Gli scarabei: affinità tra mondo egizio e mondo fenicio punico

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A.D. MDLXII

U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ

DI

L ETTERE

E

F ILOSOFIA

___________________________

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DEI BENI CULTURALI

GLI SCARABEI: AFFINITÀ TRA MONDO EGIZIO E MONDO FENICIO PUNICO

Relatore: PROF. PIERO BARTOLONI

Tesi di Laurea di: CARLA MANCA

ANNO ACCADEMICO 2010/2011



Ai miei genitori che con il loro aiuto mi hanno permesso di vivere uno dei momenti pi첫 belli della mia vita. Grazie!

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Indice

PREMESSA

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INTRODUZIONE

6

CAPITOLO I - Gli scarabei in Egitto 1.1 Che cosa sono gli scarabei sigillo? 1.2 A cosa servivano? 1.3 Come erano fatti 1.4 I materiali 1.5 Le tecniche 1.6 Le dimensioni

8 10 11 12 15 16

CAPITOLO II – I Fenici 2.1 Chi sono i Fenici? 2.2 L’espansione fenicia 2.3 Egitto 2.4 Le fonti e l’arte fenicia

17 19 21 23

CAPITOLO III - Gli scarabei fenicio punici 3.1 Il problema dei centri di produzione 3.2 Gli scarabei nel mondo fenicio-punico 3.2 Le interazioni tra Cartagine e Tharros 3.4 Tharros come centro d’irradiazione 3.5 Cronologia della glittica tharrense e cartaginese

26 28 31 32 34

CAPITOLO IV - Tipologie di scarabei 4.1 Gli scarabei del museo nazionale di Cagliari 4.2 Scarabei con nomi regali 4.3 Scarabei con nomi divini 4.4 Scarabei con nomi propri 4.5 Scarabei con immagini divine e antropomorfe 4.6 Scarabei con immagini divine teriomorfe e animali sacri 4.7 Scarabei con immagini umane 4.8 Scarabei con simboli divini, ideogrammi di buon augurio e motivi ornamentali 4.9 Scarabei a registro

36 38 40 41 42 44 45 46 46

3


CAPITOLO V - Le iconografie 5.1 I dieci scarabei da Tharros 5.3 Le altre iconografie

49 59

CONCLUSIONI

65

Tavola A

70

Tavola C

73

Tavola B

77

Glossario

81

Bibliografia

84

4


PREMESSA Per ovvie necessità di carattere pratico, condensare in una breve tesi tutte le notizie, di interazioni tra il mondo egiziano e il mondo fenicio punico, senza tralasciare notizie importanti non è cosa facile. Cercherò

brevemente

di trattare il significato degli

scarabei nel mondo egizio, per poter meglio capire il significato della derivazione dei sigilli fenicio punici; per poi soffermarmi maggiormente su le varie iconografie e tipologie degli scarabei locali, in special modo sugli scarabei di Tharros. L’antico Egitto, ha sempre evocato in me tanta curiosità, poi trasformata in passione quando ho iniziato ad approfondire l’argomento. Il mio interesse è cresciuto giorno dopo giorno, non pensando che questo mondo fosse più vicino a noi di quanto mi aspettassi. La popolarità degli scarabei egizi nel mondo antico non era circoscritta, com’è risaputo, al bacino mediterraneo, ma si diffuse ben oltre i limiti d’influenza della civiltà egizia. Popolarità inizialmente veicolata dai fenici tramite gli scambi commerciali di esemplari egiziani prima, con la fabbricazione diretta di esemplari egittizzanti, poi. Tutto questo risulta abbastanza documentato, ritrovamenti di esemplari egiziani ed egittizzanti, importati o imitati localmente, arrivarono e furono prodotti persino nella mia terra. Vero è che nel tempo sono andati perdendosi l’originale simbologia e il significato magico della cultura egizia, ma è questo il motivo che mi spinge ad approfondire e trattare l’argomento. Gli scarabei rappresentano una testimonianza diretta del fascino che la magia egizia esercitava nel passato e la sua accettazione al di fuori dell’Egitto.

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INTRODUZIONE Nell’antica cultura egizia una vera vita dopo la morte era privilegio assoluto del faraone, ma i sudditi speravano che l’immortalità del sovrano si riflettesse

anche su di loro. La

garanzia della sopravvivenza dell’anima dopo la morte era influenzata dai vari racconti sacri come: la morte e rinascita di Osiride, e dalle vicende quotidiane: il dio Sole è sopraffatto dalle tenebre e il giorno dopo sorge nuovamente trionfante. Poichè questo avvenisse l’anima aveva bisogno che il corpo non si disperdesse, la decomposizione del cadavere avrebbe comportato la morte dell’anima; da qui la necessità di preservare il cadavere con la mummificazione e l’inserimento tra le bende, in punti prescritti, di amuleti, tra cui l’importante scarabeo del cuore. Questo genere di amuleto veniva posto sul cuore della mummia, incastonato in un pettorale; recava incisa una formula magica, spesso il capitolo trenta del Libro dei Morti, che il defunto avrebbe recitato nella “pesatura”con la piuma della verità. Tutto un mondo magico e religioso permeava la vita e la morte dell’uomo egizio tramite amuleti e formule, pensando in tal modo di annullare le forze del male e propiziarsi la vita eterna. Lo scarafaggio stercoraro che nella lingua locale è chiamato Kheper, nella mentalità degli antichi egizi era associato al verbo kheper che voleva dire “venire in esistenza”. A causa della somiglianza delle due parole, e poiché lo scarabeo proveniva dalla sabbia come dal nulla, lo scarabeo finì per rappresentare la manifestazione della creazione spontanea. Attorno a questa realtà abitavano i Fenici di Tiro. Dalle varie testimonianze tramandateci da Erodoto appare evidente come

6


fossero legati Egizi e Fenici, che sin dalle epoche più remote scambiarono merci e idee, in tempo di pace e di guerra. Anche la superstizione e magia furono intimamente condivise e trasmesse attraverso gli amuleti, tra cui il più importante: lo scarabeo. Molti incisori a Naucrati e Menfi utilizzarono basalti e lapislazzuli, lamine auree e pasta vitrea per riprodurli. Alcuni incisori erano punici, come quelli che si davano da fare nelle città di Cartagine e Tharros, dove furono imitati, creati ed esportati in tutto il Mediterraneo scarabei in diaspro e vari materiali. Le imitazione, spesso vere opere d’arte, spesso molto carenti nell’aspetto, differivano rispetto agli esemplari egiziani, lineari e quasi piatti, anche a causa della diversa materia prima utilizzata che gli rendeva più tondeggianti. Incisi sulla pancia si possono trovare geroglifici con nomi di faraoni, immagini divine, antropomorfe, teriomorfe o animali sacri o anche immagini umani. La loro realizzazione, nelle botteghe d’Egitto e Occidente mediterraneo ha consentito la fabbricazione di preziosi talismani. L'artista-artigiano suddivide la pietra secondo tagli particolari, levigandola con polvere di smeriglio impastata con olio. Lavorando in seguito all'intaglio zoomorfo del dorso, realizza l'incisione della base, ovale e piatta, con bulini, ceselli, punteruoli e trapani. Questo strumentario metallico presenta punte differenti e molto dure, ricavate da schegge di diamante 1. Il movimento del bulino, oltreché a mano libera, si ottiene con una ruota mossa dal piede. L'incisione miniaturistica sulla base è realizzata in negativo, derivando dalla originaria funzione sigillare dello

scarabeo,

e

ottenuta

con

il

contributo

di

lenti

d'ingrandimento ricavate dal cristallo di rocca. 1

www.museosadomunostra.it

7


CAPITOLO I GLI SCARABEI IN EGITTO

1.1. CHE COSA SONO GLI SCARABEI SIGILLO? Gli scarabei egizi sono minuscole sculture che riproducono l’insetto vero e proprio, rispettando le dimensione e morfologia. Il nome scarabeo è il nome utilizzato comunemente per varie specie di scarabeidi tra i quali lo Scarabeo sacro (specie: Scarabaeus sacer, genere Coprofagi, famiglia Scarabeidi, ordine dei Coleotteri, classe degli Insetti) risulta essere il più importante. Questa è la specie più nota, è lungo fino a tre cm, ha la testa prolungata in un epistoma munito di sei protuberanze, livrea nera e zampe anteriori prive di tarso. Questo coleottero raccoglie con le zampe anteriori una sfera di sterco e la fa rotolare con le zampe mediane e posteriori in una cavità del terreno da lui precedentemente scavata: qui il materiale raccolto serve da provvista ma anche per preparare, nel periodo della riproduzione, il nido, dove verranno deposte le uova. Dall’uovo, unico per ogni nido, esce una larva che compie sulla sfera di sterco il suo ciclo vitale, che abbandonerà solo al momento dello sfarfallamento. In questo insetto, che gli Egizi credevano nascesse spontaneamente dalla palla di sterco, (paragonata al disco solare) si volle vedere fin dagli albori della civiltà egizia la rappresentazione del dio primordiale che crea se stesso prima di creare il mondo2. Il verbo

2

Rizzoli, “Nuova enciclopedia universale Rizzoli Larousse , Milano, r.s.c. libri & grandi opere s.p.a, Fabbri Rizzoli grandi opere, 1994, XVIII v.v.

8


kheper (come precedentemente affermato) è in rapporto con il nome dello scarabeo kheperer. Di conseguenza il dio Khepri,

(rappresentato nell’iconografia sacra con la testa di scarabeo su corpo umano) in quanto essere primordiale, entrò a far parte della religione egizia con la funzione di sole nascente. Diviene Ra allo zenit, trasformandosi poi in Aton al tramonto, per ricomparire, dopo le ore notturne come Khepri. La capacità di auto generarsi, attribuita allo scarabeo, deve essere il motivo principale del suo impiego sulla mummia, con la speranza di rinascita a vita ultraterrena. Per questo motivo si decise di rappresentare l’insetto in versione di amuleto, donandoli un valore apotropaico.

9


1.2 A COSA SERVIVANO Lo scarabeo ha valore di buon augurio e fin dagli albori viene considerato come amuleto; chi lo porta con se crede di invocare e ricevere protezione. Quest’uso è di gran lunga il principale, e il più caratteristico dalla VI all’ XI dinastia, per circa quattro secoli3 . Gli scarabei di questo periodo sono relativamente poco frequenti, di modeste dimensioni, appaiono grossolani e spogli senza iscrizioni o decori nella base e

spesso sono

utilizzati come

elementi per collane. Solamente verso la metà del Primo Periodo Intermedio amuleti a forma di scarabeo con decori incisi nella base cominciarono ad affiancarsi ai sigilli cilindrici di origine mesopotamica4. Furono utilizzati per imprimere decori su boli di argilla umida destinati a sigillare casse, cofanetti, giare, porte, rotoli di papiro ed altro e costituivano il sigillo di garanzia. Si cambia la destinazione d’uso: lo scarabeo viene utilizzato anche come sigillo; ma non perdette mai la sua funzione amuletica. All’inizio del Medio Regno l’uso dello scarabeo-sigillo è ormai consolidato e, dalla XII dinastia in avanti, si propaga e coinvolge tutti gli strati sociali e diviene un gusto corrente, fatta eccezione per il periodo amarniano dove si preferirono gli anelli-sigillo in faience, che riuscirono a ridurre in modo consistente la produzione degli scarabei. La tendenza riprese durante il periodo ramesside e durò fino alla XXVI dinastia per poi calare

3

http://www.archeogate.org

4

Ibidem.

10


nuovamente nelle successive dinastie e scomparire quasi del tutto nel periodo Tolemaico5.

1.3 COME ERANO FATTI Gli scarabei-sigillo riproducono su tre dimensioni l’insetto vero e proprio. Tuttavia essi appaiono ben diversificati gli uni dagli altri poiché intervenivano molti fattori come la qualità della materia prima utilizzata, l’abilità dell’artigiano, la novità, le difficoltà di lavorazione dovute al materiale utilizzato, le dimensioni, l’epoca, sono tutti fattori che hanno influito sulla forma. Sono sempre riconoscibili gli elementi morfologici dell’insetto: la testa, le elitre, le zampe. Lo scarabeo è sempre rappresentato posante su di una base piatta su cui, rovesciatolo, compare il decoro inciso, che dal più semplice arriva a presentare dei minuti particolari. Quasi sempre presentano una foratura orizzontale, passante, che serviva per infilarvi, nel più modesto dei casi, una funicella da utilizzare per assicurare l’oggetto al dito od al collo. In altri casi era utilizzato un filo metallico, oro, rame o bronzo, con la stessa funzione o per essere utilizzato come pendente; in altri casi ancora lo scarabeo era montato su un vero e proprio castone su anello fisso in modo tale che potesse girare su se stesso in modo da presentare alternativamente il dorso od il ventre con l'incisione, l’angolazione più suggestiva è senza dubbio legata all’iscrizione della base. Mentre la forma rimane pressoché una costante in tutte le epoche, il decoro subisce la fantasia degli 5

http://www.archeogate.org

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artigiani. Le iconografie sono varie: dai disegni geometrici, con funzione decorativa, ai temi naturalistici legati alla flora ed alla fauna; dalle rappresentazioni dell’uomo a quelle degli dei o di esseri mitologici; dalle scritte geroglifiche, frasi augurali o religiose, ai nomi di re o di funzionari con la loro titolatura.

