VicenzaPiù Viva n. 6, 28 marzo 2024

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V icen za P iù Viva

€ 4,00 con pagine

Cool Sport Tecno

Eleonora Duse

La Divina aveva sangue vicentino

BPVi e Veneto Banca, la vera storia dei crac

Musica dal vivo a Vicenza, dove ascoltarla gratis

Mariella Cavallaro, “radiografia» dell’allenatrice di volley

Gli esoscheletri, dal Vicentino l’aiuto a chi lavora duro

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serie, n. 6 / Mensile - 28 Marzo 2024
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Enigmi, storie, radici, farse, drammi, personaggi: vita vecchia, nuova e futura -
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Servizi di Ristorazione collettiva

Socio-sanitaria | Scolastica | Aziendale Commerciale | Vending

La nostra idea di ristorazione si basa sulla promozione di una corretta cultura alimentare in grado di soddisfare le esigenze di ogni persona garantendo elevati standard qualitativi e di sostenibilità

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V icen za P iù Viva

Indice

• Editoriale. Contrà Vittorio Veneto, n. 68: apre lo shop & meeting point di VicenzaPiù Viva e di ViPiu.it per stare in contatto sempre di… Più (Giovanni Coviello) p. 5

• Sono 40 i conflitti nel mondo più o meno noti con oltre 100 Paesi coinvolti: milioni di vittime tra diritti umani e conflitti dimenticati (Matteo Boschetti) ........................................ p. 6

• La militarizzazione delle scuole e della società civile a Vicenza (Michele Lucivero) p 12

• Anche il carcere di Vicenza scoppia (Massimo D'Angelo) ........................................ p. 15

• Situazione ancor a critica alla casa circondariale di Vicenza per detenuti e personale: la posizione della Cgil, della Fp Cgil e di Inca Cgil Vicenza (Giulia Miglioranza) p 16

• Il car cere di Vicenza: per Cub Vicenza non ci sono ancora le condizioni per il percorso riabilitativo indicato dalla Costituzione (Giovanni Novello) p 17

• Nuovo ponte di Debba: l’auspicio che si «debba» aspettare ancora poco (Jacopo Maltauro) .............. p. 18

• Debba e la buona amministrazione (Benedetta Ghiotto) ........................................ p. 19

• Le banc he incassano i crediti, lo Stato no: serve un approccio diverso, ma più efficace per creditore e debitore (Antonino Pellegrino) ................................................ p. 20

• La ver a ricchezza (Sabrina Germi) ......................................................... p. 23

• La storia «volgarizzata» del doppio dissesto di Banca Popolare di Vicenza (BPVi) e Veneto Banca (Giovanni Coviello) ................ ........................................ p. 25

• Eleonor a Duse, divina e (un po’) vicentina per parte di mamma: Angelica Cappelletto era la ventunesima figlia di una famiglia poverissima (Giulia Guidi) ................................. p. 36

• Jacopo Poli racconta come ha raccolto l’eredità di Giobatta: la grappa griffata dall’altopiano di Asiago al mondo intero via Schiavon (Tommaso De Beni) p 40

• Bar Matteotti, dopo 18 anni c hiude, ma nuova vita al Bistrot del tennis, in attesa della riqualificazione della piazza (Tommaso De Beni) ................................... p. 42

• I luoghi della musica dal vivo a Vicenza. Alla scoperta di dove si può ascoltare senza pagare il biglietto (Greta Anna Cattaneo) ............................................... p. 44

• Mor te e risurrezione nell'arte medievale del Vicentino (Marco Ferrero) ............................. p. 48

• Una mente tecnologica ... by Petrus p 50

• Umorismo in salsa vicentina (Claudio Mellana) .................. .............................. p. 51

• Boomer s. Come eravamo Parte Prima (Massimo Parolin) p 54

• Mariella Cav allaro vuol riportare in alto la pallavolo femminile biancorossa con il Vicenza Volley (Edoardo Pepe) ....................................................... p. 56

• Giulio Gobbo, l'assistente di Zara che studia per diventare grande e vince all’esordio in sua attesa (Edoardo Ferrio) ............................................................ p. 59

• 50 anni di r ugby a Vicenza nelle parole di Silvio Marchetto (Edoardo Ferrio) ......................... p. 60

• Il viaggio di Sami Sanad: dal College basket a Vicenza per tenere la serie B (Edoardo Ferrio) p 62

• Westworld, dove tutto è concesso: il lato oscuro dell’intelligenza artificiale usata come intrattenimento (Tommaso De Beni) .............. ................................ p. 65

• Domotica per tutti: come e per ché rendere smart la tua casa (Jacopo Bernardini) ..................... p. 66

• Esoscheletri occupazionali: una comoda realtà (Elisa Stivan) ......... ............................ p. 68

In copertina:

Mario Nunes Vais, Ritratto di Eleonora Duse, 1910 circa

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L'Editoriale

Contrà Vittorio Veneto, n. 68: apre lo shop & meeting point di VicenzaPiù Viva e di ViPiu.it per stare in contatto sempre di… Più

Il 26 febbraio 2024 (in effetti la data giusta sarebbe stata il 25, ma era domenica…) abbiamo festeggiato il 18° anniversario di questa testata (e della sua consorella web ViPiu.it, alias VicenzaPiu.com), tornata in edicola ad agosto 2023, ritorno e compleanno non usuali per dei media di un editore indipendente e di un direttore, dicono, scomodo. I complimenti migliori, nella sala del Bistrot del Tennis super affollata in presenza e aperta a tutti virtualmente anche ora con la video registrazione* sul nostro canale YouTube e sulla nostra App gratuita LaPiù Tv, sono stati quelli dell’ex sindaco Hüllweck (“mi dicono, i miei amici, che Coviello non è amico del centro destra e i miei conoscenti dell’altra parte che non lo è neanche del centro sinistra. Ma lui è lui: se fuori piove dice che piove, se c’è il sole scrive che c’è il sole») e del sindaco in carica Possamai («non posso che complimentarmi per il ritorno sulla carta stampata di Vicenza Più anche se non manca qualche volta di bastonarci»).

A rendere più bello il compleanno (18 anni, un ringiovanimento fantascientifico per i miei 73 fisici) c’è stato l’arrivo in libreria, su Amazon e sul nostro shop del quinto libro della collana Vicenza Popolare (che speriamo si arricchisca di titoli dopo i 7, soprattutto sui crac bancari, di Vicenza Papers).

Ma con questo numero, il 6° della nuova serie, dopo i 281 della prima, vi invitiamo a venirci a trovare nella nostra nuova sede fisica, lo Shop &

Meeting Point di VicenzaPiù e ViPiù.it) in Contrà

Vittorio Veneto 68, tra Ponte degli Angeli e il Patronato Leone

XIII. Lì potrete acquistare anche gli arretrati del nostro mensile, che ora trovate in ben 115 edicole di Vicenza e dintorni oltre che alle biglietterie dei club sportivi con noi convenzionati, presso associazioni cittadine e della provincia e in occasione di eventi), vi sarà possibile comprare le copie dei nostri libri, anche quelli non più in libreria ma solo sul nostro shop e su Amazon, e potrete consultare su computer tutte le 281 copie dei VicenzaPiù dal 2006 al 2015 e sfogliare le copie dei libri esauriti, di cui abbiamo, ovviamente conservato alcune copie, oltre a quelle che trovate in Bertoliana.

imparato ad amare così tanto da farle vincere anche trofei sportivi e così intensamente da pagare spesso di persona le lotte verso chi la imbruttiva, e la imbruttisce, fisicamente e moralmente, si tolga, l’avverbio “quasi» presente nel titolo del nostro libro firmato da Tommaso De Beni, “Vicenza. Città (quasi» bellissima», che si aggiunge all’altro, ben più drammatico, di “Vicenza. La città sbancata».

Ma nello Shop & Meetting Point VicenzaPiù e ViPiù.it in Contrà Vittorio Veneto 68, dove ci sarà anche una cassetta esterna per vostri scritti, potrete spesso trovare una e/o uno di noi per sottoporci problemi che riguardino la comunità e raccontarci storie, magari, e soprattutto, belle.

Io e chi collabora con me, vicentino Doc e/o di adozione e attenzione, vogliamo col vostro aiuto, che “vuol dire partecipazione», che questa città, che dal 1992 ho

P.S. Normalmente nell’editoriale si parla dei contenuti del numero ma questa volta li abbiamo messi in parte in copertina e tutti nell’indice perché darvi appuntamento a Contrà Vittorio Veneto 68 ci è sembrato prioritario perché vogliamo essere in contatto con voi e Vicenza sempre di… Più

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Cronaca e video del 18° compleanno  La nuova sede di Vicenza in via Vittorio Veneto

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Sono 40 i conflitti nel mondo più o meno noti con oltre 100 Paesi coinvolti: milioni di vittime tra diritti umani e conflitti dimenticati.
La guerra è sempre al centro dell’attenzione dei media, ma sembra che ormai sia diventata normalità

di Matteo Boschetti

Il 13 settembre dello scorso anno, Antonio Guterres, Segretario Generale dell'ONU, ha lanciato un messaggio intitolato Per le persone. Per il pianeta. Impegniamoci tutti per la pace, sottolineando che la pace è minacciata globalmente. Ad oggi siamo tutti interconnessi, che sia con gli smartphone ed i social media, ma anche attraverso l'economia globale. Basti guardare come le sanzioni alla Russia abbiano portato gli Stati Uniti sul trono degli esportatori di gas del 2023.

Proviamo, quindi, a ricordare una parte delle aree in cui si combatte e si muore: di tante altre è anche difficile trovare traccia eppure vi muoiono e rimangono feriti milioni di persone in un panorama di distruzioni che sono almeno paragonabili a quelle di cui ora scriveremo senza dimenticare tutte quelle in cui i venti di guerra soffiano vicini, una su tutte quella della Cina e di Taiwan.

Ucraina e Russia, Israele e Palestina: i nostri media concentrati su questi conflitti L’attacco terroristico di Hamas ad Israele e la sua cruenta reazione ha attirato tutta l’attenzione mediatica, lasciando in penombra la guerra russa-ucraina. In un'intervista televisiva rilasciata ad Ars,

il Segretario Generale della Nato, Jens Stoltenberg ha dichiarato che l’Ucraina si trova in una situazione critica. L’offensiva di Zelensky non ha portato i risultati sperati, lasciando in stallo il fronte, mentre le tensioni interne aumentano. Di fatto, con la strategia fallita e le critiche ricevute dal Sindaco di Kiev, il capo di stato maggiore ucraino, suo avversario politico, il generale Valery Zaluzhny, sta guadagnando popolarità nella lotta per il controllo del Paese.

Europa

In gran parte dell'Europa i livelli di allerta sono aumentati in risposta all’attentato di Bruxelles del 16 ottobre che ha causato la morte di 2 svedesi. Inoltre, come affermato dal primo ministro francese Elisa-

beth Borne, anche la guerra tra Hamas e Israele sta causando preoccupazione nel vecchio continente. Di fatto, durante le feste la soglia di allerta del sistema Vigipirate è stata aumentata al massimo. Il 19 dicembre, inoltre, l’intelligence di Ankara ha arrestato il tesoriere e capo amministrazione dell’Isis Huzeyfe Al Muri.

Kosovo

Anche se con il nuovo anno la Serbia ha iniziato a riconoscere le targhe del Kosovo, tra i due Paesi non scorre ancora buon sangue. Di fatto, Belgrado non riconosce l’indipendenza dei Kosovari, dichiarata nel 2008, insieme ad altri 4 Paesi europei: Spagna, Grecia, Slovacchia e Cipro.

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Guerre nel mondo
 Murale Banky sulla guerra

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Nonostante gli Stati Uniti e l’Europa stiano facendo da mediatori, i rapporti rimangono tesi. Gli scontri sono iniziati lo scorso maggio quando nel nord, a prevalenza serba, sono stati eletti sindaci albanesi, causando così le proteste dei cittadini. Durante le manifestazioni però sono rimasti feriti circa 50 cittadini ed oltre 30 militari Nato, di cui 14 italiani. Inoltre, la Kfor, la forza Nato in Kosovo, ha riportato la notizia di una sparatoria il 26 dicembre, durante la quale fortunatamente non ci sono stati feriti. I colpi sarebbero stati esplosi quando la polizia kosovara avrebbe tentato di togliere delle barriere posizionate dai serbi.

Africa

Libia

La Libia resta divisa sia dal punto di vista politico che territoriale, con due governi distinti e scontri sporadici su scala limitata. Attualmente i due contendenti sono Abdul Hamid Dbeibah, primo ministro riconosciuto internazionalmente, e Khalifa Haftar che governa i territori ad est in modo autoritario.

La famiglia Dbeibah è accusata di frode e corruzione perché Abdul e suo cugino Ali avevano incarichi pubblici durante il governo di Gheddafi. Inoltre, nel 2021 Ali è stato uno dei membri del Foro di dialogo politico libico, organo che ha eletto Abdul come Primo ministro. Haftar invece ha partecipato al golpe che ha portato Gheddafi al potere nel 1969. Dopo essere stato rinnegato dal Colonnello, ha iniziato a collaborare con la CIA per destabilizzare il regime. Ritornò in patria proprio per combattere e nel novembre 2011 fu nominato comandante capo del nuovo Esercito libico. Nel 2014 provò a rovesciare il governo, causando una guerra civile.

I due schieramenti si basano principalmente su reti di forze armate e milizie organizzate a livello locale e regionale, mantenendo nel contempo intricate alleanze internazionali che hanno contribuito alla loro permanenza nel corso del tempo nel contesto libico. Il governo con sede a Tripoli riceve supporto militare dalla Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, mentre la Russia, l'Egitto e gli Emirati Arabi Uniti sono i principali sostenitori

di Haftar. Oltre al conflitto interno, nella notte tra il 10 e l’11 settembre si è verificata la rottura di due dighe, creando un’alluvione che ha colpito Derna, città di 100mila abitanti.

Regione del Sahel

Dal 2020 ad oggi il continente africano è stato sconvolto dai colpi di stato supportati dall’esercito, soprattutto nella zona del Sahel. Di fatto, le ex colonie francesi hanno optato per il golpe come tentativo per cambiare la propria situazione economica. Nonostante nel 2014 si fosse creata l’alleanza G5 del Sahel, supportata economicamente dall’Europa, i Paesi membri non hanno percepito miglioramenti, fino a che nel 2022, alcuni Paesi dell’alleanza si opposero alla presidenza del Mali per i suoi due colpi di stato. Per ciò le autorità maliane decisero di ritirarsi dai G5S, seguito a distanza di un anno da Burkina Faso e Niger. Ad oggi i 3 Stati hanno formato una nuova unione chiamata «Alleanza degli Stati del Sahel» che si contrappone all’Ecowas e all’attuale G2S.

Sudan

Però non tutti i golpe si concludono in breve tempo, di fatto, in Sudan si sta combattendo una guerra civile che ha causato circa 12 mila vittime e più di 6 milioni di sfollati. Il conflitto è iniziato da aprile 2023, ma lo si poteva prevedere quando nel 2011, con l’indipendenza del Sudan del Sud, lo Stato veniva privato del 75% delle risorse petrolifere.

Già nel 2019 iniziarono le proteste contro il dittatore Omar Al-Bashir che fu poi deposto dal capo delle «Rapid Support Force» (RSF) Hemedti, in collaborazione con l’esercito sotto il controllo di Al-Burhan. I due collaborarono al governo fino a dicembre 2022, quando, promettendo delle elezioni democratiche, il capo dell’esercito nazionale pose il vincolo che l’RSF

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 Guerre nel mondo  La guerra in Libia

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dovevano essere integrate nell’esercito. Così facendo Hemedti, tentò un nuovo golpe il 15 aprile 2023 che però non portò al risultato sperato, trasformando la Capitale nel nuovo campo di battaglia tra le due milizie.

Il Paese è molto importante soprattutto per il passaggio del Nilo, due porti sul canale di Suez e le risorse minerarie. Hemedti ha il supporto di diversi Stati, tra cui gli Emirati Arabi Uniti, che acquistavano l’oro direttamente dal signore della guerra. Inoltre, lo pagarono anche per il suo supporto alla causa yemenita. Anche la Libia lo supporta, grazie al suo intervento a favore di Khalifa Haftar nella guerra civile. Di fatto, il feldmaresciallo fa da intermediario tra la Russia e Hemedti ed invia carburante alla RSF. Nel frattempo, l’Egitto si mantiene neutrale per non indispettire gli EAU (Emirati Arabi Uniti), visto che supportano economicamente il Paese. Mentre USA e Arabia Saudita aspirano al ruolo di intermediari al quale potrebbe aggiungersi anche la Cina dopo aver chiuso un trattato con Iran e Arabia Saudita.

Repubblica Democratica del Congo

Un altro conflitto caduto nel dimenticatoio dei media è quello che imperversa nella Repubblica Democratica del Congo. Nonostante la ricchezza geologica del Paese, nel 2022 secondo la Banca Mondiale, il 70% dei congolesi vive sotto la soglia di povertà. L’epicentro degli scontri è Kivu Nord, dove milizie locali e gruppi ribelli sono in lotta per il controllo delle risorse, mentre i civili subiscono violenze anche dall’esercito che dovrebbe proteggerli. Solo nel 2023, 600 mila persone sono state sfollate e sono state costrette a rimanere in campi di accoglienza ormai incapaci di accogliere altri rifugiati.

Jean-Léonard Touadi, giornalista, docente, autore ed ex deputato italo-congolese ha affermato: «Non

siamo di fronte a una guerra etnica o tribale ma nel cuore della competizione globale tra Usa, Cina, Europa per l’influenza geopolitica sul continente e per l’accesso alle sterminate risorse minerarie, quali cobalto e terre rare, vitali per saziare l’appetito dei vicini e dell’Occidente». A ciò si aggiunge la vittoria delle elezioni del Presidente uscente, Félix Tshisekedi, con il 73% dei voti. Però è stato subito accusato di brogli elettorali dall’opposizione, tra cui il premio Nobel per la pace Denis Mukwege, che ha ricevuto meno dell’1% dei voti.

Etiopia

L’Etiopia è il secondo Paese per popolazione in Africa, ma sembra che le persecuzioni etniche non siano destinate a fermarsi. Già con la guerra del Tigrè, iniziata nella notte tra il 3 ed il 4 novembre 2020, ci sono stati circa 500 mila morti. Però dal cessate il fuoco firmato a Pretoria, Sud Africa, nel 2022, la situazione non sembra essere migliorata. L’unico cambiamento è stato il «nemico» del governo di Abiy Ahmed Ali, premio Nobel per la pace nel 2019 e Primo Ministro dal 2018.

Ad oggi, le forze federali si scagliano contro la regione di Amhara, ignorando la situazione umanitaria nel Paese. L’ex colonia italiana attualmente ha oltre 5 milioni di

persone sfollate internamente ed ha bisogno di 20 miliardi di dollari per la ricostruzione. Nonostante una guerra da poco terminata e un'altra già in corso, il governo ha invitato le forze del Tigrè ad unirsi allo scontro.

Attualmente la regione sta subendo diversi bombardamenti, incluso il giorno di Natale che ad Oromia ha causato 8 morti e continuano i bombardamenti della regione che hanno ucciso 5 civili e altri 8 il giorno di Natale ad Oromia. Oltre a questi conflitti interni si aggiunge la volontà di uno sbocco sul mare, il quale non può che riguardare l’Eritrea, con cui l’Etiopia ha già combattuto dal 1998 al 2000, o il Gibuti e la Somalia. Ad oggi sembra che abbia trovato un accordo con Somaliland. Lo Stato non è riconosciuto internazionalmente che potrebbe garantirgli un accesso diretto in cambio del riconoscimento.

Medio Oriente e Asia

Yemen

Il guerra nello Yemen persiste ininterrotto dal 2014, con brevi pause dovute a tregue occasionali che tuttavia non hanno garantito una stabilità duratura. A scontrarsi sono gli Houthi, gruppo sciita fondato da Hussein Al-Houthi, ed i militari fedeli a Abd Rabbih Mansur Hadi.

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 Tra i ribelli in Congo anche molti bambini  Guerre nel mondo

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Nel gennaio 2015 il movimento armato conquistò la Capitale Sana’a, ma così facendo attirarono l’attenzione dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, preoccupati dell’influenza dell’Iran, anch’esso sciita. Le due monarchie iniziarono a bombardare il Paese con droni americani e con il supporto delle armi acquistate dal Regno Unito e Italia. Di fatto, il governo italiano nella prima metà del 2020 fornì pistole e fucili d’assalto per il valore di oltre 5 milioni di euro. L'export venne bloccato nel gennaio del 2021. Oltre ai droni, gli Stati Uniti aiutarono con mercenari «Academi», precedentemente chiamati Blackwater, per contrastare l’invio di armi iraniane per gli Houthi, ma mai confermato.

Il gruppo sciita è stato inserito nella lista dei gruppi terroristici da Trump per l’utilizzo di mine antiuomo ed il reclutamento dei bambini soldato.

Diritti umani e Houthi

In contrapposizione, nel 2016, l’Arabia Saudita è stata inserita nella lista dei Paesi che hanno commesso crimini di guerra contro i bambini dall’ONU, per poi essere rimossa da António Guterres. Di fatto, la mo-

narchia ha utilizzato bombe a grappolo, nonostante vietate dal diritto internazionale, e secondo lo Yemen Data Project un terzo dei bombardamenti era rivolto su ospedali, scuole e aree residenziali.

Attualmente, gli Houthi stanno bloccando il normale flusso commerciale che passa dal Mar Rosso al Golfo di Aden, in cui si stima transiti circa il 10% del commercio mondiale. Per ciò gli Stati Uniti hanno creato «Prosperity Guardian», una missione difensiva di cui fanno parte: Regno Unito, Bahrain, Canada, Francia, Paesi Bassi, Norvegia e Seychelles. L’operazione serve come deterrente contro gli attacchi rivolti alle navi in transito.

Kurdistan

Il Kurdistan è uno stato che ufficialmente non esiste, ma il popolo curdo sì. Di fatto, oltre 35 milioni di persone sono curde, con una lingua comune ed un proprio alfabeto. Molti curdi professano l’Islam sunnita, con minoranze sciite e cristiane. Il Kurdistan dovrebbe sorgere tra: Turchia, Siria, Iraq, Iran ed in misura minore in Armenia. Di fatto, dopo la prima guerra mondiale e la caduta dell’Impero Ottomano, il Trattato di Sèvres del 1920 preve-

deva la creazione di uno stato autonomo. Infatti secondo la Società delle Nazioni ed i principi enunciati da Woodrow Wilson il popolo ne aveva pieno diritto. Ma con il Trattato di Losanna, il quale definì i confini turchi, lo Stato non vide mai la luce. Il territorio su cui dovrebbe sorgere è ricco di petrolio, oro, carbone e zinco.

Durante la guerra civile siriana del 2011, venne fondata la Federazione Democratica della Siria del Nord, chiamata Rojava. Questi territori sono stati successivamente presidiati dalle milizie di difesa del popolo Ypg e Ypj, principalmente costituite da combattenti curdi, ma con la partecipazione anche di membri di altre etnie presenti nella regione. Nel 2013 la regione è stata attaccata dallo Stato Islamico, ma grazie alla resistenza delle Forze Democratiche Siriane, a cui si sono uniti Ypg e Ypj, sono riusciti a respingerli.

Partito dei Lavoratori del Kurdistan

Il Pkk, Partito dei Lavoratori del Kurdistan, è un'organizzazione politica e paramilitare fondato nel 1978. In breve tempo iniziarono a rapire funzionari governativi turchi e compiere attentati nel territorio turco. Tutt’ora è etichettato come organizzazione terroristica da molti Paesi, anche se aiutarono pure loro a respingere gli jihadisti. Con il ritiro dei militari americani deciso da Trump nel 2019, la Turchia poté iniziare a bombardare indiscriminatamente il Rojava. Secondo Amnesty International, il governo di Ankara voleva eliminare le comunità curde locali, spacciandole per sostenitrici del Pkk.

Ad oggi i curdi rappresentano circa il 20% della popolazione turca, ma il solo parlare della condizione curda nel governo di Erdogan è considerato un diretto sostegno al gruppo terrorista. Inoltre, il 21 giugno 2021 la Corte costituzio-

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 La distruzione in Yemen dopo 3 anni di guerra civile  Guerre nel mondo

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nale turca approva all’unanimità la messa sotto accusa dell’Hdp, terza forza politica del Paese, per presunti legami con il Pkk. L’8 luglio il Parlamento europeo approva la «Risoluzione sulla repressione dell’opposizione in Turchia, in particolare il Partito Democratico dei popoli (Hdp)». Il documento esprime una netta condanna delle influenze che compromettono il regolare funzionamento del sistema democratico in Turchia.

Myanmar

Nel 2021 in Myanmar è stato rovesciato il governo delle Lega Nazionale per la Democrazia, guidato da Aung San Suu Kyi che è stata arrestata. Al potere è salito il Partito dell’Unione della Solidarietà e delle Sviluppo, guidato dal generale Min Aung Hlaing, il quale ha dichiarato lo stato di emergenza. Inoltre, le telecomunicazioni sono state bloccate, inclusa la televisione pubblica. Dopo 6 mesi il generale sostituì il Consiglio di Amministrazione dello Stato e si impose come Primo ministro.

Ad oggi, quasi 50.000 civili sono stati costretti a fuggire a causa degli scontri nel nord del Paese. Alla fine di ottobre, un'ampia offensiva è stata lanciata da un'Alleanza Armata composta da gruppi di minoranze etniche contro la giunta militare al potere nel Paese. Inoltre, l’Esercito di Liberazione Nazionale Taaung (Tnla) e l’Esercito Arakan (Aa) hanno annunciato di aver preso il controllo di diverse postazioni militari. Soprattutto hanno ripreso il controllo della città di Chinshwehaw, al confine con la Cina, principale partner commerciale del Myanmar.

