Ucuntu n.97

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Un politico che ha cambiato idea

Una ragazza del movimento

Tutt'e due dicono di voler cambiare l'Italia. Chi dei due lo vuol fare davvero?

Dopo Dice che fra pochi giorni si decide tutto. Sarà. La verità è che tutto sta passando sopra la testa della gente. Nessuno parla più della Fiat, nessuno parla di abolire il precariato. E allora, sono tutti uguali? No, certo. Ma stiamo attenti, dopo il Berlusconi cattivo, a non cadere in altri vent'anni di berlusconismo “buono”.

Jack Daniel - La nostra cultura

Orsatti Addiopizzo Gulisano Acquaviva Teatro Popular Periferie || 10 dicembre 2009 || anno III n.97 || www.ucuntu.org ||


Attacchi a TeleJato

Quando i fighetti fanno più danno dei boss Chi vuole isolare l'antimafia a Partinico? Apparentemente potrebbe sembrare una storia di provincia. Una di quelle polemiche sterili che a volte appassionano alcune comunità. Uno “scazzo” fra due giornalisti su metodi e stile. Nel raccontare storie, nel fare giornalismo. Ma non è una storia così. Per l’argomento che si tratta, la mafia in terra di mafia, e per il peso dei soggetti implicati. Da un lato Pino Maniaci, di TeleJato, emittente televisiva di Partinico dove da decenni è in atto una ferocissima guerra di mafia. Cronista minacciato di morte, che ha subito negli anni decine di attentati e intimidazioni. Dall’altro Walter Molino, giornalista più tradizionale anche lui da Partinico ma da tempo sul continente a cercare lavoro e fortuna. Lavoro che ha trovato oggi in televisione. Non in una trasmissione qualunque, ma a Anno Zero. I due non si amano. Non si sono mai amati. Da almeno 5 anni Molino non perde occasione di attaccare pubblicamente Maniaci. Parlando dei suoi trascorsi con la giustizia (che Maniaci non ha mai nascosto e chi in gran parte si sono dimostrati colossali minchiate), attaccando il suo modo di fare giornalismo (TeleJato è e rimane l’emittente locale più seguita del territorio del triangolo Cinisi-CorleoneAlcamo) e l’impegno certamente urlato di Maniaci contro la mafia. Molino non si è fermato a questo negli anni. Ha deliziato centinaia di persone (fra cui anche io) con mail che pubblicizzavano un casellario giudiziario (poi in gran parte

dimostrato tarocco e impreciso) di Maniaci. Ha attaccato amici e familiari del giornalista. E ha pubblicato un capitolo sempre su Maniaci nel libro “gli infami” che ha pubblicato recentemente per Mondadori. Una guerra personale quella di Molino. Una crociata contro l’uomo di TeleJato descritto come un truffatore opportunista, un ladro, un mezzo criminale addirittura in odor di mafia. A quanto pare Molino, nonostante i numerosi impegni che gli sono piombati sulle spalle lavorando nella struttura di Santoro & co, non riesce proprio a interrompere la sua guerra personale contro Maniaci, per lui incarnazione di ogni male. Adesso ha pubblicato su un blog locale l’ennesimo attacco commentando la notizia di un’operazione dei carabinieri proprio a Partinico. Operazione The End. Poco definitiva, visto che molti mafiosi locali non sono stati sfiorati dagli arresti. Operazione che si è svolta due giorni dopo una manifestazione di solidarietà a TeleJato che negli ultimi mesi, con l’inasprirsi di un conflitto fra vari gruppi mafiosi locali, era tornata ad essere al centro di minacce pesantissime. Deve essere stata questa vicinanza fra manifestazione e operazione ad aver innervosito Molino. Un attacco, quello del redattore televisivo, pesante e sibillino. Senza mai fare nomi, ma puntuale. Cercando di sminuire pesantemente il ruolo sociale e informativo dell’emittente partenicese.

