Vulcano - numero58

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Il mensile dell’Università degli Studi di Milano numero 58, Maggio 2012

I diari della bicicletta Attraversare la città in bici e sopravvivere

Le voci sulla morte della musica sono oltremodo esagerate Check up dell’industria musicale


I diari della bicic Sommario Vulcano numero 58, Febbraio 2011 Il mensile della Statale di Milano 3 7 9

inchiesta I diari della bicicletta

a cura di Stefano Vallieri, Gemma Ghiglia e Daniele Colombi

STORIE

Bernasconi, Fasani, Grechi, Massone

Wedding Trailer

Francesca M. Di Vaio

11 Top 10 delle multinazionali: il meglio del peggio Seconda parte — Gemma Ghiglia

13 CULTURA Opera lenta

Angelo Turco, con Irene Nava

15 Le voci sulla morte della musica sono oltremodo esagerate Alessandro Massone

18 L’uomo forte e il popolo debole Francesco Floris

20 Toccare per credere, il Museo tattile di Varese Daniele Colombi

22 RUBRICHE Da riascoltare per la prima volta Angelo Turco

23 Cruciverba Filippo Bernasconi 24 Editoriale Filippo Bernasconi

Corsivo

Le compagnie di volo low cost hanno distrutto il romanticismo del viaggio. Pensate alla musica colta italiana: Ivano Fossati ha scritto “I treni a vapore” per parlarci di quanto possa essere difficile un inverno trascorso da soli, con l’arguta metafora del susseguirsi di remote stazioni ferroviarie attraverso un finestrino solcato da lacrime di pioggia. Con gli aeroporti non sarebbe stata la stessa cosa. Già, gli aeroporti, veri non-luoghi della società contemporanea (è Malpensa il non-luogo, non certo Quarto Oggiaro dove almeno la gente vive ancora) nei quali mandrie di turisti selvaggi e anonimi viaggiatori d’affari si accalcano dietro ai metal dector per salire a bordo di macchine infernali sicurissime, come le confortanti statistiche ci ricordano ogni santa volta che dobbiamo volare, con soli ottantamila morti alle spalle dell’aviazione civile. Le compagnie low cost hanno un pregio, oltre al prezzo: azzerano le differenze sociali con una classe unica senza numerazione dei posti. Ma il prezzo da pagare è una nuova concezione del viaggio, ora inteso come “spostamento” da A a B e non più come momento interessante della vita. Il tutto alla modica cifra di 18 euro assicurazione esclusa e senza alcuna noiosa implicazione sentimentale. Servirebbero degli Hemingway usa e getta durante il tragitto. Angelo Turco In copertina: foto Mugsley


a cura di Stefano Vallieri, Gemma Ghiglia e Daniele Colombi

cletta

“C

foto helter-skelter

i sono almeno tre provvedimenti prioritari: la commissione antimafia, un intervento sulle piste ciclabili e l’ impegno che ho preso con i milanesi che gli over 65 abbiano delle facilitazioni sui mezzi pubblici”, questa è stata la risposta del neosindaco Pisapia ai cronisti che lo interrogavano su quali fossero i primi provvedimenti che intendeva attuare. La presenza di un argomento quale le piste ciclabili, fin’ora considerato secondario, tra le priorità politiche di una metropoli come Milano è il naturale proseguimento di una campagna elettorale che ha visto nella mobilità in tutte le sue declinazioni uno degli argomenti di discussione più interessanti. Ai giorni nostri si sta imponendo l’idea che una città, per essere moderna e vivibile, non possa prescindere da un piano di mobilità che integri un servizio pubblico efficiente a una buona rete di piste ciclabili. In altre parole una città, per essere considerata all’avanguardia, deve favorire l’utilizzo dei veicoli dalla carta d’identità più datata. La bicicletta, d’altronde, appare ai più come un mezzo di trasporto socialmente perfetto: è alla portata di tutti, è ecologico, è silenzioso, mantiene in forma e non dà problemi di parcheggio. Risulta quindi chiaro che per un’amministrazione renderne appetibile l’uso possa portare buoni dividendi. Nonostante ciò, e malgrado molte statistiche parlino di un incremento dell’amore per la bici, i ciclisti rappresentano ancora solo una nicchia del traffico milanese. Questo dato è determinato fondamentalmente da problemi culturali (pedalare stanca e la bici, in tragitti non trafficati, è più lenta), climatici e di sicurezza, sia per quanto

INCHIESTA 3


riguarda l’investimento economico (la bici è il mezzo più soggetto a furti), sia per la sicurezza personale (300 ciclisti morti all’anno, fonte Asaps 2005). La questione culturale riguarda essenzialmente le scelte personali di ogni cittadino, quindi gli interventi esterni potranno avere solo risultati marginali. Si può affermare però che le numerose biciclettate organizzate e gli appuntamenti come la critical mass stiano agendo in direzione di una maggior sensibilizzazione all’uso della bicicletta. Il problema di garantire la sicurezza ai ciclisti invece, è un campo in cui l’intervento del comune è fondamentale e imprescindibile. Per la sicurezza della proprietà gli interventi sono dovrebbero essere finalizzati a rendere i furti meno frequenti, magari ostacolando il commercio dei mezzi rubati. Un segnale in questo senso può essere considerato il recente intervento dei vigili alla Fiera di Sinigallia, che a Milano rappresenta il principale e più noto punto di smercio della refurtiva dei ladri di biciclette. Più concreti e necessari sono invece gli interventi volti al miglioramento della sicurezza nell’utilizzo del mezzo. Il sistema più scontato e sicuro è rappresentato indubbiamente dall’ampliamento della pista ciclabile, infrastruttura che fornisce percorsi protetti e di uso esclusivo dei velocipedi.

RICERCHE SUL CAMPO: ovvero il tour delle ciclabili di Milano

In questo clima di rinnovato interesse, anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo deciso di indagare la reale situazione della rete delle piste ciclabili nel comune di Milano. Inforcando la bicicletta come cinici cowboy del far-west con i loro fedeli mustangs, muniti quindi più di spirito d’avventura che di mappe dettagliate, cominciamo la nostra cavalcata alla scoperta delle piste ciclabili milanesi, per testarne ubicazione, utilità e comodità. Muoversi per la città risulta molto difficile per vari motivi: piste ciclabili interrotte, troppo corte o malmesse; la maleducazione degli automobilisti e dei pedoni; il mancato collegamento tra una pista e l’altra che costringe il povero ciclista a improbabili numeri da circo. Tra le più utili e ben tenute va evidenziata la lunga pista ciclabile che percorre tutta la trafficata Via Melchiorre Gioia , che partendo nei pressi della ciclabile della Martesana prosegue il percorso fino a giungere in zona Brera. Tra le più efficaci anche la pista Lotto-Pagano e quella che porta dalla Stazione Centrale a Palestro. I percorsi situati presso i navigli invece, per quanto molto estesi, sono stati ricavati semplicemente restringendo la carreggiata che costeggia i corsi d’acqua con una triscia gialla, tra l’altro ormai cancellata dal tempo. Belle e nuove anche le piste ciclabili lungo Parco Sempione e i Giardini Indro Montanelli. Peccato però che la loro funzione di collegamento non siamo molto efficace, in quanto la maggior parte dei ciclisti preferisce attraversare i parchi piuttosto che circumnavigarli. Un altro problema è cosituito dalla frammentarietà delle piste: si pensi a quella che corre lungo via De Amicis: un continuo interrompersi tra un incrocio e l’altro che espone il ciclista al rischio di trovarsi improvvisamente in mezzo alla strada senza alcuna protezione. Tra le peggiori la pista in Via Paolo Sarpi: una striscia di 5m che pedoni e ciclisti devono condividere e quella di Via Solferino, costruita sul porfido, terreno insidioso per i veicoli a due ruote. Tirando le somme, nonostante i problemi sopra elencati, bisogna ammettere che il numero di km di piste ciclabili 4


