Il grande libro della papaya (preview)

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Viviana Fontanari e Carlo Delucca

IL GRANDE LIBRO DELLA PAPAYA Dall’analisi scientifica alle riflessioni olistiche: viaggio alla scoperta di un frutto straordinario.

Seconda edizione rivista e aggiornata

Edizioni ZUCCARI


© Copyright settembre 2005 by ZUCCARI s.r.l. Via del Commercio 66/68, 38100 Trento, Italia Tel. (39) 0461 420 527 - Fax (39) 0461 820 620 www.zuccari.com info@zuccari.com

Tutti i diritti di traduzione, di riproduzione, di adattamento, totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm, le copie fotostatiche e i filmati) sono riservati. Ogni permesso deve essere dato dall’editore.


Dedichiamo questo libro a Giorgio Sala, nostro leader e punto di riferimento di sempre, che più di altre volte ha reso possibile la realizzazione del “PROGETTO PAPAYA” con le sue competenze tecniche e realizzative in campo meccanico.


Ringraziamo Paola Ferrarini e Sabino Sabini per la loro grande pazienza e disponibilitĂ . Senza il loro aiuto oggi non esisterebbe il primo estratto di Papaya fermentata realizzato in Italia.


Introduzione “Oggi è il primo giorno del resto della tua vita” Anonimo Quando un frutto è maturo, cade a terra. E lì marcisce. Tutto ciò che esiste, raggiunto il culmine, declina e muore. Niente al mondo è sottratto a questo ciclo: dagli esseri unicellulari agli alberi più grandi e antichi, dai pesci agli uccelli e a tutti gli altri animali, nessuno vive in eterno. In genere accettiamo questa legge come un fatto oggettivo, nell’ordine naturale delle cose. Di fronte ad essa siamo tutti uguali, eppure al pensiero che non farà eccezione per noi, proviamo tristezza e turbamento, e ci diventa difficile accettarla. Da sempre gli uomini si confrontano con i temi della vecchiaia e della morte, che rendono tangibile l’ineluttabilità del destino, senza riuscire pienamente a comprenderli. Dall’infanzia dell’umanità, i racconti mitologici hanno spesso narrato della battaglia vana e disperata degli eroi contro questa inviolabile legge: l’uomo sembra non essere capace di accettare il proprio destino mortale. Nella piana mesopotamica nasce il racconto dell’epopea di Gilgamesh che, sconvolto per la morte dell’amico Enkidu, parte alla ricerca di Utnapishtim, il saggio che custodisce il segreto dell’immortalità. Riuscirà nell’impresa di trovare il vegliardo ma non il quella di riportare all’umanità il prezioso elisir. Gli eroi del mito greco non sono da meno: anch’essi sfidano questo limite, e il più grande di tutti, Heracles, lo supera. Per riuscirvi, tuttavia egli rinuncia alla sua natura umana in favore di quella divina. Le cose non vanno meglio neppure per i mortali che godono del favore divino: come accade a Titano, che fece innamorar di sé la bella divinità Aurora. La dea domandò ed ottenne per l’amato il prezioso dono dell’immortalità, scordandosi però di chiedere contemporaneamente anche quello dell’eterna giovinezza. Il suo sposo sfiorisce giorno dopo giorno: le sue membra si disseccano e la voce si affievolisce, condannandolo ad un destino ancora peggiore della morte. Disperata, la dea lo tramuta in cicala. Ciò che fa paura, quindi, non è solo la morte, ma anche lo spettro della vecchiaia che la precede, aprendole la strada. La lotta dell’umanità contro il proprio destino mortale continua

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anche nelle epoche successive: nel medioevo non si contano gli alchimisti dediti allo studio dell’elisir di lunga vita e i crociati alla ricerca del Santo Graal. Ed oggi? Come gli eroi antichi, gli scienziati non hanno smesso di dare battaglia a questi due nemici, che ancora costituiscono una delle poche frontiere aperte della scienza. Tali sono i recenti successi in questo campo, che il segreto (se non proprio della vita eterna, almeno della longevità) sembra vicino ad essere svelato. Ma siamo proprio sicuri che questo accanimento contro la morte abbia la sua ragion d’essere? Torniamo per un momento al nostro frutto. Mentre si disfa ai piedi dell’albero, libera i semi da cui nascerà una nuova pianta: la sua morte darà vita ad un nuovo albero. La morte è un passaggio che la vita attraversa, per proseguire sotto altre forme, in altri modi. Se si pensa alla morte come il fine ultimo dell’esistenza è facile considerarla un male, ma un fenomeno si trasforma radicalmente con l’osservazione. Ecco perché questo libro cerca di affrontare l’argomento sotto punti di vista diversi e complementari. Ad esempio, come è vero che la Natura ha decretato questa legge ineluttabile è anche vero che ha messo a disposizione delle sue creature infinite risorse che permettono loro di vivere al meglio e a lungo: basta solo sapere dove andare a cercarle! E dove le troveremo se non nei frutti, che custodiscono il segreto dell’eterno rinnovarsi? Da essi il nostro corpo può imparare il segreto della giovinezza. O meglio: potrà ricordarlo. Un tempo anch’esso era giovane: conosceva questo segreto ma ora l’ha dimenticato. La Natura ha racchiuso nei frutti e nei semi i suoi principi vitali più potenti: questi possono aiutare l’uomo che ciò comprende a combattere la quotidiana battaglia per l’esistenza. Benefici che vanno ben oltre le mere componenti chimiche del frutto. Questo è solo il primo, importante livello di interazione: ma ce ne sono altri, spesso trascurati, come quelli energetico e spirituale. Perché proprio la papaya, allora? Se gli altri frutti amano la vita, la papaya la adora. Cresce rapidissima, godendosi senza limiti l’acqua, la terra e la luce. Vive con passione, dando tutto, subito. Per questo la sua polpa gialla come il sole o rossa come il fuoco (vedremo la grande importanza di questi colori) è traboccante di energia vitale. Energia di cui tutti possiamo godere.