1.4 I MATERIALI

Gli amuleti avevano vita lunga, quello che contribuì a rendere questi oggetti duraturi nel tempo, fu l’ottima scelta del materiale utilizzato, che naturalmente apparteneva al mondo inorganico. Nelle varie epoche tante furono le materie prime utilizzate, e dalla scelta di queste ultime dipendeva la qualità del sigillo. Il materiale più utilizzato è la steatite, un genere di talco (silicato di magnesio = [Mg Si O (OH)] di colore bianco o verdastro (ma nei giacimenti egiziani si trova anche nerastra e in varie tonalità di bruno) con lucentezza madreperlacea, oleoso al tatto. E` un minerale

relativamente

tenero,

facilmente

lavorabile

con

strumenti di rame indurito o di bronzo. Veniva rifinito con una specie di invetriatura colorata, silicato di calcio + sodio o calcio + potassio, (generalmente nella varietà dei verdi e dei blu raramente anche giallo), la cui temperatura di fusione, combinando il magnesio con la silice dell’invetriatura, trasformava il talco in enstatite (Mg SiO), indurendo notevolmente la parte interna e contribuendo così a rendere il materiale più durevole6. 6

Ibidem.

12


Quest’invetriatura ha uno spessore impercettibile e, nelle superfici piane o estese, come il dorso od il ventre, tende a scomparire o a cambiare: il verde originario, probabilmente contenente ferro, in marrone, il blu in bianco. Tra le pietre dure sono documentati scarabei d’ametista viola e di quarzo ametistino. Sono popolari durante la XII dinastia, successivamente quasi scompaiono per poi ricomparire molto meno frequentemente, durante la XIX dinastia. Raramente vi si trovano iscrizioni alla base, probabilmente a causa della relativa durezza del materiale che rendeva difficile l’incisione. La corniola, lavorata fin dall’età predinastica, divenne popolare durante la XVIII dinastia per continuare con buon ritmo anche nella XIX. L’agata, una varietà di calcedonio, fu utilizzata, ma raramente, in epoca tarda: XXVI dinastia e periodo Tolemaico. Il diaspro, una varietà opaca del silicio, rintracciabile nel deserto orientale nei colori rosso (utilizzato nel periodo predinastico per grani di collana ed amuleti, e ricomparso nella XIX ad imitazione della corniola), giallo (nella XVIII e XXVI dinastia), verde (nel Medio Regno e in Epoca Tarda per scarabei del cuore), marrone (nella XII, XVIII e XXVI dinastia). Gli scarabei di lapislazzuli, proveniente dall’Afganistan e conosciuto dai tempi predinastici, sono rari, diventano sempre più frequenti dalla XVIII in avanti7. Spesso risultano essere anepigrafi o con decoro rappresentato da due linee diagonali che si intersecano al centro. Il calcare, specie nelle varietà colorate: rosso, giallo, verde e bruno, fu abbastanza utilizzato nel Terzo Periodo Intermedio e nella dinastia Saita. Ossidiana, diorite, calcedonio, cristallo di rocca, serpentino, basalto, ematite: sono le pietre cosiddette 7

Ibidem.

13


semipreziose tutte altrettanto documentate, ma usate molto più raramente delle precedenti. Tra gli altri materiali, la faience, prodotto ottenuto cuocendo una specie di pasta ottenuta con polvere di quarzo o sabbia che in seconda fase veniva invetriata. Conosciuta fin dal periodo predinastico, dall’inizio della XVIII dinastia la sua popolarità crebbe notevolmente ed il suo utilizzo in epoca amarniana per fabbricare grani di collane ed anelli uguagliò quello

della

steatite,

per

avere

una

fase

decrescente,

probabilmente a causa di una peggiore qualità, verso la fine della XX dinastia. In epoca Saita divenne nuovamente attuale, grazie ad un’invetriatura di un delicato blu chiaro. Un materiale somigliante è la pasta, all’apparenza è un composto uniformemente pigmentato, solitamente nei toni del blu, più raramente del verde. È priva d’invetriatura, con una superficie che sembra “sfarinarsi”. Conosciuta, ma scarsamente utilizzata nell’Antico Regno, divenne più comune durante la XVIII dinastia e tra la XXII e la XXVI. Il genere più antico appare più chiaro e più duro della successiva che sembra degradarsi più facilmente. Il vetro, sembra sia stato sperimentato verso la fine del Medio Regno e derivi dalla tecnica dell’invetriatura, molto più antica. I primi scarabei di pasta vitrea risalgono all’inizio della XVIII dinastia, per divenire più comuni verso la metà della stessa, in materiale opaco, di colore azzurro chiaro o scuro, cercando di creare i colori simili al lapislazzuli. Solitamente sono di piccole dimensioni, anepigrafi o decorati con due linee diagonali incrociate. Oro, argento ed elettro (lega d’oro e argento rinvenibile in natura) vengono usati in ogni epoca, ma raramente e per opere di alta particolarità artistica. Il bronzo, risulta essere usato occasionalmente e solo in periodo tardo .

14


1.5 LE TECNICHE Purtroppo il materiale su cui venivano redatti vari documenti era altamente deperibile; questo comporta la mancanza di documenti scritti che non ci permette di poter dare delle notizie certe sui metodi di lavorazione degli amuleti, ma solo fare ipotesi sull’argomento. Per la lavorazione scultura ed incisione della steatite, minerale limitatamente tenero, si ritiene che schegge di selce e strumenti da taglio o da punta, prima in rame indurito, successivamente in bronzo, fossero una strumentazione più che sufficiente. Per le pietre dure invece, si poteva aggiungere l’azione di “graffiatura”, ottenuta tramite punte, e la smerigliatura effettuata con sabbie di granulometria decrescente. Per la foratura longitudinale è certo l’utilizzo di punte in selce o punte tubolari in rame e strumenti abrasivi rotanti mossi dal trapano ad arco. Un rilevante metodo di lavorazione riguardava i materiali plastici da indurire con la cottura: faience e pasta. La modellazione era ottenuta tramite stampi a doppia valva: le due metà ottenute erano tenute insieme con l’invetriatura. Per quanto riguarda gli scarabei in vetro, non risultano fonti sulla corrispondente tecnica di fabbricazione, ma si può supporre che la pasta vitrea allo stato fuso fosse colata in appositi stampi a tutto tondo di materiale resistente e inalterabile che, successivamente frantumato, liberava l’oggetto finito, presumibilmente sul tipo della tecnica di modellazione “a cera persa”, praticata fin dal Medio Regno8.

8

Ibidem.

15


1.6 LE DIMENSIONI

Le dimensioni degli scarabei-sigillo non si differiscono molto da quelle dell’insetto vero e proprio (fatta qualche eccezione tipo lo scarabeo “del cuore” ). Le dimensioni reali degli scarabei sigillo possono variare da una lunghezza minima di circa 5 mm. ad una massima di circa 30 mm. ma per la maggioranza degli esemplari si garantisce una media intorno ai 15-18 mm. molto prossima alle dimensioni dell’insetto reale.

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CAPITOLO II I FENICI

2.1 CHI SONO I FENICI?

È

consuetudine

parlare

dei

Fenici

come

un

popolo

importantissimo nello scenario del mediterraneo antico. Nascono come popolo e non come entità politica agli inizi del XII secolo a.C. come conseguenza del ridimensionamento avvenuto dai “Popoli del mare”. In seguito a ciò le città della costa siriopalestinese dopo la caduta del regno degli Hittiti a loro sottoposte e il ridimensionamento dell’Egitto, ebbero un lungo periodo di libertà che contribuì a incrementare il commercio. Al loro nome viene associata l′immagine di gloriose imprese sul mare; ad essi viene attribuito l′invenzione e la diffusione dell’alfabeto; altri gli conoscono per la pratica di riti crudeli, persino per i sacrifici umani praticati sui bambini. “Un giorno vennero dei Fenici, navigatori famosi, furfanti, portando su una nera nave un’infinità di cianfrusaglie”. Questi versi tratti dall’Odissea attestano come fin dai tempi di Omero i Fenici ebbero fama di abili e spregiudicati navigatori. I Fenici, come già diceva Erodoto, sarebbero originari del Golfo Persico, o mare Eritreo (rosso), ciò viene scaturito dal fatto che il loro nome “Fenici” in greco PHOINIKES, deriva da una radice che

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significa rosso, è così che nasce il mito sulla loro origine. Facevano parte del raggruppamento etnico dei Semiti, e venivano descritti con tutti gli stereotipi che ad essi venivano attribuiti: ingegnosi, intraprendenti, avidi e ingannevoli, propensi al dispotismo e crudeltà, incapaci di produrre un arte propria. Gli abitanti della Fenicia non definirono mai se stessi con il nome di PHOINIKES9 che gli fu dato dai Greci con i quali vennero in contatto durante i loro viaggi. Tale nome non fu l’unico che gli venne attribuito: in Omero e nell’Antico Testamento si ritrova spesso l’appellativo di Sidonii, derivato dalla potente città di Sidone, che estese il suo controllo su gran parte della Fenicia tra il II e III millennio a.C. Il territorio fenicio appare come un crocevia fra Oriente e Occidente10. Stretti in una lingua di terra tra le montagne del Libano ed il Mediterraneo, si proiettarono presto in un immenso spazio marittimo, che diventò una sorta di prolungamento della madrepatria. Grazie alle loro qualità sui mari, alla loro capacità di adattamento ad ogni tipo di ambiente, alle loro capacità di entrare in contatto con le popolazioni locali, i Fenici si spinsero sempre più ad ovest della loro terra. I mitografi greci raccontavano la storia di una giovane principessa tiria o sidonia11, di nome Europa–un nome basato sulla radice che significa “Occidente”-figlia del re Agenore, sorella di Phoinix, colui che diede il nome alla regione e al popolo, e di Cadmo

-

9

W. Carpi, Le origini delle città fenicie in “Antiche civiltà, medio oriente”, Milano, Editing group, 2005, pp. 21. 10 C. Bonnet, I Fenici, Roma, Carocci editore, 2004, pp. 17. 11

Ivi, pp. 19.

18


etimologicamente: “l’orientale”–il famoso fondatore della città greca di Tebe. Attratto dalla bellezza della giovane donna, Zeus prese le sembianze di un toro e la rapì. Attraversarono il Mediterraneo per nascondere il loro amplessi in Creta, da cui nacquero Minosse, Sarpedonte e Radamante. Agenore mandò i suoi figli sulle tracce di Europa, in ogni angolo del Mediterraneo. Dopo varie tappe, Cadmo approdò a Delfi, dove ricevette l′ordine di fondare Tebe. Questo

racconto

appare

come

la

trasposizione

mitica

dell’espansione fenicia nel Mediterraneo.

2.2 ESPANSIONE FENICIA

“Dicono che, dopo esser giunti dal mare che si chiama Erittreo sulle coste di questo ed essersi stabiliti nel territorio che ancora oggi abitano, i Fenici intrapresero allora lunghe navigazioni e, trasportando mercanzie dall’Egitto e dall’Assiria, si recarono in svariate contrade”. Così parlava il vecchio storico greco Erodoto che visse nel V secolo a.C. Le varie indagini archeologiche confermano quanto narravano gli autori antichi. Fin dal I millennio a.C., i Fenici diressero le loro imbarcazioni verso i più lontani scenari del Mediterraneo12. Dapprima raggiunsero Cipro e fondarono la colonia di Kition, in seguito si spinsero in 12

W. Carpi, Le colonie fenicie, in “Antiche civiltà, medio oriente”, Milano, Editing group, 2005, pp. 25.

19


Egitto e nell’Egeo, dove entrarono in buoni rapporti con i Greci. Una volta sperimentate le rotte del Mediterraneo orientale andarono sempre più lontano, arricchendosi grazie ai commerci che intrattennero con le popolazioni locali che di volta in volta si trovavano in contatto. Raggiunsero così la penisola italiana13 e le sue maggiori isole, il Nord Africa e la Spagna, arrivarono oltre le colonne d’ Ercole, in Marocco e Portogallo. Il processo della loro espansione parte da un fenomeno di dilatazione degli scambi gestiti dalle città fenicie, e dalla creazione di insediamenti permanenti ovvero di colonie di varie dimensioni , a vocazione commerciale, agricola e strategica. Il ramo archeologico è di fondamentale importanza per cogliere la realtà del fenomeno. Gli scavi affermano che l’espansione fenicia dell’inizio del primo millennio affonda le proprie radici nei commerci orientali ed Egei del Bronzo Finale, che avevano come obiettivo primario la ricerca di metalli preziosi. L′isola di Cipro e la Sardegna, erano, alla fine del secondo millennio, due mete privilegiate dei circuiti fenici ed egei di navigazione. I Fenici applicarono un modello insediativo omogeneo in tutto il Mediterraneo: Egitto, Anatolia, Egeo, Libia, Sardegna, Tirreno, Sicilia, Nord Africa, Spagna. Oggetto principale della loro espansione sono i metalli, quindi la ricerca di nuovi e più remunerativi mercati.

