Ahmed ha 52 anni. È un uomo intelligente e forte, sposato e padre di sei figli. Vive a Kano, grande città nel nord della Nigeria, epicentro di una regione devastata dalla polio, una malattia invalidante e altamente contagiosa. Ahmed è il fondatore della Kano Polio Victims Trust Association (Kpvta), un’organizzazione non-profit che si occupa di coordinare le attività di immunizzazione e soprattutto di convincere la popolazione locale a vaccinare i bambini. «Intervengo ogniqualvolta gli operatori sanitari incaricati di iniettare il vaccino ai bimbi incontrano resistenze o rifiuti da parte dei famigliari», spiega l’uomo. «Per convincere gli scettici mostro senza vergogna come mi ha ridotto la malattia. Chiedo se davvero vogliono correre il rischio che i loro figli o nipoti un giorno possano non poter più giocare a calcio o correre nei campi... A questo punto del discorso nessuno se la sente più di opporsi alle vaccinazioni».

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della polio

Un compagno di scuola porta Adamu Yusif, che non pu貌 a causa della poliomielite, in aula al secondo piano della scuola elementare di Kano

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attualità

Una partita di para-calcio: i poliomielitici corrono seduti su piccoli skateboard di legno, spingendosi con le mani protette da sandali

FANATICI DEL TERRORE In Nigeria le vaccinazioni antipolio sono state proibite dalle autorità di alcuni Stati settentrionali a maggioranza islamica della Federazione, gli stessi in cui nel 1999 era stata adottata la legge coranica e in cui oggi Boko Haram semina il terrore. I seguaci di questo gruppo fondamentalista applicano alla lettera ogni parola del Corano (non credono alla sfericità della terra perché il Libro Sacro non la contempla), non assumono e non fanno assumere antibiotici, vaccini e altri farmaci. Fino a pochi anni fa erano un gruppo marginale e male assortito, il prodotto di una cultura di miseria e degrado. Oggi sono in grado di pianificare attacchi e attentati, sanno maneggiare esplosivi e fucili, e soprattutto ne possono avere in quantità impressionante. Attaccano chiese cristiane e fanno dell’islam integrale la loro bandiera, ma la religione non c’entra proprio nulla. La posta in gioco, come sempre, è politica ed economica. (Raffaele Masto) 14

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Medicine infedeli La poliomielite, causata da un virus aggressivo che colpisce il sistema nervoso, può generare in poche ore una paralisi irreversibile e nei casi più gravi può portare alla morte. La patologia, debellata in Occidente nella seconda metà del secolo scorso, oggi rimane endemica in sole tre nazioni: Afghanistan, Nigeria e Pakistan. Nel grande Paese africano si sono registrati più della metà dei casi di contagio registrati l’anno scorso. Gli episodi (117 pazienti infettati dal poliovirus) si sono concentrati in quattro Stati settentrionali a maggioranza musulmana - Borno, Jigawa, Kano e Kebbi - dove il numero delle infezioni è addirittura raddoppiato rispetto al 2011. La responsabilità è delle autorità locali, che hanno manifestato in più occasioni una certa ritrosia,

Con i suoi 162 milioni di abitanti, la Nigeria è un gigante malato e contagioso che preoccupa le autorità sanitarie mondiali o addirittura un’aperta opposizione, alle campagne di vaccinazione. Il territorio - va ricordato - è flagellato da tempo da violenze e tumulti che hanno deteriorato le condizioni di sicurezza della popolazione. Il gruppo fondamentalista Boko Haram (L’educazione occidentale è un peccato) si è



attualità

testo e foto di Raffaele Masto

La feroce corsa all’oro ha sconvolto la vita e l’economia della regione rurale della Zambesia. Mentre le campagne si spopolano, i nuovi garimpeiros lavorano (e muoiono) come bestie

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Nel nuovo

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ulla carta, un luogo come “Colombia” non dovrebbe esistere in un Paese come il Mozambico, considerato uno dei miracoli economici africani, con una crescita formidabile e una stabilità politica ormai ventennale. Invece

Colombia c’è e dimostra che questo Paese viaggia a due velocità, che la stabilità politica non si è tradotta in una distribuzione equa della ricchezza e che il miracolo economico è un castello di sabbia che può essere cancellato da una pioggerella.

In piena campagna

Sì, perché Colombia è una miniera d’oro a cielo aperto in una remota regione rurale della Zambesia, che ha scatenato una vera e propria corsa all’oro con tutto ciò che questo comporta. Per arrivarci si parte da Quelimane, ca-

poluogo della regione della Zambesia. È necessaria una robusta 4x4 e bisogna mettere in conto un’intera giornata di scossoni su una pista che si inoltra in un Mozambico che appare immediatamente lontano anni luce da quel miracolo economico

Eldorado

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attualità

reportage dalla più spietata miniera aurifera

miniera d’oro giacimento di carbone

i tesori mozambicani Il Mozambico ha una crescita economica stimata del 7-8%, una delle più alte del continente africano. È considerato uno dei Paesi più dinamici, anche grazie alle recenti scoperte di risorse minerarie. Nella regione di Tete la multinazionale brasiliana Vale ha cominciato a sfruttare una delle più grandi riserve di carbone del continente. Nell’estremo nord è stato scoperto un immenso giacimento di gas naturale per il quale l’italiana Eni è in prima fila per ottenere concessioni per lo sfruttamento. Inoltre il Mozambico è uno dei Paesi che ha maggiormente tratto profitto, in termini economici, dal cosiddetto land grabbing, cioè la vendita della terra a partner stranieri per la produzione di biocombustibili. La scoperta di queste risorse ha però aumentato i contrasti politici interni, tanto che secondo molti analisti la ventennale stabilità di questo Paese sarebbe a rischio per il prossimo futuro. Per l’anno in corso sono previste le elezioni amministrative. Nel 2014, quelle politiche. 20

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che traspare dalla sua capitale Maputo, o dai dati macroeconomici che l’élite politica sbandiera in ogni occasione. La pista fende un territorio segnato da un’agricoltura di sussistenza che non ha nulla di diverso da quella che, probabilmente, si praticava in queste regioni ancora prima del colonialismo: piccoli villaggi di capanne con i muri di fango e il tetto di paglia, ogni insediamento con il suo albero di mango, un nugolo di bambini seminudi, adulti piegati a lavorare sul piccolo campo di manioca, qualche gallina e maiale.

Ai bordi della voragine Si passano chilometri e chilometri tutti uguali finché si arriva nella zona di Alto Ligonha. Colombia è vicina. Lo si capisce anche dal fatto che il tessuto sociale muta quasi a vista d’occhio, si ha l’impres-

Non c’è alcuna sicurezza. Ogni mese nella miniera muoiono circa quindici operai: alcuni sono poco più che bambini… sione che il territorio abbia qualcosa di insano: villaggi nei quali sono rimasti solo i vecchi, campi invasi dalle erbacce, capanne con i muri di fango crollati. Poi si capisce: è l’effetto della corsa all’oro. Gli abitanti di molti di questi villaggi hanno subìto il richiamo di una ricchezza facile e poi sono rimasti intrappolati in un girone infernale. Il risultato è che in questa regione ci sono vaste aree



attualità

testo e foto di Linda de’ Nobili

L’inferno dei baby-schiavi Le testimonianze dei piccoli prigionieri dell’Africa occidentale In Benin, migliaia di bambini vengono venduti ai trafficanti e ridotti in schiavitù. Alcuni finiscono in Ghana, sul lago Volta, dove sono costretti a lavorare come pescatori in condizioni vergognose

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gni anno in Benin, denuncia l’Unicef, migliaia di bambini sono sottratti alle proprie famiglie. “Comperati” per pochi euro o portati via con l’inganno, vengono poi costretti a lavorare nei mercati, nelle case della

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capitale o nelle piantagioni di Nigeria, Togo e Costa d’Avorio.