Sussurrando quasi che TeleJato non abbia alcun peso nella finora limitata ma inesorabile fase di risveglio civile della società di Partinico (e non solo). Come dire: TaleJato e Manuaci sono inutili, rumorosi ma senza seguito, scassamimchia manovrabili e manovrati. Punto. Ora so che per quello che dirò Molino avrà la tentazione di querelarmi. Francamente me ne fotto. E quindi vado avanti. Come Molino sa, o meglio dovrebbe sapere, il messaggio che ha mandato (ieri, nel suo libro, da anni) può essere percepito come un via libera a chi TeleJato la vorrebbe vedere chiusa. Non per un fallimento. Ma con la violenza. A furia di cercare di delegittimare Maniaci e i suoi si rischia che qualcuno prenda sul serio questo tipo di messaggio. È successo in passato. Potrebbe succedere anche oggi. Molino però non sembra aver dubbi. Maniaci è il male assoluto. Che va sputtanato e isolato. Isolato. Questa parola in Sicilia ha un significato preciso. Isolato. Dorme sonni tranquilli, Molino? Preghi che a Maniaci, ai suoi familiari e ai collaboratori di TeleJato non succeda nulla. Neanche un graffio. Neppure di scivolare nella doccia. Perché non so proprio come potrebbe continuare a dormire tranquillo se dovesse, e speriamo di no, succedere qualcosa. Pietro Orsatti www.gliitaliani.it

|| 10 dicembre 2010 || pagina 02 || www.ucuntu.org ||


Politica

Wikileaks e il panico del Sistema La vera notizia è la folle reazione alle “rivelazioni” Non è che poi Wikileaks abbia fatto 'ste gran rivelazioni. Le cose che sono uscite più o meno si sapevano già prima: certo, a vederle tutte insieme il panorama è molto più desolante che a leggerle una per una: politici bestie, bombardamenti casuali, governi semimafiosi, guerre fatte per soldi e compìti diplomatici che ruttano fragorosamente ai pranzi ufficiali. E allora? Perché s'incazzano tanto? Perché il senso di panico, a sentirsi sbattere le cose in faccia senza poterci far niente, ha fatto letteralmente impazzire tutti quanti. “L'ha detto la televisione”, diceva una volta la gente, e quella la puoi controllare. Ma ora: “L'ha detto internet!”. E qua, con tutto il potere, non ci puoi far niente. La vera notizia allora è questa: il panico da ancient régime che ha travolto selvaggiamente tutti, dal non-occidentale Putin all'occidentalissima Clinton.

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“Arrestatelo!”, “Minaccia il mondo!”, “Pena di morte!”, “Fatelo fuori alla svelta!”. Non sono i talebani a gridarlo o i mandarini cinesi, ma proprio i nostri civilissimi e acculturati parlamentari e ministri. La Svizzera, a un certo punto, ha addirittura sospeso i conti del povero Asange: non l'aveva fatto con Hitler, non lo fa coi mafiosi lo fa con Wikileaks, cioè con internet, che evidentemente gli fa molta più paura. Con il che, è detto tutto: se i banchieri svizzeri, cioè il cuore del cuore del - chiamiamolo così - Sistema hanno rinnegato se stessi, figuriamoci gli altri.

Il diritto di cronaca ufficialmente non esiste più e il giornalismo è fuorilegge. Non solo in Iran o in Cina ma proprio qui da noi, in America e Europa. E la libertà? E il liberismo? E chi se ne fotte. Zoom sulla Sicilia, a Catania e Palermo, dove era già così da trent'anni (le inchieste su Ciancio indicano solo la cattiva coscienza in tempi complicati del Palazzo, non certo una qualunque voglia di cambiare): c'è democrazia in Sicilia? si può fare cronaca? si può parlare liberamente? Va bene, non si può, rispondevamo fino a poco tempo fa: ma a Milano, ma a Roma, ma a Washington... Ecco: la novità è che si vanno catanesizzando Roma Milano e Washington, vanno abolendo l'informazione. O almeno, questa sarebbe l'intenzione. Ma in realtà la gente è molto meno malleabile di prima, non perché più colta o più civile (anzi) ma perché ha a disposizione tecnologie che prima non aveva. Puoi impiccare Asange, ma internet chi lo impicca? Tanti piccoli Asange (ma no, non personalizziamo: nell'internet non si usa) spunteranno, e in effetti già spuntano, dappertutto. E' la stessa tecnologia che li produce: dopo Gutenberg era solo questione di tempo perché venissero fuori tanti Luteri.

