Africa Nr 2-2012 Marzo-Aprile 2012

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anno 90

n.2 marzo-aprile 2012

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Milano.

www.missionaridafrica.org

São Tomé e Príncipe

isole del cacao Senegal

Le turiste dell’amore

Sudan del Sud

Il mondo dei Dinka

Egitto

La primavera del cinema


informazioni Due settimane nel «Gioiello del Sahel» alla scoperta della cultura e dell’ospitalità della popolazione bambara, accompagnati dai Padri Bianchi. Un viaggio lontano dalla mete turistiche, per partecipare alla vita dei villaggi assieme ai missionari. Un’opportunità preziosa per conoscere, crescere e darsi da fare.

Falajè

africa organizza un viaggio in Mali

Quando: dal 5 e il 25 luglio 2012 Dove: Missione di Falajè e villaggi limitrofi Per chi: 10 giovani tra i 18 e i 30 anni Costo: 1.200 euro circa (aereo, soggiorno, visto) Informazioni: padre Vittorio Bonfanti, tel. 347 044 5611 animazione@padribianchi.it - www.missionaridafrica.org


editoriale

di Paolo Costantini

Come si ruba oggi U

ltima mente sia mo bombardati da parole che non riusciamo a capire e che i giornalisti hanno difficoltà a spiegare, come rating, benchmark, spread, bund, bond... Evidentemente l’italiano è troppo povero per dire tutto. Navigando poi sul web, da qualche anno appare un’espressione che però non vedo usata quasi mai dai nostri media. O, almeno, non me ne sono accorto. Si tratta di land grabbing che, tradotto in semplice italiano, vuole dire “accaparramento della terra”. Di che si tratta? È l’ultima invenzione dei Paesi ricchi e di chi, comunque, ha i mezzi, per depredare ancora di più i nostri fratelli africani. Come? Portando via la loro terra. Fin dall’antichità, lo sappiamo, il “negro” è stato “valorizzato” come schiavo. Pensiamo ai nubiani dell’impero romano e alla tratta schiavista attuata dagli europei come dagli arabi.

Poi, in epoca moderna, non potendo più sfruttare questo avorio nero, si è cominciato a mungere le ricchezze naturali dei Paesi africani: cotone, caffè, cacao, legname.... Si è scavato nel ventre del continente per accaparrarsi i suoi tesori: oro, uranio, petrolio, tantalio, rame e quant’altro. Ora si porta via la terra a povera gente che di quella terra vive, coltivando sorgo, miglio, riso e manioca. Ecco dove interviene il land grabbing, per dirla in modo nobile. Il ragionamento è semplice: perché sprecare tanta terra per un’agricoltura di sussistenza quando, unendo piccoli terreni, si possono coltivare estensioni immense producendo in quantità industriale mais, jatropha e altri prodotti da cui estrarre dell’ottimo carburante non inquinante? I contadini potranno lavorare meglio e guadagnare di più. Così le comunità rurali africane - che non hanno

mezzi per rivendicare i loro diritti - si trovano sempre più esposte agli appetiti delle grandi multinazionali dell’agribusiness, di Stati ricchi di denaro ma in crisi di risorse alimentari, o di finanziarie a caccia di investimenti sicuri. È una situazione pericolosa, con rischi di conflitti che con faciloneria noi definiamo “tribali”. Come per esempio i recenti scontri nel nord Kenya che hanno provocato decine di morti e 50mila sfollati. Sono anche convinto che dietro le violenze in atto in Senegal ci sia il malcontento contro il regime di Wade accusato, sul giornale Wal Fadjiri, di aver «svenduto 650mila ettari di terreno a 17 privati senegalesi e stranieri, tra cui italiani e spagnoli, tra il 2000 e oggi». E chi mi dice che dietro le attuali violenze tuareg, nel Mali, non ci sia il malcontento provocato da un accaparramento selvaggio della terra? Stando a quanto de-

nunciato da Report, nella puntata Corsa alla terra del 18 dicembre scorso, circa 200mila ettari sono stati svenduti o dati in concessione a società libiche, americane, sudafricane, cinesi, inglesi, saudite (con dietro il Bin Laden Group...). E chi ha protestato, si trova ora in carcere. In Madagascar la collera della gente è esplosa quando la coreana Daewoo aveva ricevuto in concessione per 99 anni metà dei terreni agricoli dell’Isola Rossa: un milione e 300mila ettari. Per produrre mais e portarselo a casa. E noi continuiamo a parlare di guerre tribali! Mentre scrivo, mi torna in mente quanto il professor Albert Tévoédjrè, allora coordinatore del progetto “Millennio per l’Africa”, disse a noi giornalisti nel 1999 a Ginevra: «Oggi non si tratta tanto di aiutare l’Africa, quanto di rubare meno». A buon intenditor, poche parole. • africa · numero 2 · 2012

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sommario

lo scatto 6. Sogni Tuareg Direzione, reDazione e amministrazione

Cas. Post. 61 - V.le Merisio 17 24047 Treviglio (BG) tel. 0363 44726 - fax 0363 48198 africa@padribianchi.it www.missionaridafrica.org http://issuu.com/africa/docs Direttore

Paolo Costantini CoorDinatore

Marco Trovato

Progetto grafiCo e realizzazione

Elisabetta Delfini

Promozione e UffiCio stamPa

Matteo Merletto webmaster

Paolo Costantini amministrazione

Bruno Paganelli foto

Copertina Marco Trovato Si ringrazia Olycom Collaboratori

Claudio Agostoni, Marco Aime, Giusy Baioni, Enrico Casale, Giovanni Diffidenti, Matteo Fagotto, Diego Marani, Raffaele Masto, Pier Maria Mazzola, Giovanni Mereghetti, Aldo Pavan, Giovanni Porzio, Anna Pozzi, Andrea Semplici, Daniele Tamagni, Alida Vanni, Bruno Zanzottera, Emanuela Zuccalà CoorDinamento e stamPa

Jona - Paderno Dugnano

Periodico bimestrale - Anno 90 marzo-aprile 2012, n° 2

Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48 L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 675/96 - tutela dei dati personali).

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copertina

Contributo minimo consigliato 30 euro annuali da indirizzare a: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) viale Merisio, 17 - 24047 Treviglio (BG) CCP n.67865782 oppure con un bonifico bancario sul conto della BCC di Treviglio e Gera d’Adda intestato a Missionari d’Africa Padri Bianchi IBAN: IT 93 T 08899 53640 000 000 00 1315

per la Svizzera: Ord.: Fr 35 - Sost.: Fr 45 da indirizzare a: Africanum - Rte de la Vignettaz 57 CH - 1700 Fribourg CCP 60/106/4

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Mozambico

70 È di nuovo Pasqua Costa d’Avorio

italia

38 Lo stilista

3 Africanews 4 La sfidante 8 Turiste per amore 13 Sudafrica business dell’eros 14 La rivincita delle ex colonie 16 L’informazione malata 18 La nebbia potabile 21 Sotto la Rift Valley

50 Il mondo dei Dinka 56 Libri e musica 58 Nel regno di Shiwa

di Marco Trovato

attualità

a cura della redazione

di Anna Pozzi e Bruno Zanzottera di Luciana De Michele di Paola Marelli

di Michela Offredi di Enrico Casale

di Sibongile Khumalo e Alexander Joe di Enrico Casale

società

24 30 El Sod e il suo tesoro 34 Voglia di stupire di Alessandro Gandolfi

di Hermes e Giovanni Mereghetti

COME RICEVERE AFRICA per l’Italia:

22. Il salvataggio

40 Le isole del cacao

Il Cairo, la primavera del cinema

africa rivista

Mali

di Isabelle Doumbia e Kambou Sia

di Michela Offredi e Alida Vanni

cultura

di Anna Pozzi e Bruno Zanzottera di P.M. Mazzola e C. Agostoni di Francesca Guazzo e Alida Vanni

sport

62 La baby regina degli scacchi 64 Il Santo di Douala di Paola Marelli

di Alberto Caspani

Viaggi

66 Un angolo di paradiso

di Roberto Paolo e Aldo Pavan

chiese

72 Missione Speranza 74 News di Chiesa togu na 76 vita nostra 77 di Anna Pozzi

a cura di Anna Pozzi

a cura della redazione

a cura della redazione

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news

a cura della redazione

Africanews, brevi dal continente 1 Senegal, voto infuocato A Dakar il clima si è avvelenato per le elezioni presidenziali svoltesi il 26 febbraio scorso. Malgrado le proteste, il presidente uscente Abdoulaye Wade, 85 anni, non ha rinunciato a candidarsi. Gli avversari più temibili di Wade sono tre politici di lungo corso: Moustapha Niasse, Idrissa Niasse e Macky Sall. I giovani del Movimento del 23 giugno (che riunisce i partiti d’opposizione e i rappresentanti della società civile) hanno rovesciato spazzatura nelle strade, incendiato pneumatici, magazzini e negozi. Le violenze si sono diffuse anche a Thiès, Mbour e Kaolack.

2 Kenya, lotta per l’acqua Decine di morti e 50mila sfollati: è il bilancio provvisorio degli scontri scoppiati tra la tribù dei Borana e quella dei Gabra, nel nord del Paese. Le due comunità si contendono le fonti d’acqua e i pascoli per il bestiame.

3 Sudan - Sudan del Sud, tensioni al confine Il 10 febbraio i governi dei due paesi hanno sottoscritto ad Addis Abeba un trattato di non aggressione. Pochi giorni dopo, però, l’esercito sudsudanese ha accusato Khartoum di aver compiuto un raid oltreconfine.

4 Libia, processo al regime Un anno dopo l’inizio della rivoluzione che ha messo fine a 42 anni di dittatura, si è aperto a Tripoli il primo processo a 41 sostenitori dell’ex regime di Muammar Gheddafi, accusati di aver complottato contro i ribelli.

che dovrà sostituire l’esecutivo attuale, guidato dal presidente Sheikh Sharif Sheukh Ahmed. Alla conferenza di Londra sono stati esclusi gli indipendentisti del Somaliland e gli integralisti Shabab che controllano ampie aree del centro e del sud del Paese.

5 Algeria, torna il terrorismo

7 Tunisia, nuova costituzione

Un ordigno esplosivo è stato fatto esplodere il 19 febbraio a Boumerdès, a 50 chilometri da Algeri, al passaggio di un automezzo militare, provocando la morte di quattro persone e il ferimento di almeno altre dieci. L’attentato è stato attribuito ai terroristi di Al Qaeda nel Mahgreb islamico (AQMI), nascosti tra i monti della Cabilia, che puntano a rovesciare i governi della regione per instaurare un califfato islamico.

L’Assemblea costituente tunisina ha iniziato a elaborare la nuova carta costituzionale, che sarà sottoposta al Parlamento. Il giurista Slaheddine Jourchi, che presiede l’assemblea, ha assicurato che la nuova Carta «darà vita a

6 Somalia, prove di pace I principali leader somali, riuniti a Londra dal 23 febbraio, hanno raggiunto un accordo per riformare il Parlamento e tentare così di mettere fine a una crisi politica che dura da 20 anni. La Somalia diventerà uno Stato federale con capitale Mogadiscio: vedrà dimezzati i suoi parlamentari e garantita la presenza di almeno il 30% di donne in assemblea. Abbozzato, inoltre, il programma del nuovo governo

citi dall’estero e di aver svolto in Egitto attività politiche non previste dai loro statuti. Tra loro vi sono 19 cittadini Usa, due tedeschi, un norvegese e un serbo, oltre a giordani e palestinesi.

9 Sudafrica, cortei in minigonna Corteo di minigonne a Johannesburg. Centinaia di donne sono scese in strada dopo l’aggressione che ha coinvolto due ragazze, solo perché indossavano una minigonna. Alle manifestazioni hanno partecipato numerose attiviste dell’Africa National Congress, lo storico partito al governo. Fonte: Bbc, Jeune Afrique, AgiAfro, Misna

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una società aperta e democratica» e «godrà del più ampio consenso possibile».

8 Egitto, ong alla sbarra Si è aperto il 26 febbraio il processo contro 43 operatori delle ong egiziane e internazionali accusate di aver ricevuto finanziamenti ille-

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attualità

di Anna Pozzi foto di Bruno Zanzottera

La sfidante

Cairo, faccia a faccia con la candidata ribelle Buthaina Kamel è l’unica donna in corsa alle storiche elezioni presidenziali di giugno... le prime dalla caduta di Mubarak. Non ha chance di vincere. Ma può cambiare la storia dell’Egitto

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a gente mi chiede se una donna può diventare presidente. Spiego che né la Costituzione né altro possono impedirlo». Buthaina Kamel è un’anomalia e una speranza. In un Paese come l’Egitto, che cerca faticosamente di lasciarsi alle spalle il regime di Hosni Mubarak e di voltare pagina, una donna presidente è un sogno irrealizzabile, ma anche un messaggio dalle forti implicazioni simboliche.

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Voglia di riscatto Quarantanove anni, giornalista televisiva molto conosciuta, ha deciso di scendere nell’arena politica, affiancando e sostenendo i 4

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movimenti rivoluzionari e ponendo la sua candidatura per le prossime elezioni presidenziali previste a giugno. È l’unica, per il momento, che lo abbia fatto ufficialmente. La sua è una sfida e una provocazione, rompe atavici tabù e scardina i pregiudizi e le rigidità di una società divisa tra retaggi arcaici e spinte moderne. Certamente il suo impegno è un messaggio di speranza: per tutte le donne, ma non solo, per tutti quei gruppi che all’interno della società egiziana si sentono esclusi o marginalizzati. «In Egitto - dice - solo l’1% della popolazione ha diritti e privilegi. Tutti gli altri sono delle minoranze marginalizzate:

donne, ma anche cristiani, nubiani, beduini del Sinai, handicappati così come tutti i poveri che non sanno come sopravvivere. Tutta la società egiziana soffre molto. È giusto e necessario che le cose cambino ed è bello esser parte del cambiamento».