La tratta dei minori In Benin, i piccoli schiavi sono chiamati vidomegons, dal nome dell’antica tradizione locale in forza della quale i figli di famiglie non abbienti venivano affidati a parenti prossimi con maggiori possibilità economiche. In cambio di qualche piccolo lavoretto, i parenti affidatari li avrebbero mantenuti e mandati a scuola. Negli ultimi anni, però, il fenomeno ha preso una piega diversa. I piccoli, più che affidati il più delle volte vengono venduti, causa anche la grave crisi economica che attanaglia il Paese e che fa sì che un numero crescente di famiglie non abbia di che sfamare i propri figli. I piccoli schiavi sono così costretti



società

La banda della savana

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testo di Paola Marelli foto di Marco Trovato e Bruno Zanzottera

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Musicisti e majorette spopolano in una remota regione S dello Zambia

i fatica a credere ai propri occhi e alle proprie orecchie. Siamo a Mongu, remota cittadina dello Zambia occidentale, al centro di una vasta pianura alluvionale punteggiata da villaggi di capanne. All’improvviso l’oziosa quiete del pomeriggio viene bruscamente interrotta da una fanfara e da un gruppo di majorette che marciano sull’erba ostentando un’eleganza impeccabile. Paiono sbarcati da un altro mondo. Gli orchestrali esibiscono cappelli di feltro, lunghi pantaloni neri, giacche arancioni coi bottoni dorati. Le majorette fanno

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società Le majorette, che affiancano la banda dal 2002, danno spettacolo, tra giravolte e acrobatiche coreografie, in occasione di cerimonie ufficiali, feste di matrimonio, sfilate nei giorni di feste nazionali

sfoggio di stivali immacolati, gonne plissettate, sontuose divise bianche e blu. «Siamo degli inguaribili esibizionisti», scherza Isaac Mukonda, quarantenne, direttore della St. John’s Brass Breed Band, una quarantina di giovani musicisti e una dozzina di ragazze, fondata nel 1968 all’interno dell’omonima scuola missionaria. «Questa è una regione rurale, piuttosto isolata e sottosviluppata», racconta mister Mukonda. «Offre poche opportunità ai giovani. Il nostro gruppo è nato per aggregare gli studenti, ravvivare le loro giornate e offrire ai nostri figli una chance per il futuro».

La St. John’s Brass Breed Band è nata in una scuola di provincia, tra le acque del fiume Orgoglio e caparbietà Zambesi e le sabbie del deserto del Kalahari. Con quarantacinque anni attività alle spalle, la St. Dove le ambizioni dei giovani non hanno confini di John’s Band è diventata

AAA Cercasi strumenti musicali La St. John’s Band è in cerca di strumenti per i suoi giovani musicisti. Tromboni, sax, tube, bassi, trombe, corni, clarinetti, tamburi, cembali… Chi desidera fornire il proprio contributo può mettersi in contatto con il direttore della banda, M. Isaac Mukonda: imukonda@yahoo.com - tel +260 979 666 641

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l’orgoglio di Mongu, una piccola realtà di provincia divenuta celebre in tutto lo Zambia. I giovani, dagli otto anni in su, sgomitano per entrare a far parte del gruppo. Lufunda Clayton, quattordicenne, trombone a tracolla, non nasconde l’orgoglio: «Sognavo di suonare da quando, giovanissimo, sbirciavo le prove

dei compagni più adulti. Quando sarò adulto mi piacerebbe diventare ambasciatore. Ma se la carriera diplomatica non dovesse decollare, farei di tutto per diventare uno strumentista della Banda Nazionale». Anche la majorette Siphine Liyungu, 15 anni, non nasconde le sue ambizioni. «Sogno di esibirmi all’estero: Sudafrica, Europa, Stati Uniti. La danza e lo spettacolo sono la mia grande passione».



società

testo di Peter Harwood foto di Daniele Tamagni

Sun City La seconda vita di Il Sudafrica riabilita la controversa “città del peccato”

Hotel extralusso, notti folli e gioco d’azzardo. Dopo decenni di boicottaggio, turisti e cittadini tornano ad affollare la “Las Vegas sudafricana”, luogo-simbolo del divertimento immorale ai tempi dell’apartheid

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embra un castello da fiaba, con i torrioni tondeggianti, le cupole ricoperte di finte zanne d’avorio, le fontane che zampillano tra elefanti e ghepardi di bronzo. È il palazzo principale di Sun City, la più folle delle città del Sudafrica. Sorge tra le verdi colline della North West Province, a 180 chilometri

Una veduta del resort di Sun City (1200 stanze), a pochi passi dal Parco Nazionale del Pelanesberg. www.suncity-south-africa.com

da Johannesburg. Qui, trentacinque anni fa, il magnate sudafricano Sol Kerzner - impresario di resort sontuosi - decise



società

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testo di Kalidou Diouf

foto di Daniele Tamagni

Sono tornati gli uomini-leone

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società

Cinema in bukina A Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, si è svolta dal 23 febbraio al 2 marzo la XXIII edizione del Fespaco, il più importante festival cinematografico del continente: un’edizione “faraonica” con 169 film di 35 Paesi, di cui 101 in competizione in sette categorie. Tema centrale della Biennale è stato Il cinema africano e la politica pubblica in Africa, dibattuto nel corso di 27 incontri che hanno messo a confronto dirigenti politici e professionisti del cinema. La limitata produzione e distribuzione di film africani - meno del 3% sul mercato internazionale - viene imputata dagli operatori del settore all’assenza di politiche nazionali. Al di là della crisi, il Festival ha presentato alcune importanti novità, a cominciare dalla giuria, esclusivamente femminile per sottolineare il ruolo cruciale delle donne nella produzione cinematografica e televisiva del continente ma soprattutto nella vita quotidiana, un onore reso «alla donna cineasta fortemente attiva nel cinema africano», spiega Michel Ouédraogo, delegato generale del Festival nato nel 1969. Ospite d’onore, il Gabon «che nel 2012 ha celebrato i 50 anni del suo cinema, una data coincisa con le indipendenze africane», sottolinea Ardiouma Soma, responsabile della programmazione del Fespaco, promettendo «un viaggio nel cuore dell’Africa, delle sulle contraddizioni, di un’Africa che ride, piange, cambia e fa fronte a difficoltà». Per vedere i trailer dei film in concorso www.fespaco.bf

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società

testo di Riccardo Barlaam

Luanda fa shopp L’Angola compra le società portoghesi in crisi L’ex colonia portoghese, arricchita dal petrolio e dai diamanti, conquista banche e aziende strategiche, sollevando l’asfittica economia lusitana

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omplice la crisi dei debiti sovrani che soffoca i Paesi mediterranei, sta avvenendo una curiosa rivincita della storia: l’ex colonia portoghese è diventata oggi colonizzatrice, anzi, salvatrice del popolo portoghese. Lisbona ha ottenuto nel 2011 un prestito di 78 miliardi di euro dalla troika Ue-Fmi-Bce, e si è impegnata ad adottare pesanti misure di austerità per ridurre il deficit. Il governo ha adottato la cura dimagrante. Ma il piano ha ulteriormente depresso l’economia e allontanato i già limitati investimenti esteri. Luanda, invece, è in pieno boom economico. Ha un’enorme liquidità da investire grazie agli immensi proventi dei dia36

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manti e del petrolio venduto ai cinesi. E così, i dollari dell’ex colonia in questi anni arrivano come una manna a sostenere l’asfittica economia lusitana.

