Vicenza Cool. Culturalmente e non solo n. 1. Speciale VicenzaPiù Viva

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VicenzaPiùViva VicenzaPiùViva VicenzaPiùViva Speciale bimestrale di VicenzaPiùViva

V icenzaCool C ulturalMente e non solo

€ 1,5. Gratuito in accoppiata a VicenzaPiù Viva n. 4

La cultura declinata in tutte le sue forme: ecologica, sportiva, aziendale, turistica, enogastronomica …

VicenzaPiùViva

n. 1 - 14 gennaio 2024

Vicenza.

Città (quasi) bellissima

ISSN 2974-9972

Università di Vicenza, la prima veneta nel 1204

Maurizia Cacciatori, regina del volley ma non a Vicenza

Il Cammino dell’Infinito intorno a Vicenza

Vicenza, set cinematografico come Roma e Venezia


Due scelte per voi dalla collana Vicenza Popolare Acquistabili su Amazon, nelle migliori librerie e sul nostro shop https://www.vipiu.it/shop/#libri Vicenza Popolare / 5

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COLLANA VICENZA POPOLARE

COLLANA VICENZA PAPERS

Enrico Soli, Lino e Lane. Un personaggio in cerca di Vicenza Giorgio Langella, Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante Quirino Traforti, il partigiano dei lavoratori, a cura di Giorgio Langella e Giovanni Caneva Umberto Riva, Arte culi ‘n aria TommasoDe Beni, Vicenza. Città (quasi) bellissima

Giovanni Coviello, Vicenza. La città sbancata

Prossimi titoli

BPVi. Il processo di appello. Storia del fallimento. La farsa degli indennizzi. Il “sistema” intoccabile, a cura di Giovanni Coviello

Massimo Parolin, Quella strada per il lago Benedetta Ghiotto, Un’esperienza in Giordania di NonDallaGuerra Giovanni Coviello, I diciotto anni di VicenzaPiù

Giovanni Coviello, Roi. La Fondazione demolita

BPVi, Bugie Popolari Vicentine, a cura di Giovanni Coviello

BPVi. Risparmiatori ingannati. L’azione di (ir)responsabilità, a cura di Giovanni Coviello

Banca Popolare di Vicenza. La cronaca del processo, a cura di Giovanni Coviello

BPVi e Veneto Banca. Storia dei fallimenti. La farsa degli indennizzi. Il “sistema” intoccabile, a cura di Giovanni Coviello


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“Vicenza Cool. CulturalMente e non solo” nasce dopo VicenzaPiùViva e TecnologicaMente.

Perché la città del Palladio sia quella “vista” dall’Architetto la cultura va declinata in tutte le sue forme: ecologica, sportiva, aziendale, turistica, enogastronomica … Giovanni Coviello

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opo il ritorno in edicola e non solo con VicenzaPiù Viva, che si aggiunge alla nostra testata web leader ViPiu.it, alias VicenzaPiu.com, e con TecnologicaMente, la tecnologia a portata di mente, nasce un’altra rivista tematica. Vicenza Cool. CulturalMente e non solo si propone di scrivere di ogni tipo di cultura, da quella tradizionalmente individuata dalla parola stessa fino alle sue declinazioni ecologica, sportiva, aziendale, turistica, enogastronomica e chi più ne ha più ne aggiunga. A ulteriore conferma del nostro ritrovato e rinnovato credo nella funzione positiva della carta stampata c’è anche la pubblicazione del libro Vicenza, città (quasi) bellissima di Tommaso De Beni, di cui scriviamo ampiamente a pagina 12. Il suo prossimo arrivo nelle librerie e nelle edicole, oltre alla sua disponibilità sul nostro shop www.vipiu.it/shop/ e, ovviamente, su Amazon, segna due fatti oltre all’amore, nostro e dei lettori, per la carta: gli eBooks, pur sommati ad audiolibri e podcast, fatturano in Italia a fatica 200 milioni di euro all’anno mentre i libri “stampati”, esclusi quelli, tantissimi, per le scuole, puntano a superare gli 1.7 miliardi di euro del 2021. E la prevalenza della carta sul web è molto evidente anche per il numero di titoli pubblicati (fonte Mondo Economico, ndr). Dati questi numeri, da valutare insieme ad altri, torniamo ai due fatti a cui accennavo da direttore delle nostre principali testate, web e cartacee, e curatore delle nostre collane (VicenzaPapers con 7 titoli e Vicenza Popolare che, con Vicenza. Città (quasi) bellissima, arriva a 5, numeri non irrilevanti per un piccolo editore e solo un preambolo del programma di pubblicazioni ulteriori in cantiere).

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Il primo è che l’autore del libro è un giovane giornalista cresciuto alla nostra scuola, che, pur non avendo disdegnato la gavetta della cronaca, con noi trova sempre più spazio per i suoi interessi culturali e per l’amore per Vicenza sulle nostre testate e come autore di Vicenza. Città (quasi) bellissima. Il secondo fatto è che Vicenza, definita “Città bellissima” nel libro edito dalla Biblioteca Bertoliana nel 1984 col titolo Vicenza città bellissima. Iconografia vicentina a stampa dal XV al XIX secolo, ha bisogno di una scossa per diventare “più Viva”, perché molte delle sue bellezze sono state colpite e, talvolta, nascoste da obbrobri edilizi e altre sono in via di crescente degrado. Se per gli obbrobri troppo poco si è fatto per impedirli e poco, ma non nulla, si può fare per ridurne l’impatto sulle bellezze palladiane e non solo, molto si può e si deve fare perché le bellezze decadenti tornino a risplendere. Ovviamente servono piani e programmi pluriennali, che fin dalla dedica* sono affidati ai giovani (le prefazioni bipartisan del libro sono, non a caso, dei due giovani consiglieri comunali Benedetta Ghiotto e Jacopo Maltauro), perché non si può più tollerare che si parli di rinascita di Vicenza se davanti all’attributo che le compete rimarrà ancora l’avverbio “quasi”. Ma il quasi scomparirà anche tanto più quanto la cultura si allargherà a tutte le sue declinazioni, che Vicenza Cool. CulturalMente e non solo proverà a narrare.

* La dedica: Ad Andrea Palladio, che ci ha regalato la bellezza di Vicenza. E ai nostri giovani, che ci restituiranno quella che troppi le hanno tolto

TecnologicaMente TecnologicaMente

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’e verse in tecia ‘e spusa, ma ’e xe tanto bone La prima delle ricette di Umberto Riva raccolte nel suo libro: Arte culi ‘n aria Una rubrica dedicata alla memoria di Umberto e alle sue innumerevoli “arti”, tra cui quella gastronomica

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rima della ricetta leggi la Prefazione e il glossario di “Arte culi ‘n aria“ “’e verse in tecia ‘e spusa”, ma “’e xe tanto bone”. Che piatto: “verse sofega’ co ‘l coesin”. Le verze migliori? quelle che “ga ciapa’ ‘a brosema”. Il tempo delle brinate e’ anche il tempo del maiale, il tempo “de far su ‘l mascio”. Il menu Osi de mascio col cren Costesioe ai feri Verse sofega’ co ‘l coesin Poenta fresca e brustola’ Vin fato co ‘a mescola Cafe fato co ‘l bacheto Graspa de contrabando voendo, un toco de putana ghe staria ben Un attentato al fegato. Ma di qualcosa si deve pur morire, e quanto sarebbe bello morire con le gambe sotto la tavola! (c’è un Arte culi ‘n aria è acquistabile su Amazon e sul nostro shop

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altro tipo di morte auspicato, ma quello e’ scritto in un altro libro). Quando si “fa su el mascio” a lavoro ultimato si fa festa. Umberto Riva “’a sena del mascio”. Si consumano gli avanzi della lavorazione e qualcosa in più. Le ossa per il primo piatto, e poi le costole con qualche fetta di carne ed un po’ di fegato, il cotechino. Solo un po’ di fegato che buona parte, tagliato a grossi pezzi, viene avvolto nel “radeseo” per completare lo spiedo di uccelli di qualche giorno dopo. La siora Vittoria gestiva le operazioni. “’a sparagagna” tagliata a meta’ per il lungo, veniva messa sulla griglia, dove, un po’ piu’ tardi, trovavano posto le fette di carne e di fegato. Profumi paradisiaci. Si diceva che la siora Vittoria, dalla goduria e dall’estasi, si facesse la pipi’ addosso. Le mutande di certo non se le bagnava e quando si spostava, spesso, il pavimento era bagnato da una “poceta”. Lei diceva fosse sudore. Le ossa della carcassa e degli arti venivano bollite.

Di Umberto Riva

Cren sottaceto, ma, più spesso, grattato al momento in maniera grossolana. Sale grosso. C’erano stati tentativi anche con la salsa verde ed addirittura con la “peara’”, ma, da noi, non avevano trovato spazi. Le ossa venivano servite bollenti ed i nervetti, con dei residui di carne, dovevano essere morbidi e nello stesso tempo consistenti, ma, fondamentalmente, “tacaisi”. Gli ossicini dei piedi dovevano appiccicarsi alle dita, e quella pattina appiccicosa, seccandosi, ti dovevano incrostare le dita. Chi mangiava, meglio ciucciava, le ossa della testa si trovava il boccone della delizia “‘l ocio”.


agsm aim informa Dal 1° gennaio 2024 è definitivamente cessato il servizio di tutela gas per i clienti domestici non vulnerabili (famiglie e condomini). Per quanto riguarda, invece, la fornitura di energia elettrica, la fine del servizio di maggior tutela per i clienti non vulnerabili avverrà a partire dal 1° luglio 2024. I clienti domestici vulnerabili con fornitura di gas ed energia elettrica potranno continuare a essere invece serviti a condizioni contrattuali ed economiche definite e aggiornate dall'Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA).