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Va bene, lavoriamo per questo. Tranquillamente perché tanto il trend è questo e non c'è nessuna ragione di eccitarsi. Stampa batte amanuense, borghese batte vescono, Rete batte Sistema: prima o poi. Pensare globalmente, agire localmente: è

tornata ad uscire la Periferica e questa, nel nostro piccolo, è una delle tipiche buone notizie. Sta funzionando male la connessione Sicilia-Bologna e la Catania-Ragusa: questi, nel nostro piccolo, sono i nostri guai. E lavoriamo da gnomi, da formichine, senza una lira ma cantando allegramente come i Sette Nani, perché sappiamo benissimo che sono guai risolvibili mentre le buone notizie sono semi di alberi grandi, il cui frusciare, se tendete le orecchie, lo sentite già.

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E' buffa la politica, sempre la stessa: liberali e borboni si contrastano, dentro e fuori il Circolo dei Civili, mentre in campagna e sui lontani monti i contadini... Due mondi lontanissimi, qualche volta s'incrociano, ma sfuggenti. E come si chiamano i contadini oggigiorno? Ricercatori disoccupati? Precari? Ragazze che in mancanza di meglio fanno il concorso per velina? Metalmeccanici? Tutti questi, e altri ancora. Nell'ottocento, del resto, non c'era solo l'Operaio Sfruttato: c'era anche il Coolie, il Professore, il Marinaio, l'Impiegatuccio, la Fioraia... E' complicato il mondo, ma lo era già prima. (A proposito di politica: una volta, in tempo d'elezioni, il privilegio di rovinare la sinistra spettava ai pezzi grossi, tipo Veltroni-D'Alema. Adesso, a quanto pare, se lo possono permettere anche i poveri Renzi da tre soldi. Sarà democrazia...). Riccardo Orioles

|| 10 dicembre 2010 || pagina 03 || www.ucuntu.org ||


Società civile

Cinquantacinque volte Stato La mafia insegue soldi e potere, per questo la sua strada ha sempre incontrato quella degli imprenditori. Sandro riflette sul rapporto tra due associazioni, quella mafiosa e quella degli industriali, che dovrebbero combattersi ma che spesso si intrecciano

Nel corso degli anni, già durante il periodo fascista e sino ai giorni nostri, si sono susseguiti più volte gli appelli dei presidenti delle varie associazioni di industriali siciliani, sia provinciali che regionali, finalizzati ad ottenere una maggiore attenzione da parte del governo di turno al problema del sottosviluppo del meridione. Gli industriali focalizzavano principalmente l’attenzione sulla politica economica del governo centrale e regionale, che generò esclusivamente delle cattedrali nel deserto, causando uno sviluppo parziale e incompleto. Nulla era però detto sulla sottomissione dello Stato ad un fenomeno che sino alla fine degli anni ‘80 era definito semplicemente “brigantaggio”, che condizionava indubbiamente l’economia del Sud Italia. L’atteggiamento della classe industriale al problema era di atroce indifferenza, forse perché, nella migliore delle ipotesi, non venne percepita la gravità del fenomeno, palesemente contro gli obiettivi dell’associazione degli industriali; non dimentichiamoci che nulla si sapeva dell’organizzazio-

ne della mafia prima delle indagini svolte dal Giudice Giovanni Falcone, in seguito alle dichiarazioni dei primi collaboratori di giustizia. Eppure dal 1980 al 1991 morirono per mano mafiosa almeno sei appartenenti alla classe imprenditoriale palermitana: Carmelo Jannì, Piero Pisa, Pietro Patti, Luigi Ranieri, Libero Grassi e Roberto Parisi, quest’ultimo era stato addirittura membro del consiglio direttivo di Confindustria Palermo nel 1981-1984, ossia sino ad un anno prima di essere ucciso. Volendo indagare sui motivi del silenzio da parte delle associazioni degli industriali, non possiamo ovviamente biasimare coloro che si trovavano in ruoli di responsabilità in un periodo in cui vigeva un pesante clima di paura e di omertà. Ma non possiamo non notare che esistono atti giudiziari che documentano l’atteggiamento opportunistico di molti imprenditori, volto a incrementare i propri guadagni colludendo con ciò che era in realtà la criminalità organizzata. Non è neppure una novità che la mafia ha avuto (e