Affari presidenziali Il meccanismo è semplice. Per dare una mano, le figlie-prestanome del presidente angolano José Eduardo dos Santos - o uomini d’affari legati al “Presidentissimo” al potere dal 1979 - entrano con partecipazioni modeste, nel capitale delle società portoghesi. Poi rafforzano progressivamente la loro partecipazione, fino ad arrivare a possedere la maggioranza del capitale e prenderne il controllo. È successo con le banche, con l’energia, con l’agroalimentare, con le società

del lusso e con i media. L’esempio più emblematico dell’espansionismo angolano è quello che riguarda il Banco Comercial Português (Bcp), prima banca portoghese. Nel 2008, all’inizio della crisi europea, la società petrolifera angolana Sonagol ha acquisito una partecipazione del 9,99% del capitale del Bcp, per un investimento di 469 milioni di euro. Nel 2011 la Sonagol è diventata il principale azionista con il 12,44% delle azioni e ha cominciato a piazzare nel consiglio di amministrazione della banca suoi uomini di fiducia. Numero due del Bcp oggi è Carlos José da Silva, manager angolano dell’entourage del Presidente. Isabel dos Santos, la figlia maggiore del Presidente

Il presidente dos Santos e la figlia maggiore Isabel, protagonisti indiscussi degli affari angolani in Portogallo

- considerata dalla rivista Forbes la donna più ricca del proprio Paese e una delle più ricche dell’Africa subsahariana - ha cominciato la carriera con il ristorante Miami Beach, per i vip di Luanda. Oggi, vera e propria prestanome del Presidente, controlla attraverso una holding il 9,99% del Banco Português de Investimento (Bpi). Non solo: detiene il 25% del Banco Internacional de Crédito (Bic), che sta per acquisire il Banco Português de Negócios (Bpn). Un altro uomo di fiducia di dos Santos, il generale Hélder Vieira Dias, già mi-



copertina

testo di Gianni Biondillo foto di Alessandro Gandolfi/Parallelozero

Reportage dalla palpitante capitale dell’Etiopia, trionfo della nuova borghesia 38

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L’economia etiopica è in pieno boom, il ceto medio è sempre più vivace. E la capitale Addis Abeba, giorno o notte, non si ferma mai. Viaggio nella città-simbolo del riscatto africano

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a cosa più difficile, come al solito, è scrollarsi di dosso i luoghi comuni. Il nostro buonismo, la nostra coscienza sporca, cercano certezze: l’Africa è un continente statico, che ha bisogno del nostro aiuto, perché incapace di crescere. La realtà è molto più complicata. E la metropoli di Addis Abeba, capitale dell’Etiopia, ne è la prova lampante, materiale. A fianco delle baraccopoli e quartieri fatiscenti che accolgono la forte immigrazione interna fatta di gente disperata alla ricerca di una qualunque forma di riscatto, crescono grattacieli, si moltiplicano distretti finanziari, prosperano hotel di lusso.

Swinging Addis

Sono venuto in Etiopia con l’associazione Coopi (vedi box pag. 45) per testimoniare di iniziative che aiutino i bambini di strada, di adozioni a distanza, per parlare di solidarietà, e passo serate a cena con architetti, designer, fotografi, gastronomi guru e galleristi etiopi. Insomma, sono giunto in Africa a cercare la certezza di un Paese immobile e mi ritrovo nel bel mezzo di una città dinamica, ottimista, persino edonista. Una sorta di Swinging Addis. africa · numero 2 · 2013

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copertina

Semplicemente è successo che in questi anni è nata una nuova classe imprenditoriale, una nuova borghesia africana, autoctona, che sta cambiando il Paese. Questa borghesia, come ogni borghesia del mondo, ha le sue esigenze, i suoi status. Li ha conosciuti e apprezzati in giro per il mondo. Perché spesso questo nuovo ceto ha studiato all’estero oppure ha fatto fortuna fuori dall’Etiopia e ora torna e vuole mantenere un livello, uno standard quotidiano al quale s’è ormai abituato. Me lo spiega Yetna, conosciuto al bowling del centro commerciale di Lafto, dove ragazze bellissime sfoggiano capigliature scultoree e giovani coppie fanno acquisti per arredare casa. «Ho vissuto nove anni in Francia, dove mi sono laureato in farmaceutica», mi dice il mio nuovo amico, quarantacinquenne dinamico e affabile. «Quando sono tornato ad 40

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In città ha aperto il primo cinema 3D dell’Africa orientale. La gente sta in fila per ore per non perdersi lo spettacolo

Addis ho aperto una catena di bar-pasticceria, ne ho già quattro in città». La Parisienne, si chiamano i suoi caffé. In uno di questi ci sono stato la mattina dopo. Pulito, elegante, “parigino”, pieno di giovani rampanti, è il posto migliore dove fare una autentica



cultura

testo di Luca Spampinato

Cavallette, grilli e bruchi sono ingredienti comuni nelle cucine di molti Paesi africani. Gli esperti dell’Onu vorrebbero incoraggiarne il consumo

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rodo di formiche, frullato di lombrichi, stufato di bacherozzi, crespelle di coleotteri. Il proverbio “paese che vai, usanza che trovi” è più che mai appropriato quando si esplorano le tradizioni culinarie dell’Africa. In Congo i vermi della foresta insaporiscono la polenta di manioca. In Uganda le locuste senene vengono consumate fritte e speziate. In Camerun e Angola i 48

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A tavola gli insetti grilli finiscono in padella con cipolle e peperoncino. Nella Repubblica Centrafricana i vermi arrostiti sono un prelibato piatto popolare. Con buona pace dei palati fini (e schizzinosi), in larga parte del continente le popolazioni si sfamano regolarmente con insetti e altre bestioline. Si tratta di pietanze economiche, spesso molto gustose, di certo nutrienti e salutari. A certificarlo sono gli esperti

della Fao che vorrebbero incoraggiarne il consumo. «Il consumo tradizionale di carne è un problema», spiega il professor Arnold van Huis, entomologo olandese, consulente dell’organismo delle Nazioni Unite che si occupa di cibo e agricoltura. «Nel 2050 la popolazione mondiale arriverà a nove miliardi di abitanti e il fabbisogno di proteine crescerà del 70%: non ci sarà cibo per tutti».

