Insediamento medievale in Sardegna: la Nurra alla luce delle fonti archivistiche

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CORSO DI LAUREA IN BENI CULTURALI

INSEDIAMENTO MEDIEVALE IN SARDEGNA: LA NURRA ALLA LUCE DELLE FONTI ARCHIVISTICHE

Relatore: CHIAR.MO PROF. GIUSEPPE MELONI

Tesi di Laurea di: ANDREA F IGONI

ANNO ACCADEMICO 2011/2012



Andrea Figoni

Insediamento medievale in Sardegna: la Nurra alla luce delle fonti archivistiche



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Indice

Introduzione

p. 3

1. La Nurra dalla preistoria all’età romana

p. 8

2. La Nurra nel medioevo 2.1 L’età giudicale 2.2 L’età catalano-aragonese

p. 13 p. 20

3. La Nurra in una fonte del 1339

p. 24

Appendice documentaria

p. 35

Bibliografia

p. 43

Indice delle figure

p. 48

Figure

p. 49


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Introduzione Il tema scelto per la tesi di laurea riguarda gli aspetti storico-insediativi e toponomastici della Sardegna, in particolare della Nurra, frazione interamente compresa nella provincia di Sassari, situata nella zona nord-occidentale dell’isola. Nel corso della stesura questi temi sono stati analizzati e confrontati con alcune fonti archivistiche, più precisamente con un inventario del 1339 riportante i possedimenti sardi dell’Opera di Santa Maria di Pisa. Quest’istituzione, grazie alle numerose concessioni ottenute nell’isola, riuscì ad insediarsi nel tessuto sociale ed economico della Sardegna, creando delle “colonie rurali” in tutti e quattro i giudicati (Torres, Gallura, Arborea, Cagliari). La volontà di intraprendere questa ricerca è nata principalmente dall'interesse, maturato durante il mio percorso di studi, circa gli aspetti riguardanti il patrimonio toponomastico della nostra isola e quelli relativi all'insediamento e l’occupazione di villaggi o centri di produzione, ancora oggi esistenti o ormai scomparsi. Ho scelto di analizzare nel dettaglio l’area della Nurra poiché questa regione è pervasa da un alone di “mistero”: qui infatti, in epoca medievale, era concentrato un gran numero di insediamenti sparsi per tutto il territorio dei quali oggigiorno non rimane traccia. Sebbene vari ed illustri autori abbiano tentato di dare una loro interpretazione in merito, sono ancora molte le lacune sulla nascita di questi centri abitati, l’eventuale spopolamento e la loro individuazione geografica; per questo motivo è utile anche lo studio dei toponimi, chiari segnali che potrebbero

indicarci

nell’antichità.

un

possibile

sfruttamento

del

territorio


4

Chi si è occupato nello specifico della fonte documentaria scelta in sede di ricerca è Francesco Artizzu, il quale ha scritto inoltre diversi saggi sui possedimenti dell’Opera di Santa Maria di Pisa in Sardegna, senza però entrare nel dettaglio delle configurazioni territoriali e dunque tralasciando lo studio degli aspetti insediativi. La fonte del 1339 riporta la descrizione dei confini delle proprietà acquisite dall'ente ecclesiastico nella Nurra: i saltos di Castello, Molino, Orgiu e Freto, oltre alle saline, alle acque di Fiume Santo e Pischina de Duos Nuraghes, e infine le chiese di S. Imbenia di Lampiano, S. Giusta di Monte e S. Quirico di Simurilu. Al fine di comprendere meglio le dinamiche insediative che caratterizzano l’area della Nurra sono state analizzate anche epoche più remote come il periodo nuragico e quello romano. Quest’area infatti è sempre stata oggetto di interesse da parte di popoli autoctoni o provenienti da terre lontane, per via delle sue enormi potenzialità di rendimento in termini economici, giacché questa zona era dotata di aree pianeggianti e fertili, saline, superfici adibite al pascolo, fiumi e bacini naturali, mari pescosi ed infine metalli preziosi come l’argento e risorse quali il carbone. Per intraprendere questa ricerca mi sono avvalso degli strumenti bibliografici, archivistici e multimediali. Il punto di partenza è stato quello degli studi specifici sull’insediamento, lo spopolamento e la toponomastica della Nurra. Per citare i più importanti, quello di Angela Terrosu Asole (L’insediamento umano medievale e i centri abbandonati tra il sec. XIV ed il sec. XVII), di Francesco Artizzu (L’Opera di Santa Maria di Pisa e la Sardegna), il dizionario toponomastico di Virgilio Tetti (I nomi di luogo. Quarta dimensione della Sardegna) e diversi


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saggi di Alessandro Soddu (Ricognizioni topografiche nella Nurra/2. L’incastellamento

medioevale

indagine

preliminare;

Sulla

localizzazione dell'abazia cassinese di S. Pietro di Nurki; La Nurra nel basso Medioevo). Concluso il lavoro di analisi storiografica, la mia indagine è stata indirizzata alla “ricerca sul campo”. Presso l’Archivio di Stato di Sassari ho potuto consultare una grande quantità di fonti documentarie, tra cui: il Sommarione della Nurra del XIX secolo, nel quale sono registrati tutti i possedimenti terrieri e i relativi detentori; il Processo verbale riportante i confini geografici della frazione nurrese, anch'esso stilato in età preunitaria; infine, con lo scopo di reperire indizi utili circa le località menzionate nella fonte del 1339, ho visionato numerose mappe e carte geografiche. Parallelamente il lavoro è proseguito con l'analisi e la trascrizione dell’inventario dei beni dell'Opera. Solo una volta ultimata questa analisi ho potuto comparare gli indizi archivistici acquisiti con quelli multimediali; sono state infatti prese in considerazione

mappe

geografiche

virtuali

e

siti

internet

sull'argomento. Lo scopo principale della tesi, dunque, è quello di fornire un contributo su un argomento così ricco di lacune come quello degli insediamenti della Nurra in età medievale. Per raggiungere questo obiettivo si è cercato di localizzare i centri e le località menzionati nella fonte, inquadrando così, all'interno di un recinto geografico ben circoscritto, tutti i possedimenti che l’Opera del Duomo di Pisa possedeva nella Nurra, cercando al tempo stesso di dare un contributo alla localizzazione dei villaggi completamente scomparsi in età medievale. Tale lavoro però si è rivelato di difficile attuazione per motivi


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strettamente legati alla storia della Nurra stessa nel medioevo: la regione infatti fu teatro di numerose guerre da parte di potenze esterne in lotta per la contesa del territorio, fu colpita duramente dalla peste e vide emigrare i suoi abitanti in favore di centri più favorevoli e sicuri, come la città di Sassari. Oggi non rimane quasi nulla del patrimonio architettonico nurrese, colpito duramente dal crollo demografico; inoltre i vari tentativi di colonizzazione e ricolonizzazione del territorio nonché la sovrapposizione di più strati linguistici – logudorese nel medioevo, sassarese nell'età moderna e logudorese e nuorese in età contemporanea – hanno determinato la perdita e lo stravolgimento della toponomastica del luogo, nel resto della Sardegna mantenutasi quasi invariata. La tesi è articolata in tre parti: nella prima, dopo aver descritto gli attuali limiti geografici e politico-amministrativi della Nurra, è stato fornito un quadro della regione nel periodo nuragico e nell'età romana. Nella seconda parte invece sono state esposte ed analizzate le dinamiche storico-insediative della Nurra nel periodo medievale: dall'età giudicale e signorile - in cui raggiunse il massimo della sua espansione demografica e insediativa - sino a quella catalano-aragonese che ne conobbe il declino; il quadro così delineato permette di contestualizzare la fonte documentaria oggetto del nostro studio. La terza parte, che può essere considerata il vero e proprio nucleo della tesi, è infatti dedicata all’analisi del documento. Grazie all'aiuto del prof. Alessandro Soddu e del dott. Fabrizio Alias, si è provveduto a rivedere il testo edito da Artizzu evidenziando alcuni errori di trascrizione, ma anche le difficoltà degli amanuensi pisani che redassero il documento nel tradurre i vocaboli sardi. Perciò si è ritenuto


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opportuno predisporre un’appendice, in cui è riportata la trascrizione della fonte e l’edizione della stessa già effettuata da Artizzu.

Con questa tesi si conclude ufficialmente il mio percorso universitario: mi sembra dunque doveroso ringraziare tutti coloro che mi sono stati vicini in questi anni, e in particolar modo in questi ultimi mesi, come mia madre, mio padre, Laura, Valeria, il mio amico Mario e infine Agnese. Un sentito ringraziamento va al prof. Giuseppe Meloni che ha gentilmente accettato di essere il mio relatore; al prof. Alessando Soddu e al dott. Fabrizio Alias per la grande disponibilità e per i suggerimenti sempre utili; infine i miei ringraziamenti vanno alla direzione e a tutto il personale dell'Archivio di Stato di Sassari per la gentilezza e l'aiuto profuso durante la mia ricerca.