presenti a Milano è ben maggiore di quello che ci saremmo aspettati. Tuttavia, dalla nostra piccola indagine ci sentiamo di affermare che non esiste ancora una rete di piste comprensibile. Il piano sembra essere stato studiato più per favorire l’utilizzo della bici per svago (come avrete notato le piste ciclabili migliori e più lunghe costeggiano i parchi o i corsi d’acqua) che per permettere una reale e proficua mobilità tra le varie zone della città. In molti casi poi, il loro scopo di garantire la sicurezza dei ciclisti non ci pare adeguatamente conseguito. Nelle strade più trafficate, mancando una divisione efficace con la carreggiata utilizzata dalle auto, non solo non garantiscono la protezione necessaria, ma si trasformano spesso in corsie preferenziali per scooter o in zone di sosta per camion che devono scaricare. Eppure la dimostrazione che questo veicolo possa essere ben più di uno svago domenicale e che possa diventare, se adeguatamente supportato, un mezzo di spostamento quotidiano ci viene dai brillanti esempi del nord Europa. Inoltre, la situazione odierna, che vede la crescita continua del prezzo della benzina e il recente aumento dell’Ecopass e del prezzo dei biglietti per i mezzi pubblici, ripropone in maniera decisa la candidatura della bici come principale mezzo di trasporto per noi studenti, che rappresentiamo tradizionalmente la categoria di utenti più attenta alla spesa, e quindi più propensa a barattare qualche goccia di sudore con un effettivo risparmio. Le premesse ci sono tutte per far si che il ciclo-trasporto non rimanga ancora a lungo monopolio di quello sparuto gruppo di amatori e di audaci che da sempre pedalano nel traffico meneghino. Un sito che potrebbe risultare utile a chi decidesse di attraversare la città in bici è: www.piste-ciclabili.com/comune-milano nel quale è possibile visionare personalmente i filmati dei tracciati.

foto Pörrö

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Critical Mass

Critical Mass o CM è il gruppo libero che organizza la storica biciclettata del giovedì notte per le vie di Milano. Al grido di “Noi non blocchiamo il traffico, noi siamo il traffico”, la massa critica composta da ciclisti, pattinatori, skaters e molti altri parte dal luogo di ritrovo in piazza Mercanti alle 22.30 e per le successive due ore vaga senza una meta precisa, ostacolando il traffico nelle strade e facendo sentire la sua voce, come spiega Valeria:”Con la bici da sola non puoi fare molto. Quando vado in giro posso anche mettermi in mezzo alla strada, farmi suonare e insultare, ma non è la stessa cosa che col gruppo. Gli autisti mi guardano con odio, come se fossi un disagio e un problema per loro: non capiscono che sono loro a essere un disagio per me? Come glielo spiego che la strada è dissestata e non posso fare altrimenti?”. Il gruppo protesta, e neanche troppo simbolicamente, per attirare l’attenzione sui grandi problemi della “Milano ciclabile”, le cui strade dissestate e la scarsità di piste e corsie ciclabili rendono veramente ogni spostamento in bici più pericoloso che cantare “Bandiera rossa” a una festa leghista. Secondo Valentina il problema maggiore sta nella mancanza di educazione al mezzo a propulsione d’uomo, un problema a doppio senso:”Gli automobilsti se ne fragano delle bici...che cosa gli costa non parcheggiare sulla pista ciclabile? Ma vale anche per i ciclisti: a Berlino la situazione è diversa, ci sono le strade, i marciapiedi e le piste ciclabili. E se un pedone cammina sulla pista, i ciclisti lo investono. Si sono battuti per avere i loro spazi e ora nessuno glieli deve rubare”. Fulvio, che vive a San Donato e usa tutti i giorni la bici per andare al lavoro, dice: “A San Donato il sindaco è tornato dall’ Olanda, dove prima ti investono e poi suonano per avvertire, e ha fatto costruire le piste. Ci metto un po’ di più per andare a lavorare ma mi nuovo liberamente e posso andare ovunque”. Il paragone con gli altri Stati europei continua a ritornare fino al ricongiungimento al punto di partenza, dove solitamente si tiene un piccolo rinfresco post-critical. Qui Carlo, assiduo frequentatore di Critical Mass, si esprime con amarezza sulle bici a nolo sponsorizzate dal Comune: “E’ un servizio fatto unicamente per dire all’ Europa: Guarda, guarda! Ce l’abbiamo anche noi! E invece il comune dovrebbe investire di più sulle piste ciclabili: prima va data la possibilità di usare le biciclette, poi si può anche dare la bici!”.

BikeMi

Il bike sharing è un’iniziativa di mobilità sostenibile che intende integrare l’utilizzo dei mezzi pubblici con quello delle biciclette, condivise per viaggi di breve durata dove il mezzo pubblico non arriva. È quindi una possibile soluzione al problema dell’”ultimo chilometro”, cioè quel tratto di percorso che separa la fermata del mezzo pubblico dalla destinazione finale. Il servizio BikeMI proposto dal nostro Comune nel 2008 è stato sponsorizzato come innovativo e di facile utilizzo, sono stati regalati numerosi abbonamenti (per esempio all’interno dell’iniziativa Giovani in Salute) per incentivrne l’utilizzo ed è stata anche creata un’apposita app per smartphones (disponible su App Store a 0.79€), ma sicuramente non è stato concepito nel migliore dei modi. Siamo infatti lontani da realtà come Berlino, Amsterdam o Siviglia, dove la mobilità ciclabile annovera percentuali sempre più alte di anno in anno. Tuttavia, c’è da dire che il sistema di bike sharing di Milano è il più esteso ed utilizzato in Italia e l’ottavo per numero di biciclette in Europa. Ma potrebbe essere sfruttato molto meglio di così. Le piste ciclabili infatti sono mal ridotte e sconnesse tra loro e quindi c’è da chiedersi come mai il Comune non ci abbia pensato prima di far partire il servizio; inoltre le stazioni di bicinoleggio si limitano al centro città: la fase 2, che dovrebbe terminare verso la fine del 2011, estenderà il servizio sino a 200 stazioni e 3.650 biciclette, all’interno di un progetto che prevede almeno 300 stazioni e 5.000 biciclette. Ma quello che potrebbe risultare più scomodo è il funzionamento del servizio: si possono usare le bici non prima delle 07.00 e non dopo le 24.00 e non oltre le due ore consecutive, pena l’addebito di 2€ per ogni ora o sua frazione. L’abbonamento annuale è senz’altro il più conveniente (36€ contro i 6€ di quello settimanale), ma comunque non economico: infatti, i primi 30 minuti di utilizzo (ritenuti sufficienti per gli spostamenti basilari) sono gratuiti ma per ogni frazione consecutiva alla prima mezz’ora vengono addebitati 0,50€ sulla carta di credito, indispensabile per poter usufruire del servizio. Inoltre, il superamento del limite massimo di due ore per tre volte determina la soppressione dell’abbonamento, e nel caso di mancato ritorno della bici dopo ventiquattro ore, verrà addebitata all’abbonato una penale di 150€. A questo punto, considerate le scomodità logistiche ed economiche, c’è chi considera più funzionale comprarsi direttamente una bici.