Menù intelligente Già oggi quasi due terzi dei terreni agricoli sono destinati all’allevamento di bovini, suini e pollame: è impensabile aumentare questa superficie senza sacrificare le coltivazioni e compromettere l’ambiente. Secondo gli studiosi della Fao, la carne diventerà un lusso per pochi e la popolazione più povera dovrà cambiare abitudini alimentari per continuare



italia

testo di Claudio Agostoni foto di Bruno Zanzottera/Parallelozero

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Via Africa La strada-simbolo dell’Italia multirazziale Alle porte di Milano c’è una via che ospita un eccezionale mosaico etnico. È un microcosmo abitato da centinaia di immigrati provenienti da oltre sessanta nazioni diverse. Abbiamo fatto visita ad alcune famiglie africane 50

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ia Gorizia di Baranzate, uno scampolo di periferia milanese, vanta un primato singolare: è abitata da cittadini stranieri che arrivano da più di 60 diversi Paesi e un bambino su due ha almeno un genitore straniero. Don Carlo, da otto anni parroco del quartiere, è spettatore dell’inarrestabile flusso di immigrati che stanno prendendo posto degli abitanti originari, sempre più anziani, arrivati oltre quarant’anni fa dal Mezzogiorno: «Quando gli italiani cambiano casa e lasciano la zona, vengono rimpiazzati da stranieri. È gente che ha un grande senso della famiglia: se c’è bisogno, accolgono i parenti appena arrivati in Italia. E così talvolta gli appartamenti diventano sovraffollati».

Ghetto o crocevia? Il primo a lamentarsi, e ad augurarsi una inversione di tendenza, è Aziz, giovane capofamiglia marocchino: «Il nostro errore è quello di concentrarci in un



sport

testo di Caroline Six foto di Gwenn Dubourthoumieu

Gli incantato A Kinshasa va in scena l’appassionante sfida

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ottatori in gonnella, galeotti scatenati, coniglietti furiosi, pesci volanti, mangiatori di occhi: sul ring di Salongo, quartiere popolare della sterminata città di 58

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Kinshasa, sfilano personaggi al limite della fantasia, a metà strada tra i supereroi dei fumetti e i protagonisti dei cartoni animati. Monsieur Douglas, presidente della Lega

dei lottatori congolesi, ha organizzato un torneo che ha attirato una folla di spettatori. Quando, tra i suoni della fanfara e il gracchiare del megafono, entrano in scena i primi

sfidanti, più di mille persone trattengono il fiato. Nella RD Congo la parola wrestling è sinonimo di magia. Gli stregoni del ring sono adorati e temuti al tempo stesso. Pugni e


ori del ring dei lottatori di wrestling calci volanti non possono nulla contro i sortilegi dei “Copperfield della lotta”; i loro avversari sono incapaci di difendersi e finiscono per ballare, stregati e umiliati, sotto l’effetto

di qualche micidiale incantesimo. Ed è qui che sta la bellezza della lotta congolese. La potenza dei muscoli e l’imponenza dei fisici cessano di prevalere: la magia degli antenati è

l’arma vincente che trionfa sulla forza bruta.

Armi segrete

Questo è probabilmente il motivo per cui «dopo il calcio, la lotta è lo sport

più amato dai congolesi», commenta il giovane Israel, prima di riprendere i suoi cori con la folla. «Devi dare spettacolo per meritarti gli applausi. E il pubblico del wrestling africa · numero 2 · 2013

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sport

I combattimenti di lotta libera in Congo sono spettacoli intrisi di violenza e di magia. Il pubblico li adora perch茅 i gladiatori locali esibiscono fisici granitici e poteri sovrannaturali, in un turbinio di botte e sortilegi 60

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Armati di feticci e cosparsi di polveri magiche, i lottatori si sfidano incitati dalle urla degli spettatori in delirio



viaggi

testo e foto di Roberto Paolo

Viaggio in Mauritania lungo i binari

Sul treno più lun L

a stazione ferroviaria di Nouadhibou, la seconda città della Mauritania, è un edificio basso e bianco circondato dal deserto. Dentro, la sala d’aspetto è uno stanzone, con la biglietteria dietro un banco. Fuori, in mezzo alla sabbia, un unico binario viene dal nulla e prosegue dritto nel nulla, verso est. È da questa stazione che parte il treno più lungo e più pesante del mondo, che collega Nouadhibou alla città mineraria di Zouérat.

Il più pesante In realtà il treno comincia il proprio viaggio dal porto, dopo aver scaricato le migliaia di tonnellate di ferro provenienti dalle miniere. Ma lì i passeggeri non sono ammessi. La gente che deve salire a bordo aspetta dunque qui, a fianco dei binari, seduta 64

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Una tenda mobile

a terra assieme al proprio carico di masserizie, gli acquisti fatti al mercato, o agli animali, quasi sempre capre, da portare al villaggio. Il treno arriva a velocità ridotta e sfila lentamente davanti ai passeggeri in attesa. Il convoglio è composto da un centinaio di carrelli minerari per una lunghezza di oltre due chilometri. In alcuni casi, può arrivare anche a tremi-

la metri. Per trainarlo una locomotiva da sola non basta. Ora che è vuoto e risale verso le miniere di ferro di Zouérat, di locomotive ce ne sono due, una dietro l’altra. Quando ritornerà a Nouadhibou carico di ventiduemila tonnellate di ferro grezzo, ci vorranno quattro locomotive e qualche volta anche cinque, mettendone una alla fine del convoglio, a spingere dietro l’ultimo vagone.

Dopo l’interminabile teoria di carrelli vuoti, proprio alla fine del treno c’è un carro merci chiuso e poi una carrozza destinata alle persone, l’unica. Il biglietto costa mille ouguiya, due euro e 70 centesimi. Non servirà a molto perché per tutto il viaggio nessuno verrà a chiederlo, e il sospetto è che molti dei nostri compagni non ne siano provvisti. Di sicuro non ce l’hanno quelli che, invece di salire sull’unica carrozza, preferiscono sistemarsi nel carro merci. Viaggeranno così per un giorno e una notte, seduti sul pavimento in penombra, con il portellone semiaperto per far entrare l’aria, in compagnia di galline, pecore o capre. Al ritorno è ancora più semplice viaggiare gratis, perché ci si può sistemare


che attraversano il Sahara

go del mondo

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viaggi in cima ai cumuli di ferro nei carri aperti. Ma la polvere e la sabbia sollevate dal treno, oltre al freddo del deserto di notte, possono essere duri da sopportare. Nella carrozza passeggeri i viaggianti siedono l’uno fianco all’altro, riempiendo il pavimento di bagagli. Ma ci sono anche famiglie che stendono a terra teli su cui sedere, mettere a giocare i bambini e sistemare i fornelletti a gas per preparare un tè. Un accampamento in miniatura che però viaggia in treno, una tenda mobile, il nomadismo elevato a potenza.

Viaggio per temerari I viaggiatori sono un campione in miniatura della popolazione mauritana. Ci sono beydane (gli arabi bianchi che conquistarono

il Paese nel XVI secolo), harratines (la popolazione nera originaria), soldati in licenza che tornano a casa, agricoltori, commercianti e anche molti Saharawi. Per la prima metà del percorso, infatti, il treno corre parallelo al confine tra la Mauritania e il Marocco. O, sarebbe meglio dire, il territorio conteso del Sahara Occidentale, dove i Saharawi rivendicano inutilmente da decenni l’indipendenza. Arrivati a Choum, 400 chilometri ad est di Nouadhibou, la ferrovia piega a nord, continuando a seguire il confine fino a Zouérat. Dalla partenza al capolinea il viaggio è di 700 chilometri e, alla velocità ridotta del convoglio, si impiegano circa diciotto ore. Non è un viaggio comodo. Il treno corre su un unico binario in mezzo al deserto. La polvere entra dai finestrini e dalle porte del vagone, che restano sempre aperte. Sassi e altri ostacoli sui binari sono frequenti e possono costringere il convoglio a brusche frenate, scossoni e sobbalzi a sorpresa che possono buttar giù dai sedili il viaggiatore. Alle due estremità della carrozza ci sono anche due bagni alla turca, imbrattati e senza porta.