Per i clienti con fornitura gas Cosa è successo dal 1° gennaio 2024? Dal 1° gennaio 2024 è definitivamente cessato il servizio di tutela gas. Tutti i clienti che a fine 2023 avevano ancora un contratto attivo nel servizio di tutela gas, a seguito di specifica comunicazione ricevuta dal proprio fornitore, da gennaio sono serviti alternativamente: - Alle condizioni del Servizio di Tutela della vulnerabilità se rientranti nella categoria “Vulnerabili”; - Alle condizioni di libero mercato se hanno aderito a una delle offerte di libero mercato; - Alle condizioni dell’offerta PLACET (Prezzo Libero a Condizioni Equiparate di Tutela) ossia un’offerta con caratteristiche stabilite dall'Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, nel caso in cui il cliente, rientrante nella categoria “non vulnerabile”, non abbia fatto alcuna scelta.

Se non l’ho fatto posso ancora aderire a una delle offerte del mercato libero? È sempre possibile aderire a una nuova offerta del mercato libero di AGSM AIM Energia indipendentemente dalle condizioni economiche in vigore a gennaio 2024; per l'attivazione sono necessari almeno 30 giorni dalla richiesta.

Qual è il contratto AGSM AIM con le migliori condizioni a cui posso aderire? Al momento, come è possibile verificare dal Portale Offerte Luce e Gas messo a disposizione dall’Autorità (www.ilportaleofferte.it), l’offerta di AGSM AIM con le condizioni più vantaggiose è “SPECIAL CASA GAS”.

Cosa devo fare per sottoscrivere un nuovo contratto? Per poter attivare un nuovo contratto basterà contattare AGSM AIM Energia al numero verde indicato in bolletta, oppure recarsi agli sportelli attivi sul territorio.

Quali sono le prerogative per rientrare tra i clienti vulnerabili?

A cosa si fa riferimento quando si parla del mercato di tutela? Il mercato di tutela fa riferimento al servizio di fornitura di energia elettrica e di gas le cui condizioni contrattuali ed economiche sono stabilite da ARERA. Il termine “tutela” sta a indicare che le tariffe vengono definite da ARERA e sono, di conseguenza, le stesse per tutti i clienti a livello nazionale. Il termine non si traduce in una certezza di maggiore convenienza economica rispetto a un’offerta nel mercato libero.

Come posso verificare la mia tipologia contrattuale? Per verificare la tipologia contrattuale, ovvero se si ha un contratto sul mercato di maggior tutela o sul mercato libero, è sufficiente verificare nella prima pagina della propria bolletta.

Per rientrare nella categoria dei clienti vulnerabili è necessario possedere almeno una delle seguenti caratteristiche: trovarsi in condizioni economicamente svantaggiate ai sensi dell’articolo 1, comma 75, della legge 124/17; essere soggetti con disabilità ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104; avere le utenze in strutture abitative di emergenza a seguito di eventi calamitosi; aver compiuto 75 anni.

Come posso autocertificare la vulnerabilità, così da richiedere la fornitura nel servizio di tutela della vulnerabilità? Il cliente che non sia stato ancora identificato come vulnerabile, pur avendone i requisiti, dovrà compilare l’apposito modulo disponibile sul sito www.agsmaimenergia.it e restituirlo firmato per poter essere servito a condizioni contrattuali ed economiche definite e aggiornate dall'Autorità.

Per i clienti con fornitura di energia elettrica nel servizio di maggior tutela Cosa succederà a luglio 2024 con il mercato di maggior tutela per l’energia elettrica? Tutti i clienti non vulnerabili che hanno una fornitura di energia elettrica in regime di maggior tutela e che non scelgono in tempo utile un fornitore sul mercato libero passeranno automaticamente, senza alcuna interruzione di fornitura, al Servizio a Tutele Graduali (STG) con l'esercente di riferimento identificato in fase d'asta. Le condizioni contrattuali ed economiche del Servizio a Tutele Graduali sono definite dall’ARERA anche sulla base degli esiti delle procedure concorsuali.

Cosa devo fare per passare a un nuovo contratto nel mercato libero? I clienti che sceglieranno, come fornitore di libero mercato, AGSM AIM Energia dovranno sottoscrivere un nuovo contratto entro maggio 2024. Per attivarlo basterà visitare il sito www.agsmaimenergia.it, oppure recarsi presso gli sportelli attivi su tutto il territorio.

Qual è il contratto AGSM AIM con le migliori condizioni a cui posso aderire? Al momento, come è possibile verificare dal Portale Offerte Luce e Gas messo a disposizione dall’Autorità (www.ilportaleofferte.it), l’offerta di AGSM AIM con le condizioni più vantaggiose è “PROMO LUCE”.

Posso rimanere all’interno del servizio di maggior tutela? No, non è possibile rimanere nel servizio di maggior tutela, a meno che non si rientri nella categoria dei clienti vulnerabili.

Quali sono le prerogative per rientrare tra i clienti vulnerabili? Sono considerati clienti vulnerabili di energia elettrica i clienti domestici che, alternativamente si trovano in condizioni economicamente svantaggiate (ad esempio percettori di bonus); versano in gravi condizioni di salute tali da richiedere l'utilizzo di apparecchiature medico-terapeutiche alimentate dall'energia elettrica (oppure presso i quali sono presenti persone in tali condizioni); sono soggetti con disabilità ai sensi dell'articolo 3 legge 104/92; hanno un'utenza in una struttura abitativa di emergenza a seguito di eventi calamitosi; hanno un'utenza in un'isola minore non interconnessa; hanno compiuto 75 anni.

Come posso autocertificare la vulnerabilità, così da rimanere nel mercato di maggior tutela? Il cliente servito in maggior tutela che non sia stato ancora identificato come vulnerabile, pur avendone i requisiti, dovrà compilare l’apposito modulo messo a disposizione dell’attuale fornitore del Servizio di Maggior Tutela, per poter continuare a essere servito a condizioni contrattuali ed economiche definite e aggiornate dall'Autorità.


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Della Valle, 1923 - 2023: 100 anni di storia della mobilità vicentina Dalla motocarrozzella, alle auto seppellite durante la guerra, ai pullman fino all’agenzia di viaggi Mirko Valente

Willy Della Valle con un pulmann

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libri sugli anniversari aziendali sono per lo più tutti interessanti, perché nella maggior parte dei casi dietro alle imprese, più o meno datate nel tempo, ci sono delle vere e proprie “intraprese”, che assomigliano più ad avventure che non a precise pianificazioni aziendali. Queste storie sono irripetibi-

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li, perché si nutrono e si sviluppano in periodi storici in cui era sufficiente, per l’appunto, l’intraprendenza delle persone per creare quello che oggi viene definito un business. Tuttavia, la storia che i fratelli Della Valle, Willy e Osvaldo, hanno deciso di trasporre su carta in occasione del centesimo anniversario della ditta di tra-


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La copertina del libro

indaga non tanto e non solo la storia del fondatore, Umberto Pavan, partito con una officina di riparazione per biciclette, ma si sofferma su una Vicenza d’altri tempi. Non a caso il volume s’intitola “Vicenza in vettura. Storie di cocchieri, chauffeurs, autisti”, ed è stato aggiornato ad oggi da un altro Della Valle, al quale - come scrive Willy Della Valle nell’introduzione -: «Non potevamo non rivolgerci, essendo anch’egli parte in causa: nostro fratello Mauro che a suo tempo, prima di laurearsi, dopo una brevissima parentesi di qualche mese in azienda, decise di seguire le orme di nostro padre Roberto, noto giornalista della Rai nella redazione del Tg 1, di Tg l’Una e della Domenica Sportiva a Milano». La storia in bianco e nero tratteggiata da Walter Stefani, si fonde così con quella a colori degli ultimi vent’anni, scritta da Mauro Della Valle, che racconta la rapida evoluzione di un turismo, quello dei pullman, che nel breve volgere di

sporto persone, è ad onor del vero, ancor più peculiare. Il volumetto (poco più di un centinaio di pagine), intreccia 100 e più anni di storia vicentina, con moltissime foto tratte da 25 archivi personali e istituzionali, legandola allo sviluppo e all’evoluzione dei mezzi di trasporto nel vicentino e nel resto del mondo, con le foto delle prime automobili dell’autonoleggio di famiglia, dei primi autobus a cavalli, a motore, fino alle tramvie, filovie e ferrotramvie (ora Svt), in città e provincia e naturalmente alle corriere (così chiamate perché trasportavano anche i pacchi postali) e ai pullman (dal nome del suo inventore). Pur essendo celebrativo dei cento anni dell’azienda, dunque, il volume, grazie alla prima cospicua parte scritta dal memorialista vicentino Walter Stefani, in occasioUmberto Pavan e la sua famiglia negli anni Trenta del secolo scorso ne dell’80° anniversario aziendale,

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Umberto Pavan a Monte Berico davanti alla sua Fiat 1500 nel 1940: si notano i parafanghi dipinti di bianco e i fari oscurati secondo le norme governative.