Sistematica botanica e composizione chimica



SISTEMATICA BOTANICA E COMPOSIZIONE CHIMICA

1. Sistematica botanica e composizione chimica 1.1 Storia e origini della papaya La papaya (Carica papaya L.) è il frutto il più importante della famiglia botanica delle Caricaceae. Si ritiene che la pianta della papaya sia originaria del Messico del Sud e delle regioni dell’America centrale, anche se attualmente viene coltivata in molte altre zone. Questa pianta si è infatti ben acclimatata in Florida, nelle Hawaii, nelle isole Canarie, in Africa occidentale e meridionale, nello Sri-Lanka, in India, nelle Filippine, in Malesia, in Vietnam, in Cina e perfino in Australia. La papaya venne descritta per la prima volta nel 1526 dal cronista spagnolo De Oviedo, che era al seguito delle spedizioni ispaniche nel nuovo continente. Si racconta che i conquistatori spagnoli, alla vista di questo frutto particolare che cresceva su piante simili ad alberi, rimanessero molto stupiti. Il frutto ricordava loro i meloni che coltivavano negli orti in Spagna e, di conseguenza, denominarono la papaya “melone arboreo”. Il gesuita spagnolo Josè da Costa, missionario nel nuovo mondo, avvicinandosi nel 1590 il centenario della scoperta dell’America, volle descrivere in un libro usi e costumi delle civiltà amerinde. Il libro, intitolato “Historia natural y moral de las Indias”, ebbe notevole risonanza nel vecchio continente e venne tradotto in italiano già nel 1596. Nel XIX capitolo il da Costa descrive così la curiosa pianta della papaya: “…come se dicessimo dei meloni che nascono nella valle di Ica e nel Perù, in modo tale che la radice si fa tronco e dura anni e da ciascheduno nascono meloni e le portano come se fossero arbori, il che non so se sia accasato in parte alcuna di Spagna…”. La coltivazione della papaya si diffuse rapidamente in tutte le regioni tropicali, grazie anche all’abbondanza dei semi presenti nel frutto e alla loro grande capacità germinativa. La nuova coltura si adattò molto bene alle aree tropicali in terreni fertili, soleggiati e con abbondanza di acqua. Nel 1600 la papaya era ormai diffusamente coltivata in tutte le regioni dell’America centrale: Messico, Equador, Antille, Bahamas e Bermuda. Nei secoli successivi i navigatori spagnoli e portoghesi porta-

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rono i suoi semi nelle Filippine, in Malesia ed in India: la papaya aveva conquistato quasi tutte le regioni tropicali. Sempre nel 1600 i semi furono introdotti in Italia da alcuni mercanti napoletani di ritorno dall’India. La coltivazione della pianta si sviluppò successivamente tra il 1800 e il 1820 nelle isole Hawaii e nel 1900 si diffuse in Florida, probabilmente proveniente dalle piantagioni delle Bahamas. 1.2 Tassonomia Famiglia: Caricaceae Ordine : Parietals Specie: Carica papaya Varietà: Carica papaya L. Fino a poco tempo fa si pensava che la famiglia delle Caricaceae comprendesse 31 specie (secondo altri 55) suddivise in quattro generi: la Carica, la Jacaratia e la Jarilla, provenienti dall’America tropicale; da ultimo la Cylicomarpha, originaria dell’Africa equatoriale. Una recente revisione tassonomica ha proposto che alcune specie, in precedenza inserite come Carica, fossero più appropriatamente classificate come Vasconcella. In alcune parti del mondo, specialmente in Australia ed in alcune isole delle Indie orientali, si conosce un frutto detto papaw o pawpaw. Ciò dà adito a grande confusione: in passato si riteneva che questo termine si riferisse proprio alla nostra papaya. Invece questi nomi indicano un frutto diverso, il selvatico Asimina triloba Dunal che appartiene alla famiglia delle Annonaceae. Il nome pawpaw è largamente diffuso, e in molti luoghi il nome è stato storpiato in kapaya, kepaya, lapaya o tapaya nel sud dell’Asia. In francese il frutto è denominato papaye e la pianta papayer oppure figuier des Iles, ossia “fico delle isole”. Le persone di origine ispanica usano nomi quali: melòn zapate, lechosa, payaya (frutto), papayo o papayero (la pianta), fruta, bomba, mamòn o manona, a seconda dello stato. In Brasile il nome abituale è mamao. 1.3 La pianta La papaya, che può essere scambiata per un albero, è in realtà una pianta erbacea perenne, dioica o ermafrodita. Può crescere fino a 7-8 metri d’altezza, anche se mediamente raggiunge i 3-5 metri. Di norma ha un singolo tronco cilindrico di con-


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sistenza semilegnosa, molto spugnoso e fibroso. Ha un diametro di 10-30 cm ed è ricoperto dalle larghe cicatrici causate dalla annuale caduta di fiori e foglie. La papaya è una specie poligama. Le piante possono essere classificate in tre tipi, a seconda del sesso che i loro fiori manifestano: a) Maschile (staminato) b) Ermafrodita (bisessuale) c) Femminile (pistillato) Alcune piante producono fiori che non appartengono alle forme base, ma evidenziano sia caratteristiche maschili che femminili in differenti gradi. La tendenza a cambiare i caratteri sessuali sembra sia favorita da fattori climatici, come siccità e variazioni termiche: più precisamente sembra che temperature elevate favoriscano lo sviluppo dei fiori maschili, che quindi non possono portare alla produzione di frutti. È possibile identificare il sesso della pianta anche dalla morfologia delle radici: quelle ramificate e contorte sono tipicamente femminili, mentre gli esemplari maschili tendono ad avere radici lunghe, dritte e per nulla ramificate. Le piante bisessuali invece sono quelle che producono i frutti migliori e pertanto si pone estrema cura nella loro selezione. Si tratta di un procedimento complesso, ottenuto selezionando i semi delle piante maggiormente produttive, impollinate all’aperto sotto il controllo del coltivatore. L’impollinazione va eseguita manualmente al fine di ottenere la combinazione di fiori desiderata. Per evitare fecondazioni non volute si copre il fiore non dischiuso, sia bisessuale che pistillato, con un sacchetto di carta fino al momento dell’apertura: solo allora il polline scelto verrà trasferito sul pistillo recettivo. In questo modo, conoscendo cioè la fonte del polline ed il tipo di fiore da fecondare, si possono fare delle previsioni molto precise sul tipo di pianta che si otterrà. Numerosi sono infatti gli studi condotti in questo campo, che hanno portato alla formulazione di alcune leggi. 1) I fiori pistillati, impollinati da fiori staminati, danno un eguale numero di progenie maschile e femminile. 2) I fiori pistillati, impollinati con polline di fiori bisessuali, danno un eguale numero di progenie femminile e bisessuale. 3) i fiori bisessuali, sia autoimpollinati che crossimpollinati con altri fiori bisessuali, generano un rapporto di progenie di una femmina ogni due bisessuali.