L’unica carrozza passeggeri ha un corridoio stretto e affollato. Negli scompartimenti ci sono poltrone impolverate e cuccette sfondate. Molti preferiscono viaggiare sui vagoni adibiti al trasporto del ferro 66

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chiese

testo di Bandele Adeyemi foto di Tadej Znidarcic

Fede e disciplina! Vita dura per i missionari mormoni in Uganda 68

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chiese A lato, Dangerfield e Chiromo in visita a una famiglia ugandese. Sotto, i due giovani missionari aiutano un ragazzo a portare l’acqua a casa sua, in un quartiere di Kampala. Il servizio missionario richiede anche di aiutare nelle faccende domestiche

1830) oggi può contare su circa 52mila giovani predicatori in tutto il mondo. Elder Chiromo è uno dei 120 missionari spediti in Uganda per diffondere la Parola di Dio. Benché sia africano e nato in Zimbabwe, il suo look lo fa sembrare un americano, come l’amico che lo accompagna: Elder Dangerfield, diciannovenne, originario di Salt Lake City.

Di porta in porta I due giovani mormoni oggi sono in visita a Kwamokja, un quartiere popolare di Kampala. Camminano per i vicoli stretti fiancheggiati dalle baracche, evitando pozze d’acqua putrida e chinandosi sotto file di biancheria stesa ad asciugare al sole. Entrambi stanno attenti a non macchiare i pantaloni. Le scarpe, invece - perfettamente lucidate al mattino - sono già infangate, a dimostrare le difficoltà del lavoro missionario. Vanno di casa in casa, bussano alle porte delle stamberghe, sempre sorridenti. «Siamo della Chiesa di Gesù Cristo e siamo venuti per condividere la nostra fede», ripetono in continuazio70

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chiesa in africa Egitto

a cura di Anna Pozzi

Difensore dei profughi

a cura di Anna Pozzi

Resta drammatica e sostanzialmente ignorata la situazione di migliaia di uomini, donne e minori, in gran parte eritrei, sequestrati da gruppi di trafficanti che li tengono prigionieri sulle alture del Sinai (vedi a p. 10). Secondo una prassi criminale che dura da molto tempo, questi trafficanti tengono in ostaggio i migranti, in fuga da uno dei regimi più liberticidi al mondo, chiedendo un riscatto spesso insostenibile alle famiglie di origine, estremamente povere. Nonostante gli appelli lanciati alla comunità internazionale da don Mussie Zerai attraverso la sua agenzia Habeshia, nessuno - a cominciare dal governo egiziano sul cui territorio si realizza questo “traffico” - sembra deciso di intervenire. In una recente intervista a Radio Vaticana, il sacerdote eritreo ha nuovamente lanciato l’allarme per «circa un migliaio di ostaggi» attualmente in mano ai predoni del Sinai. «Accade oggi: molte persone vengono sequestrate direttamente in Sudan, nei campi profughi, come quello di Shagarab. Oppure vengono vendute già al confine con il Sudan, a volte con la complicità della polizia sudanese che li carica sulle macchine, dicendo di accompagnarli nei campi profughi, e consegnandoli invece nelle mani dei trafficanti. Così obbligano queste persone ad arrivare nel Sinai dove poi possono essere facilmente ricattate. Tra sudanesi ed eritrei chiedono somme intorno a 10mila dollari». Senza contare il rischio di finire sul mercato clandestino degli organi per i trapianti offerti da cliniche compiacenti. 74

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papa nero sì o L

e dimissioni del Papa sono state uno shock. Continuo a ricevere telefonate da gente comune, da cattolici, ma anche da esponenti di altre confessioni cristiane e musulmani. Vogliono sapere che cosa accade nella Chiesa, se ci sono dei problemi». Monsignor Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos, in Nigeria, esprime molto bene il sentimento diffuso di molti africani di fronte alle dimissioni del Santo Padre. Certo, Benedetto XVI non era né popolare né amato come Giovanni Paolo II, il quale - con i molti viaggi in Africa - aveva conquistato molto di più il cuore della gente. Il gesto di Benedetto XVI, tuttavia, non ha lasciato indifferenti i fedeli (e non solo) africani, che ora, come tutto il resto del mondo, si interrogano sul futuro Papa. Ma sono maturi i tempi per un Papa africano? Secondo mons. Ignatius, «da dove provenga questo Papa non importa. Abbiamo il dovere dell’obbedienza e accoglieremo qualunque scelta fatta dai cardinali. Certo se poi il Papa dovesse essere un nigeriano, un ghanese o comunque un africano saremmo felici». La stessa domanda - diretta e inequivocabile - è stata rilanciata dalla nostra rivista attraverso i social network. E le risposte sono state molto meno diplomatiche. «Credo che il tempo sia maturo per un Papa nero - scrive Fausto -, ma temo che la curia romana, il potere economico della Chiesa, cercherà di opporsi». «Dopo Barak Obama - sostiene Claudio - un Papa nero diventa ovvio. Ma la Cina, l’Asia in generale, sono il nuovo mondo. Bianchi e neri fanno parte della stessa storia. Ma il prossimo Papa sarà asiatico o latinoamericano». Aggiunge Marianna: «Ritengo che sia giunto il momento, proprio nel

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Kenya • rifugiati Nel dicembre scorso, il governo keniano dava tempo tre mesi ai rifugiati presenti nel Paese per spostarsi nei campi di Dadaab e Kakuma e chiedeva alle varie organizzazioni, Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite incluso, di sospendere immediatamente ogni registrazione e assistenza ai rifugiati al di fuori di questi due campi. La ragione addotta era una questione di sicurezza. Il governo, infatti, attribuiva i recenti attentati al gruppo somalo Al Shaabab, che si vuole vendicare dell’intervento



togu na - la casa della parola Urla nel silenzio

lettere Missione di pace? copertina

testo e foto di Damiano Rossi

Reportage dal campo di Bihanga, tra simulazioni di combattimenti, lezioni di antiterrorismo, esercitazioni con mine e kalashnikov. Sei mesi di duro addestramento sotto la guida di militari europei. Per prepararsi all’inferno di Mogadiscio

Lezioni di

G

uardando i loro occhi innocenti si stenta a credere che questi ragazzi, ancora così giovani, tra alcuni mesi faranno rientro in patria, in prima linea nella lotta ai “signori della guerra” e ai miliziani di Al-Shabaab, il gruppo fondamentali fondamentalista islamico che dalla fine del 2008 sta mettendo a ferro e fuoco la Somalia. Eppure è proprio così.