due decadi ha visto l’arrivo delle compagnie aeree low cost, dei treni ad alta velocità, dei flixbus, del carsharing. Una trasformazione alla quale Della Valle Autoservizi è riuscita a far fronte con la scelta di rimanere azienda familiare, con un numero limitato di mezzi e autisti, per fornire un servizio di qualità alla clientela. «Cinquant’anni fa ho iniziato la mia attività servendo i nobili vicentini – ha detto Willy Della Valle durante la presentazione del volume in una affollatissima Sala Stucchi in Comune – e nel corso degli anni ho cercato di seguire tutti i clienti come all’epoca si era abituati a “servire” la nobiltà. Questo è un tratto che le persone hanno sempre saputo apprezzare e che è stato per me motivo di soddisfazione e di orgoglio». Scorrendo all’indietro le pagine si fa un vero e proprio salto nel tempo, a partire dal 1923: dall’officina di riparazione di biciclette e n. 1 | 14 Gennaio 2024 - 8

da quando Umberto Pavan decise di acquistare una moto sidecar per poter trasportare due persone. Erano gli anni del progresso: le carrozze a cavalli stavano lasciando spazio alle automobili, al filobus, ma sarà il secondo dopoguerra a segnare l’avvento della motorizzazione di massa, che inciderà notevolmente nella trasformazione del noleggio con conducente, anche se le classi sociali più agiate, alle quali appartenevano, ad esempio, i principi Gonzaga, i conti Valmarana e Franco, da sempre clienti dell’autorimessa Pavan, continuarono a ritenere indispensabile questo servizio. Che naturalmente proseguì negli anni, anche dopo la morte del fondatore, dapprima affiancato dal figlio Giuseppe che in seguito, a sua volta, poté contare sull’aiuto dei nipoti Willy e Osvaldo. Saranno loro a traghettare l’azienda negli anni Duemila, accostando alle auto i pullmini, i mini-pullman

ed in seguito i pullman turistici che hanno trasportato generazioni e generazioni di bambini all’asilo e di ragazzi a scuola e alle gite scolastiche. Servizi che proseguono ancora, unitamente al noleggio con conducente per auto, del quale si serve anche l’agenzia De Val Viaggi (di cui è titolare Monica, figlia di Willy), per il trasporto clienti da e verso gli aeroporti del Veneto e della Lombardia, da dove partono e atterrano i voli con le varie destinazioni nel mondo. Come scritto in prefazione dallo stesso Willy: «Starà a Monica portare avanti, pur se in un diverso settore, ma pur sempre collegato al nostro, il “marchio” Della Valle, che ha dato un suo piccolissimo contributo allo sviluppo del mondo dell’autonoleggio con conducente a Vicenza».

Willy Della Valle con il sindaco Giacomo Possamai


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Università di Vicenza: la prima del Veneto, ma solo dal 1204 al 1209. Bocciata richiesta al Doge nel 1410, perché non renderla autonoma ora? Alessia Tosi

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a prima università del Veneto fu quella di Vicenza ma l'esperienza durò pochi anni: se ne ha conferma da alcuni documenti che attestano l'istituzione della sede di studi nel 1204 prima della sua chiusura nel 1209. Più precisamente, nell'Archivio storico diocesano di Vicenza è conservato un documento, del 4 ottobre 1205, che testimonia la donazione della Chiesa di San Vito agli scolari dello Studio

di Vicenza, in pratica l'Università. Un'altra conferma arriva da un documento pontificio di Innocenzo III, datato 25 novembre 1206, che si riferisce alla ricostruzione della chiesa, lodando gli studenti.

L'originaria Università di Vicenza L'antica abbazia di San Vito, presso il fiume Astichello, della quale è rimasto solo un crocifisso ligneo oggi n. 1 | 14 Gennaio 2024 - 9


V icenzaC o o l conservato nella la sede vicentina non sia stata Chiesa di Araabbandonata celi in Cristo re, repentinamente fu demolita nel nel 1209 ma, al sedicesimo secocontrario, si tratlo mentre oggi tò di un cambio l'area, in cui sordi sede graduale geva la struttura, in direzione del è occupata dal ciritorno a Bolomitero acattolico gna o, solo in di Vicenza. alcuni casi, dello Quella vicentina spostamento a fu, dunque, la Padova. Con un prima UniversiIngegneria gestionale a Vicenza (Università di Padova), sede inziale a abbandono, solo tà in Veneto ma Monte Berico successivamente, la ricostruzione definitivo. della storia e delNel 1410 i vile motivazioni Ma la situazione iniziò a mutare per centini fecero richiesta al doge Miche hanno portato a una chiusudifferenti ragioni. chele Steno perché venisse restaurara così precoce, dopo pochi anni Tentando di ricostruire la precota l'Università, considerando che si dall'avvio, è tutt'ora molto controce chiusura dello Studio, mentre era trattato di una chiusura premaversa e interessante. era ancora in fase di genesi, si può tura e non giustificata da fattori inSi ipotizza, concretamente, che il ritenere che, nonostante l'appaterni di impedimento per la prosegruppo di studenti e docenti giunrente sintonia e l'iniziale accordo cuzione dell'attività, ma la richiesta ti e insediati a San Vito, provenisse per quanto riguarda le intenzioni fu respinta in favore di Padova. da Bologna a causa del conflitto comunitarie e delle autorità, percon il comune che avrebbe cercato manesse una situazione conflittuale La storia recente di limitare attività e privilegi connell'ambiente cittadino. Lotte tra dell'Università ... a Vicenza Ci volle dunque, moltissimo temnessi. Con il trasferimento a Vifazioni, dibattiti, forse anche infilpo, prima di un secondo passo cenza venne decretata la confisca trazioni e questioni eretiche, avrebverso il ritorno della presenza unidei beni dei professori spostatisi, bero fortemente condizionato il versitaria in città; precisamente il con gli allievi per l'appunto, nella clima che avrebbe dovuto permet20 maggio del 1989, con la costisede veneta. Inizialmente non vi tere la prosecuzione delle attività di tuzione del Corso di Ingegneria furono problemi ma, al contrario, studio. Gestionale dell’Università di Panacque un ambiente accoglienUn altro tema chiave è il controverdova. Successivamente, nel 1990, te, che procedeva, di pari passo, so rapporto con l'Università di PaVicenza accolse i suoi primi 258 con la volontà dei canonici della dova; alcuni storici affermano, instudenti e da questo momento la cattedrale. Si insegnava teologia, fatti, che la medesima ebbe un ruodirezione divenne più concreta, con un percorso formativo semmatematica, diritto civile, diritto lo centrale nell'attrarre tutti gli stupre in fase di sviluppo. canonico e altre materie strettadenti del territorio nel suo Studio, Alla fine degli anni '90 le collamente collegate alla struttura, ecoanche se in fase progettuale e poi borazioni aumentarono ed ebbe nomico-sociale, della città in quel istituito definitivamente nel 1222. inizio, in particolare, quella con periodo storico. Tuttavia, c’è motivo di credere che n. 1 | 14 Gennaio 2024 - 10


V icenzaC o o l la Facoltà di Economia dell'Università di Verona ma anche quella con la Facoltà di Medicina Veterinaria nell'Università di Padova, per quanto riguarda l'area della Sicurezza Alimentare. Si può parlare dunque, dopo tutti questi anni in fieri, di un vero e proprio consolidato ritorno di una presenza universitaria, viva e concreta, in città a partire dagli anni 2000 anche se "succedanea" agli atenei di Padova e Verona. Ci fu, quindi, la volontà di connettersi con la parte culturale, identitaria e radicata di Vicenza offrendo dei percorsi di studio in linea con aree d'interesse e di ricerca del territorio locale e non solo; con proposte adatte a differenti percorsi scolastici. Una collaborazione, tra le più importanti, è stata, senza dubbio, quella recentissima con l'Università IUAV di Venezia: una convenzione per l'attivazione del Corso di Laurea in Design, attivato per la prima volta nell'anno accademico 2022/2023. Grazie a questo, lungo e complesso, itinerario di consolidamento e di evoluzione della forma e della proposta della sede universitaria vicentina, dai 258 studenti

L'Università di Vicenza in Viale Margherita

del 1990 le iscrizioni sono salite a quasi 4700 nel 2022 grazie al consolidamento della volontà di istituire un'offerta formativa collegata fortemente con il territorio che riguarda ambiti come Ingegneria, Economia, Sicurezza igienico-sanitaria degli alimenti e Design; i dati in merito all'occupazione dei laureati e delle laureate, al termine di questi corsi, confermano l'unicità, la concretezza e l'eccellenza dell'offerta. Una proposta che continua a modificarsi, diventando sempre più specifica e caratterizzante, seguendo il fabbisogno delle aziende del territorio e le nuove idee delle università di origine con cui

la collaborazione è ormai consolidata tanto da attrarre non solo studenti e studentesse veneti/e; oggi oltre la metà degli iscritti è residente fuori provincia.

Il futuro universitario? Certo è che, in una città e in una provincia che sono tra le prime 4 più "produttive" d'Italia, rimane qualche nostalgia per aver perso il primato universitario. E sorge una domanda alle forze politiche, imprenditoriale e culturali vicentine spesso troppo succubi verso l'esterno: perché non elaborare quella nostalgia per trasformarla in un progetto di vera Università di Vicenza? n. 1 | 14 Gennaio 2024 - 11


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Vicenza. Città “quasi” bellissima:

Vicenza Città (quasi) bellissima

il debutto in libreria di Tommaso De Beni

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Vicenza.