Nel giorno dell’indipendenza del Paese dai britannici, il 4 gennaio, sono stati rilasciati quasi 10 mila prigionieri, ma Aung San Suu Kyi rimane in carcere, condannata

a 27 anni di reclusione. Dal golpe oltre 25 mila persone sono state arrestate, la maggior parte per reati politici, e 4 mila uccisi dalle forze di sicurezza.

Stati Islamici

Indonesia

L’Indonesia si sta preparando per le elezioni che si terranno il 14 febbraio, ma secondo quanto riportato da « Eurasiaview» sui social stanno circolando fake news. Questo tentativo sarebbe stato organizzato da gruppi terroristici antidemocratici e l’obiettivo non sarebbe quello di influenzare la popolazione, che conta oltre 270 milioni di persone, ma di scatenare manifestazioni e conflitti interni. Tra i responsabili sembra che siano presenti il gruppo Jemaah Islamiyah, responsabile del bombardamento del 2002 di Bali, ed il gruppo affiliato allo Stato Islamico (Isis) Jamaah Ansharut.

Filippine

Un altro stato vittima degli jihadisti sono le Filippine. Di fatto, il 2 dicembre, è esplosa una bomba nella palestra della Mindanao State University di Marawi, che ha ucciso 4 persone e ne ha ferite ol-

tre 40. La città è la capitale della provincia di Lanao del Sur, inclusa nella regione autonoma musulmana di Bangsamoro. Ufficialmente è stata istituita nel 2019 in seguito agli accordi che hanno posto fine al lungo conflitto con le milizie musulmane nella vasta isola meridionale delle Filippine, nota come Mindanao, caratterizzata da una significativa presenza islamica. L'Isis manterrebbe le operazioni nel paese attraverso le sue connessioni con diversi gruppi jihadisti locali come Maute, Abu Sayyaf, Bangsamoro Islamic Freedom Fighters e Ansar Khalifa Philippines.

Iran

Lo Stato Islamico non sta colpendo soltanto l’Asia, ma è ancora attivo in Medio Oriente. Infatti, il 4 gennaio, ha rivendicato l’attentato in Iran avvenuto ieri. Le esplosioni a Kerman, nei pressi del cimitero dove è sepolto Qassem Soleimani, hanno causato 84 morti e 284 feriti. Le persone erano riunite per ricordare l’anniversario della morte del generale avvenuta quattro anni fa. Anche in Siria continua la lotta contro gli jihadisti, nonostante siano stati dichiarati sconfitti.

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 La mappa della regione del Kurdistan  Guerre nel mondo

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La militarizzazione delle scuole e della società civile a Vicenza

Da qualche anno assistiamo in tutta Italia ad una martellante retorica di guerra che parte delle scuole, dall’infanzia fino alle superiori, e si diffonde inesorabilmente in tutta la società civile. Indubbiamente, tale narrazione è funzionale a sostenere l’impegno concreto del nostro Paese in conflitti armati, come quello in Ucraina e quello in Israele, il cui appoggio istituzionale si è palesato in tutta la sua goffaggine in diretta a Sanremo con l’appello della malcapitata Mara Venier, prestatasi a leggere la velina da Minculpop dell’Amministratore Delegato RAI Roberto Sergio sulla vicinanza allo Stato d’Israele davanti al richiamo della parola « genocidio» da parte di un « alieno» (sic!).

Tuttavia, è il caso di mettere in chiaro che la militarizzazione delle scuole in Italia è cominciata ben prima dello scoppio di questi due conflitti a noi così vicini. Già da diversi anni l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha cominciato a registrare e denunciare una indebita invasione di campo all’interno delle scuole da parte di rappresentanti delle forze armate addirittura in qualità di « docenti » , impegnati nel tenere lezioni su vari argomenti (dall’inglese affidato a personale NATO a tema-

tiche inerenti alla legalità e alla Costituzione).

Tale ingerenza da parte dei militari è possibile, in realtà, perché a partire dal 2015 il Ministero dell’Istruzione (diventato poi Ministero dell’Istruzione e del Merito) ha sottoscritto dei protocolli con il Ministero della Difesa per svolgere i percorsi di alternanza scuola-lavoro (PCTO) direttamente nelle basi militari o nelle caserme. E la Regione Veneto non si è sottratta a queste iniziative, infatti, anche la città di Vicenza è stata coinvolta in almeno due episodi di militarizzazione, uno riguardante esplicitamente la scuola, l’altro, piuttosto ridicolo, l’intera società civile vicentina.

Nel primo caso ad essere coinvolta è stata la comunità scolastica dell’ITIS « Rossi » , mol-

to sensibile, in realtà, alle tematiche sociali e dei diritti civili. Solo qualche tempo fa, infatti, la scuola si era opposta alle ingerenze dell’Assessora Donazzan relativamente alla proiezione di un docufilm su Gaza e aveva ugualmente reso pubblico il video. Oggetto della segnalazione nel febbraio dello scorso anno è stato il Progetto Vicenza High School, apparentemente innocuo, dal momento che si trattava di uno scambio tra studenti/studentesse italiani/e e americani/e. In realtà, però, tale iniziativa era assolutamente funzionale alla logica riconducibile ad una pervicace militarizzazione del nostro Paese. Non si comprende, infatti, perché si debbano condurre studenti e studentesse all’interno di una caserma militare, peraltro

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 La militarizzazione delle scuole e della società civile a Vicenza (foto dell'Osservatorio)

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americana, la cui permanenza sul territorio italiano andrebbe ancora insistentemente discussa, non accettata supinamente.

La segnalazione da parte della società civile vicentina testimonia il fatto che vi è un crescente sgomento su attività che sottendono la familiarizzazione con situazioni di guerra funzionali ad una narrazione ideologica, fomentata ad arte dalla maggior parte degli organi di stampa. È un drammatico copione che si ripete, proprio come accadeva poco più di un secolo fa, quando in tutta Europa si assisteva ad una folle rincorsa agli armamenti, sostenuta da governi nazionalisti.

E a Vicenza il timore di una escalation della militarizzazione è un timore concreto, non solo per la presenza di basi militari americane e NATO, ma anche per la preoccupazione che ha investito la cittadinanza quando la stazione della città è diventata teatro nell’aprile del 2023 di uno scenario tristissimo con il passaggio di un convoglio pieno zeppo di carri armati, destinati ad alimentare la scia di morte che sta devastando il confine russo-ucraino.

Tuttavia, l’altro episodio, davvero imbarazzante, è legato all’accorato appello pubblicato il 3 dicembre 2023 sul Giornale di Vicenza dall’Ufficio Army Community Service per « adottare un soldato statunitense per natale» al fine di « offrire un po’ di calore domestico tipicamente italiano ad un militare americano». Probabilmente, al di là del buonismo natalizio, questa proposta rivolta ai Vicentini arrivava per indorare la pillola circa una ingombrante presenza militare statunitense.

Giova ricordare che nel 2004, in seguito alla richiesta da parte degli USA di ampliare la base militare di Vicenza, notizia diffusa solo nel 2006 alla popolazione, nacque a Vicenza una forte opposizione alla presenza militare americana con il movimento No Dal Molin, ampiamente arenatosi.

Ad ogni modo, la mobilitazione della società civile vicentina si dimostra un ottimo segnale, perché si comincia a prendere coscienza che la narrazione militarista, foriera di morte, si può invertire. Le politiche securitarie e la « cultura della difesa » , che sempre più stanno pervadendo non solo le scuole, ma anche le università e i luoghi in cui si riproducono processi di formazione, sono l’anticamera della guerra: ogni volta che nel corso della storia gli Stati hanno sentito l’esigenza di difendersi, con una conseguente militarizzazione dei luoghi pubblici, tali inizia-

tive hanno insospettito gli Stati viciniori, che a loro volta si sono armati, e condotto a guerre.

Esempi virtuosi di presa in carico da parte della società civile dei processi di costruzione di narrazioni differenti da quelle interessate agli affari capitalistici e militari ne abbiamo diversi. Si potrebbe far riferimento ai portuali di Genova, che bloccano a causa di una sentita obiezione di coscienza l’esportazione di armi per le guerre in corso. Oppure, ancora, si potrebbe citare il caso dell’amministrazione di Gangi, in Sicilia, che revoca le servitù militari al Ministero della Difesa per la costituzione di un hub logistico-addestrativi per l’Esercito italiano.

Basta prendere coraggio e avviare una riflessione condivisa sul progetto di pace che intendiamo costruire nella società civile, ma a partire, innanzitutto, dalla scuola, anche a Vicenza.

n. 6 / Marzo 2024 - 13
 Scuola

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Anche il carcere di Vicenza scoppia: USB: impossibile realizzare il reinserimento nella società come finalità della pena

di Massimo D’Angelo (Usb Lavoro Privato Vicenza)

Carceri fatiscenti, sovraffollamento e condizioni degradate di vita per detenuti e personale. Questa la fotografia che lascia il 2023 sul sistema penitenziario italiano.

Oggi i detenuti sono 60.000, oltre 10.000 in più dei posti realmente disponibili. Anche a Vicenza il carcere scoppia e la polizia penitenziaria è sottorganico. Nel 2023, si è registrato un tasso di affollamento del 130%, con presenti 365 persone private della libertà personale, tra i quali 86 sottoposte a regime di “Alta sicurezza 3», il più elevato. Una gran maggioranza di detenuti assume psicofarmaci. Decisamente deficitario il supporto psicologico. Pochi sono i detenuti che vengono utilizzati in lavori all’interno del carcere e pochissimi all’esterno. Altrettanto grave la situazione del personale della casa circondariale. Personale costretto a fare infinite ore di straordinario. Oltre al danno si aggiunge la beffa. Al personale, avendo superato il tetto massimo di straordinario stabilito, non viene retribuito il restante in eccesso. Il personale operativo all’interno del carcere che dovrebbe raggiungere un organico di circa 240 unità è ridotto a meno della metà con tutte le conseguenze alle quali sono sottoposti gli agenti

di custodia. Molti sono i casi in cui gli agenti devono intervenire, mettendo in pericolo ogni volta la propria incolumità fisica: eventi violenti, aggressioni, proteste, danneggiamenti.

Le politiche governative dell'ultimo anno non hanno di certo aiutato ad evitare il sovraffollamento penitenziario, una delle cause che porta ad un peggioramento delle condizioni di vita delle persone detenute, ma anche del personale, su cui viene scaricata la fatica quotidiana di gestire situazioni complesse a fronte di scarse gratificazioni economiche e di mancata sicurezza sul posto di lavoro. Ci auguriamo che nel 2024 si possa riaprire una grande discussione nel paese sul carcere e sulle finalità della pena, che si capisca che abbiamo

bisogno di più misure alternative, di prendere in carico i detenuti, soprattutto quelli con dipendenza o disagio psichico, all'esterno, evitando che il carcere diventi un luogo di raccolta di marginalità e emarginazione.

Bisogna pensare il carcere come un luogo di riabilitazione dove chi deve scontare la pena possa avere l’opportunità di ricominciare una nuova vita, dove possa essere inserito in attività lavorative, culturali, sociali. Questo risolverebbe tantissimi problemi. Eviteremmo anche i tanti suicidi che avvengono dentro le celle e creeremmo sicuramente una migliore convivenza tra detenuti e personale penitenziario per una vita migliore per tutti.

n. 6 / Marzo 2024 - 15
 Casa circondariale di Vicenza
 Verso la detenzione ...

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Situazione ancora critica alla casa circondariale di Vicenza per detenuti e

personale:

la posizione della Cgil, della Fp Cgil e di Inca Cgil Vicenza

di Giulia Miglioranza (Cgil Vicenza)

Le condizioni di vita e, anche, di lavoro all'interno del sistema carcerario non solo riflettono il funzionamento della democrazia di un Paese ma sono anche un punto cruciale per il reinserimento sociale dei detenuti. Spazi adeguati, accesso ai servizi sanitari, rieducativi e sociali, oltre alla gestione efficace dei conflitti e delle emergenze, sono elementi fondamentali in questo contesto. La Cgil di Vicenza si impegna attivamente a monitorare e migliorare il sistema carcerario, intervenendo per rispondere alle diverse esigenze che emergono da un ambiente così complesso.

Un esempio tangibile di questo impegno è lo sportello gestito dal Patronato INCA CGIL di Vicenza all'interno della Casa Circondariale locale fin dal 2005. Questo sportello fornisce assistenza settimanale per le pratiche previdenziali e assistenziali dei detenuti. Nonostante la crescente digitalizzazione dei servizi pubblici, le persone private della libertà spesso non possono gestire autonomamente le pratiche burocratiche a causa dell'accesso limitato ai sistemi informatici. Questo può ritardare o complicare il processo di reintegrazione sociale una volta terminata la detenzione, mettendo in pericolo il principio costituzionale della rieducazione del condannato.

Inoltre, la mancanza di personale sufficiente all'interno della Casa Circondariale di Vicenza, sia della

Polizia Penitenziaria che del personale civile, rappresenta una grave criticità. La Polizia Penitenziaria registra una carenza di oltre il 30% del personale previsto, con condizioni di lavoro al limite della sostenibilità. Il personale civile, composto da impiegati amministrativi ed educatori, è ridotto quasi del 50%, compromettendo i percorsi di recupero dei detenuti. Con soli due educatori e mezzo per 365 detenuti, la situazione è particolarmente critica.

Recentemente, una delegazione della Funzione Pubblica CGIL ha effettuato una nuova visita alla Casa Circondariale di Vicenza. Nonostante le promesse di miglioramento, la situazione è rimasta sostanzialmente invariata rispetto alla precedente visita, con condizioni di lavoro al limite della sostenibilità e carenze strutturali evidenti.

Nonostante una nota positiva rappresentata dalla nomina di una nuova direttrice dedicata alla Casa Circondariale di Vicenza, è chiaro che servono interventi urgenti e incisivi. Questi interventi devono mirare a una seria implementazione di personale, all'adeguamento degli spazi e a una maggiore attenzione alle condizioni di vita e di lavoro all'interno del carcere.

La mancanza di supporto per i detenuti in condizione di semi-libertà nell'inserimento nel mondo del lavoro è un'altra spina nel fianco. Procedure amministrative complesse e la mancanza di personale dedicato rendono difficile per loro accedere a

opportunità lavorative esterne, compromettendo ulteriormente il processo di riabilitazione e reintegrazione sociale.

Pensiamo, solo per fare un esempio, alla possibilità, per i detenuti in condizione di semi-libertà, di reimmettersi progressivamente nel mondo del lavoro, attraverso l’attivazione di convenzioni con i Comuni del territorio, gli Enti del Terzo Settore o imprese private. Percorsi ad ostacoli, questi ultimi, non solo in ragione di procedure amministrative molto onerose a carico dei soggetti disponibili a offrire opportunità di lavoro alle persone detenute, ma anche per la carenza di personale interno alla Casa Circondariale deputato a favorire e gestire questi percorsi. Con buona pace non solo della funzione rieducativa della pena, ma anche del clima generale all’interno del carcere.

n. 6 / Marzo 2024 - 16
 Casa circondariale di Vicenza
 Un detenuto

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Il carcere di Vicenza: per Cub Vicenza non ci sono ancora le condizioni per il percorso riabilitativo indicato dalla Costituzione

di Giovanni Novello (Cub Vicenza)

Nella La situazione carceraria a Vicenza non è certo delle più rosee e da anni i problemi vengono segnalati da molteplici parti. Più di due reclusi per ogni agente. Un rapporto considerato assolutamente insoddisfacente e tale da creare pericoli potenziali per la sicurezza della casa circondariale cittadina, in un contesto complessivo di difficoltà crescente per il sovraffollamento delle carceri e il numero insufficiente di agenti di custodia. I problemi sono sempre più gravi. Le lacune nell'organico comportano un'organizzazione del lavoro tale da avere ricadute negative sullo stesso equilibrio psicofisico degli agenti. Controlli sanitari sono stati avviati, ma molto resta da fare in tema di salute e di sicurezza. Molti agenti

sono costretti a saltare ferie, riposi e affrontare turni sempre più gravosi". Cub, quindi, dice no "ai pesantissimi tagli delle risorse destinate alle carceri, che produrranno il collasso del sistema di sicurezza dei penitenziari italiani". In un carcere che vede poco meno della metà dei detenuti che stanno scontando la pena definitiva, solo il 7% è occupato in lavori esterni presupposto fondamentale per il reinserimento dei reclusi nella società.

Perché bisogna rendersi conto che le carceri sono piene di donne e uomini che nella maggior parte dei casi arrivano da vite difficili, da quartieri completamente dimenticati dalle istituzioni in cui il carcere vicentino è solo l'ultimo approdo. Perché non sono quartieri che producono turismo, perché distanti dal centro vetrina. Quartieri in cui l’abbandono scolastico è altissimo perché per arrivare a fine mese serve pure lo stipendio di un figlio. Perché il razzismo e l’emarginazione non possono far

altro che aggravare la situazione e portare altre persone a commettere “reati». È inutile pensare ad un progetto di “Giustizia Riparatrice» perché magari ne salverà uno ma non va a combattere il vero problema. Solo una società equa e giusta, anche a livello locale, in cui le distanze fra le persone si accorciano e la possibilità di avere una vita dignitosa per tutti e tutte, può e deve essere la soluzione per questa emergenza! Allora sì che potremmo parlare di giustizia intesa nel senso più stretto del termine, per ora ci sentiamo solo impotenti e non viene fatto nulla di concreto per far uscire le persone da questi luoghi, che pure per la Costituzione, dovrebbero essere di recupero alla società, se non piccoli tentativi di associazioni e gruppi meritevoli, male o poco supportati dalle istituzioni cittadine. Perché solo fuori si può pensare ad un vero percorso riabilitativo, sicuramente non dentro i penitenziari che sono il regno dell’immobilismo.

n. 6 / Marzo 2024 - 17
 Carcere, l'inferriata prima delle celle  Casa circondariale
di Vicenza

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Nuovo ponte di Debba: l’auspicio che si «debba» aspettare ancora poco

Cari lettori, qualche riflessione con voi dopo l’ultimo Consiglio comunale che ha visto al centro della discussione la progettualità del nuovo Ponte di Debba.

Un dibattito voluto e richiesto dalle minoranze consiliari dopo che negli ultimi mesi la progettualità del nuovo ponte si era bruscamente fermata, incagliata nella contrarietà politica all’opera sostenuta da parte del centrosinistra sia in giunta sia in Consiglio.

Di un nuovo ponte a Debba finalizzato a mettere in sicurezza e a fluidificare il traffico della SP 247 che attraversa la Riviera Berica, se ne parla ormai da molti anni. I primi stimoli in questo senso risalgono addirittura ad una quarantina di anni fa, con l’allora consigliere comunale avv. Muraro che ipotizzava un nuovo viadotto.

Un tema che è rimbalzato di amministrazione in amministrazione, dai primi passi durante l’amministrazione Hüllwek, all’oblio nel decennio variatiano, alla ripresa progettuale dell’Amministrazione Rucco fino all’attuale frenata dell’amministrazione Possamai.

Una partita di ping pong con un solo sconfitto: i cittadini e i lavoratori che vivono in quella zona e che ogni giorno attraversano la trafficata riviera. Dalla precedente amministrazione era emerso il progetto di un nuovo ponte, in quanto l’allargamento di quello storico avrebbe comportato un costo e un impatto maggiore, a detta del genio civile. Firmato

l’accordo con la Provincia, impegnata per più di 10 milioni di euro e con Longare, è stato progettato con una spesa della Provincia di 400.000 euro, approvato in conferenza dei servizi, inserito nei piani urbanistici, avviato l’iter espropriativo e approdato infine allo stadio esecutivo pronto per la gara di inizio lavori. Da inizio estate però il percorso viene bruscamente interrotto e con la nuova amministrazione Possamai inizia lo stallo. Attenzione, questa non è stata una considerazione politica a detta delle minoranze, ma una constatazione amministrativa confermata dalla Provincia, la quale, non più tardi di qualche mese fa, ha inviato una missiva scritta al comune di Vicenza per chiedere quali fossero le intenzioni dopo le dichiarazioni rilasciate dal’assessore ai lavori pubblici Spiller e dopo che in sede di bilancio previsionale non era stato confermato l’impegno compartecipato di 2.250.000, con un capitolo Debba riportante solo 600.000 euro.

già finanziati, venissero nuovamente sacrificati sull’altare della discontinuità politica e amministrativa. Questo l’obbiettivo, senza strumentalizzazioni, con la volontà di dare risposte al territorio e di non sprecare tempo e soldi pubblici.

Da qui è emersa l’esigenza di portare in aula la questione per fare e chiedere chiarezza in merito.

Evitare che il progetto di un nuovo ponte di Debba e del collegamento di San Pietro Intrigogna con il casello autostradale di Vicenza Est, entrambi

La risposta dell’amministrazione e della maggioranza? Se è vero che in questi primi mesi non è apparsa particolarmente interessata a portare in Consiglio Comunale dibattiti sulle opere infrastrutturali strategiche per la città, quando si è trovata ad affrontarli su richiesta del centrodestra, essa è apparsa tutt’altro che granitica. Il dibattito su Debba non ha fatto eccezione: diversi interventi contrari dai banchi della maggioranza e un’ordine del giorno un po’ confuso, approvato dalla stessa ma senza la firma del capogruppo Colombara della stessa lista che esprime l’Assessore delegato al tema Cristiano Spiller. Quali gli sviluppi futuri? Chi vivrà, vedrà. Di certo chi vive in Riviera Berica auspico «debba» subire ancora per poco i tentennamenti della politica locale.

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n.
/ Marzo 2024 - 18
6
Consigliere
comunale
 Nuovo Ponte di Debba, un rendering del progetto

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Debba e la buona amministrazione

Ecco perché

questi

9 mesi non sono stati buttati

di Benedetta Ghiotto

La creazione del viadotto che dovrebbe sopperire una volta per tutte all’inagibilità del Ponte di Debba costituisce un’opera estremamente impattante per la nostra Città: una strada sopraelevata che collega la Riviera Berica con la rotatoria di San Pietro Intrigogna e, successivamente, il casello di Vicenza Est.

La storia del Ponte di Debba inizia in tempi oramai antichi e si caratterizza per una pluralità di figure che hanno le mani in pasta e idee diverse su questo progetto e, soprattutto, per una forte preoccupazione degli abitanti della zona. Nel mio piccolo posso dire che il dibattito sul Ponte di Debba sia stato forse quello, insieme agli incontri fatti per la TAV, che più mi abbia fatto percepire il peso del ruolo che rivesto. Ogni volta che ci sediamo sul nostro banco in Sala Bernarda per il Consiglio Comunale siamo consapevoli che potenzialmente possiamo contribuire alla scelta di un cambiamento che inciderà sulla nostra Città anche e soprattutto in futuro, ma sono le occasioni più sofferte che ci ricordano con più vigore il nostro dovere civico. Fatta questa premessa, non genera scalpore se ammetto, come numerosi consiglieri di maggioranza e opposizione, di avere delle ritrosie sull’attuale progetto della provincia.

In primo luogo, fu approvato di comune accordo con il Comune di Vicenza quando ancora l’ex sindaco Rucco era anche Presidente della Provincia di Vicenza. Non esattamente il tripudio del dialogo e mediazione di cui ci hanno illuso i consiglieri di centro destra nei loro interventi dentro e fuori le mura municipali.

In secondo luogo, è importante ricordare che ad oggi il progetto è stato diviso dalla provincia in due stralci di cui il secondo necessita ancora un effettivo finanziamento. Nel primo, la nuova strada, una volta completata, prevede il collegamento sopraelevato della Riviera Berica con la rotatoria di San Pietro Intrigogna. Nel secondo, si va a creare un secondo collegamento con il casello autostradale di Vicenza Est.

Senza citare poi le ripercussioni ambientali, tanto a livello sanitario quanto di patrimonio paesaggistico-naturale. Infatti i rischi ambientali non si limitano alla presenza di un’istallazione permanente di cemento che cambia totalmente la fisionomia del paesaggio, ma anche il suo inci-

dere sulla viabilità con il rischio di un aumento del traffico pesante attratto dalla nuova opera viabile in strade non adatte a sopportarlo.

Quando nove mesi fa, l’attuale Amministrazione si è insediata, fin da subito sono iniziati gli incontri con il Genio Civile e l’Autorità di Bacino (non interpellati negli anni precedenti) per approfondire il progetto della Provincia con la speranza di trovare un’opzione alternativa per garantire il pieno della vivibilità per gli abitanti di Debba. Questi nove mesi sono stati spesi a sentire pareri e incontrare voci competenti contrastanti. Importante è stato l’incontro con l’ing. Mazza fautore del «miracolo» per il Ponte di San Bonifacio che presentava difficoltà simili. Purtroppo tutte le rilevazioni fatte si sono rivelate foriere di cattive notizie. Le difficoltà strutturali preesistenti, il traffico intenso che interessa quell’area e le normative ristrettive hanno attribuito a quello della Provincia l’attributo di unico progetto ad oggi possibile.

Quindi questi nove mesi sono stati una perdita di tempo? Mi ricollego a quanto detto all’inizio. La responsabilità che interessa tutti i componenti del consiglio e della giunta comunale richiede non solo una perfetta conoscenza del tema trattato ma anche la sperimentazione di tutte le strade possibili per compiere la scelta giusta per la Città. Questi nove mesi, sebbene non abbiano portato i risultati in cui io in primis speravo, hanno aumentato la conoscenza delle difficoltà del progetto e permesso di sondare tutte le alternative possibili per compiere la scelta più giusta nei seppur stringenti confini posti dal caso specifico del Ponte di Debba. Questo per me vuol dire prendersi davvero cura della Città.

n. 6 / Marzo 2024 - 19
Consigliere comunale
 Il vecchio Ponte di Debba mostra i segni del tempo

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Le banche incassano i crediti, lo Stato no: serve un approccio diverso, ma più efficace per creditore e debitore

di Antonino Pellegrino Dottore commercialista

Un lettore ci chiede come mai le banche incassano i loro crediti e lo Stato non vi riesca, nonostante le rottamazioni Il motivo, a mio avviso, è l’approccio utilizzato dall’Agenzia delle Entrate Riscossione con dilazioni molto rigide e non rapportate al reddito effettivamente disponibile.