GUERRA

L’accademia all’equatore Ci troviamo a Bihanga, distretto di Ibanda, nell’ovest dell’Uganda, a circa 350 chilo chilometri e sei ore d’auto (di cui le ultime due su strada sterrata) dalla capitale Kampala. Qui, dal 2010 è operativo un campo di addestramento militare per reclute somale, controllato e gestito dall’Unione Europea in collaborazione con lo Updf (Uganda People’s Defence Force), l’esercito ugandese. Il tutto è inserito nella missione che prende il nome di Eutm (European Union Training Mission). Obiettivo: solcontribuire al rafforzamento e al miglioramento di quello che allora era sol

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a cura della redazione

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Non sapevo che i nostri militari fossero impegnati in Africa nell’addestramento dei soldati e poliziotti somali (articolo di copertina di Africa 1/2013). A Mogadiscio i diritti umani non sono garantiti, nemmeno nella zone “pacificate” dalle autorità. Perché l’esercito italiano sostiene il governo della Somalia, accusato da Amnesty International di reprimere le libertà individuali dei cittadini (arresti arbitrari di giornalisti, giustizia sommaria, abusi nei confronti delle donne, etc.)? Benedetto Pasini, Massa Carrara Una sola precisazione: i militari italiani fanno parte del contingente dell’Unione Europea impegnato a ripristinare la legalità in Somalia.

Grazie per aver rotto il silenzio che avvolge la drammatica guerra nel Kivu. Il reportage pubblicato sull’ultimo numero della rivista fa luce sugli sporchi interessi e giochi di potere che si celano dietro la sofferenza del popolo congolese. Peccato che la vostra voce coraggiosa sia circondata dal silenzio dei grandi media. Celestin Yambuya, via mail

Fanatismo indù? chiese

testo di Paola Marelli foto di Rajesh Jantilal/Afp

Penitenze indù Sudafrica, i dolorosi rituali del Kavadi Festival Nella città di Durban, centro culturale e spirituale dei sudafricani di origine indiana, migliaia di fedeli indù si radunano ogni anno per onorare il dio Muruga e infliggersi degli atti di autolesionismo in segno di devozione 68

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ulla costa orientale del Sudafrica c’è uno spicchio d’India che pare essersi staccato dal continente asiatico. È la bellissima e variegata città di Durban, importante polo economico e porto commerciale della

provincia del KwaZuluNatal, che vanta il primato africano della più alta concentrazione di abitanti di origine indiana: circa 800mila persone, un quarto della sua popolazione, il 70% dell’intera comunità asiatica del Paese.

Enclave indiana La comunità indiana locale ha una storia che affonda le radici nell’epoca coloniale, all’inizio del XIX secolo, quando i pionieri inglesi portarono in Africa migliaia di manovali a contratto - ingaggiati per

il lavoro nelle piantagioni - provenienti dalle attuali regioni del Tamil Nadu, Andhra Pradesh e Uttar Pradesh (all’epoca i territori facevano parte dell’impero britannico), a cui si unirono poco dopo molti altri migranti dediti al

Un devoto indù, con il corpo trafitto come uno spiedino da ganci, aghi e frutta, traina un carro votivo per pochi chilometri come una forma di penitenza e di sacrificio. In tutto il Sudafrica vivono circa un milione e duecentomila indiani: il 2,5% dell’intera popolazione

commercio originari del Gujarat. Durante gli anni dell’apartheid la minoranza asiatica subì - al pari dei sudafricani neri e meticci - le discriminazioni razziali del regime segregazionista bianco. Oggi gli indiani di Durban sono ben integrati sotto il profilo economicosociale e mantengono una vivace attività culturale e religiosa. In città ci sono diverse scuole di sanscrito (la lingua ufficiale dell’India), una mezza dozzina di ashram (spazi di medi-

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tazione e romitaggio dove si praticano esercizi spirituali, yoga, tecniche ascetiche) e altrettanti luoghi di culto indù.

Ferventi fedeli I principali centri gravitazionali dei fedeli sono l’Alayam Temple, il tempio indù più antico e più grande del Sudafrica, e il Temple of Understanding, il maggior tempio del culto Hare Krishna dell’intero emisfero australe. Il fervore religioso della comunità indiana esplode in tutta la sua esuberanza in occasione delle festività del calendario indù. In marzo, nei giorni di luna piena, si svolge l’Holi Festival, chiamato anche “Festival dei colori”, che celebra in India l’inizio della primavera e in Sudafrica l’arrivo dei primi lavoratori indiani. Ad aprile-maggio ha luogo la festa in onore della dea Draupadi che dura diciotto giorni e culmina africa · numero 1 · 2013

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D’accordo la libertà di culto, il rispetto per ogni religione e ogni cultura… Ma francamente sono rimasta senza parole vedendo il servizio Penitenze indù (Africa 1/2013) dedicato ai dolorosi rituali messi in atto dai sudafricani di fede induista. Mi chiedo come sia possibile farsi del male, ferirsi il corpo e infliggersi degli atti di autolesionismo, in segno di devozione. Quale divi-

nità può desiderare questa cruenta forma di isterismo e fanatismo collettivo? Stefania Abatangelo, Novara

Politici limitati Accendo la televisione e vedo sbraitare politici di ogni partito che promettono la luna e si insultano a vicenda. Va avanti così da settimane. Non vedo l’ora che finisca questo teatro. E rifletto: perché nessun candidato italiano parla mai di politica estera? Dei problemi del mondo? Certo discutere della situazione in Mali, Tunisia, Egitto… non porta più voti. Ma il provincialismo culturale della nostra classe dirigente è inquietante. Passiamo il tempo a guardare il nostro ombelico. E ci stupiamo quando i problemi del mondo ci piombano addosso all’improvviso. Sara Airoldi, Camogli

Solidarietà in Zimbabwe Vorrei segnalarvi una persona di grande carisma che sta dedicando la sua vita ad un progetto di solidarietà in Africa. È Marcello Girone Daloli, ex manager e uomo di marketing negli

Stati Uniti con Pepsi Cola, che ha scelto di lasciare la sua brillante carriera per aiutare la popolazione di St. Albert, nel nord dello Zimbabwe. Per sostenere i suoi sforzi: www.helpzimbabwe.org Annamaria Rossetti, via mail

Niente di speciale Leggo sempre con interesse la vostra rivista. Voglio osservare, tuttavia, con riferimento all’articolo Nasce il primo tablet africano che l’enfasi con cui viene descritto questo congegno è fuori-luogo non essendo un prodotto tecnicamente confrontabile con altri dispositivi hi-tech in commercio. Martino Mansoldo via mail Gentile lettore, concordo con lei che questo tablet non possa competere con i prodotti delle grandi multinazionali. Ma è nato per mano di un giovane africano (24 anni) senza l’appoggio di grandi laboratori di ricerca. Lasciamoci stupire anche dalle piccole-grandi cose! padre Paolo, direttore di Africa

sondaggio PaReRi Raccolti sulla Pagina Facebook di aFRica Ritieni che i tempi siano maturi per un Papa africano? 51% 40% 6% 3%

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Sì, la Chiesa dimostrerebbe di essere sulla strada dell’apertura e della riforma Sì, la Chiesa deve molto all’Africa anche in termini di vocazioni No, La Chiesa europea è incapace di condividere il potere di governare No, l’Africa non ha personalità religiose di rilievo

africa rivista


n. 2 marzo . aprile 2013 www.missionaridafrica.org

Il problema irrisolto dei Tuareg Il dramma del Mali visto da un missionario. Padre Alberto, accanito difensore della non-violenza, vent’anni di missione nel Mali e di condivisione dei problemi con la popolazione, ci fa partecipi delle sue riflessioni su questa guerra che sorprende e addolora

di Alberto Rovelli Ero triste lasciando il Mali, ma lo sono ancora di più ora, vedendolo impegolato nella guerra. Ho vissuto per vent’anni in quello che veniva definito il Paese della senenkunya, della tolleranza, e che oggi è nell’occhio del ciclone della guerra. Non è facile ricercare nella memoria del passato il motivo di tante reazioni e difficoltà attuali, ma è il cammino obbligato se non vogliamo perdere la dignità di essere persone e non mi rassegno a pensare che in Mali scompaia la capacità di farsi fiducia, e di perdonarsi; non accetto che per far avanzare l’umanità ci vogliano sempre i cannoni e la violenza.