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4) I fiori bisessuali, impollinati da fiori staminati, producono eguale numero di progenie femminile, maschile e bisessuale. La seconda e la terza combinazione sono quelle che producono il più elevato numero di piante fruttifere. 1.4 La foglia Le foglie spuntano direttamente dalla parte alta del tronco e questo spiega le cicatrici precedentemente descritte. Sono disposte a spirale su peduncoli quasi orizzontali lunghi da 30 cm a 1 m. La lamina palmata della foglia, profondamente suddivisa in 5-9 lobi principali, varia da 30 a 60 cm in ampiezza ed è solcata da nervature sporgenti di colore giallognolo. La vita di una foglia dura da 4 a 6 mesi. Le foglie, il cui colore varia dal verde scuro al giallo-verde brillante, sono visibilmente percorse da nervature biancastre e reticolate. La pagina inferiore, segnata dalle prominenze vascolari, è opaca e di colore giallo o verde chiaro. I peduncoli sono rotondi, giallo-verdi con sporadiche striature porpora-violetto. 1.5 I fiori Sapevate che questa pianta straordinaria produce molti tipi di fiori differenti? Le piante di papaya sono dioiche, cioè i fiori maschili e femminili si trovano su piante diverse e sono morfologicamente distinti fra loro. I fiori maschili si sviluppano sulla cima di peduncoli lunghi fino a 1 m, e sono disposti orizzontalmente o pendenti, in forma di agglomerati. Questi fiori giallognoli sono lunghi 2-4 cm. I petali, che si uniscono fra loro formando un tubo, hanno dieci stami fertili ed un ovario rudimentale non fertile. Le infiorescenze femminili hanno una lunghezza di 3-4 cm e sono formate da un minor numero di fiori. Questi sono più lunghi, normalmente di colore bianco o crema, e composti di cinque petali liberi. Non vi sono stami, ma un grande ovario con 5 stigmi a forma di ventaglio. I fiori femminili hanno un calice formato da una stella a 5 punte facilmente differenziabili. Sulla sommità del calice l’ovario è chiuso da cinque sepali giallognoli che, quando sono giovani, hanno una colorazione porpora. Vi sono quindi cinque stigmi gialli disposti a cerchio. I frutti provenienti da questo fiore sono normalmente grossi e a forma di pallone.


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I fiori ermafroditi hanno entrambi i sessi e le piante che li portano hanno anche gli altri due tipi di fiori. Sono state descritte almeno 15 forme di fiori differenti e poiché essi sono correlati a differenti caratteristiche di frutti, i coltivatori hanno selezionato alcuni di essi per usi agronomici intensivi. I tipi principali si riducono a sei. Consideriamoli brevemente. 1) Fiore tipico femminile. È un fiore piuttosto largo, di forma conica quando è chiuso. Quando si apre i suoi cinque petali si allontanano fra loro, arricciandosi alla base. I frutti prodotti da questo fiore sono sferici o ovoidali. 2) Fiore tipico maschile. Questo tipo di fiore ha una lunga e sottile corolla che contiene le antere suddivise in due serie di cinque: quelle della prima serie sono più lunghe delle altre. Essi hanno un rudimentale pistillo senza stigma e non sono funzionali. 3) Fiore ermafrodita. Questo tipo di fiore ha cinque antere, che corrispondono nella loro orientazione ai cinque petali che si allargano alla base. L’ovario è caratterizzato da cinque scanalature profonde e longitudinali che permangono fino alla maturazione. I frutti che nascono da questo tipo di fiori hanno una forma globulare simile ad un uovo. 4) Fiore ermafrodita intermedio. L’organizzazione non è ben definita. I petali possono essere attaccati tra loro fino a due terzi della lunghezza oppure liberi fin dalla base. Il numero di antere varia da due fino a dieci. Questo tipo di fiore produce frutti dalla forma irregolare, conosciuti come carpelodic (ossia “faccia di gatto”) che hanno scarso valore commerciale. Questo tipo di fiore si sviluppa più frequentemente quando la temperatura ambiente è di 24,5 °C durante il giorno e 15,5 °C di notte. 5) Fiore ermafrodita allungato. I petali di questi fiori sono attaccati tra loro da 1/4 a 3/4 della loro lunghezza totale. Hanno 10 antere, cinque lunghe e cinque brevi. L’ovario è allungato e contiene fino a cinque o più carpelli. La forma dei frutti varia dal cilindrico alla forma a pera. Tra i fiori ermafroditi questo è il fiore più importante da un punto di vista commerciale.

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6) Fiore ermafrodita sterile. Non sviluppa l’ovario ed è quindi sterile. Produce solo polline e pertanto viene considerato fiore funzionale. 1.5.1 Condizioni di impollinazione Il polline deve essere trasferito dai fiori staminati a quelli pistillati se si vuole che si sviluppino semi fecondi. Alcune specie commerciali sono partenocarpiche e non necessitano di agenti impollinatori. Lo studioso Harkness nel 1967 stabilì che i fiori ermafroditi sono autoimpollinanti se trattati con la tecnica del sacchetto ma non indicò come il polline potesse trasferirsi dalle antere agli stigmi. Altri studiosi evidenziarono in seguito che i fiori richiusi in un sacchetto per escludere il polline proveniente da altre piante producono bensì frutti, ma che questi sono senza semi, di dimensioni variabili e di bassa qualità. Il polline che proviene da piante staminate è qualitativamente migliore di quello delle piante ermafrodite. Fanno eccezione le cultivars hawaiane, ben conosciute perché sono in grado di produrre frutti eccellenti senza bisogno di alcuna pianta staminata. Non è stato ancora stabilito quanto un fiore debba rimanere aperto per permettere il rilascio del polline. Poiché ciascun frutto produce circa 1000 semi occorre che più di 1000 granuli di polline attivo si depositino sullo stigma mentre è recettivo. Frutti con meno di 300 semi, di norma, non sono prodotti commerciali: la grandezza del frutto è direttamente proporzionale al numero dei suoi semi. La stagione fredda può interferire con l’impollinazione e causare la precoce caduta dei fiori femminili non ancora fecondati. Il trattamento dei fiori con promotori di crescita può rallentare la caduta degli stessi e migliorare la messa a frutto. 1.5.2 Agenti impollinatori I segreti dell’impollinazione naturale non sono ancora del tutto conosciuti. Gli insetti impollinatori raccolgono il polline dai fiori staminati ed ermafroditi ed il nettare dai fiori pistillati ed ermafroditi. Il tubo della corolla dei fiori staminati è, infatti, troppo ristretto per permettere loro l’accesso e troppo profondo per permettere loro di suggere il nettare alla base della corolla. Alcuni coltivatori ritengono che le farfalle (Sphinx moths) siano gli unici agenti impollinatori della papaya; altri sostengono che l’agente primario sia il vento. Le api stesse non sembrano


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particolarmente attratte dalle piante pistillate e si recano solo occasionalmente a raccoglierne il polline. Per l’impollinazione è necessario comunque che il polline si trasferisca dagli stami ai pistilli e poiché l’ape mellifera (Apis mellifera) è un agente che tratta normalmente il polline, il suo comportamento deve essere maggiormente studiato. Si è infatti riscontrato che collocare arnie ospitanti colonie di questo insetto nei pressi delle coltivazioni di papaya migliora il trasferimento del polline e la qualità dei frutti. tab.1.a Riassunto degli esiti di impollinazione tra femmina (F), maschio (M) e ermafrodita (B) di Carica papaya. Incrocio

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1.6 Il frutto Alcuni frutti di papaya sono simili a meloni, si presentano cioè, ovali e arrotondati; altri assomigliano piuttosto a delle pere e sono più allungati. Le dimensioni variano da 15-50 cm in lunghezza e 10-20 cm in diametro. Ciascuno può arrivare a pesare fino a 8-9 kg. Le piante semiselvatiche producono frutti lunghi da 2,5 a 15 cm. La buccia è lucida, cerosa, sottile ma allo stesso tempo forte e molto resistente. Quando il frutto non è ancora maturo è duro, di colore verde e ricco di latice bianco. Al procedere della maturazione il frutto diventa esternamente giallo chiaro o giallo intenso e la spessa parete della polpa succulenta si ammorbidisce e diventa aromatica. A seconda della varietà, poi, il frutto si colora di giallo, arancio, rosso o rosa salmone. Diventa sugoso, dolce e di odore simile al melone; alcune varietà hanno invece un aroma muschiato. Nella soffice cavità interna, al riparo dalle insidie animali e ambientali (uccelli, roditori, insetti, condizioni climatiche avverse, ecc) si