In piazza con i giovani Vive una vita frenetica Buthaina Kamel. Da quando è stata costretta a lasciare la televisione e si è buttata in politica passa da un incontro ad un’intervista, da una manifestazione a un comizio, non staccandosi mai dal suo telefono con cui aggiorna continuamente il suo account di twitter. «Mi

hanno chiuso una porta in faccia; se ne sono aperte altre cento». Si riferisce ai militari, che le hanno impedito di leggere le notizie riguardanti la rivoluzione, le hanno tolto lo stipendio e portata in giudizio in un tribunale militare. Lei in precedenza si era rifiutata di diffondere le notizie governative. «Non potevo continuare a leggere tutte quelle bugie», dice con convinzione. Anche se la sua militanza l’ha pagata a caro prezzo. Prima ancora di scendere in politica, aveva contribuito a creare, nel 2005, alla vigilia delle ultime elezioni-farsa che riconfermarono Mubarak, il movimento “We are watching you” per monito-


Buthaina Kamel nella sua casa al Cairo. Lo scorso novembre la candidata egiziana è stata arrestata mentre partecipava ad una manifestazione contro la giunta militare che detiene il potere dalla caduta del regime di Hosni Mubarak

Tensione sul voto È ancora tutta aperta la partita per le elezioni presidenziali, in calendario alla metà di giugno. Le candidature saranno aperte dalla metà di aprile. Nel frattempo gli egiziani dovranno sciogliere il nodo della nuova Costituzione. In molti, infatti, sono contrari a un’elezione presidenziale che non sia preceduta da una nuova Costituzione. Quella attuale - risalente al 1971 - garantisce poteri molto ampi al presidente, che molte forze politiche vorrebbero ridimensionare. I movimenti liberali, tuttavia, temono che la presenza nel nuovo Parlamento di una larga maggioranza di partiti islamici possa condizionare la nuova Carta fondamentale, dandole un’impronta fortemente incentrata sulla sharia. Il partito Giustizia e libertà dei Fratelli Musulmani e quello dei salafiti Al Nour si sono, infatti, accaparrati la stragrande maggioranza dei seggi parlamentari: 356 su 506. rare il processo elettorale. Nel 2006 ha smesso di leggere le notizie ufficiali; nel 2007 ha creato un altro movimento “Egiziani contro la corruzione”. Dal 25 gennaio 2011, data dell’inizio della rivoluzione, si è schierata apertamente dalla parte dei

manifestanti. «Questo perché sono convinta che il futuro dell’Egitto sia nelle mani dei giovani; sono loro che devono dirigerlo perché diventi un Paese moderno e libero. La rivoluzione è iniziata con il sogno e con il lavoro dei giovani».

Buthaina Kamel, qui impegnata in una riunione con un gruppo di attivisti, era una giornalista che sfidava il regime parlando in tv di Aids e omosessualità. È stata una delle leader di piazza Tharir

Sfida agli integralisti «Tuttavia - aggiunge - non abbiamo ancora finito. Abbiamo fatto solo cadere Mubarak, ma il vecchio regime è ancora al potere. Dobbiamo continuare, non possiamo perdere la rivoluzione». Le elezioni legislative, però, con la vittoria schiacciante dei Fratelli Musulmani e dei salafiti

sembrano sconfessare il movimento. La gente ha votato per i religiosi. «In un certo senso mi aspettavo questo risultato - dice la Kamel -. Prima di queste elezioni non abbiamo mai avuto una vera vita politica in Egitto. Se non conosci i

partiti, allora dai i tuoi voti a quelli che promuovono la religione, che per la gente comune significa onestà e correttezza… Allo stesso tempo, però, sono preoccupata perché questi fondamentalisti diffondono bugie contro il movimento rivoluzionario, accusano le organizzazioni per i diritti umani e allo stesso tempo aprono le porte a terroristi islamici, e combattono tutti i simboli liberali della rivoluzione». «Ma io non mollo - aggiunge con il solito impeto -. La mia mente, il mio cuore, tutta la mia vita sono impegnati a lavorare per i diritti delle minoranze e del popolo egiziano». • africa · numero 2 · 2012

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testo di Gustavo Pepetela Foto di Noel Quidu/Afp

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na donna tuareg riposa coi suoi due figli sotto una tenda sferzata da una tempesta di sabbia. I leggendari nomadi del Sahara, emblemi di libertà e fierezza, cullano da decenni il sogno di uno Stato indipendente. Da metà gennaio il nord del Mali è scosso dalla ribellione di questo popolo contro il governo di Bamako, accusato dai rivoltosi di discriminazione e malgoverno. I miliziani del Movimento nazionale per la liberazione dello Azawad (Mnla) hanno attaccato sei città e decine di villaggi nelle regioni di Gao e Timbuctu. Testimoni riferiscono anche di brutali ritorsioni dell’esercito contro gli accampamenti dei nomadi. I saccheggi e gli scontri a fuoco hanno provocato oltre 16mila profughi e un numero imprecisato di vittime. La rivolta dei Tuareg è destinata a sconvolgere la campagna elettorale per le presidenziali in programma il 29 aprile. •

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Mali

lo scatto

sogni


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attualità

di Luciana De Michele

Turiste per amore Reportage sul turismo sessuale femminile 8

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Hanno tra i 40 e i 60 anni e provengono da tutta Europa. A migliaia viaggiano in cerca di avventure romantiche o fughe passionali. In Senegal assoldano giovani di cui spesso si innamorano

«C

iao, sono Barbara. Ti contatto perché ho visto che sei a Dakar e volevo alcune informazioni… Sai, volevo venire in vacanza e sono indecisa tra Senegal e Cuba… Ok, sarò subito sincera… Vorrei cercarmi uno con cui passare la vacanza, e volevo capire se lì si trova facilmente». Così mi ha contattato qualche giorno fa su Skype una perfetta sconosciuta. E quando, ancora presa dallo stupore, le ho domandato come e perché avesse interpellato proprio me, la risposta mi ha lasciato senza parole: «Sto scrivendo a tutti gli italiani che vivono in Senegal, per cercare di capire…». Non so alla fine quale meta abbia scelto Barbara; ma se lei era indecisa o poco informata, non è così per le migliaia di donne occidentali che ogni anno si regalano una vacanza in Senegal. In cerca di sole, mare e, a quanto pare, sesso.

In cerca d’affetto «Ciao, bellissima, cosa fai tutta sola?», è il ritornello malizioso usato dai giovani senegalesi per abbordare le turiste del sesso nelle località di Cap Skirring (nella regione meridionale della Casamance) e di Saly-Mbour (nella Petite Côte). L’adescamento avviene nelle discoteche o sulle spiagge (di giorno). Qui si concentrano le donne europee che viaggiano da sole. I senegalesi le chiamano wengrè. In maggioranza sono francesi e belghe, ma anche tedesche, spagnole, italiane e inglesi. Hanno un’età media compresa tra i trenta e i cinquant’anni. Ma non mancano le sessantenni. «Sono senza vergogna», attacca indignata madame Faye, che vende bigiotteria sulla spiaggia di Saly. «Si mettono in riva al mare a seno scoperto e re-

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attualità

Le mete del sesso

Non solo il Senegal si distingue in Africa come destinazione del turismo sessuale rosa. A fargli concorrenza sono Paesi che purtroppo sono anche al centro di campagne di denuncia dell’Unicef per quanto riguarda il turismo sessuale su minori e prostituzione femminile: Gambia, Capo Verde e Kenya. In Gambia le turiste bianche (in maggioranza inglesi, olandesi, danesi e scandinave) vengono accolte dai gigolo locali (i bumsters) nelle spiagge attorno a Banjul, mentre a Capo Verde la destinazione è la località di Santa Maria, sull’isola di Sal. In Kenya, dove il boom delle turiste per sesso (soprattutto tedesche, svizzere e italiane) si era manifestato già negli anni Novanta del secolo scorso, le mete principali sono Mombasa e Malindi.

Sulle spiagge della Casamance e della Petite Côte è facile rimediare giovanotti ben disposti a scambiare tenere effusioni con ricchi doni e promesse di matrimonio

stano per ore accanto al loro prediletto… Un giovane che potrebbe avere l’età del loro figlio». I marabutti - le guide spirituali delle moschee - tuonano sermoni di fuoco contro il “malcostume occidentale” che minaccia di inqui10

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nare la morale islamica, ma i fedeli appaiono assai più tolleranti. «Queste donne vogliono solo sentirsi amate e attraenti nonostante l’età», spiega con tono comprensivo Nua Aidara, proprietario di un villaggio sulla spiaggia di Cap Skirring. «A volte hanno un matrimonio fallito alle spalle, altre volte cercano un po’ di evasione… La sera indossano abiti audaci, escono a ballare e tornano in stanza con un ragazzo. Non fanno male a nessuno».


PER RICEVERE TUTTO L’ARTICOLO CONTATTARE LA REDAZIONE africa@padribianchi.it


attualità

di Michela Offredi

La rivincita delle

Migliaia di portoghesi emigrano in Africa alla

L’Angola e il Mozambico, in forte crescita economica, offrono opportunità di lavoro e di carriera ai giovani del Portogallo in crisi

È

un esodo inarrestabile. Un flusso migratorio all’incontrario, un inedito viaggio della speranza verso sud. In migliaia lasciano Lisbona per cercare fortuna a Maputo o Luanda, capitali delle ex colonie portoghesi in Africa, nuove terre promesse per giovani diplomati, brillanti laureati, uomini e donne in cerca di quel futuro che l’Europa non garantisce più. 14

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Emigrazione al contrario I giovani del Portogallo - asfissiati dalla crisi economica e dalla disoccupazione galoppante - fanno le valigie e volano nei Paesi lusofoni del continente africano. Un viaggio di otto ore per trovare lavoro e magari fare carriera. Laggiù, dove tutto è da ricostruire, la laurea in ingegneria o architettura ha ancora un valore e può garantire uno stipendio

ragguardevole. In tanti ci provano. Nell’ultimo anno il Mozambico ha rilasciato a cittadini portoghesi quasi 14mila permessi di residenza (30% in più rispetto al 2009). L’Angola conta già centomila abitanti di origine portoghese (decuplicati nell’arco di un decennio) e cinquantamila nuove richieste di visti ogni anno. Secondo la Banca del Portogallo, le rimesse inviate

dai portoghesi emigrati negli ex possedimenti africani sono quadruplicate in cinque anni.

Investimenti angolani Se il futuro del Portogallo si annuncia assai grigio (la recessione proseguirà fino al 2013), il cielo dell’Angola - dove nel 2002 è terminata la guerra civile - non è mai stato così azzurro. Le esportazioni-record


ex colonie

ricerca di un lavoro

di petrolio e diamanti garantiscono a Luanda una crescita economica a due cifre, con le previsioni che sfiorano il 12%. Le banche angolane si gonfiano di investimenti e risparmi, mentre il Portogallo è in crisi di liquidità. Lo scorso autunno il premier portoghese Pedro Pessos Coelho è volato in Angola per una visita che qualcuno ha definito umiliante, altri semplicemente impensabile a trent’anni dall’indipendenza dello Stato africano, avvenuta nel 1975. Il governo di Lisbona è alla disperata ricerca di investitori interessati ad acquistare le aziende pubbliche che, nel rispetto degli accordi raggiunti con l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale, dovranno essere privatizzate. In vendita vi sono la compagnia di bandiera Tap, l’azienda Energias de Portugal e

la banca BPN. L’Angola in questo momento è uno dei pochi Paesi al mondo a disporre di soldi per acquisizioni di questa portata. Le stime dell’Istituto portoghese delle relazioni internazionali di Lisbona dicono che, dal 2002 al 2009, gli investimenti angolani in Portogallo sono passati da 1,6 a 116 milioni di euro, e il 3,8% della capitalizzazione della Borsa di Lisbona è ormai in mani angolane. Un esempio su tutti: la società petrolifera angolana Sonangol è divenuta azionista di maggioranza della Millenium Bcp, la principale banca portoghese.

La riscossa di Maputo Da terre di conquista a partner finanziari. Questo è il destino che accomuna le ex colonie africane del Portogallo. Anche il Mozambico - povero di materie prime ma ricco di opportunità

Business anche italiani Oggi Luanda e Maputo rappresentano un rifugio prezioso per ripararsi dalla crisi economica mondiale. Non solo per i portoghesi. L’ultima società sbarcata in Mozambico è la Seci Api Biomasse, un gruppo italiano impegnato nella provincia di Inhambane in un progetto per l’estrazione di olio di jatropha destinato all’esportazione. «Il nostro Paese è un partner privilegiato nei rapporti bilaterali con Maputo - spiega Simone Santi, console onorario del Mozambico in Italia -. Diverse compagnie italiane operano già in settori importanti: costruzioni, turismo, legno e agricoltura». In Angola - dove il gruppo alimentare Cremonini vanta un giro d’affari che supera i 30 milioni di dollari - sono attive ventidue aziende italiane. «Ci sono grandi opportunità di investimento, specie nell’edilizia, nel turismo e nei servizi», spiega Piero Danti, presidente della Center Spa, leader nel settore dei trasporti e della grande distribuzione a Luanda. «Gli angolani hanno le materie prime, ma hanno bisogno di tecnologia e di professionalità». Per maggiori informazioni sulle opportunità di lavoro e investimento in Mozambico e Angola, contattare la società di consulenza Leonardo Business Consulting, www.leonardobc.com

imprenditoriali - sta affermandosi come una delle economie emergenti più dinamiche del continente africano. Il governo di Maputo ha stimato per il 2012 un tasso di crescita pari al 7%, generato da investimenti nel settore agricolo, turistico e conseguentemente delle infrastrutture. La frenesia dei cantieri attira da Lisbona migliaia di tecnici

specializzati e impresari del settore delle costruzioni e della logistica. Il quotidiano Diario de Moçambique riferisce che a Maputo stanno fiorendo le associazioni che radunano i lavoratori espatriati. I portoghesi si ritrovano per cene a base di baccalà e concerti a suon di fado. Ma in pochi paiono avere nostalgia di Lisbona. • africa · numero 2 · 2012

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attualità

di Enrico Casale

Nel Corno d’Africa i giornalisti vengono incarcerati e uccisi. In Sudan, Congo e Uganda sono perseguitati. Ma non mancano però Paesi in cui l’informazione gode di buona salute

Bilancio in chiaroscuro sulla libertà di stampa

L’informazione

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testimoniare la situazione in Africa ci sono i rapporti 2011 di Reporter senza frontiere (Rsf - ong internazionale che

agisce da 25 anni in difesa della libertà di stampa in tutto il mondo) e Freedom House (Fh - ong statunitense che conduce attività

di ricerca su democrazia, libertà politiche e diritti umani). La condizione più critica è quella del Corno d’Africa.