Città (quasi) bellissima

Tommaso De Beni

icenza: città bellissima? La citazione di un articolo di Paolo Lanaro, pubblicato da “Venetica” nel 2013, racchiude in questo libro gli innumerevoli orrori e brutture che compaiono ovunque nella città del Palladio, ultimo innovatore - ben cinque secoli fa - della “imago urbis”, in quanto artefice di molte creazioni architettoniche e artistiche che ancora oggi rinfocolano il turismo cittadino, ma spesso costretto a rivoltarsi nella tomba di fronte a una lunga serie di brutture. A sua volta Lanaro citava un libro, edito dalla Biblioteca Bertoliana nel 1984 col titolo Vicenza città bellissima. Iconografia vicentina a stampa dal XV al XIX secolo. Questo libro, d’altro canto, non faceva altro che riprendere una definizione di Vicenza data nel ‘500 da Filippo Pigafetta, parente dell’Antonio che - cinquant’anni addietro - era stato il cronista della prima circumnavigazione del pianeta con Ferdinando Magellano

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e a cui i concittadini hanno dedicato un monumento che è un’altra delle cose orribili che funestano il bello di Vicenza. E non parliamo dello spray da bomboletta di due americani (extracomunitari di lusso) ubriachi, ma di due tipi di orrori urbanistici e paesaggistici che sporcano e guastano la bellezza di Vicenza e giustificano sia l’avverbio del titolo di questo libro sia l’interrogativo apposto da Lanaro nel 2013, anno, fatalità, dell’inaugurazione della caserma Del Din, a una frase di un libro del 1984, quando già emergevano le enormi contraddizioni di una città medio-piccola, splendidamente raffigurate da Pino Dato nel libro Dimenticare Vicenza?, che a sua volta riprendeva la definizione data in un secolo di splendore e in cui l’immagine della città era ancora idilliaca. Sarà anche stata bella, nel ‘500, la città, che era molto meno estesa di oggi e, per la massima parte, racchiusa dal perimetro delle mura scaligere-veneziane. L’aggettivo è an-


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La chiesa parrocchiale del Villaggio del Sole

cora valido per la versione odierna? Forse di bellezza si può ancora parlare solo per la parte “intra moenia” di Vicenza, quella che è definita “Centro Storico” e che è rimasta simile alla città cinquecentesca. Infatti, i vicentini dei secoli successivi non sono riusciti, per mancanza di idee e di “schei”, a modificarne l’aspetto più di tanto. Ma l’incuria e certe mode architettoniche (si pensi a quanto sono brutte tutte le chiese costruite negli anni ’60) rischiano di deturpare la bellezza palladiana, quando invece è evidente, e le città tedesche lo insegnano, che una città non può vivere di rendita per sempre dal punto di vista artistico-estetico. Con un po’ di fantasia si può e si deve concepire una modernità (e post-modernità) che sia funzionale, ma anche bella (o perlomeno affascinante). Ecco che allora, riprendendo il discorso di prima, le brutture denunciate in questo libro riguardano luoghi storici che andrebbero messi a

posto, assieme a luoghi costruiti ex novo e che purtroppo ci dobbiamo tenere così come sono e che al limite potrebbero essere salvati facendone centri di aggregazione culturale, artistica, musicale. A volte, sembra banale ma è così, e basta girare un po’ l’Europa per capirlo, un murale

o una luce led possono veramente fare la differenza. Questo libro, va aggiunto, non ha nessun intento di polemica politica, ma anzi vorrebbe essere un inno d’amore alla città tenendo sempre viva la speranza di poter migliorare, per esempio sfruttando i soldi del PNRR, ma anche cercando di seminare nelle menti più giovani, quelle che forse un giorno saranno sindaci, assessori, progettisti, l’idea di volere più bene alla città, e non solo al salottino del centro storico. Nella speranza anche che, vuoi per sfortuna o per scarso peso politico dei vicentini a Roma, non si ripetano più casi come quelli della caserma Del Din o della linea TAV, cioè scelte imposte dall’alto e dall’esterno che vanno a modificare irrevocabilmente, e sempre in peggio, il volto della città. L'Autore

L'ex macello

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Maurizia Cacciatori: in “Senza rete” si racconta dalla “vecchia” alla nuova vita la regina del volley, che a Vicenza perse due dei suoi tanti titoli Marta Cardini

ciatore Demetrio Albertini ed è stato presentato anche a Vicenza, dove, tra i suoi pochi insuccessi, nella stagione 2000-2001 perse una Coppa Cev (l’equivalente, per capirci, della Europa League del Calcio) e nella stagione 2001-2002 una Supercoppa Italiana (riservata alle squadre vincitrici della Champions, della Cev e della Coppa Italia), sempre contro la squadra di Vicenza allora gestita dal nostro direttore.

La carriera

Maurizia Cacciatori alla Foppapedretti Bergamo detta uno schema

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allo sport alla storia personale, la campionessa di pallavolo Maurizia Cacciatori, racconta la sua vita nel libro autobiografico “Senza rete”, edito da Roi Edizioni nel 2018. Il libro fa parte di una collana a cura dell’ex caln. 1 | 14 Gennaio 2024 - 14

La Cacciatori è un’ex pallavolista, palleggiatrice per la precisione, opinionista televisiva per Sky Sport per la pallavolo femminile. Ha compiuto 50 anni il 6 aprile 2023, è figlia dell'ex calciatore Franco. Maurizia, mito di sport e bellezza per un’epoca e ancora oggi ricca di fascino e di successi nella vita professionale post agonistica, è stata una campionessa italiana, che in carriera ha conquistato 5 scudetti, 5 Coppe nazionali, 3 Coppe Campioni, 1 Coppa Cev, 3 Supercoppe italiane. Inoltre, è stata capitana della Nazionale dove ha totalizzato 228 presenze, vincendo un oro ai Giochi del Mediterraneo (2001), un bronzo e un argento agli Europei del 1999 e del 2001. Al Campionato mondiale di pallavolo femminile 1998 in Giappone, dove l’Italia raggiunse il quinto posto, venne eletta miglior palleggiatrice della manifestazione. Ora la Cacciatori è speaker aziendale e commentatrice tv.

Il libro “Ora che la guardo, la mia vita è stata di sicuro intensa, complicata, meravigliosa, struggente, caotica, ricca


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Maurizia Cacciatori ora

di colpi di scena e di buone lezioni. Una storia che, nel bene e nel male, ho scritto sempre liberamente. Una storia che vale la pena di raccontare” riassume la Cacciatori nel risvolto di copertina. Si tratta di una

storia di vita straordinaria, di valore e di sport, in cui vengono raccontate emozioni e strategie per vincere. “Ho sempre pensato che la vita sia una miscela tra episodi che accadono e decisioni che con coraggio decidi di affrontare” - esordisce. La campionessa è sempre stata spinta da un forte desiderio di libertà e da una forza incrollabile. Uscita di casa a sedici anni per inseguire la passione della pallavolo e liberarsi da regole troppo strette, ha collezionato titoli nazionali e internazionali, fino alla nomina come migliore palleggiatrice al mondo, una serie di avventure con le compagne di squadra e ben ventidue traslochi in giro per il mondo. Con lo stesso spirito ha affrontato i momenti meno felici come, ad esempio, l’esclusione dalla Nazionale.

La vita privata

ha imparato l’arte di reinventarsi per ricominciare. Colpisce quando, a un certo punto del libro afferma che “il palleggiatore è un essere umano solitario. È una specie di roccaforte dentro alla quale i compagni cercano rifugio”. Oppure quando racconta le sensazioni che provava ad essere famosa. “Essere popolari è come guidare una Lamborghini a tutta velocità, a finestrini abbassati. Ti godi quegli istanti di ebbrezza […] con le ruote che schizzano sull’asfalto”. La campionessa, conclude, affermando di aver sempre cercato di fare un uso intelligente della sua fama, con risultati, come può succedere in una vita così intensa, non sempre ottimali. Ma anche nel volley più volte è tipartita verso l’alto dopo alcuni insuccessi come i due a… Vicenza.

Nel 2004 fuggì dall’altare, a una settimana dal matrimonio, dopo un lungo fidanzamento con l'ex campione di basket e ora allenatore della nazionale italiana Gianmarco Pozzecco. Nel 2011 è diventata mamma di Carlos Maria, avuto dal compagno Francesco Orsini, e nel 2012 di Ines. Maurizia ha dedicato il libro ai suoi 2 figli.

La nuova vita

Maurizia Cacciatori con i 2 figli nel 2015

Ora si è costruita una carriera completamente nuova. Fa l’opinionista televisiva per Sky Sport. Senza rete è il racconto emozionante, coinvolgente e a tratti comico di una donna che

La copertina del libro

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“Il Cammino dell’Infinito” intorno a Vicenza, come il simbolo ∞: progetto turistico di Lucio Zaltron lungo la Provincia

A piedi e in bicicletta grazie a una rete inclusiva di enti locali e associazioni che faccia da volano economico, ecologico e sostenibile Giovanni Coviello

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hi legge ViPiu.it ogni tanto trova scritti di Lucio Zaltron, che si definisce innamorato di Vicenza, la “mia città”. Nei suoi articoli e nei suoi racconti non mancano il suo amore anche per tante altre cose, come la passione sbocciata per la scrittura di poesie, forse anche per un riflesso, sia pure totalmente originale, dell’attività artistica della moglie, Rossella Menegato.

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Da sempre attivo nel volontariato Lucio Zaltron è socio nell’associazione culturale L’IdeAzione, delegato provinciale della Fondazione Caponnetto e componente della commissione turistica dell’ACI Vicenza. Nell’ambito sportivo si dedica alle relazioni esterne della società sportiva Rugby Vicenza e, tanto per non farsi mancare nulla nel volontariato, è un convinto donatore di sangue.