Il passato recente

Padre Alberto in un villaggio vicino a Gao con il suo amico Ata che, aiutato da amici francesi, ha aperto una scuola per tutti i bambini

Ripensandoci, gli ultimi avvenimenti non mi stupiscono più di tanto, perché da una quindicina d’anni nelle città del nord del Mali si notavano predicatori fondamentalisti di origini straniere. Quando andavo a Timbuctu partendo da Gao, dove ho vissuto per cinque anni, il pastore protestante, un maliano originario proprio di lì, mi confidava le sue paure, ascoltando le prediche degli imam (guida spirituale): invocavano i peggiori castighi di Dio su tutti coloro che non rispettavano i precetti della sharia, la legge coranica. A Kidal, invece, ho conosciuto parecchi giovani di 15-18 anni, che venivano rinchiusi per una settimana nelle moschee, dove subivano un vero e proprio lavaggio del cervello e venivano poi mandati a predicare e a fare conversioni. A Gao, alcuni amici musulmani moderati, più di una volta, sono venuti da me, pre-

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I miliziani del Movimento per l’unità e la Jihad in Africa occidentale (Mujao) avevano preso il controllo del nord del Mali imponendo ovunque la sharia

occupati per quello che vedevano: loro stessi venivano umiliati e disprezzati da predicatori stranieri, che pretendevano di cambiare il loro modo di praticare l’islam. Questo però non spiega ancora tutto quello che è successo nell’ultimo anno.

Radici lontane

Già all’epoca dell’indipendenza, il primo Presidente del Mali si è dovuto confrontare con le rivendicazioni indipendentiste dei Tamashek, i Tuareg del nord: Modibo Keita ha annegato la rivolta nel sangue. Anche la seconda ribellione, venticinque anni dopo, è stata gestita molto male da

Moussa Traoré, rifiutando di attuare il necessario sviluppo economico e soffocando l’identità culturale dei Tuareg. E così i pastori del nord si sono sempre sentiti tagliati fuori dai grandi progetti di sviluppo realizzati al Sud. Dopo gli accordi di pace di Timbuctù del 1992, si è cercato di favorire l’integrazione degli ex ribelli nell’esercito regolare; ci sono stati deputati tamashek all’Assemblea Nazionale e nuovi progetti di sviluppo sono stati iniziati un po’ ovunque nel Nord, sulle piste di Gao, Timbuctù, Kidal e Tessalith. Le autorità del Paese, tuttavia, non sono mai riuscite a far rispettare la legge su

In un villaggio vicino a Bandiagara: “Quando un’amicizia sprigiona un sorriso, ridono anche gli antenati” (proverbio dogon)

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tutto il territorio nazionale, anche a causa della sua enorme estensione. Il nord-est del Mali, in particolare, è sempre stato un rifugio per trafficanti di ogni tipo: droga, sigarette, armi, esseri umani, emigranti in transito… E questo sotto gli occhi impotenti di agenti di polizia e militari, sprovvisti di mezzi materiali per contrastare questi disordini. Ma chi traeva davvero profitto da tutto questo malaffare? Io ho sempre visto la gente molto povera, con enormi difficoltà per sfamarsi, curarsi, mandare i figli a scuola... All’epoca di Gheddafi, poi, molti Tamashek andavano a cercare lavoro in Libia, e parecchi si sono arruolati come miliziani, per poi fuggire, alla caduta del regime, e ritornare stracarichi di armi in Mali. È stato facile per i fondamentalisti di Al Qaeda del Maghreb islamico (Aqmi) manovrarli e spingerli ad un’ennesima rivolta per conquistare non solo il Mali, ma anche altri Paesi con lo scopo di far nascere la Repubblica Islamica tanto desiderata da tutti gli estremisti. Hanno però commesso il grandissimo errore di accanirsi contro la gente del Nord: esecuzioni sommarie, flagellazioni, taglio di mani e di orecchie... provocando così la fuga di centinaia di migliaia di civili e seminando il terrore nel cuore della gente del sud. Al punto da temere un’avanzata sino alla capitale Bamako.

Isolare il fondamentalismo

Di qui l’intervento della Francia. Non credo, però, che si troverà una soluzione con le armi. La Francia, ma anche tutto l’Occidente, dovrebbero iniziare una nuova politica di trasparenza e di maggior equità nel commercio delle materie prime, affinché l’Africa tutta inizi un vero processo di sviluppo. Personalmente, in Mali, ho incontrato solo musulmani moderati: ho tantissimi amici e penso che il fondamentalismo possa essere sconfitto solo isolandolo, rifiutandolo. Dobbiamo aiutare questi musulmani moderati affinché si uniscano e facciano pressione sui loro imam. Tocca a loro sconfessare la visione violenta dell’islam, che fondamentalisti di ogni tipo vogliono imporre con la forza. Ma la non-violenza è più forte di tutte le armi. Ma anche noi cristiani abbiamo il dovere di camminare accanto ai nostri amici musulmani, proponendo una visione nuova della nostra pacifica convivenza. •


Un centro per formatori

La rivista Africa rilancia il progetto 05/2010 per sostenere padre Arvedo Godina nella sua missione di educatore di catechisti rurali quanto mai importanti per la presenza cristiana in questo Paese Nel Mali, come in tanti Paesi africani, le parrocchie sono formate da villaggi più o meno numerosi, dislocati su una vasta area. In alcuni di essi vivono piccole comunità di cristiani organizzate attorno ad un responsabile, con un animatore di preghiera e gruppi di adulti in cammino verso il battesimo che riceveranno dopo quattro anni di preparazione, i catecumeni. L’animazione di queste comunità e la formazione dei catecumeni è assicurata da catechisti rurali, giovani o adulti, uomini e donne, alcuni con famiglia, altri non sposati, proposti dalla comunità cristiana e formati in appositi centri per catechisti. Quello di Ntonimba, nella parrocchia di Kati, dedicato a Mons. Pierre Leclerc, offre una formazione biblica, catechetica, pedagogica e umana con un ciclo di due anni che si svolge durante la stagione secca (novembre-giugno), perché durante le piogge i catechisti sono presi dai lavori agricoli. Dopo due anni, i catechisti rientrano nei loro villaggi comunità come catechisti benevoli, responsabili dell’animazione della