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sviluppano numerosi piccoli semi. Essi sono di colore nero e di gusto tipicamente pepato, e vengono mantenuti nella loro sede da filamenti bianchi, simili a delle fasce di tessuto. Ogni seme è grande circa 5 mm ed è ricoperto da una gelatina bianca trasparente. 1.7 Coltivazione 1.7.1 Il clima La papaya cresce nelle zone tropicali e limitrofe: è coltivata tra il 32° parallelo a nord e il 32° a sud dell’equatore. Non è possibile spingersi molto oltre perché la pianta è sensibile alle temperature troppo basse. Sono sufficienti brevi esposizioni a 0°C per danneggiare significativamente la produttività: se queste si prolungano senza che la pianta venga adeguatamente protetta, la fanno morire. Il suo rapporto con la temperatura si regge su un equilibrio delicato; lo stesso dicasi per la sua relazione con l’acqua. Ha bisogno infatti di un costante e copioso apporto idrico ed è necessario far sì che l’acqua abbia un buon deflusso o che la pianta venga coltivata in un terreno molto drenante, in modo che l’acqua non ristagni mai. Un allagamento che si prolunghi per più di 48 ore è quasi sempre fatale. Anche nel caso in cui la pianta riesca a sopravvivere, perde sensibilmente di vigore e, se mai lo riacquista, lo fa molto lentamente. 1.7.2 Il terreno La pianta di papaya cresce molto bene alla luce, in terreno poroso e ricco di sostanza organica. Prospera anche in terreni smossi, calcarei o altri tipi di suolo, se si prestano alla pianta cure adeguate: è una pianta che ama l’uomo e più ancora esserne riamata. Il terreno dovrebbe avere un pH compreso tra 5,5 e 6,7. Terreni eccessivamente acidi possono essere corretti mescolandoli con le dovute proporzioni di terreno calcareo. È necessario studiare accuratamente la composizione del terreno in cui si intenda coltivare estensivamente la papaya, per non ritrovarsi con un ricco raccolto… di foglie! Alcuni terreni che abbondano di sostanze organiche, infatti, permettono alla papaya una crescita lussureggiante, ma non danno che frutti di bassa qualità. Perchè? Forse la pianta ritenendosi in una situazione di sicurezza non sente l’urgenza di propagare la specie.


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1.7.3 Propagazione I semi sono molto resistenti: mantengono la germinabilità per 2-3 anni se conservati sottovuoto in contenitori adatti. I semi possono essere posti in idonei contenitori tenuti al coperto in gennaio oppure seminati direttamente in terra piena già nel mese di marzo. I semi germinano in 2-3 settimane, ma è comunque preferibile una semina precoce: in questo modo le piantine hanno il tempo di irrobustirsi e radicarsi vigorosamente prima dell’arrivo della stagione fredda. Appena hanno formato 2 o 3 foglie vengono trapiantate, distanziandole di 5-7,5 cm. Quando le piantine cresciute in vaso raggiungono i 7,5-10 cm possono essere messe a dimora nel campo. Tuttavia, alcune sperimentazioni condotte nelle piantagioni hawaiane hanno dimostrato che la semina diretta in campo produce piante dalle radici più profonde, con il tronco ben eretto e crescita più rigogliosa, la cui fioritura è più precoce e le cui rese sono di molto maggiori. La distanza abituale tra una pianta e l’altra è di 3-4 metri; in media in un ettaro trovano posto circa 1750 piantine. È opportuno pianificare bene la struttura della piantagione, distribuendo le piante razionalmente, sia per numero che per sesso. Quelle di genere maschile, per esempio, crescono in modo più vigoroso e sono più resistenti delle altre. Inoltre pochi esemplari maschili ben posizionati (su una piccola collina o al centro della coltivazione) sono sufficienti per garantire un’adeguata impollinazione a tutti gli esemplari femminili della piantagione. Una pianta maschile ogni 25 femminili è sufficiente, e in questo modo si riduce anche il rischio che si producano troppe piante maschili. Le piante trapiantate devono essere annaffiate regolarmente e tenute all’ombra, almeno nel primo periodo, perché possano acclimatarsi. Le piante offriranno ottimo raccolto al coltivatore che si prenda buona cura di loro: liberandole dai parassiti, proteggendone le radici con teli di plastica e concimandole con regolarità. 1.7.4. Preparazione del terreno Questa operazione consiste nel mescolare 4 parti di terriccio con 2 parti di concime secco e una di sabbia, creando un terreno di coltura profondo circa 20-25 cm. La miscela deve essere accuratamente liberata da infestanti fungini, erbacce e larve poiché i semi in questa fase sono pressoché indifesi. Per que-

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sto scopo si innaffia il terreno per tre giorni consecutivi, promovendo così la germinazione delle piante non desiderate. Queste piccole germinazioni possono essere facilmente rimosse con composti chimici quali metilbromuro o Vapam (Sodium methane). 1.7.5 Germinazione dei semi Nel terreno così preparato si praticano alcuni piccoli solchi, distanti 10-12 cm; quindi si depongono da 6 a 8 semi ogni 10 cm. I semi sono posti ad una profondità di circa 1-1,5 cm e poi sono coperti con il terriccio. Dopo la semina, per stimolarne la rapida germinazione, occorre bagnare abbondantemente il terreno. La frequenza di annaffiatura dipende dalle condizioni di umidità e sarà comunque quotidiana o a giorni alterni. Grazie all’installazione di moderni sistemi di annaffiatura artificiale, la coltura della papaya ha potuto diffondersi anche in regioni ove le precipitazioni sono scarse. L’irrigazione deve essere fatta nei momenti di siccità, in quanto fluttuazioni nell’approvvigionamento idrico possono causare ritardo nello sviluppo, fiori che abortiscono e caduta dei frutti ancora giovani. Crescendo molto velocemente, inoltre, la papaya richiede un abbondante apporto di nutrienti quali azoto e fosforo, per essere altamente produttiva. Anche i prodotti fertilizzanti devono essere somministrati frequentemente: almeno una volta al mese e anche più spesso in terreni particolarmente poveri. Se si temono sbalzi termici rilevanti è senz’altro consigliabile coprire il terreno della semina con pacciame fino al momento della germinazione. Questo verrà rimosso quando le piantine faranno capolino dalla terra. Quando le piante sono in fiore, si elimina il 90% delle piante maschili, che vengono tagliate a livello del terreno. Se la piantagione è isolata e non vi è modo di impollinazione crociata da parte di altre piante maschili, tutti i semi produrranno piante femminili o ermafrodite. I frutti matureranno 5-8 mesi dopo. La pianta di papaya richiede frequenti trattamenti di fertilizzazione per avere una produzione soddisfacente: è una pianta esigente, che vuole essere coccolata e considerata per produrre il meglio, ma che gratifica con ottimi risultati solo un impegno costante e amorevole. È inoltre sconsigliabile il trattamento meccanico del terreno in prossimità delle radici poiché queste non sono molto profon-