V icenzaC o o l Dalle sue due “passeggiate”, ovviamente a piedi, una da Vicenza lungo la Via Francigena verso Roma (qui raccontata su ViPiu.it anche nella versione dal sud, ndr) e l’altra fino a Santiago de Compostela, Lucio Zaltron ha maturato il Progetto turistico per la Provincia di Vicenza “Il Cammino dell’Infinito”, che in questa intervista propone all’attenzione di tutti – “camminanti”, enti, associazioni e attività imprenditoriali locali e non. Sperando di poter iniziare un cammino insieme a lei per realizzarlo con il contributo, anche di idee e integrazioni, di tutte le realtà che il progetto può e vuole coinvolgere, iniziamo a chiedergli qual è il Progetto turistico per la Provincia di Vicenza: “Il Cammino dell’Infinito”? La finalità è quella di far conoscere la provincia di Vicenza “lentamente” adottando la “filosofia del pellegrinaggio” e anche di una mobilità ecosostenibile con l’uso della bicicletta. Percorsi da fare lentamente per riscoprire, da soli o in compagnia, la bellezza interiore ed esteriore con soste in siti laici e religiosi e ospitalità da individuare a seconda delle proprie necessità e conoscenze.

al rispetto e alla riqualificazione del territorio dove necessario; aggregare realtà del terzo settore per una nuova rete inclusiva ed accoglienza; generare un nuovo indotto economico anche con possibili nuove tipologie occupazionali; stimolare un concreto nuovo senso di comunità partecipata.

Ci può descrivere il suo progetto?

Incentivare e approfondire la conoscenza della nostra Provincia con un turismo lento, una nuova modalità di viaggiare diversa e antitetica al “turismo mordi e fuggi”; educare

L’idea nasce da ciò che da tempo esiste altrove in particolare nel noto “Cammino di Santiago”. La differenza principale sta nel percorso che non prevede una meta perché “circolare” nella Provincia e disegna un “8” e con varie sue declinazioni, che ruotato di 90°, simboleggia l’infinito con al centro proprio il Santuario di monte Berico. Il percorso dovrebbe essere dotato, oltre che di una segnaletica attenta e diffusa, di accoglienze convenzionate da destinare ad una ospitalità essenziale e non solo. Non solo quindi luoghi di culto ma anche edifici pubblici e privati, attualmente anche in stato di abbandono e degrado, che potrebbero essere riqualificati con incentivazioni di vario genere e semplificazioni burocratiche. Utili sarebbero al territorio che accoglierà i “camminanti” delle convenzioni con i locali toccati anche per dei menù basici con prezzo standard. Il tutto andrebbe raccolto in una guida in continuo aggiornamento da proporre con un necessario preventivo

La Via Francigena

Circumnavigazione del Globo

Quali sono gli obiettivi che si pone?

accredito dei fruitori per il conseguente rilascio di una “credenziale individuale” da essere esibita e validata nelle varie soste.

Questo “Cammino dell’infinito” sarebbe, quindi, anche un volano economico ed ecologico oltre che sostenibile. Ogni Comune coinvolto avrebbe l’auspicata possibilità di “trattenere” il turista con iniziative di vario genere (culturali, artigianali, enogastronomiche, etc.) e con eventi da calendarizzare in collaborazione col le numerosissime associazioni del territorio, anche per evitare dannose sovrapposizioni. Tutto ciò sarebbe sicuramente facilitato da quanto già prodotto ed esistente in provincia come il progetto “Romea Strata” realizzato dell’ufficio Pellegrinaggi della Diocesi di Vicenza, che traccia in particolare due percorsi (uno che scende da Bassano verso Padova e uno da Schio verso Noventa Vicentina) e il “Roi Fogazzaro”. La congiunzione di questi ultimi due con altri tracciati da individuare per la chiusura di un anello potrebbe essere una buona soluzione.

Le aziende del territorio sono parte attiva della sua idea. Ci fa un esempio? Oltre ai vari punti di ristoro o di alloggiamento un punto di forza poIl Cammino di Santiago

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V icenzaC o o l Seconda tappa: Torres e l l e - Is o l a - Ma l o - Ma grè-Schio per una distanza di 21 km e con un dislivello di -200 mt circa Terza tappa: Schio-Santorso-Piovene-Arsiero-Pedescala per una distanza di 23 km e dislivello di +100 mt circa Quarta tappa: Pedescala-Rotzo-Roana per una distanza di 18 km e dislivello di 800 mt circa 80 km complessivi nei quali esistono alcune strutture ricettive per dormire e per proposte enogastronomiche rintracciabili facilmente via internet. Per esempio, a Torreselle B&B e agriturismo, a Schio esiste un ostello comunale di recente attivazione destinato ai PellePossibile partenza dalle scalette di Monte Berico a Vicenza grini, ad Arsiero un hotel a 3 stelle “La vigneta”, etc… Per non parlare, in premesprivati vari sensibili ai valori della sa di tutto quanto esiste al responsabilità sociale d’impresa. centro dell’infinito, a Vicenza e inQuali sono i soggetti da coinvolgere? torno a Monte Berico. Di certo la Provincia di Vicenza, le Il “Cammino dell’Infinito” di LuCi illustra l’ipotesi di una varie Amministrazioni Comunali, cio Zaltron è una proposta di tupossibile traccia de “Il la Diocesi di Vicenza, i Servi di rismo dalle grandi potenzialità, se Cammino dell’Infinito”? Maria di Monte Berico, il Centro pensiamo, sia pure con le debite Tanti sarebbero i percorsi ma parservizi per il volontariato, le Assoproporzioni, ai dati del Cammitiamo, per stimolare idee e inteciazioni di categoria, il Consorzio no di Santiago di Compostela che resse, con questo lungo il versante Vicenzaè, le associazioni turistinel 2019 ha visto lungo gli 800 nord lungo circa 80 km. co-culturali, i soggetti privati. E sakm della sua tratta più famosa (il Prima tappa: Santuario di Monte rebbe auspicabile anche un possiCammino Francese, da Saint-JeBerico-Biron-Rivella-Monteviabile contributo di volontari iscritti an-Pied-de-Port a Santiago) ben le-Madonna delle Grazie-Torresela liste di disoccupazione anche in le per una distanza di circa 18 Km 200mila persone circa. relazione a fondi eventualmente con un dislivello di 250 mt circa concessi da banche, istituzioni e Qualcuno ci vuole pensare? trebbe essere l’esperienza e capacità organizzativa di “Girolibero”, riconosciuta azienda leader nazionale con sede in Vicenza specializzata in particolare nel turismo a due ruote; la concreta possibilità offerta per il nolo di biciclette associata a proposte di soggiorno costituirebbe sicuramente un’altra possibile miglioria. La proposta, quindi, darebbe anche un seguito significativo e propositivo al 500° anniversario della prima circumnavigazione del globo celebrato nel 2022 nel nome del nostro illustre concittadino, “cronista” ante litteram e “viaggiatore per mare” Antonio Pigafetta e prenderebbe lo slancio dal seicentesimo anniversario, nel 2026, dell’apparizione della Vergine a Monte Berico.

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Non solo Roma e Venezia: il cinema come opportunità di crescita a Vicenza Intervista alla location manager vicentina Alessia Iselle: “la città e i cittadini non devono subire il cinema, ma attrarlo" Tommaso De Beni

Una troupe in piazza dei Signori

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l cinema come seconda opportunità. Sia lavorativa, sia di riqualificazione urbana di una Vicenza non più bellissima, ma quasi bellissima anche per i troppi luoghi abbandonati. Ce lo spiega nell’intervista seguente Alessia Iselle, location manager, che è ritornata a lavorare per il cinema dopo che il Covid ha costretto molte persone a resettare la propria vita e dopo aver conosciuto anni fa in treno, per caso, il grande e compianto regista padovano Carlo Mazzacurati. Come dice il termine, quest’attività professionale si occupa, dopo aver letto il copione, di scegliere i luoghi adatti alle riprese e anche

interagire con le istituzioni e associazioni per avere tutti i permessi necessari per girare e per chiudere il traffico e altri problemi logistici. È insomma una figura che fa da collante tra la troupe televisiva e il luogo, la comunità, che la ospita. A Vicenza di recente è stata girata la nota fiction Mediaset Luce dei tuoi occhi e l’ultimo film di Marco Tullio Giordana (I cento passi, La meglio gioventù, Romanzo di una strage, n.d.r.) La vita accanto, tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice vicentina Mariapia Veladiano, in uscita nel 2024. Non solo Venezia, quindi, protagonista di diverse scene di ben tre film americani nel 2023, ma n. 1 | 14 Gennaio 2024 - 19


V icenzaC o o l anche la città del Palladio inizia a farsi conoscere come location per il grande cinema, dopo i casi sporadici de Il commissario Pepe, La moglie del prete, Il prete bello, Ultimo minuto, tutti film ormai datati. Il tutto grazie al dialogo e alla sinergia tra la location manager vicentina Alessia Iselle, l’amministrazione comunale, sia quella attuale che quella precedente, e la Veneto Film Commission.

Come fare per andare oltre al caso sporadico e creare una sinergia continua e programmatica che porti il cinema a Vicenza? Bisogna proporsi, se ci sono proprietari di dimore di lusso, giardini, mettere a disposizione un tariffario, mettere a disposizione i posti. Vicenza potrebbe fare anche da città-pilota per tutto il Veneto fuori da Venezia. Vicenza non faceva parte della Veneto Film Commission, prima c’era una Film Commission vicentina. È stata un’intuizione dell’assessore precedente, Simona Siotto, portata avanti anche da questa amministrazione. In Veneto c’erano molte realtà frammentate. Quando è arrivata la prima produzione di Luce dei tuoi occhi non eravamo ancora dentro la Veneto Film Commission e da lì siamo cresciuti tutti. Da citare sicuramente il lavoro di Clelia Stefani, molto brava assieme alla Siotto a capire le potenzialità del cinema a Vicenza. La nuova amministrazione ha capito che Vicenza non può stare fuori da un circuito regionale e ha continuato sulla stessa strada, dando la massima disponibilità a farlo anche in futuro, per pensare a un progetto che invece di subire le produzioni riesca ad attrarle. n. 1 | 14 Gennaio 2024 - 20

Si gira nelle strade di Vicenza

Cinema non vuol dire solo grandi nomi

Anche Rai e Mediaset vanno accolti a braccia aperte, perché sono opportunità di lavoro. Un lavoro che ti apre al bello.