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1. La Nurra dalla preistoria all’età romana. Il territorio della Nurra sfugge ad una precisa delimitazione dei suoi confini. Diversi cartografi e geografi hanno cercato di dare una propria interpretazione in merito. Alberto La Marmora ha definito la Nurra la «piana compresa tra Alghero e Porto Torres»1. Più dettagliatamente, si parla di una “Nurra di dentro”, adibita alla semina e al pascolo, e di una “Nurra di fuori”, costituita dal settore collinare e montuoso occidentale, in parte ricoperto da boschi e pressoché incoltivabile2. Alberto Mori3 fornisce i seguenti limiti territoriali: l'estrema cuspide NordOccidentale della Sardegna, che si protende tra il Golfo dell’Asinara e la rada di Alghero proseguendo a settentrione sino all'isola dell’Asinara4; verso l’interno, il corso del Rio Mannu sino alla confluenza con il Rio Mascari; il mare a Sud di Alghero. Secondo questa definizione, però, i confini orientali e meridionali rimangono ancora vaghi. Oggi la Nurra è così delimitata: a Nord Capo Falcone, Porto Torres (perimetro costiero Nord-Occidentale del Golfo dell'Asinara); a Ovest Capo Falcone e Capo Caccia; a Sud Capo Caccia, la città di Alghero (comprendente le insenature di Porto Conte, Bombarde e Fertilia); a Est e a Sud-Est l’allineamento tra Porto Torres, Sassari, Monte Pedralonga, Scala Cavalli, Monte Frades, Monte Casteddu, Monte Porcu, Monte

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A. LA MARMORA, Itinerario dell'isola di Sardegna, Torino, 1860. Cfr. La Nurra. Sintesi monografica, a cura di A. Pietracaprina, Sassari, 1989. Secondo il geografo, il nome Nurra deriva con ogni probabilità dalla città romana di Nure, che nell’Antonini Itinerarium viene collocata in posizione intermedia tra Turris ed il sito attuale di Alghero; inoltre, come nota Mori, la radice nur esprime il concetto di “cumulo, mucchio”: difatti la regione appare, a chi la osserva da Sassari, come un vasto rilievo che si innalza bruscamente dalla pianura al mare: cfr. A. MORI, Le regioni D’Italia – Sardegna, Vol. 18, Torino, 1975. L’isola dell’Asinara non è compresa nei limiti territoriali della Nurra, sebbene il geografo Mori la citi espressamente, cfr. ivi, pag. 90.


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San Giuliano e Alghero5. La notevole quantità di reperti archeologici appartenenti al periodo prenuragico e nuragico testimonia un elevato sfruttamento della Nurra da parte delle popolazioni che la frequentavano (denominati da Tolomeo Lucuidonenses)6: ciò è attestato dai numerosi nuraghi presenti in corrispondenza di alture, vene d'acqua ed approdi7. Tali testimonianze, quasi totalmente assenti nella fascia più interna della Nurra, denotano un insediamento largamente diffuso sul territorio, nonché un forte sfruttamento delle potenzialità agro-pastorali della zona, oltre alla presenza di importanti qualità di minerali come piombo e carbone. Le scarsissime fonti archeologiche relative al periodo fenicio-punico ci impediscono di confermare una eventuale colonizzazione dell'area da parte di questi popoli. I reperti rinvenuti in località di Porto Conte, presso il lago di Baratz e a Turris, fanno ipotizzare un interesse insediativo per le sole zone costiere ma non attestare con certezza uno sfruttamento permanente del territorio. Diversamente, la colonizzazione della Nurra da parte dei Romani fu 5

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Così definito il territorio occupa una superficie di circa 830 Kmq entro i quali sono compresi i Comuni di Sassari, Alghero, Olmedo, Porto Torres e Stintino; inoltre le frazioni appartenenti al Comune di Sassari di La Corte, Palmadula, Argentiera, Tottubella, Campanedda, Biancareddu, La Pedraia, Baratz, Canaglia, Palmadula e Villa Assunta. Tale denominazione è tratta dalla Geografia di Claudio Tolomeo. Nel suo primo libro elenca ogni singola provincia romana e le popolazioni che abitavano la Sardegna e la Corsica in epoca romana imperiale. Cfr. G. MELIS, A. MATTONE, M. BRIGAGLIA, La Sardegna: Enciclopedia, Vol. 1, Cagliari, 1994. Basti ricordare a tale proposito la necropoli di Anghelu Ruiu nei pressi di Alghero, i recenti ritrovamenti della Grotta verde di Capo Caccia, il villaggio nuragico di Palmavera e quello di Sant’Imbenia dove sono state riportate alla luce ceramiche di importazione appartenenti alla cultura fenicia e greca. Alla “Nurra di dentro”, ovvero a quella parte più vicina a Sassari, appartiene il più grande esempio di ziqqurath in Sardegna, il Monte d'Accoddi, cfr. G. DONEDDU, Cenni storici: il popolamento del territorio tra insediamenti spontanei e colonizzazioni organizzate, in La Nurra. Sintesi monografica, a cura di A. Pietracaprina, Sassari, 1989.


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notevole. Numerosi sono i reperti archeologici relativi a questo periodo, nonché i toponimi latini che si sono conservati nel tempo. Ciò vale innanzitutto per i centri abitati, tra i quali emerge senza dubbio la colonia di Turris Libisonis fondata probabilmente intorno al I secolo d.C.; poi i centri minori, localizzabili con relativa certezza, di Carbia (sito nella costa occidentale nei pressi di Alghero), Nure (situata nelle vicinanze del Lago di Baratz), Nympheus Portus (Porto Conte), Tilium (probabilmente

l’attuale

Canaglia),

Calmedia

e

Corax

(presumibilmente l’odierna città di Alghero)8. I Romani non si limitarono ad occupare solo le zone costiere, bensì estesero la loro colonizzazione anche alle zone interne della Nurra, come ad esempio la zona mineraria che parte dall'Argentiera sino ad arrivare al Monte Forte. Per quanto riguarda la rete viaria, grazie all’Itinerarium Antonini siamo in grado di venire a conoscenza di una antica via che prende il nome di a Tibulas Sulcis, la quale partendo dal centro di Turris Libisonis giungeva in direzione di Carbia nei pressi di Alghero, percorrendo in diagonale l’intera area della Nurra e lambendo Tilium, Palmadula e Nure9. Sicuramente questa era un’arteria viaria importante la circolazione di metalli preziosi, come dimostrano gli studi archeologici e i reperti rinvenuti presso l'Argentiera e Canaglia. Altri resti di epoca romana sono segnalati presso Stintino, più precisamente nell'area delle Saline, alla sommità del Monte S. Giusta, Porto Palma (a nord 8

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Cfr. A. MASTINO, Storia della Sardegna antica, in La Sardegna e la sua storia, a cura di A. Mastino, Nuoro, 2004. Itinerarium Antonini, 5, 83, 1-85, 6 r: «Item a Tibulas Sulcis m. p. CCLX: Viniolas m. p. XII, Erucio m. p. XXIIII, Ad Herculem m. p. XXII, Ad Turrem m. p. XVIII, Nure m. p. XVII, Carbia m. p. XVI, Bosa m. p. XXV, Cornos m. p. XVIII, Tharros m. p. XVIII, Othoca m. p. XII, Neapolis m. p. XVIII, Metalla m. p. XXX, Sulcis m. p. XXX». Cfr. A. MASTINO, Storia della Sardegna antica, in La Sardegna e la sua storia, Nuoro, 2004.


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dell'Argentiera), Palmadula, Monte Casteddu (presso Campanedda), Lago Baratz, Lampiano (a nord-ovest di Biancareddu) e Fiume Santo10. Altra importante strada costruita in questo periodo, sebbene non attestata negli Itineraria, è quella chiamata a Turre Karales, l'odierna SS 131, la “Carlo Felice”, che collega Porto Torres, Sassari e Cagliari. Tra le testimonianze archeologiche di età romana nella Nurra le più significative sono quelle di Ezi Minori e Cuili Ercoli. La prima corrisponde alla località di Cuile Ezi11 e si colloca circa 4 Km a nord-est di Pozzo San Nicola, non lontano dalla costa. Qui si trova un edificio, probabilmente una villa o un impianto termale. La sua datazione è complessa: dalle tecniche edilizie sembrerebbe risalire all’età imperiale avanzata (a partire cioè dal III secolo d.C.). La località di Cuili Ercoli è ubicata alla base di Capo Falcone12 e dista 2 Km da Pozzo San Nicola in direzione nord-ovest. Qui, oltre a diverso materiale ceramico, è stato individuato un insediamento agricolo e un sarcofago. Quest’ultimo, privo di elementi decorativi, è di difficle datazione: l'archeologo Giovanni Lilliu lo colloca in un arco temporale molto ampio, compreso tra la fine del I secolo a.C. e il III secolo d.C13. Quasi nulla è possibile dire della Nurra nella lunga fase che conduce dal tardo periodo imperiale alla dominazione bizantina. La storiografia ipotizza un progressivo spopolamento del territorio e della stessa città di Turris a causa del diffondersi della malaria e delle incursioni 10

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Cfr. G. CANU, D. ROVINA, D. SCUDINU, P. SCARPELLINI, Insediamenti e viabilità di epoca medioevale nelle curatorie di Romangia e Montes, Flumenargia, Coros, Figulinas, Nurra e Ulumetu, in La civiltà giudicale in Sardegna nei sec. XI-XIII. Fonti e documenti scritti. Atti del convegno, Sassari-Usini, 16-18 Marzo 2001, Sassari, 2002, pp. 395-423. Indicata nella carta IGM F. 179 I SO – Borgata Pozzo S. Nicola. Indicata nella carta IGM F. 179 I SO – Borgata Pozzo S. Nicola. Cfr. A. TEATINI, P. BRUSCHI, Ricognizioni topografiche della Nurra/1. Indagine preliminare sugli insediamenti agricoli di età romana sul territorio di Turris Libisonis: i siti di Ezi Minori e Cuili Ercoli, in «Sacer. Bollettino della Associazione storica Sassarese», IV, 1997, pp. 95-114.


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vandaliche e saracene. In realtà, alcuni indizi farebbero supporre una situazione ben diversa: innanzitutto la presenza della cosiddetta via Grecisca segnalata da alcune fonti, la quale attraversava la zona di Alghero e quindi gran parte della Nurra; in secondo luogo, l’iscrizione di Porto Torres in cui si celebra la vittoria contro aggressori esterni; infine l’edificazione, secondo quanto riporta il Condaghe di San Gavino avvenuta intorno all'anno Mille, della basilica dedicata al martire e patrono, edificata proprio durante l’epoca a cui si riconduce il presunto abbandono della città marittima14.