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de e si danneggiano con facilità. Il trattamento con erbicida è invece utile per eliminare le piante infestanti che sottraggono alla papaya preziosi nutrienti ed energia. Le cure che le si devono prestare sono costanti e non terminano neppure con il raccolto. Alcune piante, infatti, hanno bisogno di assistenza anche in questa fase, perché possano portarla a compimento in maniera ottimale. Quelle la cui produzione di frutti è eccessiva devono essere sfoltite per non compromettere la salute della pianta e per permettere un più armonioso sviluppo dei frutti restanti. Dopo il raccolto, inoltre, la cima della pianta può essere tagliata per promuovere lo sviluppo delle diramazioni laterali, agevolando così la futura raccolta dei frutti ad altezze inferiori. 1.7.6 Resa di coltivazione Le piante femminili sono preferite per la produzione del latice perché i loro frutti sono i più grossi. Nel caso in cui si commercializzi il frutto fresco, ci si orienta su quelli delle piante ermafrodite, che sono più piccoli, più resistenti e maggiormente manipolabili. Poiché le piante maschili non sono produttive in molti impianti non vengono coltivate affatto; perciò si rende necessario procedere all’autoimpollinazione o alla crossimpollinazione tra piante femminili ed ermafrodite o tra ermafrodite. 1.8 Parassiti e malattie Uno dei più grandi pericoli per la papaya è rappresentato dalla farfalla pungente, dal temibile nome di Toxotrypana curvicauda. La femmina di questo insetto deposita le uova sul frutto che successivamente si troverà infestato dalle larve. Pare che i frutti ben colorati sopportino meglio questo flagello. Il controllo della presenza di uova su scala commerciale risulta molto difficile e una volta fatto il danno, il frutto non è più recuperabile. Per prevenire questa eventualità non sono ancora stati trovati rimedi efficaci. Alcuni coltivatori cercano di proteggere il frutto avvolgendolo con dei sacchetti di carta; questa operazione si fa subito dopo la caduta dei fiori e l’involucro deve essere sostituito ogni 10-15 giorni. Un altro nemico che minaccia la serenità della papaya è il ragno Homolapalpia dalera. Le piante che vengono attaccate si riconoscono per le ragnatele stese tra lo stelo principale ed il frutto o tra i frutti stessi. Il ragno

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SCHEDA 1.1

Coltiva da solo la tua papaya! Mi fa bene vedere che il mio cuore può gustare la semplice, innocente gioia data all’uomo che porta alla sua tavola un cavolo che egli stesso ha piantato, e gode non solo del cavolo, ma di tanti bei giorni: della bella mattina in cui lo ha piantato, delle dolci sere in cui lo innaffiava e con gioia ne sorvegliava il progresso crescente: tutto in quello stesso istante gli rinnova il godimento. (J.W. Goethe, I dolori del giovane Werther, libro 1) Si tratta di un’esperienza non difficile, che permetterà, tra l’altro di entrare in sintonia con la pianta che ci sta curando. Come abbiamo visto la papaya necessita di un clima tropicale e costante, proprio quello che a forza di riscaldamento e condizionatori siamo riusciti a ricreare nelle nostre abitazioni. È sufficiente comprare un frutto fresco ed estrarne i semi, avendo cura di piantarli nel giro di 2 settimane. Lavateli bene e seminateli ciascuno in un recipiente piccolo, ricoprendoli poi con poca terra. Teneteli bene al calduccio, la temperatura ideale è compresa tra 25° e 30°, magari vicino al termosifone, stando però attenti che il terreno non si secchi troppo. Questo dovrebbe esser sempre umido, ma mai bagnato: ci siamo soffermati più volte sul delicato equilibrio tra questa pianta e l’acqua! Dopo due settimane, sarete gratificati dalla nascita un piccolo germoglio verde pallido: mettetelo subito in un luogo dove possa godere di molta luce: lo farà crescere più forte! Prima che raggiunga i 10 centimetri è opportuno trapiantarla in un vaso leggermente più grande, e fra i 20-30 nel vaso definitivo, alto almeno 60 cm. D’ora in poi tutto quello che dovete fare è concimarla una volta la settimane e procurare che l’acqua non ristagni. È una pianta molto precoce e fruttifica già dopo il primo anno! Ricordate che i vostri frutti forse non arriveranno a pesare 5 kg cadauno, ma sono nati dal vostro amore e dal vostro interesse per la pianta!


SISTEMATICA BOTANICA E COMPOSIZIONE CHIMICA

Avvertenza! Come abbiamo visto non tutte le piante di papaya sono fertili, e fra quelle fertili, non tutte auto-impollinanti. Per questo ed altri motivi, potrebbe anche darsi che il seme da voi piantato, sviluppi un albero che non dà frutto. In questo caso potete comunque usarne le foglie per la preparazione di tisane o infusi.

inizia poi a mangiarsi il frutto dall’interno. Questo tipo di danno può essere prevenuto iniziando trattamenti con disinfestanti a spruzzo al momento della comparsa dei frutti. La situazione non è ancora del tutto compromessa se si interviene con tempestività alla comparsa delle prime ragnatele. Non basta: c’è inoltre da temere la farfalla bianca Trialenroides variabilis. Gli adulti e le larve di questo insetto succhiante sono ghiotti delle foglie giovani e tenerelle della papaya. Oltre al danno diretto, il fogliame viene anche danneggiato dalla muffa polverosa e biancastra che si sviluppa sugli escrementi della farfalla. Quando questi danni si manifestano l’infestazione è già in atto e potrebbe essere tardi per intervenire. Oltre che dalle minacce del regno animale, la papaya deve guardarsi anche da funghi e parassiti. Le minacce più gravi sono: 1) Anthracnose, cioè il Colletotricum gleospoides, che forma colonie assieme ad altri tipi di funghi, provocando danni ingenti al frutto, in particolare nei periodi piovosi. 2) Muffa polverosa, ossia varie specie di Oidium: cresce lentamente sulle foglie e può creare grossi problemi durante l’inverno e la primavera. 3) Nematodi: come i vermi delle radici, causano danni seri alla papaya. Essi sono più perniciosi nei terreni sabbiosi, in cui hanno maggiore facilità di movimento. I controlli con sostanze chimiche sono difficoltosi e costosi: i coltivatori tendono a utilizzare tecniche alternative quale la rotazione dei siti delle piantagioni. Un principio valido in linea di massima è che piante in buone condizioni vegetative, ben nutrite e coltivate in luoghi salubri, difficilmente si ammalano o cadono vittime dei parassiti. Se per disgrazia dovesse accadere comunque, esse sarebbero in grado di fronteggiare meglio la situazione rispetto a piante malnutrite o poco curate.