Le rateazioni oltre le 72 rate e fino a 120 possono essere concesse solo se l’importo della rata è superiore al 20% del reddito mensile del nucleo familiare interessato « risultante dall’Indicatore

della Situazione Reddituale (ISR) riportato nel modello ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente)».

Anche se il debito erariale è – quasi sempre – relativo ad un

singolo, l’ISR da non superare per le 120 rate è invece riferito al reddito dell’intero nucleo familiare.

Ciò attua peraltro una « solidarietà passiva» che non trova fondamento in nessuna norma di legge (perché il figlio convivente di fatto contribuisce « forzosamente» al calcolo del pagamento del debito erariale del genitore quando magari, a sua volta, paga una rata dell’auto che non viene considerata dall’ISR).

Inoltre non vengono considerati gli altri impegni che gravano sul contribuente (se ha dei debiti bancari per acquisti rateali, non vengono detratti dal calcolo dell’ISR, mantenendo artificiosamente alto l’importo della rata teorica).

La rateizzazione vale per ogni singolo piano e nel caso di più piani e più richieste, il totale delle rate non viene considerato, salvo il caso in cui il procedimento di ri-

n. 6 / Marzo 2024 - 20
 Agenzia delle Entrate e Riscossione
Economia, finanza e giustizia fiscale
 Debitore in difficoltà

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1. modalità di calcolo isee

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 Caso 1

Somma dei redditi dei componenti del nucleo

Reddito figurativo del patrimonio mobiliare del nucleo

Detrazioni per spese e franchigie del nucleo

Indicatore Situazione Reddituale (ISR)

Patrimonio mobiliare del nucleo

Patrimonio

Detrazione

scossione non scaturisca dall’accorpamento di più cartelle.

L’approccio usato non tiene conto degli impegni, non solo verso gli altri creditori (banche e/o finanziarie) ma anche verso la stessa Agenzia, salvo, appunto, il caso di accorpamento di cartelle. Consideriamo due esempi (Casi 1 e 2)

Per ottenere una dilazione a 120 mesi si devono di fatto rateizzare debiti superiori alla somma dei redditi dei componenti del nucleo familiare mentre è possibile ottenere rateizzazioni di 72 rate per un numero di volte illimitato.

Le banche non concedono prestiti con rate mensili superiori ad 1/5 del reddito mensile, diversamente dall’Agenzia delle Entrate che, se non è flessibile nelle ra-

1. modalità di calcolo ise ordinario

 Caso 2

teizzazioni, concede quelle di 120 rate con riferimento obbligatorio all’ISR, senza valutare la capacità di effettivo rimborso del contribuente che va riferita all’onere complessivo dei suoi impegni attuali o futuri.

In secondo luogo l’Agenzia non concede saldi e stralci dei crediti anche quando è evidente e documentata la impossibilità del contribuente di farvi fronte.

Le banche hanno invece dato vita al mercato degli NPL (non performing loan, crediti vantati verso debitori non più in grado di rimborsarli).

Secondo la Banca d’Italia (https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/note-stabilita/2022-0032/ index.html) nel 2021 per le «sofferenze assististe da garanzia re-

Somma dei redditi dei componenti del nucleo

Reddito figurativo del patrimonio mobiliare del nucleo

Detrazioni

Patrimonio

Patrimonio immobiliare del nucleo

Detrazione patrimonio immobiliare

Indicatore Situazione Reddituale (ISP)

(ISE)

€ + 24.524,20

€ + 179,08

€ - 0,00

€ 24.703,28

€ + 37.148,00

ale… il prezzo è sceso al 29% (35% nel 2020). Per le sofferenze non assistite da garanzie reale il prezzo è aumentato all'11% (10% nel 2020)», quindi un credito assistito da garanzie reali vale circa il 29% del suo valore nominale ed uno chirografario circa l’11%.

Le banche stralciano i crediti e si accontentano di recuperarne parte ma magari in tempi più brevi anziché attendere molti anni per un maggiore ma irrealizzabile incasso.

In pratica lo stesso problema è gestito con logiche distanti anni luce sia per efficienza che risultati, a netto vantaggio delle banche nella competizione con l’Agenzia per il recupero dei crediti inesigibili.

Il Governo a fronte di € 1.203 miliardi di arretrati – con circa 163

+ 0,00

- 0,00

n. 6 / Marzo 2024 - 21
Economia, finanza e giustizia fiscale
+ 35.396,00
+ 7,06
per spese e franchigie del nucleo
- 0,00 Indicatore Situazione Reddituale (ISR)
35.403,06
mobiliare del nucleo € + 19.340,00
Patrimonio mobiliare mobiliare
- 6.000,00
13.340,00
38.071,06
calcolato in base al numero di componenti del nucleo 1,00 Eventuali maggiorazioni applicate 0,00 Valore della scala di equivalenza 1,00
Indicatore Situazione Economica
Parametro
patrimonio mobiliare € - 10.000,00
Patrimonio
immobiliare del nucleo € + 0,00
patrimonio immobiliare € - 0,00
Situazione Reddituale (ISP) € 59.752,00 Indicatore Situazione Economica (ISE) € 33.033,68 Parametro calcolato in base al numero di componenti del nucleo 2,04 Eventuali maggiorazioni applicate 0,00 Valore della scala di equivalenza 2,04
Indicatore

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milioni di cartelle e avvisi di accertamento esecutivo – si accinge ad emanare un decreto che prevede modifiche alla riscossione.

« Questa cifra si riferisce complessivamente a 22,4 milioni di contribuenti, di cui 3,5 milioni sono società, fondazioni ed enti e 18,9 milioni sono persone fisiche, dei quali 3 milioni titolari di attività economica »

Gran parte dei 1.200 miliardi sono irrecuperabili: « ..., circa 483 miliardi, sono irrecuperabili perché intestati a persone decedute o nullatenenti oppure a imprese già cessate o interessate da procedure concorsuali chiuse... circa 502 miliardi, sono intestati a soggetti verso i quali l’Agenzia ha già svolto azioni di riscossione ma senza ottenere risultati »

I mancati recuperi sono riepilogati nel grafico riportato in questa pagina e tratto da il Sole 24 Ore 7 febbraio 2024:

Il Governo starebbe valutando la concessione a tutti della rateizzazione fino a 10 anni e misure che possano favorire lo stralcio dei crediti inesigibili.

Questo nuovo approccio è più efficace e realistico di quelli precedenti ed ha evidenti risvolti po-

sitivi sociali se si considera che interessa circa 19 milioni di persone in difficoltà economica, che potrebbero saldare i debiti a stralcio o ottenerne la cancellazione, con risparmio anche di costi e risorse rispetto all’impegno attuale amministrativo e giudiziario richiesto da tante posizioni ma prive di reale contenuto economico.

I risvolti sociali anche per i contribuenti incapienti sono chiari come i vantaggi per le casse dello Stato considerato anche il negativo risultato della « Rottamazione quater» che a fronte di incassi previsti per circa 11,9 miliardi avrebbe generato introiti per « soli» 6,8 miliardi, evidentemente a fronte di preesistenti e/o sopraggiunte carenze di disponibilità liquide da parte di contribuenti comunque desiderosi di regolarizzare la propria posizione, essendo decadute istanze per circa 5,4 miliardi.

Inutili sarebbero i ventilati « pignoramenti automatici» votati all’insuccesso e che genererebbero nuove incombenze mentre fruttuosa

sarebbe un’azione simile a quella delle banche con gli NPL.

Lo schema di decreto legislativo (approvato in data 11/3/2024 in prima lettura dal Consiglio dei Ministri), ad un primo esame, prevederebbe la possibilità di pagamento fino a 120.000 euro con 84 rate mensili (richieste presentate nel 2025 e 2026) con 96 rate per le richieste presentate nel 2027 e 2028), con 108 rate per quelle presentate dal 2029. La possibilità di ottenere la dilazione fino a 120 rate è concessa per le somme oltre i 120.000 prescindendo dalla data della domanda.

Irrisolti tutti gli altri temi qui trattati, incluso lo stralcio rapido e definitivo delle partite inesigibili, prevedendosi solo un « discarico automatico» dei ruoli .

Caro lettore, ma questo « appello» andrebbe rivolto ai « cari governanti » , attendiamo fiduciosi, magari in sede di redazione del testo definitivo (non ancora noto alla chiusura dell'articolo), un provvedimento più coraggioso moderno e risolutivo, che metta in campo strumenti semplici ed efficienti che eliminino il problema dei crediti erariali inesigibili a beneficio dello Stato e dei cittadini, magari avviando un dialogo tra cittadino ed Agenzia con soluzioni personalizzate per chi vuole saldare le pendenze ma ha limitate possibilità economiche.

n. 6 / Marzo 2024 - 22

Economia, finanza e giustizia fiscale
 Debitori

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Come superare la paura di tornare in banca

Buongiorno dottoressa, Le scrivo perchè alcuni anni fa mia mamma ha perso una grossa cifra con il fallimento della Banca Popolare di Vicenza, sono seguiti mesi sconforto e rabbia, per molti mesi si è sentita incapace, stupida, ancora oggi è terrorizzata dall'approcciarsi ad una banca e quando deve occuparsi di aspetti finanziari ha incubi notturni e forte ansia. Le chiedo delle strategie in merito: come posso aiutare la mamma che non vuole più mettere piede in banca? E come è meglio affrontare futuri investimenti senza stress?

Grazie, Laura

Carissima Laura, ogni tipo di perdita può essere motivo di dolore, dalla perdita delle persone care, di lavoro, di stima, fino alla perdita al gioco e a quella finanziaria. Ne derivano effetti spiacevoli sulla salute mentale e fisica e anche sulle relazioni sociali e affettive: «…nessuno di noi vuole perdere denaro, esattamente come nessuno vuole provare dolore»

La mamma è stata sicuramente traumatizzata da questo evento, il modo migliore per aiutare a far fronte a questo tipo di trauma è quello di chiedere un aiuto specialistico per rimuovere le emozioni negative intorno al trauma.

La parola greca «trauma» significa «ferita», è una sorta di lacera-

zione, dovuta ad un forte impatto a livello sia fisico che psichico. Alcune persone sono naturalmente attrezzate nei confronti dello stress estremo che alcuni eventi provo-

cano, altre sono continuamente tormentate dal ricordo del trauma, da un passato che continua ad inondare e sommergere il presente di paura, dolore e rabbia, sotto forma

Il trauma è una realtà della vita, ma non per questo deve essere una condanna a vita
Peter A. Levine
n. 6 / Marzo 2024 - 23
 Lettere alla psicologa
 Donna anziana sconfortata dopo crac azioni della sua banca

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di incubi, ricordi, immagini... . Ci troviamo così di fronte ad una delle patologie più comuni e invalidanti della nostra epoca: il Disturbo Post Traumatico da Stress.

La persona che soffre di questo disagio diventa prigioniera di un passato che continua a inondare il suo presente di paura, dolore e rabbia, impedendole di proseguire il suo cammino verso il futuro. Di fronte a questa terribile situazione, la persona cerca di difendersi con differenti modalità, le «coping reactions»: cerca di non pensare a quanto capitato. Ma così facendo, sperimenta la situazione paradossale per cui più cerca di dimenticare più finisce per ricordare sempre di più. Con le parole di Michel de Montaigne «Niente fissa una cosa così intensamente nella memoria come il desiderio di dimenticarla».

Inoltre, si evitano tutte le situazioni collegate all’evento traumatico, nel tentativo di scacciarne dalla propria memoria ogni traccia. L’effetto di ogni evitamento è però quello di portare ad una vera e propria catena di progressivi evitamenti. L’effetto finale non è solo quello di incrementare la paura che la persona vorrebbe invece ridurre, ma anche quello di renderla sempre più sfiduciata rispetto alle proprie risorse e sempre più limitata nella propria vita. Nietzsche, in un suo famoso aforisma, diceva: «Ciò che non mi uccide, mi rende più forte».

Nel trattamento del Disturbo Post Traumatico da Stress è importante che il terapeuta strategico si focalizzi sul far emergere quella che è la resilienza della persona, ossia quella capacità naturale degli esseri umani di reagire agli eventi traumatici.

Per quanto riguarda la sua seconda domanda Laura, può essere importante cercare di comprendere

quale è il nostro rapporto con i soldi per avere maggiore consapevolezza dei comportamenti disfunzionali.

In primis è necessario possedere un adeguato bagaglio di conoscenze tecniche delle dinamiche dei mercati, e in secondo luogo la conoscenza di sé stessi, del proprio modo d’essere e del proprio funzionamento cognitivo-emotivo.

Lettere alla psicologa

 Capitale di rischio

E’ impossibile effettuare una stima certa del rischio, che le analisi che facciamo non sono definitive, che le condizioni del gioco e le relative analisi non sono «per sempre»; sono continuamente mutevoli e imprevedibili per loro stessa natura. E' necessario che tale rischio sia proporzionato alla nostra capacità di tollerare la perdita, l'incertezza, il cambiamento dei mercati, è bene ricordare che i soldi servono, così come servono tante «cose» nella vita, ma non sono il fattore chiave. La ricchezza visibile è una falsa ricchezza perché non nutre la felicità del cuore.

Se i soldi fossero la soluzione a tutto, se fossero la vera ricchezza, non avremmo così tanti personaggi ricchi e famosi che si suicidano o muoiono a causa di eccessi in cui si rifugiano per trovare una soluzione (temporanea) al loro malessere esistenziale. Ma allora, se non sono i soldi, qual è la risposta per una vita felice? Probabilmente è la libertà, o per lo meno io l'ho trovata in questo modo. La forma di realizzazione più grande che tu possa trovare è

quella che ti rende libero. Libero di gestire il tuo tempo, libero di fare della tua vita ciò che più desideri, senza dover chiedere il permesso a nessuno,.... Qualcuno potrebbe dire che a questo servono i soldi: a diventare libero. Può essere vero ma spesso il denaro ti rende schiavo. La forma di libertà più grande che ci sia non è materiale, ma mentale.

Ecco che allora occorre coltivare noi stessi, prenderci cura di noi come esseri viventi, essere capaci di un destino inedito ogni giorno della vita.

Un caro saluto, dott.ssa Germi Sabrina

Riferimenti bibliografici

F. Cagnoni, R. Milanese R., Cambiare il passato. Superare i traumi con la terapia strategica, Milano, Ponte alle Grazie, 2009.

G. Bormolini, La vera ricchezza. Lezioni di economia e spiritualità, Milano, Ponte alle Grazie.

Tutti i contenuti presenti in questa pagina hanno lo scopo di diffondere la cultura e l'informazione psicologica. Non possiedono alcuna funzione diagnostica e non possono sostituirsi in alcun modo ad un consulto specialistico.

n. 6 / Marzo 2024 - 24

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La storia «volgarizzata» del doppio dissesto di Banca Popolare di Vicenza (BPVi) e Veneto Banca

Il doppio dissesto di Banca Popolare di Vicenza (BPVi) e Veneto Banca ha comportato perdite per circa 11 miliardi di euro a carico di 210.000 azionisti per l’azzeramento del valore delle azioni (11 miliardi), nonostante 4 miliardi di patrimonio immessi negli ultimi tre anni a Vicenza e Treviso e incluso il doppio aumento di capitale per due miliardi e mezzo complessivamente sottoscritto dal fondo Atlante I (le cui quote maggiori erano detenute da Intesa Sanpaolo e Unicredit e, poi, diventato, insieme al quasi gemello Fondo Atlante II, gestore di NPL), dopo aver portato a 10 centesimi il valore dei singoli titoli delle due ex Popolari venete.

Cifre sconfortanti, confrontabili a quelle del crac di Parmalat per 14 miliardi ma superiori se si conteggiassero gli effetti indotti negativi sui soci, piccoli risparmiatori e/o piccole e medie aziende che fossero.

Cerchiamo di ricostruire l’accaduto in maniera sintetica e «volgarizzata», cioè facilmente comprensibile, «qualitativa» ma anche quantitativa, per lasciare una traccia complessiva anche se non esaustiva perché troppe cose tribunali e Commissione di Inchiesta non hanno forse considerato con la dovuta attenzione oppure sono stati limitati nel farlo dai loro vincoli giuridici e istituzionali.

Per la «narrazione» della fine dei due Istituti, BPVi e Veneto Banca, su cui negli anni di maggiore loro fulgore si è basata buona parte della crescita del Veneto e, in proporzione, del nordest, tutti finanziati, le due banche e, quindi, Veneto e nordest, da circa un 60% di azionisti di quasi tutta l’Italia, abbiamo elaborato (l’avv. Fulvio Cavallari, legale di parti civili e Coordinatore di Adusbef Veneto, e Giovanni Coviello, direttore di ViPiu.it, fonte storica giornalistica fuori dal coro soprattutto su queste banche dal 2010, ndr) questa sintesi divulgativa attingendo, per quanto possibile e ove disponibili e rintracciati dagli scriventi, dai documenti istituzionali, da quelli

Presentazione del libro il 16 aprile alle 17,30 presso lo Spazio Galla

agli atti processuali, dai lavori, mai completati, delle due Commissioni d’inchiesta sul tema, e da proprie ricerche e analisi, sempre attentamente motivate.

Ci soffermiamo, comunque, sulle banche collassate che hanno caratteristiche simili e che interessano più da vicino il nostro territorio cioè la Banca Popolare di Vicenza (BPVI) e Veneto Banca (VB).

L’assimilazione di Popolare di Vicenza e Veneto Banca è stata voluta principalmente, non è una tesi solo nostra, da BankItalia per cercare di giustificare la posizione che aveva assunto e che alla fine voleva Veneto Banca fusa in Popolare di Vicenza. Ma, anche se per alcuni tecnici è fuori da ogni criterio che due banche concorrenti, con proprie strutture amministrative, di controllo

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e direzionale vengano trattate quasi fossero una sola cosa, continuiamo a parlare delle Banche Venete proprio per l’intreccio che nasce dal «Sistema» e diventa così inestricabile da portarle entrambe al crac finale, coincidente anche nei tempi e nelle modalità che lo hanno determinato negli anni finali della loro vita e nelle soluzioni, del tutto parziali, che si sono volute dare a chi in quelle due banche aveva investito spesso i risparmi di una vita.

Questi due istituti di credito appartengono alla categoria delle banche popolari che, per dimensioni (superando gli 8 miliardi di euro di attivo, cioè di crediti alla clientela alla quale la banca offre finanziamenti e prestiti), rientravano nella riforma per la trasformazione in S.p.a. entro il 2016 delle banche popolari maggiori, varata con decreto-legge n. 3/24 gennaio 2015, convertito con legge n. 33/2015. Desta fin dall’inizio qualche perplessità che si sia fatto ricorso ad un decreto-legge per cambiare la natura delle banche popolari che erano sul mercato da oltre 150 anni. Fra le banche interessate alla trasformazione solo Popolare di Vicenza e Veneto Banca risultavano non quotate. A giochi fatti (anzi disfatti), il 17 luglio 2020 la Corte Europea della UE dichiarava con una sua sentenza che quel limite in quella legge fosse «una restrizione alla libera circolazione dei capitali» vietata dall’art. 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e, quindi, illegittimo

Le due banche venete (le dimensioni di BPVI nel 2007 erano maggiori ma negli anni successivi le dimensioni dei due Istituti diventano simili) rappresentavano il 18 per cento del totale delle sei banche in crisi e, poi, «risolte» (oltre alle due suddette anche Banca Marche, Carife, CariChieti e l’addirittura già quotata Banca Popolare dell’Etruria

e del Lazio BPEL) e l’1,8 per cento del sistema.

Entrambe le banche venete, a causa delle loro dimensioni, dal 4 novembre 2014 sarebbero passate da Banca d’Italia sotto la vigilanza diretta del Single Supervisory Mechanism (SSM) di BCE e questo per normativa europea (che riguardava 130 istituti, i più grandi, europei tra cui 14 italiani)

Questi istituti avevano un modello di business molto orientato all’intermediazione in crediti (con un’incidenza sul totale attivi che va dal 78 all’87%) e pertanto erano molto esposte alle conseguenze della recessione degli anni successivi. Come è stato ricordato dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco «si tratta di banche che avevano la loro operatività prevalente in territori duramente colpiti dalla recessione».

In effetti, le due banche nel 2007, quando prende avvio (non in Italia) la crisi finanziaria internazionale, sono, considerate le loro dimensioni, in linea con il sistema e redditizie.

Le cause di queste due crisi sono molto simili e possono essere distinte in due grandi categorie: cause primarie e cause da esse indotte.

Tra le cause primarie troviamo in tutti e due i casi debolezze nella governance sia a livello di alta governance (Consigli di Amministrazione e Collegi Sindacali deboli ed autoreferenzialità di AD e/o Presidenti) sia a livello di funzioni di controllo. La Commissione di Inchiesta sul Sistema bancario e Fianziario, presieduta

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dall’on. Carla Ruocco, è giunta anche al convincimento, sulla base delle dichiarazioni degli auditi e dei documenti acquisiti, che non sempre i componenti degli organi consiliari di indirizzo e controllo delle banche disponessero dei livelli di competenza tecnica indispensabili per l›esercizio delle elevate responsabilità e della gravosità dei compiti connessi con la loro carica.

In secondo luogo, la crisi si sviluppa nell’area crediti dove si riscontrano tre fattori: 1) un periodo di intensa crescita effettuata anche tramite acquisizioni e precedente allo scoppio della crisi aziendale 2) politiche del credito complessivamente inadeguate e rischiose e, da ultimo, come moltiplicatore della crisi, e quindi causa scatenante, 3) la lunga doppia recessione italiana.

C’è chi, soprattutto mediaticamente, ha riferito di politiche di credito inadeguate anche verso le parti correlate ma ciò è servito unicamente per gettare discredito e coprire le vere responsabilità. La concessione dei crediti agli amministratori è del tutto legittima se osserva le regole fissate dall’art 136 del TUB. Per Veneto Banca, ad esempio, l’ispezione di Bankitalia del 2013, che ha esaminato tutte le pratiche degli amministratori, non ha richiesto alcun accantonamento. Gli affidamenti quindi sono stati considerati correttamente collocati.

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Le due banche venete, anche perché costrette, di fatto come tutte le altre, dalle autorità di vigilanza e da normative sui coefficienti patrimoniali vieppiù stringenti, a fronte delle prime difficoltà e dell’emersione delle prime perdite effettuano nel periodo 2011-2015, come gran parte delle altre banche, aumenti di capitale sia attraverso emissioni azionarie sia attraverso emissioni di prestiti subordinati.

In molti casi con riferimento a tali aumenti sono emerse criticità che hanno dato luogo a procedimenti sanzionatori amministrativi, stranamente postumi, da parte di Consob e Banca d’Italia.

Da ultimo, man mano che emergono perdite su crediti sempre più rilevanti subentra una grave crisi di fiducia che porta a crisi di liquidità gravi che conducono al dissesto e a soluzioni, seppur differenziate, delle crisi.

Le due banche venete Banca

Popolare di Vicenza e Veneto Banca

Le problematiche relative alle due banche, presenti già da tempo in entrambi gli istituti, emergono nella loro gravità nel 2014-15 anche per gli effetti della seconda lunga recessione che è stata particolarmente pesante in Veneto. Le cause e le manifestazioni della crisi di queste due banche vengono, con qualche forzatura, considerate «gemelle» Ancora una volta le maggiori criticità riguardano: i) forti carenze della governance, dovute ad un modello basato sull’autoreferenzialità dei vertici aziendali; ii) modalità di erogazione del credito deboli come fattori specifici di crisi di queste due banche, iii) problematiche relative alla valutazione del prezzo delle azioni; iv) da ultima l’emersione di pratiche scorrette di ricapitalizzazione nonché di gestione del Fondo Azioni Proprie, attuate attraverso le cosiddette operazioni «baciate»

Ricordando che l’assimilazione fra Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca è stata sempre più indotta dai due organi di vigilanza (per confondere le acque?) appare una forzatura che le modalità di erogazione del credito deboli fossero fattori specifici di queste due banche. Nel 2014 la BCE ha provveduto a valutare gli attivi delle 130 maggiori banche europee che dal novembre di quell’anno sarebbero passate sotto la sua vigilanza. Tra queste c’erano le due banche popolari venete non quotate e ad azionariato diffuso.

L’esercizio venne definito «valutazione approfondita» e la BCE, sulla base di nuovi ed innovativi criteri di valutazione, evidenziò la necessità di maggiori accantonamenti per le 130 banche europee per complessivi 47,5miliardi, di cui 12,5miliardi per le banche italiane. Di questi ultimi 572 milioni per Veneto Banca e 728 milioni per Popolare di Vicenza (fonte BCE – rapporto aggregato sulla valutazione approfondita dell’ottobre 2014). Solo per un raffronto ricordiamo come al Banco Popolare BCE abbia richiesto un maggiore accantonamento per ben 1.603 milioni.

Nel periodo 2007-2011 entrambe le banche venete crescono molto più del sistema, attuando una politica tipica di molte banche del territorio. A tal fine ampliano la base sociale, incrementando il capitale mediante emissione di azioni destinate anche a nuovi soci. Le ispezioni compiute in questo periodo rilevano per entrambe le banche, ma solo parzialmente, alcune carenze e anomalie in tutte le fasi del processo creditizio che tuttavia non sembrano ai controllori causa di conseguenze particolarmente negative sulla qualità del portafoglio crediti.

Le criticità nel portafoglio prestiti si materializzano gradualmente a seguito della crisi del debito

sovrano e della conseguente nuova recessione. A partire dal 2013 anche BPVi e VB, come il resto del sistema bancario, avviano una riduzione delle erogazioni creditizie che prosegue in maniera più marcata negli anni successivi.