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Secondo alcuni studiosi l’invasione vandalica nella Sardegna settentrionale portò la città di Turris, nei secoli V e VI d.C., a un nuovo periodo di splendore economico; inoltre proprio al V sec. si datano i resti di una piccola basilica a tre navate rinvenuta nel sottosuolo della chiesa di S. Gavino, che divenne poi il fulcro del villaggio medievale. Cfr. A. CASTELLACCIO, Porto Torres, da colonia romana a capitale di un regno, Porto Torres, 2010.


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2. La Nurra nel Medioevo.

2.1 L'età giudicale. Grazie ad alcune fonti e soprattutto ai condaghes (registri patrimoniali di enti laici ed ecclesiastici), sappiamo che tra i diversi distretti amministrativi (curatorìas) che componevano il giudicato di Torres vi era anche quello della Nurra. I condaghes di San Pietro di Silki e San Nicola di Trullas documentano il nome di uno dei curatores del distretto nurrese, Ithocor de Athen, che compare in diversi atti databili al secondo quarto del XII secolo15. Il territorio era particolarmente ricco di villaggi, soprattutto in continuità con i siti di epoca romana, grazie alla presenza di abbondanti zone pianeggianti relativamente fertili, di numerosi corsi d’acqua, stagni, saline e miniere che favorivano sicuramente le più importanti attività produttive16. Non tutti questi centri sorsero per iniziativa spontanea degli abitanti del luogo, ma furono l’esito di una “colonizzazione” pianificata dai giudici e

dai

majorales

turritani

(coloro

i

quali

presenziavano

all'amministrazione della giustizia all’interno della curatorìa, tra i quali figurano i sopracitati De Athen, i De Thori, i De Gunale ecc.) in favore degli ordini monastici benedettini, di importanti esponenti delle 15

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Cfr. G. BONAZZI, Il condaghe di S. Pietro di Silki, Sassari, 1900; P. MERCI, Il condaghe di San Nicola di Trullas, Sassari, 2001. I villaggi in questione sono: Abbaja (F. 179 II SO), Baratz o Ecclesia S. Jorgiu de Barake o ancora Oppidum Baracis (F. 179 II SO), Casteddu (F. 179 II SE), Due Nuraghi o Villa Duos Nurakes (F. 179 I SO), Ercoli o Curia Herailo (F. 179 I SO), Esse (F. 179 II NO), Issi (F. 179 I SO), Locu o Curia de Loco (F. 179 II NO), Orulesse (F. 179 II NO), San Simplizzu o Castello Essella (F. 179 I SO), Santa Giusta o Curte Erio (F. 179 II NO), Trana o Curia Subiana (F. 179 III NE), Ussi (F. 179 II NO). Cfr. A. TERROSU ASOLE, L'insediamento umano medievale e i centri abbandonati tra il sec. XIV ed il sec. XVII. Supplemento al fascicolo II dell'Atlante della Sardegna. Roma, 1974, pp. 3-6.


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famiglie più in vista di Pisa e Genova e dell’Opera di Santa Maria di Pisa. Con un atto emanato il 18 marzo 1082 il giudice Mariano I di Torres elargì in favore del vescovo e dei canonici di Santa Maria di Pisa la chiesa di San Michele di Plaiano «cum tota pertinentia sua», che in un secondo

momento

sarebbe

passata

in

possesso

dell'ordine

Vallombrosano, aprendo di fatto la strada per l'espansione della potenza pisana nel regno di Logudoro17. Ciò che interessa in questa sede sono le pertinenze: oltre alle chiese di Santa Maria di Sennori, Santa Anastasia di Tissi e Sant'Eugenia di Muscianu, vi era infatti una chiesa situata nella Nurra, quella di San Simplicio di Essala, conosciuta anche col nome di Ecclesia de Nurra18. Queste chiese erano riccamente dotate di vasti beni fondiari (terre arative, saltos, vigne), ma anche di bestiame e soprattutto di servi e ancelle addetti alle opere agricole: essi avrebbero dovuto riservare le loro prestazioni esclusivamente alle sole chiese da cui dipendevano; inoltre venivano esonerati dal prestare i consueti servizi al fisco (regnum), al peculiare del giudice, agli amministratori locali (curatores, armentarios, maiores de scolca) e avevano licenza di cacciare senza l’obbligo di versare parte della selvaggina al giudice. La scomparsa dell'edificio ecclesiastico intitolato a San Simplicio rende difficile il tentativo di localizzare con precisione la curtis di Essala, anche se gli studi hanno chiarito da tempo come si tratti di un’area prossima all’attuale frazione di Pozzo San Nicola19. 17

18

19

Cfr. A. SODDU, Un documento pontificio sui beni dell’abbazia Vallombrosana di S. Michele di Plaiano in Sardegna (1176), in «Quaderni Bolotanesi», XXXVIII, 2012, pp. 133-143. Il documento del 1082 riporta la seguente dicitura: «ecclesia de Nurra videlicet sanctii Simplicis de Essala». Cfr. F. ARTIZZU, L’Opera di Santa Maria di Pisa e la Sardegna, Padova, 1974. Cfr. P. TOLA, Codex Diplomaticus Sardiniae, I, in “Historiae Patriae Monumenta”, vol., X, Torino, 1861, p. 811; G. F. FARA, Geografia della Sardegna, a cura di P. Secchi, Sassari, 1978,


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Tra le fonti archivistiche che meglio testimoniano l'insediamento degli ordini monastici nel regno di Torres va senz'altro menzionato il condaghe di San Pietro di Silki (oggi conservato presso la Biblioteca Universitaria di Sassari): registro patrimoniale dell'omonimo monastero femminile, che contiene atti relativi ai secoli XI-XIII. All’interno di questa fonte è possibile rintracciare alcuni documenti che riguardano strettamente il territorio della Nurra, come nel caso dell’abbazia cassinese di San Pietro di Nurki20. Non ancora localizzato attraverso resti materiali, l’edificio doveva sorgere presso l’attuale borgata di La Corte. Le notizie più antiche sono datate ai primi decenni del XII secolo, più esattamente nell'anno 1117, quando il donnikellu Gonnario de Laccon fece costruire le chiese di San Nicola di Nulvi, Sant'Elia di Sedini e quella, appunto, di San Pietro di Nurki; tre anni più tardi lo stesso Gonnario affiliò la chiesa di S. Pietro di Nurki al monastero di Montecassino, insieme a quelle di S. Nicola di Nulvi, S. Elia di Sedini, S. Giovanni e S. Pietro di Nulvi. Tale donazione venne confermata ai Cassinesi dal papa Callisto II nello stesso anno, poi riconfermata una seconda volta nel 1122. All’abbazia di Nurki venne affiliata nel 1134 la chiesa di San Giorgio

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pp. 113-115; G. SPANO, Vocabolario patronimico ed etimologico, Cagliari, 1972, p. 49; V. ANGIUS, Geografia, Storia e Statistica dell'isola di Sardegna, in G. CASALIS, Dizionario Geografico Storico-Statistico-Commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, Torino, 18331856, p. 317; J. DAY, Villaggi abbandonati in Sardegna dal Trecento al Settecento. Inventario, Parigi, 1973, p. 117; A. TERROSU ASOLE, L'insediamento umano medioevale e i centri abbandonati tra il sec. XIV e il sec. XVII, supplemento al fascicolo II dell'Atlante della Sardegna, Roma, 1974, p. 50; F. C. CASULA, Giudicati e Curatorie, in Atlante della Sardegna, fascicolo II, a cura di R. Pracchi, A. Terrosu Asole, Roma, 1980, p. 107; R. CAPRARA, D. ROVINA; Carta del territorio in età altomedioevale e medioevale, in AA. VV., Sassari le origini, Sassari, 1989, fig. a p. 79; G. F. ORLANDI, Thathari pietra su pietra. La città di Sassari dalle origini al XIII secolo, Sassari, 1985, pp. 55-59; A. SODDU, Ricognizioni topografiche nella Nurra\2. L’incastellamento medioevale. Indagine preliminare, in «Sacer. Bollettino della Associazione storica Sassarese», IV, 1997, pp. 115-124. Cfr. G. BONAZZI, Il condaghe di San Pietro di Silki, Sassari, 1900, p. 194.


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di Barake, situata presso il lago naturale di Baratz. Questa assegnazione non fu priva di conseguenze. Infatti l'anno successivo l’arcivescovo di Pisa Uberto, legato pontificio in Sardegna, intervenne al concilio di Ardara per appianare una disputa sollevatasi tra la Chiesa di San Gavino di Torres, che ne rivendicava la proprietà, insieme a quella di Santa Maria di Gennor (presso Sennori), confluita anch'essa nelle mani dell'abbazia cassinese, e i monaci di S. Pietro di Nurki. Il verdetto segnò una soluzione utile ad entrambi: San Giorgio di Barake e Santa Maria di Gennor sarebbero rimaste in possesso di San Pietro di Nurki, ma quest’ultimo avrebbe dovuto versare alla chiesa di San Gavino un censo in occasione della venuta del legato pontificio in Sardegna pari a una libbra d’argento più venti soldi21. Nel 1147 il giudice di Torres Gonnario soggiornò presso il monastero di Montecassino durante il suo viaggio in Terra Santa e qui confermò tutte le donazioni effettuate ai Cassinesi dai tempi del giudice Barisone. Numerose sono dunque le fonti documentarie che attestano l'esistenza dell'abbazia di Nurki, a fronte di una totale assenza di reperti archeologici. Solo al periodo catalano-aragonese (XIV secolo) risalgono invece le attestazioni dell’esistenza dell’omonimo centro abitato. Nel 1131 il giudice Gonnario effettuò diverse donazioni in favore dell'Opera di Santa Maria di Pisa, istituzione che affondò le sue radici in Sardegna. L’Opera era l'ente responsabile della costruzione e 21

Nella prima metà del XII secolo la chiesa di Nurki divenne priorato poiché i giudici di Torres assegnarono alla curatorìa dell’Anglona la chiesa di Santa Maria di Tergu, dotata di più ampie estensioni terriere, elevandone di fatto la sua importanza; così, forse grazie a questo ridimensionamento, nel 1170 i priori di Nurki furono sciolti dall'obbligo di versare il censo dovuto alla chiesa di San Gavino in occasione della venuta del legato pontificio: cfr. A. SODDU, Sulla localizzazione dell’abbazia cassinese di S. Pietro di Nurki, in «Sacer. Bollettino della Associazione storica Sassarese», VI, 1999, pp. 101-123.