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IL GRANDE LIBRO DELLA PAPAYA

1.9 Il virus della papaya

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Il Papaya Ring-spot virus (PRSV, Potyviridae) è un virus tanto nefando da essere diventato il fattore limitante per la commercializzazione della papaya in molte parti del mondo. A livello internazionale, ha fatto diminuire in modo significativo la produttività dei raccolti alle Hawaii, nei Caraibi, in Brasile e nel sud-est asiatico. I primi sintomi degli attacchi di questo virus sono l’ingiallimento e lo schiarimento delle venature delle giovani foglie, accompagnati spesso da evidenti bolle e dalla distorsione delle foglie stesse. Sul frutto, invece, si sviluppano anelli concentrici o macchie disposte a “C”, che imbruniscono e cambiano colore man mano che il frutto matura. Il virus della papaya venne scoperto per la prima volta in Australia nel 1991, per essere poi identificato anche in altre regioni. Pare sia trasmesso dagli afidi, ovvero per trasmissione fisica della linfa delle piante infette a quelle sane. La sua diffusione può essere controllata attraverso l’istituzione di zone di quarantena limitando al loro interno il movimento sia della papaya, sia delle Cucurbitacee (cocomero, zucca, melone) perché anche queste possono contrarre il virus e sviluppare la malattia. Per combattere la diffusione del virus sono state sviluppate tipologie di papaya geneticamente resistenti al PRSV. La GM PRSV-resistente è reperibile sui mercati americani fin dal 1997 ed in Canada dal 2003. 1.10 Produzione mondiale della papaya Il Brasile è attualmente il principale produttore ed esportatore di papaya del mondo. Lo sviluppo di tecniche di coltivazione scientifiche e la messa a punto di moderne tecnologie di conservazione, hanno permesso alla papaya di diventare un prodotto di punta nel mercato mondiale dei frutti tropicali. Nel 1998 la FAO ha stimato in 5,1 milioni di metri cubi la produzione mondiale, ossia il doppio rispetto allo stesso dato nel 1980. L’incremento della produzione sebbene non rapidissimo (il raddoppio è avvenuto in circa un ventennio: è esagerato quindi parlare di boom della papaya) ha dimostrato una continuità e una costanza che hanno consolidato le basi del mercato dandogli il tempo di svilupparsi razionalmente. Vi è molta fiducia per il futuro. La chiave del successo nel mercato della papaya è lo sviluppo di nuove varietà, in continue migliorie nella tecnologia di raccolta, lavorazione e conservazione.


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I più importanti paesi importatori hanno ciascuno un partner privilegiato: il mercato americano è essenzialmente rifornito dal Messico; quello europeo si approvvigiona in Brasile; il Giappone si avvale delle esportazioni hawaiane. tab.1.b I maggiori produttori di papaya a livello mondiale: Paese produttore

Quantità di prodotto (mt³)

Brasile

1.450.000

Nigeria

748.000

India

644.000

Messico

613.000

Congo

213.000

Perù

173.000

Cina

152.000

Thailandia

119.000

Colombia

113.000

Venezuela

105.000

Equador

102.000

Filippine

77.000

Yemen

68.000

Malesia

60.000

Bangladesh

41.000

Cuba

40.000

Costa Rica

35.000

Mozambico

31.000

Guatemala

25.000

Florida

25.000

Repubblica dominicana

24.000

Bolivia

23.000

1.11 Le cultivars

(dati FAO 2001)

Con il termine cultivars, si intendono le varietà di un vegetale, selezionate a scopo commerciale. Per quanto riguarda la papaya, i ceppi e le varietà di questo frutto simile al melone sono

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IL GRANDE LIBRO DELLA PAPAYA

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moltissimi e assai differenti gli uni dagli altri nella forma, nel colore e nelle dimensioni. Proprio a causa della sua complessa genetica, esistono poche vere cultivars di papaya i cui caratteri ortocolturali siano costanti. Infatti, quando il seme proviene da un’impollinazione all’aperto, è quasi impossibile ottenere una selezione che sia ragionevolmente uniforme nel tipo di fiore e nelle caratteristiche del frutto. Nonostante la mancanza di cultivars riconosciute, i coltivatori possono ottenere raccolti soddisfacenti tramite l’ impollinazione controllata di piante selezionate. Le piante madri sono a loro volta accuratamente selezionate per ottenere frutti precoci, produzione abbondante e frutti della grandezza voluta. Alle Hawaii si sostiene che la cultivar “Solo” sia la migliore di tutte. Originaria delle Barbados, la Solo mantiene costanti nel tempo le sue principali caratteristiche, grazie all’alto grado di autoimpollinazione dei suoi fiori bisessuali. Queste sue proprietà, unite alla continua, attenta selezione del frutto, hanno conservato la Solo quasi inalterata negli anni. Sottovarietà ancora migliori, come la cultivar Sunrise Solo, sono il risultato di ricerche costanti e di rigorose tecniche di coltivazione. Riportiamo qui di seguito l’elenco delle migliori cultivars, (a) dei paesi in cui vengono coltivate e (b) alcune caratteristiche del frutto. 1) Kamiya a. Hawaii b. La grandezza del frutto è piccola o media. Il colore della buccia varia tra il giallo intenso e l’arancio sanguigno. Si tratta di un prodotto succoso e molto dolce. 2) Mexican Red a. Messico b. Il frutto è ben riconoscibile per le caratteristiche righe rosa. Il suo aroma è particolarmente leggero e delicato, non così dolce come la varietà hawaiana. Le dimensioni della Mexican Red sono medio-grandi. 3) Mexican Yellow a. Messico b. Come si evince dal nome, le striature di questo frutto hanno tonalità gialla. È leggermente più dolce e aromatico della varietà rossa. I frutti sono grossi, arrivando a pesare fino a 5 kg.


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4) Maradol Roja a. Cuba b. Il frutto è medio o piccolo, di sapore dolce ed intenso. 5) Vista Solo a. Florida b. Frutto da medio a grande, diametro di circa 12 cm per una lunghezza di 45. Buccia gialla, con rigature che vanno dall’arancio al giallo. La polpa è morbida e compatta, di alta qualità. Necessita di molto caldo per diventare dolce. 6) Sunrise solo a. Hawaii b. Frutto a forma di pera. Il peso medio varia tra i 600 e 700 g. La buccia è soffice; la polpa tenera, di colore arancio-giallo, è molto dolce, poiché il contenuto di zuccheri è elevato. Questa varietà è assai simile al Waimanalo. 7) Sunset Solo a. Hawaii b. Si tratta di un frutto di dimensioni medio-piccole, a forma di pera. Anche questo frutto è molto zuccherino. La buccia presenta una colorazione rosso-arancio rigata. La resa della pianta è molto alta. 8) Waimanalo a. Hawaii b. Frutto rotondo, dalle dimensioni variabili: il suo peso oscilla infatti da 450 g a più di 1 kg. La buccia è soffice. La polpa è arancio-giallo e di gusto molto aromatico. Per la sua alta qualità questo frutto è raccomandato sia per l’utilizzo fresco che per la conservazione. 1.12 Altre piante della famiglia Carica 1.12.1 La papaya di montagna La papaya di montagna, C. candamercensis, è originaria delle regioni andine tra il Perù e il Cile, la cui altitudine varia tra i 1800 e i 3000 metri. Questa pianta è forte, alta e vigorosa, ma produce frutti molto piccoli. Il loro aspetto è davvero caratteristico: sono gialli, conici, divisi da solchi profondi in 5 spicchi. L’aroma è particolarmente dolce. È coltivata in climi troppo freddi per poter sviluppare frutti dalle caratteristiche più commerciali, cioè grossi e precoci. Il frutto è inoltre troppo ricco in papaina per poter essere consumato così com’è: deve essere previamente cotto per lungo tempo. Per questi motivi, viene generalmente conservato per uso familiare e non è destinato