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StORIe La risposta è la Genesi Salerno – Reggio Calabria, tunnel di neutrini, costi della politica: lo stato italiano spreca troppi soldi? Non vi preoccupate, poteva andarci peggio: il Kentucky infatti finanzierà la costruzione di un parco creazionista, Ark encounter, una specie di Disneyland in salsa biblica, che vedrà la luce nel 2014. I costruttori, il gruppo cristiano “Answer in Genesis”, credono nella verità letterale della Bibbia (come il 50% degli americani del resto), e si dicono convinti che Dio abbia creato la terra e tutte le specie viventi 6000 anni fa. “E i fossili?”, si chiederà qualcuno: niente paura, uno scherzo di Dio per mettere alla prova la nostra Fede. Se passate per il Kentucky quindi, non perdetevi la ricostruzione della Torre di Babele, o una finta Arca di Noè di dimensioni gigantesche: “doveva essere bella grande per contenere tutte le specie animali” spiegano i responsabili. Alle numerose proteste di gruppi non-religiosi, il governatore risponde sicuro: “Il parco giochi servirà a rilanciare il turismo del Kentucky”, ma per quello probabilmente non basterà un miracolo. Filippo Bernasconi

Einaudi dice di averlo letto Probabilmente quando l’ha stampato, Einaudi ha voluto uniformarsi al titolo del libro, Infinite Jest Jest, ovvero Scherzo Infinito. Chiedetelo a chi ha comprato una copia del romanzo: al posto delle classiche, banali pagine numerate in successione partendo dal ben noto “1”, la storia incomincia a metà dell’opera, continuando a ripetersi, appunto, all’infinito; se siete fortunati c’è anche la versione speciale, con 1280 pagine totalmente bianche. Così potete scriverlo voi, il romanzo, e fare bella figura con gli amici. Almeno non avrete buttato via i soldi inutilmente. Intanto il vero romanzo è una di quelle opere di cui tutti parlano ma che solo pochissimi hanno realmente letto, nonostante, per chi non lo sapesse, sia stato definito l’evento letterario più importante degli ultimi vent’anni. Al contrario Einaudi diventerebbe la casa editrice più simpatica del momento. Nel frattempo non fidatevi dei prossimi acquisti, non si sa mai… Andrea Fasani 7


Le umiliazioni della vita militare OPt–In

Passato il tempo del footing, che ben esemplificava i danni linguistici dell’esterofilia italiana, arriva dagli States la nuova frontiera della ginnastica: il military fitness. Se proprio non ce la fate a buttar giù da soli quegli opprimenti chili di troppo, potrete infatti fare affidamento su un omone grande e grosso vestito da marine che vi insulterà e vi impartirà tutta la disciplina che vi serve, rammolliti che non siete altro! Il tutto naturalmente da farsi all’aria aperta e in gruppo, per supportarsi nell’agonia. Così, dopo aver importato d’oltreoceano i grassi insaturi di big mac, coka cola e patatine fritte (ma la stazza del commissario Winchester non vi ha insegnato nulla?), non potevamo lasciare le cose a metà, e abbiamo preso in prestito anche le avanguardistiche tecniche di smaltimento grassi via umiliazione e sudore pubblico in salsa marines, che in effetti i nostri militari non hanno mica lo stesso savoir faire. Tanto ci sarà sempre un bambino che vi mangerà il gelato davanti mentre vi allenate. Giuditta Grechi

Rapina banca di 1$ per pagarsi un’operazione Lo scorso giugno, Charlotte, North Carolina. È una storia di disperazione, quella di James Verone. 59 anni, disoccupato, il conto in banca a secco. Uno strano corpo osseo in crescita, gonfio, sul petto, e il piede sinistro “difettoso”. James Verone era senza assicurazione sanitaria e doveva farsi curare. Così ha deciso di rapinare una banca. Più o meno. Verone è entrato nella filiale locale di RBC Bank con un post it. “Questa è una rapina,” aveva scritto “datemi un dollaro”. Quindi si è seduto in un angolo, e ha annunciato che non se ne sarebbe andato se non portato via dalla polizia. “Volevo che fosse chiaro che non mi interessavano i soldi”, ha dichiarato poi l’uomo ai giornali. In America i carcerati hanno diritto ad assistenza sanitaria gratuita, e Verone sperava di riuscire a rimanere dentro per almeno tre anni. Malato, senza lavoro, senza assicurazione o risparmi, la prigione era il posto migliore dove andare. E l’unica soluzione per curare il proprio male. James Verone non consiglierebbe a nessuno di mettere in moto un piano simile al suo. Ma è felice, e il medico del penitenziario si sta prendendo cura di lui. Alessandro Massone

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Wedding trailer

Un trailer, per il vostro matrimonio

Ormai l’avanzata della tecnologia informatica non conosce più ostacoli, tanto da sconvolgere anche un evento tradizionale e sacro come il matrimonio: spesso infatti la recita della vita di coppia comincia ancor prima del fatidico “sì”. Rallenty, musiche epice, recitazioni forzate, effetti a dissolvenza... Ecco a voi la nuova frontiera del Matrimonio: il Wedding Trailer. Diffusa in vari stati, questa nuova, triste, moda è arrivata anche in Italia, patria di eccentriche novità e importatrice di americanate. Come partecipazione ad un matrimonio solitamente parenti e amici trovano nella propria cassetta della posta l’invito alla cerimonia in carta colorata, spessa, raffinata, con incisi nome e cognome degli sposini e data, ma perchè non rinnovarsi e seguire la nuova moda? Le agenzie specializzate lo descrivono come un “breve trailer, spesso ironico o romantico, che in pochi minuti annuncia ad amici e parenti la data del vostro matrimonio; è un modo originale per sorprenderli e invitarli all’evento utilizzando lo stile che caratterizza il lancio di un film” dato che il semplice filmato del matrimonio “è purtroppo destinato, in genere, a restare nel cassetto, magari dopo essere costato una bella cifra”. Nuova frontiera dell’ecosostenibilità, dato che al posto di decine e decine di partecipazioni di carta saranno spediti semplici dvd in ogni casa a deliziare gli invitati con un’anteprima della cerimonia. Sottolinierei il “spesso ironico”, perchè in questi filmati i due sposini recitano come in una soap opera, si rincorrono con il vento tra i capelli in riva al mare, si lanciano sguardi provocatori, ammiccano e si ricongiungono in un bacio appassionato, con un interpretazione forzata e pacchiana.