13

C. Bonnet, op. cit., pp. 96.

20


Le attività di scambio organizzate dai Fenici arrecano benessere e acculturazione delle popolazioni locali. L’ interesse dei Fenici per la penisola italiana, deriva dalla presenza di varie risorse minerarie. In Sardegna, nel primo millennio essi appaiono come i continuatori dei Micenei e degli Orientali del periodo di precolonizzazione. Dall’VIII secolo, creano nell’isola vari insediamenti come Nora, Tharros, Sulcis, Monte Sirai, Olbia ecc.

2.3 EGITTO

I contatti fra l′Egitto e la Fenicia risalgono alla notte dei tempi, poiché la mancanza di ostacoli naturali fra il delta del Nilo e la costa sirio-palestinese ha sempre favorito il viavai di beni e persone14. Le relazioni commerciali e culturali con l'Egitto

si

ebbero fin dall'Antico Regno. Il mercato egiziano era di fondamentale importanza è Biblo, cuore di questa attività, era una città molto aperta agli influssi egiziani. Furono proprio le ricchezze del suolo di Biblo a fare la fortuna di questa città infatti l'entroterra era ricco di materie prime molto ricercate in tutto il bacino del Mediterraneo.

14

C. Bonnet, op. cit., pp. 92.

21


Vista la scarsità di legname presente nella terra dei faraoni, gli egiziani importava da Biblo gli alberi ad alto fusto come cedri e pini e le loro resine che venivano utilizzate nei processi di imbalsamazione. I fenici esportavano in Egitto legname, argento, ferro, e importavano orzo, papiro, lino, cotone, riso, utensili e vasellame. In Egitto è possibile trovare testimonianze dei fenici che ivi si stanziarono soprattutto a Menfi15, Saqqara ed Adibos. Piccole colonie si insediarono a Menfi dove costituirono un quartiere molto attivo, Erodoto lo ricorda così: “...esiste un santuario in Menfi, intorno a questo santuario abitano dei Fenici di Tiro e tutta la località è chiamata “Campo dei Tirii”...” I fenici emigrati in Egitto con il passare del tempo assunsero i costumi locali, si integrarono con la popolazione locale, sposarono donne egiziane ed esportarono i loro culti religiosi nella terra dei faraoni. L’arte fenicia è talmente egittizzante che ogni autonomia e creatività gli furono a lungo negate. L′influenza egiziana ebbe un ruolo intermediario fra Oriente e Occidente, contribuendo a diffondere l’artigiano e credenze magiche in tutto il Mediterraneo.

15

Mentre Menfi fu la capitale del regno antico, Saqquara ne fu la necropoli reale almeno fino alla III dinastia.

22


2.4 LE FONTI E L’ARTE FENICIA

È paradossale sapere che il popolo che inventò l′alfabeto, ha lasciato quasi nessuna traccia scritta del suo passato. Tutto questo è dovuto al fatto che il materiale scrittorio maggiormente utilizzato era il papiro, e al fatto che, al di fuori delle sabbie dell’Egitto, tale materiale è altamente deperibile. La perdita della documentazione scritta crea uno scompenso documentario che le fonti epigrafiche non riescono a bilanciare, per questo motivo lo studio della storia di questo popolo è spesso affidato a fonti esterne e molti aspetti sono lasciati nella penombra. Nella ricostruzione del passato fenicio le fonti materiali hanno un importanza estrema. Un fatto che colpì i primi esploratori di questa civiltà nell’Ottocento è il carattere poco originale e creativo dell′arte, che fu bollata come “arte parassitaria16”. Il Mommsen descrive i Fenici “audaci, intelligenti, si sono diffusi sul tutto il Mediterraneo, invece sul piano intellettuale non sono all’altezza. I Fenici hanno dei miti informi, dei culti crudeli e decadenti, un’arte inconsistente”. Chi scoprì l′arte fenicia è Ernest Renan che nella sua missione archeologica in Fenicia non riesce a nascondere la sua delusione per la povertà dei reperti ritrovati17. A contribuire alla 16 17

C. Bonnet, op. cit., pp. 120. Ibidem.

23


classificazione di un arte non originale contribuirono gli scavi di Biblo che portarono alla luce un ricco bottino di oggetti egiziani ed egittizzanti. Non si può assolutamente nascondere che l′influsso egiziano sia molto forte e visibile nell’ arte fenicia. Sin dal terzo millennio, i modelli egiziani penetrarono e furono adottati dai Fenici; la loro produzione artistica è condizionata dall’arte dei faraoni, tant’è che alcuni moduli sono riprodotti fedelmente. L’abitudine di ispirarsi ai modelli egiziani non smetterà mai, ci saranno fasi più o meno acute ma non verrà mai meno. I Fenici riescono a percepire gli influssi delle varie popolazioni con cui vengono a contatto e nella loro arte coabitano diversi stili. Il popolo di navigatori ebbe un ruolo primario nella diffusione di questa cultura nel Mediterraneo. Una tappa cardine della diffusione di quest’arte è il centro di Cartagine, che fu centro di irradiazione nel Mediterraneo centrale ed occidentale. Lo stesso si può affermare per il centro di Tharros in Sardegna. Le sue rovine si dispongono sul Capo San Marco18, il promontorio che costituisce l’estrema propaggine della penisola del Sinis chiudendo ad occidente il golfo di Oristano. La città del Capo San Marco dovette costituire un′importante stazione nell’ambito della strada litoranea occidentale che già in epoca punica, con partenza da Carales (Cagliari), toccava le città del Sulcis e dell’oristanese, giungendo fino a Turris Libisonis ( Porto Torres).

18

S. Moscati, La penetrazione fenicia e punica in Sardegna: 30 anni dopo/ Piero

Bartoloni, Roma, Accademia del Lincei, 1997, pp. 95.

24


La ricchezza della città è ampiamente documentata non solo dai bellissimi gioielli aurei ma anche dai suoi prodotti che venivano prodotti all’interno delle sue botteghe artigiane, tra i quali spiccano gli scarabei, eseguiti con materiale ricavato dal vicino Monte Arci.

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CAPITOLO III GLI SCARABEI FENICIO-PUNICI

3.1 Il problema dei centri di produzione

Il problema dell′origine degli scarabei del mondo fenicio punico è difficile e complesso. Purtroppo non possediamo dati validi per poter affermare se uno scarabeo deriva da una determinata bottega o distinguere l′artigiano che lo ha fabbricato, in quanto a differenza del mondo greco e romano dove gli intagliatori firmavano le loro opere19, quelli del mondo fenicio non usavano farlo. Questo problema rimase ignorato fino al 1945. Fin ad allora si credeva che a Cartagine ci fosse il centro di produzione e da qui gli scarabei venivano diffusi alle colonie. La pubblicazione dell′opera del Vercoutter20 fece riconsiderare tale ipotesi. L’autore afferma che in Sardegna, in particolare a Tharros, si trovano delle iconografie presenti solo in questa terra ma non a Cartagine e questi motivi sardi si ritrovano anche in Fenicia, dove pure li ritiene importati. La provenienza degli scarabei dal centro di Tharros ebbe una prima conferma dalla pubblicazione del materiale presente al

19

C. Olianas, “il mestiere dell’intagliatore di scarabei in Sardegna e in Africa (V-III sec)”, in Africa Romana, 1, Roma, Carocci, pp. 233. 20 J. Vercoutter, Les objets egyptiens du mobiliter funeraire carthaginos, Paris, 1945.

26


museo civico di Como ad opera di G. Quattrocchi Pisano21, (che in seguito verrà esaminato), dove la studiosa in seguito a una relazione riconosce per alcuni scarabei, l’utilizzo della tecnica detta “drill hole” e afferma che le iconografie utilizzate sono maggiormente documentabili a Tharros piuttosto che a Cartagine; dal materiale presente al museo di Sassari e al museo nazionale di Cagliari. Per confermare tale ipotesi bisognava avere almeno qualche prova: Antonio M. Costa22 verificò se in Sardegna fossero presenti dei giacimenti di diaspro verde, la materia prima usata per la produzione degli scarabei. Dalle ricerche effettuate negli anni 7023, in siti del Campidano centrale e nell′oristanese è stato possibile raccogliere dei campioni di diaspro verde grezzo, resti di lavorazione e utensili frammentari. Gli abitati preistorici hanno documentato la presenza di questo materiale nel Mogorese, nelle pianure vicino Monte Arci e negli abitati non lontano da Tharros24. Ad oggi giacimenti di diaspro sono documentati presso Masullas, presso Cuglieri e inoltre nell’isola di San Pietro. L’esistenza di una via di comunicazione tra Monte Arci e la costa del Sinis è documentata sin dal neolitico. Possiamo affermare ora che sia i Fenici che i Punici abbiano percorso le stesse vie antiche in modo da far arrivare a Tharros la pietra semipreziosa per la lavorazione dei sigilli.

21

G. Pisano, “Dieci scarabei da Tharros”, in Rivista di studi Fenici VI, fascicolo A 1978. 22 S. Moscati, A. M. Costa, “l’ origine degli scarabei in diaspro”, in Rivista di studi fenici, fascicolo A 1982, 2. 23 24

Ivi. pp. 207. Ivi. pp. 208.

27


3.2 GLI SCARABEI NEL MONDO FENICIO PUNICO

Il frequente ritrovamento di scarabei nelle tombe fenicie e puniche sia d’Oriente che d’Occidente è un indice del prestigio che la magia egiziana ebbe nel mondo fenicio25. Accanto alla connotazione amuletica e apotropaica lo scarabeo assolve anche la più semplice funzione di sigillo26; come ampiamente documentato dalla presenza di un eventuale epigrafe onomastica, dalle molte impronte di argilla che dovettero fissare i papiri degli archivi sia pubblici che privati garantendo così l’integrità del documento e permettendo l’identificazione dell’autore. Le figurazioni in linea di massima erano sempre diverse tranne nel caso

di

appartenenza

allo

stesso

gruppo

familiare,

rappresentavano la firma, che veniva impressa su globetti di argilla tenera. Una

volta essiccate “le cretulae” e inserite nei vari

documenti divenivano il sigillo di garanzia. Per provocarne l’indurimento, dopo l’incisione lo scarabeo veniva cotto a circa 200⁰. Questi piccoli oggetti dalle molteplici funzioni, sono delle vere e proprie opere d’arte. Fu utilizzato ben oltre il mondo fenicio, dalla Persia a Rodi, Creta, Grecia, all’Etruria, a Cuma, Pithecusa, Siracusa. È un elemento determinante del corredo delle tombe del Mediterraneo a partire dall’età orientalizzante fino all’età romana. Dalle notizie del canonico G. Spano27 pare che la 25

S. Moscati, “Gli scarabei e amuleti”, in I Fenici, Milano, Bompiani, 1992, pp. 445. 26 E. Acquaro , “Gli amuleti”, in La collezione punica del museo nazionale Giovanni Antonio Sanna di Sassari, Roma, Cnr, 1983, pp. 125. 27

Illustre archeologo, è da considerarsi l’iniziatore degli studi archeologici scientifici in Sardegna.

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frequenza di questi piccoli oggetti nel corredo tombale supererebbe il migliaio. I materiali utilizzati per la loro produzione sono la steatite, la pastiglia con smalto verde e azzurro, il diaspro, la cornalina, l’agata, il cristallo di rocca, l’onice. Questi tipi di materiale venivano utilizzati negli opifici occidentali che in Grecia, Etruria e nella Sardegna punica riprendono il motivo dello scarabeo egizio arricchendolo con temi della mitologia vicino orientale, grecoorientale, magno-greca ed etrusca. Gli scarabei recuperati nelle necropoli fenicio-puniche utilizzano come materie prime sia la pasta (la pietra comune come la steatite e la pietra di talco in qualche caso ricoperta di smalto) sia la pietra dura (diaspro verde, corniola, lapislazzuli, agata… ovvero quelli in pietra preziosa o semipreziosa)28. La raffigurazione sulla base degli scarabei di pietra dura viene praticata con la tecnica dell’intaglio, la figurazione degli scarabei in pasta invece si ottiene stampando sulla base una matrice. Taluni oggetti sono classificabili come egiziani ed altri più frequenti come egittizzanti. Per “egiziani” si intendono gli esemplari che da un attento esame della loro iconografia, stile, grafia dei geroglifici risultano sicuramente eseguiti in Egitto da maestranze indigene, possiedono un attenta esecuzione e coerenza dei geroglifici, mentre quelli “egittizzanti”29 si definiscono sia i pezzi fabbricati in Egitto da artigiani stranieri che operavano a Naucrati e Menfi30,

28

E. Acquaro, op. cit., pp. 125. G. M. Scandone, Scarabei e scaraboidi egiziani ed egittizzanti del museo nazionale di Cagliari, Roma, 1975, pp. 13. 30 Si desume che anche Menfi fosse un centro di produzione di scarabei destinato all’esportazione. 29

29


utilizzando la simbologia egiziana ma praticando delle riconoscibili differenze culturali e una scarsa qualità artistica degli esemplari, evidentemente richiesti dalla clientela straniera. È quest’ultimo è il caso della produzione di cui si occupano gli artigiani sardi, i quali si ispirano ad originali importati. È verosimile che gli scarabei egiziani ed egittizzanti siano stati portati in Occidente dai Fenici intorno alla metà del VII secolo a.C. dai Fenici di Cipro, poiché in quei luoghi vi era una grave crisi sociale, economica e politica dovuta ai durissimi trattati assiri che venivano loro imposti e alla conseguente deportazione. Subentrano i Cartaginesi che vi si affiancano e gestiscono le rotte commerciali accedendo direttamente ai mercati orientali e ai quelli del Delta del Nilo. Per i secoli VII-VI le rotte che fecero arrivare nel Mediterraneo gli scarabei erano le stesse della ceramica con un intensissima rete di scali che resero il commercio super proficuo.