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manutenzione del Duomo, del Campanile e del Camposanto di Pisa. Si ipotizza che questa organizzazione nacque in coincidenza con l’inizio dei lavori per la costruzione della chiesa monumentale dedicata a Santa Maria (1063 circa). Nel corso del XII secolo acquistò una vera e propria personalità giuridica passando nelle mani del Comune pisano, pur rimanendo sempre sotto la sua veste di istituzione ecclesiastica. Non mancarono scontri aperti tra il clero e l'organizzazione civile: si pensi che nel 1105 l’Opera veniva gestita da quattro operarii, uomini appartenenti alla sfera laica incaricati di tutelare ed amministrare i proventi ricavati. Da questo momento in poi le sue fortune andarono di pari passo con quelle della potenza pisana. L’Opera ricevette diverse donazioni in Sardegna, in tutti e quattro i giudicati, anche se la maggior parte del suo patrimonio era situato nel Cagliaritano, così come è ben documentato da una serie di inventari compilati tra il 1270 e il 133922. Tornando alla donazione del 1131, i beni ceduti all’Opera da Gonnario riguardavano principalmente proprio la Nurra: le curtes di Castello e di Erio23 con le rispettive saline, acque, fiumi col diritto di pesca, terre e vigne, bestiame grosso e minuto, cinquanta servi24, oltre ai saltos di Castello e Molino, nelle cui vicinanze doveva trovarsi appunto la curtis di Erio, con l'omonimo stagno e al suo interno anche una riserva 22

23

24

Cfr. R. BROWN, L’Opera di Santa Maria di Pisa e la Sardegna nel primo Trecento, in «Bollettino Storico Pisano», LVII, 1988, pp. 157-209. Da un atto del 1131 si legge: «Ego Judice Gonnari de loco qui dicitur Turri...dono, trado et concedo opera ecclesiae Dei et sancta et Virginis Mariae Archiespiscopatus Pisane civitatis una curte nominatur Castello et Erio et nominetur ibi Nurra...». Cfr. P. TOLA, Codex Diplomaticus Sardiniae, I, in “Historiae Patriae Monumenta”, vol. X, Torino, 1861-68, pp. XII-XL. L’atto continua così: «…cum quinquaginta servos et cum omnibus suis substantiis et pertinentiis, terris et vineis, montis et planis, agrestis et domesticis, saltis et pascuis, et aquis et ripis aquarum et piscationibuset cum omnes bestias silvaticas et domesticas, scilicet porcos et vaccas, equos et pecoras et capra quibuscumque ad predictas curtes pertinent, vel pertinebunt...». Cfr. P. TOLA, Codex Diplomaticus Sardiniae, I, in “Historiae Patriae Monumenta”, vol. X, Torino, 1861-68, pp. XII-XL.


18

d'acqua

chiamata

Piscina.

L’Opera

ottenne

anche

il

saltu

dell'Argentiera con relative pertinenze ed altre terre minori oltre i confini della curatorìa nurrese25. Come dichiarato nello stesso documento, si trattava di una ricca donazione, una delle tante che i giudici turritani elargirono in favore di potenze esterne, contribuendo ad alienare progressivamente il patrimonio demaniale del giudicato. Quest’atto fu però anche un segno di riconoscenza del giudice nei confronti dei Pisani, i quali lo aiutarono ad impossessarsi del regno del Logudoro durante i violenti scontri fomentati dai Genovesi dopo la morte di Costantino I, avvenuta nel 1127. L’Opera di Santa Maria di Pisa incrementò il proprio patrimonio nella Nurra anche per mezzo di acquisti. Con atto datato 31 luglio 1145, i coniugi Cane e Pisana, figlia di Costantino de Athen, cedettero a titolo oneroso a Giovanni, fidelis della Chiesa di Santa Maria, la curtis di Tunove situata nella curatorìa della Nurra con relative spettanze: beni mobili e immobili, servi e ancelle, animali, orti, vigne, terre coltivate ed incolte, boschi, pascoli, saline e paludi. Il delegato pisano versò ai coniugi un anello d’oro pari al valore di 200 soldi, impegnandosi a prendere possesso della proprietà entro un anno e a corrispondere un'ulteriore somma aggiuntiva qualora ai beni fosse stato riconosciuto

25

«...et cum saltu de Castello et cum saltu de Mulinu et cum Flumen de Flume Sancto et cum abba de piscina, et cum saltu de Erio et Fretu et cum lacu de Erio, qui sunt saline...Idem dono et trado...montis qui dicitur Argentei, cum omnibus suis pertinentiis, et cum usibus, tam de silvis, quam et de pascuis, et aquis, montis et planis, agrestis et domesticis, et terras et vineas quibuscumque, vel qualicumque modo per dictum montem abuit...». Cfr. P. TOLA, Codex Diplomaticus Sardiniae, I, in “Historiae Patriae Monumenta”, vol. X, Torino, 1861-68, pp. XIIXL. Menzione delle saline si trova anche nel Condaghe di San Pietro di Silki: cfr. G. BONAZZI, Il Condaghe di San Pietro di Silki, Sassari, 1900, pag. 62, doc. 269.


19

un valore superiore a quello precedentemente fissato26. Nel XIII secolo una parte della Nurra divenne proprietà della potente famiglia dei Doria. La casata genovese estese in maniera esponenziale i propri domini nel giudicato logudorese già a partire dal XII secolo grazie ad una accorta politica matrimoniale fondata sull’unione tra Andrea Doria con Susanna de Lacon, figlia di Barisone II di Torres. I legami di parentela con i giudici turritani si rafforzarono ulteriormente quando Giorgia, figlia di Comita giudice di Torres, sposò Manuele Doria. I diritti ottenuti per via matrimoniale o tramite semplici donazioni permisero alla casata ligure di aumentare il loro patrimonio in terra sarda, sino a poter edificare nel territorio le loro prime fortificazioni. Ci si riferisce in particolare al castrum costruito nel 1238 nei pressi del porto di Torres, struttura oggi scomparsa, probabilmente distrutta dalle guerre del secolo successivo che videro opposti la città di Sassari e i Catalano-Aragonesi. Tuttavia, più che di un vero e proprio castello doveva trattarsi di una torre portuale27. La vera e propria fase di “incastellamento” si aprì solo dopo la fine del giudicato di Torres, da collocare negli anni ’60-’70 del XIII secolo. A Barisone Doria è attribuita l’edificazione, prima del 1282, del castello di Mondragone, successivamente occupato dalle forze pisane (i Genovesi lo reclamarono nella pace del 1288 dopo la battaglia vinta dalla flotta ligure nella Meloria) e per questo ribattezzato Castelpisano. Dovrebbe trattarsi dell’attuale sito di Monteforte e più precisamente del picco nominato Rocca di la Bagassa, dove ancora oggi è possibile

26 27

F. ARTIZZU, L'Opera di Santa Maria di Pisa e la Sardegna, Padova, 1974. Cfr. A. CASTELLACCIO, Porto Torres, da colonia romana a capitale di un regno, Porto Torres, 2010.


20

notare evidenti tracce della fortificazione28. Qui è stata rinvenuta un’iscrizione datata 1274, oggi conservata presso il Museo Archeologico “G.A. Sanna” di Sassari, che testimonia dell’avvenuta conquista del castello da parte del giudice di Arborea Mariano II, alleato dei Pisani. Dopo la vittoria della Meloria (1284) e il successivo trattato di pace tra Pisa e Genova (1288), i Doria riuscirono a recuperare il pieno controllo dei propri domini nella Nurra e nel resto del Logudoro.

2.2 L’età catalano-aragonese. Nell'aprile del 1297 il pontefice Bonifacio VIII istituì il Regno di Sardegna e Corsica, che infeudò al sovrano aragonese Giacomo II per risolvere la questione della guerra del Vespro in Sicilia. Prima di intraprendere l’azione bellica per entrare in possesso del regno, gli Aragonesi avviarono lunghe trattative diplomatiche con chi deteneva giurisdizioni nell’isola: Doria, Malaspina, Comune di Sassari, giudicato di Arborea, Donoratico, Comune di Pisa. Nel 1308 Brancaleone Doria e suo figlio Bernabò stipularono un'alleanza con il sovrano catalanoaragonese ottenendo così l'investitura feudale dei propri possedimenti in terra sarda: tra questi domini era inclusa anche la Nurra. Tuttavia i Catalano-Aragonesi, non avendo ottenuto un risultato definitivo attraverso la diplomazia, iniziarono le operazioni militari contro i Pisani per la conquista del regno nel 1323. Ma i problemi sorsero ben presto con gli stessi alleati. Infatti, già nel 1325 la città di 28

Cfr. A. SODDU, Ricognizioni topografiche nella Nurra/2. L’incastellamento medioevale (indagine preliminare), in «Sacer. Bollettino della Associazione storica Sassarese» VI, 1999, pp. 101-123.