Cinema significa cultura. Ma non può significare anche soldi e quindi crescita economica?

Il problema principale è territoriale: esistono regioni dove il cinema è il se-


V icenzaC o o l condo settore per entrate, per esempio la Puglia, oltre che il Lazio, che ovviamente ha la sede storica delle produzioni cinematografiche, cioè Roma e quindi non fa testo. Ma Roma stessa, essendo ormai satura, ha bisogno di delocalizzare le produzioni. Gli addetti ai lavori sono tutti a Roma, e spostarli è un costo, ma al netto di questo è comunque vantaggioso spostare le produzioni altrove. Fuori dal Lazio, oltre alla Puglia c’è Torino, che diventa polo cinematografico grazie alla Rai e a una fiction che ha portato alla creazione di una scuola.

Il problema infatti è anche la difficoltà di reperire gli addetti ai lavori: costumisti, scenografi, truccatori, fonici, tecnici delle luci, degli effetti speciali, etc. Perché c’è un unico grande centro che è Roma. Ho scoperto che a Vicenza ci sarebbe l’istituto Montagna che fa audiovisivi, però non basta. La troupe è composta da 60 persone, ci sono molti lavori legati al cinema. Il film non è fatto solo dai creativi, ci sono tantissimi tecnici. Dovrebbero quindi crescere competenze, perché questo si realizzi, cioè affinché vengano create scuole, bisogna prima creare un grande bisogno, che non sia solo la fiction che dura due tre stagioni. Se la politica regionale ritiene che la cultura sia un valore aggiunto, ci saranno degli investimenti.

A livello regionale qualcosa però c’è, si chiama Veneto Film Commission. Certo, e paradossalmente non è tra quelle che ricevono più fondi in Italia. Ricordiamo che il Veneto è la

prima regione d’Italia per afflusso turistico. Abbiamo le città d’arte, le campagne, i colli, le montagne, il mare, i laghi. L’anno scorso abbiamo registrato un +38% di accessi alle città d’arte italiane rispetto al periodo pre Covid e nel 2024 si prevede un ulteriore aumento, il che significa essere invasi dai turisti. Il problema è come accoglierli. Il cinema può essere un modo di attrarre un certo tipo di turismo. Abbiamo molti posti per fare girare i film, con paesaggi anche molto diversi. Forse non ci crediamo abbastanza. Venezia, come Parigi, è una di quelle città che non dialogano con il territorio, fanno storia a sé. Città come Treviso o Vicenza costano meno rispetto a Venezia, bisogna far capire, anche alle produzioni straniere, che non sono da meno nemmeno dal punto di vista estetico.

Cosa fare allora per attrarre le produzioni? A volte le produzioni seguono semplicemente il caso, come la fiction Luce dei tuoi occhi: l’attrice protagonista è vicentina (Anna Valle, n.d.r.) e per stare vicina alla famiglia ha preferito che si girasse a Vicenza. Un altro criterio sono i fondi. Tramite la Veneto Film Commission i registi accedono a dei bandi, magari il regista è di Napoli, ma trasporta la sua storia in Veneto perché vince un bando in Veneto. Noi dovremmo però attirare le produzioni e non subirle. Noi nel senso del Comune, ma anche dei cittadini. Quando hai cento persone in trasferta che hanno bisogno di tutto, è una ricchezza per la città. Non c’è niente di male a guadagnare con la cultura. Il lavoro non è solo quello delle fabbriche

o degli uffici; con questa mentalità facciamo scappare i nostri giovani, anche da Vicenza. La città di Vicenza dopo la fiction Luce dei tuoi occhi ha visto il 150% di aumento dell’accesso ai musei. Le persone intervistate da TVA dicevano di non sapere nemmeno che esistesse il Teatro Olimpico. È colpa nostra? Non del tutto, ma forse anche sì. Bisogna farsi conoscere.

Se non conoscono il teatro Olimpico, figuriamoci se possono conoscere la chiesa di Santa Maria Nova, che per la maggior parte del tempo è pure chiusa al pubblico. Quindi c’è anche un problema di apertura della città stessa agli occhi di tutti e non solo dei vicentini. Una bellezza di cui non essere gelosi, ma orgogliosi, per mostrarla a tutti. E anche per, volgarmente, guadagnarci. Penso anche ai tanti palazzi privati. A Verona per esempio con l’associazione Giardini segreti si è riusciti ad aprire, diciamo, le porte dei palazzi storici al pubblico. Bisogna creare degli spazi da dare gratuitamente per gli uffici, l’attrezzeria, i magazzini. Esistono dei luoghi chiusi che non hanno una vita, a cui il cinema può darla. A Vicenza questo è stato fatto con il palazzo Franceschini Folco, ex questura abbandonata, restaurato con i soldi dell’Europa, che è stato usato sia nel film di Marco Tullio Giordana, sia nelle fiction, diventando di volta in volta un ufficio o una questura. Ci sono tanti altri luoghi in città per i quali il cinema può essere una seconda chance. n. 1 | 14 Gennaio 2024 - 21


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Vicenza come Canterbury, ma è meno noto l’assassinio nella cattedrale nell’Italia del Nord-Est per opera di nobili ingordi Marco Ferrero

Raffigurazione dell’omicidio di Thomas Beckett, assassinato come accadde al vescovo di Vicenza Cacciafronte nel 1184

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ato a Cremona nel 1125, divenuto monaco, il vescovo Giovanni de Surdis Cacciafronte si schierò con papa Alessandro III nel corso delle lotte di quest’ultimo con l’imperatore Federico Barbarossa, che lo espulse dalla n. 1 | 14 Gennaio 2024 - 22

propria città natale. Il pontefice, tuttavia, ne premiò la fedeltà, chiamandolo a reggere prima la diocesi di Mantova e dal 1179 quella di Vicenza. Qui, Cacciafronte si distinse nella riorganizzazione del patrimonio ecclesiastico e per l’attività pastorale. Lottò per la libertà


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Vista sulla Cattedrale e sul Palazzo Vescovile, scenario dell’omicidio del vescovo di Vicenza nel 1184

della chiesa locale che i signori della città cercavano in tutti i modi di spogliare e, pur cercando di ripristinare il potere vescovile, rimase fedele a uno stile di vita monacale. Non solo: il vescovo volle ravvivare nei fedeli il culto dei santi Felice e Fortunato e, per rendere loro più agevole il percorso fino alla basilica, fece lastricare a proprie spese la strada che la univa alla città. In quegli anni gli assassinii dei vescovi non erano inusuali, soprattutto al tempo di Federico Barbarossa I, momento in cui ci fu una scissione tra il potere del papato e quello dell’impero. Ciononostante, le uccisioni dei vescovi ebbero inizio molto prima, basti pensare alle origini del cristianesimo o durante le invasioni barbariche. Su questo tema e sull’analisi dell’omicidio vi-

centino, scrive Giorgio Cracco nel suo saggio Assassinio nella cattedrale nell’Italia del Nord-Est: storia e memoria, contenuto nel volume miscellaneo Tra Venezia e terraferma: per la storia del Veneto regione del mondo (Giorgio Cracco; studi raccolti con la collaborazione di Franco Scarmoncin e Davide Scotto). Correva l’anno 1170 quando, precisamente nella Cattedrale di Canterbury, ebbe luogo una vicenda simile a quella vicentina: l’omicidio dell’arcivescovo Thomas Beckett. Anche Vicenza ebbe nel 1184 il suo “Assassinio nella Cattedrale” ne parla Gianni Giolo, il quale nell’incipit del suo scritto, tratta l’argomento riferendosi a Murder in the Cathedral di Thomas Stearns Eliot, un dramma teatrale scritto nel 1935. Ciò che differenzia i due

delitti, però, è che quello legato alla corona inglese destò molto scalpore, mentre la vicenda vicentina non ebbe lo stesso seguito Cacciafronte visse all’epoca delle lotte tra guelfi e ghibellini. Nel 1180 questa fazione che prevaleva in città fu sconfitta ed esiliata e maturarono i propositi di vendetta, tra i quali l’uccisione a tradimento del vescovo, nella primavera del 1184. Per comprendere le ragioni dell'omicidio avvenuto nel 1184 a Vicenza, è essenziale esaminare attentamente il profilo del vescovo Cacciafronte. Egli si distinse come fedele devoto al papa, dedicando una considerevole parte del suo impegno all'attività pastorale e alla tutela del patrimonio ecclesiastico. La sua lotta per la libertà della Chiesa di Vicenza contro i potenti signori e nobili locali fu determinante, ma ironicamente fu proprio questa battaglia che segnò la sua condanna. Il vescovo Cacciafronte non solo si oppose ai tentativi di spogliare la Chiesa locale dei suoi diritti, ma si adoperò anche contro gli eretici, cercando di preservare la purezza della dottrina. La fondazione di una scuola di teologia rappresentò un ulteriore impegno nel suo desiderio di educare e formare spiritualmente i membri della comunità. Fu in prossimità di questa scuola che la sua vita ebbe una tragica svolta. Durante il tragitto verso la scuola, il vescovo Cacciafronte fu fermato n. 1 | 14 Gennaio 2024 - 23