30


3.3 LE INTERAZIONI TRA CARTAGINE E SARDEGNA

Un’ampia serie di scarabei proviene dalle tombe puniche della Sardegna, dai più antichi ritrovamenti di Tharros e Cornus fino ai più recenti di Monte Sirai. Possiedono tutte le caratteristiche degli scarabei punici e hanno tutti i caratteri delle fattura egiziana che predominano nel periodo antico (VII–VI sec). A Cartagine: nella fase più antica VIII–VII sec, gli scarabei ripetono i motivi egiziani e molto probabilmente vengono importati dall′Egitto, tanto a Cartagine come in Sardegna31. Dal V secolo la situazione si capovolge lo scarabeo non viene più fabbricato in Egitto, e di conseguenza cessa l′importazione a Cartagine, ma la sua importanza rimane inalterata32. La produzione continua con la pietra dura e si sviluppa un area di produzione nell’isola che diffonde il proprio materiale fino a Cartagine. La Sardegna diviene dal V secolo un centro di produzione autonomo, con irradiazione nel mondo punico e Cartagine33 in misura più o meno ampia ne dipende.

31

A. Parrot et al. I Fenici: l’espansione fenicia, Cartagine, Milano, Bur Arte, 1997, pp. 232. 32 S. Moscati, Fenici e Cartaginesi in Sardegna, (a cura di) Piero Bartoloni, Nuoro, Ilisso, 2005, pp. 260. 33 Ivi. pp 262.

31


3.4 THARROS COME CENTRO D’IRRADIAZIONE Tharros come dimostra la ceramica di fattura etrusca e corinzia del VI secolo a.C. ivi rinvenuta venne raggiunta, nel periodo di massimo splendore economico da una non occasionale corrente orientalizzante proveniente dall’Etruria34 e di conseguenza i suoi prodotti di tradizione fenicia vengono affiancati da quelli orientalizzanti. Verso la fine del VI secolo il fenomeno orientalizzante35 comincia a scindersi nelle varie culture e nel V secolo in seguito alla crisi economica che colpisce Cartagine e le sue colonie tutti i traffici commerciali vengono alterati. In questo arco di tempo in Etruria nasce una glittica di altissimo livello e probabilmente Tharros grazie alla sua posizione geografica, in questo stesso periodo, pare abbia ospitato botteghe di incisori che tramite l’esperienza etrusca avevano fatto propria l’arte orientalizzante. In Sardegna e dalle indagini svolte, precisamente a Tharros, si sviluppa a partire dal V secolo a.C. una produzione di scarabei in pietra dura, la maggior parte in diaspro verde, dotata di caratteri propri e una notevole capacità irradiatrice nel mondo punico occidentale. Proprio, nell′area del Monte Arci e del Mogorese, sono presenti dei giacimenti di diaspro verde sfruttati già nell′antichità36. La presenza in questi luoghi della silice e la sua utilizzazione fin dal Neolitico ci forniscono dei dati attendibili sulla

34

E. Acquaro, Arte e cultura punica in Sardegna/ presentazione di Sabatino Moscati, Sassari, Carlo Delfino editore, 1984, pp. 73.

35 36

Ivi. pp. 74. S. Moscati, A. M. Costa, op. cit., pp. 207.

32


potenziale fonte di approvvigionamento locale delle botteghe che operano a Tharros. Il largo sviluppo assunto dai motivi iconografici greci ha fatto supporre al Vercoutter che alla lavorazione degli scarabei prendessero atto anche artigiani di origine greca, oltre a quelli fenici e punici di Sardegna. La nuova serie di scarabei possiede una forma simile ma non uguale a quella egiziana37. Il coleottero appare più massiccio in confronto con gli esemplari egizi. Importante è la capacità di riproporre senza forzature nello schema dell’ovale figurazione dei diversi repertori. Le figurazioni possono essere varie tra l′orientale, egiziano e greco. Tra i motivi egiziani vi è Bes in varie versioni, il falco Horus sia come vacca che allatta, che sfinge alata ecc. Tra i motivi orientali ritroviamo il dio alato in piedi, il re che combatte con il leone, il dio o re in trono, il grifone, ecc., mentre sono motivi greci le teste umane di profilo, i guerrieri in azione, gli animali che attaccano le prede. L′attività degli incisori che operano a Tharros copre un arco di tempo dalla fine del VI al III secolo a.C. Le mutazioni sia economiche che politiche che avvengono in tutto il bacino del Mediterraneo nel III secolo, pongono fine all’attività delle botteghe38.

37

S. Moscati, Fenici e Cartaginesi in Sardegna, (a cura di) Piero Bartoloni, Nuoro, Ilisso, 2005, pp. 232. 38

E. Acquaro, Arte e cultura punica in Sardegna/ presentazione di Sabatino

Moscati , Sassari, Carlo Delfino editore, 1984.

33


3.5 CRONOLOGIA DELLA GLITTICA THARRENSE E CARTAGINESE

Fine VI inizi V secolo a.C. la glittica usa le tecniche e i temi del mondo orientale39;

Nell’arco temporale del V secolo gli incisori utilizzano il repertorio iconografico egittizante; questo stile continuerà fino al IV–III secolo a.C.40

Tra la fine del V e l’inizio del IV secolo a. C., oltre che dalle precedenti correnti, la glittica viene influenzata, tramite l’Etruria, da tecnica e iconografie del genere ionico;

Dalla seconda metà del IV secolo a.C. sino alla fine della glittica di Tharros, si iniziano a prendere le distanze dalle botteghe etrusche;

A partire dal V secolo a.C. a Cartagine come a Tharros si nota un cambiamento rispetto all’epoca precedente41; cambia la materia prima utilizzata e l’iconografia, si utilizza il diaspro a discapito della pasta smaltata, ai motivi di derivazione egiziana si affiancano elementi del mondo greco;

A Cartagine è possibile trovare fino al IV secolo a.C. sia scarabei in diaspro che in cornalina, dopo il numero dei

39

C. Olianas, “Dieci scarabei da Tharros”, in Rivista di studi Fenici VI, fascicolo A, 1978, pp. 237.

40

G. Q. Pisano, “Dieci scarabei da Tharros”, in Rivista di studi Fenici VI, fascicolo A 1978, pp. 55-56. 41

C. Olianas, op. cit., pp. 238.

34


rinvenimenti si riduce, probabilmente a seguito della crisi politica che ha causato la chiusura in se stessa di Tharros e di conseguenza riducendo il commercio con Cartagine42. •

Il III secolo a.C. pose fine all’attività delle botteghe tharrensi.

42

E. Acquaro, Arte e cultura punica in Sardegna/presentazione di Sabatino Moscati, Sassari, Carlo Delfino editore, 1984, pp. 76.

35


CAPITOLO IV TIPOLOGIE DEGLI SCARABEI

4.1 Gli scarabei del museo nazionale di Cagliari

L'Istituzione cagliaritana possiede una collezione di scarabei e scaraboidi fenicio-punici attribuibili cronologicamente a un periodo che va dal VII-VI sec. fino al III sec. a. C. Questa collezione è, secondo la Matthiae Scandone che ne studiò gli elementi più antichi43, divisibile in due grandi categorie a seconda del materiale con cui sono stati eseguiti: una di esse comprende quelli in pietra dura semipreziosa (diaspro, agata, corniola) e la seconda quelli in pasta vitrea e materiale litico non semiprezioso, consistente per lo più in una pietra talcosa color crema con striature marroncine o in steatite. Questa suddivisione non deriva da considerazioni puramente pratiche ma dal fatto che gli scarabei in pietra semipreziosa sono nella maggior parte incisi secondo uno stile che li differenzia da quelli in pietra comune e in pasta vitrea e hanno una diversa cronologia, ben più recente di questi ultimi. Provengono per lo più da scavi effettuati tra la fine del XIX e gli inizi del XX sec. d.C. in diversi centri archeologici tra i quali uno dei

43

I suoi interessi, sono di carattere egittologico e archeologico e sono rivolti prevalentemente a studi sull’evoluzione storica della religione egiziana; studi sui materiali egiziani ed egittizzanti nei centri fenicio punici; studi sui materiali archeologici egiziani presenti nei maggiori Musei italiani.

36


più importanti è certamente Tharros44, il più generoso certamente nel restituire una grande quantità di scarabei, soprattutto in diaspro. Molto spesso purtroppo non è possibile rintracciare l'origine dei vari pezzi, perché non tutti sono stati rinvenuti nel corso di scavi regolari, ma sono giunti al Museo dopo essere stati acquistati da scavatori privati, oppure in seguito a lasciti di collezioni, sia perché gli scavi regolari eseguiti a quell'epoca non usufruivano di criteri di catalogazione ben precisi per tutto il materiale portato alla luce: nella maggior parte dei casi allora si teneva poco o nessun conto degli oggetti "minori", non solo scarabei di materiali più o meno pregiati, ma anche amuleti e perle, che venivano ammassati tutti insieme e contrassegnati con indicazioni generiche: l'attenzione era riservata alle scoperte più appariscenti e sensazionali, questo non solo non rendeva giustizia all'importanza artigianale e artistica di tali oggetti, ma faceva certamente perdere elementi che sarebbero serviti per una comprensione più dettagliata di quanto si andava ritrovando. Gli esemplari, presi in considerazione, saranno un numero esiguo di opere locali più significative, provengono, oltre che da Tharros, da scavi presso Cagliari e da 3 collezioni: quella di G. Spano, la collezione

Timon e l’acquisto Castagnino, e ci serviranno per

avere un confronto tra i sigilli sardi e quelli del mondo egiziano ed egittizzante. Gli scarabei vengono divisi in diversi gruppi a seconda dei soggetti incisi sulla loro parte piatta avremmo così otto categorie:

44

M. Scandone, Scarabei e scaraboidi egiziani ed egittizzanti del museo nazionale di Cagliari, Roma, Consiglio nazionale delle ricerche, 1975, pp. 14.

37


Scarabei con nomi regali

Scarabei con nomi divini

Scarabei con nomi propri

Scarabei con immagini divine antropomorfe

Scarabei con immagini divine teriomorfe e animali sacri

Scarabei con immagini umane

Scarabei con simboli divini, ideogrammi di buon augurio e protezione e motivi ornamentali

Scarabei a registri

4.2 SCARABEI CON NOMI REGALI

Ci ritroviamo di fronte alla categoria con prevalenza di materiale egiziano ed egittizzante: su 18 pezzi solo 6 probabilmente sono opera locale. Questo fenomeno viene spiegato dal fatto che il nome regale come potente amuleto protettore è di tradizione egiziana. Le opere locali sono stati individuate grazie al diverso stile d’incisione che a differenza degli esemplari importati appare più rude, con contorni netti e aguzzi. Vi sono inoltre delle inesattezze nella riproduzione dei geroglifici. Il materiale utilizzato per gli scarabei forse eseguiti in Sardegna è per la maggior parte la pietra talcosa ma vi sono esemplari in pasta vitrea e steatite45.