In questi anni le ispezioni si focalizzano sulla verifica della qualità del portafoglio crediti delle due banche mediante accertamenti mirati che si svolsero per BPVI da maggio a ottobre 2012 e per Veneto Banca da gennaio ad agosto 2013. Entrambe le aziende saranno nuovamente sottoposte ad accertamenti ispettivi nel primo semestre 2014 nell’ambito del Comprehensive Assessment

L’esercizio di stress test che si svolge, per opera di BCE, da gennaio a ottobre 2014 fa emergere per entrambe le banche uno shortfall patrimoniale (682 mln per BPVi e 714 mln per VB). Tra la data di riferimento dell’esercizio (31 dicembre 2013) e la pubblicazione dei risultati tutte e due le banche effettuano misure di rafforzamento di capitale che sanavano lo shortfall. Anche questa appare, però, come una forzatura: si parla di shortfall che considera ipotesi di stress e non si dà il giusto valore all’AQR (Asset Quality Review) che aveva esaminato gli attivi.

Tuttavia, verrà poi tardivamente accertato dalla vigilanza, gli aumenti di capitale erano solo in parte computabili nel patrimonio per effetto della rilevanza di «operazioni baciate» che avrebbero dovuto essere portate a detrazione del patrimonio e che non erano state dedotte. Ma per Veneto Banca nel corso della verifica del 2015 vengono individuati dalla BCE operazioni baciate per 25 milioni di euro su un aumento di capitale di 475 milioni (fonte memoria ispettiva BCE). Diversa è la situazione per Popolare di Vicenza per la quale da BCE vengono ritenuti finanziati gran parte

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dei due aumenti di capitale effettuati. Anche in questo caso appare come assimilare le 2 banche sia un esercizio sbagliato.

In questa fase prese, comunque e definitivamente, avvio la spirale negativa che porta rapidamente al dissesto.

Se, a partire dal 2014 e soprattutto dal 2015 è cresciuto il deterioramento della qualità del credito, per gli effetti della crisi economica sulle imprese affidate e per la volontà delle due banche di sostenere il territorio, il credito esplicitamente in conflitto d’interessi, fenomeno di per sé grave e preoccupante, rappresenta una quota percentuale non elevata del totale. Ma questo lo sostiene soprattutto Barbagallo, capo della Vigilanza di Banca d’Italia, mentre è accertato, come sopra scritto per lo meno per Veneto Banca, che si trattava di prestiti assolutamente regolari, fatti nel rispetto dell’art 136 del TUB.

Ma, come detto nella crisi di BPVI e di VB sono determinanti due aspetti specifici: la determinazione del prezzo delle azioni e le «operazioni baciate», nate per «gonfiare» il patrimonio dei due istituti, ma particolarmente rilevanti per la Popolare Vicentina. Anche in quest’ultimo caso l’assimilazione delle due banche è funzionale a Bankitalia per giustificare il suo operato, che per Veneto Banca richiese nel 2013

l’allontanamento dell’intero consiglio di amministrazione nonché la fusione nell’arco di 6 mesi in un istituto forte che Barbagallo aveva individuato in Popolare di Vicenza come sembrano confermare anche i documenti di cui scriveremo nel capitolo II e portati all’evidenza della Commissione d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario.

Riguardo alle baciate, i numeri segnalati dai processi penali sono 221 milioni per Veneto Banca e 931 milioni per Popolare di Vicenza e, se per Veneto Banca viene scandagliato l’intero stock di capitale sulla base di nuove regole entrate in vigore nel 2014 (CRR 575/2013), per BPVi si è fatto riferimento soltanto agli aumenti di capitale.

Sin dalle prime ispezioni, questa la tesi degli organi di controllo, emergono per entrambe le banche le prime criticità sul meccanismo di fissazione del prezzo delle azioni, basato su un processo non codificato, svincolato da collegamenti con le performance reddituali e privo del parere di esperti indipendenti. Ma le modalità di formazione del prezzo erano identiche per tutte le banche non quotate ed entrambe quelle venete, dopo i rilievi di Banca d’Italia del 2009, si erano dotate di esperti terzi che, per lo meno nelle fasi processuali, non sono stati chiamati a rispondere delle loro valutazioni, comunque non vincolanti

e sia pur opinabili e formulate, a loro detta, sulla base di dati forniti, come anche per altre analoghe banche, dagli stessi Istituti.

Il prezzo delle azioni è, quindi, costantemente cresciuto nel corso degli anni successivi (arrivando a euro 62,5 euro per BPVi nel 2011 e a 40,75 euro nel 2013 per Veneto Banca) ma, nell’ambito delle rilevazioni eseguite da BCE nel 2015, verrà constatata non solo un’applicazione solo parziale delle linee guida adottate, ma anche e soprattutto la permanenza di un disallineamento tra il rendimento implicito dell’azione BPVi e la redditività ordinaria della Banca, che aveva accresciuto in misura rilevante l’esposizione di quest’ultima a rischi operativi e reputazionali, inerenti, tra l’altro, i reclami degli azionisti aventi ad oggetto la sovrastima del prezzo dell’azione.

Si consideri, tra l’altro, che gli Aumenti di Capitale («AUCAP») compiuti dalla BPVi nel 2013 e nel 2014, indotti da Banca d’Italia per incrementare il patrimonio di vigilanza, erano stati effettuati in base al medesimo meccanismo di determinazione del valore/prezzo delle azioni.

Con particolare riferimento all’AUCAP 2013 ed all’approvazione del relativo prospetto informativo da parte di Consob, è emerso che quest’ultima non aveva ricevuto notizia da Banca d’Italia delle debolezze patrimoniali della banca vicentina, talché aveva ritenuto che l’informativa fornita ai risparmiatori fosse esaustiva.

Il prezzo delle azioni delle due banche assume, comunque, valore crescente negli anni successivi alle direttive indicate da BankItalia nel 2009, risultando «incoerente» con la effettiva redditività aziendale ed anche col contesto economico complessivo, sia in rapporto ai valori riferiti alle banche operanti nel mercato regolamentato (in quanto

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n. 6 / Marzo 2024 - 28
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 Crac Banche Popolari Venete  Collegio giudicante processo BPVi di I° grado

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molto più elevato) che ai valori riferiti a quelle operanti in mercati non regolamentati (in quanto superiore alla media). Riguardo ai confronti con le non quotate, i prezzi di Veneto Banca risultano nella media in base al prospetto informativo per l’aumento di capitale del 2014.

La determinazione del prezzo delle azioni ha influenzato gli AUCAP compiuti, in particolare, dalla Banca vicentina negli anni 2013 e 2014 e sollecitati da Banca d’Italia per incrementare il patrimonio di vigilanza ma risultati, in esito ad accertamenti successivi, connotati da diverse criticità.

Con particolare riguardo all’AUCAP 2013, nel corso delle audizioni dei rappresentanti di Banca d’Italia e Consob presso la Commissione d’inchiesta, è emerso che lo scambio di informazioni intercorso tra le due Autorità non ha, sulla base di quanto appurato ex post, consentito l’esaustiva individuazione dei rischi connessi alla situazione della Banca che ha influenzato i provvedimenti approvativi del prospetto informativo.

In conclusione, nonostante la Banca d’Italia sia intervenuta più volte sulla determinazione del prezzo delle azioni per ottenere che i due intermediari si dotassero di processi adeguati e di criteri

obiettivi di fissazione del prezzo, quest’ultimo sarebbe rimasto sovrastimato fino a tutto il 2016.

Da ultimo, con riferimento al fenomeno delle operazioni «baciate», ricordiamo che esse non sono vietate per legge dal 2008, a patto che i relativi finanziamenti siano autorizzati dall’Assemblea straordinaria, nel rispetto delle condizioni previste dal codice civile (art. 2358) e che le azioni non siano conteggiate nel patrimonio di vigilanza (non essendo, semplifichiamo, un patrimonio vero in quanto proveniente da finanziamenti della banca stessa, ndr).

Tale fenomeno, che consiste nella vendita di azioni a soggetti ai quali la banca venditrice fornisce la relativa provvista nell’ambito di operazioni di finanziamento, è largamente concentrato nel periodo 2012–2014, quando entrambe le banche, a causa della prospettiva di coefficienti patrimoniali più elevati e a causa dell’emergere dei NPL (Non Performing Loans ovvero Prestiti non performanti cioè crediti deteriorati), dovevano effettuare aumenti di capitale.

La Banca d’Italia ha rilevato inizialmente la fattispecie a metà del 2013 per VB e sia pure in maniera ridotto e solo ad inizio 2015 per BPVi, seppure vi fossero operazioni

baciate per ingenti importi già negli anni precedenti tanto che recenti atti processuali, oltre alle rivelazioni di ViPiu.it, allora VicenzaPiu. com, fanno risalire almeno al 2012 la conoscenza del fenomeno e per importi ben più consistenti di quelli di VB, anche in base a quanto accertato nei processi in corso.

Nella corsa al reperimento di adesioni alle operazioni di rafforzamento di capitale - operate anche attraverso i finanziamenti baciati - le due banche hanno, in vari casi, applicato pratiche scorrette nell’ambito delle politiche commerciali finalizzate alla vendita dei propri prodotti (carenza di informativa al cliente, inidonea valutazione del merito creditizio, carenti procedure interne).

Le operazioni baciate, a seguito di plurimi accertamenti compiuti (successivamente anche da BCE) hanno costituito un fenomeno significativo anche se di peso notevolmentre diverso per le due Popolari: si consideri, infatti, che l’importo delle stesse, per BPVi è risultato pari a 931milioni e a 221milioni per Veneto Banca, per la quale, però, vengono utilizzati nuovi criteri peggiorativi, quelli del CRR (Capital Requirements Regulation) 575/2013.

Si consideri infine che gli aumenti di capitale – in particolare quelli compiuti nel 2014, per superare i previsti esiti di shortfall (carenze) patrimoniali in sede di Comprehensive Assessment (valutazione approfondita) con riferimento al Bilancio al 31.12.2013 – poterono essere computati nel patrimonio di vigilanza parzialmente, ma questo soprattutto, per quanto prima scritto, per la BPVi

Inoltre, nel corso del 2015 la posizione di liquidità delle due banche inizia a deteriorarsi. Da settembre a dicembre 2015, la raccolta di BPVi subisce una diminuzione di circa 2,5 mld (-14%), quella di VB di circa 4 mld (-20%), quest’ultima in buona

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 Crac Banche Popolari Venete  Vincenzo Consoli (Ad Veneto Banca) in aula

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parte anche per le notizie diffuse dai media, grazie a impridenti fonti istituzionali, sui controlli in corso con ben differenti pesi per i due Istituti. Basti considerare l’effetto negativo della perquisizione (spettacolare?) della Guardia di Finanza del febbraio 2015 all’Istituto di Montebelluna.

Ciascuno degli organi amministrativi delle banche, rinnovati autonomamente dalle assemblee dopo le ispezioni della Vigilanza (salvo l’amministratore delegato di BPVi, sostituito già nel corso dell’accertamento), approva un piano di rilancio che per entrambe le banche avrebbe dovuto portare, a seguito della riforma delle Banche popolari, alla trasformazione in SpA (poi effettivamente realizzata), a un aumento di capitale (1 mld per VB e 1,5 mld per BPVi) e alla quotazione in borsa.

Nel processo di trasformazione in SpA il valore di offerta delle azioni, già prima portato da 48 euro (al top era di 62,5) a 6,3 euro per BPVi e da 30,5 a 7,3 euro per VB, crollò a un prezzo di 0,10 euro ma, in entrambi i casi, l’offerta delle azioni sul mercato fallì dopo che prima Unicredit si sfilò dal consorzio di

garanzia per BPVi e poi lo stesso fece per VB Imi di Banca Intesa, che pure aveva assicurato, per bocca di Carlo Messina, che non avrebbe disatteso i suoi impegni seguendo la strada di Unicredit.

Qui andrebbe aperto un capitolo a parte perché l’allora Ad della Popolare di Vicenza, Iorio, aveva assicurato i possibili sottoscrittori che l’impegno di Unicredit era irreversibile, quando, poi, la banca dimostrò che la sua era solo una disponibilità «reversibile»

Nella primavera del 2016 viene costituito il fondo Atlante, in base a un’iniziativa di matrice prevalentemente interbancaria privata, con la presenza di Cassa Depositi e Prestiti e di banche (verrebbe da dire «guarda caso) come Intesa e Unicredit, di alcune fondazioni bancarie e assicurazioni. Il fondo diviene il principale azionista di BPVI con più del 99% del capitale e successivamente, a giugno, diviene il principale azionista di VB con il 97,64%.

L’incertezza legata alle possibilità di successo delle iniziative di risanamento delle due banche compromette irrimediabilmente la fiducia della clientela. Nel primo se-

mestre del 2017 la continua esposizione mediatica determina ulteriori deflussi di provvista (2,5 miliardi per BPVi e 3,9 miliardi per VB).

Si innesca, come detto, una spirale inarrestabile e le due banche vengono dichiarate a rischio di dissesto.

Consob era intervenuta dal 2008 concentrando la propria attenzione sulle modalità di attuazione della disciplina MIFID (irrogando una sanzione nei confronti di VB nel 2013 e nei confronti di BPVi nel 2015.

Quella del MiFID (acronimo di Markets in Financial Instruments Directive) è una direttiva europea a tutela degli investitori, che impone agli intermediari (in particolare banche e imprese di investimento) e ai consulenti finanziari di fornire una serie di informazioni ai propri clienti prima di effettuare operazioni di investimento, al fine di renderli consapevoli delle condizioni e delle modalità di svolgimento del loro rapporto con l’intermediario e di valutarne la capacità di diventare «investitori su capitali di rischio».

Nel periodo successivo, 20152016, Consob è intervenuta ripetutamente sui contenuti dei prospetti informativi relativi a diverse operazioni, richiedendo l’inserimento in essi di informazioni supplementari e risulta di avere utilizzato poteri che vanno oltre la disamina dei prospetti avviando due ispezioni su VB: la prima, sulle condotte adottate dall’intermediario nella distribuzione alla clientela retail, la seconda sul processo di definizione del valore delle azioni proprie. Nel corso delle verifiche ispettive sono emerse delle irregolarità tali da portare all’utilizzo dei poteri di accesso previsti dal TUF.

Complessivamente, nei confronti delle due banche venete, Consob ha irrogato sanzioni per circa (solo!) 9 milioni di euro.

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n. 6 / Marzo 2024 - 30
 Crac Banche Popolari Venete  Gianni Zonin (Presidente BPVi) e il PM Gianni Pipeschi in aula

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La liquidazione delle due banche venete

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Nell’aprile 2016, come prima accennato, fu avviata in tempi molto rapidi la costituzione del Fondo Atlante all’interno di una società di gestione del risparmio già esistente, la Quaestio Capital Management Sgr. In pochi giorni la soglia minima di 4 miliardi per la costituzione del fondo fu raggiunta e superata, dal momento che Atlante, complessivamente, raccolse 4,25 miliardi da 67 investitori.

In occasione dell’Aumento di capitale del 2016 della BPVi non viene raggiunta la percentuale minima di flottante richiesta per la quotazione presso la Borsa di Milano e l’aumento di capitale viene sottoscritto quasi interamente dal Fondo Atlante (per 1,5 miliardi) che arriva così a detenere nella BPVi il 99,33 per cento.

Anche per VB l’esito del collocamento dell’aumento di capitale di un miliardo si concluse allo stesso modo con l’intervento massiccio e quasi totalitario di Atlante (circa 1 miliardo).

All’inizio del 2017 le due banche continuavano a versare in gravi condizioni aggravate dalla crescente crisi di liquidità.

Gli azionisti a seguito dell’aumento di capitale videro azzerato di fatto il valore delle loro azioni, acquistate a valori intorno alle decine di euro e le due banche fecero, quindi, ricorso alla garanzia statale per l’emissione di obbligazioni per un ammontare di 8,6 miliardi.

Le due banche presentavano un piano di ristrutturazione e contestuale fusione, approvato dai due consigli di amministrazione rispettivamente nei mesi di gennaio e febbraio 2017, e presentato alla BCE che richiese alle banche di chiarire le modalità di finanziamento dell’ulteriore capitale necessario per attuare il progetto. In seguito alle difficoltà di reperire nuovo

capitale le banche notificarono al MEF l’intenzione di richiedere una ricapitalizzazione precauzionale, muovendosi nella direzione già tracciata nel caso di MPS (Monte dei Paschi di Siena).

Dopo che, in una prima fase, BCE aveva confermato la solvibilità delle due banche, dal momento che la carenza di capitale era emersa solo in condizioni di stress, il Mef avvia l’interlocuzione con la Commissione Europea insieme con le due banche, Banca d’Italia e BCE.

Tuttavia, le istituzioni europee conclusero che il Piano non avrebbe garantito il ritorno ad una redditività adeguata e avrebbe richiesto un rafforzamento di capitale aggiuntivo, superiore al miliardo, di natura privata per coprire ulteriori perdite probabili, nel rispetto della direttiva BRRD (Banking Recovery and Resolution Directive), come condizione per l’intervento pubblico.

Il Ministero venne informato che la BCE si apprestava a dichiarare che le banche erano in dissesto o a rischio di dissesto e il SRM (Single Resolution Mechanism, Meccanismo di Risoluzione Unico) avrebbe assunto la decisione sulla ricorrenza dell’interesse pubblico e che il comitato sarebbe stato incline a escludere la sussistenza dell’interesse pubblico.

Il 23 giugno 2017 la BCE assunse la decisione in tal senso e il 25 giugno le due banche sono state poste in liquidazione coatta amministrativa, secondo la procedura ordinaria di insolvenza prevista per le banche dall’ordinamento italiano.

L’Italia chiese, quindi, alla Commissione l’approvazione di una misura di supporto pubblico finalizzata a facilitare l’ordinata fuoriuscita dal mercato, resa possibile dall’acquisizione – in esito a una «gara» condotta dalle autorità italiane in stretto contatto con quelle europee, gara di cui però non si ha evidenza pubblica alcuna e che, se avvenne, fu attivata e conclusa in una notte - da parte di Intesa S. Paolo (ISP), disponibile all’intervento a condizione di non peggiorare la propria situazione patrimoniale ed esposizione al rischio di credito.

Intesa Sanpaolo presentava, quindi, una proposta di acquisizione al prezzo simbolico di 1 euro delle attività «buone», esclusi tutti i NPL e facendosi carico delle passività delle due banche (depositi e obbligazioni) ad esclusione delle obbligazioni subordinate, insieme con sportelli e dipendenti. Inoltre, la banca richiedeva una serie di condizioni che vennero tutte accolte.

Per assicurare la neutralità patrimoniale dell’operazione e a com-

n. 6 / Marzo 2024 - 31
 Crac Banche Popolari Venete  Il PM Luigi Salvadori interviene al processo di I° grado BPVi

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pensazione degli oneri derivanti dal piano di ristrutturazione e della conseguente gestione degli esuberi, il Tesoro ha anticipato a Intesa 4,750 (!) miliardi di euro a fondo perduto ma a carico della Liquidazione Coatta Amministrativa. Da ultimo lo Stato ha concesso a Intesa una garanzia, a copertura di eventuali ulteriori perdite sui crediti per un importo massimo di 12,4 miliardi oltre a una serie di «scivoli» per 4.000 dipendenti in esubero («scivoli poi utilizzati per mille dipendenti delle due Popolari e 3.000 di Intesa, ndr).

I crediti deteriorati sono stati trasferiti alla Società per la Gestione degli Attivi (SGA), poi diventata AMCO spa, divenuta di proprietà statale dopo il suo acquisto sempre da Intesa, specializzata nel recupero crediti e creata nel 1997 in occasione del salvataggio del Banco di Napoli da parte di Intesa.

I proventi dell’attività di recupero di questi crediti verranno usati per rimborsare i creditori delle due banche in liquidazione, dando priorità allo Stato, che potrebbe così recuperare parte delle somme versate di cui abbiamo riferito prima.

Come detto, le obbligazioni subordinate sono rimaste nel passivo delle banche in liquidazione e saranno le ultime ad essere eventualmente rimborsate con i proventi della liquidazione.

Le crisi, come si è visto, hanno trovato soluzioni che, in conclusione hanno permesso di non applicare, in nessun caso, il bail-in

La crisi ha tuttavia prodotto un dramma sociale le cui premesse sono state ben riassunte dalla prefazione della Commissione d’inchiesta sui gravi fatti riguardanti il sistema bancario in Veneto relazione finale, in esecuzione del mandato conferito alla commissione d’inchiesta sui gravi fatti riguardanti il sistema bancario in veneto (Deliberazione del Consiglio regionale n.

17 del 19 gennaio 2016): «L’attività della Commissione si è sviluppata nei mesi drammatici interessati dai fatti di svolta dei due Istituti di credito. L’assemblea del 5 marzo scorso con cui la BancapopolarediVicenza si è trasformata in società per azioni, ciò che Veneto Banca aveva fatto nell’assemblea del 19 dicembre 2015. La mancata approvazione, da parte dell’assemblea del 5 marzo, dell’azionediresponsabilitàneiconfronti dei vertici societari, proposta dai soci. La formula del prezzo di emissione dell’aumento di capitale di BPVi, definita da un minimo di 0,10 euro ad un massimo di 3 euro per azione, diffusa il 19 aprile. La bocciatura della quotazione in borsa diBPVidel2maggioelaconseguente affermazione totalitaria del fondo Atlante. L’assemblea del 5 maggio per l’approvazione del bilancio 2015 ed il rinnovo dei vertici del consiglio di amministrazione di Veneto Banca. La formula del prezzo di emissione dell’aumento di capitale di VB, definita da un minimo di 0,10 euro ad un massimodi0,50europerazione,diffusa il 30 maggio e l’attesa dell’ammissione o non ammissione in borsa dell’Istituto. Le azioni penali e civili annunciate ed intentate dai rispar-

miatori e la class action contro BPVi e VB, giunta a quota 8.000 soci (ma nonattivabileinassenzaall’epocadi una legge al riguardo, ndr). I tavoli di conciliazione richiesti, attesi, promessi e tentati fra banche ed associazioni di tutela dei consumatori.

IldoppiodissestodiBanca popolarediVicenzaeVenetoBancapesa, ad oggi, circa 20 miliardi di euro, a carico di 210.000 azionisti, per l’azzeramento del valore delle azioni (11miliardi),leperditeper4miliardi di patrimonio negli ultimi tre anni e gliaumentidicapitaleper4,9miliardi. Cifre sconfortanti (ma le ultime duecompresenegli11miliardi,ndr): ilcracdiParmalat,di14miliardi,costò di meno

Non si deve dimenticare però che nei confronti delle banche in LCA vale la regola del testo Unico bancario secondo la quale: «Art. 83 Effetti del provvedimento per la banca, per i creditori e sui rapporti giuridici preesistenti 1. Dalla data di insediamento degli organi liquidatori ai sensi dell’articolo 85, e comunque dal sesto giorno lavorativo successivo alla data di adozione del provvedimento che dispone la liquidazione coatta, sono sospesi il pagamento delle passività di qualsiasi genere e le

n. 6 / Marzo 2024 - 32

 Crac Banche Popolari Venete  Avvocati di parte civile al processo di Vicenza

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restituzioni di beni di terzi. La data di insediamento dei commissari liquidatori, con l’indicazione del giorno, dell’ora e del minuto, è rilevata dalla Banca d’Italia sulla base del processo verbale previsto all’articolo 85. 2. Dal termine indicato nel comma 1 si producono gli effetti previsti dagli articoli 142, 144, 145 e 165, nonché dalle disposizioni del titolo V, capo I, sezione III e V del codice della crisi e dell’insolvenza. (93)(96) 3.

Dal termine previsto nel comma 1 contro la banca in liquidazione non può essere promossa né proseguita alcuna azione, salvo quanto disposto dagli articoli 87, 88, 89 e 92, comma 3, né, per qualsiasi titolo, può essere parimenti promosso né proseguito alcun atto di esecuzione forzata o cautelare. Per le azioni civili di qualsiasi natura derivanti dalla liquidazione è competente esclusivamente il tribunale del luogo in cui la banca ha il centro degli interessi principali. (93) (96) 3-bis. In deroga all’articolo 155, comma 1, del codice della crisi e dell’insolvenza, la compensazione ha luogo solo se i relativi effetti siano stati fatti valere da una delle parti prima che sia disposta la liquidazione coatta amministrati-

va, salvo che la compensazione sia prevista da un contratto di garanzia finanziaria di cui al decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 170, da un accordo di netting, come definito dall’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto legislativo (16 novembre 2015, n. 180) o da un accordo di compensazione ai sensi dell’articolo 1252 del codice civile. (93)(96)». In pratica gli azionisti e gli obbligazionisti della banca sono rimasti paralizzati, nulla potendo fare per ottenere in sede giudiziaria ragione dei propri diritti nei confronti delle banche in Lca.

Ma non finisce qui, perché il D.L 99/2017 con il quale si pose in LCA le banche stabiliva altresì che «Art. 3 Cessioni 1. I commissari liquidatori, in conformità con quanto previsto dal decreto adottato ai sensi dell’articolo 2, comma 1, provvedono a cedere ad un soggetto, individuato ai sensi del comma 3, l’azienda, suoi singoli rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici individuabili in blocco, ovvero attività e passività, anche parziali o per una quota di ciascuna di esse, di uno dei soggetti in liquidazione o di entrambi. Alla cessione non si applica quanto

 Crac Banche Popolari Venete

previsto ai sensi degli articoli 58, commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7, salvo per quanto espressamente richiamato nel presente decreto, e 90, comma 2, del Testo unico bancario.

Restano in ogni caso esclusi dalla cessione anche in deroga all’articolo 2741 del codice civile: a) le passività indicate all’articolo 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv), del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180; b) i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, ivi compresi i debiti in detti ambiti verso i soggetti destinatari di offerte di transazione presentate dalle banche stesse; c) le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività.