21

Sassari si ribellò contro la presenza catalana (seguirono diversi scontri negli anni): i cittadini, stanchi dei continui soprusi da parte delle autorità regie, in particolare del governatore del regno Berenguer Carròs, uccisero prima il podestà catalano, infine riuscirono a formare un esercito e a portare avanti una battaglia contro l'esercito aragonese. Ai Catalani si ribellarono anche i Doria e i Malaspina, i quali sentivano minacciate le loro terre da una possibile conquista; ed anche il clero isolano rese noto il suo malcontento circa il tentativo di “colonizzazione”

delle

istituzioni

ecclesiastiche

da

parte

dei

conquistatori. Tali scontri portarono alla cattura di due grandi esponenti della casata ligure, ossia Branca Doria e suo fratello Vinciguerra, giustiziati a Sassari nel 1324. Gli iniziali buoni rapporti tra la Corona e i Doria si rivelarono quindi fragili ed effimeri. Le battaglie proseguirono per tutta la prima metà del XIV secolo sino a sfociare nello scontro presso Aidu de Turdu del 1347, sfavorevole alle truppe catalano-aragonesi. A peggiorare ulteriormente la situazione vi fu l’arrivo della peste l’anno seguente. Dopo una breve pace tra le due fazioni, la guerra infuriò ancora più cruenta col diretto intervento del Comune di Genova a fianco dei Doria. Nell’estate del 1349 il re d’Aragona Pietro IV ordinò al governatore Riambau de Corbera di confiscare le terre dei Doria e di assegnarle ai suoi feudatari. La Nurra fu pienamente investita da questi eventi. Le continue guerre, l’incombenza della peste e delle carestie portarono all'abbandono di numerosi centri abitati. Nel secondo quarto del Trecento si contano tra quelli abbandonati: Castello, Essela, Donoragis, Ora, Usso, Issi, Ochae, Giliti, Uralesso, Nurqui e Vilturro. Restavano solamente abitati i villaggi di Suyana - la cui chiesa intitolata a San Giovanni (toponimo


22

conservatosi a tutt’oggi) fungeva anche da pieve, cioè era ivi possibile battezzare i fedeli e fornire loro una sepoltura - il villaggio di Erquilo e quelli di Esse e Locu, sebbene quest'ultimo già allora doveva essere scarsamente popolato29. Grazie ad un censimento fiscale aragonese del 1358 siamo in grado di avere notizie più attendibili riguardo la densità della popolazione della Nurra30. Il documento riporta i nomi dei villaggi pervenuti nelle mani degli esponenti della feudalità catalano-aragonese, tra i quali Gilabert de Montbrù, Otger de Malleó e gli eredi Ramon de Montpaó: al primo spettavano i villaggi di Suyana, Occahe, Giliti, Uralosso; al secondo Erquilo, Castello, Essella, Donoragues, Nurqui e Ultero; infine ai terzi Esse, Loguo, Usso ed Issi col relativo stagno. La fonte offre importanti informazioni circa il numero degli abitanti dei centri citati, il valore economico e le cause dello spopolamento. Gli unici villaggi abitati nella Nurra erano la sola villa di Esse, che contava tra le diciotto e venti famiglie e versava un’imposta di 25 lire; Suyana con le sue rispettive dieci famiglie era tenuta a corrispondere un’imposta di 10 lire; infine Erquilo in cui erano presenti otto casades di cui però non viene indicato il valore economico. Risultavano quindi disabitate le località di Loguo, Usso, Issi (sebbene il suo stagno rendesse alle casse aragonesi 10 lire), Occahe, Giliti, Uralosso e Castello, che insieme ad Essella, Duos Nuraghes, Nurgui ed Ultero risultavano spopolate a 29

30

Cfr. A. SODDU – F. ALIAS, La Nurra nel basso medioevo, in Stintino tra terra e mare, Atti del convegno di Studi (Stintino, Sala Consiliare - 4 settembre 2010), a cura di S. Rubino e E. Ughi, Stintino, 2011, pp. 51-74. Cfr. P. BOFARULL Y MASCARÓ, Repartimientos de los reinos de Mallorca, Valencia y Cerdeña, in “Collección de documentos inéditos del Archivo de la Corona de Aragón”, tomo XI, Barcelona, 1856, pp. 820, 831, 832. Cfr. a tale proposito: A. SODDU, Sulla locazione dell’abbazia cassinese di S. Pietro di Nurki, in «Sacer. Bollettino della Associazione storica Sassarese», VI, 1999, pp. 101-123; ID., Ricognizioni topografiche nella Nurra/2. L’incastellamento medioevale (indagine preliminare), in «Sacer. Bollettino della Associazione storica Sassarese», IV, 1997, pp. 115-124.


23

causa della guerra. Questa fonte può essere confrontata anche con con un altro documento fiscale del 1363-136431, il quale offre un'ulteriore descrizione circa la popolazione dei villaggi di Erquilo e Suyana, entrati a far parte del feudo del governatore Pere Albert nel 1364 per volontà del sovrano d’Aragona; nella fonte sono riportati i nomi dei capifamiglia dei villaggi e i relativi obblighi fiscali: così sappiamo che nel 1363 a Suyana risiedevano diciotto uomini, i quali versavano alle casse regie 11 lire e 15 soldi; ad Erquilo invece, si contavano sei uomini, per un valore fiscale di 5 lire e 8 soldi. Sono riportati anche i dati relativi alla quantità di sale estratto dalle saline di proprietà aragonese nella Nurra: nel 1363 venivano estratti ben 165 rasieri di sale. Un’altra notizia, infine, è quella che riguarda la registrazione delle maquìcies, ovvero le multe riscosse dai reati compiuti dagli abitanti di cui viene riportato l’ammontare della pena pecuniaria, la descrizione del reato ed il nome dei colpevoli. Particolarmente interessante è la presenza di esponenti della casata Doria (Andrea e Guglielmo) nella villa di Suyana, che risulta in questo periodo la località maggiormente abitata della Nurra. La ripresa della guerra nel 1365, questa volta tra i Catalani e gli Arborea, non fece che peggiorare il quadro demografico del territorio.

31

ACA, Real Patrimonio, Maestro Racional, Reg. 2100, cc. 10v, 11v, 12r, 28r: cfr. F. ALIAS, Le rendite del Logudoro nel tardo medioevo: analisi dell’amministrazione catalano-aragonese negli anni 1363-1364, Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Sassari, 2003-2004.


24

3. La Nurra in una fonte del 1339. La fonte documentaria che abbiamo scelto di analizzare è un inventario dei beni posseduti dall’Opera di Santa Maria di Pisa in Sardegna compilato nel 1339, già edito e analizzato da Francesco Artizzu32 e di cui abbiamo proposto una nuova trascrizione relativamente alla parte che interessa direttamente la Nurra. All'epoca della redazione del documento, nonostante la conquista dei Catalani, rimanevano invariati i possedimenti in terra sarda di alcune famiglie pisane e soprattutto dell'Opera del Duomo. Ciò può essere spiegato tenendo presente una clausola del trattato di pace stipulato nel 1326 tra l'infante Alfonso e i Pisani in cui si esplicita l'impossibilità da parte del sovrano di alienare i beni posseduti dall'istituzione toscana33. Del resto, nello stesso inventario si rileva la presenza di feudatari catalani, possessori di beni appartenenti in precedenza ai Doria: è il caso del catalano Gallardo de Malleó, il quale possedeva nella Nurra una terra che fu proprietà di Branca di Nurra e Vinciguerra Doria. All'interno della fonte sono minuziosamente descritti i confini di quelli che dovevano essere i possedimenti dell’Opera sin dai tempi del giudice Gonnario di Torres. Nella trascrizione di Artizzu si notano alcuni errori che rendono talvolta difficile la comprensione dello stesso documento. Le difficoltà risalgono tuttavia agli stessi scrivani pisani, che probabilmente senza nessuna familiarità con la realtà sarda e tantomeno con i toponimi che erano tenuti a trascrivere hanno compilato l’inventario attingendo da 32

33

Cfr. F. ARTIZZU, Un inventario dei beni dell’Opera di Santa Maria di Pisa (1339), in «Archivio Storico Sardo», XXVII, 1961, pp. 63-80. Cfr. P. TOLA, Codex Diplomaticus Sardiniae, I, in “Historiae Patriae Monumenta”, vol. X, Torino, 1861-68, pag. 680, doc. XXXII.


25

testi per loro estremamente complessi da capire. Probabilmente si trattava di documenti redatti in sardo, in cui la descrizione delle proprietà fondiarie e dei relativi confini ricorda quella di molte schede dei condaghes. Inizialmente si fa riferimento a quanto posseduto nelle terre un tempo di Branca di Nurra e di Vinciguerra Doria, poi pervenute al catalano Gallardo de Malleó: una curtis con tre case, una delle quali di grandi dimensioni, più due serve di cui conosciamo anche il nome: Suçanna de Corchii e sua figlia Verra. Vengono poi le due curtes o curie di Castello e Orgui/Orgiu, concesse in dotazione insieme alle rispettive pertinenze all’Opera di Santa Maria dal giudice di Torres Gonnario. La località di Castello compare nella toponomastica odierna (Casteddu) in coincidenza della borgata di Pozzo San Nicola (presso Stintino); di difficile interpretazione è invece il toponimo Orgui/Orgiu giacché non viene indicato in nessun’altra fonte documentaria; tuttavia grazie ai numerosi indizi di carattere topografico che compaiono nell’atto stesso e ad alcune considerazioni di carattere linguistico è plausibile ritenere che la località di Orgui/Orgiu corrisponda alla già citata curtis di Erio donata insieme a quella di Castello da Gonnario nel 1131, e che questa fosse ubicata in prossimità dello stagno Li Puzzinosi. Questo si spiega in base ad un noto fenomeno della linguistica sarda, secondo il quale il nesso “ri” dei vocaboli latini e sardi dei secoli XI-XII si trasforma in “rg” (es. Varius>Vargiu; Corium>Corgiu ecc.): per il concorso della corruzione grafica e della trasformazione fonetica si è passati così da Eriu a Ergiu/Orgiu. Il documento prosegue con la minuziosa descrizione dei limiti


26

territoriali del saltu di Castello, dove peraltro Vinciguerra Doria aveva fatto edificare una villa che aveva lasciato in testamento all'Opera di Santa Maria. La prima località che viene indicata è il locum di Sa Vangiargia. Oggi questo nome di luogo è scomparso e non più reperibile nella cartografia. Il toponimo corrisponde chiaramente a bandzarza o bangiargia, termini che hanno origine dalla parola logudorese bandzu (“bagno”), relativo cioè a luoghi con sorgenti, specialmente con riferimento a quelle termali34. Come già accennato, nella stessa zona si trova il sito archeologico di Cuile Ezi, presumibilmente

un

impianto

termale.