45

M. Scandone, op.cit., pp, 17.

38


C1 . scarabeo proveniente da Tharros, costituito da pietra talcosa crema con tracce di smalto verde46. La parte del dorso per la maggior parte è andata perduta, si distingue nella parte superiore destra dell’elitra sinistra e un doppio motivo a triangoli. Sulla base è inciso un disco solare alato stilizzato posto verticalmente da cui pendono 2 urei stilizzati, un cartiglio entro cui compare il nome regale e un altro disco solare. La lettura crittografica da come risultato il nome divino Imn. Tutto l’insieme fa ritenere che l’opera sia di fattura locale. C2. Scarabeo incastonato entro un anello d’argento con castone in oro a bottone nei punti dove si innesta l’anello. Il materiale utilizzato è la steatite crema; l’esemplare proviene dalla collezione di Paolo Spano di Oristano. Sulla parte superiore della base, da destra, troviamo un falco in volo verso sinistra, un fanciullo seduto volto verso destra con la mano sinistra alla bocca, e la corona del Basso Egitto sul capo, un secondo falco che guarda verso destra; nella parte centrale un cartiglio con nome regale sorretto da una figura antropomorfa inginocchiata con ureo sul capo e lunghi cappelli, uno scarabeo con quattro ali e un secondo cartiglio con nome regale sorretto da figura antropomorfa47. Le particolarità iconografiche inducono a ritenere il pezzo opera locale particolarmente raffinata. C3. scarabeo in pietra talcosa, color crema, incastonato entro un anello d’argento, con castone a bottone dove si innesta l’anello. Il dorso appare con la classica divisione tra elitre e protorace. Nella base, un ovale rappresenta, un nome proprio, maschile, egiziano,

46 47

Ibidem. M. Scandone, op. cit., pp. 18.

39


P3-d’i-B3stt, che scritto con geroglifici molto stilizzati significa “PETUBASTI”. Lo stile, la grafia, fanno pensare a un origine locale del pezzo48.

4.3 SCARABEI CON NOMI DIVINI

In questa sezione la percentuale degli scarabei classificabili, come certamente sardi è di tanto inferiore a quelli certamente egizi o egittizzanti49. La spiegazione la si trova nell’iconografia stessa del sigillo, poiché i nomi delle divinità egiziane, non potevano che arrivare da dove queste divinità avevano il luogo di culto. Nell’analisi dei pezzi si è notato che, la maggior parte, riportano il nome del dio Amon. L’esemplare C4, costituito in pietra talcosa, color crema, proveniente da Tharros, e classificato come opera locale, reca un’imitazione imprecisa e rozza del nome divino. L’incisore molto probabilmente, si limitò all’emulazione del pezzo originale, senza aver capito il vero significato, considerando i geroglifici come singoli segni sacri. Sulla base presenta, nella parte superiore, un nb rovesciato, nella parte inferiore destra una piuma m3’t, a sinistra un piccolo disco con sotto un mn stilizzato. Si tratta della deformazione del nome divino Imn-R50.

48

Ivi, pp. 26. M.Scandone, op. cit., pp. 26. 50 Ivi, pp. 30. 49

40


4.4 SCARABEI CON NOMI PROPRI Nella sezione presa in esame, ci si ritrova dinanzi a un fatto inaspettato, per quanto riguarda le proporzioni tra opera locale e pezzi importati. Si partiva dal presupposto che la maggior parte del materiale arrivasse dall’Egitto, paese d’origine dei nomi iscritti sui sigilli; mentre vi è una proporzione di 11 su 8 per gli scarabei in opera locale sarda51. Molto probabilmente gli incisori sardi, che naturalmente

non

conoscevano

la

lingua

egiziana,

non

interpretavano il nome per quello che in realtà era, ma come una serie di immagini divine, protettive, beneauguranti, associandovi anche la propria fantasia per figure simili, confondendo le varie immagine che gli si presentavano davanti. Un esempio è lo scarabeo C5, in pietra talcosa bianco-grigiastra. Nell’ovale a destra troviamo un falco in volo verso destra, in alto a sinistra un piccolo disco, con le parti concave solcate da lievi incisioni orizzontali e nella parte superiore i segni p3 e d’i. Tali segni potrebbero intendersi come il nome egiziano P3-d’i-Hr52, ma se si considera il disco come una deformazione del segno p, il significato cambia e il nome diviene P3-d’i-Hr-n-Pe4. L’esemplare C6, in crema talcosa color crema fa parte di questa categoria. Purtroppo la parte del dorso è andata completamente perduta ma ci rimane la placca della base. Nell’ovale troviamo, incisi, nella parte superiore, due segni verticali considerati come p3 e d’i, nella parte inferiore un ureo che guarda verso destra, con il colpo solcato da linee oblique, in alto un segno n, una linea dentellata che potrebbe lontanamente dare un aria a un mn e un 51 52

M. Scandone, op. cit., pp.33. Ivi, pp. 35.

41


segno r. Anche in questo caso, quello che ci appare davanti è l’imitazione di un nome egiziano, riferito a una dea53. Ma il tutto appare travisato, un ipotetica soluzione potrebbe essere il nome P3-d’i-Rnnt. Il solo nome Rnnt, da solo, appare usato in riferimento alla dea nel lontano periodo del Nuovo Regno.

4.5 SCARABEI CON IMMAGINI DIVINE ANTROPOMORFE La maggior parte degli scarabei di questa sezione sono di fattura locale, ma non mancano quelli d’importazione. Negli esemplari importati54, si nota, un elevata raffinatezza e finezza, nella tecnica incisoria. Le iconografie che ricorrono maggiormente sono: le divinità Ptah e Sekhmet. A giustificazione della grande quantità degli scarabei sardi, con questa iconografia, troviamo la loro preferenza data alle rappresentazione divine, piuttosto che ad altri soggetti, infatti vi è l’ipotesi di un esecuzione tutta tharrense, per i sigilli con divinità. I soggetti che ricorrono sono: le immagini degli dei Hapi, e la protezione da parte di Iside verso il piccolo Horo, iconografia insolita negli scarabei egiziani. L’incisione, a differenza degli esemplari importati, risulta essere molto semplice e i contorni delle figure molto aguzzi55. Caratteristico appare il dorso, che può essere semplice, dove l’elitre sono separate da una sola semplice riga, o complesso, con più righe, che possono apparire anche segmentate. Il materiale maggiormente utilizzato è la pietra talcosa. 53

Ivi, pp. 36. M. Scandone, op. cit., pp. 37. 55 Ibidem. 54

42


Lo scarabeo C7, in pietra talcosa color crema, proveniente da Tharros, fa parte degli scarabei con il dorso semplice, tanto è che l’elitre sono separate da una solo linea. Nell’ovale, due figure antropomorfe, maschili, affiancate e stanti, divisi da una linea verticale, con una notevole acconciatura sul capo, con sotto un nb; rappresentano gli dei Hapi. La linea verticale che separa le due figure, potrebbe intendersi come il simbolo sm3-t3wy, significante “unione delle due terre”56 ovvero del Basso e Alto Egitto. È proprio con questa iconografia, che queste divinità, appaiono anche in altri oggetti. L’esemplare C8, in pietra talcosa color crema, proveniente dalla Collezione Giovanni Spano, riporta, l’altro tipo d’iconografia attestata. Il suo dorso presenta tre linee di separazione tra l’elitre. Sulla base, è inciso un ovale, entro cui vi sono: una figura antropomorfa maschile stante, rivolta verso destra e con il braccio sinistro portato in prossimità della bocca ed il destro disteso lungo il corpo; sulla sinistra compare una figura antropomorfa femminile, con un disco solare con all’interno delle corna, dei lunghi capelli e una lunga veste, che esibisce due lunghe ali, una a destra e l’altra in basso, e nella parte inferiore appare un nb. La scena rappresentata è: Iside che protegge Horo, tra le sue ali57.

56 57

Ivi, pp. 41. M. Scandone, op. cit., pp. 44.

43


4.6 SCARABEI CON IMMAGINI DIVINE TERIOMORFE E ANIMALI SACRI In questa sezione la proporzione tra esemplari importati e sardi, risulta equa58. Negli scarabei importati compaiono una varia gamma di animali sacri e divinità teriomorfe, mentre quelli locali preferiscono solo alcune categorie. La maggior parte degli esemplari importati provengono da Naucrati, i più caratteristici sono quelli a testa di negro, le sfingi con le ali sfrangiate, leoni e capridi. Gli esemplari locali, per la maggior parte riportano: leoni, urei, sfingi, capridi, uniti sempre a dei segni geroglifici. Gli scarabei con immagini di leone, appaiono diversi da quelle egittizzanti, poiché i pezzi sardi seguono i modelli greci. Lo scarabeo C9, in pietra talcosa, marrone chiara, presenta un mediocre stato di conservazione, ma possiamo notare che due linee concave separano il protorace e l’elitre, e queste ultime sembrano separate da quattro linee verticali parallele, lo spazio tra le due linee interne è riempito a sua volta

da segmenti

orizzontali. L’ovale, della base, appare cordonato; sulla destra appare con il corpo dalle piccole dimensioni e molto stilizzato un capride, le corna appaiono molto lunghe e girate all’indietro59; alla sua destra un felino con le fauci spalancate, zampe anteriori e coda sollevate, nell’atto di aggredirlo. L’esemplare C10, in pietra talcosa color crema, è l’indizio che anche in Sardegna si cercava di imitare gli oggetti tipici dell’artigianato naucratico. Il nostro scarabeo, presenta, la parte

58 59

Ivi, pp. 42. M. Scandone, op. cit., pp. 66.

44


superiore a testa di negro60. Sono ben visibili i tratti del volto, in particolar modo il naso, molto marcati; la parte superiore del volto rispetta le normali proporzioni del corpo umano. Presenta un copricapo reticolato, e dei capelli con piccole protuberanze rotondeggianti. Sulla base leggiamo una piuma m3t, una sfinge seduta con un ala probabilmente sfrangiata e piegata all’indietro, e un nb verticale.

4.7 SCARABEI CON IMMAGINI UMANE

Gli esemplari di questa sezione, non sono facilmente classificabili, poiché non risulta chiara l’iconografia, e in assenza di attributi che possano classificare l’eventuale natura divina dei soggetti rappresentati, gli attribuiamo il generico stato di immagini umane61. Lo scarabeo C 11 proveniente da Tharros, costituito in pasta vitrea bianca giallastra, risulta in cattivo stato di conservazione. Sulla base vengono rappresentate due figure maschili, stanti, che guardano in direzione opposta tenendosi per mano; entrambe recano sul capo la corona del Basso Egitto. Nella parte inferiore appare un nb. Potrebbero essere i re del Basso Egitto62, anche se tutto l’insieme, appare, come un imitazione di altri esemplari, dove compaiono gli dei Hapi. 60

Ivi, pp. 71. M. Scandone, op. cit. pp. 72. 62 Ibidem. 61

45


4.8 SCARABEI CON SIMBOLI DIVINI,IDEOGRAMMI DI BUON AUGURIO E MOTIVI ORNAMENTALI

In questa sezione è di nuovo attestata la bassa percentuale di prodotti locali, poiché gli incisori sardi prediligevano figure di animali e divinità a discapito dei geroglifici, poco comprensibili63. Gli incisori si limitavano a copiare, fondendo assieme dei segni, poiché risultavano di difficile comprensione. Una prova di questo fatto sta nell’esemplare C12 proveniente da Tharros. Il sigillo è composto da pasta vitrea bianca verdina, il dorso risulta eroso, con linea di separazione tra l’elitre. Nella base è inciso il simbolo di Tanit64 con la parte inferiore composta da due triangoli, che risultano uno sotto l’altro. Si nota la mancanza nel triangolo superiore, della base.

4.9 SCARABEI A REGISTRI

In questa sezione si collocano gli scarabei, che presentano la base divisa, tramite linee orizzontali in due o tre registri, entro cui appaiono i vari simboli. Lo scarabeo C13, un ottimo esemplare di fattura locale, in pietra talcosa color crema, presenta due linee di separazione tra protorace ed elitre, tra le quali vi sono linee di riempimento 63

Ivi, pp. 76. Ivi, pp. 84. Tanit era la dea che deteneva il posto più prestigioso a Cartagine il suo simbolo era la piramide tronca portante una barra rettangolare sulla sommità.

64

46


verticali; l’elitre sono separate da quattro linee verticali parallele, con lo spazio tra le due interne riempito da linee orizzontali e segnate nella parte superiore esterna da tre linee oblique parallele. Nella base appaiono due registri di uguale altezza. In quello superiore, da destra, troviamo: una figura antropomorfa maschile, stante, che guarda verso destra, con la corona dell’Alto Egitto sul capo, il braccio disteso lungo il corpo, una figura femminile stante, con corna sul capo, entro il disco solare e dorso di falco, con due ali frangiate, rivolte una in basso e una a destra, un'altra figura maschile stante, con ureo sul capo, con il braccio sinistro sollevato e il destro disteso lungo il corpo. Nel registro inferiore un cervide dalle lunghe corna ramificate, girate all’indietro e le zampe anteriori leggermente piegate, con al di sopra in nb, costituisce la scena. La lettura crittografica da come risultato il nome: Imn-nb-i65. L’esemplare C14, in pasta vitrea bianca, si presenta incastonato in un anello d’oro, con castone a bottone nei punti dove si innesta l’anello. È di ottima fattura locale e molto raffinato, il suo destino non era di essere portato al dito bensì essere utilizzato come ciondolo66. La sua base è divisa in tre registri, dei quali il centrale risulta essere il più ampio a seguire il superiore e l’inferiore. Nel registro superiore, sono un leone accovacciato con coda a ricciolo, un cartiglio con nome regale, purtroppo illeggibile, e un altro leone identico al precedente. Nel registro intermedio vi è il dio Hapi in ginocchio, che guarda a sinistra, con una bella acconciatura sul capo, reggente con il braccio destro un vaso hs, un cartiglio con nome regale d’imitazione formato da tre dischi disposti uno sopra 65 66

M. Scandone, op. cit., pp. 87. Ivi, pp. 90.

47


l’altro e un Hapi identico al primo

ma volto verso destra. Il

registro inferiore è andato perduto.