Ma come funziona la nuova frontiera degli inviti matrimoniali? Contattando una delle numerose neonate agenzie specializzate in Wedding Trailer, viene tutto spiegato in modo chiaro e semplice. In un primo incontro si intervista la coppia per conoscerla e studiarla a fondo e capire i gusti,

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alla quale saranno poi sottoposte idee “innovative” per il filmato, location e musica; si fissa poi un giorno per le riprese, che saranno filmate con due videocamere professionali per catturare “tutti i momenti speciali” e, dopo aver girato il filmato, si passa alla postproduzione e quindi al montaggio del trailer, riempito di effetti visivi e musicali in perfetto “stile cinematografico per rivivere l’esperienza come in un Film”. Un trionfo di primi piani, su occhi o labbra, si alterna a carrellate sul corpo della donna (ed anche dell’uomo). Le musiche tendono spesso all’epico se scelte dalla troupe, sono invece caramellose e scontate quando vengono scelte dalla coppia, che sotto le note di Gigi d’Alessio, sparisce in decine di dissolvenze, un’esasperazione della realtà attraverso i codici del mondo dell’intrattenimento, nella quale storia, riprese e musiche vanno in conflitto tra di loro creando prodotti non allineati con lo scopo, il semplice scopo di un invito di nozze. Il prezzo totale si aggira intorno ai 400 euro, ovviamente escluse IVA e spese di preparazione e spedizione di DVD. L’agenzia più famosa e rinomata sembra essere l’ADVwedding (www.advwedding.com, sito che si apre con: “il tuo matrimonio in alta definizione”), il ramo della casa di produzione AltaDefinizioneVideo che opera esclusivamente nel campo Matrimoniale. L’ADVwedding oltre ai trailer matrimoniali offre video pre e post-matrimonio, filmati del backstage, con quello che accade dietro le quinte tra sposi e truccatori, in casa dello sposo e della sposa e nelle varie famiglie, una raccolta di dichiarazioni di invitati e parenti ed infine una piccola intervista doppia agli sposi con domande “dal banale al sentimentale” (Come ti chiami? Cosa cerchi nel partner?). Quest’agenzia permette addirittura di ricevere il filmato in HD e mette a disposizione un’ampia collezione di portadvd in ecopelle, legno o shaffon per conservare il proprio filmato. ADVwedding offre tre fasce di servizi: Servizio Wedding, Servizio HD che includono il “taglio torta anticipato” (?) e Servizio Top, ovvero il servizio superdeluxe. Quindi, al posto di un semplice invito a nozze vi potrebbe arrivare a casa il trailer di un reality all’italiana dove la coppia non è capace nemmeno di recitare la parte che dovrebbe poi interpretare nella vita reale. Francesca M. Di Vaio

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Top 10 delle multinazionali il meglio del peggio parte seconda Tra avidità e sfrontata malvagità 4) Nestlé (utili 12mld €)

È la più grande azienda mondiale nel settore alimentare. Uno dei suoi motti preferiti è “We feed the world”, che è anche il titolo di un documentario del 2007 nel quale Peter Brabeck, allora presidente dell’azienda, a proposito della privatizzazione dell’acqua potabile, si esprime così: “Oserei dire estremista il pensiero di coloro che, rappresentati dalle ONG, insistono sul fatto che l’acqua debba essere considerata un diritto pubblico. Ciò significa che ognuno, in quanto uomo, debba avere diritto all’ approvvigionamento d’acqua e questa è una soluzione estrema”. Nestlè è inoltre stata condannata per anni per l’uso di tecniche di marketing irresponsabili nella commercializzazione di alimenti per bambini, in particolare del latte in polvere, per la cui preparazione, in molte regioni del mondo, viene usata acqua inquinata.

3) Pfizer Inc (utili 5,6mld €)

La casa farmaceutica madre della penicillina e del viagra ha effettuato ricerche farmaceutiche eticamente discutibili con conseguenze mortali: è esplicativo il caso del Trovafloxacin, testato su bambini nigeriani ignari di fare da cavie per un esperimento farmaceutico. La vicenda, denunciata da Evaristo Lodi di Medici Senza Frontiere, ha portato nel 2009 ad un risarcimento di 75 milioni di dollari in favore dello stato nigeriano del Kano. La Pfizer, insieme alla Bayer, alla Novartis e alla Sanofi-Aventis ha ostacolato la commercializzazione di farmaci vitali nei Paesi in via di sviluppo ed è stata accusata di manipolazione di informazioni, mistificazione ed edulcorazione dei risultati dei test.

2) ExxonMobil Corporation (utili 30mld €)

È il più grande gruppo al mondo per giro d’affari e fatturato, e la sua forza economica è superiore a quella di molti stati, tra cui Ciad e Cameroun che, in guerra civile da anni, sono stati

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indirettamente finanziati e riforniti di armi proprio dalla compagnia petrolifera. Nel 2006 ha meritatamente vinto il premio “Worst Lobby Award”, per l’impegno mostrato nella distruzione dell’ecosistema attraverso lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi: complimenti, continua così!

1) Coca-Cola Company (utili 3,9mld €)

Dopo “ok”, Coca-cola è il termine più conosciuto al mondo. Ogni giorno più di un miliardo di persone in oltre 200 paesi bevono una bibita della Coca-cola Company, per un totale di 110 miliardi di litri all’anno. L’azienda è stata ripetutamente accusata di ecocidio, poiché ogni giorno ognuno dei 52 impianti di Coca-cola usa tra un milione e un milione e mezzo di litri d’acqua (per un consumo complessivo di 40mld di litri all’anno) e per aver contaminato con elementi chimici altamente cancerogeni, quali piombo e cadmio, vaste superfici agrarie dell’India sud-occidentale. Cocacola, che comunque non è immune dalle classiche accuse di sfruttamento del lavoro minorile e discriminazione razziale, si è distinta per una feroce e sistematica persecuzione dell’attività sindacale: addirittura il sindacato colombiano Sinaltrainal nel 2001 denunciò la compagnia per aver ingaggiato squadroni della morte paramilitari, colpevoli di omicidio, rapimento e tortura nei confronti di membri del sindacato. Otto sindacalisti furono uccisi, altri 65 minacciati di morte. Purtroppo questi tragici eventi si sono ripetuti, in forma più lieve (nessun morto), a Panama solo pochi anni dopo. A causa di tutte le accuse pendenti sul gruppo, negli Usa, in Germania e in Inghilterra sempre più università boicottano Coca-Cola e, finalmente, i dirigenti dell’impresa hanno cominciato a preoccuparsi. Gemma Ghiglia

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Opera lenta “Ci siamo messi all’Opera per creare cultura” ma pare proprio sia solo una dichiarazione di intenti.