In Eritrea, Etiopia e Somalia i giornalisti lavorano in condizioni pessime. L’Eritrea, che negli ultimi quattro anni è stata clas-

l’appello

Etiopia, un cronista da salvarE Si chiama Karchele, ma tutti lo conoscono come Alem Bekagn: «La fine del mondo». È un carcere di massima sicurezza etiope nel quale sono reclusi i condannati a morte. Dal settembre scorso è detenuto anche Eskinder Nega, un giornalista-blogger. La sua unica colpa è quella di aver pubblicato un editoriale in cui criticava la legge antiterrorismo, utilizzata dal regime di Meles Zenawi come strumento per far tacere il dissenso (è in base a questa legge che a dicembre sono stati condannati a 11 anni di carcere due giornalisti svedesi che stavano realizzando un reportage nell’Ogadèn - foto a sinistra). «Secondo il Presidente etiope - spiega Argaw Ashine, giornalista costretto a lasciare l’Etiopia per sfuggire all’arresto -, l’opposizione politica e la stampa libera sono un ostacolo nel cammino verso lo sviluppo del Paese». Nonostante gli appelli internazionali e una petizione (freeeskindernega.com) che ne sollecitavano il rilascio, il governo di Addis Abeba non ha revocato la detenzione di Nega e di altre 76 persone, tra attivisti dei diritti civili, oppositori politici e giornalisti. Nega è così diventato il simbolo della persecuzione della stampa libera. «Alcuni Paesi che hanno relazioni con Addis Abeba - osserva Human Rights Watch - dovrebbero fare pressioni affinché Eskinder e i suoi compagni siano rilasciati». Finora è mancato il coraggio. 16

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in Africa

malata sificata ultima nella graduatoria della libertà di stampa redatta da Rsf, è l’unico Paese al mondo in cui non esistono media privati: i giornalisti sono costretti a diffondere unicamente notizie vagliate dal ministero dell’Informazione. Chi non si allinea alle direttive, se non vuol essere incarcerato è costretto a lasciare il Paese. Solo nell’ultimo anno sono stati arrestati quattro giornalisti: tre della radio e uno della televisione. Paulos Kidane, che ha tentato di fuggire all’estero, è stato ucciso dalla guardia di frontiera.

Il bavaglio dei governi In Somalia la situazione non è migliore. I fondamentalisti islamici e il governo di transizione nazionale non hanno alcun rispetto della libertà d’informazione. A farne le spese sono i giornalisti che spesso vengono picchiati, torturati e, talvolta, uccisi.

Altrettanto difficile, anche se meno estrema, è la situazione del Sudan (nel quale i media privati sono controllati dalle forze di polizia), del Ruanda (dove il governo sta accentuando il controllo su televisioni, radio, giornali e siti web), dell’Uganda e della Repubblica democratica del Congo (nella quale molti giornalisti sono stati arrestati, minacciati e picchiati). Situazioni critiche si registrano anche nell’Africa occidentale (in particolare in Gambia, Nigeria e Costa d’Avorio) e nell’Africa meridionale (dove lo Zimbabwe, sebbene si sia registrato qualche piccolo miglioramento, rimane un Paese off limits per i giornalisti). In Nord Africa, invece, sembra migliorata solo la situazione in Tunisia, mentre critiche rimangono le condizioni di Egitto, Libia e Marocco. In questi Paesi, nonostante il ruolo svolto dai new media nelle rivolte,

L’informazione libera semilibera non libera

è ancora forte il controllo dei governi e di gruppi di potere su giornali, televisioni e radio.

Buone notizie Ma dall’Africa non arrivano solo cattive notizie. Anzi, c’è più di un motivo per sperare in un futuro migliore per il settore dell’informazione. Secondo il rapporto di Fh, che classifica i Paesi in tre categorie: liberi, semiliberi e non liberi, sono una decina gli Stati in cui c’è libertà di stampa. Si tratta di Ghana, Mali, Mauritius, Namibia, Benin, Botswana, Sudafrica, Capo Verde, São Tomé e Príncipe: nazioni che garantiscono libertà di azione agli operatori dell’informazione e che vantano un punteggio migliore di quello

dell’Italia (al 75° posto e considerata «Paese semilibero»). Ma la situazione sta migliorando anche altrove: in Mozambico, Lesotho, Comore, Senegal, Niger, Kenya… Grandi progressi si sono registrati, in particolare, in Tanzania (penalizzata solo dalla scarsa copertura, da parte di alcuni giornali, delle notizie sulle discriminazioni degli albini) e in Burkina Faso (dove le indagini sull’omicidio del giornalista Norbert Zongo, 1998, procedono ancora a rilento). Altrettanto si può dire anche di Gabon e Madagascar, dove la stabilità politica ha garantito magafrica · numero 2 · 2012

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attualità

testo di Sibongile Khumalo-AFP

foto di Alexander Joe/AFP

La nebbia Nella aride campagne del Limpopo, in Sudafrica, i bambini si dissetano catturando l’umidità dell’aria

Un’alunna della scuola elementare di Tshiavha si disseta bevendo l’acqua catturata dal cielo. La rete acchiappanebbia viene usata anche per giocare a pallavolo

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potabiLe Nel giardino di una scuola elementare è stata installata una rete che intrappola le goccioline finissime della nebbia, producendo acqua potabile

L’

acqua scorga dai rubinetti non appena la nebbia torna ad avvolgere la scuola primaria di Tshiavha. «Non è un miracolo», sorride compiaciuto il preside Lutanyani Malumedzha. «Semplicemente riusciamo a catturare l’umidità trasportata dal vento». In giardino mostra una rete sostenuta da due pali, del tutto simile a quelle usate per giocare a pallavolo. «È una trappola per la nebbia», chiarisce. «Trattiene le goccioline finissime che fluttuano nell’aria e le trasforma in un flusso d’acqua che disseta ogni giorno trecento bambini».

2500 litri al giorno La Tshiavha Primary School si trova a Makuleni, povero villaggio della provincia del Limpopo (nord-est del Sudafrica) ai piedi del massiccio roccioso di Soutpanberg. «La particolare conformazione morfologica del territorio ci

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di Enrico Casale MediaClubSouthAfrica.com

attualità

Sotto la Rift Valley L’Africa scopre il potere della geotermia

P

er il futuro energetico dell’Africa guarda al sottosuolo. E non solo per il petrolio e l’uranio. La “novità” si chiama geotermia: una fonte di energia pulita, rinnovabile, che sfrutta il calore del terreno. La temperatura della Terra aumenta man mano che si scende in profondità, in media di tre gradi centigradi ogni 100 metri. Ma in particolari zone del pianeta, caratterizzate da intense attività vulcaniche, l’energia può essere recuperata anche a basse profondità. È il caso della Rift Valley, la spaccatura tettonica che dall’Eritrea arriva fino alla Tanzania. «Qui l’attività magmatica riscalda il terreno il quale, a sua volta, riscalda l’acqua dei bacini sotterranei» spiega Valerio Rossi Albertini, fisico nucleare e ricercatore del Cnr. «Così è sufficiente perfo-

rare il terreno e far uscire i getti d’acqua calda sotto forma di geyser o soffioni che, azionando le turbine, producono energia». Secondo gli esperti, la Rift Valley permetterebbe di

produrre fino a 15mila Megawatt di energia. Un potenziale da sfruttare. Il governo del Kenya - che già possiede due centrali geotermiche ha deciso di raddoppiare i suoi impianti con l’obiettivo

Corrente dal Sahara

Si chiama Desertec. È un progetto elaborato da un consorzio di grandi imprese, sponsorizzate dal governo tedesco, che mira a produrre energia elettrica da sole e vento nel Sahara. Secondo i tecnici del consorzio, in sei ore il deserto produce più energia di quanta il pianeta ne consuma in un anno. Questa energia può essere catturata attraverso impianti solari (termodinamici o fotovoltaici) e turbine eoliche. L’elettricità prodotta potrebbe coprire il fabbisogno dei Paesi nordafricani e almeno il 15% di quello europeo. Info: www.desertec.org.

di produrre 1.200 MW l’anno (più di quanto ne genera oggi con gli impianti idroelettrici). Anche l’Etiopia ha in programma di valorizzare l’energia del sottosuolo, potenziando l’unico impianto finora attivo nel Paese. Progetti per la costruzione di centrali sono allo studio in Ruanda (dove si pensa di poter produrre almeno 300 MW entro il 2017), Uganda (450 MW entro il 2015), Eritrea, Tanzania, ma anche in Camerun (nelle zone intorno ai vulcani). «Gli impianti sono semplici e non molto costosi», assicura Rossi Albertini. E il personale specializzato? Le Nazione Unite hanno lanciato il Geothermal Training Program (http:// unugtp.is) con l’obiettivo di formare tecnici per le centrali di nuova generazione. E i giovani ingegneri africani sono in prima fila. • africa · numero 2 · 2012

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lo scatto

testo di Gustavo Pepetela Foto di Noel Quidu/Afp

il salvata 22

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Mozambico

U

ggio

n soccorritore sudafricano si cala dall’elicottero per trarre in salvo dei civili mozambicani rifugiatisi sul tetto di un’abitazione sommersa dalle acque del fiume Limpopo, 200 chilometri a nord di Maputo. Nel mese di febbraio il Mozambico è stato investito da due tempeste tropicali (Dando e Funso) che hanno provocato inondazioni nelle regioni meridionali e centrali del Paese. L’ondata di maltempo ha flagellato anche il Madagascar, dove il ciclone Giovanna si è abbattuto sulle coste orientali dell’isola, con raffiche di venti fino a 231 km/ orari, sradicando alberi e piloni dell’elettricità e causando almeno una vittima. Il Madagascar e il Mozambico sono soggetti ad alluvioni devastanti nella stagione delle piogge, che va da febbraio a marzo. Nel 2008, il ciclone Ivan lasciò una scia di morte e distruzione: il suo passaggio provocò più di 80 vittime e oltre 200mila senzatetto. •

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società

testo e foto di Alessandro Gandolfi / Parallelozero

Tornano i ciak nella grande fabbrica egiziana

Il Cairo, la primavera del cinema 24

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dei film

Ai piedi delle piramidi si estende l’Egyptian Media Production City, una Cinecittà araba. Abbiamo visitato i suoi colossali studi cinematografici ad un anno dalla rivoluzione che ha deposto il regime di Mubarak e alla vigilia delle elezioni

«S

iamo la Hollywood del Medio Oriente: il 90% dei film destinati al mondo arabo li produciamo qui…». Così parlava cinque anni fa l’ex portavoce di Mubarak, Nabil Osman, allora responsabile delle cooperazioni internazionali per l’Empc, l’Egyptian Media Production City. Da allora, e soprattutto nell’ultimo anno, l’Egitto è cambiato molto. Mubarak è caduto, al posto di Nabil Osman è arrivato Youssef Sherif Rizkallah ma non è cambiato l’obiettivo e l’importanza dell’Empc, la “Cinecittà” egiziana costruita a 10 chilometri dalle piramidi e che si allarga per oltre 2 milioni di metri quadrati: sono questi gli studios più grandi al mondo dopo quelli di Los Angeles e di Bombay.

La crisi alle spalle Il Cairo è da tempo la capitale del cinema mediorientale e le sue pellicole vengono distribuite su un’area che va dal Marocco alla Turchia ai Paesi del Golfo, raggiungendo un pubblico di 300 milioni di persone. Se oggi il dialetto egiziano è compreso in tutto il mondo arabo, lo si deve solo a queste pellicole. Durante le notti di ramadan, ad esempio, intere famiglie assistono alle interminabili telenovelas cairote realizzate appositamente per il periodo di digiuno, e non è un caso

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società

ARIA NUOVA Negli ultimi trent’anni l’industria cinematografica egiziana ha prodotto soprattutto pellicole “d’evasione” votate ai grandi incassi: melodrammi passionali, storie d’avventura confezionate in serie e soprattutto film musicali. Sotto il regime di Mubarak, gli studios del Cairo hanno sfornato migliaia di film commerciali e a basso costo. Oggi i giovani registi egiziani, protagonisti della rivoluzione che ha spodestato l’ultimo faraone, vogliono riportare in auge quel cinema impegnato e di denuncia sociale che aveva caratterizzato le produzioni egiziane degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. In alto a sinistra. L’attore Emad Rashad in una pausa delle riprese sui set di El Ahram - A destra. Jasmine Gilany, attrice emergente egiziana, mentre gira una fiction all’Egyptian Media Production City Sotto, Studio Misr, ristorante sul Nilo: vecchie foto di divi del cinema egiziano anni Quaranta.