48


CAPITOLO V LE ICONOGRAFIE

5.1 I dieci scarabei della collezione Garovaglio

I dieci scarabei che verranno in seguito descritti si trovano al Museo Civico di Como. Furono acquistati dallo studioso Garavaglio67 durante un suo viaggio in Sardegna, provengono da Tharros e sono tutti fenicio-punici. Vennero studiati da G. Quattrocchi Pisano che confermò l’ipotesi di Tharros come centro di produzione autonomo. Alcuni esemplari conservano l’originale montatura in oro, argento o vari metalli a testimonianza della loro funzione glittica connessa all’oreficeria.

A 1. Il primo scarabeo in steatite nera è montato a sigillo su un anello. Il dorso non presenta linea di separazione tra protorace ed elitre. Sulla base è inciso un ovale con all’interno una scena di lotta tra Bes e il leone. Al piano superiore è visibile un disco solare alato, di cui resta solo l’ala sinistra, e inferiormente un nb. Bes viene raffigurato con la testa di satiro e folta capigliatura, è 67

È il fondatore e direttore della rivista archeologica della provincia di Como. I suoi interessi spaziano un pò per tutte le epoche e culture. Nei vari viaggi si trovò a contatto con realtà archeologiche dov’erano in corso nuovi ritrovamenti, in particolare in Sardegna, dove s’interessò alle ricerche in corso a Tharros.

49


possibile notare la fronte bombata, la punta del naso, l’occhio, le braccia che tengono le zampe del leone, le gambe divaricate e la coda che scende verso il basso. Il leone con folta criniera, le fauci aperte, l’occhio sottolineato da un elemento circolare e la coda che forma una voluta68. Il tema che ci propone questo scarabeo risulta essere uno dei più diffusi nel mondo fenicio punico. I confronti con altri provenienti dalla stessa Tharros sono molteplici: rispetto al nostro scarabeo in altri 2 reperti il leone appare con tutto il corpo affrontato rispetto a Bes; in un esemplare conservato al British Museum il corpo del leone appare poco slanciato. Si nota l’utilizzo di elementi circolari che cercano di rendere le varie parti del corpo in modo più plastico. Raffronti è possibile trovarli oltre che in altri reperti provenienti da Tharros, anche in due scarabei di Monte Sirai e Predio Ibba. In entrambi, la criniera del leone è realizzata a reticolato e si utilizzano elementi circolari per rappresentare i dettagli anatomici di Bes e quelli zoomorfi del leone. È stata proposta una datazione al IV secolo a.C. Tanti esemplari con questo tema provengono anche dal nord Africa69 e uno in particolare rappresenta il tema dello scarabeo che noi stiamo analizzando: la testa di Bes è rappresentata con la testa di satiro. Tutti gli scarabei descritti sono grossolani con linee ampie e marcate, mentre il numero 1 risulta essere più 68

G. P. Quattrocchi, “ Dieci scarabei da Tharros”, in Rivista di studi Fenici VI, fascicolo A 1978, pp. 38.

69

J. Vercoutter, Les objets egyptiens du mobiliter funeraire carthaginos, Paris,

1945, pp. 213.

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particolareggiato e l’incisione praticata a masse tondeggianti accentua i dettagli anatomici e zoomorfi. Per

la datazione

dobbiamo prendere in esame il volto satirico di Bes. Se si considera che molti scarabei di diversa provenienza ma tutti del VI secolo a.C., attestano quest’iconografia, che tale tema è presente in numerose gemme e dall’ulteriore confronto con uno scarabeo in calcedonio, datato al VI secolo possiamo proporre la datazione del nostro sigillo alla fine del VI secolo a.C. A2. Scarabeo in diaspro verde, montato a sigillo su un anello in oro che si inserisce nel foro dello scarabeo. Il dorso presenta due linee leggermente concave che separano il protorace e l’elitre, queste ultime risultano essere separate da una linea verticale. Sulla base è inciso un ovale rappresentante una scena di lotta tra un leone e un uomo. L’uomo viene raffigurato con in testa un copricapo di forma cilindrica, i capelli cadono sulla nuca arrivando a sfiorare la spalla sinistra; sono distinguibili i tratti anatomici: l’occhio, la guancia, il naso dritto e una folta barba che ricade sulle guance. Indossa una lunga veste tenuta in vita da una cintura. Il leone viene figurato di profilo e in posizione eretta, con fauci spalancate, folta criniera a reticolato e con 3 incisioni parallele che segnano il costato, la zampa anteriore sinistra sollevata e quella destra tenuta più in basso rispetto all’uomo. La coda forma una voluta. Il nostro reperto risulta di fattura molto pregiata70. Per l’incisione viene utilizzata la tecnica detta “drill-hole71” che sottolinea con punti circolari varie parti del corpo. Dall′immagine riusciamo a cogliere proprio il momento della lotta: l’uomo appare 70 71

G. P. Quattrocchi, op. cit., pp. 41. C. Olianas, op. cit., pp. 239.

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stante mentre il leone in movimento. Un simile scarabeo sempre proveniente da Tharros, conservato nel museo londinese rende plausibile l’ipotesi dell’origine da una stessa bottega. Altri due scarabei conservati al museo di Cagliari offrono soluzioni stilistiche e iconografiche assai simili al reperto 2.

Dall’area vicino orientale troviamo tante corrispondenze sia per la tecnica che per l’iconografia, soprattutto con la glittica assirobabilonese e persiana. Notevoli sono le assonanze con la tecnica della glittica neo-babilonese che utilizza il trapano tondo come nei reperti tharrensi presi in esame.

La montatura dello scarabeo è uno dei più antichi della glittica tharrense, si propone una datazione all’ultimo quarto del VI inizio V secolo a.C.

A3. Scarabeo in diaspro verde. Il dorso presenta linee di separazione concave tra protorace ed elitre. All′interno dell’ovale, presente alla base del sigillo, troviamo Iside pterofora, discofora e con la sola testa con acconciatura a klaft posta di prospetto. La dea indossa una lunga veste decorata a spina di pesce, con le ali appoggiate al corpo. Si possono osservare i dettagli anatomici quali: guancia, bocca e mento resi da un piccolo elemento puntiforme; l’occhio posto in risalto da un elemento circolare, le braccia aperte, le mani che tengono steli di papiro che terminano con un grande fiore. In questo esemplare confluiscono evidenti segni del patrimonio figurativo egiziano, anche se risultano essere i meno attestati nel patrimonio fenicio punico; a seguito di ciò possiamo supporre che il tema è legato alle botteghe sarde a da

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queste trasmesso a Cartagine72. L’iconografia è già presente in altri due scarabei da Tharros e in due dalla necropoli di Predio Ibba rinvenuti in contesti databili al V-IV secolo a.C. ma confronti più diretti ci arrivano da un esemplare da Kerkouane73 datato al V-III secolo a.C. Anche se gli elementi di confronto non sono abbastanza, possiamo supporre che il nostro esemplare appartenga alla fine del V inizio IV secolo a.C. A4. Scarabeo in diaspro verde, montato a sigillo su anello d’oro, superiormente si ingrossa a sanguisuga e si torce a formare l’elemento di sospensione. Il dorso appare con linee di separazione tra protorace ed elitre. Sulla base è presente un ovale, entro cui è presente, nella parte superiore, una corona hmhm su un disco dalla cui base fuoriescono due urei discofori, al di sotto un disco con cinque linee oblique. Quest’iconografia doveva essere molto popolare, poiché le attestazioni sia del centro e di tutta la Sardegna, prevalgono sulle altre74. Il nostro esemplare risulta di elevata finezza tecnica, possiamo supporre una datazione al V secolo a.C. A5.

Scarabeo in pietra dura di color verde - chiaro. Appare in

pessimo stato di conservazione con il dorso fratturato. Due linee concave separano il protorace e l’elitre, l’elitre sono separate da una linea verticale. Sulla base è inciso un ovale entro cui è Iside che allatta Horus75. La dea appare discofora, con capigliatura a

72

73

G. P. Quattrocchi, op. cit., pp. 43. J. Vercoutter, Les objets egyptiens du mobiliter funeraire carthaginos, Paris,

1945, pp. 21 74 75

G. P. Quattrocchi, op. cit., pp. 45. Ibidem.

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klaft resa da striature verticali. È seduta su di un trono con bassa spalliera, tiene con il braccio, Horus, con doppia corona, seduto sulle sue ginocchia, con il nhh nel braccio destro. In frontale vi è un thymiaterion, che presenta un incisione a triangolo, interpretata molto probabilmente come la schematizzazione del fuoco, e al di sotto un nb inciso a reticolato. L’iconografia è una delle più documentate nella glittica Tharrense, si conoscono altri 6 scarabei con simile rappresentazione. In Sardegna si trovano raffronti in un reperto della tomba 91 della necropoli di Predio Ibba, rinvenuto in un contesto del IV secolo a.C. Anche in Africa, uno scarabeo in diaspro del V-IV secolo a.C.76 riporta la stessa rappresentazione; mentre uno da Kerkouane77 aggiunge anche una barca solare. Il tema proposto risulta essere più presente nella glittica di Tharros rispetto a quella di Cartagine; nel centro produttore sardo viene proposta in diversi livelli di qualità. In particolare, il nostro scarabeo non è di ottima fattura, si nota infatti una dura incisività, non possiamo affermare se ciò sia dovuto al basso livello della bottega o ad un fatto intenzionale, ma possiamo supporre provenga dalla stessa bottega in cui è stato prodotto uno scarabeo presente al British Museum. La datazione proposta per il nostro esemplare è V inizio IV secolo a.C. A6 . Scarabeo in pietra dura color verde chiaro. L’incisione appare leggermente corrosa. Il protorace risulta separato dall’elitre, così come l’elitre sono separate da linea verticale. Nell’ovale di base è inciso un ureo con il falco Horus. Il falco porta la corona dell’Alto e

76 77

Esemplare in diaspro di Utica. J. Vercoutter, op. cit., pp. 216, n. 560.

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Basso Egitto, è posto di profilo verso destra con un nhh e hk3 nel dorso78. L’ureo anch’esso con la corona dell’Alto e Basso Egitto è protetto dall’ala destra di Horus. Il piumaggio è reso con dei tratti verticali paralleli. Entrambi i personaggi poggiano su un disco a base espansa. A7.

Scarabeo in pietra dura, color verde chiaro. L’incisione è

corrosa. Il dorso presenta protorace ed elitre separate; l’elitre sono separate da una linea verticale che risulta spostata verso destra rispetto all’asse. Al centro dell’ovale, presente nella base, vi è al centro il falco Horus, con le due corone dell’Egitto, con le ali aperte, volte verso il basso e piume rese da tratti obliqui e paralleli. Sul dorso un nhh e hk3 e al di sotto un disco a base espansa79. Entrambi gli esemplari presi sopra in esame, offrono lo stesso tema: quello del falco Horus. Le differenze riguardano le tecniche d’incisione mentre il 6 risulta essere più accurato e preciso, il 7 presenta un incisione trascurata. Le iconografie differiscono: mentre nel 6 l’ureo viene abbracciato dal falco, nel 7 l’ureo scompare per essere sostituito dall’ala aperta di Horus. Tanti sono gli scarabei con questo tema ma quello proveniente da Dahr el Morali80 datato al IV secolo a.C. risulta essere il più vicino. Un altro reperto proveniente da Tharros, ma esposto nel museo londinese si differenzia per la figurazione con un fiore di loto con affianco due boccioli e dal tratto più morbido con cui è inciso l’animale. Il reperto numero 7 trova raffronti con uno scarabeo di Santa

78

G. P. Quattrocchi, op. cit., pp. 47. Ibidem. 80 J. Vercoutter, op. cit., pp. 215, n. 556. 79

55


Monica81, datato al IV-III secolo a.C. che esalta la poca perizia tecnica. Dai dati di confronto è possibile per entrambi una datazione a fine IV secolo a.C. con la possibilità di un attardamento al III, specie per il reperto 7. A8.