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a sala teatrale Cannobiana di Milano, in via Larga, a pochi passi dalla nostra Università, viene inaugurata nel 1779, un anno dopo il Teatro alla Scala, ma risale invece al 1894 il cambio di nome in Teatro Lirico, come è tutt’ora conosciuto dai milanesi. L’acquisto definitivo da parte del Comune di Milano risale al 1926, e nel 1938 un grave incendio ne danneggia seriamente le strutture: in questa occasione il Comune decide di ricostruirlo in forme nuove, rinunciando alla grande cupola vetrata considerata sino a quel momento uno dei simboli della città. Nel 1943 il Teatro Lirico ospita la stagione del Teatro alla Scala, parzialmente distrutto dai pesanti bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e il 16 dicembre 1944 Benito Mussolini, in occasione della celebrazione della morte di Filippo Tommaso Marinetti, pronuncia proprio in questa sala quello che sarà il suo ultimo comizio. Nel secondo Dopoguerra, il Teatro Lirico assume un ruolo centrale nella vita culturale meneghina e nel 1960 inizia la fruttuosa collaborazione con il Piccolo Teatro. Sono gli anni di Giorgio Strehler, che impiega sovente la “sala grande” per i suoi spettacoli della fase brechtiana. Gli anni Settanta e Ottanta

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rappresentano gli ultimi fasti per il Teatro Lirico, che sul proprio palco vede avvicendarsi balletti, concerti di musica leggera (tra i quali spiccano quelli di Giorgio Gaber) e manifestazioni politiche. Una crisi finanziaria ne provoca la chiusura negli anni Novanta, ma nonostante il suo progressivo abbandono, nel 2003, è stato dedicato dalle Istituzioni cittadine a Giorgio Gaber. E’ il primo passo di un ambizioso progetto di rilancio concretizzato con l’avvio dei lavori di ristrutturazione nel 2007. Inizialmente il progetto è stato affidato all’imprenditore teatrale Gianmario Longoni e al suo team di imprenditori, ma la Sovraintendenza ha bloccato a lungo i lavori, anche a causa delle pressioni di Vittorio Sgarbi, allora Assessore alla cultura, che si è opposto alla ristrutturazione. Questa, sosteneva, avrebbe stravolto il disegno degli anni ’30 di Cassi Ramelli. Nel 2008 il cantiere avrebbe dovuto riprendere a funzionare, ma nulla di significativo è cambiato, e dopo il ritiro da parte di alcuni imprenditori dal progetto, questo è stato tolto ai privati e preso in gestione dal Comune nel 2009. Attualmente non si conosce né lo stato dei lavori né la data di completamento prevista. Esiste però un elegante sito web (www.teatroliricomilano.it) che, come si può leggere nelle informazioni nella pagina, è stato aperto nel 2007, presumibilmente dal Comune. In questo spazio informatico viene illustrato il progetto di rilancio: l’obiettivo è restituire alla città di Milano uno dei suoi “simboli architettonici più suggestivi”, ovvero la volta vetrata costruita per il Teatro Lirico nel 1894 in occasione della prima grande ristrutturazione: una volta vetrata che dovrebbe costituire il “guscio attivo” di un organismo polifunzionale. La “polifunzionalità” sembra essere appunto l’elemento chiave per rilanciare l’attività di questa grande sala, destinata, secondo quanto indicato nel sito web, a ospitare nello stesso anno artistico “scelte eterogenee”, che vadano dalla prosa alla danza, dal musical al jazz, dalla lirica alla musica leggera e concertistica, dal teatro musicale al balletto, il tutto selezionato “tra le migliori produzioni nazionali e internazionali, secondo criteri artistici uniformati all’idea di novità e di successo di pubblico”. Il Teatro Giorgio Gaber, attualmente, si presenta allo sguardo dei passanti con tutti i segni dell’incuria e del trascorrere del tempo: finestre rotte, umidità che trasuda dai muri portanti, sporcizia. L’unico segnale che suggerisca l’idea dei “lavori in corso” per una ristrutturazione sono due prefabbricati situati sul lato del Teatro in via Rastrelli, dove inoltre sono state posizionate delle transenne per impedire ai passanti di avvicinarsi alla parete del teatro, dalla quale evidentemente si teme la caduta di calcinacci. Sul retro del teatro campeggiano ancora le insegne ormai arrugginite, mentre soltanto la facciata principale in via Larga sembra mantenersi in un discreto stato di conservazione. Abbiamo cercato di contattare lo staff del Teatro tramite l’indirizzo mail riportato nella pagina “contatti” sul sito web, ma abbiamo dovuto constatare che tale indirizzo non è più attivo. Lo slogan accattivante scelto per questo progetto dai tempi indeterminati recita: “Ci siamo messi all’Opera per creare cultura”; ma pare proprio che questa “creazione” si limiti, fino ad oggi, a una dichiarazione di intenti, per quanto supportata da un’eccellente piattaforma informatica. Eppure il candidato sindaco Letizia Moratti nel suo libricino di propaganda elettorale “i cento progetti realizzati” sostiene che i lavori in via Larga proseguono. I fatti non confermano. Angelo Turco, con la collaboraziobe di Irene Nava 14

foto thom b./minifig


Le voci sulla morte della musica sono oltremodo esagerate.

È

uno dei cliché del newsmaking internazionale. La musica è morta. Non lo sapevate? Nessuno pubblica più dischi che suonino bene, nessuno compra più dischi, tutti piratano, nessuno va ai

concerti. Chiunque viva nel mondo reale sa che non è così. È tradizione confondere il cambiamento per morte, così come è tradizione bollare qualsiasi business, qualsiasi prodotto, come un fallimento, come in crisi. Le crisi, i fallimenti e le morti fanno titoli più di successo. Era così per i giornali, è così (ancora di più) per i siti internet.