Le disposizioni del contratto di cessione hanno efficacia verso i terzi a seguito della pubblicazione da parte della Banca d’Italia (nel proprio sito internet) della notizia della cessione, senza necessità di svolgere altri adempimenti previsti dalla legge, anche a fini costitutivi, di pubblicità notizia o dichiarativa, ivi inclusi quelli previsti dagli articoli 1264, 2022, 2355, 2470, 2525, 2556 e 2559, primo comma, del codice civile e dall’articolo 58, comma 2, del Testo unico bancario. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 58, comma 3, del Testo unico bancario, il cessionario effettua gli adempimenti eventualmente richiesti a fini costitutivi, di pubblicità notizia o dichiarativa, così come l›indicazione di dati catastali e confini per gli immobili trasferiti, entro 180 giorni dalla pubblicazione (nelsitointernet). Restano fermi gli obblighi di comunicazione previsti dall’articolo

n. 6 / Marzo 2024 - 33
 Gianni Zonin col suo legale, avv. Enrico Ambrosetti

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120 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Nei confronti dei debitori ceduti la pubblicazione (nel sito internet) produce gli effetti indicati dall’articolo 1264 del codice civile. Non si applicano i termini previsti dall’articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428. Il cessionario risponde solo dei debiti ricompresi nel perimetro della cessione ai sensi del comma 1. Il cessionario non è obbligato solidalmente con il cedente ai sensi dell’articolo 33 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. Al cessionario si applica l’articolo 47, comma 9, del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180. Quando la cessione ha ad oggetto beni culturali ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, ai fini dell’esercizio della prelazione, la denuncia prevista dall’articolo 59 del medesimo decreto legislativo è effettuata dal cessionario entro trenta giorni dalla conclusione del contratto di cessione; la condizione sospensiva prevista dall’articolo 61, comma 4, del medesimo decreto legislativo si applica alla sola clausola del contratto di cessione relativa al trasferimento dei beni culturali; non si applica il comma 6 del medesimo articolo. Al contratto di cessione nella parte in cui esso ha ad oggetto il trasferimento di

beni immobili, (fermo restando che) il cessionario subentra nella medesima situazione giuridica del cedente: a) non si applicano l’articolo 6 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192; l’articolo 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52; l’articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica, 6 giugno 2001, n. 380; l’articolo 36, nella parte in cui prevede il diritto del locatore ceduto di opporsi alla cessione del contratto di locazione da parte del conduttore, per il caso in cui gli immobili siano parte di un’azienda, e l’articolo 38 della legge 27 luglio 1978, n. 392; b) non si applicano (leipotesidinullità) di cui agli articoli 46 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e 40, (secondo comma), della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Quando l’immobile ceduto si trova nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, il cessionario presenta domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla conclusione del contratto di cessione; c) non si applicano le altre ipotesi di nullità previste dalla vigente disciplina in materia urbanistica, ambientale o relativa ai beni culturali e qualsiasi altra normativa nazionale o regionale, comprese le regole dei piani regolatori o del governo del territorio degli

enti locali e le pianificazioni di altri enti pubblici che possano incidere (sulla conformitàdell’immobilealladisciplina in materia urbanistica, edilizia e di tuteladeibenistoriciearchitettonici). 3. Il cessionario è individuato, anche sulla base di trattative a livello individuale, nell’ambito di una procedura, anche se svolta prima dell’entrata in vigore del presente decreto, aperta, concorrenziale, non discriminatoria di selezione dell’offerta di acquisto più conveniente, nonché avendo riguardo agli impegni che esso dovrà assumersi ai fini del rispetto della disciplina europea sugli aiuti di Stato. Le spese per la procedura selettiva, incluse quelle per la consulenza di esperti in materia finanziaria, contabile, legale, sono a carico del soggetto in liquidazione e possono essere anticipate dal Ministero, il cui credito è prededucibile ai sensi dell’articolo 111, (primo comma), numero 1), e dell’articolo 111-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e s.m. (legge fallimentare). Tali spese possono essere anticipate a valere sulle somme di cui all’articolo 9, comma 1 e sono restituite dal soggetto in liquidazione mediante versamento all’entrata del bilancio dello Stato. 4. Se la concentrazione che deriva dalla cessione non è disciplinata dal [(regolamento(CE)] n. 139/2004 del Consiglio del 20 gennaio 2004, essa si intende autorizzata in deroga alle procedure previste dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287, per rilevanti interessi generali dell’economia nazionale. 5. Se la cessione include titoli assistiti da garanzia dello Stato ai sensi del decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237, convertito dalla legge 17 febbraio 2017, n. 15, il corrispettivo della garanzia è riconsiderato e, se necessario, rivisto in applicazione dei criteri indicati dall’articolo 6 del citato decreto per tener conto della rischiosità del soggetto garantito. Il cessionario può altresì rinunciare, in tutto o in parte, alla garanzia dello Stato per i titoli da esso acquistati; in questo caso, la garanzia si estingue e,

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n. 6
 Crac Banche Popolari Venete  Visco, governatore di BankItalia all’epoca dei crac, con ex governatore e poi premier Draghi, nel 2015 (Foto: Ansa)

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in relazione alla rinuncia, non dovuto alcun corrispettivo.

Anche la strada nei confronti della cessionaria Banca Intesa a questo punto e sbarrata: azionisti ed obbligazionisti non possono più fare nulla.

Sorgono spontaneamente movimenti di risparmiatori, un po’ ovunque, a reclamare i risparmi di una vita svaniti nel nulla, nascono le prime iniziative giudiziarie nei confronti degli ex amministratori delle banche, la prima delle quali dispone in sede di appello la condanna di cinque membri apicali (Zonin, Giustini, Pellegrini, Piazzetta e Marin) del board della BPVi (un altro, Sorato, è condannato in primo grado in un procedimento stralciato

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dal precedente) e un’assoluzione (Zigliotto), ma nulla sinora è giunto nelle tasche degli ex soci, mentre attualmente il processo è ora in Corte di Cassazione con seri rischi di ulteriori prescrizioni.

L’altro processo, quello contro Consoli, unico imputato e condannato in primo e secondo grado per Veneto Banca, a conferma delle anomalie delle azioni contro la Popolare di Montebelluna, è anch’esso in Cassazione e anche in questo caso il rischio della prescrizione incombe.

Unica via di recupero parziale dei loro soldi per i soci delle due banche (oltre che delle 4 del centro nord e cioè Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti, acquisite con le stesse modalità delle due Popo-

Scriptorium

lari Venete da UBI Banca, poi confluita in… Intesa, e Carife, entrata, sempre nel solito modo, in BPER) dopo la loro messa in Liquidazione Coatta Amministrativa (LCA) è data dalla legge 145/2018, preceduta dalla 205/2017, che offre un ristoro del 30% agli ex soci e del 95% agli obbligazionisti, con tetto massimo per entrambi di euro 100.000. Attualmente i rimborsi sono stati erogati a circa 148.000 soci mentre circa 4.800 sono stati esclusi per non corrispondenza al vero delle loro dichiarazioni, per cui è rimasto bloccato il riparto dei circa 500 milioni residui del fondo inziale di 1.575 milioni, in quanto non determinabili gli esiti e gli importi delle contestazioni in atto.

Al momento, e salvo sviluppi di due ordini del giorno fatti propri dal Governo e approvati all’unanimità al Senato (a firma del senatore Pierantonio Zanettin, Forza Italia) e alla Camera (a firma dell’onorevole Enrico Cappelletti, M5S) la legge 145 è decaduta il 31 dicembre 2022.

La storia degli indennizzi e della possibile via d’uscita per il riparto dei residui è descritta in un altro capitolo dell’avv. prof. Rodoldo Bettiol, che di quella storia, insieme ad alcune associazioni meno strumentalizzate, è stato protagonista.

Editoria

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 Crac Banche Popolari Venete  Carmelo Barbagallo (capo della Vigilanza di Banca d’Italia)

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Eleonora Duse, divina e (un po’) vicentina per parte di mamma: Angelica Cappelletto era la ventunesima figlia di una famiglia poverissima

A un secolo dalla morte, resta troppo poco di questa donna che folgorò, tra gli altri, Cechov, Chaplin e Stanislavskij

Due settimane di febbre e delirio morfinico, un fiume instancabile di parole, rivolte a chi andava a trovarla, dedicate al suo rientro in Italia. Le tende abbassate, per non vedere il cielo freddo e le cupe ciminiere fumanti di Pittsburgh, sognando la sua Asolo. Come in un film di Gus Van Sant, il 21 aprile 1924 moriva a 67 anni Eleonora Duse, la «divina», come l’aveva scolpita per l’eternità il «vate» Gabriele d’Annunzio. Era in tournée negli Stati Uniti, dopo un ritiro dalle scene poi ritirato. Portava, tra le altre produzioni, La porta chiusa di Marco Praga. E lei quella porta chiusa la trovò davvero, il 5 aprile, quella del teatro Syria Mosque. Bussò per oltre un’ora, sotto la pioggia battente di una primavera troppo invernale. Già devastata dalla tisi sin dalla giovane età, non sopravvisse alla terribile polmonite.

Se la leggenda vuole che la piccola Eleonora nascesse in un vagone ferroviario di quarta classe, la realtà si discosta di poco: la «miglior cosa mai vista sul palcoscenico», per usare le parole di Charlie Chaplin, che la vide in scena a Los Angeles, nacque a Vigevano nel

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1858, durante una tournée della scalcinata compagnia dei genitori, Angelica Cappelletto, vicentina, ventunesima figlia di una famiglia poverissima, e dal chioggiotto Alessandro, che lasciò l’impiego al monte di pietà per l’arte drammatica.

Così racconta, sia pure con qualche incertezza sui riscontri Mario Cacciaglia (Eleonora Duse, ovvero vivere ardendo, Milano, Rusconi, 1998):

«Eleonora Duse nacque a Vigevano, allora appartenente al Regno di Sardegna, nell'albergo Cannon d'Oro, un lusso per i suoi genitori, che avevano lasciato il carrozzone dei comici per una sistemazione appena più decente in vista dell'imminente lieto evento. Il padre, che si chiamava Vincenzo, ma aveva optato per un nome d'arte più aulico, Alessandro, era uno dei tanti attori che giravano l'Italia settentrionale, l'Istria e la Dalmazia, interpretando disinvoltamente farse, drammi popolari, commedie e perfino sacre

rappresentazioni: erano gli ultimi epigoni della Commedia dell'Arte.

Battevano le piccole città in occasione di fiere e mercati, quando i buoni villici, disponendo di qualche svanzica in più, erano disposti a spenderla per vedere i comici, che montavano alla meglio il loro sgangherato palcoscenico un po' dove capitava, in una piazza, un'aia o un camerone. Si spostavano a piedi, su un carro o una barca, come all'epoca di Goldoni. Erano i soliti Italiens che da secoli avevano propagato per tutta l'Europa l'umile arte dei nostri comici recitando, natural-

 Eleonora Duse  Storia Vicentina

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mente a soggetto. Ma quale grande attore non recita a soggetto?

La madre, Angelica Cappelletto, definita nell'atto di nascita "benestante", non era mai stata tale: ventunesima figlia di una famiglia poverissima, Alessandro l'aveva incontrata durante i suoi eterni vagabondaggi e l'aveva sposata»

La bambina cresce sul «tavolaccio», come lei stessa definiva il palcoscenico, e a 24 anni è già una star internazionale, grazie al suo metodo recitativo rivoluzionario. Konstantin Sergeevič Stanislavskij lo decodificò nei libri. Il lavoro dell’attore su sé stesso e Il lavoro dell’attore sul personaggio e venne adottato dallo star system hollywoodiano, da Marlon Brando a Johnny

Depp. La sua grammatica mimica e gestuale era minimalista, ma di straordinaria efficacia.

Potente sulla scena e negli affari (dirigeva lei stessa le sue compagnie teatrali), non fu fortunata in amore, Eleonora. Visse un rapporto instabile con il poeta Arrigo Boito per 12 anni, fino all’incontro fatale con colui che le stravolse la vita: Gabriele d’Annunzio. Si conobbero nel 1894 a Venezia, ma la passione divampò nel settembre 1895 e per 9 anni consumarono un rapporto intenso e straordinario: lei divenne la sua inarrivabile musa ispiratrice e lui il più discusso drammaturgo del tempo. Di cinque anni più vecchia di lui, l’amò di un amore totale e devoto e sovvenzionò tutti i suoi ela-

borati e costosissimi allestimenti teatrali impegnandosi in estenuanti tournée; lui, pur amandola, non le risparmiò sofferenze ed umiliazioni (compreso l’impietoso ritratto che ne fece nel suo romanzo Il fuoco, nelle vesti della Foscarina), tradendola con tutte le attrici delle sue compagnie teatrali, con le sue migliori amiche e persino con sua figlia Enrichetta, senza ritegno. Non soddisfatto, nel 1903 d’Annunzio scrisse il suo capolavoro teatrale, La figlia di Iorio; Eleonora avrebbe voluto interpretare la protagonista, ma la recrudescenza violenta della tubercolosi e i suoi 45 anni indussero l’autore a scegliere un’altra attrice. E si scelse anche un’altra amante, stupenda, altissima e giovane,

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 Eleonora Duse con la madre Angelica Cappelletto, ritratto di Francesco Gavagnin (Fondazione Giorgio Cini)  Un'interpretazione drammatica della "Divina"  Storia Vicentina

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che apparve accanto a lui proprio alla prima, il 2 marzo 1904. Un doppio tradimento che graffiò la Duse per sempre. Quell’incomparabile «incantesimo solare» si interruppe, ma non quel legame troppo intenso, tanto che al Vittoriale, nello studio dove il poeta trascorreva gran parte del suo tempo, campeggiava proprio il busto dell’attrice, coperto da un velo, e mille volte lui la ricorderà con affetto e gratitudine durante il resto della sua vita. Gabriele ed Eleonora s’incontrarono per l’ultima volta nel 1922, all’Hotel Cavour di Milano; narra la leggenda che lui le si buttasse platealmente in ginocchio esclamando: «Quanto mi avete amato!» e che lei, aiutandolo a rialzarsi, replicasse:

«Ma non sapete quanto vi ho dimenticato!».

Ma questo folle amore per d’Annunzio occupa troppo spazio nella biografia ufficiale di una donna che amò tanto e lo fece con una modernità straordinaria: fu sedotta appena 20enne dal suo capocomico e il figlio morì a pochi giorni dal parto, avvenuto clandestinamente sul litorale pisano; l’anno dopo si sposò, già incinta della sua unica figlia, per poi separarsi dal marito fedifrago pochi mesi dopo, pronunciando frasi assai poco idilliache sul matrimonio, che, nel linguaggio moderno, potrebbero essere tradotte con «è sopravvalutato". Amò le donne, la Duse, anche fisicamente: celebri

le sue relazioni con la prima «maschia» Lina Puletti e con la cara amica Isadora Duncan, ma anche l’amicizia di una vita con Matilde Serao, la prima donna a fondare e dirigere un giornale. «Il fatto è che mentre tutti diffidano delle donne, io me la intendo benissimo con loro! Io non guardo se hanno mentito, se hanno tradito, se hanno peccato o se nacquero perverse, perché io sento che hanno pianto, hanno sofferto per sentire o per tradire o per amare... io mi metto con loro e per loro e le frugo, frugo non per mania di sofferenza, ma perché il mio compianto femminile è più grande e più dettagliato, è più dolce e più completo che non il compianto che mi accordano gli uomini», scrisse in un carteggio.

In questo universo globale e rumoroso, manca la sua voce magica nei toni bassi, sensuale, roca. Il segreto è crudele: la malattia le aveva scavato un polmone, dotandola di una sorta di cassa di risonanza, e le medicine che assumeva per curarsi la rendevano «ipnotica e isterica», come scrisse il pittore Paul Klee dopo averla vista a teatro, dove si esibiva senza trucco e con i suoi capelli bianchi. Fu la prima donna italiana sulla copertina del Time e Marilyn Monroe teneva una sua foto autografata in camerino, dono di Lee Strasberg. Ma, ubriachi di star da stream e social, oggi di lei resta troppo poco.

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Viva n. 6 / Marzo 2024 - 38
 Eleonora Duse in Francesca Da Rimini  Storia Vicentina

di Cristo” (alta 4,5 metri) nella chiesa di San Bernardo in Valbondiona, Alta Val Seriana (nota per le opere d'arte dal XV secolo). La stele per le ricorrenze fogazzariane – le donne di Fogazzaro entro e fuori i suoi romanzi – che si trova nella villa fogazzariana di Montegalda. Opere dimensionalmente notevoli come la “Universale” nella hall di un'azienda leonicena. All'estero, ove è ben conosciuto, specialmente nei paesi balcanici, il pannello “Compiacimento di Dio Padre” nella parrocchiale di San Giorgio a Pirano e sempre a Pirano, in casa Tartini, la statua “il trillo del diavolo”.

Acquarelli, bronzi, oli fanno parte di collezioni pubbliche (il Crocifisso

Quattro scelte per voi dalle collane Vicenza Papers e Vicenza Popolare Acquistabili nel nostro Shop & Meeting point in Contrà Vittorio Veneto 68, nelle migliori librerie, su Amazon e sul nostro e-commerce https://www.vipiu.it/shop/#libri € 10,00 Due volumi a € 14,00 La tradizione vicentina raccontata attraverso le sue ricette UMBERTO RIVA UMBERTO RIVA Arte culi ‘n aria Umberto Riva trova nell'arte figurativa una dimensione mentale diversa da quella filosofia/matematica in cui ha sempre vissuto ed in cui continua a vivere. Si è compiaciuto in varie esposizioni nel Castello inferiore di Marostica, alla Galleria Elle di Vicenza, alla Galleria Art'ù ove si è esibito nello spirito dechampiano con altri quattro artisti. Altre mostre collettive ed extempore in Italia ed all'estero. A Marostica la sua prima grande opera (sedici metri quadrati) quale ornamento all'abside della chiesetta di San Marco, seguita dal “Dolore
e le baute alla festa delle ciliege nella Torre Rivellina di Marostica) e private. Presente nel campo letterario come, ad esempio, i racconti pubblicati sotto il titolo "Può darsi", presente anche nella biblioteca d Marostica. Al presente, senza abbandonare la matematica per cui ha stilato alcune teorie nel campo quantistico e nel principio di indeterminazione, si dedica alla filosofia del pensiero e a conferenze ad essa rivolte anche tramite esternazioni su radio Gamma 5. Umberto Riva è nato a Vicenza, ove risiede, l'8 ottobre 1932. Editoriale ELAS Editoriale L’altra stampa icenza opolare / 2 3 € 9,90 ELAS_Ricette_copertina.indd 1 14/01/21 16:11 € 12,00 € 9,90

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Jacopo Poli racconta come ha raccolto l’eredità di Giobatta: la grappa griffata dall’altopiano di Asiago al mondo intero via Schiavon

Jacopo, ci racconta la storia familiare della sua azienda?

Poli Distilleria è un’azienda nata nel 1898 a opera di Giobatta Poli, che proveniva da una famiglia di osti che aveva un’attività sull’Altopiano di Asiago. Lui pensò di trasferirsi in pianura il 15 gennaio 1885 e di aprire l’osteria che prima aveva sull’Altopiano di fronte alla stazione del treno di Schiavon, piccolo paese di campagna, che veniva attraversato da una linea ferroviaria che collegava Vicenza a Bassano del Grappa. Di fronte alla stazione del treno c’era questa osteria e chi aspettava il treno poteva fermarsi a bere un goccetto di vino o di amaro, lo stesso che produciamo

ancora oggi con la stessa ricetta dell’epoca. Nei locali dell’osteria, qualche anno dopo, nel 1898, sorse una distilleria, perché i rapporti che il buon Giobatta aveva con i produttori di vino lo hanno spinto a comprare non solo il vino, ma anche la buccia dell’uva ovvero la vinaccia per fare la grappa. Inizialmente andava in giro per le fattorie a distillare sul posto la vinaccia. Parte della grappa veniva data come pagamento della materia prima alla cantina e parte andava in osteria. È iniziata così la storia di Poli grappaioli. Al buon Giobatta fece seguito il figlio, il nipote e poi io con i miei fratelli.

Qual è il tratto distintivo dell’azienda?

Ad oggi usiamo ancora lo stesso impianto che installò Giobatta nel 1898,

anche se nel tempo l’impianto è stato ingrandito. Nel 2001 e nel 2010 abbiamo installato altri due impianti di distillazione diversi fra loro. Perciò oggi l’azienda può utilizzare 3 impianti di distillazione diversi per caratteristiche e modo di distillare. L’azienda è quindi resa flessibile dal punto di vista produttivo. Sono impianti che potremmo paragonare a tre modi di cucinare diversi. Con questi impianti è possibile scolpire il profilo aromatico del distillato.

Quali sono le tecnologie d’avanguardia che utilizzate? Due dei nostri impianti, quelli installati più recentemente, l’impianto a bagnomaria e l’impianto a bagnomaria sottovuoto negli ultimi 3 anni sono stati dotati di una serie di sensori, sfruttando una nuova tecnologia, che

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 La famiglia Poli  Jacopo Poli

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permette di monitorare, durante la distillazione, tutta una serie di parametri che vanno dalla pressione alla velocità del flusso, dalla temperatura alle quantità di liquidi che passano attraverso l’impianto. Questo

ci ha permesso, nell’arco di tre anni di lavoro, di elaborare questi dati e oggi anche di determinare o stabilire delle ricette. Oggi siamo in grado, grazie a queste innovazioni di dire all’impianto di operare in maniera molto più precisa, accurata e costante rispetto a come si faceva prima. Ora possiamo gestire l’intero processo produttivo con competenza scientifica, senza nulla togliere all’artigianalità. E’ l’artigiano che dice all’impianto cosa fare e di fargli rifare lo stesso prodotto ottenuto in precedenza, con gli stessi parametri. Si dà così ripetibilità ad una procedura che prima veniva lasciata nelle mani del singolo distillatore.

Tradizione e innovazione vanno quindi di pari passo?

viamo con una grande curiosità di esplorare nuovi percorsi e soluzioni facendo rimanere inalterato il patrimonio di conoscenze e competenze che abbiamo strutturato nel tempo. Rispettiamo la tradizione ma ci apriamo a nuovi orizzonti.

Quali sono i progetti e gli obiettivi per il futuro?

Intanto occorre cercare di non fare danni- sorride- perché abbiamo ereditato qualcosa di buono e tutti questi anni trascorsi sono stati spesi per migliorare quello che abbiamo ricevuto. Vogliamo passare tutto questo a chi verrà dopo, nelle migliori condizioni possibili. Poi vogliamo rispettare il distillato, la grappa nella sua natura e nella sua identità, rispettare il consumatore, con l’obiettivo di progredire ancora e di evolvere. Abbiamo consapevolezza del percorso fatto finora e sappiamo che abbiamo ancora molta strada da fare.

I prodotti vengono distribuiti a livello internazionale?

Sì. Quello che abbiamo imparato finora è ancora poco rispetto a quello che abbiamo ancora da imparare. Con queste nuove soluzioni tecnologiche abbiamo capito che ci sono ancora molte cose da scoprire. Ci tro-

Sì. Nel panorama produttivo della grappa, questa distilleria lavora molto con l’estero. Abbiamo cominciato a esportare nella metà degli anni ‘80, nella convinzione che la grappa debba diventare un prodotto internazionale. Siamo partiti dai mercati limitrofi come Germania, Austria, Svizzera, Francia. Poi ci siamo allargati. Nel Nord Europa l’unico Paese dove non esportiamo è l’Irlanda. Ad oggi lavoriamo bene anche nei mercati di Canada, Stati Uniti, Centro America, Brasile, Guatemala, Venezuela. In Estremo Oriente lavoriamo bene con Giappone, Cina, Corea. Per quanto riguarda le esportazioni c’è ancora tanta strada da fare. L’Italia gode di un’ottima reputazione, anche per quanto riguarda la grappa.

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 Idee
d’impresa
 Museo Poli a Bassano del Grappa  Cella Poli Distilleria

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Bar Matteotti, dopo 18 anni chiude, ma nuova vita al Bistrot del tennis, in attesa della riqualificazione della piazza

Loris Azzolin, proprietario del locale dal 2006 tra musica, vino, arte e cultura, ora apre anche al tennis

di Tommaso De Beni

Il bar Matteotti di Vicenza ha festeggiato i 18 anni di attività. Purtroppo, è destinato a chiudere, così come ha chiuso, a fine 2023, il ristorante di pesce Massimo Gusto. Una zona, quella di piazza Matteotti, che perde due pezzi importanti da un punto di vista della socialità, soprattutto se, come sostengono alcune fonti vicine alla giunta attuale, si andrà finalmente a mettere le mani sull’ex Macello, trasformandolo in uno studentato, eliminando contestualmente anche il parcheggio e realizzando una grande zona pedonale con una piazza. La zona ha un enorme potenziale estetico e culturale, anche di polo attrattivo per i giovani, considerando l’ostello della gioventù, il palazzo Chiericati, il teatro Olimpico, il patronato poco lontano e, appunto, il futuro studentato. Se la visione della giunta è quella di una città per i giovani, oltre a eventi, bar, locali, piste ciclabili, offerta culturale, andrà ridimensionata la questione affitti e potenziata la disponibilità di alloggi. Ma questa, come si dice, è un’altra storia; nel frattempo abbiamo intervistato il thienese Loris Azzolin, che ha preso, venendo dal tennis, ma anche da tutt’altro lavoro, quasi per caso, il bar nel 2006 e lo ha gestito fino ad oggi e che

non mollerà, ma proseguirà con una nuova avventura. Il Matteotti è stato trasformato da Loris Azzolin in un punto di riferimento culturale, con la creazione di iniziative quali Prosa e prosit, presentazioni di libri (circa un centinaio), letture di poesie, esposizioni di artisti, concerti di musicisti poco noti nel mainstream, soprattutto giovani, ma molto ricercati e talentuosi. Insomma una proposta non solo enogastronomica, ma raffinata anche dal punto di vista culturale.

Come sono stati questi 18 anni? “Ho preso il bar nel 2006 e il locale si chiamava Pegasus. Prima ancora c’era il vecchio Crosara, il classico bar con le macchinette. Ho tenuto questo nome fino al 2014 e poi gli ho dato il nome che avevo sempre avuto in mente, cioè Matteotti. Sono sopravvissuto a tre grandi calamità – ci ha spiegato Loris – l’alluvione del 2010, che mi ha provocato circa 25 mila euro di danni, la legge

Bersani, che con la liberalizzazione selvaggia ha fatto proliferare il numero di bar, inflazionando l’attività e aumentando la concorrenza e infine il Covid, che, oltre al danno economico, ha cambiato, secondo me, e in peggio, anche il modo di vivere la piazza da parte delle persone. Tanti uffici si sono spostati dal centro, e quindi ho perso clienti“.