Possiamo

quindi

ragionevolmente ipotizzare che la località di Sa Vangiargia fosse situata in prossimità dello stesso sito. Nelle vicinanze però vi sono alcune sorgenti, poco distanti tra loro: Pozzo San Nicola, situata nell'omonima località, e quella di Lunestras nella Badde d'Issi. Non bisogna quindi escludere l'ipotesi che Sa Vangiargia potesse trovarsi in quest’area. Superato il torrente, si raggiunge il confine di Codas Pactu, toponimo che indica un territorio dalla conformazione allungata e stretta, oppure la parte finale di un luogo35. Il limite territoriale prosegue lambendo la strada per Domo Rades. Con ogni probabilità di tratta di un’errata trascrizione dello scrivano pisano per Donoraghes, toponimo che rinvia alla località ancora esistente di Duos Nuraghes, a poca distanza da Pozzo San Nicola. Si prosegue poi sino ad arrivare ad un locum chiamato Monteculum de Curatores (monteculum “piccolo monte”, da cui il sardo monticlu), dove è chiaro il riferimento ai 34 35

Cfr. V. TETTI, I nomi di luogo. Quarta dimensione della Sardegna, Nuoro, 2001. Il Wagner nel suo Dizionario etimologico sardo fa risalire tale termine dal sardo antico koda, koa che si riferiva a “quella parte di una regione che termina con una stretta vallata o gola”, oppure “fine”: cfr. M. L. WAGNER, Dizionario Etimologico Sardo, I-III, Heidelberg 1960-1964.


27

curatores di età giudicale. Da qui si giunge al Monteculum de Manichella e successivamente si arriva ad una curtem (ossia una struttura produttiva) omonima. Il termine Manichella può derivare da diversi lemmi: dal logudorese manca o mancosu che significa “mancino”; o da maniga ovvero “manica”. A Sud di Pozzo San Nicola è situata la località di Mancineddu36 posta proprio in prossimità di un’altura; possiamo così ipotizzare che il toponimo citato nella fonte possa riferirsi a tale luogo, anche se solamente le ricerche archeologiche potrebbero confermare la presenza di una zona produttiva in quest’area. Si prosegue sino alla strada di Cardosa (chiaro il riferimeno al cardo e ai cardeti)37. Seguendo il ruscello si gira sino ad arrivare alla curtem nominata Malina de Nurache Donnilo38; oggi non rimane nessuna testimonianza riguardo questa località, ma possiamo supporre che si trovasse in prossimità di un nuraghe. In questa area specifica erano presenti nelle carte di fine Ottocento i nuraghi di Casteddu, Lunestras, San Nicola, Paraonessa e Ercoli, tutti poco distanti tra loro. Superato tale limite territoriale si sale verso Serra, riferibile forse a un toponimo preciso o semplicemente al significato di “crinale di un monte”. Si procede poi sino ad arrivare ad Petram de via de Yssi. Il termine petram si riferisce forse ad un cippo confinario: nel medioevo si era infatti soliti utilizzare dei massi, collocati dagli agrimensori (spesso servi), che servivano appunto per delimitare un confine39, in questo caso quello della località di Issi. Superato questo 36 37 38

39

IGM 25.000. Cfr. V. TETTI, I nomi di luogo. Quarta dimensione della Sardegna, Nuoro, 2001. Si noti che Artizzu trascrive Malina de Nurache Donnico, condizionando a sua volta studiosi come Tetti nell’interpretazione del toponimo, e collegandolo a dònnicu, ossia “del signore”. Cfr. A. MASTINO, La romanità della società giudicale in Sardegna, in AA.VV., La civiltà giudicale in Sardegna nei secoli XI-XIII, Sassari, 2001.


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punto bisognava dirigersi verso la Padule de Ginistros, ossia l’odierno stagno di Lunestras, situato a pochi chilometri a nord di Pozzo San Nicola. Si entra così in una pianura e la si attraversa sino a giungere ad Vadiola de Cordula. Il termine Vadiola deriva da bardia, baldia ovvero “guardia” o “posto di guardia”. Questo toponimo è rimasto in uso soprattutto presso cime di rilievi dominanti, dove erano sistemati i presidi contro eventuali incursioni esterne; in seguito la voce ha finito per indicare alture sopraelevate. Il lemma còrdula invece richiama in modo esplicito le interiora di pecora: proprio osservando la conformazione montuosa che si trova nella località di Guardia Secca, in direzione Nord Est rispetto a Pozzo San Nicola, si può notare come questa rispecchi esattamente le sembianze delle interiora animali. A conferma di ciò nel documento viene immediatamente citato il toponimo di Petram Siccham, il quale con ogni probabilità si riferisce all'odierno Guardia Secca. Una volta superato il crinale del monte si giunge alla strada che porta a Dorgini, toponimo probabilmente da leggere d’Orgini/d’Orgium, ossia la stessa località di Erio/Orgiu. Successivamente si arriva alle mura de Terra Rubin, microtoponimo ancora presente, sebbene si sia tramutato in Terralbinu Rubiu e si trovi a Nord di nuraghe Lunestras. Si arriva così al Campum Vargium de Nothei, località oggi scomparsa40. Si transita poi nella strada che porta ad Erchilo, oggi conosciuta come località Ercoli. Si procede in direzione della crucem de Castello, probabilmente una croce in pietra posizionata come indicazione stradale oppure per segnalare l’inizio di una proprietà appartenente ad una chiesa. Non è peraltro da escludere 40

Virgilio Tetti segnala come il termine vargium sia solitamente attribuito a terreni impermeabili all’acqua che restano umidi in superficie, mentre sotto rimangono quasi asciutti: V. TETTI, I nomi di luogo. Quarta dimensione della Sardegna, Nuoro, 2001, ad vocem.


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che crucem indichi un’intersezione delle due strade, come quelle situate nell'odierna borgata di Pozzo San Nicola, le quali assumono per l'appunto una forma a croce. Da qui si avanzava in direzione di Dalastrum (leggi d’Alastrum), che ritengo possa riferirsi alla località di Agliastroni, segnalata in prossimità dell'odierna Duos Nuraghes nella mappa di fine Ottocento conservata presso l'Archivio di Stato di Sassari. Da qui in avanti, infatti, si percorre la via che porta a Duos Nuraghes sino ad arrivare alla crucem de Lati, presumibilmente un’altra indicazione stradale oppure, come ipotizzato poco sopra, un’intersezione a croce di due strade; il toponimo Lati è oggi scomparso. Si giunge nuovamente alla località di partenza ovvero Sa Vangiargia (erroneamente trascritto da Artizzu come Sanctam Giorgiam). Il documento prosegue con la descrizione dei confini del saltu di Molino acquisito dall'Opera di Santa Maria sempre grazie alla donazione effettuata dal giudice Gonnario. Il toponimo Molino è oggi reperibile in cartografia nell’area di La Crucca nell’agro di Sassari: qui esiste una località chiamata Badde Molino, ma i limiti territoriali descritti nel nostro documento fanno riferimento quasi certamente a un’altra zona, ossia all'estrema area Occidentale della Nurra, come si può dedurre da alcuni nomi di luogo localizzabili con certezza. Il confine inizia da Agari de Gardu di cui nulla sappiamo, ma che viene ripreso alla fine della descrizione come Agitu de Gardu. Il termine Agitu deriva dal sardo aidu - che significa “adito”, “passaggio”, “valico” - mentre la parola gardu deriva da bardu ossia “cardo”. Si potrebbe anche prendere in considerazione la possibilità che quest’ultimo lemma sia stato trascritto dagli scrivani pisani in maniera


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errata e che gardu fosse in realtà gargu, “burrone”, “gola”. Percorso questo passaggio si arriva sino al Cuccurum de conventu, ovvero il “cuccuzzolo del convento”, in corrispondenza della località oggi chiamata Monte di Cheggia. Superata questa altura si passa attraverso tre ianuas (“porte”, ma anche “valichi montani”), rispettivamente di Vallebona, Gualpargios e Molino, delle quali non abbiamo nessuna notizia circa la loro localizzazione. Il confine prosegue giungendo al Cuccurum de Vulnares de Sinana, un’altra piccola vetta in cui era presente un recinto: il termine Vulnares è un’errata grafia degli scrivani pisani per vulvares, “recinti” o “tancati custoditi per buoi”; stesso discorso vale per il secondo toponimo, Sinana, da leggersi Suiana. Si tratta del villaggio già conosciuto di Suyana, citato numerose volte in storiografia e solitamente collocato presso al fiumicello che versava in Capo-Negretto. Nulla si sa invece su Socita e sulla valle di Lavitum, presumibilmente posizionate in prossimità di Suiana, dato che questa compare nuovamente come Massoni de Vulnares de Suiana. Il termine massoni deriva da majone o masone che significa “branco di bestiame minuto”, ma anche “recinto per le pecore”. Da qui, superando un incrocio stradale riportato con il termine Forchillos, si arriva al pozzo di Gonastela, non localizzato. Si giunge così ad un’altra località chiamata Hoçasitum, di incerta interpretazione e localizzazione. Secondo l’inventario, all’Opera spettava anche il Fiume Santo e la piscina di Duos Nuraghes: l’uno è uno dei fiumi più importanti della Sardegna settentrionale, secondo solo al Rio Mannu, l’altro invece è un bacino naturale appartenente alla frazione di Duos Nuraghes. Il documento descrive poi i confini del saltu di Orgiu, che, come afferma esplicitamente la fonte, al suo interno comprendeva anche una