La Crisi, con la c maiuscola, c’è, ed è terribile, ma non ha nulla a che fare con l’industria musicale. La musica non è morta. Posso contare senza fatica almeno venti dischi davvero divertenti usciti negli ultimi dieci mesi. Non li ricorderemo tutti tra dieci anni, e gli anni duemila non hanno ancora trovato il loro Dylan, ma non è questo il punto. Al contrario, sembra che la musica stia vivendo una vera nuova primavera, con ormai quattro o cinque anni consecutivi di uscite davvero brillanti, tra grandi ritorni ed esordi pieni di promesse. L’industria non è in crisi. Sta subendo un’atomizzazione, con una crescente importanza dei singoli e dei brani smembrati all’interno di un album. Bisogna chiamare le cose col proprio nome: questo è cambiamento, non è morte. Le case discografiche avranno bisogno di sottoporsi a operazioni di lifting pesanti per continuare a vivere nel nuovo contesto, ma ancora, non è questo il punto. I clienti, l’audience, non sono mai stati così contenti di comprare, e non è mai stato così semplice, comprare.

È vero: c’è un notevole ridimensionamento delle vendite, scese del 45% dal 1973. È innegabile che il fenomeno dei bootleg non sia mai stato diffuso come è oggi. Ed è proprio la pirateria la causa della crisi, dicono. Un’ampia e inarrestabile diffusione di copie bootleg di tutto che si è sostituita ai canali leciti. La spiegazione delle case discografiche è così semplice da essere offensiva: l’uomo è naturalmente ladro e non è mai stato così facile rubare.

C’è una spiegazione molto più ragionevole, che le case discografiche non riescono ad ammettere. L’età digitale nella musica inizia con la nascita e l’esplosione del Compact Disc. È quindi lecito dire che sia stata la più florida per l’industria: in prospettiva, le vendite dei CD annichiliscono tutti i formati precedenti, più alte del 13% dalla medaglia d’argento, il vinile. Il passo falso è stato compiuto a causa della cecità dall’ulteriore passaggio al digitale della distribuzione. Con la diffusione rapida di computer abbastanza potenti da poter copiare i contenuti dei CD, di hard disk abbastanza capienti da poter ospitare migliaia di canzoni, di connessioni internet abbastanza rapide da permettere il download di tracce compresse, nasceva la distribuzione digitale della musica. Era il 1999. Per la prima volta nella storia dell’industria, un formato e un modello di distribuzione nascevano prima di essere riconosciuti dalle case discografiche. Ci vollero altri 4 anni perché fosse POSSIBILE scaricare musica legalmente, a pagamento, e il modello di acquisto di musica digitale à la carte è ancora lungi dall’essere popolare. Quindi: non è la semplicità della distribuzione digitale che favorisce la pirateria, è la pirateria che ha creato la distribuzione digitale. 16


Sono i canali leciti che stanno cercando di sostituire quelli illeciti. I negozi musicali digitali, iTunes in tutto il mondo e Amazon e Google in America, non sono stati pionieri del formato e del modello di distribuzione, sono stati ripieghi, forniti da società esterne all’industria a imprese disperate, incapaci di comprendere cosa stesse succedendo al proprio dominio. La situazione migliorerà drasticamente quando la generazione di consumatori di bootleg crescerà e avrà i mezzi economici per poter comprare, ma non il tempo per trovare fonti illecite per la propria musica. I guadagni non torneranno mai ai livelli dei CD (e sarebbe interessante poter scorporare le vendite genuine dei CD dagli LP ricomprati per il salto di formato analogicodigitale). Gli EP si faranno sempre più comuni, comoda via di mezzo tra il modello dell’LP e i prezzi che il pubblico è disposto a pagare. Ma se la situazione migliorerà drasticamente, nel frattempo le case discografiche potrebbero essere già state deprecate, grazie alla diffusione di strumenti di distribuzione indipendenti, come l’odierno Bandcamp, e in misura minore grazie al sempre più breve iter necessario per pubblicare su iTunes Store. La musica gode di buona salute, i suoi ascoltatori godono di buona salute. Il mercato, seppur ristretto, garantisce visibilità senza precedenti agli artisti, sia affermati che emergenti. Le etichette indipendenti hanno per la prima volta nella Storia a disposizione gli stessi strumenti – tecnici e di marketing – delle major. Le major hanno una schiera infinita di nuovi spazi da colonizzare attraverso cui ampliare i propri profitti, primi tra tutti i videogiochi musicali, di colossale successo. Le major, quando sentite che parlano di crisi, parlano del proprio terribile terrore del cambiamento. Terrore che è perfino un po’ buffo in un’industria della creatività. Alessandro Massone

CULTURA 17


L’uomo f e il popo debole.

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a mitologia dell’uomo forte alla guida di masse inette ed incapaci di decidere del proprio futuro, rappresenta una sorta di sottile linea rossa che attraversa tutta la storia dell’Italia, monarchica prima, fascista poi ed infine repubblicana.

Solo in questo modo si spiega la periodica ascesa al potere da parte di soggetti più adatti alla “commedia dell’arte” di matrice goldoniana che non al famoso teatrino della politica:

Mussolini acchiappato sul confine mentre cerca di svignarsela, la famiglia reale dei Savoia che prima di darsi ad un prospero esilio belga arraffa e depreda le casse dell’ormai ex regno con fare da banda bassotti, per venire in seguito, a cinquant’anni di distanza, a pretendere le scuse del popolo italiano; i conti correnti multimiliardari dai nomi evocativi del “coraggioso” Craxi, che se la vola ad Hammamet il giorno prima che scattino le manette, per passare il resto dei suoi giorni in una nobile tenuta da fattucchiera, dalla quale indirizzare stregonerie e malocchi di ogni sorta nei confronti dei vari Amato o Martelli, rei di aver abbandonato la mammella della vacca grassa un istante prima che questa entrasse al macello; e da ultimo, l’atto conclusivo del dominio berlusconiano che, da degno epilogo di una farsa melodrammatica, è infarcito di prostitute in crisi di coscienza, cortigiani travestiti da rivoluzionari 18

foto FriendsOfEurope


forte olo

dell’ultima ora che sparano a zero sul sovrano, servi della gleba che si dicono disposti a collaborare con il feudatario designato, burocrati parassitari che l’avevano previsto e capitani d’industria convertiti al marxismo. Gli strilloni cantano a gran voce le lodi del nuovo re, senza alcuna parsimonia per aggettivi e sostantivi roboanti: Prestigio, Carisma, Credibilità, Competenza, Dimestichezza – e quant’è dolce fare a gara a chi conosce più termini che iniziano con suono occlusivo. “L’irriverenza è l’unica paladina della libertà” scriveva Twain, ed è nei giorni post sbornia che bisogna ricordarselo, affinché sia finalmente possibile quel “beato paese che non ha bisogno di eroi”. Professor Monti, good night and good luck. Francesco Floris