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Cattedrale di S. Maria Annunciata e il monumento dedicato al vescovo Cacciafronte

da un mendicante che chiedeva una veste. Mostrando la sua consueta premura per i meno fortunati, il vescovo incaricò il suo segretario di procurare l'indumento richiesto. Fu proprio in questo momento, in un frangente di generosità, che il vescovo fu colpito a morte, segnando la fine di una vita dedicata alla fede, n. 1 | 14 Gennaio 2024 - 24

all'assistenza ai poveri e alla difesa della Chiesa. Il papa individuò alcuni nobili come veri mandanti, tra cui un feudatario scomunicato per aver abusato dei beni messigli a disposizione dalla Chiesa, tanto da privarli dei loro possedimenti e dei relativi benefici, punizione confermata negli

anni seguenti dal Papa Celestino III e da Innocenzo III, che la estese anche agli eredi dei congiurati. Nel suo saggio Giorgio Cracco sostiene che Giovanni Cacciafronte fosse un modello ideale in quanto uomo di fede. Figura molto amata dai vicentini e morto da martire, Giovanni De Surdis Cacciafronte fu ben presto considerato santo “di fatto” divenendo destinatario di preghiere che chiedevano la sua intercessione. Per questo, nel 1222 il suo successore alla cattedra vescovile, Zilberto si rivolse al papa chiedendone la canonizzazione. Questa, pur avviata, trovò evidenti ostacoli a S. Pietro e non arrivò a compimento. Si dovette attendere 600 anni per per vedere Cacciafronte beatificato nel 1824 da papa Leone XII e solo il 16 marzo, anniversario dell’uccisione, elevato a festa liturgica. Il perché di questo ritardo lo si evince, forse, dagli atti del processo di canonizzazione, avviato pochi anni dopo la sua scomparsa, nei quali si può leggere che il religioso “prediligeva e nutriva i poveri facendo loro distribuire in tempo di carestia il raccolto delle terre vescovili, vestendoli con panni acquistati a sue spese, onorandoli con la lavanda dei piedi”. Si trattava di uno schema inusuale per essere proposto alla Chiesa universale di allora. Solo di allora?


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Roberto Montanari “El Pintor de los Toros”. Antonella Montanari

Salvador Dalì e Roberto Montanari

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a volta che Roberto Montanari, “El Pintor de los Toros”, venne a Vicenza, fu grazie all’amico Ettore Puricelli, allenatore del L.R. Vicenza. Il tecnico uruguaiano organizzò dapprima una mostra al “City Hotel” del pittore ravennate e poi lo convinse a trasferirsi nel capoluogo berico, dove gli trovò appartamento e galleria in quel di viale Milano, proprio di fronte a casa sua. Montanari mostrò fin da bambino un interesse smodato per la pittura e per l’animale totem della Spagna, tanto da fargli guadagnare lo pseudonimo di “pittore dei tori” e divenire l’icona della sua arte. L’esuberante artista romagnolo frequentò dapprima l’accademia di belle arti di Ravenna e, dopo un periodo in Francia per approfondire l’analisi degli impressionisti, si recò in Spagna dove studiò alla prestigiosa accademia di Madrid. La meta iberica serviva a Montanari per provare quell’emozione elevata, quell’autenticità, quell’energia inquieta, che sono

l’estro ispiratore e l’essenza della sua arte e che si possono definire con la parola spagnola “Duende”. Solo chi lo possiede può comprendere e trasmettere l’inquietudine e la sofferenza dei tempi. Neppure Garcia Lorca riuscì a definire tale termine, ma solo aiutarne la sua intuizione. Gli artisti che hanno il duende sono caratterizzati da un moto instancabile dell’anima e accelerano la loro arte oltre la perfezione tecnica e sono inarrivabili. Ed è in questa formazione del pittore, che si deve rintracciare l’effettiva derivazione psicologica delle sue opere. Un altro tema molto caro a Roberto Montanari e ricorrente nei suoi quadri sono i paesaggi andalusi col sole allo zenit. Montanari amava percorrere le vie che poi ritraeva e i suoi paesaggi mostrano la dimensione ideale dove rifugiarsi, nella totale assenza di persone, quasi che la figura umana disturbi la quiete ideale dell’anima. Sono opere tridimensionali per cui la calle impressa nella tela da Montanari, segue lo spettatore, mentre si sposta, partendo dal centro, n. 1 | 14 Gennaio 2024 - 25


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Il toro Miura

Calle Roberto Montanari

sia verso destra, che verso sinistra; in queste tele c’è così tanta luminosità, da potere essere ammirate anche al buio. I paesaggi andalusi di Montanari sono inondati di sole, di luce e fiori e dipinti con un fine tratteggio utilizzando la tecnica acrilica, che richiede una mano ferma e sicura nell’esecuzione. Nel pieno dell’estate, a mezzogiorno il sole è potentissimo, e la luce è assolutamente pura, senza una nuvola, il sole e la luce nella loro versione più limpida sono la condizione più normale per il cielo dell’Andalusia e dei paesaggi di Montanari, “Il giardino dell’Eden”, secondo le parole dello scrittore spagnolo Antonio Muñoz Molina. I paesaggi andalusi inondati di sole sono incredibilmente belli! Roberto Montanari amava molto il gioco di contrasti, di colori, di luci e ombre ed uno di questi è rappresentato dall’innocenza presente nei suoi paesaggi e la bestialità dei quadri che ritraggono i tori, altro tema simbolico della sua arte. I tori sono ritratti dall’artista mentre corrono liberi nel campo pronti a combattere per stabilire la

nuova gerarchia: il toro più aggressivo vincerà, sarà il nuovo capo e imporrà il suo dominio; metafora della vita, dove l’artista punta il dito sulla società attuale e i suoi meccanismi aggressivi per affermarsi. I tori sono una costante dell’arte del pittore, che li amava proprio per il loro temperamento inarrendevole nell’affrontare la vita. Roberto Montanari riesce magistralmente a creare una connessione con lo spettatore: lo sguardo del toro si posa su chi lo sta guardando e lo segue ovunque e il toro, rapido e forte, sembra quasi stare per rompere la tela per uscire: caos, combattimento, vita, morte. Montanari con la sua tavolozza di colori, usa il contrasto cromatico per esprimere lo scontro tra la vita e la morte; lo stesso colore giallo ocra utilizzato dal pittore per lo sfondo in cui sono contestualizzati i tori, serve a rendere l’idea del preludio allo scompiglio tra gli animali. Questa è l’arte che Montanari ha portato con sé a Vicenza e che illuminava le vetrine della sua galleria di viale Milano, dove venivano a fargli visita i suoi amici e colleghi. Quel viale dove ancora oggi ri-

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echeggia il suo vocione allegro e scanzonato, che salutava tutti, ma proprio tutti, facendoli sentire importanti con il suo entusiasmo, perché Montanari non aveva di certo barriere comunicative. E a tutti ripeteva con orgoglio di essersi fatto da solo e in quella via centrale di Vicenza ancora si parla di lui, della sua schiettezza, della sua genuinità, della sua generosità, ma soprattutto della sua semplicità: lui, così grande faceva in realtà sentire grandi gli altri. Aveva scelto Vicenza, ma non aveva mai perso la sua anima romagnola, era sanguigno e sincero e aveva superato prove durissime nella sua vita, ma ha lasciato ai vicentini un insegnamento e un ricordo di leggerezza. Era come i tori che dipingeva: si rialzava sempre dopo ogni prova della vita, ma anche i suoi tori alla fine muoiono nell’arena e in quella morte dipinta dal suo estro, accanto, nella stessa tela c’è tanta vita che afferma la sua ragione di esistere. Ama l’arte, tra tutte le menzogne è ancora quella che mente di meno G. Flaubert


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Poesie

Cos'è per noi Venezia? Enrico Hüllweck

Ti ho raggiunta a Venezia nel tramonto come un'onda che corre dietro a un'onda, entrambe schiave d'uno stesso mare, che si rifrange e poi si ricompone, come il concerto della nostra vita, or tenue, or grave, ora di forte accento. Cos'è per noi Venezia questa notte? Acque che il mare batte sulla pietra, fruste di salso sugli antichi marmi, dove abbandona il suo ricordo intriso di bruno muschio e di conchiglie bianche ogni marea che si rigonfia d'onde e che a ogni balzo fa più antico il segno, di Venezia scrivendo il movimento sopra i muri da tempo addormentati. E se poi il vento strapperà alle case veli pudichi di nebbiosa bruma, nudi mostrando i muri ed i balconi, così farò di te con le tue vesti: e baci dai miei occhi avrai nel vento; bacio sarà il pensiero che ti cerca e ogni bacio carezza alla tua pelle. Ti ho raggiunta a Venezia nel tramonto, quando il sole già tocca l'orizzonte e il suo rossore va sciogliendo in mare. Cos'è per noi Venezia questa notte? Tu sopra il ponte a ritagliare il cielo con il tuo corpo offerto al desiderio, magica strega ferma nell'attesa del ritornare di un incanto antico e il mare ed io che ti corriamo incontro, lui carezzando gli argini muscosi, io già cercando dei tuoi occhi il riso.

nave che attende di toccar la riva, come il sospiro che ti gonfia il seno. Poi dal tuo corpo nascerà il lamento che gli amanti sconvolge nella notte come l'urlo improvviso del gabbiano che, buio e quiete lacerando, s'alza. Io sarò il mare e tu per me Venezia.