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curia. Il limite territoriale viene indicato inizialmente con la domo de Nassarço Marie Rabbiose. Con la parola domo ci si riferisce espressamente ad una struttura produttiva, precisata in questo caso dal termine Nassarço, che a sua volta deriva dal latino nassa-ae che significa “nassa”, strumento utilizzato per la pesca; in sardo si definisce nassariu (ma anche nassarzu o nassargiu) un bacino adibito a pesca sul quale vengono montate le nasse. Il toponimo di Marie Rabbiose, invece, porta con sé il ricordo di un’antica divinità nuragica: Virgilio Tetti riporta la leggenda, ancora conosciuta tra i pastori della Nurra, di una certa Giolzia Rajosa, che faceva abortire le pecore che pascolavano nel mese di ottobre presso lo stagno Casaraccio o presso le saline. Lo stesso studioso prende in considerazione la possibilità che la località citata nel documento del 1339 abbia proprio a che vedere con la zona delle saline nurresi, come confermano i limiti territoriali trascritti nella fonte. Si va poi verso il Cucchumen de Scholcatorgiu, dove il termine “cima” è reso con una via di mezzo tra il latino cacumen e il sardo cuccuru, mentre Scholcatorgiu sembra connesso al termine iscolca che traduce originariamente il significato di “corpo di guardia” e nel DueTrecento quello di “circoscrizione”, forse, in questo caso, da mettere in relazione ad un rilievo dominante. Il confine successivo si raggiunge arrivando alla vallem de Murtas (la “valle del mirto”), seguita dalla Serras de Oria: oggi in questa zona non sono rimasti toponimi che richiamino queste due località. Transitando per la strada che porta alla località di Issi si raggiunge una cima nominata Capialbum probabilmente da caput album (cima bianca) - anche se in quest’area non esistono alture che portino questo appellativo. Seguendo la strada si arriva poi alla crucem de Capialbum, una croce segnaletica o un


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incrocio. Da qui si va poi in direzione del Monticulum de Clusu Raçu, probabilmente l’odierno Monte Rasu situato proprio in quest’area. Successivamente si arriva alla terra Rubea de Padules de terra Ecclesie, una località forse denominata in questo modo per via del colore rosso della sua terra, quasi certamente confinante con uno stagno: probabilmente il riferimento è alla Punta Ruia posizionata a pochi chilometri a Sud del Monte Fratto, nelle cui vicinanze si trova un piccolo bacino d'acqua. Da qui si avanza sino ad Mura de Pranu; dopo di che, seguendo la direzione indicata con l’inserto in sardo «de Cussu ad manum sinitram», si raggiunge la Crucem de Pranu. Con il termine mura si fa solitamente riferimento ad un rudere, ad una costruzione oppure ad un nuraghe, in questo caso posizionato presso un terreno pianeggiante.

Si

transita

successivamente

per

un

passaggio

(passatorçu), probabilmente costituito da tronchi o pietre posizionate nel letto di un fiume, visto che il termine utilizzato nel documento deriva dal sardo passadoldzu e che tale toponimo è rimasto in uso per indicare solitamente dei corridoi ristretti o dei passaggi. Questo era situato prima del Monte Fratto. Scendendo a valle e seguendo la riva del mare si arriva in prossimità del luogo nominato Lu Minatorgium, che secondo Virgilio Tetti deriva da minadoldzu, cioè “cardatura”: qui infatti, molto probabilmente, si svolgeva la lavorazione della lana. Seguendo sempre la costa si giunge al Portum de Novargiam, porto di cui oggi non è pervenuta nessuna testimonianza, ma che può riferirsi alla località chiamata Porto Coscia di Donna, situato nelle immediate vicinanze del Monte Atene. Proseguendo in direzione Nord, si transita presso il cuccumen de Thethos, che, stando alle indicazioni del documento e tenendo conto della posizione geografica in prossimità


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della costa e delle saline, si riferisce presumibilmente all’odierno Monte Atene. Discendendo il rilievo montuoso si giunge allo stagno nominato Padulem de Stagno, che ritengo possa riferirsi allo Stagno Casaraccio, e da qui si arriva ad un altro stagno chiamato de Sciuntas; anche in questo caso suppongo che si tratti proprio dello Stagno delle Saline,

quasi

confinante

con

lo

Stagno

Casaraccio,

come

testimonierebbe il fatto che la descrizione dei confini sin qui citati si chiude con il mare. Il documento prosegue con l'esposizione dei limiti territoriali del saltu chiamato Freto. Il confine inizia con la località denominata Bistentino Parmo ad Algas, successivamente trascritta col nome di Vistentinum Picchinum de Algas: si tratta dell'odierno comune di Stintino, posizionato nell'estrema punta settentrionale dell’isola41. L'aggettivo pitzinnu può far sottintendere l'esistenza di un Vistentinum Mannu, rinviando così alle attuali zone del comune chiamate proprio Porto Stintino Minore e Porto Stintino Mannu42. Da qui il confine sale verso la serra in direzione dell’olivastro sito presso la strada che portava a Nurachetos. La strada sale sino alla cosiddetta fontem de Scolca e, scendendo alla base del monte chiamato Monte de Cotes, segue la riva del mare sino a tornare al punto di partenza, dove di fatto si chiudeva il confine. L’unico monte presente nelle vicinanze di Stintino è il Monte della Crocetta; nulla invece sappiamo della fonte d’acqua, anche se nelle carte di fine Ottocento viene menzionato nelle sue prossimità un microtoponimo, La funtana 41 42

Quella riportata nel registro del 1339 è l'attestazione più antica del toponimo. Cfr. A. SODDU – F. ALIAS, La Nurra nel basso medioevo, in Stintino tra terra e mare, Atti del convegno di Studi (Stintino, Sala Consiliare - 4 settembre 2010), a cura di S. Rubino e E. Ughi, Stintino, 2011, pp. 51-74.


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di la Scopa, forse in diretto riferimento alla sorgente citata nel documento. Quindi, l’inventario registra il possesso delle saline di Friscalem, di Teccharius e di quelle di Orgiu. Nulla sappiamo circa la localizzazione delle prime due saline; nota in storiografia è invece quella di Erio, situata proprio in prossimità dello stagno di Li Puzzinosi. Infine, vengono elencate le chiese appartenenti all’ente toscano, tutte scomparse e non localizzabili con precisione: Sant’Imbenia di Lampiano, S. Giusta di Monte e S. Quirico di Simurilu.


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Appendice documentaria

Archivio di Stato di Pisa, Opera del Duomo, Reg. 16, cc. 64v-66v. (Trascrizione del dott. Fabrizio Alias)

c. 64v Item, in Nurra, in terra olim Branche Nurre et Vinceguerre et que nunc est seu fuit domini Galliardi de Molleone, catalani, curtis una cum tribus domibus et una magna cum una camera; item, // c. 65 ancilla una, nomine Suçanna de Corchii; item, Verra, filia sua.

[...]

Et curtes due in Nurra, quarum una est et vocatur curtis seu curia ad Castellum et altera vocatur Orgui43. Quas quidem curias dominus iudex Gunnarius de Laccon dedit Opere scripte in remedium anime sue, cum pertinentiis ipsorum et terris, vineis et saltibus et hominibus et animalibus que tunc erant et erunt in fucturum, et cum silvis aquis et piscamento et cum animalibus quatuor pedum que tunc erant in dictis curiis vel que erunt in fucturum.

Saltus autem de Castello, sive curia, in qua quondam Vinceguerra autem construxit villam propte suam potentiam quam postea reliquit in suo testamento dicte Opere; seu terminatur in confinibus que secuntur: venit namque ad locum qui vocatur Sa Vangiargia et discurritur seu 43

cosĂŹ nel testo per Orgiu


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labitur continue per rivum et volvitur versus terminum de Codas Pactu et inde vadit usque ad viam de Domo Rades et proceditur per viam usque ad locum vocatum Monteculum de Curatores et inde vadit ad Monteculum de Manichella et venit ad curtem de Manichella et venit usque ad viam de Cardosa et ascendit per rivum et volvitur usque ad curtem de Malina de Nurache Donnilo et ascendit a Serra et progreditur inde usque ad Petram // c. 65v de via de Yssi et protenditur usque ad Padule de Ginistros et ingreditur seu traversatur per Pranum usque ad Vadiola de Cordula et venit ad Petram Siccham et vadit continue per Serram usque ad viam Dorgini et venit ad mura de Terra Rubin et vadit ad Campum Vargium de Nothei et tranxit viam Derchilo et venit ad crucem de Castello et protenditur a frontem Dalastrum et descendit ad viam de Donnu Rabes et redit ad viam usque ad crucem de Lati et descendit continue currum ad Sa Vamgiargiam et vorvitur continue cum iactu recolligendo aquam de Bamargia et ibi crudit44

Preterea habet dicta Opera Sancte Marie de Pisis in Nurra quendam alium saltum qui vocatur Saltus de Molino, quem dicte Opere predictus Iudex Gunnarius de Lacco <dedit> et terminatu<r> ave Agari45 de Gardu usque ad Cuccurum de Conventu et inde transit per Serram et redit ad ianuam de Vallebona, ad ianuam de Gualpargios et transit per Serram, ad ianuam de Molino, ad Cuccurum de Valvares de Sinana et transit ab inde per Socita46 ad vallem de Lavitum et redit ab inde Serram usque ad massonim de 44 45 46

segue depennato preterea habet cosĂŹ nel testo per Agitu lettura incerta; segue depennata la lettera d


37

Vulnares de Suiana ad Forchillos de superius putei de Gonastela et ascendit ab inde per Serram ad Hoçasitum et continuat Serram ad Agitu de Gardu.