purtroppo ha ancora) palesi legami con il mondo politico-istituzionale; si veda per esempio il caso Andreotti, l’omicidio dell’On. Salvo Lima nei primi anni novanta, oppure il caso Dell’Utri. Per capire il perché del silenzio dell’associazione imprenditoriale nei riguardi della mafia si può certamente prendere come spunto di riflessione il rapporto di interdipendenza reciproca tra l’associazione degli industriali e la classe politica. L’indifferenza si rese palese nel 1991 con l’uccisione di Libero Grassi, un imprenditore tessile che affermò pubblicamente di non volere pagare il “pizzo”. Libero Grassi si rivolse all’associazione degli imprenditori per ottenere appoggio,perché aveva ben capito che, se avesse trovato sostegno, avrebbe alzato un muro nei confronti della mafia. La risposta che ottenne fece sicuramente poco onore ad Assindustria Palermo. Libero Grassi fu accusato di fare una “tammuriata”, ossia di fare clamore, infangando l’onorabilità degli imprenditori siciliani.

|| 10 dicembre 2010 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||


Società civile

Purtroppo, nell’immediato, la morte di Libero Grassi sembrò non svegliare le coscienze, anzi, fu da pretesto per taluni politici, come l’On. Cuffaro, per creare un clima di sospetto verso chi combatteva seriamente il fenomeno. Celebre è l’intervento dell’attuale senatore del PDL alla trasmissione “Maurizio Costanzo Show-Samarcanda”, proprio contro il Giudice Giovanni Falcone. Dal 2004 sembra invece che Palermo abbia una nuova coscienza civile, sulla spinta di alcuni giovani che all’epoca della morte di Libero Grassi erano ancora adolescenti. Il fiorire dell’associazione Addiopizzo con giovani che ripudiano la mafia e che anzi si impegnano a prenderne e a far prendere le distanze, ha posto le basi per una nuova svolta epocale per la Sicilia. Si parla ancora oggi degli inizi di una vera e propria rivolta culturale. Finalmente sembrò risvegliarsi la coscienza civile dei semplici cittadini siciliani, riuscendo a creare una crepa nel muro di

omertà tipico del popolo siciliano; la stessa omertà manifestata anche, a suo tempo, dall’associazione degli imprenditori palermitani. Da Catania è partita poi la svolta epocale di Confindustria. Nell’estate del 2007 è salito alla ribalta delle cronache nazionali l’imprenditore Andrea Vecchio, presidente dell’Ance (Associazione Nazionale Costruttori Edili) di Catania, facente parte di Confindustria. La ditta di Vecchio, la Cosedil, che stava realizzando dei lavori di edilizia per conto del Comune di Catania, subì tre attentati, di chiaro stampo mafioso, in tre giorni. La vicenda destò scalpore anche per le dichiarazioni dello stesso imprenditore: «Non è possibile andare avanti così. Basta, chiudiamo. Questo è un attacco contro lo Stato; un'altra impresa, nelle mie condizioni, non denuncerà più, pagherà e comprerà la serenità». In quell’occasione lo Stato non ha fatto mancare le dovute tutele all’imprenditore. E ecco il colpo di scena, proprio

dalla Confindustria Siciliana. Il Presidente di Confindustria Sicilia, Lo Bello, con l’appoggio del Presidente di Confindustria Nazionale, Montezemolo, dichiarò di espellere dall’associazione chi si sarebbe piegato alla mafia, concretizzando la dichiarazione con una modifica al codice etico di ogni associazione facente capo a Confindustria. Recentemente abbiamo appreso della telefonata intercettata a Milano alle ore 9:27 del 17 febbraio 1988 fra Berlusconi e il suo socio immobiliarista, Renato Della Valle, in cui si capisce chiaramente che anche l'attuale Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, subiva estorsioni dai mafiosi e che, cosa ben più grave, non trovava strano pagare. Berlusconi sarà già Presidente del Consiglio nel 1994, dopo oltre vent'anni di esperienza politica. Anche se la svolta di Confindustria è datata 2007, sembra comunque paradossale che un uomo di Stato, per di più il Presidente, non si fidi dello Stato stesso... forse perché il significato che danno i comuni cittadini alla parola "Stato" è rimasto solamente un concetto "lontanamente" ricordato per sole 55 volte nella Costituzione della Repubblica Italiana. Sandro Scordo