Qualche aneddoto sulla clientela?

“Per esempio quella volta in cui 45 portoghesi arrivati a Vicenza, alle tre e mezza del pomeriggio, mi hanno chiesto qualcosa da mangiare, e in meno di un’ora, da solo, li ho serviti tutti» oppure di quando “all’una di notte un’intera orchestra si è presentata alla mia porta per

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 Loris Azzolin (il terzo da sinistra con il gruppo I Brocchi in una serata al vecchio Bar Matteotti (foto: Laura Brotto)
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cenare e io fino alle tre li ho fatti cenare, facendomi anche aiutare da loro stessi ad affettare e a servire in tavola“.

Com’era questa zona nel 2006?

Quando l’ho preso io c’era già qualche problemino. C’era già il parcheggio, c’era sempre un hotel, però con un altro nome, cioè hotel Giardini; dove ora c’è Signorvino c’era una banca e dove c’è il Bacaro della Pizza c’era un altro baretto. C’era anche l’ostello, che poi ha chiuso qualche anno dopo e ora ha riaperto. Da quando sono arrivato, quindi negli ultimi 18 anni, tutte le varie amministrazioni hanno sempre promesso la riqualificazione di piazza Matteotti, ma nessuno finora l’ha mai fatto, nemmeno dopo il Covid. Sinceramente sono un po’ deluso, mi aspettavo un po’ più di collaborazione da parte del Comune per rilanciare questa zona insieme agli esercenti. Se non altro la zona non è peggiorata, anzi è migliorata, ancora adesso ha un enorme potenziale, ma potrebbe essere stata valorizzata di più.

Hai sempre avuto chiaro in mente che tipo di locale volevi creare? “Sono riuscito a far suonare qui molti artisti di cui sono molto orgoglioso, grazie anche alla collaborazione con il conservatorio, perché anche se non sono famosi nel mainstream, hanno collaborato con i più grandi artisti e sono molto bravi, come, per dirne uno, Pier Cortese. Parlo anche di gente del calibro di Marco Iacampo, che con la chitarra fa cose straordinarie. Ho fatto suonare gente da Napoli, Palermo, Roma, Avellino. Ho creato un’offerta alternativa rispetto a quella di altri bar»

Una nuova vita con il tennis

Si chiude un capitolo, ma se ne riapre un altro, aggiungendo, oltre all’enogastronomia e alla cultura, un’altra grande passione, e quasi professione, di Loris, cioè il tennis.

La sua intenzione, infatti, è quella di far rivivere il mood di raffinatezza culturale del Matteotti nel locale che andrà a gestire dopo, cioè il Bistrot del tennis, a poche centinaia di metri, cioè il bar del centro tennis Palladio, che ha già ospitato finora

alcuni eventi, come il diciottesimo compleanno di VicenzaPiù lo scorso 26 febbraio. “Ho intenzione di ripristinare l’iniziativa Prosa e prosit – conclude Loris – e spero di unire sport, bar, musica e cultura e ricreare un giro di clientela affezionata anche qui»

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 18° compleanno di VicenzaPiù al debutto del Bistrot del tennis (da sinistra: il sindaco Possamai con il direttore Coviello e la rappresentanza del Vicenza Volley, col presidente Andrea Ostuzzi)  Uno dei gruppi che ha suonato al Matteotti

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I luoghi della musica dal vivo a Vicenza. Alla scoperta di dove si può ascoltare senza pagare il biglietto

di Greta Anna Cattaneo

Vicenza è davvero una città morta? Passeggiando per sue le vie, anche di venerdì e sabato sera, sentendo solo il rumore dei propri passi, sembrerebbe proprio di sì.

La verità è che le performance a cielo aperto sono molto rare, ma numerosi locali del centro cittadino e non solo ospitano spesso al loro interno artisti e gruppi musicali con programmi anche interessanti.

Tra quelli che citiamo, pronti ad aggiungerne degli altri anche su segnalazione dei lettori e dei gestori, senza dubbio il Bar Borsa, con una delle offerte più conosciute ed attrattive della città, è una realtà raffinata e così centrale che si trova all'interno della Basilica Palladiana. Ogni lunedì qui si svolgono concerti jazz dal vivo con artisti di caratura internazionale e per partecipare basta sedersi a un tavolino e prendere qualcosa da bere. In alternativa c'è la possibilità, prenotando, di cenare prima del concerto avendo poi a disposizione il tavolo per tutta la durata dell'evento.

Anche Piazza delle Erbe, a pochi passi dal Bar Borsa, offre musica dal vivo gratuita in più di un locale.

È il caso del Cucù, bar giovanile e alla moda, che, a fianco di una vasta selezione di serate con dj, ogni tanto presenta serate con musica dal vivo, spesso in acustico o con voci femminili.

 Concerto jazz invernale al Borsa

Accanto al Cucù, in un ambiente più informale e dedicato alle birre artigianali, c'è il Refe (realtà legata al famoso Drunken Duck di Quinto Vicentino) che ogni domenica ad orario aperitivo porta nel «sottobottega» un giovane artista o un giovane gruppo rock, alternative rock o indie. A questi concerti sembra un po' di stare «a casa tra amici», in uno spazio piccolo ma confortevole e con una selezione di birre artigianali davvero ampia e curata.

Spostandoci in zona Barche troviamo un piccolo e caratteristico bar

di quartiere, il Bar Astra, dove tutti si conoscono perché chi lo frequenta è davvero «cliente affezionato». Qui si propone in genere un concerto a settimana, ad orario aperitivo, di gruppi giovani ed emergenti che spaziano dal rock più classico a quello demenziale.

Una realtà che ospita simili sonorità rock, ma con un respiro un po' più alternative e a volte grunge, è il Bar Marianna Pepè di Santa Caterina, altra realtà ben conosciuta da chi vuole ascoltare buona musica senza pagare il biglietto.

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Un discorso a parte va fatto per il Jammin Club (meglio conosciuto come Heineken), realtà storica di Via San Biagio, che ha da poco cambiato gestione, ma ha sempre ottime birre alla spina e ogni weekend ospita gruppi rock di vario genere. Qui, poi, un giorno a settimana ci si può divertire anche con serate dedicate al karaoke.

A volte la musica arriva anche dove non te lo aspetti, e così da qualche tempo anche nel tranquillo ambiente della Panineria del Centro, famosa da sempre per i suoi tramezzini, sono approdati dei piccoli concerti. Per lo più duo acustici e di musica leggera, che danno un po' di vivacità ai weekend di questo bar molto conosciuto per l'offerta di spuntini veloci.

Allontanandoci un po' dal centro, possiamo scoprire un locale ormai cult per la sua offerta di polpette. Infatti, da 5 anni Rumori è l'unico punto di riferimento per le polpette

a Vicenza, di ogni tipo: carne, pesce, vegetariane, vegane e anche dolci. Il locale è molto ampio e può ospitare concerti sia all'interno della sala più grande, che d'estate in un cortile interno molto suggestivo.

L'offerta musicale che accompagna cene ed aperitivi va dalla musica leggera, al rock, allo swing (accompagnato anche da balli).

Anche se non in centro, un locale che vale la pena citare per la musica dal vivo gratuita è sicuramente il Lucky Brews, birreria artigianale con un ampio locale in stile industriale. Ospita i concerti più importanti nella sala grande, ma offre anche piccoli eventi in una saletta a parte al piano superiore, dove comunque c'è uno spazio per spinare birra.

Al fianco di bar e locali, esistono due realtà giovanili molto attive nella proposta di musica dal vivo «gratuita». Parliamo di Porto Burci e del Caracol Olol Jackson. Qui la formula

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 Concerto grunge al Jammin (Heineken)  Concerto acustico al Refe

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è un po' diversa, perché la fruizione dei concerti non si basa sulle consumazioni nel locale, ma sulla sottoscrizione di una tessera, dal costo modico, che permette di frequentare questi centri culturali.

Qui per tutto l'anno e ogni weekend l'offerta musicale è molto varia, legata al gusto giovanile e alla sperimentazione. Infatti, possiamo trovare serate di techno sperimentale, di musica trash, di rock, di indie, di alternative e di metal. Alle esibizioni dal vivo spesso di alternano quelle dei dj.

Con l'estate quasi alle porte, vi ricordiamo che l'offerta musicale si amplierà molto.

Infatti, alcuni locali del centro, come L'oca Bianca da Ugo, inizieranno ad ospitare concerti all'esterno, anche nell'innovativa modalità «buskers». Poi ci saranno le location estive d'eccellenza, come Parco Fornaci o lo Spark di Marola. E non dimentichiamo che da quest'anno aumenteranno anche le «spiaggette» e alla classica Ultima Spiaggia di San Biagio si aggiungeranno altre due realtà con la sabbia, al parco Astichello e al parco Retrone.

Un discorso a parte merita il Bar Matteotti nell’omonima piazza, che a fine marzo chiude, anzi no.

Loris Azzolin, che tanti gruppi ha ospitato in 18 anni di attività, festeggiati lo scorso 8 marzo, si trasferirà al vicino Circolo tennis Palladio 98, in contrà della Piarda 11.

Lì, da aprile, in una location più grande, allargata a più frequentatori e ancora più viva grazie agli spazi « esterni» quando baciati dal sole o accarezzati dalla luna, e battezzata come Bistrot del tennis, continuerà a proporre gratuitamente tanti solisti e gruppi, gli ultimi Nova e Francesco, che si affiancheranno a poeti e scrittori.

Magari alla scoperta di nascenti Jannik Sinner o Jasmine Paolini della musica che, invece che coi rumori di racchette e palle da tennis, incanteranno con voci e suoni, per la prima volta quest’anno, anche gli spettatori dei tradizionali Internazionali di Tennis Città di Vicenza, torneo del prestigioso circuito Atp Challenge 75.

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 Concerto grunge al B.A.R. Marianna & Pepè  Ultimo Vicenza jazz in Basilica  Vicenza in musica

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Morte e risurrezione nell'arte medievale del Vicentino

Una passeggiata nelle testimonianze artistiche medievali del territorio che ci calano intensamente nel periodo pasquale

Approfittando dell'approssimarsi del periodo pasquale, possiamo idealmente (ma possiamo farlo anche materialmente) metterci in viaggio e, nel raggio di pochi chilometri, percorrere per intero i momenti es-

senziali della Pasqua attraverso le espressioni artistiche del medioevo vicentino, scoprendo, forse a sorpresa, quante e quanto importanti esse siano.

È ben noto come il mondo medievale, nelle sue espressioni artistiche, sia stato quasi interamente religioso: l'attenzione al mondo

ultraterreno ha rappresentato per l'uomo medievale un elemento fondante della propria vita, spesa in una tensione continua verso l'aldilà, verso il premio o la dannazione eterna; non è facile per noi uomini del XXI secolo comprendere come e in quale misura gli uomini del periodo medievale riservassero alla re-

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n. 6 / Marzo 2024 - 48  Medioevo vicentino
 Fig. 1. Schio (VI), chiesa di S. Martino: Crocifissione  Fig. 2. Grancona (VI), chiesa di S. Vincenzo: Deposizione

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ligione e, ovviamente, alla fede uno spazio importantissimo nel contesto della loro quotidianità, un'espressione spesso reale, come testimoniano per esempio i pellegrinaggi in Terrasanta, che per lo più confondiamo con un movimento volto alla conquista di territori d'oltremare, ma che per la maggior parte dei pellegrini, soprattutto nelle prime crociate, rappresentava in primis il desiderio di visitare i luoghi santi e di trarne giovamento per la propria salvezza spirituale.

Ecco dunque che in tale contesto, in cui il connubio tra arte e religione costituisce un elemento di fondamentale importanza nella mente dell'uomo medievale, la raffigurazione del cuore stesso della cattolicità non poteva che concentrarsi sui tre giorni durante i quali Cristo fu crocifisso per poi risorgere dei morti.

L'arte medievale vicentina, al pari di tutte le manifestazioni artistiche contemporanee, non soltanto si è concentrata su questi momenti essenziali, ma lo ha fatto attraverso figure di artisti, talvolta sconosciuti, poche altre volte noti alla critica, che hanno rappresentato in maniera straordinaria il momento della crocifissione, della deposizione e infine della risurrezione di Cristo.

Saliamo dunque in auto e dirigiamoci verso nord raggiungendo la località di Schio dove, all'interno di un piccolo edificio dedicato a San Martino (fig. 1), possiamo osservare una crocifissione dai toni in parte drammatici, ma che sembrano anche trasmetterci una serenità data dalla certezza che presto quel momento di morte si sarebbe trasformato In un interminabile periodo di gioia. La figura di Maria e quella di s. Giovanni, benché contrite nello sguardo, sembrano quasi accettare il drammatico momento nella consapevolezza della sua fugacità, e il volto di Cristo non è il volto di un sofferente, ma quasi di un dormien-

te, in attesa appunto della risurrezione.

Di questi affreschi – che risalgono alla seconda metà del XIV secolo – non conosciamo l'autore, ma da raffronti con altri esempi del territorio, in particolare quelli della chiesa dell'Immacolata concezione di S. Vito di Leguzzano (a pochi chilometri da Schio), possiamo affermare che si trattava di maestranze locali che, probabilmente dopo essere entrate in contatto con frescanti di altre aree della penisola, sono state in grado di esprimere il momento artistico più rilevante della religiosità medievale non soltanto sotto il profilo religioso, ma con capacità artistiche di notevole rilievo.

Lo stesso possiamo dire del secondo dei tre momenti, la deposizione, raffigurato nella chiesa di S. Vincenzo a Grancona (fig. 2), località per la quale dobbiamo spostarci verso il Basso Vicentino, approfittando magari di godere anche dei numerosi e validi punti di ristoro dell'area.

La composizione del quadro ci ricorda sostanzialmente quella della chiesa di S. Martino a Schio, ma questa volta il corpo di Cristo, con una rigidità che lo avvicina alle espressioni artistiche del Nord Europa, poggia in grembo alla Madre, anch'essa sicuramente rattristata, ma certa che quel drammatico momento costituisce soltanto un breve Intermezzo tra il dolore e la gioia.

Accanto a lei, alla sinistra di chi osserva, una delle sante più

rappresentate nell'arte medievale, s. Caterina di Alessandria e, a destra, una di quelle che più hanno appassionato non soltanto sotto il profilo artistico e religioso, ma esoterico: s. Maria Maddalena.

Saliamo nuovamente in auto e ci dirigiamo ancora a nord (il modo migliore per conoscere a fondo un territorio affascinante) ed entriamo nella chiesa dedicata a S. Giorgio a Velo D'Astico (fig. 3); qui possiamo osservare i momenti successivi alla crocifissione e in particolare il momento glorioso della risurrezione, dipinta questa volta da un pittore noto (Battista da Vicenza, che operò a cavallo tra XIV e XV secolo e di cui conosciamo numerose opere) all'interno della cappella dedicata a S. Antonio e voluta dei signori locali, i Maltraversi; il pittore vicentino è riuscito nell'intento di chiudere in maniera trionfale il momento pasquale in cui Cristo luminoso trionfa sulla morte.

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 Fig. 3. Velo D'Astico (VI), chiesa di S. Giorgio: Risurrezione  Medioevo vicentino

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 Pausa attiva

Una mente tecnologica ... by Petrus

con parole e fatti tecnologici Le soluzioni a p. 70

Crucitecnologia

ORIZZONTALI

1 Edificio di Andrea Palladio in Contrà Porti a Vicenza - 12 Ingegnere in tre lettere - 14 Mateo, scrittore del "Siglo d'Oro" - 15 Il biscotto di Saronno - 17 La Osaka tennista - 18 Copia piratata di software

19 I catanesi lo preferiscono quando è spento - 21 Film TV a episodi

23 Sud Sud-Est - 24 Nel canale - 26 La chiesa vicentina che ha sull'altare maggiore un polittico del 1404 di Battista da Vicenza

30 Un successo di Bob Dylan - 32 Romanzo di Hermann Hesse

33 Spesso comincia così - 35 Agnese... per Pedro - 37 Si raddoppia brindando - 38 Può correggere il caffè - 40 Il genere di Fabri Fibra

41 Sestetto dimezzato - 43 Fa fermare la compagnia - 44 Il petrolio inglese - 45 Gruppo che produce e distribuisce energia elettrica e gas - 47 Si coglie e si pilucca - 48 Conosciuti ai più - 49 L'Ozpetek regista (iniz.) - 50 Il comune del broccolo fiolaro - 51 Vi gioca in casa il Famila Basket.

VERTICALI

ORIZZONTALI

Sudoku

1 Edificio di Andrea Palladio in Contrà Porti a Vicenza - 12 Ingegnere in tre lettere - 14 Mateo, scrittore del "Siglo d'Oro" - La Osaka tennista - 18 Copia piratata di software - 19 I catanesi lo preferiscono quando è spento - 23 Sud Sud-Est - 24 Nel canale - 26 La chiesa vicentina che ha sull'altare maggiore un polittico del 1404 di Battista da Vicenza - 30 Un successo di Bob Dylan - 32 Spesso comincia così - 35 Agnese... per Pedro - 37 Si raddoppia brindando - Il genere di Fabri Fibra - 41 Sestetto dimezzato43 Fa fermare la compagnia - Gruppo che produce e distribuisce energia elettrica e gas - 47 L'Ozpetek regista (iniz.) - 50 Il comune del broccolo fiolaro -

VERTICALI

1 Si portano nei picnic - 2 Duella col terzino - 3 Il musicista Janácek - 4 Ricevute, accettate - 5 Tragedia di Voltaire - 6 Nel centro di Poznan - 7 L'architetto del Teatro Olimpico - 8 Ama "na donna" a Trastevere - 9 La erre di RAM in informatica - 10 Wind... azienda di telefonia - 11 Mutano tetti in tettoie - 12 Johannes che dipinse "Luce ampia" - 13 La valle trentina di Cles - 16 Un ponte di Andrea Palladio lo attraversa a Torri di Quartesolo

18 Antagonista del dog - 20 Poco adatto - 22 Tasto del PC - 23 Il fotogramma d'inizio di un film - 25 Vi nacque Mario Rigoni Stern27 Prima di feb. - 28 È formata da iniziali - 29 Si accolgono in casa

- 31 Eroga pensioni (sigla) - 34 Uno si corre a Siena - 36 "... Trek" col capitano Kirk - 37 Il più alto punto della montagna

39 Winnie the..., orsacchiotto dei cartoni - 40 Canta "Ti pretendo"

1 Si portano nei picnic - Il musicista Janácek - 4 Ricevute, accettate - 5 Tragedia di Voltaire - 6 Nel centro di Poznań - L'architetto del Teatro Olimpico - 8 Ama " na donna" a Trastevere - 9 La erre di RAM in informatica - Wind... azienda di telefonia - 11 Mutano tetti in tettoie12 Johannes che dipinse "Luce ampia" - La valle trentina di Cles - 16 Un ponte di Andrea Palladio lo attraversa a Torri di Quartesolo - Poco adatto - 22 Tasto del PC - 23 Il fotogramma d'inizio di un film - 27 Prima di feb. - 28 È formata da iniziali - 29 Si accolgono in casa - Uno si corre a Siena - 36 "... Trek" col capitano Kirk - 37 Il più alto punto della montagna - 39 Winnie the..., orsacchiotto dei cartoni - 40 Canta "Ti pretendo" - 42 Avverse per il poeta - 43 Uno da cui si discende - 46 Iniziali di Crozza - 47 In mezzo alla viuzza - 48 Si leggono in francese.

Lo schema contiene già alcuni indizi, ma ne potrai aggiungere altri rispondendo esattamente ai quiz proposti. Risolvere quindi il sudoku normalmente, sapendo che bisogna riempire la griglia con i numeri da 1 a 9, in modo che ogni numero compaia una sola volta in ciascuna riga,colonna e quadrato 3x3 (indicato da un bordo in grassetto). A4

- 42 Avverse per il poeta - 43 Uno da cui si discende - 46 Iniziali di Crozza - 47 In mezzo alla viuzza - 48 Si leggono in francese.

Critto

petrusmi@hotmail.it

CRITTO Petrus

Per risolvere il gioco, aiutatevi con la parola stampata e con gli incroci sostituendo a numero uguale lettera uguale.

Per risolvere il gioco, aiutatevi con la parola stampata e con gli incroci sostituendo a numero lettera uguale.

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Civena 1 Corso Palladio
Bissari Arnaldi 2 Piazza XX Settembre B4Chiericati 3Contrà Pasini
Angaran 4Contrà Porti
da Porto 5Contrà San Paolo D7 Arnaldi Tretti 6Piazza dei Signori E3 Cordellina 7 Piazza Matteotti G6 del Capitaniato 8 Viale Eretenio I1Alidosio Conti 9 Contrà Riale
ogni palazzo di Vicenza al relativo indirizzo. Ognuno di essi è contrassegnato da una coordinata che indica una casella del sudoku dentro la quale dovrai inserire il numero associato all’indirizzo.
B3
C6
D6Barbaran
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Umorismo in salsa vicentina

Se Enrico Gianieri, in arte Gec, non avesse preso spunto da John Gran- Carteret, il grande studioso ottocentesco francese dell’immagine, per fare la stessa cosa con i periodici satirici e umoristici italiani, avremmo perso una rilevante fonte documentale, estremamente importante perché in Italia dopo, il 1848, lo sviluppo della stampa e quindi dell’informazione e della politica fatta, anche, attraverso i giornali satirici ha certamente contribuito a creare la consapevolezza che il diritto di critica dei potenti non è, e non deve essere, considerato un reato.

Un esempio dell’importanza avuta dalla stampa satirica nell’800 è l’invito a partecipare all’inaugurazione, nel 1869, del canale di Suez che Ismail Pascià, vice re d’Egitto, fece a Casimiro Teja, direttore del giornale satirico torinese Pasquino

Per questo sfogliare le pagine dei periodici satirico/ umoristici vicentini nati dalla metà dell’800 alla seconda guerra mondiale ci permette di scoprire storie, informazioni e aneddoti altrimenti non riportati da altre fonti. Da verificare e controllare, ovviamente, ma frequentemente utili agli storici di professione.

Dopo l’annessione del Veneto al Regno d’Italia avvenuta nel 1866, nel vicentino è un fiorire di giornali finalmente liberi, ma bisogna attendere il 1869 per vedere nascere il primo dichiaratamente umoristico.

Si tratta di El Visentin, che

inizialmente si definisce nel sottotitolo Giornale umoristico popolare settimanale per poi modificare ripetutamente sia la testata sia il sottotitolo. Scritto in vernacolo, di tendenze liberalprogressiste, con brevi interruzioni dura sino al 1895.

Ad onor del vero bisogna dire che già nel 1876 non è più un giornale umoristico ma politico c di tendenze radial-progressiste.

Nel 1871 esce Il Marco Petola, anche questo in vernacolo, sottotitolato Giornale umoristico per tuti che vien fora a la Zobia e che , dal numero 4 cambia il nome in Crespin. Il settimanale dura solo 17 numeri.

Tra il 1885 e il 1886 a Thiene e poi a Breganze esce Patatrac che quasi subito muta il nome in Pata Trac ed ha una vita brevissima.

Stessa breve esistenza toccherà a Rompi-Scatole nel 1892, l’anno in cui esce anche il primo numero del più longevo e importante periodico satirico vicentino La Freccia

Giornale Illustrato, Umoristico, Satirico, Politico, Artistico, Glaciale, si sottotitola, è fortemente anticlericale, caratteristica molto comune a quel tipo di stampa, e dura sino al 1907 trasformandosi ne La Nuova Freccia nel 1905.

Affé, nel 1894 cerca di copiare La Freccia ma non regge che pochissimi numeri.

In seguito alla chiusura, ordinata dal prefetto, del giornale cattolico Donna Betta avvenuta nel maggio 1898 perché troppo critico del governo, nel luglio dello stesso anno esce Il Menestrello, periodico serio-umoristicopolitico-amministrativo-religiososociale- ecc. ecc. ecc. Vive sino ai primi del 1900.

Dal 1902 al 1903 dura la vita di El Bobò prima quindicinale e poi settimanale.

Ancora meno invece dura Turlupineide, organo umoristico caricaturale, che nel 1910 si spegne nel giro di due mesi.

Il 27 giugno 1918 vede la luce uno dei più importanti giornali tra quelli detti di trincea, ovvero

n. 6 / Marzo 2024 - 51  Umorismo vicentino
 El Visentin, 1869

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quei giornali che la struttura di propaganda dell’esercito italiano utilizzava per cercare di tenera lato il moral dei soldati al fronte e anche delle loro famiglie. Si tratta di Signor sì: armata degli altipiani.

I primi due numeri vengono editi proprio a Vicenza, dal numero tre la redazione passa invece a Milano.

Rispetto alle precedenti pubblicazioni può ovviamente vantare i rilevanti mezzi del servizio P, il servizio di vigilanza, assistenza e propaganda che viene istituito nei primi mesi del 1918 dal comando militare supremo.

Vengono scelti collaboratori importanti, particolarmente tra gli illustratori, quelli che negli altri giornali appaiono piuttosto modesti. Nei primi due numeri spiccano Aroldo Bonzagni e Gabriele Galantara le cui matite sanno creare immagini di propaganda particolarmente efficaci. Sono infatti le illustrazioni quelle che si imprimono con maggior forza nella mente dei soldati e degli italiani non essendoci ancora altri mezzi di comunicazione di massa. Spesso sono sottotitolate anche in inglese e francese.

Finita la guerra bisogna attendere sino al 1920 perché esca El Tamiso, Umoristico quindicinale Vicentino. Dura anche questo pochi

mesi.

Nel settembre del 1923 nasce Il Babau, Settimanale (o quasi) serio (o pressapoco) che dal numero 4 cambia nome in El Babao di Vicenza, settimanale umoristicosatirico.