Item, habet dicta Opera aquam de Flumine Sancto et aquam de Pischinas47 de Donurabes et quas dictus dominus iudex Gunnarius <dedit> prefate Opere.

Item, habet dicta Opera quendam saltum infra quem est seu continetur curiam de Orgui48 quem ipsi Opere idem iudex Gonnarius dedit. Qui confinatur sic: venit triennem49 ad domum de Nassarço Marie Rabbiose et venit ad Cucchumen de Scholcatorgiu valle demictans et vadit in vallem de Murtas50 et venit a Serram de Oria et transit ad viam de Issi et venit plus fronte ad cuccumen de Capialbum et vadit ad viam. Et deinde ad crucem de Capialbu. Et deinde venit ad Monticulum de Clusu Raçu, et deinde venit ad terra Rubea de Padules de terra // c. 66r Ecclesie et venit deinde ad Mura de Pranu de cussu ad manum sinistram et venit ab inde ad Crucem de Pranu et transit ad Crucem de Passatorçum de via de salto superius ad Montem Fractum et descendit ad mare et vadit per ripam maris usque ad Lu Minatorgium et venit ad portum de Novargiam et transit ad cuccumen de Thethos et descendit ad Padulem de Stagno et venit ad padulem de Sciuntas et clauditur ad mare et venit continue maris ad Nassa<r>gium de Maria Rabbiosa. 47 48 49 50

la lettera P è sovrascritta alla lettera S, depennata così nel testo per Orgiu così nel testo per termen forse Mutans


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Item, habet dicta Opera quendam saltum vocatum de Freto: quem dicte Opere ipse iudex Gunnarius dedit, qui confinatur sic: de Bistentino Parmo51 ad algas et ascendit continue Serra ad Ogliastrum de via de Nurachetos et ascendit via ad fontem de Scolca et descendit ad pedem montis de Cothes et clauditur ad mare et volvitur continue rima maris et terminum ad Ystantinum Pithinnum de algas.

Item, habet dicta Opera aliam salinam vocatam Friscalem; item, habet dicta Opera quendam laccum vocatum Dorgiu52 sa salina53; item, habet dicta Opera aliam salinam vocatam Teccharius; quasquidem salinas predictas dictus dominus iudex Gonnarius dedit dicte Opere. // c. 66v

Item, habet dicta Opera quandam ecclesiam vocatam Sancta Embenna de Lompianos; item, habet dicta Opera quandam aliam ecclesiam vocatam Sancta Iusta de Monte; item, habet dicta Opera quandam aliam ecclesiam vocatam Sanctus Guirichus de Simurilu, quas dictus dominus iudex dedit dicte Opere.

51 52 53

cosÏ nel testo per Parvo leggi d’Orgiu Dorgiu sa salina: leggi sa salina d’Orgiu


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F. ARTIZZU, Un inventario dei beni sardi dell’Opera di Santa Maria di Pisa (1339), in «Archivio Storico Sardo», XXVII, 1961, pp. 63-80.

Item in Nurra in terra olim Branche Nurre et Vinceguerre et que nunc est seu fuit dominj Galliardj de Molleone catalanj:

Curtis una cum tribus domibus et una magna cum una camera: item ancilla una nominata Susanna de Corchij. Item Vera filia sua.

Et curtes due in Nurra quarum una est et vocatur Curtis, seu curia, ad Castellum et altera vocatur Arqui. Quas quidem curias dominus Judex Gunnarius de Lachon dedit Opere scripte in remedium anime sue cum pertinentiis ipsorum et terris, vineis et saltibus et hominibus et animalibus qui tunc erant et erunt in fucturum, et cum silvis agris et pischamenta et cum animalibus quattuor pedium qui tunc erant in dictis curiis vel qui erunt in fucturum.

Saltus autem de Castello sive curia in qua quondam Vinceguerra autem construxit villam per suam potentiam quam postea reliquit in suo testamento dicte Opere; seu terminat in confines qui secuntur. Venit namque ad locum qui vocatur Sa Vangiargia et discurrit seu labit continue per rium et volvitur versus terminum de Codas Pactu et inde vadit usque ad viam de Donno Rabes et procedit per viam usque ad locum vocatum Monteculum de Curatores et inde vadit ad Monteculum de Monichella et venit ad curtem de Manichella et venit usque ad viam de Cardosa et ascendit per rium et volvitur usque ad curtem de Malina de Nurache Donnico et ascendit ad Serra et progredit inde usque ad


40

Petram de via de Yssi et pertenditur usque ad Padule de Ginistras et ingreditur seu traversatur per Pranum usque ad Vadiola de Cordula et venit ad Petram Siccham et vadit continue per Serram usque ad viam Dargini et venit ad mura de Terra Rubia et vadit ad Campum Vargium de Nothei et transit viam Derchilo et venit ad crucem de Castello et protendit a fronte de Castri et descendit ad viam de Donnu Rabes et redit ad viam usque ad crucem de Lati et descendit continue versus ad Sanctam Giorgiam et vadit continue cum jactu recolligendo aquam de Bamargia et ibi claudit.

Preterea habet dicta Opera Sancte Marie de Pisa in Nurra quemdam alium saltum qui vocatur Saltus de Molino et qui dicte Opere predictus Judex Gunnarius de Lachon (sic) et terminatur a Veagarj de Gardia usque ad Cuccurum de Conventu et inde transit per Serram et redit ad januam de Vallebona, ad januam de Gualvargios et transit per Serram, ad januam de Molino, ad Cuccurum de Valvares de Sinana et transit ab inde per Socita ad vallem de Lanitum et redit ab inde Serram usque ad Massoni de Vulbares de Sinana ad Serchillo de superius putei de Gonnastela et ascendit ab inde per Serram ad Hoรงasitum et continuat serram ad Agitu de Gardu.

Item habet dicta Opera aquam de flumine scripto et aquam de Pischinas de donnu Rabes et quas dictus dominus judex prefate Opere (sic).

Item habet dicta Opera quendam saltum infra quem est seu continetur Curiam de Orgui quem ipsi Opere idem judex Gunnarius dedit. Qui confinatur sic. Venit termen ad Domum de Nassarรงo Marie Rabbiose et


41

venit ad Cucchumen de Scholcatorgiu vallem demictans et vadit in vallem de Murtas et venit a Serras de Oria et transit ad viam de Issi et venit plus fronte ad cuccumen de Campialbum et vadit ad viam. Et deinde venit ad crucem de Capialbu. Et deinde venit ad Monticulum de Clusu Raรงu, et deinde venit ad terra Rubea de Padules de terra Ecclesie et venit deinde ad Mura de Pranu de Cussu ad manum sinistram et venit ab inde ad Crucem de Pranu et transit ad Crucem de Passatorรงu de via de salto superius ad montem Sanctum et descendit ad mare et vadit per ripam maris usque ad Luminatorgium et venit ad portum de Novargiam et transit ad cuccumen de Thethos et descendit ad Paludem de Stagno et venit ad padulem de Sciuntas et clauditur ad mare et venit continue maris ad Nassargium de Maria Rabbiosa.

Item habet dicta Opera quemdam saltus vocatus de Freto: quem dicte Opere ipse judex Gunnarius dedit, qui confinatur sic. De Bistentino primo ad algas et ascendit continue Serra ad Ogliastrum de via de Nurachetos et ascendit via ad frontem de Scolca et descendit ad pedem montis de Cothes et clauditur ad mare et volvitur continue rima maris et terminatur ad Ystantinum Pithinnum de algas.

Item habet dicta Opera aliam salinam vocatam Friscalem; item habet dicta Opera quendam Lactum vocatum Dorgiu Sa Palma; item habet dicta Opera aliam salinam vocatam Teccarius; quas quidem salinas predictas dictus dominus judex Gonnarius dedit dicte Opere.

Item habet dicta Opera quamdam ecclesiam vocatam Sanctam Embenia de Lompianos. Item habet dicta Opera quamdam aliam ecclesiam


42

vocatam S. Justa de Monte; item habet dicta Opera quamdam aliam ecclesiam vocatam S. Guirichus de Simurilu; quas dictus dominus judex dedit dicte Opere.


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Indice delle figure

1. La Nurra. 2. Le sorgenti della Nurra. 3. Inquadramento territorale del saltu di Castello. 4. Inquadramento territoriale del saltu di Molino. 5. Inquadramento territoriale del saltu di Orgiu. 6. Inquadramento territoriale del saltu di Freto. 7. La Nurra nel XIX secolo. 8. Gli stagni della Nurra in una mappa del XIX secolo.


FIGURA 1. La Nurra.


FIGURA 2. Le sorgenti della Nurra.


FIGURA 3. Inquadramento territorale del saltu di Castello


FIGURA 4. Inquadramento territoriale del saltu di Molino.


FIGURA 5. Inquadramento territoriale del saltu di Orgiu.


FIGURA 6. Inquadramento territoriale del saltu di Freto.


FIGURA 7. La Nurra nel XIX secolo.


FIGURA 8. Gli stagni della Nurra in una mappa del XIX secolo.


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