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che il ritmo di produzione raggiunga il massimo qualche mese prima del lungo digiuno islamico. Basta poi scorrere le riviste del settore (come il sito arabiccelebrities.com) per accorgersi di quanto gli attori egiziani riscuotano successo oltreconfine, dove sono considerati vere e proprie

star. Nel 2011 l’Egitto è stato il “Paese ospite d’onore” al Festival del cinema di Cannes, durante il quale, fra l’altro, si è ricordato il regista Youssef Chahine ed è stato proiettato 18 Days, film collettivo ispirato alla rivoluzione. Certo l’industria cinematografica egiziana nel 2011 ha vissuto

un momento di crisi e molti produttori sono ancora restii a distribuire pellicole in Egitto. Ma è lo stesso Youssef Sherif Rizkallah a essere ottimista: «Oggi i budget sono contenuti e le produzioni non troppo impegnative - spiega -, ma per il 2012 ci si aspetta che gli spettatori tornino a riempire le sale».


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società

testo di Hermes Mereghetti

Alle porte della Valle dell’Omo c’è un vulcano spento che conserva al suo interno un ricco deposito di sale. Gli abitanti della zona discendono ogni giorno nel cratere per estrarre il prezioso materiale

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foto di Giovanni Mereghetti


El Sod e il suo tesoro Visita ad una singolare miniera di sale nell’Etiopia meridionale

N

ella lingua amarica significa “casa del sale”, El Sod è il nome di un vulcano spento situato nel sud dell’Etiopia. Alcuni giovani locali lo chiamano black hole, il buco nero. Il motivo lo si intuisce guardando il fondo del cratere dal ciglio scosceso della vetta: al centro dell’immensa voragine c’è una macchia scura. È una pozza d’acqua salmastra densa come la pece e profonda fino a cinque metri dove quotidianamente i Borana, gli abitanti del posto, si immergono per estrarre la loro ricchezza: il sale. L’operazione non è per nulla semplice: i giovani devono immergersi nell’acqua nera e con l’ausilio di un bastone rudimentale staccare dal fondo grosse quantità di fango melmoso, dove è contenuto il sale. Per vedere da vicino il loro lavoro bisogna scendere

fino alla pozzanghera. Il dislivello supera i 300 metri, la mulattiera è ripida e sdrucciolevole, le pietre levigate sono ricoperte di terriccio: basta un attimo di disattenzione per scivolare. Lungo il tragitto si incrociano diversi somarelli che, carichi all’inverosimile, trasportano i sacchi contenenti il sale da raffinare fino ai depositi nel villaggio.

Discesa all’inferno Il giovane Marcos guida nella discesa piccole comitive di turisti e racconta in inglese come avvengono le attività di estrazione. «Il Vista sul cratere di El Sod. Il vulcano è raggiungibile percorrendo il nastro di asfalto che dalla cittadina di Yabelo - nel sud dell’Etiopia - porta verso il Kenya. All’interno del vulcano c’è un calore asfissiante africa · numero 2 · 2012

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Terre in svendita

La discesa nel cratere avviene lungo una mulattiera polverosa, dove si incrociano file di asini carichi di sacchi di sale. Dalla vetta del vulcano al fondo del cratere ci sono 300 metri di dislivello

birr, qualche centesimo di euro, appena sufficienti per sfamare la famiglia.

Attrazione turistica? Dal lago i Borana estraggono anche fango nero ricco di zolfo che usano per disinfestare gli animali domestici dai parassiti, oltre ai tre tipi di sale che usano per gli animali o per la cucina, e che finisce nei mercati locali

fango appena pescato. Una volta posatolo sul bagnasciuga, ritornano in acqua e si rituffano verso il fondo oscuro. Dieci ore di lavoro al giorno valgono pochi

Il “pescato” è una sorta di pasta simile al catrame: una volta lavorata e raffinata, diventerà una parte del sale dell’Etiopia (l’altra parte viene prodotta dagli Afar, nella lontana e aspra Dancalia). Dal cratere di El Sod ogni anno vengono estratti 60mila chili di sale. Che vanno fatti risalire dal fondo del cratere. La strada di ritorno è faticosa, il sole non dà tregua. Si impiegano quasi due ore per raggiungere la cima del vulcano. Ad aspettare i turisti ci sono sciami di bambini borana

che vendono bottigliette di Coca-Cola e piccoli souvenir artigianali. «Purtroppo i visitatori bianchi vengono fin qui solo per scattare qualche foto agli estrattori del sale», conclude Marcos. «Non hanno tempo né voglia per conoscere la nostra cultura, le nostre tradizioni, mai nessuno si ferma un po’ nel nostro villaggio per chiacchierare… Ma che serve fare tanta strada se non hanno voglia di incontrarci?». •

L’Etiopia sta svendendo il suo bene più prezioso: la terra. Il governo di Addis Abeba ha deciso di vendere o cedere in usufrutto oltre 35mila chilometri quadrati di terreni agricoli a decine di investitori stranieri. Un’impresa italiana, la Fri El-Green Power, ha preso possesso di terre fertili nel sud del Paese, non lontano dal vulcano di El Sod, per produrre mais, soia, palma da olio e canna da zucchero. Il fenomeno dell’accaparramento delle terre da parte di potenze straniere (noto col nome di “land grabbing”) ha acquisito in tutta l’Africa proporzioni allarmanti: negli ultimi 10 anni nel mondo sono stati venduti o affittati 67 milioni di ettari di terra. Il 50% delle compravendite sono avvenute a sud del Sahara e interessano un’area quasi pari alla superficie della Germania. Solo nella RD Congo decine di imprese cinesi si sono appropriate di tre milioni di ettari produttivi, mentre il Bangladesh si è comprato una parte di Uganda, Gambia e Tanzania. africa · numero 2 · 2012

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società

Voglia

testo di Isabelle Doumbia foto di Kambou Sia / AFP

In Costa d’Avorio

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di stupire

si festeggia il Popo Carnavali Ogni primavera il popolo abouré celebra un curioso carnevale. Tra sfilate in maschera, concerti, abbuffate di cibo, esibizioni stravaganti e gare pazzesche

Fumo da Guiness Un ivoriano fuma contemporaneamente quattro sigarette. È solo una delle numerose eccentriche attrazioni del Popo Carnaval, giunto quest’anno alla sua 33esima edizione

Corteo storico

Un uomo ivoriano vestito da funzionario coloniale sfila al tradizionale corteo del Popo Carnaval. L’evento si tiene ogni primavera, a cavallo tra aprile e maggio, nella città di Bonoua, 50 chilometri a sud-est di Abidjan. La ricorrenza, creata da ex reduci dell’esercito francese, è caratterizzata da uno spirito improntato alla goliardia e al travestimento (popo significa “maschera” in lingua locale) africa · numero 2 · 2012

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in italia

testo di Michela Offredi foto di Alida Vanni

Lo stilista Incontro con Foumba Doukouré, designer di moda ivoriano Ha lasciato la Costa d’Avorio per imparare l’arte sartoriale italiana. A Milano ha studiato con i maestri del prêt-à-porter. Oggi confeziona abiti di successo venduti fino in Giappone

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N

ella vetrina del suo atelier, a Milano, è esposto un abito da sera dalle linee delicate e dai colori vivaci. Un colpo d’occhio che fonde, fra pieghe e cuciture, terre vicine e lontane. Sulla porta compare il sorriso di Foumba Doukouré, detto Ben, nato a Agboville, in Costa d’Avorio, e da ventotto anni in Italia. Ben è uno stilista emergente e ambizioso. Ama sperimentare tessuti

provenienti da ogni parte del mondo e sa coniugare alla perfezione rigore e creatività, dall’abito sartoriale al prêt-à-porter. I suoi vestiti sono venduti in Italia, Francia e Giappone. Com’è arrivato fin qui? Ho cominciato a cucire in Africa, nella bottega di alcuni sarti della mia città natale. Ero poco più di un bambino ma ricordo che al porto di Abidjan attrac-

cavano delle barche italiane… Si diceva che i loro marinai fossero capaci di cucire a mano giacche perfette. Non sapevo nemmeno dove fosse l’Italia, ma questa cosa mi è rimasta in testa. Volevo avere successo nella vita. Così un giorno decisi di partire per quel Paese dove si potevano fare giacche perfette. Era il 1983 quando arrivò a Milano: quali furono le sue prime impressioni? Trovai una città buia e fredda. Ma cercai di concentrarmi sullo studio. Mi iscrissi subito alla Scuola Artistica per la Moda: ero l’unico ra-


copertina

testo e foto di Marco Trovato

È una minuscola nazione che galleggia nel Golfo di Guinea all’altezza dell’Equatore. Per cinquecento anni è stata una colonia portoghese. Oggi è un paradiso naturale in miniatura. Ma la sua tranquillità è minacciata dal petrolio

Le isole

Reportage dall’arcipelago di São Tomé e Príncipe 40

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U

del

n profumo intenso di cacao tostato impregna l’aria del magazzino. All’ingresso, un uomo dalla pelle olivastra prende nota del numero dei sacchi caricati a spalle dagli operai. Ogni croce segnata sul quaderno è un’imprecazione. «Con questo raccolto abbiamo perso almeno 20mila euro», sbotta. «Il prezzo del cacao è crollato per colpa della recessione in Europa, se va avanti così siamo rovinati». I venti gelidi dell’economia globale hanno raggiunto l’Equatore e ora sferzano senza pietà le sperdute isole vulcaniche di São Tomé e Príncipe. Sono il più piccolo Paese africano dopo le Seychelles (mille chilometri quadrati popolati da duecentomila persone): uno Stato in miniatura sospeso sulle acque dell’Atlantico a trecento chilometri dalla costa del Gabon.

cacao africa · numero 2 · 2012

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copertina L’imprenditore fiorentino Claudio Corallo, una vita di avventure nel cuore dell’Africa, coltiva il cacao sull’isola di Príncipe. E produce a São Tomé un cioccolato per veri intenditori, tra i più buoni e sofisticati al mondo

Il genIo del cIoccolato Una straordinaria impresa italiana a São Tomé Il miglior cioccolato del mondo nasce in una casupola di legno ombreggiata dalle palme a pochi passi dall’Atlantico: un’ambientazione esotica per una storia di eccellenza tutta italiana. Qui vive e lavora Claudio Corallo, 61 anni, origini fiorentine, imprenditore tenace e visionario innamorato dell’Africa. Una vita all’insegna dell’avventura, la sua, trascorsa in precario equilibrio sul filo

al petrolio. L’arcipelago si trova nel Golfo di Guinea, al centro di una tra le più importanti aree petrolifere del mondo. Gli esperti stimano che nelle sue acque territoriali si trovino riserve di greggio sufficienti per almeno duecento anni, qualcosa come quattro miliardi di barili. Un mare di soldi che potrebbe presto sconvolgere la tranquillità delle due isole. Le società petroAl mercato coperto di São Tomé si trovano verdure, spezie, frutti tropicali e pesci affumicati. La popolazione, benché povera, sopravvive grazie alla generosità della natura 44

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cultura

I Dinka sono un popolo di pastori nomadi di origini nilotiche. Sono circa 2 milioni: il 25% dell’intera popolazione del Sud Sudan. Sono suddivisi in una decina di sottogruppi e sono distribuiti su un territorio molto vasto, bagnato dai fiumi Bahr el-Ghazal, Nilo Bianco e Bahr el-Jebel. Sono in maggioranza cristiani, anche se mantengono forti riferimenti alla religiosità tradizionale

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Il mondo

testo di Anna Pozzi foto di Bruno Zanzottera

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dei Dinka

Tra i pastori guerrieri del Sudan del Sud Vivono in poveri accampamenti sperduti nelle savane. Indifferenti allo scorrere del tempo. In simbiosi con le mandrie di vacche, da cui traggono latte e sangue. E una fierezza inossidabile

D

urante il giorno, i raggi del sole frustano impietosi la savana. Tutto sembra immobile nella morsa del calore e della luce abbacinante. Le pianure del Bahr el-Ghazal, il “fiume delle gazzelle”, nel cuore del Sudan del Sud, sono punteggiate di arbusti rinsecchiti. Sembrano gli unici disponibili a sopportare quella calura. Poi, verso l’ora del tramonto, una vita nuova riprende il suo corso di sempre. Specialmente nei cattle camps, i recinti per le mandrie, che di giorno sembrano un ammasso disordinato di capannucce abbandonate, mentre al crepuscolo si rianimano come per magia. È in questo preciso momento della giornata che si crea un’atmosfera speciale. Dal fondo della boscaglia cominciano ad avvicinarsi mandrie di vacche dalle corna maestose, punteggiate da giovani uomini svettanti come lance. Sono magri e altissimi; sembrano scolpiti nell’ebano. Molti non hanno gli incisivi inferiori, mentre le fronti sono segnate da scarificazioni lineari. Sono segni identitari e di bellezza, che si tramandano da generazioni gli uomini di questo popolo fiero e dignitoso: i Dinka. Che, nella loro lingua, vuol dire semplicemente e significativamente: “persone”.

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cultura

Sale la tensione tra Juba e Khartoum

A otto mesi dall’indipendenza del Sudan del Sud, si incrinano i rapporti tra Juba e Khartoum. Principale motivo della tensione è la questione irrisolta dello sfruttamento del petrolio. Le regioni sud-sudanesi (ricche di giacimenti ma senza sbocchi sul mare) hanno bisogno di far transitare il greggio verso nord, all’interno del Sudan, fino alla città portuale di Port Sudan, sulle rive del mar Rosso. Per trasportare il petrolio attraverso i suoi oleodotti il governo sudanese pretende il pagamento di 36 dollari al barile, mentre il Sudan del Sud - che con la secessione ha portato via con sé circa il 70% dei giacimenti di greggio dell’intero Sudan - parla di “rapina a mano armata” e offre solo 75 centesimi al barile. A complicare i rapporti tra i due Sudan, ci sono la tensione crescente lungo la frontiera e gli scontri armati nelle regioni di Sud Kordofan e Nilo Blu, per i quali il governo di Khartoum accusa Juba di sostenere, militarmente e finanziariamente, gli insorti.