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IL GRANDE LIBRO DELLA PAPAYA

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all’esportazione. Questa pianta cresce anche nello Sri Lanka e nel Sud dell’India. 1.12.2 Il babaco Il babaco o chamburo, C. pentagona, è comunemente coltivato nelle valli delle montagne dell’Equador. La pianta è assai piccola, più bassa ancora della papaya: a stento raggiunge i 3 metri. Per contrasto i suoi frutti a 5 spicchi raggiungono la lunghezza anche di 30 cm! Questi non contengono che pochi semi o ne sono del tutto privi. Il frutto è consumato localmente solo dopo cottura. 1.13 La papaya nella medicina tradizionale Da sempre l’uomo si rivolge alla natura per risolvere i propri problemi di salute. Come una madre generosa essa è stata prodiga di rimedi e cure per coloro che riescono a carpirne i segreti. Il linguaggio della Natura non è difficile, anzi è quanto di più semplice e diretto possa esserci, solo che per poterlo interpretare bisogna entrare in intima comunione di spirito e di intenti con lei. È necessario che la nostra e la sua anima siano in sintonia. Questo accadeva certamente con più facilità e maggior frequenza quando l’uomo viveva a più stretto contatto con l’ambiente naturale: è sempre più difficile sentire la voce della Natura nel roboante caos delle nostre città. Se non possiamo o non vogliamo fare questa esperienza direttamente, in prima persona, possiamo però avvalerci delle tradizioni di culture millenarie, che questo rapporto hanno avuto modo di approfondirlo e svilupparlo. Nelle zone tropicali, per esempio, nelle tradizioni della medicina popolare, la pianta della papaya godeva di grande considerazione, non solo per le sue proprietà nutritive. Il latice fresco era ed è usato per il trattamento delle macchie cutanee, delle verruche e delle lentiggini. Una volta bollito, il latice viene anche somministrato come vermifugo. In India, invece, veniva applicato sull’utero delle donne come irritante per indurre l’aborto. Il frutto non ancora maturo ed i suoi semi venivano consumati per indurre lo stesso. Allo stesso modo i semi sono assunti sia come emmenagogo, cioè per indurre il flusso mestruale, che come vermifugo. Nel latice della papaya non ancora matura si trova un enzima, la papaina, dalla potente funzione proteolitica. Il latice per uso commerciale viene prodotto nell’Africa orien-


SISTEMATICA BOTANICA E COMPOSIZIONE CHIMICA

tale e nello Sri Lanka. Il metodo per estrarlo è molto semplice: il frutto verde viene inciso sulla superficie al mattino, in modo che il latice coli fuori. Questo viene raccolto la sera in contenitori posti ai piedi dell’albero. Il liquido viene poi essiccato, macinato e confezionato in barattoli sottovuoto. Da un migliaio di frutti si riesce a recuperare meno di mezzo chilo di papaina. Molte ottime qualità della papaya dipendono proprio dalle notevoli proprietà quest’enzima. Essa viene usata nella chiarificazione della birra e nel trattamento della lana e della seta prima della colorazione. Ma più importante e più utile all’uomo è la sua capacità di rendere tenera la carne. Già Cristoforo Colombo, durante uno dei suoi viaggi nei Caraibi, ebbe modo di notare che gli abitanti del luogo consumavano grandi quantità di carne e pesce senza per questo soffrire di indigestione. Scoprì in seguito che ciò avveniva perché essi mangiavano sempre papaya non matura dopo il pasto. Lo stesso principio vale anche nelle foglie: esse vengono arrotolate attorno a carne dura che in una sola notte renderanno più tenera. Una volta essiccate, le foglie vengono fumate per alleviare leggere forme di asma o usate in sostituzione del tabacco. Se dopo l’essiccatura vengono macinate, sono confezionate in pacchetti venduti come prodotto salutistico per la preparazione di the o tisane. Sono inoltre usate come vermifugo e come rudimentale sapone per la biancheria. Molte sono le qualità che la medicina popolare attribuisce a buon diritto alla papaya e alle sue componenti. Il latice, per esempio è noto per la sua attività ipoglicemizzante. A Samoa si usa strofinare la parte interna della scorza sulle gengive infiammate e sui denti guasti: pare che questa operazione rechi immediato sollievo. È riconosciuta l’attività amebicida del latice e dei semi contro Entamoeba histolyca, un microrganismo responsabile di una forma di dissenteria che induce ascessi nel fegato. La polpa della papaya essendo molto ricca in vitamina C e pro-vitamina A (Carotenoidi) è usata anche come base per creme da applicare sulla pelle, sia per eliminare le cellule morte che per renderla più morbida ed elastica. Per queste sue qualità è altresì usata come componente base di bagnoschiuma, salviette e shampoo. 1.14 Problemi tossicologici e allergenici della papaya La papaya appartiene ad un gruppo di piante conosciute come laticifere. I vegetali di questo tipo contengono celle specializza-

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te, disperse in tutti i tessuti, che secernono un sostanza conosciuta appunto come latice. Il latice è una complessa miscela di composti chimici che esplicano diverse attività. Attualmente si ritiene che la pianta utilizzi queste sostanze per difendersi dagli insetti e dagli erbivori. Il latice della pianta di papaya è anche ricco di enzimi, come la cisteina proteinasi, che il nostro corpo utilizza nella digestione delle proteine. Commercialmente il latice di papaya è raccolto dal frutto completamente immaturo, la cui buccia contiene le celle laticifere: il frutto maturo non ne contiene più e a questo fine non è utilizzabile. Non si sa ancora con esattezza la causa di questo fenomeno, ma ci sono due ipotesi al riguardo: o le cellule del latice hanno cessato la produzione o sono morte con l’età. La cisteina proteinasi può coprire fino all’80% del contenuto enzimatico totale del latice di papaya. Le proteinasi più studiate sono: papaina, chimopapaina, caricaina e glicol-endopeptidasi. Altri enzimi del latice sono la chitinasi, il lisozima e proteasi inibitori quali: cistatina, glutamil-ciclotransferasi e lipasi. Il frutto immaturo, i semi della papaya ed il latice sono correlati a numerosi casi di tossicità e di allergie sui mammiferi, uomo compreso. Come abbiamo visto, la medicina popolare tradizionale si serve anche di queste proprietà potenzialmente tossiche della papaya, attraverso preparazioni a base di foglie, del frutto non maturo o degli estratti delle radici. Dal punto di vista scientifico, la composizione chimica del latice non è ancora stata compiutamente studiata, appare complessa e in grado di produrre effetti inaspettati sulla salute degli organismi viventi. Recentemente si è dimostrato che un componente presente nei semi macinati, cui è stata attribuita attività antielmintica e antiparassitaria, il benzyl-isotiocianato (BITC) ha un effetto vasocostrittore nel cane.