La lattina Lucio Zaltron

Lungo ogni via monnezza accompagna il passo, rassegnato degrado alla vista ove anche le menti si adeguano all'immondo. Silenziosi incontri guardinghi nel diffuso plumbeo contamina imbrattati edifici. Lerce serrande abbassate attendono il questuante di turno fedele a quotidiani dosaggi. Raccolgo una lattina, la schiaccio, la getto in un cestino e impreco per l'agonizzante bene comune.

Forse promette gioia il tuo sorriso, come filo di fumo all'orizzonte che di una nave fa pensar l'arrivo: Riservato ad autori del Vicentino di poesie, racconti e immagini. Proponile alla redazione scrivendo a cittadini@vicenzapiu.com

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V icenzaC o o l

racconti brevi

Lisetta Giorgio Langella

Q

uella mattina Lisetta, come ogni giorno, si svegliò presto e, come accadeva una volta all'anno, si accorse che era l'undici febbraio. Quel giorno compiva novanta anni. Si alzò, come ogni giorno, e, come ogni giorno, fece le solite cose. Solo si dimenticò di preparare il caffè. Ultimamente le succedeva sempre più spesso di non ricordare qualcosa, magari solo una di quelle che era abituata a fare. Era l'età, continuava a ripetersi. In bagno, mentre si lavava il viso si ricordò di essere stata giovane. Tanto tempo prima. Si guardò allo specchio e vide i capelli grigi. Le sembrò fossero diventati più chiari del giorno prima e che si fossero imbiancati così, all'improvviso. Pensò che fino a pochi anni prima fossero stati tutti neri (i rari capelli bianchi li strappava subito) e che questo la faceva sentire orgogliosamente giovane. Aveva, quasi, la certezza di essere quasi immortale, come se il tempo, su lei, non potesse lavorare. Certo, qualche ruga appariva qua e là. E gli acciacchi si facevano sentire. Soprattutto un'insistente sofferenza ai piedi che, le sembrava, erano tutti storti bitorzoluti come radici di un albero. Ma i capelli rimanevano neri (non scuri, proprio di un nero profondo e particolare). I suoi capelli, lunghi fino al bacino che pettinava “a cocòn”. Improvvisamente ricordò di essere stata in America. Sorrise pensando a quel periodo. Lo spagnolo non l'aveva mai imparato. Si arrangiava con il dialetto vene-

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Lisetta

to e riusciva a farsi capire da tutti. Da quello che portava l'acqua in grandi contenitori di vetro e da chi gli vendeva le banane, cinque alla volta. “¿Una manita o dos, señorita?”.


V icenzaC o o l E parlava con Rodriguez che curava le piante del giardino di casa e che era così simpatico e allegro fino alla morte del figlio più piccolo. Arrivava e accendeva la radio. La musica allora si diffondeva piacevolmente nell'aria tranquilla. Lisetta si riconosceva in lui. Nella sua povertà dignitosa. In un istante ricordò che lei, proprio lei, aveva cominciato a lavorare a undici anni o poco più e che, da allora, erano passati quasi ottanta lunghi anni. Ritornò al ricordo di Rodriguez. Gli vennero in mente il suo nome, quel Saturnino che le sembrava strano, e il suo sorriso quando, verso metà mattina, gli portava il caffè appena fatto. Lui riponeva gli attrezzi e ringraziava. Bevevano il caffè assieme, seduti sulla muretta che delimitava il giardino. Era un'abitudine, quasi un rito laico. Parlavano per qualche minuto uno in spagnolo e lei in veneto. Poi ognuno tornava alle proprie faccende. Lisetta poteva essere la madre di Rodriguez. Un figlio, lei, non l'aveva mai avuto. L'avevano impedito le cose della vita, continuava a ripetersi. Una simpatia, forse un amore, chissà, sì l'aveva vissuto, ma poi scomparve in qualche parte dell'Europa devastata dalla guerra. E poi la malattia e quella mutilazione che, se fosse oggi, non avrebbe subito. Ma si sa, allora, oltre cinquanta anni prima, non si poteva sapere. Non c'erano le analisi di adesso. E così le tolsero un seno per curare un cancro maligno che tale

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non era. Ma sembrava qualcosa di cattivo e bisognava intervenire. Eppure Lisetta non aveva rimpianti. Qualche assenza, certo, e tanti ricordi, ma rimpianti proprio no. Semplicemente aveva vissuto. Non si era mai sposata, certo, ma non era certamente una zitella. Non aveva studiato, certo, ma sapeva ragionare e aveva pensieri bellissimi. Ricordava, adesso, tutta la sua vita e le sembrava un film di quelli in bianco e nero che, improvvisamente, diventano a colori. Si trasformano saltando da una sequenza a un'altra. Sì, lei, Lisetta, aveva vissuto. Pensò al fratello più giovane, Eugenio, al quale lei aveva fatto quasi da mamma e che era morto addormentandosi davanti alla televisione senza accorgersi di nulla. Ricordò sua mamma, la “Gigia” che aveva allevato tanti figli senza lamentarsi. Poteva ricordare il suo sorriso privo di denti quando le sembrava vecchia e aveva meno dei novanta anni che oggi, lei, Lisetta aveva raggiunto. Molti meno. Novanta anni. Sì, proprio novanta. Un'età che le era sempre sembrata impossibile avere. No. Non si era mai posta il problema. Non si era mai pensata né vista vecchia. Novanta anni. Cercò di non pensarci. Di non pensare che troppi anni erano passati e che prima o poi … Iniziò a fare le solite cose. Piccole faccende di casa per non sentirsi inutile. Spolverò qualche soprammobile. Lavò un piatto che era rimasto da lavare. Disse qualcosa ad

Annamaria che, intanto, era entrata in cucina. Annamaria, che aveva conosciuto appena nata quando era entrata nella sua famiglia e che aveva “tirato su” e che, adesso, la accudiva quasi fosse diventata, lei, si proprio lei, Annamaria, quasi sua mamma. Col tempo i ruoli si erano invertiti, un poco alla volta, quasi senza accorgersene come è normale che accada. Lisetta si fece raccontare ancora una volta di cosa avessero fatto Carlo e Giorgio, i “fioi”, che abitavano in altre città e che avevano messo su famiglia. Parlarono delle nipotine, le figlie dei “fioi”, di come crescevano. Di quanto fossero belle e intelligenti. Parlarono di chi non c'era più. Di come la vita fosse continuata anche dopo la morte di “parón” Remo e della Carolina. E di Toni, il marito di Annamaria. La malinconia, allora, la prese com'era solita fare quando i ricordi si soffermavano su chi aveva chiuso gli occhi per sem-

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pre. Giovane o vecchio fosse. L'età non importava. Così Lisetta passò la mattina. Poi i “fioi” telefonarono per farle gli auguri e così si sentì improvvisamente tutti i suoi novanta anni. Tutte le primavere passate e tutti gli inverni. Ricordò la guerra quando nascondeva i volantini e le armi che Cisco e Bruno, partigiani, portavano a casa. Lei, fascista non lo era stata mai, non fosse altro per il suo carattere di “bastian contraria” e la sua insofferenza alle ingiustizie. No, fascista mai. Ricordava tutto, adesso, e questo le sembrava strano, qualcosa di innaturale, dal momento che da qualche mese si era accorta che, sempre più spesso, qualche pensiero le sfuggiva. Non riusciva a trattenerlo e se ne dimenticava, ma non del tutto. Aveva la strana sensazione di non riuscire più a trattenere nel cervello alcune frasi, qualche idea, tanti nomi. “È normale”, si ripeteva, “per una della mia età”.

Ma la cosa la disturbava. Non le piaceva affatto. E, soprattutto, non sopportava accorgersi di tutto questo. Aveva notato che queste “assenze” diventavano più frequenti il pomeriggio, quando era più affaticata. Le aspettava, allora, per combatterle ma non c'era nulla da fare. Arrivavano e lei capiva. Pochi giorni prima ne aveva fatto cenno a uno dei “fioi” quasi scusandosi. “Ma cosa mi sta succedendo?” gli aveva chiesto, “Perché dimentico le cose? E perché si deve invecchiare se si perde la memoria? Che senso ha?”. E aveva finito con un “Perché vi devo fare tutto questo?” pieno di struggente malinconia. Si erano commossi. E, adesso, invece, seduta nella sua poltrona ricordava tutto. Si alzò e si affacciò alla finestra. Provò un po' di vertigine a guardare in basso la strada e chi passava. E le automobili. E gli operai che stavano rompendo l'asfalto per riparare qualcosa. Fu allora che uno di loro alzò la faccia e le sorrise. In quel sorriso riconobbe Eugenio, il fratello mor-

to, che la guardava. Ancora vivo. E rivide tutti. Suo papà Emilio e sua mamma, la “nonnagigia”. In lontananza, vide la Carolina e Remo che camminavano tenendosi per mano. E Toni e Cisco e Bruno ancora giovani partigiani che ridevano forte. Infine, in lontananza, vide anche Rodriguez che sorseggiava un caffè, lo stesso che, e adesso se n'era resa conto, proprio quella mattina lei si era dimenticata di fare. A dispetto dell'abitudine. “Tutto questo non è possibile”, pensò Lisetta, “ma è così bello che voglio crederci. Il migliore regalo di compleanno che abbia mai ricevuto.” Così, capendo che niente di quello che aveva visto poteva essere vero, lo accettò. Lo rese realtà. La sua realtà. Ritornò verso la poltrona. “Devo fare il caffè” pensò. Si sedette per riposarsi un po'. Una strana e dolce emozione l'aveva affaticata. Sorrise tra sé e, senza accorgersene, si assopì. Così, come fanno i vecchi.

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