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libri

di Pier Maria Mazzola

Tu non parlerai la mia lingua di Abdelfattah Kilito

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Un dollaro al giorno

di Giovanni Porzio

Tre donne, una sfida

di Marisa Paolucci

Il movimento della Consapevolezza Nera in Sudafrica

Guida migrante

di Silvia C. Turrin

a cura di R. Chiurazzi, M.P. Palladino, F. Vietti

Kilito è un importante critico letterario marocchino, al tempo stesso fine narratore (Esplorazioni, Mesogea 2006). Nei saggi raccolti in questo libro si dedica, con serietà e levità, alla questione dell’uso delle lingue “altre”. Cita casi storici e letterari, antichi e recenti, fruga nei ricordi personali. Ricama, per esempio, attorno al senso di malessere che puoi provare nel sentire uno straniero parlare alla perfezione la “tua” lingua. Come se te la rubasse. Sono considerazioni, ora dotte ora sapide, a proposito della lingua araba ma probabilmente valide anche per i parlanti altri idiomi, italiano compreso. Curiosa (per così dire) la citazione dalle Lettere senili del Petrarca posta in esergo: «Mai nel consigliarmi tu non ti valga dell’autorità degli Arabi. Io ne abborro la razza»…

Giovanni Porzio, fotografo e cronista, collaboratore di Africa, una lunga carriera da inviato sui fronti caldi delle guerre, racconta il pianeta dimenticato: quello abitato da un miliardo di persone che vivono con un dollaro al giorno. Un miliardo di esseri umani che non sa né leggere né scrivere. Porzio ci svela il mondo sconosciuto dei bambini di Gaza senza sogni, dei derelitti di Kabul, delle schiave del sesso di Dharamganj, delle vittime della carestia in Etiopia... «Forse li avete visti in televisione. Di sfuggita, per alcuni istanti. Dal vivo, da vivo, è un’altra cosa... Ne ho visti a centinaia. Morti per fame, guerre, malattie. Eppure dovremmo sapere che nel mondo globalizzato i nostri destini s’incrociano...» Una lettura scomoda ma necessaria. www.giovanniporzio.it

La prima è Nobel per la pace, l’altra è un po’ meno celebre (con l’autobiografia comunque edita in italiano: Finché avrò voce), la terza - la decana - è praticamente sconosciuta in Italia. Sono, rispettivamente, Shirin Ebadi (Iran), Malalai Joya (Afghanistan) e Fatima Ahmed Ibrahim (Sudan), che l’autrice ha incontrato per raccontarcene lotte, sofferenze, speranze. Tutte donne di sicura fede islamica ma anche con la fede nella democrazia e nella dignità della donna. Fatima, la prima africana in un Parlamento, fondò nel 1952 la combattiva Unione delle donne sudanesi. Interessanti i suoi rapporti con il padre, un imam illuminato, e quelli con il marito, un sindacalista che lei sposò già in “tarda” età (34 anni) e che venne ucciso dal regime di Nimeiri. Un libro adatto anche per i giovani.

Il mito di Mandela non dovrebbe appannare, ma piuttosto proiettare maggiore luce sulle figure di eroi anti-apartheid e i movimenti che sono stati coprotagonisti del «lungo cammino verso la libertà» di tutta una nazione. Tra costoro non va dimenticato Steve Biko, che si è meritato anche un film (Grido di libertà) e una canzone (di Peter Gabriel). L’attivista, ucciso in carcere nel 1977, era il leader del Black Consciousness Movement, che molto operò perché la rivoluzione avvenisse prima di tutto nella mente dei neri, nei quali era stato inculcato un senso di inferiorità. Il libro ricostruisce con cura la storia - comprese le influenze da Nyerere a Fanon al Black Power - della Consapevolezza Nera, del suo ruolo e della sua eredità. È la prima opera nel suo genere in italiano.

«Itinerari di turismo responsabile», come suona il titolo, ma non tracciati da professionisti del settore bensì da giovani per altri giovani. In realtà c’è anche lo zampino di sigle come Viaggi Solidali e Aitr (Associazione italiana turismo responsabile), ma la Guida nasce da un progetto, realizzato a Torino, tra formazione sul turismo e laboratorio di scrittura. Troviamo così un albanese G2 che ci introduce al suo Paese d’origine, oppure una laureanda italiana in cerca di tesi che ritorna in Burkina Faso, oppure… Diciassette Paesi - Italia compresa, ma negli occhi di un messicano -, ciascuno raccontato con freschezza, accompagnato dal suggerimento di un itinerario, una possibilità di turismo responsabile e una pagina che ne caratterizza il posto nel fenomeno migratorio mondiale.

Mesogea 2010, pp. 162, 16 euro

Marco Tropea editore 2012, pp. 254,14,50 euro

Emi 2011, pp. 142, 11 euro

Erga edizioni 2011, pp. 227, 18 euro

Compagnia delle Lettere 2011, pp. 326, 18 euro

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musica

di Claudio Agostoni

Hora koTa BongA

Bonga è una vera e propria leggenda della musica angolana. Una carriera iniziata 35 anni fa cantando l’umiliazione, la miseria e l’esilio dei suoi connazionali. E proseguita raccontando la ribellione contro il colonialismo portoghese. Con Fela Kuti può essere considerato un pioniere dell’africanità. Nulla di nuovo in questa nuova manciata di canzoni, che però hanno il pregio di continuare a volare alto. Canzoni pregne di languore australe. Che sanno essere dolenti pur avendo il sorriso sulle labbra. Figlie di chi ha deciso che la vita va goduta anche se spesso è amara. Ascoltandole capisci che i marinai portoghesi che bazzicavano da queste parti devono averne caricate un po’ nelle stive delle loro navi e ruminandole durante i loro infiniti viaggi le hanno trasformate in quel concentrato di malinconia chiamato fado.

INTrodUCING AMAdou diAgne

Amadou è nato all’interno di una famiglia di griot di Ashlem, un sobborgo della periferia di Dakar. Per anni ha suonato le percussioni con la National Band, ma il successo l’ha trovato in Inghilterra, partecipando (e vincendo) la Battle of the Band, una competizione per giovani musicisti. Una voce personale, una chitarra acustica, percussioni tradizionali e, occasionalmente, una kora. La melodia delle sue composizioni è figlia della tradizione del popolo fulano (peul per i francesi), una etnia nomade dell’Africa occidentale, dedita alla pastorizia e al commercio. Su questi stilemi tradizionali Diagne ha aggiunto arrangiamenti e testi alieni alla cultura fula. E per allargare la base d’ascolto ha deciso di non usare solo il pulaar, ma anche il wolof, la lingua usata da più del 40% dei senegalesi.

BraNd New wayo AA.VV.

I Settanta furono anni d’oro per l’economia nigeriana, che aveva volato alto grazie al petrolio estratto nel delta del Niger. La moneta locale, il naira, valeva il doppio del dollaro (oggi ce ne vogliono duecento per un euro). Se i nigeriani continuavano a sperare di emigrare in Inghilterra, milioni di africani, a nord e a sud del Niger, sognavano di emigrare in Nigeria. Una decade fantastica anche per l’industria discografica nigeriana. Oltre ai generi autoctoni - juju, fuji e highlife - migliaia di band suonavano funky, soul e rock reinterpretati con la sensibilità locale. È alla fine di quel decennio che scoppiò, a livello planetario, il fenomeno della disco music. Un virus che contagiò anche la Nigeria, che lo battezzò “post-afro” o semplicemente Nigerian boogie. Questo album ne racchiude 15 perle, prodotte tra il 1979 e il 1983.

FIdjU dI krIolU LA MC MALCriAdo

In questo loro secondo album Jacky, Stomy, Jpax e Izé continuano ad esplorare la musica di Capo Verde. Hanno chiesto di collaborare con i migliori compositori e musicisti dell’arcipelago. Gente come la giovane artista Celia Flore, il rapper Eddy Fortes, Iduino del gruppo Ferro Gaita (la più importante band capoverdiana di funana), Mariana Ramos una delle più belle voci dell’arcipelago, l’artista angolano Costuleta e Atheena, giovane cantante senegalese. La title track, una morna meticciata con la fisarmonica del funana, è una dichiarazione d’intenti del progetto della band. A partire dal titolo: Fidju di Kriolu (Figli della Creolità), un’espressione che i capoverdiani usano per gli emigrati dall’arcipelago che non hanno mai smesso di frequentare le proprie radici. Esattamente quello che fanno i quattro de La MC Malcriado. africa · numero 2 · 2012

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cultura

testo di Francesca Guazzo foto di Alida Vanni

Nel regno di

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Viaggio in Zambia alla riscoperta di un incredibile angolo di Inghilterra

Shiwa

Tra le verdi colline dello Zambia settentrionale si cela una magnifica tenuta, creata un secolo fa da un eccentrico aristocratico inglese. La sua storia sembra una favola

C

orreva l’anno 1911 quando un giovane ufficiale dell’esercito inglese di nome Stewart Gore-Brown venne inviato nell’allora Rhodesia del Nord, oggi Zambia, per tracciare i confini con il Congo Belga. Gore-Brown, 28 anni appena compiuti, animo irrequieto e temerario, percorse centinaia di chilometri a piedi e in canoa per raggiungere le zone più estreme e inesplorate

della colonia. Dopo settimane di viaggio si imbatté in un luogo di struggente bellezza chiamato dalla popolazione locale Shiwa Ng’andu, “il lago dei coccodrilli reali”. Incantato dai maestosi spazi aperti e dall’esuberante natura selvaggia, Gore-Brown decise di acquistare dall’amministrazione coloniale un vasto appezzamento di terreno - 10mila ettari lambiti da una splendida laguna - iso-

lato da tutti, a 120 chilometri dalla città più vicina. Lì avrebbe realizzato un sogno che coltivava fin da bambino: crearsi un piccolo regno personale nel cuore dell’Africa.

Un regno personale L’impresa venne finanziata da una ricca zia residente in Inghilterra. I lavori iniziarono nel 1914. I materiali per costruire la residenza principale - tonnellate di

mattoni, cemento, piastrelle e vetro - furono fatti arrivare da Londra via nave e trasportati per settimane nella savana da centinaia di portatori indigeni. Il cuore della proprietà divenne Shiwa House, una magnifica abitazione in stile vittoriano del tutto identica a quelle che punteggiavano la campagna inglese. La casa fu costruita vicino al lago, circondata da prati curatissimi e dotata di domestici in divisa e camerieri con guanti bianchi. Intorno alla residenza si sviluppò una tenuta che comprendeva le abitazioafrica · numero 2 · 2012

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cultura

La storia continua

Dopo la morte del colonnello GoreBrown, la tenuta di Shiwa venne amministrata dalla figlia maggiore Lora con il marito John, ma la coppia fu brutalmente assassinata nel 1992 forse a causa del suo impegno contro i bracconieri. Oggi la gestione è affidata ai nipoti di Sir Stewart Gore-Brown, che hanno proseguito le attività della fattoria e trasformato la casa in un museo.

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sport

di Paola Marelli

Da Kampala alla Siberia, le mosse vincenti di una ragazza-prodigio

La baby regina degli scacchi

«G

iocare a scacchi è come crescere in una baraccopoli: bisogna fare le scelte giuste per sopravvivere. Il primo errore può essere fatale». Phiona Mutesi, 15 anni, ugandese, usa un paragone azzardato ma efficace. Lei proviene da Katwe, povero sobborgo della capitale Kampala, un inferno di lamiere, fango e immondizia. Quando aveva 3 anni, l’Aids

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le ha portato via il padre; a 5 anni ha dovuto abbandonare la scuola per aiutare la madre e sfamare i fratellini. L’infanzia l’ha passata vendendo sulla strada pannocchie di mais abbrustolito. Poi, un giorno ha scoperto il gioco degli scacchi e la sua vita è cambiata. «È avvenuto tutto per caso», racconta Phiona. «Avevo saputo che un’associazione cristiana di beneficenza organizza-

va un corso di scacchi per bambini in una chiesa del quartiere. Non sapevo cosa fossero, né ero interessata a scoprirlo. Mi bastava sapere che i partecipanti avrebbero avuto per un giorno il pranzo gratuito. Mi presentai con mio fratello. Quando vidi la prima scacchiera rimasi a bocca aperta. C’erano tanti pezzi di legno dalle forme curiose: alfieri, torri, cavalli, regine… Mi feci spiegare

le regole del gioco e provai a muoverli».

Mente prodigiosa Da quel giorno Phiona non ha più smesso di giocare. Per mesi si è esercitata con gli amici, ogni sera dopo il lavoro. Poco alla volta ha capito l’importanza della disciplina, della pazienza e della concentrazione. E ha imparato ad ascoltare il suo intuito vincente. «Ha un ta-


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sport

di Alberto Caspani

Il Santo dI Punito dal Camerun, anzi no.