Scarabeo in pietra dura, color verde chiaro. Lo stato di

conservazione non è dei migliori, presenta un incisione rovinata e dorso scheggiato. Sull’ovale è inciso un guerriero seminudo, inginocchiato. Non si riconoscono i dettagli anatomici del volto, si nota solo la barba a punta. La testa appare di profilo verso destra, i capelli ricadono sulla nuca. Il dorso è di prospetto; il braccio destro sostiene uno scudo mentre il sinistro impugna una lancia che passa dietro il corpo e termina sotto lo scudo. Ci troviamo di fronte a un esemplare di buona fattura, che rivela un tratto sicuro nella figurazione del personaggio. Il tema è d’ispirazione greca e ha non uguali nella glittica di Tharros82. Un riscontro stilistico, seppur con qualche variante lo si trova sul castone di un anello sempre da Tharros83; elemento che fa supporre l’identità della bottega che pare abbia recepito il repertorio non tradizionale. Un confronto generico possiamo tentarlo con un esemplare proveniente da Predio Ibba, che pur avendo la stessa iconografia, possiede qualcosa in più: l’elmo sulla testa del guerriero. Più vicina è la realizzazione di uno scarabeo da Utica84 che differisce solo per la posizione della lancia posta diagonalmente al busto e datato al V–III secolo a.C. Gli elementi che troviamo nel nostro

81

Ibidem, n. 558. G. P. Quattrocchi, op. cit., pp. 49. 83 Ivi, pp. 94, n. 113, fig.3, tav. VIII. 84 J. Vercoutter, op. cit., pp. 233, n. 626. 82

56


esemplare, sono indicativi dell’autonomia che aveva il centro di Tharros nel mutare le iconografie recepite da altri ambienti. Si suppone una datazione fine IV inizio III secolo a.C. A9. Scarabeo in corniola. Montato a sigillo su un anello in oro con castone. Il corpo è formato da un filo che si inserisce nello scarabeo, arrotolandosi su se stesso formando una spirale, fissandosi alle estremità con un gancio. L’elemento di sospensione è formato da un anellino a sanguisuga, mentre il castone ha una montatura ovale, con bordi lisci terminante con un filo in filigrana. Il dorso presenta la separazione tra protorace ed elitre, e a loro volta l’elitre separate da una linea verticale. Sulla base (la parte esterna è coperta dal castone) è inciso un ovale rappresentante Horus fanciullo disposto verso destra e di profilo, discoforo, con il braccio sinistro piegato e con in bocca il dito della mano sinistra. Sulla destra un nhh con un fiore di loto e due boccioli sottostanti; verso l’alto uno stelo di papiro che termina con un grande fiore. La realizzazione risulta essere armoniosa e molto accurata, fatto che è possibile notare nella resa della capigliatura a caschetto e dalle fasce muscolari85. Motivo molto frequente nella glittica fenicio punica, lo ritroviamo in altri quattro esemplari di Tharros. Due conservati al British Museum presentano: in un esemplare in diaspro Horus con due urei alati, l’altro in pasta vitrea blue aggiunge un disco solare alato. Uno conservato al museo di Cagliari, propone Horus senza disco sulla testa, e due fiori di loto sulla sinistra; un altro in diaspro riporta Horus con tre piccoli elementi circolari sostenuti da altrettanti segmenti sulla testa . 85

G. P. Quattrocchi, op. cit., pp. 50.

57


In seguito allo studio dei vari scarabei, possiamo affermare che quest’iconografia è ampiamente documentata in Sardegna anche se con alcune varianti. Le principali sono: •

Horus fanciullo da solo

Horus fanciullo con due divinità o personaggi

Horus fanciullo con divinità o personaggio e una serie di motivi complementari che non sempre appaiono (disco solare, falce, disco solare alato, in basso il segno nb la presenza di un globetto nella testa di Horus).

Le tre varianti note nella glittica fenicio punica riportano a una dinamica figurativa egittizzante. Lo scarabeo preso in esame può considerarsi del IV secolo ma se consideriamo la montatura in oro la datazione potrebbe essere più alta. A 10. Scarabeo in corniola. Montato a sigillo su un anello in bronzo con castone. Il castone è frammentario con una montatura ovale, lo scarabeo appare leggermente scheggiato. Protorace ed elitre sono separati da una linea leggermente concava. Nell’ovale troviamo una sfinge alata, discofora, di profilo verso destra, seduta su una palma avente per base un archetto tondo. Al di sotto un fiore di loto con gambo conico e sotto la linea di base un altro fiore di loto ma aperto. Il motivo della sfinge alata proviene dall’ambiente etrusco86 (è comunissimo nell’isola,) viene incisa con i suoi elementi fondamentali e risulta molto nitida. Dei dettagli allontano il nostro

86

G. P. Quattrocchi, op. cit., pp. 53.

58


esemplare da quelli dell’ambiente punico: lo scarabeo unifica tutti gli elementi noti per quest’iconografia in un unico pezzo, elementi che in altri esemplari risultano essere mai compresenti. Questo ci testimonia l’evoluto stadio delle officine tharrensi. Il nostro esemplari è datato al IV secolo a.C.

5.2 LE ALTRE ICONOGRAFIE

Le iconografie presenti in Sardegna non si risolvono solo con quelle elencate ma è vasta, per la brevità della trattazione in oggetto cercherò tramite l’analisi di alcuni esemplari

di

individuare e descrivere le più caratteristiche. Oltre la caratteristica forma assunta dagli scarabei, due provenienti da Tharros, possiedono forma conica. Il B187, in pietra dura, nerastra riporta il motivo della sfinge accosciata, retrospiciente, con corona 3tf con schemi del VII-VI secolo nella base del sigillo. Il n. B288, in pasta silicea stracotta, di color marroncino propone due personaggi con corona e lancia, che per

87

E. Acquaro “I sigilli”, in Anecdota Tharrica, Sabatino Moscati, Maria Luisa

Uberti, Roma, 1975, pp. 53, ( collezione di studi fenici).

88

Ibidem.

59


materiale e tecnica si può avvicinare ad esemplari rinvenuti a Cartagine e datati al IV secolo a.C.89 Lo scarabeo B3, recepisce l’influsso orientale riconducibile alla glittica greca che risulta più aperta nell’assimilazione di questi modelli. Il tema principale é il leone seduto di profilo su un nb con la testa frontale. Sulla destra troviamo un ureo con doppia corona, a sinistra una protome leonina posta di profilo e in alto un disco con falce e un disco radiato. Come sfondo, un ventaglio di papiri, caratteristica che ci consente di fare un collegamento con l’arte figurativa egittizzante90. La protome leonina, che si pone dietro il leone seduto , occupa uno spazio insolito, che di solito è occupato dal profilo di Bes, da un cinocefalo o un babbuino. Questa mutazione iconografica testimonia che l’esemplare ha una certa originalità e un certo livello di tecnica. Il motivo del leone, lo si ritrova in uno scarabeo in diaspro verde, da noi numerato B29, ma stavolta la protome leonina appare con le fauci spalancate, e una folta criniera. Entrambi gli esemplari vanno datati al V secolo a.C.91 In contrapposizione a questa iconografia, un'altra proveniente da Tharros riporta una testa silenica barbata miniaturizzata. Quest’ultimo motivo viene spesso utilizzato specialmente a Tharros come elemento secondario. Nel B18, reperto proveniente dalla Collezione Spano, in diaspro verde,

89

Datati dal Vercoutter in Les objets egyptiens du mobiliter funeraire

carthaginos, Paris, 1945, n. 446-447.

90 91

E. Acquaro, op. cit., pp. 54. Ivi, pp. 55.

60


troviamo due teste sileniche contrapposte disposte sul dorso di un coccodrillo. L′animale assume il ruolo di “protagonista” rispetto a tutta la rappresentazione. Il coccodrillo viene spesso utilizzato come elemento di base per le teste di vari personaggi sia divini che umani. È il caso dell’esemplare n. B1292. Nel B4, esemplare in pietra dura, di colore verde chiaro, troviamo la testa silenica con capigliatura serpentina. Tema di derivazione dalla glittica greca orientalizzante, datato ai primi del IV secolo a.C93. Nello stesso arco cronologico, collochiamo lo scarabeo B5, in diaspro verde, che ci offre la raffigurazione di Horus falcone, discoforo con a sinistra i segni di regalità. Anche se l’esecuzione è molto generica e di poca qualità, possiamo affermare che questo motivo egittizzante è stato assimilato dall’iconografia fenicio punica. Direttamente dall’Egitto, arriva l’iconografia dell’esemplare B19. Esso rappresenta una cornice lineare con all’interno un animale seduto e sopra un falcone posto di profilo con le ali aperte. Molto probabilmente gli incisori non sono riusciti nell’intento di recepire appieno questa iconografia, tanto è che non si riesce ad identificare con sicurezza chi sia l’animale seduto; probabilmente si tratta di Anubis94 (la divinità egizia che proteggeva le necropoli ed il mondo dei morti) o del simbolo di Seth95 (il dio egizio del caos).

92

E. Acquaro, op. cit., pp. 56. Ibidem. 94 Colui che ha testa di cane selvaggio, (sciacallo). 95 Dio malvagio, uccisore di Osiride, con corpo umano, testa con muso allungato e ricurvo verso il basso, orecchie erette e squadrate alla sommità. 93

61


Gli esemplari B8 e B15, entrambi dal repertorio egittizzante, risultano probabilmente essere prodotti nella stessa bottega96. Il primo in diaspro verde, ci riporta Iside pterofora, discofora, col volto posto frontalmente e reggente due steli di papiro. Mentre nel B15, in una cornice lineare, presenta su un nwb un personaggio ieracocefalo discoforo inginocchiato fra due urei con occhio wd3t nella mano, e sopra un sole alato. Un confronto diretto con quest’ultimo scarabeo arriva da Biblo97, si tratta di un esemplare in ematite nera, dove l’occhio è reso da due piccole linee verticali indistinte incorniciate da due fiori a lungo stelo. Provengono invece da una produzione di origine etrusca, percepita dall’artigianato tharrense intorno al V secolo a.C., le iconografie degli scarabei B21 e B2398. Il B21, esemplare in diaspro verde, raffigura in una cornice a trattini, un personaggio maschile con un tridente e un pesce. Il B23, sempre in diaspro verde, rappresenta in una cornice a trattini un Tifone. Meno tecnicamente riusciti appaiono i numeri B26 e B27. Entrambi in diaspro verde, tramandano il tema del guerriero, in ginocchio con lancia e scudo. Tema che riconosce a Tharros molta diffusione, ma soprattutto qualità tecnica. Alla tradizione fenicia, ci riportano i numeri B 11, 12, 13, 14. Tutti sono in diaspro verde99, raffigurano il tema già trattato, di Iside nutrice con Horus Arpocrate ma con la variante dei candelabri bruciaprofumi100. Anche il B9 e B10101 ci riportano al mondo

96

E. Acquaro, op. cit., pp. 57. Ibidem. 98 Ivi pp. 58. 99 Ivi pp. 58-59. 100 Già documentata a Tharros , in esemplari datati al V–IV sec a.C. 101 Ibidem. 97

62


fenicio, con una datazione al IV secolo a.C. il tema è la vacca che allatta il vitello. Nel B10 la realizzazione della vacca retrospiciente che si china sul vitello è resa in modo schematico ma efficace, direttamente proveniente dall’oriente, anche se lontano dalla sapienza stilistica di altri esemplari. L’impostazione degli animali del B9 e soprattutto il dettaglio anatomico delle corna, ci porta allo scarabeo B33 che rappresenta un bovide, o un cervide, passante. Altro tema è rappresentato nel B24, dove un leone attacca un toro passante. Il tema non risulta essere integralmente di derivazione fenicia, in quanto per il dettaglio della criniera ci rimanda al mondo etrusco del V-IV secolo a.C. Cosi come, nei B30 e

B31,

dove

viene

rappresentato

un

leone

rampante

retrospiciente nel primo, e un leone passante retrospiciente nel secondo. Il tema del leone con le fauci spalancate, già noto a Tharros (leggermente osservabile nel B30) rientra in un arco cronologico attorno al IV-III secolo a.C., con la possibilità per il B31 di una datazione al III secolo a.C. Verso la metà del IV secolo a.C. troviamo degli scarabei con la tecnica a globulo, tecnica derivante dall’influsso etrusco ionico, che apporta nuovi temi figurativi. I temi riprodotti rientrano nella produzione che dall’Etruria arriva a tutto il Mediterraneo. Gli schemi generalmente risultano profani come si può notare nell’esemplare B22, che riporta un cavaliere, o lotta tra animali nel B25. Gli esemplari B7, B22, B25, sembrano aver recepito appieno questa tecnica102, dimostrando elevata qualità artistica.

A

differenza degli altri due il tema del B7 risulta poco usato 102

E. Acquaro, op. cit., pp. 60.

63


riproduce su un nb un personaggio in trono, con la mano sollevata e un altro personaggio stante, che risulta essere il fedele in adorazione al dio. Questo tipo di esecuzione, non utilizza, abitualmente, scene con soggetti religiosi, tema inoltre

di

derivazione fenicia. Nel B6 la tecnica a globulo, appare accompagnata da una tradizione calligrafica di scuola etrusca della seconda metà del V secolo. A quest’arco cronologico appartengono le incisioni del B16 e B28 che attestano rispettivamente una sfinge alata con le zampe anteriori levate, con i capelli a caschetto, e un ramoscello tra le gambe, e l’altro esemplare un personaggio in ginocchio con un vaso nella mano destra. Particolare risulta essere la figurazione del B37. Riproduce Horus Arpocrate seduto all’interno di un edicola sostenuta da un barca di papiro. L’edicola appare sorretta da elementi portanti come fusti con corolla. Il tema è molto caratteristico per la glittica sarda. È interessante notare anche il materiale utilizzato per la costruzione di questo scarabeo: l’argento. Questa caratteristica ci riporta alla coppa d’argento di Preneste, dove compare lo stesso personaggio seduto sui fiori di loto. Possiamo proporre una datazione, per il nostro esemplare, al VI secolo a.C.