L’aspetto interessante di questa pubblicazione è che si alternano alla responsabilità

n. 6 / Marzo 2024 - 52  Umorismo vicentino
 La "Nuova freccia", anno II, 1915  "Signor sì", n. 1, copertina di Aroldo Bonzagni

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della gerenza, dopo Alessandro Pilastro, Arturo Cavaliere e Guido Brunetta che rivestiranno lo stesso incarico, pochi mesi dopo, per il giornale Il Fascio, Organo della Federazione provinciale Fascista Vicentina

Ma dopo le elezioni del 1924 e il delitto Matteotti El Babao azzarda ad ironizzare sul fascismo

e su Mussolini, probabilmente nell’ambito delle diverse anime che convivevano nel movimento fascista. La stretta del regime sulla libertà di stampa colpisce però anche i camerati dissidenti e ne decreta la chiusura nel marzo del 1925.

Bisogna aspettare il dopo guerra, e la riconquistata libertà

di stampa, per vedere nascere nuovamente un giornale satirico che, riprendendo una vecchia testata, viene chiamato El Babao, quindicinale satirico-artistico. Il primo numero esce il 15 aprile 1946, anno I della Liberazione, tiene a sottolineare. Roberto della Valle ne è il direttore.

Una nuova storia ha inizio.

n. 6 / Marzo 2024 - 53
 Umorismo vicentino
 VIttorio Barichella, Strenna del Visentin, 1873  Gabriele Galantara

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Boomers. Come eravamo Parte Prima

di Massimo Parolin

Ho rubato il titolo di un film di Sidney Pollack del 1973 con Barbara Streisand e Robert Redford ma mi è sembrato la locuzione più bella per raccontare la Vicenza degli anni 70 e 80. La mia città di quel tempo era una straordinaria cartolina dai caleidoscopici colori, cangiante. La vita giovanile brulicava nelle serate d’estate, affollava le piazze e le contrà. I ragazzi si trovavano ovunque, riversati sotto casa a giocare nei marciapiedi. D’altronde il baby boom dei primi anni 60 era il postulato di tale fenomeno.

Ricordo con un pizzico di malinconia, che altro non è che la felicità di essere tristi, il mio vivere sociale, come quello di qualsiasi altro ragazzo dell’epoca, fatto di relazioni, di amicizie, di risate, di confronti anche accesi con i coetanei e discorsi conditi con batture demenziali. Non esistevano i cellulari, solo i telefoni a disco, dove l’abbonamento era talvolta in duplex per pagare la metà (ossia condiviso con altro utente, cosicché quando telefonava uno non poteva farlo l’altro). Quante volte mio padre mi ha urlato dalla cucina per avvertirmi che la conversazione doveva finire pena la «consegna» casalinga alla stregua di quella militare (le promesse poi diventavano autentiche minacce quando si telefonava alla morosa. Ore di chiamate che facevano lievitare la bolletta della SIP con il mio procreatore urlante davanti alla cassetta postale «chi xe che gà tele-

fonà in Cambogia ziodelchecan») Si parlava de visu, tanto per usare un latinismo. Si poteva godere pertanto delle emozioni della persona che si aveva di fronte, capire il suo stato d’animo. Oggi ci sono gli emoticon al posto delle emozioni vere. Ossia trasmetto ciò che provo tramite una faccina. Desolante, ma il prezzo che dobbiamo pagare al progresso. Se di progresso poi si tratta. E dannazione a me, anch’io purtroppo mi sono roboticamente conformato a ciò, anche se obtorto collo. Un’utopia riuscire a fuggire come Logan nel celeberrimo film del ’76. Di necessità virtù, pertanto, direbbe taluno e via tutti ad attendere la fatidica, messianica spunta blu. Ad aspettare ansiosamente la risposta dell’altro, quasi irritandoci se il nostro interlocutore non lo fa con estrema sollecitudine. Così il rispondere è diventato un dovere, come nel Critone di Platone, assolutamente inammissibile il silenzio. Silenzio che talvolta dovrebbe valere più di qualsiasi parola. Evidente parallelismo sorge con l’attesa dell’innamorato, figura importante dello straordinario saggio di Roland Barthes (Frammenti di un discorso amoroso)

«Sono innamorato? – Sì, poiché sto aspettando. L’altro, invece, non aspetta mai. Talvolta, ho voglia di giocare a quello che non aspetta; cerco allora di tenermi occupato, di arrivare in ritardo; ma a questo gioco io perdo sempre: qualunque cosa io faccia, mi ritrovo sempre sfaccendato, esatto, o per meglio dire in anticipo. La fatale identità dell’innamo-

rato non è altro che: io sono quello che aspetta.

»

Quando invece basterebbe incontrarsi, parlare e dirsi nel nostro bellissimo veneto «Ciò ti cosa ghe ne pensito». Ma tant’è!

In quel tempo (così tanto per usare linguaggio biblico importante, tanto ci sono cari e meritevoli di attenzione questi ricordi a noi neosessantenni) le sere d’estate, terminata la cena, ci si incontrava, anzi ci si reincontrava poiché tutto il pomeriggio lo si aveva già passato in oratorio (San Nicola) a giocare a calcio. Quante pallonate sulle porte

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 Resti delle scale
Boomers
 Il Cinema Berico

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di legno (le uscite di sicurezza che davano sul cortile) del cinema Berico in Contrà Busa San Michele (oggi bellissime residenze).

Calci sferrati con tal vigore che inducevano la maschera ad uscire dalla biglietteria per venire a rimbrottarci «cossa faxio toxi, la gavio finia o no. Gò da vegnere dentro e darve na catana? Tenti che ciamo Don Canova», in quanto coloro che assistevano al film sobbalzavano sulle sedie dal rumore provocato, pari allo scoppio di un «raudo». Poi l’uomo con la torcia se ne andava e noi ricominciavamo, per poi scappare facendo perdere le nostre tracce verso Ponte San Michele. A noi i guerrieri della notte ci facevano un baffo.

Io vivevo in Contrà SS. Apostoli una microcellula sociale del macroinsieme Vicenza. C’era tutto. Il salumiere, il fruttivendolo, il barbiere Cracco ( che per lavarmi i capelli prima del tagli mi infilava una ciambella di gomma in testa affinche lo shampoo non andasse negli occhi – mica esistevano allora i lavandini portatili da porre dietro la poltrona) lo scarpareto ( con i suoi mille chiodi di tutte le misure riposti in cassettini di legno e la colla Artiglio Super), il macellaio, il negozio di abbigliamento Grotta Mode (dove ancora insistono i resti del Teatro Berga romano), il negozio di strumenti musicali Jacolino, la sede delle corriere Capozzo, il lattaio, il bar dalla «Guerrina» dove negli anni 70 chi ancora non aveva la televisione si riuniva per vedere il Rischiatutto di Mike Bongiorno, finanche le pompe funebri (Cera). Ecco, eravamo serviti di tutto, dalla nascita alla morte. Non mancava proprio nulla. Ciò che necessitava era sottomano e fortemente personalizzato. Altro che i centri commerciali privi di qualsivoglia identità ed eredità culturale.

Vicino a Contra SS. Apostoli il nostro Punte Furo e Campo Marzo o

Campo Marzio che dir si voglia, con buona pace di mio fratello Luciano che su questo tema ha scritto tomi degni del Digesto Romano.

Ponte Furo che veniva allietato dalla presenza delle lucciole attempate (ed è un eufemismo, più giusto sarebbe dire con un piede più di là che di qua) dell’epoca. Prima tra tutte la Celestina mitico personaggio dell’epoca, quasi un arredo urbano di quel ponte, da non confondersi con la Gelsomina sua succeditrice. Nessun vicentino doc, nato nei 50/60, può dire di non averle viste almeno una volta.

Campo Marzo che per chi non lo sapesse ha ospitato per lunghi anni pure il circo, poi spostato a Foro Boario, nel prato ove adesso insiste l’area di sgambamento cani. Ancora oggi mi sembra di udire le sirene e la musica proveniente dal Circo Americano a tre piste ivi insediato e i suoi figuranti, talvolta nani, che camminando per la città regalavano biglietti sconto per gli spettacoli od addirittura inscenavano una processione fatta di giocolieri e pagliacci per le vie della città. Così da ammaliare il pubblico ed invogliarlo allo spettacolo, una vera cuccagna usavano gridare, copiando dal Collodi.

Poco più su troneggiava il ponte di ferro sopra la ferrovia, posto all’altezza del X Giugno (poi abbattuto, ma la sua esistenza ancora testimoniata dalla muratura dell’ingresso e da qualche alzata delle sue scale, oggi nascoste dal terriccio) dal quale si poteva scorgere l’arrivo della tranvia Vicenza-Noventa-Montagnana (la Littorina) che transitava per Longara e Campedello. Poi passata a miglior vita, lasciando il suo sedime ad una meno romantica ciclabile.

Tranvia che trasportava tutti i ragazzi dal basso vicentino alle scuole del centro città facendo la sua penultima fermata (prima della Stazione capolinea) nel lato opposto delle scalette di Monte Berico. An-

cora presenti troviamo infatti le sue scale (e sotto di esse c’era la biglietteria) che dai binari permettevano di scendere ai marciapiedi di Santa Caterina e poi condurre i ragazzi verso la vicine Scuola Media Maffei e Scamozzi

Vicenza Città bellissima e per queste ragioni, ma non solo, romanticissima.

Dovremmo fermarci di più, noi vicentini, ad osservare (e non solamente guardare) ciò che è rimasto del nostro recente passato. Cercarlo, perché ancora c’è.

Poiché tra non molto anche queste vestigie scompariranno lasciando il posto ad un futuro emoticonizzato.

Ed un giorno, purtroppo, potremo solo raccontarle.

n. 6 / Marzo 2024 - 55
 Boomers
 Monsignor Canova – Parrocco dei «Servi»  Resti appena visibili del ponte

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Mariella Cavallaro vuol riportare in alto la pallavolo femminile biancorossa con il Vicenza Volley.

Nel 2001 l’aveva già chiamata il presidente della Minetti ma era in dolce attesa

di Edoardo Pepe

Nella pallavolo veneta è un'istituzione, una garanzia tinta di rosa che tra esperienza e competenza ha vissuto tante avventure nella sua regione e non smette di inseguire nuovi traguardi. Stiamo parlando di Mariella Cavallaro, padovana e attuale coach di Vicenza Volley in B1 femminile dove con la società del presidente Andrea Ostuzzi insegue il sogno-play off delle beriche.

“Sono nata con la passione dello sport trasmessa da mio padreracconta Mariella di se stessa -. Ho iniziato con l'atletica arrivando ad allenarmi e gareggiare con la campionessa Gabriella Dorio ma sul più bello ho dovuto smettere per problemi fisici. Mi sono sempre divisa

tra studio e volley conseguendo una triennale in radiologia e una quasi laurea magistrale in economia (mancherebbero 4 esami) e tutto sempre

lavorando ed allenando, si perché la mia vita da giocatrice di pallavolo è stata breve, solo qualche anno arrivando ad essere nella rosa di una serie B padovana. La passione per l'insegnamento ha avuto il sopravvento e mi sono dedicata alla carriera di allenatrice. Devo dire che per fare quello che ho fatto molto lo devo alla mia famiglia che mi ha supportato nelle scelte e mi è stata vicina, non sarei arrivata dove sono senza il loro supporto e la mia passione è diventata anche la loro. Per il resto mi divido tra il lavoro nella radiologia universitaria di Padova, i ragazzi del primo anno della triennale di radiologia, la pallavolo e la famiglia con un figlio. Rimane veramente poco per qualsiasi altra cosa».

"Da ragazzina - racconta Mariella riavvolgendo ora il nastro della propria carriera - giocavo da centrale, ma fin da giovanissima ho seguito un

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n. 6 / Marzo 2024 - 56
 Sport
 Mariella Cavallaro in sala pesi  Stagione 1995, Codevigo, serie D

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corso allenatori; a 21 anni ho conseguito il terzo grado a Norcia, nel 1989, risultando una delle più giovani se non la più giovane a poter allenare in serie A. Avevo iniziato con una Prima divisione maschile a Padova nelle cui fila giocava Leo Morsut (poi approdato in A1), che adesso ha una brillante carriera di ricercatore in America. Poi sono passata al femminile, dove ho guidato a Codevigo una delle primissime formazioni under 18 impegnate in serie D, una rarità all'epoca. Queste giovani hanno fatto molto bene e questo mi ha permesso di diventare selezionatrice provinciale Fipav Padova dal 1996 al 1999. Nel frattempo, ho conosciuto la serie B1 come seconda a Sarmeola e al Petrarca: studiavo l'avversaria di turno oltre a essere responsabile tecnico del settore giovanile, ruolo che ho sempre portato avanti nelle esperienze da vice. Poi venne la prima esperienza da primo allenatore in B1 al Sartori Petrarca Padova e proprio alla mia prima esperienza con quella maglia abbiamo subito festeggiato la promozione in A2 nel 1999-2000. Il libero era l'allora sedicenne Isabella Zilio, poi approdata nelle nazionali giovanili azzurre e in prima squadra a Vicenza".

Quindi Mariella Cavallaro svela un aneddoto. "All'epoca non c'erano programmi computerizzati o scoutman per rilevare le statistiche, si lavorava con le cassette VHS, la tattica veniva scritta a mano, le traiettorie disegnate. Segnavi i minuti esatti delle azioni per fare rivedere in video le situazioni in cui erano presenti determinate rotazioni o azioni ed era tutto un avanti-indietro con il telecomando. Per lo scambio delle cassette tra club c'era la spedizione rigorosamente fatta il lunedì, anche se c'erano i furbi che te la spedivano il martedì...

Talvolta capitava di trovarti fisicamente a metà strada al lunedì per lo scambio, mentre le società più ricche inviavano persone a filmare la partita interessata".

Altra curiosità che oggi farebbe scalpore: "Alla Petrarca Padova c'erano tanti sport di importanza nazionale sotto la stessa egida, una società gestita dai gesuiti; alle riunioni dei presidenti potevano essere presenti solo maschi e noi che eravamo la squadra femminile con un'allenatrice donna e una presidente donna (Giovanna Sartori) non potevamo partecipare".

Il presente si chiama Vicenza Volley, ma il rapporto con la città berica sarebbe potuto iniziare ben prima. "Nel 2001 l'allora presidente della Minetti, Giovanni Coviello, mi chiamò per allenare la seconda squadra, quella giovanile del Vicenza in B1 dove tra le atlete c'era anche "Moky" De Gennaro, mentre la prima militava ai vertici in A1. Io però ero incinta e dovetti declinare la propsota". Dopo aver partorito, sono arrivate esperienze alla Megius Padova partendo dalla B1 e quella di selezionatrice regionale femminile del Veneto, seguendo anche le nazionali giovanili azzurre in alcuni stage quando i tecnici erano

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 Sport
 Stagione 2003-2004 Megius Padova, serie B1  Under 20 pallavolo Padova, amichevole con la nazionale inglese nel 2005

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Davide Galli, Marco Mencarelli e Angelo Lorenzetti.

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Ancora Padova, poi, questa volta declinato al maschile: "Ho avuto la possibilità di fare l'assistente in A1 a fianco di Mauro Berruto, allenando anche in prima persona l'under 20". Dal 2007 ancora volley rosa padovano con il Valsugana di Adriano Bilato, Micromeccanica (B1 dal 2007 al 2009), Policart Juvenilia (B1, 2010/2011) e Pool Patavium, progetto giovanile tra il 2011 al 2013. "Questa avventura mi ha dato tante soddisfazioni, lavorando su ragazze che poi sono approdate in A o B: in generale non poche ragazze o ragazzi che ho allenato hanno avuto traguardi importanti raggiungendo anche le nazionali giovanili".

Si arriva all'ultimo decennio: "Dopo la stagione a Le Ali Padova B1, nel 2017-2018 è arrivata la chiamata di Vicenza, che mi era rimasta nel cuore. Il progetto nuovo mi ha colpito e ho detto sì al presidente Andrea Ostuzzi senza avere la garanzia che fosse B2 o B1, così ha fatto anche Elena D'Ambros, libero storico dei primi anni di questo progetto. Abbiamo iniziato con un quarto posto con una squadra costruita all'ultimo in B1, poi abbiamo centrato il secondo posto in Coppa Italia organizzata in casa e

arrivati alla finale play off. Nell'anno stoppato dal Covid mi sono concentrata sul settore giovanile iniziando a muovere i primi passi da direttore sportivo, ruolo dove poi nella stagione successiva ho festeggiato la promozione in A2, mentre in panchina c'era Luca Chiappini". Il resto è storia recente, con due anni da ds nella seconda serie nazionale e quest'anno il ritorno in panchina in B1.

"Mi mancava allenare - confessa Mariella - Ci avevo riflettuto anche prima quando era mi arrivata la proposta dalla nazionale iraniana. Quest'anno a Vicenza volevamo fare un anno tranquillo tra persone che già si conoscevano, il presidente Ostuzzi ha spinto affinché accettassi di tornare in panchina, anche se tra impegni familiari e professionali oltre al volley, che occupa anche 2 allenamenti al giorno, è dura e si finisce di lavorare anche di notte a volte".

Una donna alla guida di un gruppo femminile ad alto livello: raro, sicuramente, anche se per la vecchia Minetti erano già passate, oltre a Patrizia Carlan, anche figure famose come Simonetta Avalle e Manù Benelli. Difficile? "Un tempo lo era ancora di più, c'era lo stereotipo dell'allenatore maschio burbero per ottenere risultati, ma non mi piace-

va: non mi sembrava possibile fosse l'unico modo per vincere. Ora sono cambiate le generazioni, è un po' meno difficile per una donna allenare una squadra femminile e, se trovi un gruppo che capisce, puoi avere grandi soddisfazioni. Tutt'ora alleno un gruppo che mi regala ottime sensazioni, io cerco di lavorare molto nel capire le sfumature psicologiche di ogni ragazza e di creare un ambiente in cui si sta bene".

Un pregio e un difetto da coach? "Sono molto meticolosa, preparo ogni dettaglio dei match ed è un aspetto che ho imparato a Padova in A1 maschile. Mi piacerebbe fare molta più tecnica, ma mi rendo conto che con gruppi di grandi non è performante curare solo questo aspetto. Confesso che mi piacerebbe fare ancora più sedute di allenamento, ma sto capendo che c'è il rischio che le ragazze arrivino stanche alla partita: sto lavorando su me stessa anche su questo".

Allora, vista la storia di (multi)impegno di Mariella, oltre che ricordare i fasti passati, non c’è che da puntare a quelli futuri per i quali sta lavorando l’attuale club.

n. 6 / Marzo 2024 - 58
 Mariella Cavallaro con Marco Mencarelli
 Sport
 2008, Valsugana B1

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Giulio Gobbo,

l'assistente

di

Zara

che studia per diventare grande e vince all’esordio in sua attesa

Il vice della coach alla Velcofin Interlocks Vicenza ha appeso gli scarpini al chiodo a soli 22 anni per dedicarsi alla carriera da allenatore e ha già guidato la prima squadra in occasione del successo contro Abano di Edoardo Ferrio

Per tutti gli sportivi, ad un certo punto, arriva il momento di appendere gli scarpini (o i guantoni o quello che sia) al chiodo. Giulio Gobbo, però, non ha atteso la fine della propria carriera di giocatore di basket: l'ha fatto quando doveva ancora compiere ventitré anni, alla fine della stagione 2021-22. Il motivo è presto detto: aveva capito che voleva diventare allenatore e che voleva farlo subito. «Non è stata una scelta casuale» –racconta lui – «Anzi, sono sempre stato appassionato di basket a tutti i livelli. Per me è stato un passaggio naturale quello dal campo alla panchina»

Nato il 2 dicembre 1999 a Treviso, Giulio Gobbo ha chiuso la propria carriera da giocatore al Roncade Basket. Il pallino di passare in panchina era troppo importante e, appena arrivata un'occasione, ha voluto coglierla al volo « Mi piace molto lavorare con i giovani, anche se in questo caso sarebbe giusto dire le giovani; per me è importante che la persona che mi sta davanti cresca sportivamente e anche umanamente, voglio fare in modo che chi si allena con me possa ambire al massimo livello possibile. Così, nell'estate 2022, arrivò la proposta di Ponzano e l'accettai subito. Al di là della possibilità di stare vicino a casa, essere vice di un coach esperto come Matteo Gam-

barotto in una squadra di Serie A2 era troppo stimolante »

L'anno con la squadra della Marca è stato vissuto intensamente e si è concluso con la salvezza ai play-out ai danni di Trieste (poi ripescata in estate). La scelta successiva è ricaduta su una piazza importante come Vicenza, dove si è trovato inizialmente al seguito di coach Rebellato. «Purtroppo, nei primi mesi, la squadra ha fatto fatica a fare risultato» – spiega l'assistente – «e il cambio in panchina è stato in qualche modo obbligato. Poi è arrivata Francesca e la situazione è piano piano svoltata» giocando un basket più offensivo e frizzante. «Con Francesca ci siamo intesi subito» –ci tiene a sottolineare Gobbo – «Siamo in linea su tantissimi aspetti della pallacanestro, che viviamo entrambi in modo dinamico e veloce. Per lei ho solo parole positive e per me è un onore far parte del suo staff perché mi sta dando tantissimi stimoli e mi sta aiutando a crescere. Mi coinvolge molto come assistente e questo, a mio modo di vedere, è importantissimo».

sabato sera potesse già conoscere la squadra. Così mi hanno affidato la guida tecnica del gruppo per quella partita: l'emozione che ho sentito in quei giorni, vedendo le ragazze che stavano cercando di sbloccarsi da una situazione difficile e che facevano di tutto per portare a casa il risultato, è stato il massimo. Mi sono emozionato ad ogni canestro fatto e ad ogni difesa fatta bene. Aver ottenuto anche la vittoria, la prima del nostro campionato, mi ha riempito di orgoglio».

Il cambio di allenatore ha anche dato la possibilità a Giulio della sua primissima esperienza da capo allenatore in A2: «Francesca è arrivata in città il venerdì sera» – racconta Gobbo – «e non era pensabile che il

Sul suo modello, però, l'assistente biancorosso non fa nomi: «Cerco di prendere qualcosa da ciascuno. Come ho preso qualcosa da Gambarotto, l'ho presa anche da Rebellato e adesso da Francesca. Cerco di approcciarmi alle situazioni sempre in maniera diversa in modo da poter sempre fare la cosa migliore. Credo che solo così possa crescere come allenatore»

La strada imboccata sembra proprio essere quella giusta.

n. 6 / Marzo 2024 - 59
 Sport
 Giulio Gobbo, da coach delle Velcofin Interlocks Vicenza

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50 anni di rugby a Vicenza nelle parole di Silvio Marchetto

Fondatore, giocatore, presidente: uno dei pionieri della palla ovale sotto i Berici ripercorre mezzo secolo di rugby a Vicenza

di Edoardo Ferrio

In un periodo fortunato per il rugby italiano, vista la recentissima e fortunata campagna europea nel 6 Nazioni di quest'anno, non può sfuggire agli appassionati vicentini che nel 2024 si celebrano i cinquant'anni di rugby a Vicenza. Mezzo secolo di storia, ma con un futuro tutto da scrivere, come ricorda Silvio Marchetto, uno dei fondatori della società nel 1974 e in seguito anche presidente (nel 1989, prima della fusione con la Titanus, e successivamente dalla rifondazione del 1995 ai primi del 2000): «I ricordi più belli sono anche quelli più recenti» – ricorda il fondatore, oggi presidente onorario della società – «La promozione dell'anno scorso è stato forse il momento più alto della società fino a questo momento».

Nato il 3 febbraio 1940, Marchetto si approccia al rugby a diciassette anni, giocando con il Recoaro Rugby XIII, squadra di rugby a tredici (una variante del più classico a quindici), che però ha vita breve e nel 1962 si scioglie. «Mi ritrovai dopo solo tre settimane a giocare in prima squadra» – ricorda l'ex presidente – «Avevo una buona manualità e soprattutto, venendo dal mondo del calcio, sapevo fare i piazzati. Così nel giro di un amen mi ritrovati a giocare con la prima squadra».

Il gruppo di giocatori, comunque, dimostra grande solidità e unione, tanto che nel 1974 Marchetto si ritrova con alcuni degli storici membri della Recoaro per ridare vita alla palla ovale a Vicenza: «Io, Inchiarutti, Valente, Lanaro, solo per citarne alcuni, continuammo a vederci anche dopo lo scioglimento della società. A furia di parlare e mettere giù idee, arrivammo alla decisione di far partire una nuova squadra e a settembre del 1974 si tornò a giocare a rugby a Vicenza. Nonostante non fossi giovanissimo, rimisi anche gli scarpini al piede, fino al 1977, prima di intraprendere per dieci anni la carriera di arbitro».

Era un rugby molto diverso, quello giocato a Vicenza negli anni '60 e '70: «Non avevamo nessuna struttura a disposizione, giocavamo nel campo sportivo del quartiere

 Silvio Marchetto, fondatore, giocatore, presidente del Rugby Vicenza

dei Ferrovieri» ricorda l'ex giocatore «Le uniche chiazze d'erba erano agli angoli del campo, il resto era un terreno abrasivo di terra e carbonella buttata via dalle caldaie delle locomotive. Si tornava a casa neri per il carbone e rossi per il sangue. Non avevamo le docce, c'erano dei getti d'acqua all'aperto con cui ci potevamo dare una prima ripulita prima di tornare a casa. Gli spogliatoi erano striminziti e difficilmente si riusciva a stare tutti e quindici insieme, bisognava darsi i turni per cambiarsi. Non parliamo poi delle trasferte, che quando erano lontane ci costringevano a levatacce alle cinque della mattina per prendere il treno e viaggiare per l'Italia: da Bologna a Padova, da Milano fino ad Alessandria, ogni domenica, finché eravamo giovani, partivamo per andare a giocare ovunque».

Per non parlare delle differenze di regolamento: «All'epoca, quando qualcuno finiva per terra era assolutamente normale passarci sopra e calpestarlo, faceva parte del gioco. Oggi questo è un fallo che viene punito immediatamente con l'espulsione. Era un rugby molto diverso, più duro e meno cavalleresco forse di oggi, ma ugualmente divertente».