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Toccare per credere

Il Museo Tattile di Varese dalla Storia dell’Arte alla Geografia

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l Museo Tattile di Varese, su ispirazione dell’Unione Italiana Ciechi – sezione di Varese, nasce dalla volontà di Livia Cornaggia e dell’Associazione Controluce Onlus (http://nuke.controluceonlus. org/). Il 16 aprile scorso il Museo Tattile ha aperto le porte di Villa Baragiola a Varese, un bellissimo spazio, molto ampio e privo di barriere architettoniche, offerto dal comune. L’obiettivo principale di questo Museo è quello di promuovere una conoscenza senza barriere e diventare un punto di riferimento per vedenti e non vedenti, attraverso un programma numeroso di laboratori e di percorsi di apprendimento multisensoriale. In Europa esistono soltanto due altri esempi di questo tipo di museo: il Museo Tattile di Madrid e il Museo Omero di Ancona, visitato da 30.000 persone l’anno. Questi, però, conservano le riproduzioni di opere statuarie e architettoniche famose in tutto il mondo e danno la possibilità ai non vedenti di studiarle e comprenderle tramite il tatto. Il Museo Tattile di Varese si differenzia, conservando una serie di modelli che consentano la fruizione attraverso il tatto di elementi, particolari, strutture della storia dell’arte, dell’architettura, dell’archeologia, della geografia, del territorio e, in generale, della realtà. Il Museo è dedicato non solo a chi non può fare esperienza della luce e delle immagini, ma anche a chi si rapporta con la luce e le immagini ogni giorno, proponendosi di rivelare a tutti le infinite possibilità di percezione. Il percorso del Museo si dipana in più sezioni che vanno a toccare vari argomenti: particolari architettonici, storia dell’architettura, vie d’acqua e mulini, modelli geografici e paesaggistici, guide turistiche tridimensionali. Tutto fa pensare a un nuovo modo di orientarsi, a un nuovo modo di “toccare” – e quindi vivere - il mondo che ci circonda. I modelli lignei presentati vogliono raccontare, dal punto di vista tattile, uno stile architettonico, un meccanismo di funzionamento, il centro storico della città, un incrocio stradale, l’orografia di una zona naturale. A proposito dei modelli, Livia Cornaggia spiega come l’idea di base per realizzare tali modelli sia quella di fare in modo che il fruitore possa “abbracciare” interamente l’opera; per fare questo bisogna rifarsi al genio di Leonardo e al suo studio sulle proporzioni del corpo umano nell’Uomo Vitruviano. Le idee non mancano: ampio spazio verrà concesso ai laboratori didattici sensoriali per le scuole, strutturati e personalizzati in base all’età e alla scuola di provenienza. La visita al Museo Tattile costituirà, quindi, un’esperienza doppia: sperimentare il percorso della conoscenza tattile su modelli articolati e acquisire una serie di importanti informazioni e un’apertura nei confronti delle problematiche e delle necessità di non vedenti e ipovedenti. I progetti proposti ai bambini e ai ragazzi sono molti: dal Collage sensoriale al disegno e al bassorilievo, dal Paesaggio

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foto cortesia di Jim Forest


da toccare alle Piante tattili, fino al Labirinto di legno. Nell’ambito di questi laboratori i bambini verranno accompagnati da una guida attraverso esperienze multisensoriali, in grado di metterli in condizione di sperimentare – divertendosi – come il senso della vista possa e debba essere accompagnato dalle esperienze risultanti dall’uso dei sensi vicari. Tutte le informazioni si possono trovare sul sito dell’ Associazione Controluce Onlus. Livia Cornaggia, insieme al suo collaboratore, presentano anche due progetti: il Progetto Audiofarm, realizzato in collaborazione con Federfarma Varese, che prevede la sostituzione dei cartelli cartacei con i turni con delle bacheche sonore in grado di fornire la turnistica delle farmacie in forma audio. L’altro progetto, già avviato, è il Progetto ‘Quarta di copertina’, per venire incontro anche alla curiosità dei non vedenti di leggere la quarta di copertina dei libri più recenti, realizzata in braille. In questo modo si dà la possibilità di rendere perfettamente autonomi nella scelta i non vedenti e gli ipovedenti, facendogli curiosare tra i nuovi titoli editoriali. Vivere l’esperienza del Museo Tattile è molto interessante – consigliata la visita con una mascherina e accompagnati dalla guida. Solitamente nei musei di tutto il mondo ci facciamo guidare dalla vista, affidandoci interamente a questo senso. Quando ne veniamo privati, la fruizione cambia radicalmente e è facile sentirsi disorientati. Il tatto diventa l’unico modo per ‘vivere’ il mondo, per capire e fare esperienza. Così, la mano sicura che ti accompagna a fruire il percorso diventa la tua guida, la tua sicurezza. Tra le tante emozioni provate nel girare il Museo Tattile, la più stravagante è la difficoltà nel riconoscere oggetti quotidiani come un sacco pieno di farina o di una spezia, soprattutto per chi si affida da sempre alla vista per riconoscere il mondo che lo circonda. Il Museo Tattile rappresenta una realtà rara se non unica in Italia e in Europa; la cordialità e la volontà dei fondatori sono ulteriori elementi di arricchimento, aggiungendo le nuove idee e progetti – tra cui un progetto di un labirinto verde multisensoriale, da realizzarsi nel parco retrostante la villa, la cui uscita si potrà trovare solo tramite il tatto o l’odorato. Il successo si può già quantificare con più di 500 visite da Aprile, anche se, strano a dirsi, i visitatori non vedenti sono stati solo meno di una decina, ma il numero è certamente destinato a salire. Daniele Colombi Museo Tattile Varese Villa Baragiola Via F. Caracciolo, 46 21100 – Varese 0332- 255637 Martedì-Venerdì: 14.30 – 18.30 Sabato e domenica: 10.30/12.30 – 14.30/18.30 7,00 € a persona con laboratorio di 60’ o 90’ comprensivo di ingresso al Museo e visita guidata. Accompagnatori: ingresso ridotto 4€ Per le scuole: ingresso gratuito di un accompagnatore per gruppo.

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Da riascoltare per la prima volta Ivano Fossati La pianta del tè