La carriera di Samuel Eto’o, fuoriclasse del pallone, è iniziata nella capitale economica del Camerun. Qui ogni pietra celebra le sue imprese calcistiche

T

re lettere e il gioco è fatto. A Douala pronunciare il nome di Eto’o ha il potere taumaturgico di un’antica formula magica. Poco importa se il figliol prodigo della più importante città camerunense non vesta più le gloriose maglie di Barcellona e dell’Inter, ma faccia goal

sugli anonimi campi russi dell’Anzhi. In Camerun il fuoriclasse Samuel Eto’o (nato nel piccolo villaggio di Nkon e cresciuto sui campi di fango di Douala) viene considerato un santo. «Ho capito subito che avrebbe fatto miracoli», racconta Ngongui Privat Patrice, 48 anni e un ber-

Quindici giornate di squalifica a Samuel Eto’o, comminate dalla federazione calcistica del Camerun, per aver incitato i suoi compagni della nazionale a rifiutare, lo scorso novembre, una trasferta in Algeria per un match amichevole. La protesta era legata al mancato pagamento del premio previsto (763 euro a testa) e l’annullamento della gara aveva costretto il Camerun a risarcire l’Algeria con mezzo milione di dollari. La federazione camerunense si deve poi essere fatta i conti in tasca e, dopo essersi accorta di quanto avrebbe perso (calcisticamente ed economicamente) privandosi del suo campione, ha deciso di ridurre la squalifica a 5 giornate. Il tutto senza che Eto’o facesse il benché minimo ricorso. (C. Agostoni)

Piccoli Balotelli crescono, ma… Frequentano scuole italiane, mangiano italiano, parlano un italiano perfetto. Alcuni sui campi da pallone sono dei piccoli fenomeni. Eppure per loro fare carriera giocando a calcio è praticamente impossibile: è l’incredibile realtà vissuta dagli “italiani di seconda generazione”. Sono più di 30mila i figli di genitori stranieri iscritti in società giovanili, 12mila dei quali sono nati in Italia. Molti di loro hanno origine africana. A causa di una burocrazia iniqua, per loro il salto verso il professionismo è impossibile perché il regolamento del calcio li equipara agli extracomunitari, regalando loro le stesse limitazioni. La colpa è la norma sulla cittadinanza che prevede, per l’acquisizione dei pieni diritti, l’italianità di almeno uno dei genitori. In compenso per il tesseramento presso una società di calcio, la Figc chiede l’esibizione di una montagna di carte che scoraggerebbe anche i genitori del nuovo Messi. Per altri sport, come il rugby o l’hockey è più facile: meno carte, meno problemi. E più sogni di gloria. (C.A.) 64

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Douala retto da teenager sempre in testa. «È il miglior attaccante che abbia mai visto: veloce quanto un ghepardo e letale come un mamba. Per quattro anni ho avuto modo di seguirlo da vicino, lavorando come talent scout per la scuola di calcio Usb/Kagi. Quando l’ho selezionato, tutti pensavano fosse il solito campioncino di provincia, incapace di reggere le pressioni di

un team di città. Beh, che dire? Ora Samuel siede sul tetto del mondo». Sorride con una punta di amarezza, Patrice. Seduto su una seggiola di plastica traballante, in un cortiletto di periferia, dà l’impressione del pioniere cui hanno soffiato sotto il naso la bisaccia d’oro. Proprio non gli va giù che il suo pupillo abbia sbancato in Europa, senza che lui sia riuscito a riabbracciarlo almeno una volta durante le visite che periodicamente compie a Douala. «Avvicinarlo è diventato quasi impossibile - aggiunge Patrice -. Lo trattano come una star, ma so bene che Samuel non si è dimenticato di noi». A Douala ogni pietra parla di lui: monumenti, ospedali, scuole, centri sportivi. La Fondation Eto’o Fils finanzia decine di opere caritatevoli e sociali; nel quartiere di New Bell, dove Eto’o ha casa, sorgono diversi club a lui dedicati, dallo storico bar «Parliament 9» al buffo

udine, il business dei calciatori neri Nella serie A italiana di calcio c’è una società, l’Udinese, che fa affari d’oro scovando e rivendendo i giovani talenti dall’Africa di Claudio Agostoni In Italia c’è una società di calcio che ha trasformato il talento di tanti giovani africani in un proprio business: l’Udinese di Gianpaolo Pozzo, uno tra i più longevi presidenti della serie A (è secondo solo a Silvio Berlusconi). In venticinque anni di reggenza ha acquistato dozzine di baby-calciatori di origine africana. Quelli di Muntari, Appiah, Gyan, Gargo e Obodo sono solo i nomi più famosi. Una politica (esercitata anche nell’altra società di proprietà della famiglia Pozzo: il Granada, che milita nella serie A spagnola) che ha portato una squadra di provincia come l’Udinese nelle zone alte della classifica e sui palcoscenici europei. Uno dei giocatori africani più forti del momento è il ghanese Kwadwo Asamoah, detentore delle chiavi del centrocampo dell’équipe allenata da Francesco Guidolin. Ambito da tempo da Milan e Inter, il presidente Pozzo prima di venderlo aspetta che le sue quotazioni raggiungano il top (sperando magari di piazzarlo a qualche sceicco della Premier League britannica). Operazione analoga Pozzo spera di farla anche con il marocchino Benatia El Moutaqui, indiscusso pilastro della difesa friulana: l’Udinese l’ha acquistato nel 2010 per cinquecentomila euro dalle giovanili dell’Olympique Marsiglia; oggi “vale” almeno 20 volte tanto. «Guiseppe Meaza», dipinto a strisce nerazzurre, o al piccolo Barcelona Fan Club che espone cimeli della sua carriera. In una piazza è stata innalzata una statua in suo onore, mentre parruc-

chieri, bar ed esercizi commerciali dipingono il nome o l’immagine di Eto’o sulla prima parete libera, convinti che la sua buona stella strizzerà l’occhio anche su di loro. • africa · numero 2 · 2012

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viaggi

testo e foto di Roberto Paolo e Aldo Pavan

Un angolo

Reportage dal cuore selvaggio della Guinea

Negli sperduti villaggi della regione del Fouta Djalon è possibile sperimentare un nuovo modello di turismo sostenibile. Che arricchisce i visitatori e le popolazioni locali

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È

stata una scommessa lunga sette anni, ma oggi che la Guinea ha intrapreso la strada della democrazia, Cécile Fraioli può dire di avercela fatta. «Abbiamo tutti sofferto molto, ora speriamo che si possa cominciare a costruire», dice. Cécile è una donna francese di 55 anni. Sette anni fa decise di lasciare l’Europa e trasferirsi in Africa. «Ho scelto la Repubblica di Guinea perché è ancora un Paese vergine sul fronte del turismo. Volevo provare a costruire un modello di turismo - nuovo, solidale e responsabile - che migliorasse la vita delle persone del posto». Cécile ha costituito un’agenzia di viaggi solidali, la Indigo, e un’associazione di sviluppo rurale composta da guineani, la Pal’abre. Da Conakry si è trasferita a Kindia, il capoluogo dell’omonima regione nell’interno, per sfuggire al caos e all’inquinamento della capitale e stare più vicina ai “suoi” villaggi. Qui ospita i visitatori europei nelle ampie e pulitissime stanze della sua casa arredata in stile etnico e piena di libri di fotografie e viaggi.


di paradiso Il viaggio

Il periodo migliore per un viaggio in Guinea va da novembre ad aprile, quando la stagione è secca e fa meno caldo. È necessario il visto d’ingresso, rilasciato dell’Ambasciata della Guinea a Roma (tel. 06 8078989). Obbligatoria la vaccinazione contro la febbre gialla, consigliata la profilassi antimalarica. L’agenzia Indigo (www.guinee-voyage.com) organizza viaggi solidali e responsabili in collaborazione con l’associazione Pal’abre (www.palabre-guinee.org). Sono possibili varie tipologie di viaggi solidali e responsabili, i cui proventi vengono riutilizzati a beneficio delle popolazioni ospitanti. Tutti i tour sono accompagnati da guide locali, prevedono spostamenti in fuoristrada, pernottamenti in tenda, cucina al campo, contatti con i villaggi e le loro tradizioni (feste, balli, artigianato). Sicurezza: consultate il sito www.viaggiaresicuri.it

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Costa d’Avorio

lo scatto

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testo di Anna Marie Kobenan foto di Kambou Sia/AFP

V

ia Crucis vivente per le strade di Abidjan. In questa occasione, i cattolici di varie parrocchie commemorano la Passione di Gesù Cristo, con una suggestiva rappresentazione interpretata da figuranti vestiti con abiti dell’antica Roma. Lo scorso anno la commemorazione è stata perturbata dalla guerra civile tra soldati fedeli all’ex presidente Laurent Gbagbo (oggi in carcere all’Aja) e le milizie di Alassane Ouattara, considerato dalla comunità internazionale il legittimo Capo di Stato. Il conflitto ha causato oltre 3mila morti e circa un milione di profughi lasciando aperte molte ferite. La Chiesa cattolica, impegnata nel difficile processo di pacificazione, invita i credenti ivoriani a vivere la Quaresima nel segno del perdono e della riconciliazione. Con una certezza: dopo la Via Crucis, sarà di nuovo Pasqua.

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猫 di nuoVo pasqua

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chiesa

testo di Anna Pozzi

Nel piccolo paese lusofono dell’Africa occidentale, uno dei più poveri e disastrati al mondo, opera una pattuglia di religiosi cattolici impegnati a soccorrere i bisognosi

Missione Speranza

Viaggio tra i missionari della Guinea Bissau

N

on c’è pace per la piccola Guinea Bissau, ex colonia portoghese, incuneata tra Senegal e Guinea Conakry. Poco più di un milione e mezzo di abitanti e una storia così travagliata da aver ridotto questo Paese a uno dei più poveri del pianeta. Povero e inquieto, segnato da una serie di colpi di Stato, guerre e violenze, che contrastano decisamente con l’indole pacifica dei suoi abitanti, che si aggrappano a una flebile speranza: Radio Sol Mansi dà un contributo fondamentale alla Missione: annuncio del Vangelo,alfabetizzazione, assistenza sanitaria, coscientizzazione. Sono tante faccette della stessa realtà

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che non succeda nulla. Almeno per un po’.

Terra senza pace Questo angolo di Africa occidentale potrebbe essere un paradiso e spesso si è trasformato in un inferno. Golpe militari a ripetizione - l’ultimo tentativo lo scorso Natale - instabilità politica, miseria cronica, traffico di stupefacenti... A complicare le cose, la morte - naturale questa volta - del presidente Malam Bacai Sanha, deceduto lo scorso 9 gennaio a Parigi, dopo che il suo predecessore, João Bernardo Vieira - in carica per 15 anni - era stato ucciso nel 2009. Se ne discute a Radio Sol Mansi, l’emittente cattolica

del Paese. C’è fermento negli studi: si parla di attualità e di questa ennesima fase di delicata transizione, cercando di ipotizzare scenari futuri. Padre Davide Sciocco, missionario del Pime e fondatore della radio - che oggi copre tutto il Paese ed è la più autorevole ed ascoltata - è preoccupato: «Ora si andrà nuovamente alle elezioni. Che sono sempre un momento difficile per il Paese. Noi, come radio, cercheremo di fare quello che abbiamo sempre fatto: informazione e formazione, promuovendo l’unità nazionale e non le divisioni tribali o religiose, funzionali solo a chi cerca di accaparrarsi il potere, a discapito della popolazione».

Un politico diverso Henrique Rosa intellettuale e uomo politico, molto vicino alla Chiesa cattolica, potrebbe essere uno dei prossimi candidati alle presidenziali. Alle elezioni nel 2009 aveva già sfiorato la vittoria. Oggi non fa previsioni sul suo futuro, ma analizza con lucidità la realtà controversa di questo minuscolo Paese, tra i più poveri e sottosviluppati al mondo. «La guerra di liberazione - dice nel suo ufficio di Bissau, a due passi dalla cattedrale - ha lasciato profonde fratture nella società e tante contraddizioni. Questo ha creato una situazione di instabilità, di cui politici e militari han-


NOTE POSITIVE

È il cantante più noto della Guinea Bissau, ma è anche un monumento vivente all’impegno civile. Stiamo parlando di Zé Manel, un’icona della musica africana. Nel suo studio di Bissau, dove passa sei mesi all’anno (gli altri è negli Usa) si infervora parlando del suo lavoro. «E’ importante essere qui, c’è molto da fare, tutto da costruire». Il musicista ha creato un’organizzazione che promuove l’arte e la cultura. Nel suo studio provano e incidono giovani talenti guineani. «Hanno grandi capacità e potenzialità assicura Zé Manel. Io offro loro solo i mezzi per costruirsi il futuro».

no cercato di approfittare. Con l’aggravante che in questi ultimi anni si è aggiunto il traffico di droga.