64


CONCLUSIONI

I Fenici ebbero un ruolo di intermediari molto efficienti fra l’Oriente e l’Occidente, contribuendo a diffondere l’artigianato egiziano e il suo “habitat” mentale in tutto il Mediterraneo. L′influenza egiziana appare determinante, per questo popolo che porta con sé una serie di credenze magiche del mondo dei faraoni. Molto spesso, si è creduto che “ l’egittomania” di questo popolo avesse soffocato ogni sua originalità, limitandosi solo a cercare di emulare l’arte egizia senza sforzarsi di creare un arte propria. Tramite i nostri studi possiamo inquadrare questo fenomeno come un lungo processo, con momenti più o meno acuti, che arriva fino alla “vera” arte fenicia. Sin dal terzo millennio, i modelli egiziani, vengono adottati dai Fenici, molto spesso le iconografie venivano prodotte fedelmente dall’incisore condividendo persino i dettagli. L’iconografia egiziana, nel mondo punico, non verrà mai meno, anche se in alcune periodi risulta essere meno acuta, come all’ inizio del I millennio. In questo periodo, si riallacciano i rapporti commerciali con l’Egitto ma successivamente la Fenicia verrà assorbita dalla potenza assira che trasmetterà un altro tipo d’influsso iconografico. Si mostrano più aperti verso l’influsso dell’arte persiana, dell’arte greca e a tutti i tipi d’arte che incontrano nella loro espansione mediterranea. Nel 814 a.C., con la fondazione di Cartagine si apre una nuova stagione della storia fenicia. Con i loro innumerevoli viaggi sul mare, il popolo di marinai, entra in contatto diretto con le nuove culture,conoscendo l’arte iberica, libica, greca etrusca, nuragica, stimolando così il loro senso artistico.

65


In Sardegna la civiltà fenicio punica copre un arco temporale di circa 600 anni. I Fenici, fecero dell’isola la loro seconda patria, sviluppando un arte e artigianato originale. Le fonti archeologiche e i reperti ritrovati ci possono dare un idea su quest’arte. In questo lavoro sono stati presi in considerazione gli scarabei del mondo fenicio punico, oggetti di chiara derivazione egiziana. Per avere un idea delle tipologie e iconografie presenti in Sardegna si è fatto un breve riferimento alle tipologie di scarabei presenti al museo nazionale di Cagliari, con eventuali proporzioni tra esemplari sardi e importati, e in particolare alla collezione Garovaglio. Dalla nostra breve analisi, abbiamo constato che classificare gli scarabei non è una questione semplice, soprattutto se si tratta di decidere la provenienza, a discapito però degli esemplari certamente egiziani che presentano aspetti iconografici, epigrafici e stilistici che consentono facilmente l’individuazione. Negli esemplari egiziani sono sempre rispettate le dimensioni delle figure, le divinità sono sempre rappresentate con gli attributi che gli contraddistingue, e i geroglifici sono incisi da persone che ne conoscevano il significato. La situazione si presenta più difficile per gli esemplari egittizzanti importati e quelli prodotti in Sardegna. Questa categoria risulta essere molto fraintendibile in quanto entrambi presentano un aspetto grossolano delle immagini e geroglifici spesso travisati. L’unica differenza potrebbe trovarsi nella morfologia dei dorsi, che nei pezzi locali è rotondeggiante e a volte cupoliforme, con le linee di separazione spesso rozze; mentre quelli importati appaiono più allungati e schiacciati103.

103

M. Scandone, op. cit., pp. 101.

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Tramite gli scambi commerciali e l’esistenza di artisti itineranti, che contribuirono alla diffusione delle tecniche e modelli figurativi, gli incisori sardi ebbero modo di conoscere questo prodotto e prendere spunto per riprodurlo. Gli esemplari di origine sarda possono essere divisi in tre gruppi in base alla perizia artistica dell’incisore. Il primo comprende delle vere opere d’arte, scarabei con notevole stile, precisione e delicatezza che non ripetono i soliti temi egittizzanti ma temi del mondo sirio fenicio; un esempio sono gli esemplari C2 e C13104. Nel secondo gruppo prendono parte gli scarabei con poca tecnica incisoria, aspra, in pietra talcosa o pasta vitrea. I soggetti rappresentati appaiono estremamente semplificati, con contorni rigidi e angolosi , con geroglifici non compresi appieno dall’incisore che inventava i segni. Le iconografie maggiormente attestate riguardano la protezione di Horo da parte della mamma Iside, spesso alata, ofidica, con le corna sul capo. Ella che dietro al figliuolo tende le sue lunghe ali, quasi per abbracciarlo e proteggerlo con i suoi poteri magici. All’ultimo gruppo appartengono invece gli esemplari di scarsa qualità, acquistabili dalle persone umili a poco prezzo. Appaiono molto rozzi, grossolani nell’esecuzione delle figure e spesso utilizzano materiale di poca qualità, cercando di imitare gli esemplari di buona fattura prodotti nell’isola. La difficoltà che ora emerge è l’individuazione di queste botteghe , purtroppo il sito archeologico di Tharros non ha restituito testimonianze archeologiche certe, ma l’individuazione di una 104

M. Scandone, op. cit., pp. 103-104.

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produzione locale potrebbe essere confortata dall’esistenza e individuazione dei giacimenti di diaspro verde105. È molto probabile che l’attività di queste botteghe inizi proprio nel momento di maggiore bisogno, quando l’importazione degli scarabei in pasta inizia il suo declino, e come risposta locale si inizia a produrre sul posto. È proprio nel V secolo, che queste botteghe iniziano autonomamente a produrre scarabei, seguendo i vecchi modelli ma con l’aiuto di artigiani e materie prime locali, arrivando persino all’esportazione e conoscendo un mercato differenziato106. L′attività delle botteghe presenti a Tharros ,inizia prima a svilupparsi prendendo spunto dalle tecniche vicino orientali (fine VI inizio V secolo a.C.), contemporaneamente attinge anche al repertorio egittizzante, apportando delle varianti in totale autonomia per rispondere alle esigenze del mercato. Questo tipo di produzione continuerà fino alla fine dell’attività delle botteghe, con la variante che, verso la fine, in molti sigilli è possibile riscontrare una stanchezza tecnica dovuta al ripetersi continuo del repertorio iconografico. Sono state evidentemente acquisite dalle botteghe tharrensi tecniche lavorative recepite dalle diverse culture come, la tecnica a globulo, di cultura etrusco ionica, e la tecnica detta “drill hole107”. Quest’ultima prevede l’utilizzo del trapano tondo, come nella glittica persiana e neobabilonese. Era utilizzata per evidenziare i dettagli delle figure, poiché questo tipo di trapano, riusciva a dare un senso di plasticismo alla figura. È una tecnica utilizzata perlopiù nella figurazione di temi vicino orientali e su temi compositivi di tipo egittizzante, anche se su questi ultimi appare meno evidente. La 105

S. Moscati, A. M. Costa, op. cit., pp. 203-210. G. P. Quattrocchi, op. cit., pp. 55. 107 C. Olianas , op. cit., pp. 239. 106

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tecnica a globulo108, utilizzava invece i trapani a punta tonda e obliqua; viene così chiamata perché le figure appaiono come una serie di globuli e non pongono in evidenza i dettagli come invece faceva la tecnica “drill hole”. I temi, utilizzati da questa tecnica riguardano soprattutto il repertorio di tipo ionico. Accanto a questi due tipi di tecnica un altra molto utilizzata, risulta essere la tecnica “mista”, che vedeva affiancato al lavoro del trapano anche degli interventi mirati a mano libera. Nell′analisi dei vari sigilli, si è notato, come, proprio le officine di produzione tharrensi, siano le più fedeli portatrici del mondo iconografico fenicio, e come questa glittica sia primaria rispetto a quella Cartaginese. Se tutto questo ha avuto inizio, un grazie particolare, lo si deve alla cultura egizia.

108

C. Olianas , op. cit., pp. 240.

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TAVOLA A

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TAVOLA C

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GLOSSARIO

ALTO EGITTO: divisione geografica e culturale dell’Egitto delimitata dalla Valle del Nilo, a sud del delta del fiume. Comprende l’intera valle da Il Cairo al lago Nasser. AMULETO: talismano portafortuna. Gli egiziani credevano nella sua forza magica e lo portavano a protezione da insidie e malattie. ANTROPOMORFO: che ha sembianze di uomo, o è raffigurato in sembianze umane: divinità antropomorfe. APOTROPAICO: il termine solitamente riferito a oggetti o formule magiche, animali, divinità che prevengono o allontanano influenze malefiche. BASSO EGITTO: indica l’area triangolare dalla regione del delta del Nilo, costeggiata a nord dal Mar Rosso. È un ampia e fertile pianura, ideale per l’agricoltura, a differenza dell’Alto Egitto dove i centri sono sempre vicini al deserto. CRITTOGRAFIA: Scrittura segreta, tale da non poter essere letta se non da chi conosce l’artificio usato nel comporla. DISCO ALATO: disco solare con due ali distese. Questo simbolo associato ad Horus, rappresenta il sole. DISCOFORA: che porta o tiene il disco, prima del lancio, in atto di riposo. FAIENCE: materiale vitreo composto da steatite o argilla con frammenti di quarzo, rivestito di pasta vetrosa a base alcalina,

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mescolata a pigmenti. A cottura ultimata, il manufatto, assumeva un aspetto lucente simile alle ceramiche smaltate. ELITRE: è l'ala anteriore della quale sono dotati i coleotteri, hanno perduto la funzione del volo, divenendo una sorta di scudo o protezione per l'addome. GEROGLIFICO: scrittura dell’Antico Egitto, apparve in forma completamente evoluta per la prima volta verso il 3100 a.C. deriva dalla parola greca e significa “sacra incisione”. IERACOCEFALO: attributo riferito al dio egiziano Ra, in quanto rappresentato con testa di sparviero. NAUCRATI: città dell'antico Egitto posta a circa 80 chilometri a sud-est di Alessandria. Fu fondata durante la XXVI dinastia come punto d'appoggio per i mercanti greci e rimase il principale mercato tra greci ed egizi prima della fondazione di Alessandria . PROTOME: Elemento decorativo costituito da testa o busto di uomo, animale, o creatura fantastica. PROTORACE: primo segmento del torace degli insetti, situato tra il capo e il mesotorace, con cui si articola il primo paio di zampe. PTEROFA: detta così perché ha le ali costituite da piccole piume. RETROSPICENTE: che guarda dal retro. SFINGE: dalla parola egiziana shesep ankh, cioè “immagine vivente”, era il potere del re, che proteggeva il bene e respingeva il male. Possedeva volto umano, che raffigurava il re, e il corpo da leone in posizione accovacciata.

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TEBE: capitale dell’Antico Egitto. TEREOMORFO: divinità o figura mitica raffigurata in forma di animale. THYMIATERION: Utilizzato come recipiente per bruciare grani di incenso e come dono votivo nei luoghi di culto, il thymiaterion esalava fumi ed essenze durante le cerimonie sacre che miravano a creare un collegamento ideale tra il mondo umano e quello divino. Poteva essere fisso a vaschetta con sostegno oppure mobile a forma di scatola con coperchio forato o ancora sospeso con catenelle. UREO: termine traducibile come “cobra”, che indica nell’Antico Egitto, il serpente sacro che spesso compare nell’atto di ergersi portato sulla fronte, sulla corona o sui copricapi di divinità o faraoni come simbolo del potere regale. ZOOMORFO: di forma desunta dal mondo animale avente funzione decorativa o strutturale.

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BIBLIOGRAFIA

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Risorse internet

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2008.

Disponibile

all’

indirizzo:

http://www.archeogate.org

www.museosadomunostra.it

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Un sincero ringraziamento ai miei familiari e amici, che in svariati modi e circostanze sono stati sempre al mio fianco, dandomi anche un aiuto psicologico, aiutandomi allo svolgimento di questo lavoro.

In modo particolare ringrazio la mia famiglia, che ha creduto in me e nelle mie capacitĂ , e che con molti sacrifici mi ha dato la possibilitĂ di compiere i miei studi.

Ringrazio il professor Piero Bartoloni, che tramite il suo insegnamento è riuscito ad incrementare in me la passione verso un mondo in parte sconosciuto, dandomi occasione di approfondire le mie conoscenze.

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