Il padre Arvedo Godina, originario di Monticello Brianza (LC), da 10 anni direttore del Centro per catechisti di Ntonimba

di Vittorio Bonfanti comunità cristiana. A seconda delle necessità, alcuni sono invitati a seguire un terzo anno di formazione per mettersi poi al servizio della comunità a tempo pieno. Vista la loro preparazione, vengonoinviati anche alla parrocchia centrale per varie circostanze importanti. Il Centro di formazione di Ntonimba si fa carico del mantenimento e dei costi della formazione dei catechisti con le loro famiglie presenti al Centro di formazione: 500 euro all’anno per un catechista solo, il doppio per uno con famiglia. Quest’anno il centro ospita 14 catechisti. Padre Arvedo Godina, responsabile del Centro di Ntonimba da più di 10 anni, fa appello alla solidarietà di quanti condividono l’entusiasmo di questi catechisti e sentono l’urgenza della missione, soprattutto nel Mali dove la presenza cristiana, seppur fortemente minoritaria (2%) rispetto all’islam (85%), è apprezzata e stimata, a tal punto che oggi ancora numerose persone, colpite dalla testimonianza cristiana di catechisti nelle loro piccole comunità, chiedono loro di «dar ragione della speranza e della gioia che li anima». Ben volentieri Africa rilancia il Progetto 05/2010 - Mali - Scuola Catechisti, dedicato appunto al Centro di Ntonimba diretto da padre Arvedo. • Chi volesse sostenere l’opera di padre Godina, può effettuare una donazione sul conto della ONLUS AMICI DEI PADRI BIANCHI (Cod. fisc. 93036300163): CCP - c/t nr 9754036 oppure BCC Treviglio IBAN: IT72 H088 9953 6420 0000 0172 789 Causale: Prog. 05/2010 - Catechisti

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AmICI DEI PADRI BIANChI ONLUS GESTIONE 2012 La Onlus Amici dei Padri Bianchi presenta un breve resoconto delle attività dell’anno di gestione 2012. Approfitta dell’occasione per esprimere la propria riconoscenza a quanti hanno contribuito: I Soci della Onlus; chi nel 2010 ha destinato il 5 x mille alla Onlus; chi ha fatto donazioni alla Onlus; chi ha partecipato finanziariamente o in altri modi ai progetti presentati dalla rivista Africa e sostenuti dalla Onlus. Il bilancio approvato dall’Assemblea sarà pubblicato sul prossimo numero di Africa ENTRATE 2012 Donazioni ricevute _____________________________________________________€ 5.940,00 Donazioni per progetti presentati __________________________________________ € 34.080,74 Sostegno a Rivista Africa _______________________________________________ € 13.921,60 Contributi ricevuti per Mostre itineranti _____________________________________ € 15.020,65 Contributi ricevuti per partecipazione a Workshop Africa ___________________________€ 4.850,00 Proventi 5x1000 (anno 2010) - Agenzia delle Entrate ____________________________ €10.348,15 TOTALE ENTRATE 2012 _____________________________________________ € 84.161,14

USCITE 2012 PROGETTI N. PROG. PAESE NOmE RESPONS. _________ SOmmA 01/2010 RD Congo Prog. Nutrizionale P. Iotti I. ____________ € 681,00 04/2010 Mali Chiesa Masina P. Rovelli A. ________ € 1.225,00 05/2010 Mali Scuola Catechisti P. Godina A. ________€ 3.600,00 06/2010 Burkina Faso Mulino Dori P. Pirazzo Gabr. ______ € 490,00 07/2010 Kenya Borse di studio Padri Bianchi P. Morell L.__________ 1.150,00 09/2010 Mozambico Angeli innocenti P. Zuccala C. _______ € 7.962,00 01/2011 Algeria Scolarizz. Femmin.+Bibliot. P. Le Cantal _________ € 750,00 04/2011 Mali Dispensario a Gao P. Rovelli A. ________€ 1.355,00 13/2011 Kenya Scuola Suor Agatha P. Morell L.__________ € 449,50 14/2012 RD Congo Giovani a Goma P. Marchetti G. _______ € 305,00 15/2012 Mali Carestia in Mali P. Bonfanti V. _______€ 8.626,31 16/2012 Sud-Sudan Scuola bambini soldato P. Le Vacher _________ € 667,00 17/2012 Mali Assistenza a bambini P. Bonfanti V. ________ € 108,43 99/2012 Diversi Progetti di vari confratelli in Africa ________________ € 6.581,40 TOTALE PROGETTI FINANZIATI________________________________________ € 33.950,74

SPESE DI PRODUZIONE Costi per allestimento mostre itineranti ______________________________________ € 14.896,74 Costi sostenuti per il Workshop ____________________________________________€ 2.980,91 Spese vive a favore della rivista Africa________________________________________ € 5.418,02 SPESE DI PRODUZIONE _____________________________________________ € 23.295,67

DONAZIONI Erogazioni a favore rivista Africa e Padri Bianchi ______________________________ € 18.148,00 TOTALE DONAZIONI ________________________________________________ € 18.148,00 TOTALE USCITE ___________________________________________________ € 75.394,41 Il 15 febbraio 2013 è mancato al nostro affetto il padre Sergio Castellan che molti lettori conoscono. Nato il 6 marzo 1939 a Valdobbiadene (TV), padre Sergio ha esercitato il suo ministero missionario in Mali e in Italia.

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ESTRATTO DALLO STATUTO DELLA ONLUS Poiché molti lettori ci hanno chiesto che cos’è la Onlus Amici dei Padri Bianchi, pubblichiamo volentieri l’Art. 3 dello Statuto che ne indica le finalità Art. 3: OGGETTO E SCOPO

3.1. L’associazione, senza fini di lucro, e con la prevalente azione diretta personale e gratuita dei propri aderenti, salvo il rimborso delle spese sostenute, opera nel campo della beneficenza, della promozione culturale e della formazione, sostenendo i progetti umanitari a favore di persone svantaggiate per migliorarne le condizioni. 3.2. Per il perseguimento, in via esclusiva, di scopi di finalità solidaristica la sua attività si concretizza in quanto di seguito indicato: • sostenere progetti umanitari rivolti al miglioramento delle condizioni di vita delle realtà sociali con le quali l’Associazione entra in contatto; • svolgere attività di beneficenza e di solidarietà verso le collettività bisognose, sia nazionali che estere, dove operano i Padri Bianchi; • promuovere le sottoscrizioni di sostegno alla rivista Africa, pubblicata dai Padri Bianchi; • aiutare le Associazioni umanitarie e i centri di raccolta a favore di popolazioni e comunità provate da calamità naturali, guerre, epidemie o, comunque, bisognose di solidarietà; • sviluppare ogni forma di collaborazione con altre organizzazioni di volontariato affini. 3.3. L’associazione, per il raggiungimento dei suoi fini, intende promuovere varie attività da considerarsi di carattere accessorio ai sensi e per gli effetti dell’art. 10, comma 5, del D.Lgs. 460/97, e in particolare: • attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica in ordine ai problemi connessi al disagio economico e culturale dei Paesi del continente africano, attraverso l’editoria, conferenze, dibattiti e proiezioni informative presso la sede, presso le scuole e in occasione di pubbliche manifestazioni; • attività culturali: convegni, conferenze, dibattiti, seminari, proiezioni di films e documenti, concerti, lezioni; • attività di formazione: corsi di preparazione e aggiornamento teorico/pratici per educatori, operatori sociali, istituzioni di gruppi di studio e di ricerca.


PROMOZIONE AFRICA + RIVISTE AMICHE CEM Mondialità per l’educazione interculturale contributo 50 euro (anziché 60) Africa + CEM

Confronti mensile di “fede, politica e vita quotidiana” contributo 67 euro (anziché 80) Africa + Confronti

Missione Oggi mensile di approfondimento e riflessione contributo 50 euro (anziché 60) Africa + Missione Oggi

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