Indice Introduzione 1.

Sistematica botanica e composizione chimica

1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.5.1 1.5.2

155 7 11 11 12 12 14 14 16 16

2.

Cosa c’è nella papaya?

33

2.1 2.1.1

Analisi del frutto Frutto acerbo tab.2.a Valori nutrizionali medi del frutto acerbo Frutto maturo tab.2.b Valori nutrizionali medi del frutto maturo

33 33

2.1.2

17 18 18 18 19 19 20 21 21 24 24 25 27 27 28 28 29

34

Indice

Storia ed origini della papaya Tassonomia La pianta La foglia I ďŹ ori Condizioni di impollinazione Agenti impollinatori tab.1.a Riassunto degli esiti di impollinazione fra varie piante 1.6 Il frutto 1.7 Coltivazione 1.7.1 Il clima 1.7.2 Il terreno 1.7.3 Propagazione 1.7.4 Preparazione del terreno 1.7.5 Germinazione dei semi 1.7.6 Resa di coltivazione 1.8 Parassiti e malattie SCHEDA 1.1 Coltiva da solo la tua papaya! 1.9 Il virus della papaya 1.10 Produzione mondiale della papaya tab.1.b Maggiori produttori mondiali di papaya 1.11 Le cultivars 1.12 Altre piante della famiglia Carica 1.12.1 La papaya di montagna 1.12.2 Il babaco 1.13 La papaya nella medicina tradizionale 1.14 Problemi tossicologici e allergenici della papaya


Indice

156

tab.2.c Contenuto di carotenoidi della papaya polpa gialla tab.2.d Contenuto di carotenoidi della papaya polpa rossa tab.2.e Composizione dei carotenoidi nelle due varietà 2.1.2.1 Percentuale di zuccheri nel frutto maturo 2.1.2.2 Altre componenti del frutto maturo 2.2 Componenti chimici e nutrizionali dei semi tab.2.f Componenti chimici e nutrizionali dei semi 2.3 Componenti chimici e nutrizionali del latice 2.4 Componenti chimici e nutrizionali della foglia 2.5 Componenti chimici e nutrizionali delle radici

36 36 37 37 37 38

3.

Principi attivi

41

3.1 3.1.1 3.2 3.2.1 3.2.2

Enzimi Enzimi della papaya Carotenoidi Metabolismo e assorbimento Attività dei carotenoidi tab.3.a Valori di bioattività di alcune provitamine A Fonti di carotenoidi in natura tab.3.b Le provitamine A nei vegetali tab.3.c Carotenoidi senza attività di provitamina A Licopene Vitamine Vitamina A Vitamine del gruppo B Vitamina B1 (tiamina) Vitamina B2 (riboflavina) Vitamina B3 (niacina) Vitamina B5 (acido pantotenico) Vitamina B6 (piridossina) Vitamina B9 (acido folico) Vitamina B12 Vitamina C Ruolo fisiologico Proprietà fisiche tab.3.d Contenuto di vitamina C di alcuni vegetali

41 43 44 45 46

3.2.3

3.2.4 3.3 3.3.1 3.3.2

3.3.3

48

50 51 51 51

55


3.4 3.5

3.5.1

Ruolo nelle risposte endocrine e allergiche Fabbisogno giornaliero di vitamina C Potassio Altre sostanze tab.3.e Presenza di altri microelementi SCHEDA 3.1 Aminoacidi essenziali e non essenziali Aminoacidi presenti nella papaya Arginina Istidina Lisina Metionina Fenilanina Treonina Triptofano Isoleucina Leucina Valina

59 59

60

Radicali liberi, antiossidanti e unità ORAC

65

4.1 4.2 4.3 4.4

Introduzione Stato della ricerca scientifica Cos’è un radicale libero? Danni provocati dai radicali liberi nell’arteriosclerosi Cos’è un antiossidante? Antiossidanti negli alimenti Il mercato degli antiossidanti oggi: quali prospettive? ORAC SCHEDA 4.1 Test: valuta il tuo stato di stress ossidativo SCHEDA 4.2 Potere antiossidante (ORAC) di alcuni alimenti ed estratti naturali

65 66 67

5

Il cibo è vita

87

5.1 5.2 5.2.1 5.2.2 5.2.3

Introduzione Il nostro sistema: macro e microcosmo La legge di analogia La legge di risonanza Principi di omeopatia

87 89 89 90 91

4.6

70 72 74 75 77

Indice

4.

4.5 4.5.1 4.5.2

157


158

5.3 5.3.1

5.5.2

La sacralità dell’alimentazione La tradizione ebraica SCHEDA 5.1 Il cibo e la religione I precetti dell’Islam Considerazioni sul digiuno: il Breatharianismo Il cibo fra materia, energia e spirito Caratteristiche fisiche Caratteristiche qualitative Caratteristiche spirituali Il cibo è vivo Alimenti fermentati Breve storia della fermentazione degli alimenti Impiego della fermentazione nell’industria alimentare SCHEDA 5.2 Saccharomyces Boulardii Alimenti probiotici Alimenti a forte carica enzimatica

117

6.

L’eterna giovinezza

121

6.1 6.2 6.3

L’immortalità L’invecchiamento Consigli per invecchiare al meglio Mangiare bene Perdere peso Scordare i vizi Fare attività fisica Vivere serenamente Controllare periodicamente il proprio stato di salute A invecchiare bene... si comincia da piccoli 30 anni 40 anni 50 anni 60 anni 70 anni

121 122 123

Conclusioni Attività antiradicalica Proprietà eupeptiche Proprietà alcalinizzanti Attività antisettica

133

5.3.2 5.3.3

Indice

5.4 5.4.1 5.4.2 5.4.3 5.5 5.5.1

6.4

7.

95 95 99 101 103 103 104 107 108 108

127


Appendici

138

Papaya fermentata atomizzata Approfondimento su alcuni antiossidanti naturali. Coenzima Q10 Acido alfa lipoico Estratto di the verde Estratto della corteccia di pino Olea europea L. Vitis vinifera Luteina Punica granatum

138

BibliograďŹ a

151

Glossario

152

Indice

155

159

139

Indice


Finito di stampare nel mese di aprile 2006 da:

la graďŹ ca s.r.l. - Mori (TN)



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