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n grande musicista scopre alla fine degli anni Ottanta che la propria voce aspra può reggere melodie suggestive e straordinariamente evocative. È così che Ivano Fossati ci prende per mano per un viaggio soave, al ritmo andino dei flauti, accompagnandoci verso spunti etnici e fascini notturni con una leggerezza inattesa. È un viaggio musicale sudamericano in cui l’ermetismo dei testi del cantautore ligure non ci scoraggia, perché le parole scivolano sulla melodia senza attriti come nella canzone che dà titolo all’album, La pianta del tè, in cui ci sentiamo abbandonati in uno scenario alieno e perdiamo ogni certezza: “come cambia le cose / la luce della luna / come cambia i colori qui / la luce della luna /come ci rende solitari e ci tocca”. Siamo in India ma sentiamo suonare flauti a canne delle Ande, e non ci resta che inginocchiarci davanti all’immensità preclusa alla nostra comprensione e guardare all’interno di noi stessi, perché “chi si guarda nel cuore / sa bene quello che vuole / e prende quello che c’è”. In questo album Fossati propone un nuovo arrangiamento per una sua canzone molto famosa, La costruzione di un amore, sette anni dopo Panama e i suoi dintorni. Il testo non cambia, è sempre lo sguardo sull’amore privato, quell’aspetto del sentimento che non riguarda il rapporto tra gli amanti ma soltanto le sofferenze, le fatiche e gli sforzi che ognuno nella propria dimensione personale pone al centro della propria costruzione del rapporto sentimentale. La melodia invece è meno cupa di quella della versione precedente, illuminata anche in questo caso da spunti etnici e da una cura per i particolari tipicamente fossatiana. La terza canzone di questo album che merita di essere riascoltata non è tra le più note del cantautore, ma sicuramente è una delle più importanti per comprenderne il rapporto con la propria terra. Chi guarda Genova è una canzone bellissima, che parla di Genova senza la minima inclinazione campanilistica o sentimentale. Genova è, nel 1988, una città sulla soglia di cambiamenti epocali (la perdita di importanza del porto, la trasformazione da città delle industrie pesanti al turismo e il risanamento del centro storico, iniziato nel 1992) e Fossati, genovese incapace di abitare nella grande città e rifugiatosi nell’entroterra del Levante, guarda la città dal mare, perché “chi guarda Genova sappia che Genova / si vede solo dal mare”, e ci spiega che non dobbiamo aspettarci niente di più rispetto a “quei gerani che la gioventù / fa ancora crescere nelle strade”. I gerani sono fiori colorati e luminosi, ma poveri come Genova, una città bellissima ma ormai lontana dai fasti e dal lusso che l’hanno resa La Superba, una città ancora vitale grazie al suo grande porto, causa però di sofferenza per le morti che colpiscono chi ci lavora. Una città in cui le differenze tra le classi sociali sono inscritte negli stereotipi e dove anche l’arte di Fossati non riceve molte gratificazioni. Ma Genova non è una città insensibile, è una città che non può distrarsi perché deve rimanere aggrappata disperatamente alla terra ferma in attesa di poter mollare la presa e abbandonarsi finalmente tra le onde (“restiamo volentieri ad aspettare / che la nostra casa stessa riprenda il mare”). Il cantautore, giunto a questo punto, ripensa ai suoi versi aspri, aspri come quella Genova che ammette di aver descritto nei suoi aspetti meno piacevoli,


con tutta la ritrosia di un vero genovese che alla sua città dedica “gerani e non parole d’amore”. L’album comprende altre canzoni, tra le quali anche la più nota è certamente Quei posti davanti al mare, in cui Fossati canta insieme a Francesco De Gregori e all’amico Fabrizio De Andrè. Siamo nel 1988, Fossati è già un cantautore affermato, ma soltanto con questo disco raggiunge la completa maturazione artistica e musicale (e i due successivi lo consacreranno nell’Olimpo della musica colta italiana). Decisamente da riascoltare per la prima volta. Angelo Turco

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Orizzontali 1 – Spesso nei guai a causa di donne ed evasione fiscale, è noto per la bassa statura. 8 – Emulare 9 – E’ il nono mese dell’anno nel calendario islamico 10 – Lago salato del Kazakistan. 11 – Per la psicologa Asha Phillipps aiutano a crescere. 13 – Simbolo del cobalto. 14 – Vecchio nome della Telecom. 16 – Vi si vendono cd in via Torino. 18 – Costruisce e ripara strumenti musicali. 21 – Paesino abruzzese distrutto dal terremoto, Berlusconi vi tenne un celebre discorso. 22 – Lungo periodo storico Verticali 1 – Bisogna averne fatto uno per diventare santo. 2 – Lo si beve dopo i pasti. 3 – Se è baciata non è incatenata. 4 – Divinità della caccia, oggi più nota come squadra di calcio. 5 – Papà inglese. 6 – Lo fa il benedettino quando non “labora”. 7 – Il Pietro che fu tra i protagonisti del centrosinistra negli anni ‘60. 14 – Quelle chimiche affollano i siti internet complottisti. 16 –Il divertimento per gli inglesi. 17 – Iniziali di Arbasino. 19 – Lo è il “Drive”. 20 – Oristano Registrato al Tribunale di Milano, n. 317, 4 Maggio 2004. Direttore responsabile: Laura Rio. Fondato da: Luca Gualtieri, Andrea Modigliani, Andrea Canevazzi. Stampato con il contributo dell’Università degli Studi di Milano, derivante dal fondo per le attività culturali e sociali, previsti per Legge del 3 Agosto 1985, n. 429


EDITORIALE Bibliography, Dramaturgy, da quest’anno ogni studente milanese potrà sentirsi un po’ in Erasmus, leggendo le attesissime traduzioni in inglese del titolo dei corsi, che svettano gigantesche sul programma, sotto la minuscola versione italiana. Perché accontentarsi di “Etnomusicologia”, quando possiamo dire di studiare “Ethnomusicology”? Il risultato a volte è un po’ sciatto (“Didattica della lingua francese” viene frustrato in Teaching French), a volte roboante come un Servizio Luce (“Biblioteconomia” diventa un prolisso Library and information science). In altri casi l’effetto Abatantuomo è assicurato: Etruscology e Glottology ridanno speranza a chi l’inglese quando non lo sa se lo inventa. Pongo al solerte anglista compilatore del programma una semplice domanda, perchè? Why? Nella nostra università, dove ci si laurea con un certificato Pet (livello “the cat is on the table” per intendersi), a cosa serve questa buffonata? Lo studente Erasmus non sa l’italiano? In tal caso mi spiace, ma anche il programma, le lezioni e l’esame sono in italiano, forse è il caso che il nostro amico si dedichi alle feste e lasci perdere i corsi. Ci sono questioni più importanti, non c’è dubbio, ma la sudditanza verso il modello anglosassone è un rischio tutt’altro che teorico. E passi in Bocconi o a Piazza Affari, dove il boss segue il trend per essere cool, ma cosa siamo diventati, se anche nella facoltà di Lettere e Filosofia, per essere presi sul serio bisogna far finta di parlare in inglese? Filippo Bernasconi

Direttore: Laura Carli Vicedirettori: Giuditta Grechi, Irene Nava Caporedattore: Filippo Bernasconi Impaginazione e Grafica: Alessandro Massone Redazione: Danilo Aprigliano, Denis Trivellato, Luisa Morra, Alice Manti, Elisa Costa, Davide Contu, Massimo Brugnone, Gemma Ghiglia, Elena Sangalli, Daniele Colombi, Alessandro Manca, Francesca Di Vaio, Andrea Fasani, Luca Ricci,Valentina Meschia, Stefano Vallieri, Fabio Pablo Marinoni Perelli, Davide Indovino, Angelo Turco. Collaboratori: Beniamino Musto, Gregorio Romeo, Fabrizio Aurilia, Luca Ottolenghi, Marco Bettoni, Francesca Gabbiadini, Alessio Arena, Luigi Serenelli.

La redazione di Vulcano si riunisce ogni giovedì alle ore 12,30 nell’auletta A di via Festa del Perdono 3

info.vulcano@gmail.com www.vulcanostatale.it


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