Non siamo stati capaci di costruire uno Stato forte e oggi siamo vulnerabili, in balìa di chi sfrutta la nostra debolezza per interessi propri o affari loschi». Bisognerebbe restituire il futuro alle nuove generazioni, a cominciare dalla scuola. Il tasso di analfabetismo in Guinea Bissau si aggira attorno al 60 per cento (che arriva al 73 per le donne!). E i pochi giovani che concludono gli studi sono costretti a emigrare per trovare lavoro. Accanto agli ultimi Padre Giuseppe Fumagalli, per tutti Zé, continua a vederli andar via dal suo villaggio di Suzana al confine con il Senegal, senza prospettive. «I giovani se ne vanno a Bissau - dice il missionario che è nel Paese dal 1968, e ha vissuto tutte le fasi drammatiche della guerra di liberazione e del conflitto civile - La capitale in questi anni si è ingrossata a dismisura e oggi conta circa 300 mila abitanti, con pochi servizi e ancora meno opportunità occupazionali». Un altro missionario del Pime, padre Fabio Motta, cerca faticosamente,

COLPO D’OCCHIO

Nome Forma di governo Superficie Capitale Moneta Popolazione Densità Aspettativa di vita Gruppi etnici

Lingua ufficiale Religione Tasso di analfabetismo Utenti internet

Guinea Bissau repubblica 36.125 kmq Bissau franco CFA 1.500.000 abitanti 37 abitanti/kmq 46 anni balante 30%, fulbe 20%, manjaco 14%, malinke 13%, altri 23% portoghese musulmani 46%, animisti 39%, cristiani 15% 60% 23 ogni 1.000 abitanti

all’altro estremo della Guinea Bissau, di garantire un minimo di istruzione ai bambini. Segue otto scuole poco più che rudimentali, attorno al villaggio di Catió, tutte autogestite con le famiglie locali. «Almeno i bimbi imparano qualcosa - dice il giovane missionario, alla sua prima esperienza di missione in un contesto molto tradizionale e refrattario ai

cambiamenti -; altrimenti sarebbero tutto il giorno in giro, o avviati prestissimo al lavoro nelle risaie». Le sfide dei missionari in Guinea Bissau sono immense. «Ma il nostro compito è ascoltare la gente, starle accanto, camminare insieme», dice monsignor Pedro Zilli, vescovo di Bafatà. «E continuare tenacemente a seminare la speranza». •

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chiesa in africa

a cura di Anna Pozzi

Ruanda •

Sicurezza: una risposta ecumenica

O

ltre novanta partecipanti hanno preso parte a un importante Simposio ecumenico tenutosi in Ruanda tra fine gennaio e inizio febbraio. Un’occasione per esponenti di diverse Chiese cristiane di confrontarsi su temi molto concreti e verificare la possibilità di una maggiore collaborazione e dunque efficacia.Titolo del Simposio: “La pace e la sicurezza in Africa. La risposta ecumenica”. Rappresentanti di Nigeria, Sudan, Somalia, Zimbabwe, Costa d’Avorio e Repubblica democratica del Congo hanno partecipato alle diverse sessioni sulle violazioni dei diritti umani, i conflitti etnici e religiosi, la buona governance. «L’esperienza di molti africani costretti a vivere in situazioni di vulnerabilità - ha detto il presidente della Ceta (Conferenza delle Chiese di tutta l’Africa), l’arcivescovo anglicano Valentine Mokiwa - obbliga il movimento ecumenico a proporre delle soluzioni che permettano alle popolazioni di celebrare e vivere la pace, godendo della sicurezza e della dignità umana».

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ALGERIA •

Un luogo di incontro

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ulla collina che domina l’antica Ippona, sede vescovile di Sant’Agostino che di questa terra, l’Algeria, è originario, sorge la basilica a lui consacrata ai primi del ‘900. Meta di numerosi pellegrini, da tempo essa necessita di restauro. Autorità pubbliche algerine e francesi, diverse istituzioni, ordini religiosi, diocesi e numerosi benefattori si sono attivati per contribuire ai lavori iniziati un anno fa. Anche il Papa Benedetto XVI ha contribuito con un dono personale. «La basilica di Sant’Agostino - ha dichiarato il vescovo di Costantina-Ippona, mons. Paul Desfarges, a Radio Vaticana - non è soltanto un luogo di culto. Tutta la collina è un luogo-simbolo di convivialità e fratellanza umana e spirituale che supera le culture e le fedi religiose, attraverso la figura di Sant’Agostino che con il suo umanesimo, la sua fede, la sua cultura conduce ogni uomo all’essenziale. Ma è anche un luogo-simbolo della fratellanza tra le due sponde del Mediterraneo, tra cristiani e musulmani, tra l’Occidente e l’islam, tra gli uomini in cerca del senso e della verità»

Egitto • Transizione turbolenta scorsi mesi si è respirato un clima di novità che non «Negli può più essere cancellato. Giovani musulmani e cristiani

hanno dimostrato grande solidarietà reciproca. Ora c’è un po’ di preoccupazione. Ma anche tanta speranza». Così mons. Michael Fitzgerald, Padre Bianco e nunzio apostolico al Cairo, commenta la fase di transizione che sta attraversando l’Egitto. «Tra i cristiani c’è al contempo la speranza di una maggior partecipazione, ma anche paura e preoccupazione. Sono delusi per l’esito delle elezioni che hanno portato in Parlamento pochi cristiani e poche donne». Ora, in vista delle elezioni presidenziali che dovrebbero tenersi in giugno, il nunzio invita tutti a continuare a lavorare per creare un coscienza più diffusa dei diritti umani e contro le discriminazioni. «Noi cattolici che pure siamo un’esigua minoranza, abbiamo cercato di fare un grande lavoro di coscientizzazione per preparare le elezioni. I frutti di questo lavoro restano e si deve continuare»


RD Congo • Lacrimogeni sui cortei Una questione di autorizzazioni, secondo le autorità. La paura di dare fastidio al potere, secondo gli organizzatori. Sta di fatto che la marcia organizzata dal Consiglio dell’apostolato dei laici cattolici congolesi (Calcc) a commemorazione del XX anniversario della violenta repressione del 16 febbraio 1992, è stata bloccata in maniera brutale. La polizia, infatti, ha usato gas lacrimogeni per disperdere i partecipanti e ha blindato le strade della capitale. Due preti e due suore, inoltre,

sono stati arrestati nella parrocchia di St Joseph, nel quartiere di Matonge. Secondo gli organizzatori, le autorità hanno voluto «impedire un’iniziativa che avrebbe potuto dare fastidio al potere, soprattutto dopo che diversi esponenti dell’opposizione avevano annunciato la loro adesione». Sono stati inoltre interrotti i segnali di trasmissione di cinque emittenti radiotelevisive private, segnala l’organizzazione “Vsv” (Voix des Sans Voix) che denuncia una politica “di imbavagliamento della stampa”.

Nigeria •

Un segno di speranza

S SUDAN Del SUD • Missionari preoccupati

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opo un 2011 segnato dall’euforia dell’indipendenza, il 2012 comincia con venti di guerra che soffiano tra Nord e Sud Sudan. È quanto testimonia anche padre Daniele Moschetti, superiore provinciale dei comboniani a Juba: «Nel 2011 il popolo sud sudanese ha scritto la storia. Ora però la realtà sta diventando calda da tanti punti di vista». In particolare, il missionario ricorda la questione del petrolio: «Il governo del Nord pretende dal Sud il pagamento di 36 dollari al barile per l’utilizzo delle proprie infrastrutture, mentre il governo del Sud accusa Khartoum di aver “rubato” oltre 650.000 barili di petrolio, confiscati “a titolo di risarcimento” per le imposte inevase. Così ha deciso di chiudere i rubinetti della produzione». Altro problema scottante è quello dei confini, in particolare nella regione dell’Abyei, e delle popolazioni martoriate del Sud Kordofan e del Nilo Blu. Inoltre, aggiunge padre Moschetti, c’è un problema di land grabbing, ovvero di accaparramento della terra. «Tra il 2007 e il 2010 solo in Sudan del Sud è stata venduta o affittata da grandi investitori stranieri o locali una superficie agricola pari al 9 per cento di tutto il territorio nazionale».

ono riprese le lezioni alla Saint Thomas Secondary School, a Kano, ove studiano circa 1000 ragazzi. Non tutti sono ritornati in classe, perché la paura di attentati è ancora forte a Kano, dove a fine gennaio i diversi attentati della setta islamista Boko Haram hanno provocato quasi 190 morti e migliaia di feriti. Una violenza che ha colpito brutalmente anche in diversi altri Stati della Nigeria. È un piccolo ma importante segno, perché questo liceo diocesano è frequentato da studenti sia cristiani che musulmani. «Le violenze - sottolinea padre Shukau, segretario della diocesi di Kano – colpiscono tutti, cristiani e mussulmani, indipendentemente dal loro credo». Gli uni e gli altri sono stati vittime degli attacchi. Insieme, però, possono rappresentare anche una speranza di riscatto per il futuro.

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togu na - la casa della parola lettere

attualità

Baby-vigili in Libia Osservando sull’ultimo numero di Africa le foto dei bambini libici impiegati dal comune di Bengasi per dirigere il traffico, mi sono venuti i brividi. Non c’è nulla da rallegrarsi se la nuova Libia post-Gheddafi

di Alessandro Gandolfi/Parallelozero

Dove va la nuova libia?

Rondini a primavera Mi sono sempre chiesta che fine facessero le mie amiche rondini durante i mesi invernali. Sapevo che finivano in Africa. Ma pensavo si fermassero sopra il deserto del Sahara. Grazie a voi, sull’ultimo numero, ho scoperto che il loro rifugio è in Nigeria, dove ho trascorso sei mesi della mia vita come volontaria in un ospedale missionario. Quanti ricordi, quanta nostalgia per quel posto! Ora grazie alle rondini potrò riassaporare il calore di quella terra fantastica. Non vedo l’ora che sia primavera! Renata Zicchelli Mirandola (MO)

a cura della redazione

A Bengasi le strade sono sorvegliate da poliziotti “under 15”

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permette lo sfruttamento del lavoro minorile. Maria Luisa Bonfanti, Cantù (CO) Non c’è alcuno sfruttamento di minori. Quella dei babyvigili è un’attività di educazione civica, su base volontaria, in orari che non precludono la frequenza scolastica né la possibilità di giocare e divertirsi con i coetanei. M.T.

Niente pietismo Da immigrato camerunense in Italia vorrei ringraziarvi: siete l’unica rivista missionaria che non pubblica foto di bambini dallo sguardo triste, di miserabili che chiedono l’elemosina, di gente assetata e affamata con la mano tesa in cerca di aiuto. È un piacere sfogliarvi. Non calpestate la dignità

del nostro continente, ricco di umanità e di vitalità. Nei vostri articoli non c’è spazio per il pietismo che purtroppo alimenta il mondo della solidarietà. Continuate così. Jean Pierre Yambuia, Roma

Ballerini in Sudafrica Sono una ragazza di 19 anni appassionata di danza classica. Ho letto il vostro bel servizio sulla scuola Dance for All che insegna il ballo alle ragazze e ai ragazzi delle township sudafricane. Mi piacerebbe dare una mano e partecipare, da volontaria, a questo progetto. Come posso aderire? Ambra Murlo, Catanzaro Visiti il sito internet www. danceforall.co.za. Le candidature possono essere inviate alla mail admin@ danceforall.co.za. Il direttore

Shalom Uganda La storia della comunità di ebrei ugandesi che vive all’Equatore (Africa

chiese

testo di Marco Trovato foto di Marco Trovato e Marco Garofalo

Il mondo sconosciuto degli ebrei all’Equatore Gli Abayudaya sono una piccola comunità ebraica. Fondata cent’anni fa nel cuore dell’Africa da un capo militare orgoglioso, cocciuto. E soprattutto visionario. Tanto quanto i suoi seguaci

L

a terra promessa assomiglia al seno di una donna. «Prosperoso e fertile», ha precisato l’uomo che ci ha indicato la strada. Una profezia azzeccata. Il colle verdeggiante a forma di mammella troneggia sulla savana a pochi chilometri dalla città di Mbale. Sulle mappe viene segnalato col nome di Nabugoye Hill, ma per la gente del posto è semplicemente “la collina degli ebrei”. «Le Sacre Scritture non ne fanno menzione», ha ammesso la nostra guida. «Ma le vie del Signore sono infinite… Specie quando penetrano nel ventre molle dell’Africa», ha aggiunto con una risata. Su questa piccola altura ugandese - collegata al resto del mondo da una fragile pista piena di buche - ha trovato rifugio una sperduta tribù ebraica composta da uomini e donne dalla pelle nera come l’ebano. Si chiamano Abayudaya. Non hanno legami di sangue con Abramo e Giacobbe, né rivendicano alcuna lontana ascendenza giudaica risalente al re Davide. A differenza dei loro fratelli etiopi, i celebri Falashà, non cullano il sogno di vivere in Israele. Professano l’ebraismo in solitudine, a modo loro. Portando avanti usi e costumi che non è frequente rintracciare a queste latitudini. Pregano in sinagoghe tirate su con

Shalom Uganda 66

africa · numero 1 · 2012

africa · numero 1 · 2012

1/2012) sembra uscita da un libro di favole. Non ne avevo mai sentito parlare, né avevo visto notizie a riguardo sulla stampa e nella televisione. Come avete fatto a scovarla? Tommaso Secchi, Prato L’Africa è piena di storie formidabili e ciascuno può scoprire realtà interessanti: basta viaggiare con occhi attenti e curiosi, senza stereotipi. Il direttore errata corrige A pagina 20 del numero 1/2012 di Africa abbiamo pubblicato un’intervista al deputato JeanLéonard Touadi, scrivendo nel sommario che l’onorevole è “originario del RD Congo”. In realtà, come correttamente precisato nel suo curriculum, Touadi è nato a Brazzaville, nella Repubblica del Congo.

SONdAggIO PARERI RAccOLtI SuLLA PAgINA FAcEbOOk dI AFRIcA Lo scorso gennaio un tredicenne di origini congolesi adottato in Italia è fuggito da casa per tornare in Africa. La notizia che ha fatto clamore, ma le difficoltà d’integrazione riguardano un numero maggiore di minori adottati. È giusto permettere a una famiglia occidentale di adottare un bambino africano? 48% Sì, perché i nuovi genitori garantiscono uno stile di vita idoneo. 6% Sì, ma solo in caso di un neonato. 9% No, perché così si sradica un bambino dal proprio territorio, dalle sue origini. 37% Sarebbe meglio che ad adottare siano delle famiglie africane. “L’Europa invecchia sempre più, mentre l’Africa è un continente di prorompente vitalità. Non possiamo non renderci conto che il nostro sicuro Occidente è la decadenza, mentre l’Africa è il futuro”. Sei d’accordo con questa frase del giornalista Raffaele Masto? 10% No, mi sembra troppo pessimista: anche in Europa ci sono giovani e vitalità. 27% Sì, in parte, perché credo che l’Africa si debba ancora molto sviluppare. 26% No, penso che vitalità e decadenza convivano sempre in ogni popolo. 37% Sì, condivido in pieno l’affermazione. Sono un “afro-ottimista”.