Marchetto comunque ci tiene a sottolineare come far partire una società in Veneto fosse più semplice che in altre parti d'Italia: «La vicinanza con altre squadre del

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territorio e la possibilità di avere giocatori che avevano giocato ad alti livelli, specie nel Padovano, ci diede la possibilità di crescere in fretta, sia a livello di organico che di conoscenza del gioco».

La squadra comunque, al netto delle poche strutture a disposizione, cresce di popolarità nel territorio, al punto che velocemente riesce ad avere due giovanili (Seniores e Under 19). Sono anni in cui Vicenza arriva anche ad un passo dalla Serie B, perdendo la finale play-off contro Civitavecchia. Questo prima che, alla fine degli anni '80, la società viva un momento importante con la fusione assieme alla Titanus Rugby.

«Nel 1989, finito di fare l'arbitro, ero tornato come presidente della società, ma molti giocatori stavano andando a giocare a Thiene, ci mancava ricambio» – racconta Marchet-

to – «Così arrivò l'idea di fondere la nostra realtà con quella thienese, dando vita alla Titanus Rugby Vicentino, composta quasi interamente da giocatori nostrani. Nel giro di tre anni arrivammo dalla C2 all'A2 e posso fregiarmi di essere stato vicepresidente di quella società. Poi, con lo scioglimento dovuto alle vicende che avevano coinvolto Dalle Carbonare, tornò il rugby Vicenza. Ripartimmo dalla Serie B, finendo presto in C, ma seminando tanto a livello giovanile e avviando il minirugby Vicenza». Così, pur dovendo ripartire un'altra volta, i Rangers Rugby Vicenza risalgono la china fino ad arrivare alla recen-

te promozione in massima serie. «Sono sempre rimasto a contatto con la squadra e la società» – aggiunge il fondatore – «mantenendo ruoli anche se di minore rilevanza. Ho potuto seguire in prima persona però gli spareggi e la promozione dello scorso anno: è stata un'emozione irripetibile vedere finalmente Vicenza arrivare al massimo livello del rugby italiano dopo tanti anni. Oggi, seguo ancora la squadra: do una mano ai ragazzi stranieri con i permessi di soggiorno e aiuto come posso la società, con la speranza di vedere sempre più crescere il nostro movimento».

Con l'Italia che chiude il Sei Nazioni vincendo due partite e pareggiando in Francia, Marchetto ci tiene ad aggiungere: «Sono tante le amicizie create, i rapporti consolidati e le facce amiche che si incontrano in questo mondo. Posso dire con orgoglio che se oggi il rugby italiano sta per entrare nella propria maturità, sportiva, è anche grazie a pionieri come noi, che siamo riusciti a rendere l'ovale popolare in città come la nostra e in tutto il Paese».

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 1959, ai Ferrovieri  1958

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Il viaggio di Sami Sanad: dal College basket a Vicenza per tenere la serie B

Figlio di un sudanese e un'italiana, nato in Belgio ma cresciuto in Italia, Sanad arriva sotto i Berici per aiutare la Civitus Allianz Vicenza a centrare la salvezza

Dal Belgio all'Italia, dal Tennessee a Monfalcone fino all'arrivo a Vicenza per dare un contributo alla salvezza della squadra di pallacanestro biancorossa, impegnata nel campionato di Serie B Nazionale, il terzo livello della palla a spicchi italiana. Il viaggio di Sami Sanad per arrivare all'ombra di Monte Berico è stato lungo, ma più che tortuoso e irto di pericoli come quello di Frodo e Sam nel Signore degli Anelli di tolkeniana scrittura, ha più somiglianze con Sulla strada di Jack Kerouac, per la voglia di imparare e di scoprire il mondo della pallacanestro, specie quella oltreoceano.

Nato nel 1998 in Belgio, 197 centimetri per 91 chili, Sanad è figlio di padre sudanese e madre italiana. Rientrato in Italia a cinque anni, non ha sempre giocato a pallacanestro: il suo amore per la palla a spicchi è nato solo dopo l'aver iniziato la sua carriera sportiva, praticando atletica. Quindi, a sedici anni, l'abbandono della pista in favore del parquet e una parabola che l'ha portato, dopo gli esordi tra Friuli e Oderzo, in America, al college, per crescere come giocatore e realizzare il suo percorso di studi. Dopo quattro anni di basket universitario, Sami è rientrato a casa e, dopo aver iniziato la sua stagione a Monfalcone, a metà campionato si è spostato a Vicenza, alla corte di coach Cilio, per dare un contributo importante per la salvez-

za. «Sono qui da nemmeno un mese» – racconta Sanad – «Mi sto ancora ambientando, ma sentivo che questo era il livello di pallacanestro a cui dovevo ambire come giocatore. Quando è arrivata la chiamata di Vicenza ho risposto subito presente e volevo venire qui a giocarmi le mie possibilità in un campionato di più alto livello» Hai iniziato con l'atletica, prima di passare alla pallacanestro. Cosa ti ha portato a fare questo cambiamento?

«Sì è vero, da piccolo facevo velocità e salto in lungo in pista, anche mezzofondo occasionalmente. Tuttavia, volevo avere stimoli diversi: mi mancava il divertimento di uno spogliatoio e di compagni con cui condividere il campo. L'atletica è uno sport molto tecnico con allenamenti molto pesanti, individuali. Del basket, invece, mi aveva sempre affascinato la cultura e personaggi come Kobe Bryant e Allen Iverson. In quel momento ho deciso che dovevo cambiare e sono passato alla pallacanestro»

Una carriera che ti ha portato velocemente in Serie C Gold, a Oderzo.

«La mia prima squadra è stata il Basket Cervignano, in provincia di Udine, vicino casa. Sono rimasto in provincia per qualche tempo ma Oderzo aveva già manifestato di volermi. Quando ho ottenuto la patente, ho finalmente avuto la possibilità di spostarmi e ho giocato la mia pri-

ma stagione tra i 'grandi', alternandomi con la Virtus Mansué. Da lì poi ho maturato la decisione di provare l'avventura collegiale».

Nasce da te quindi l'idea di andare a misurarti con gli universitari americani?

«Sì, fu una mia volontà. All'epoca contattai il mio procuratore e gli dissi che volevo tentare quest'avventura per alzare il mio livello e confrontarmi con un mondo diverso. Ci siamo messi in contatto con un college di NCAA Division II (il secondo livello del basket universitario americano, ndr), ma alla fine optammo per uno Junior College».

Di che si tratta?

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«In sostanza, tutti i giocatori che non sono riusciti a ottenere una borsa di studio nei college più importanti, per motivi di voti o di possibilità, scelgono gli Junior College. Sono fondamentalmente delle vetrine da cui le altre università possono attingere per prendere giocatori, sono preparatorie all'ingresso nel mondo della NCAA. Così sono andato in Kansas, per provare quest'avventura».

Era molto diverso giocare in una squadra del genere, sapendo che l'obiettivo era riuscire ad entrare in un'altra università?

«Si viveva un clima diverso, in spogliatoio c'era meno affiatamento, anche se in partita si tendevano a cancellare questi atteggiamenti. Per la verità, da europeo, il mio problema principale è stato ambientarmi agli allenamenti: l'intensità e il trash talking (provocazioni, ndr) che si faceva in campo era altissimo anche tra compagni. Si trattava di competere secondo la cultura americana, che è piena di questi atteggiamenti: la volontà di dominare sull'altro, la mentalità di voler puntare sempre al massimo, sono molto tipiche di come ho vissuto lo sport là. Inizialmente lo subivo, ma dopo un po' mi sono abituato».

Gli allenamenti, quindi, avevano ritmi da professionisti?

«Si, assolutamente. La preparazione per la stagione dura tantissimo, da agosto a novembre, quando inizia il campionato, e si fanno tre allenamenti al giorno: pesi la mattina, allenamento di squadra il pomeriggio e sessione di tiro la sera, mantenendo sempre questo livello di competitività altissimo, perché ci si vuole accaparrare un posto in quintetto. Negli Junior College questo stato portava anche a compromettere l'affiatamento di gruppo, anche perché bisognava confrontarsi con tanti ragazzi che avevano un grande ego, ma in America c'è anche molto questo concetto di 'family', famiglia, cioè che bisogna essere un gruppo in tutte le situazioni. Da un punto di

vista organizzativo però era comunque il massimo: avevamo strutture per giocare e allenarci sempre a disposizione e ottimi professionisti al tuo fianco negli allenamenti, per gli infortuni muscolari e per la terapia».

La domanda sorge spontanea: ma c'era tempo per studiare oltre che allenarsi?

«Sì, anche con tre allenamenti al giorno riuscivamo ad andare a scuola senza problemi perché il college era attaccato alla palestra. La mattina facevamo pesi dalle 6 alle 7 del mattino e poi eravamo tra i banchi fino alle 14. Avevamo dei momenti prefissati per studiare dopo pranzo, prima dell'allenamento di squadra, e la sera, una volta finita la sezione di tiro. Certo avevamo ritmi serratissimi per fare tutto, ma come detto l'organizzazione era fantastica».

In cosa ti sei laureato?

«Ho una laurea in personal wellness and human health, tradotto in italiano diciamo 'Nutrizionismo e scienze motorie'. Da quel punto di vista l'organizzazione dell'università americana è fantastica: ovunque tu vada ti porti dietro i crediti che hai maturato e non hai mai problemi nel passaggio da un istituto all'altro».

Quindi Kansas, poi Texas e infine Tennessee, a Milligan College, dove hai 'chiuso' col basket americano. «Sì, la situazione era diversa lì perché sentivi molto di più la squadra e mi sono tolto molte più soddisfazioni. Lo Junior College era una vetrina, mentre a Milligan non avevamo la pressione di doverci mettere in mostra. Inoltre, c'erano ed erano passati altri ragazzi europei, alcuni che avevano giocato anche in Division 1. Gli spostamenti erano tanti e serrati per giocare in trasferta: bisognava fare tanto pullman e aereo, organizzarsi le proprie lezioni via Zoom o in registrata, però è stata una bellissima esperienza». Immagino però che al College ci sia tutta un'altra atmosfera di tifo rispetto alla pallacanestro professionistica americana.

«Sono stato a vedere sia partite di NBA che di NCAA e non c'è paragone: quando giochi al college c'è un'intera comunità che viene a vederti, dai compagni di classe ai professori fino ai genitori e agli abitanti del posto. Si crea un ambiente molto particolare, assolutamente non equiparabile con il mondo dei professionisti americani, dove i palazzetti sono molto meno vivi come tifo. Vengono tutti

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 Sami Sanad a canestro

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a vederti e, di conseguenza, tu vai a vedere tutte le partite degli altri sport».

Finito il tuo periodo americano, sei tornato in Friuli e poi sei arrivato a Vicenza. Cosa ti ha spinto a venire qui?

«Rientrato in Italia sentivo che il mio livello adeguato fosse una B1, ma non arrivò nessuna chiamata. Così sono andato a giocare a Monfalcone, in B Interregionale. Quando sono stato contattato da Vicenza non ci ho pensato un attimo: sento che questo sia il mio livello e voglio dimostrarlo con questa maglia, cercando di ottenere la salvezza già quest'anno». Noi saremo in tribuna a tifare per voi!

Presso

Contra'

Per

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 Sport IL BISTROT DEL TENNIS
Sami Sanad ai tiri liberi
Centro sportivo TENNIS PALLADIO 98
della Piarda 9, Vicenza
informazioni: 393 9599279

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Westworld, dove tutto è concesso: il lato oscuro dell’intelligenza artificiale usata come intrattenimento

Tommaso De Beni

Westworld

è uno dei parchi divertimento di una grande multinazionale americana nel 2050, a tema far west. Pagando 40 mila dollari al giorno le persone possono sperimentare una sorta di vacanza alternativa, un vero proprio viaggio nel tempo, con full immersion in un’altra epoca. Gli ospiti non hanno regole, possono fare tutto quello che vogliono, anche uccidere o stuprare. Interagiscono con i cosiddetti residenti, che invece non possono nuocere in alcun modo alle persone e che sono di fatto degli attori, ma non sono umani, anche se lo sembrano in tutto e per tutto, sono degli androidi umanoidi. Ogni androide è programmato per recitare una parte e rendere il più realistica possibile l’esperienza degli ospiti; quando viene danneggiato o ucciso, viene riparato e riprogrammato e deve ripetere la sua parte dall’inizio, senza conservare la memoria. Sottoterra agiscono i vari tecnici e programmatori che controllano ogni cosa avvenga nel parco e aggiustano o scartano o riprogrammano gli androidi. Il cofondatore e direttore creativo del parco è il brillante e inquietante dottor Ford, interpretato dal carismatico Anthony Hopkins. Un giorno, senza che nessuno lo sappia, alcuni androidi, come per una naturale evoluzione o forse perché qualcuno li ha aggiornati, iniziano a conservare i ricordi. Questo gruppo piano piano prende coscienza di sé e decide di ribellarsi contro il cinismo di chi li ha ingannati e usati. A metà strada tra Blade Runner, Jurassic Park e Terminator, e con un pizzico di 2001 odissea nello spazio, questa serie, che si è purtroppo un po’

persa per strada e infatti per un calo di share è stata cancellata dopo la quarta stagione, porta in scena il tema ormai classico dello scontro tra uomo e macchina, con quest’ultima che si umanizza attraverso due elementi fondamentali della psiche umana, cioè la memoria e la coscienza. A ciò la serie ideata da Jonathan Nolan (fratello del regista Christopher) e sua moglie Lisa Joy, scrittrice, regista e produttrice, e ispirata all’omonimo film (in italiano Il mondo dei robot) di Michael Chrichton (celebre scrittore autore di una pietra miliare come Jurassic Park) del 1973, precursore del genere, oltre alle ripercussioni morali e psicologiche aggiunge la questione dell’intrattenimento. Se il grande e compianto scrittore americano David Foster Wallace ha lanciato nel 1997 il tema dell’intrattenimento perpetuo con il suo romanzo-mondo Infinte Jest, quando lo strumento erano ancora le videocassette, ma anticipando l’avvento di internet, Westworld si presta a una riflessione sull’intelligenza artificiale come strumento utile all’uomo, ma pericoloso se usato male. Se è vero (e sottolineo se) che il fine giustifica i mezzi, se scienza e tecnologia venissero usate per risolvere grandi problemi come per esempio guarire le malattie o sfamare le popolazioni, forse si potrebbe chiudere un occhio se nel farlo ci fossero discutibili implicazioni etiche o morali, ma se vengono usate per puro scopo ludico, per compiacere i capricci di un’umanità laida e viziata, regredita, come coscienza collettiva, a uno stato di infanzia perenne, allora la punizione, anzi vendetta (e qua si potrebbe aprire una lunga discussione sulla differenza tra punizione e vendetta) è, non solo scontata, ma quasi auspicabile..

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Westworld serie tv, alcuni personaggi

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Domotica per tutti: come e perché rendere smart la tua casa

Iacopo Bernardini

Inuna realtà dove la tecnologia si intreccia sempre più con la quotidianità, la domotica emerge come un fenomeno in rapida espansione nelle abitazioni moderne. Oggi, in particolare, una casa smart non è più un lusso riservato a pochi. È diventata accessibile e vantaggiosa per tutti, promettendo non solo un miglioramento dell’efficienza energetica, ma anche un aumento della sicurezza, del comfort e della facilità di gestione della propria abitazione, anche a distanza.

Cosa significa “rendere smart» la tua casa

La domotica, o automazione domestica, è il processo che rende la casa “intelligente» tramite l’integrazione di tecnologie e servizi che consentono un controllo automatizzato e ottimizzato degli ambienti domestici. Ciò non significa solo comandare a distanza elettrodomestici o sistemi di illuminazione, ma creare una rete di dispositivi interconnessi che comunicano tra loro per offrire un’esperienza abitativa migliore.

Esempi di dispositivi smart comunemente utilizzati:

1. Termostati intelligenti: regolano automaticamente la temperatura in base alle abitudini dei residenti, contribuendo a ridurre i costi energetici.

2. Sistemi di sicurezza smart: includono telecamere, sensori di movimento e allarmi che possono essere monitorati e gestiti da remoto.

3. Assistenti vocali: come Google Home o Amazon Echo, che permettono il controllo vocale dei dispositivi smart.

4. Illuminazione intelligente: lampadine e sistemi di illuminazione che si possono programmare o controllare da remoto per creare atmosfere su misura.

Integrare la domotica nella propria casa non è solo una questione di modernità o comodità. Si tratta di adottare un approccio proattivo verso un’abitazione più efficiente, sicura e reattiva alle esigenze di chi la abita.

I principali vantaggi assicurati dalla domotica

La trasformazione di una casa in un ambiente smart offre una serie di vantaggi tangibili che vanno oltre il semplice fascino della tecnologia. I dispositivi intelligenti, come termostati e luci smart, possono adattarsi alle abitudini dei residenti, riducendo il consumo energetico. Per esempio, un termostato intelligente può abbassare il riscaldamento quando la casa è vuota o le luci possono spegnersi automaticamente in stanze non utilizzate, portando a una notevole riduzione della bolletta energetica

Sistemi di sicurezza smart, come telecamere, sensori di movimento e allarmi, offrono una maggiore tranquillità. Questi dispositivi permettono ai proprietari di monitorare la propria abitazione da remoto, ricevendo notifiche in caso di attività sospette.

La domotica offre la possibilità di controllare vari aspetti della casa con semplici comandi vocali o attraverso un’app Ciò include la regolazione della temperatura, l’accensione/ spegnimento delle luci, la gestione di elettrodomestici e sistemi di intrattenimento, rendendo la vita quotidiana più comoda e piacevole.

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Per persone con esigenze speciali o anziani, la domotica può significare maggiore autonomia e facilità nell’uso degli spazi domestici, grazie a comandi vocali o a interfacce semplificate.

Come iniziare a rendere smart la tua casa

Trasformare la propria casa in uno spazio smart può sembrare un compito ambizioso, ma con alcuni passi semplici e ben pianificati, è possibile iniziare senza eccessive complicazioni.

1. Valutare le proprie esigenze e stabilire un budget Prima di acquistare qualsiasi dispositivo, è importante valutare quali aspetti della vita domestica si desidera migliorare e quanto si è disposti a spendere. Questo aiuterà a focalizzarsi sugli acquisti che porteranno i maggiori benefici.

2. Scegliere i dispositivi iniziali

Per i principianti, è consigliabile iniziare con dispositivi di base come lampadine intelligenti, prese smart, o un assistente vocale. Questi dispositivi sono relativamente economici e facili da installare.

3. Compatibilità e interoperabilità

È fondamentale assicurarsi che i dispositivi scelti siano compatibili tra loro e con l’ecosistema tecnologico già presente in casa (ad esempio, se si possiede già un iPhone, potrebbe essere più conveniente optare per dispositivi compatibili con Apple HomeKit).

4. Installazione e configurazione Molti dispositivi smart sono progettati per essere installati e configurati facilmente dall’utente. Tuttavia, per sistemi più complessi come quelli di sicurezza o automazione completa, potrebbe essere opportuno consultare un professionista.

Seguendo questi passaggi, si può iniziare gradualmente a trasformare la propria casa in un ambiente smart, sfruttando i vantaggi della tecnologia per una vita domestica più sicura, efficiente e confortevole.

Considerazioni sulla sicurezza e sulla Privacy

Nell’abbracciare la domotica è essenziale prestare attenzione alla sicurezza e alla privacy . I dispositivi smart, essendo connessi a Internet, possono essere vulnerabili a cyber attacchi. La protezione della rete domestica diventa quindi cruciale.

Cambiare regolarmente le password, utilizzare connessioni VPN e mantenere aggiornati i firmware dei dispositivi sono passaggi fondamentali per salvaguardare i dati personali. Inoltre, è importante essere consapevoli delle informazioni che i dispositivi raccolgono e come queste vengono utilizzate dai produttori, leggendo attentamente le politiche sulla privacy. La consapevolezza e la precauzione sono alleati chiave nella gestione efficace e sicura di una casa smart.

Il futuro della domotica

L’intelligenza artificiale (IA) sta giocando un ruolo sempre più centrale, con sistemi in grado di apprendere dalle abitudini degli utenti e di adattarsi in modo più efficiente e intuitivo alle loro esigenze. Un’altra tendenza emergente è l’integrazione della domotica con i veicoli elettrici, come la possibilità di controllare la ricarica dell’auto da casa. Inoltre, sistemi avanzati di gestione dell’energia, che si arricchiscono di fonti rinnovabili come il solare, stanno diventando parte integrante delle smart home, contribuendo alla creazione di abitazioni sostenibili e rispettose dell’ambiente. Queste innovazioni non solo aumentano il comfort e l’efficienza delle case, ma si inseriscono in un contesto più ampio di sviluppo sostenibile e di smart city, dove la tecnologia serve per migliorare la qualità della vita in modo responsabile e sostenibile. In estrema sintesi, rendere la propria casa “smart » non è solo un passo verso la modernità, ma un’azione consapevole verso un abitare più efficiente, sicuro e confortevole

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Esoscheletri occupazionali: una comoda realtà

Laparola “esoscheletri» fa correre la mente verso film e videogiochi, creando davanti agli occhi immagini di strumentazioni molto voluminose ed all’apparenza complesse. Gli esoscheletri, invece, sono presenti da molti anni nel mondo reale per il settore medicale e recentemente hanno preso piede in un altro importante segmento che è di interesse comune: il mondo produttivo.

La diffusione degli esoscheletri occupazionali nel territorio italiano è iniziata nel 2018 con un approccio al settore automotive, per poi espandersi ad altri settori, senza limiti di categoria o dimensione, muovendosi tra l’industriale e l’artigianato, passando per piccole-medie imprese e grandi aziende. Al momento il principale produttore di esoscheletri in Italia è COMAU SPA (Stellantis), che ha sviluppato due modelli: MATE-XT e MATE-XB, il primo per arti superiori ed il secondo per il distretto lombare.

Entrambi sono caratterizzati da un modello di funzionamento passivo, cioè basano la loro potenza su molle, per

garantire un defaticamento muscolare all’utilizzatore del dispositivo. Questi strumenti non potenziano la muscolatura dell’operatore che li indossa, ma la tutelano per prevenire l’insorgenza di DMS (disturbi muscoloscheletrici) che da diversi anni sono la principale causa di malattie lavorocorrelate.

I primi studi scientifici su questi dispositivi fanno ben sperare: queste tecnologie emergenti, se correttamente selezionate ed utilizzate, possono ritardare e, nei migliori dei casi, evitare le patologie solitamente sviluppate in ambienti lavorativi. Se si considera che, oltre ai costi sociali, queste patologie possono arrivare a costare all’Italia oltre 200 mila euro per singolo caso, è immediato intuire quanto l’integrazione di questi dispositivi all’interno delle aziende possa essere vantaggiosa.

Nel Vicentino diverse aziende si stanno approcciando a questi sistemi, con l’obiettivo di tutelare la salute dei collaboratori aziendali e di elevare il livello di competenze del territorio.

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“Da oltre 50 anni produciamo tubi per lo scarico dei fumi di stufe e tubi per condotte d'aria e d'aspirazione» racconta Andrea Dalle Carbonare –imprenditore di SAVE SpA con sede a Chiuppano. “L’azienda nasce nel 1967 come una piccola azienda a conduzione familiare, ma negli anni siamo cresciuti investendo in processi automatizzati e robotizzati. Questo dinamismo ci ha permesso di diventare quella che oggi è una ditta che vanta in Italia una posizione di assoluta leadership sia per la quota di mercato che per la qualità delle sue produzioni» .

Ed è proprio questo caratterizzante istinto al miglioramento che ha spinto l’azienda ad avvicinarsi al mondo degli esoscheletri occupazionali.

“Tramite il Digital Innovation Hub - Confartigianato Vicenza e Comau SPA siamo entrati in contatto diretto con AZeta Solutions SRL, distributore specializzata nell’accompagnamento ed inserimento in azienda degli esoscheletri anche per il territorio vicentino» continua Dalle Carbonare. “Durante il primo incontro abbiamo analizzato insieme i vari reparti individuando nella smalteria il campo di applicazione ideale. Nell’arco di 10 giorni ci è stato consegnato il primo esoscheletro, che è stato inserito nella postazione lavorativa identificata dopo una formazione chiara, rapida e semplice a cura di Elisa e Silvia, esperte di prodotto» Ed il successo nell’uso di MATE-XT non si è limitato solamente all’uso interno in azienda, ma è andato anche oltre i muri fisici affermando un’impronta marketing molto positiva: “Ad inizio Marzo abbiamo partecipato alla fiera PROGETTO FUOCO in Verona, una delle più importanti nel nostro settore ed esponendo alcune foto degli esoscheletri utilizzati in reparto

abbiamo riscontrato un notevole interesse presso il nostro stand da parte di visitatori, clienti e fornitori». Questo è solo uno dei primi feedback positivi delle aziende che stanno scegliendo gli esoscheletri come dispositivi per il miglioramento delle condizioni di lavoro e per la tutela della salute dei lavoratori. Questi strumenti leggeri, adattabili al corpo, interscambiabili e facili da utilizzare, rappresentano l’inizio di un cambiamento sociale all’attuale “modo di lavorare»; che ora si baserà sui principi dell’Industria 5.0 con l’uomo al centro del processo produttivo. In alcuni casi sarà possibile sfruttare anche il PNRR per avere accesso ai test di queste tecnologie, con lo scopo di affrontare l’invecchiamento della popolazione lavorativa in modo da preservare la salute delle figure di talento presenti in azienda da diversi anni.

La quinta rivoluzione industriale quindi porterà il focus della produttività sulla persona, riconoscendo gli esoscheletri occupazionali come una comoda realtà: una comodità per gli operatori,

che svolgeranno la loro mansione con un’importante tutela per la propria salute; una comodità per le aziende, che miglioreranno l’ambiente lavorativo e una comodità per tutti noi, che beneficeremo della diminuzione delle patologie muscolo-scheletriche lavoro correlate.

Per testare un esoscheletro:

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