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africa rivista


n. 2 marzo . aprile 2012 www.missionaridafrica.org

RD Congo, con i giovani di Goma Uno spazio educativo per ragazzi allo sbaraglio a cura della redazione

Partito per la diocesi di Kasongo, padre Marchetti è stato dirottato su Goma, da dove lancia un appello per i giovani della sua nuova parrocchia

Goma. Una città del Nord Kivu, adagiata sui bordi dello splendido lago Kivu e ai piedi del vulcano Nyiragongo che la sovrasta minaccioso. Ancora nel 2002, un fiume di lava l’ha letteralmente tagliata in due, terminando la sua corsa nel lago. Nonostante il pericolo permanente, la città continua ad allargarsi rapidamente fino a sei o sette chilometri dal centro. Certo, c’è il fenomeno dell’urbanizzazione selvaggia, ormai comune in tutta l’Africa, ma qui è accentuato dall’insicurezza che regna nelle campagne. Il Congo, ed il Kivu in particolare, ha vissuto - e continua a vivere - momenti drammatici a causa di una guerra violenta e sanguinosa degenerata in un banditismo organizzato e manipolato. Fuori dalle città si è veramente vulnerabili ed in pericolo costante. È in questa città, tra l’altro bellissima, che è atterrato padre Giovanni Marchetti. Partito dall’Italia ai primi di novembre, felice e convinto di ritrovare il suo verde ed amato Maniema, si è visto dirottato verso tutt’altra destinazione. La sciatalgia, di cui aveva sofferto e che sembrava placata e quasi sconfitta, si è risvegliata obbligandolo ad una sosta forzata a Bukavu. I superiori hanno allora deciso di cambiare il suo luogo di lavoro. Nel Maniena, infatti, le strade disastrate e percorribili solo in moto o in fuoristrada non aiutano certo la colonna vertebrale.

La nuova missione

P. Marchetti con alcuni ragazzi davanti alla chiesa di Nôtre Dame d’Afrique, a Goma

padri bianchi . missionari d’africa

Ora si trova nella parrocchia di Nôtre Dame d’Afrique (Madonna d’Africa), sorta verso la fine degli anni ‘80 in quella che allora era “periferia”. Oggi è una parrocchia “del centro” con circa 35mila cristiani, suddivisa in otto quartieri con relative chiese ove si celebra una messa infrasettimanale.

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Amici dei Padri Bianchi – Onlus Gestione 2011 L’Associazione Amici dei Padri Bianchi, Onlus, presenta un breve resoconto delle attività dell’anno di gestione 2011 e ne approfitta per esprimere la propria riconoscenza a quanti hanno contribuito: I Soci della Onlus; chi nel 2009 ha destinato il 5 x mille alla Onlus; chi ha fatto donazioni alla Onlus; chi ha partecipato finanziariamente ai progetti presentati dalla rivista Africa e sostenuti dalla Onlus. Il bilancio approvato dall’Assemblea sarà pubblicato sul prossimo numero di Africa Lo spazio per i giovani ...in costruzione con alcuni concasseurs al lavoro

La parrocchia è molto impegnata socialmente nell’assistenza sanitaria, con un dispensario gestito da suore congolesi, e nel campo educativo, con la gestione di scuole elementari e superiori e l’animazione di gruppi giovanili. Come ovunque, il mondo giovanile è una sfida enorme. Ma in Africa, con lo sfaldamento delle strutture della famiglia e del clan e la perdita dei valori tradizionali, lo si constata forse più che altrove. I bambini ed i giovani sono tantissimi, con un futuro più che incerto. Molti giovani hanno studiato, sono diplomati e anche laureati... ma è rarissimo trovare un lavoro stabile. Alcuni si accontentano di lavori molto precari; altri cercano l’avventura all’estero. Ma dove? I più deboli, purtroppo, cadono nella trappola dell’alcool, della droga, della malavita. L’urbanizzazione selvaggia e la corruzione cronica dei funzionari hanno occupato ogni metro quadrato di terreno e i bambini giocano tra le pietre taglienti della lava Goma è costruita sulla lava e per appianare il terreno è necessario spaccare la roccia. Un lavoro duro che richiede una manodopera esperta. Sono i concasseurs, gli spaccatori di roccia, che con martelli da 10 chili spaccano la pietra fornendo anche materiale per la costruzione. Un metro cubo è venduto a 3,50 euro e, lavorando sodo, un concasseur può produrre da 3 a 4 metri cubi al giorno.

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dell’ultima eruzione, in mezzo alla polvere e alla sporcizia.

L’appello

È con questi giovani che p. Giovanni inizia la sua nuova missione. I responsabili della parrocchia - laici e sacerdoti - hanno lanciato un progetto che prevede la creazione di uno spazio ricreativo ove poter riunire i giovani. Senza tante discussioni, si sono messi all’opera per costruire un campetto da calcio, un terreno per il volley ed un altro per il basket ed un’area per altre attività giovanili. I lavori sono già cominciati con i contributi della comunità cristiana e dei giovani stessi che non esitano a lavorare e a spaccare pietre. Man mano che si raccolgono soldi, si procede con la sistemazione di un pezzetto di terreno. Per portare a termine il progetto occorrono ancora circa 15.000 Euro. Padre Giovanni lancia dunque un appello affinché qualche benefattore italiano possa rispondere con generosità. E Africa rilancia il suo invito con il progetto n. 14-2012: Con i giovani di Goma.

Francobolli per le missioni Raccogliamo francobolli usati. Inviare a: P. Sergio Castellan Padri Bianchi

Casella Postale 61,

24047 Treviglio (Bergamo)

ENTRATE Donazioni ricevute € 5.940,00 Proventi “5 x 1000” del 2009 € 8.678,83 Donazioni per progetti presentati € 46.480,00 Sostegno rivista Africa € 17.735,00 Offerte varie € 1.000,00 TOTALE € 79.833,83 USCITE EROGAZIONI EFFETTUATE P. Iotti, Progetto Nutrizionale Rd.Congo P. Biernaux RD.Congo - Goma P. Rovelli Chiesa Masina - Mali P. Godina - Mali P. Maffi - Scanner Ibla Tunisia P. Gabriele - Burkina Faso P.Morrel - Borse Di Studio P. Zuccala Centro Santi Innocenti - Mozambico P. Morrell Camioncino St. Mary - Kenya P. Morrell Suor Agata - Kenya P. Alberto Dispensario Gao - Mali Progetti Padri diversi

€ 934,00 € 400,00 € 10.070,00 € 2.500,00 € 350,00 € 1.050,00 € 1.350,00 € 18.388,00 € 1.250,00 € 2.150,00 € 900,00 € 7.305,00

PROGETTI 2011 Totale erogazioni Donazioni Padri Bianchi Sostegno rivista Africa

€ 46.647,00 € 1.000,00 € 17.735,00

ANNO 2011 TOTALE EROGAZIONI

€ 65.382,00


Convinto e appassionato Un missionario vicino alla gente Padre Fontana ci ha sorpresi ancora una volta: ci ha lasciati all’improvviso, durante la siesta. Di lui rimangono i ricordi e il bene che ha seminato

Ho incontrato padre Luciano per la prima volta in Trentino, in una colonia per ragazzi ai quali, insieme a padre Dalpiaz, aveva prospettato la vocazione missionaria di Padri Bianchi. L’ho conosciuto sorridente e persuasivo perché convinto di quello che diceva. E l’ho sempre visto così: un grande innamorato della sua vocazione per l’Africa. È anche la testimonianza di tanti che lo hanno poi seguito in seminario a Treviglio e a Gargagnago, in Valpollicella.

Così appassionato e servizievole da essere ben voluto dai vari gruppi e centri missionari delle diocesi di Treviso e di Padova, come l’ha provato la numerosa presenza di sacerdoti e laici di queste due diocesi al suo funerale nel duomo di Valdobbiadene. Tra le numerose testimonianze di affetto pervenuteci, ho scelto quelle di due amici che avevano seguito padre Luciano e ne hanno conservato un bel ricordo.

Insegnante e amico

Padre Luciano se ne è andato in punta di piedi, per non disturbare. Per me e per tanti altri ragazzi è stato colui che, con padre Albino Dalpiaz, ha guidato la nostra adolescenza. A 10-11 anni avevamo già fatto una scelta (e che scelta!) e sognavamo l’Africa con i racconti dei Padri più anziani mentre padre Luciano e padre Albino ci seguivano con pazienza e fermezza. Con

a cura di Paolo Costantini il suo carattere sereno, mai arrogante, padre Luciano era per noi insegnante ed amico. Ho lasciato il seminario dopo quattro anni e ho trovato lavoro in una tipografia. Un bel giorno del 1973, mi informano che due strani personaggi con una sottana bianca e un grande rosario al collo mi stanno cercando. Erano padre Luciano e padre Albino. Cercavano di contattare gli ex-allievi dei seminari di Parella, Treviglio e Gargagnago per lanciare quello che divenne poi l’incontro annuale degli ex-allievi. Penso che padre Luciano abbia vissuto intensamente il suo sacerdozio missionario, anche durante i sanguinosi avvenimenti del genocidio del 1994 in Ruanda. Caro padre Luciano, non ti troverò più ad aspettarmi davanti alla chiesa di Limena, con la tua auto bianca. Ma mi rimane la contentezza di averti conosciuto, di aver passato qualche anno con te, e sono sicuro che tu e padre Albino continuate a seguirci da lassù. Franco Zago

Un enorme regalo

Numerosi sacerdoti delle diocesi di Padova e Treviso hanno reso omaggio a padre Fontana

padri bianchi . missionari d’africa

Quinta elementare in un paesino dell’est veronese, Terrossa di Roncà, ai confini con il vicentino, prima metà degli anni Sessanta. Entra in classe un uomo alto, con una lunga tonaca bianca e, al collo, una grande corona bianca e nera con il crocifisso. Lo accarezza in continuazione, lo lascia e lo riprende, ha il sorriso sulle labbra, una voce dolce, un viso sereno. È padre Luciano. Ci parla dei missionari, dei Padri Bianchi, religiosi sconosciuti. Ci racconta del loro coraggio, del servizio ai bambini poveri dell’Africa, della bellezza di essere generosi, altruisti. Ne sono rimasto

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PROGETTI SOSTENUTI da AMICI DEI PADRI BIANCHI - ONLUS Progetto 01-10 RD Congo Centro nutrizionale e acquedotto Referente: padre Italo Iotti

Progetto 04-10 Mali Chiesa di Masina

Referente: padre Alberto Rovelli

Progetto 06-10 Burkina Faso Costruire un mulino Dori - Il mulino della speranza Referente: padre Pirazzo Gabriele Padre Luciano, ultimamente, di passaggio a Treviglio

conquistato. Se ne accorge, mi prende in disparte e mi chiede se voglio entrare in seminario. Tutto accade ad una velocità impressionante. Chiedo se si gioca a calcio: la mia grande passione. «Certo - mi risponde tutti i giorni perchè siete in tanti e si possono fare tante squadre». Era il mio posto! La fede l’avevo per eredità familiare, la voglia di far del bene pure, la passione per il calcio cresceva con me. Corro a casa, lo dico a mia mamma: «Voglio andare in seminario». Padre Luciano viene a far visita ai miei genitori. Spiega a me e alla mamma (il papà era sempre al lavoro) la vita del seminario, gli studi a Treviglio, le superiori a Gargagnago di Valpollicella. È rassicu-

rante, solare, in quella sua bellissima tonaca bianca. E io mi vedevo a fare partite di calcio, per ore e ore in Africa, con la tonaca bianca, tra nugoli di neretti. Sono entrato in seminario convinto, pieno di entusiasmo e sono stati anni bellissimi. Quelli che mi hanno formato. I Padri Bianchi, che grande famiglia ! Che persone straordinarie! Certo, avrebbero voluto che diventassimo tutti missionari, anche se pochi in realtà hanno poi raggiunto l’obiettivo. Ma penso che abbiano trasmesso a tutti noi, ragazzi di allora, gli strumenti per divenire brave persone. Grazie padre Fontana! Averti incontrato è stato per me un enorme regalo. Gustavo Franchetto

Da 140 anni al servizio dell’Africa AIUTACI AD AIUTARE: BASTA UN GESTO IL TUO 5 X MILLE alla onlus AMICI DEI PADRI BIANCHI Codice fiscale: 93036300163 Basta una firma sulla tua dichiarazione di redditi

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Progetto 07-10 Borse di Studio Aiutare i seminaristi Padri Bianchi Referente: padre Luigi Morell

Progetto 09-10 Mozambico Adotta un bambino

Referente: padre Claudio Zuccala

Progetto 01-11 Algeria Scolarizzazione femminile

Referente: padre José Maria Cantal

Progetto 02-11 Algeria Una biblioteca a Tizi-Ouzou

Referente: padre José Maria Cantal

Progetto 04-11 Mali Un dispensario a Gao

Referente: padre Alberto Rovelli

Progetto 13-11 Kenya A scuola grazie a suor Agata Referente: padre Luigi Morell

Progetto 14-12 RD Congo Con i giovani di Goma

Referente: padre Giovanni Marchetti

Progetto 15-12 Mali Lotta contro la carestia

Referente: padre Vittorio Bonfanti Si prega di precisare sempre la deStinazione del vostro dono (numero progetto, Sante messe, rivista, offerte, ecc) ed il vostro cognome e nome info africa@padribianchi.it telefono 0363 44726

Versamenti, assegni e bonifici vanno indirizzati a:

Amici dei Padri Bianchi - Onlus, V.le Merisio 17 - 24047 Treviglio BG CCP - c/t nr: 9754036 IBAN: IT32 E076 0111 1000 0000 9754 036 Cassa Rurale di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: BCCTIT2T


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