|| 10 dicembre 2010 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||


L'istruzione ai tempi della Gelmini

“Non c'è più morale, Contessa” disse il ministro “Del resto mia cara di che si stupisce anche l’operaio vuole il figlio dottore e pensi che ambiente che può venir fuori non c’è più morale, Contessa” (Paolo Pietrangeli, Contessa, 1966) Paolo Pietrangeli non avrebbe certo potuto immaginare che, quarant’anni dopo, ciò su cui ironizzava sarcastico nel 1966, sarebbe stato enunciato da un primo ministro, durante un faccia a faccia televisivo col proprio sfidante: «Continuano a essere convinti che il fine del governo sia redistribuire il reddito con le tasse, rendendo uguali il figlio del professionista e il figlio dell’operaio». Era il 3 aprile del 2006 quando Silvio Berlusconi, di fronte a milioni di telespettatori che assistevano al suo confronto con Romano Prodi trasmesso da Rai1, pronunciò queste parole, in spregio allo spirito della Costituzione italiana e al dettato di almeno un paio di norme. L’articolo 3, a esempio, affida alla Repubblica e, dunque, anche al governo, il compito «di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» tra i cittadini; mentre l’articolo 34 stabilisce che «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Anche il figlio dell’operaio, dunque. Nell’Italia della cosiddetta Seconda Repubblica, malgrado la Costituzione sia ancora, per fortuna, quella della Prima, i

governi e le maggioranze di centrodestra susseguitisi dal 1994 a oggi hanno perlopiù operato affinché gli ostacoli fossero moltiplicati, i diritti compressi, i controlli rimossi, le diversità represse. A trecentosessanta gradi: dal lavoro all’istruzione, dalla cultura alla giustizia, dall’università all’informazione, dalla ricerca scientifica alla sicurezza pubblica e alla salute. Il tutto in nome dei tagli di bilancio, «necessari» a far quadrare i conti pubblici, vuoi per l’indebitamento dello Stato, vuoi per la crisi economica internazionale, specie dal 2001 a oggi: un intero decennio targato Silvio Berlusconi, eccetto il biennio del secondo governo Prodi, dal 2006 al 2008. Mai il centrodestra, ma nemmeno il centrosinistra quando è stato al governo, per essere corretti, è stato sfiorato dall’idea che un’adeguata legislazione anticorruzione avrebbe potuto e potrebbe evitare che fiumi di denaro pubblico diventassero e diventino tangenti, cioè soldi sottratti alla collettività a beneficio di una ristretta cerchia di corrotti. E che in Italia siano in atto «episodi di corruzione persistente», lo ha ricordato Luigi Giampaolino, lo scorso 19 ottobre,

nel suo discorso d’insediamento alla Presidenza della Corte dei conti. Come se il sistema di Tangentopoli, nei primi anni Novanta, sia stato svelato invano. E, in effetti, così è: basti pensare alla ben orchestrata campagna mediatica che ha trasformato l’operato della magistratura in «guerra civile» e in «golpe delle toghe rosse», in combutta coi «comunisti». Ci sarebbe da sghignazzare, se la martellante campagna di menzogne non avesse attecchito su un pezzo consistente di popolazione, ormai convinto che Bettino Craxi sia stato solo un «capro espiatorio» e Berlusconi sia un «perseguitato». Allo stesso modo, mai, il centrodestra è stato sfiorato dall’idea che si potesse e si dovesse operare per recuperare almeno una parte dei circa 240 miliardi di euro ogni anno sottratti all’erario, cioè alla collettività, attraverso l’evasione e l’elusione fiscale. Anzi: Berlusconi e i suoi governi hanno sostanzialmente incoraggiato gli evasori con continue sanatorie; con «scudi» fiscali e condoni «tombali», che, in teoria, potrebbero avere agevolato il riciclaggio di denaro sporco, mettendolo al riparo dalla giustizia; tramite

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L'istruzione ai tempi della Gelmini

dissennate dichiarazioni dello stesso premier: «Con le tasse alte l’evasione è moralmente autorizzata», ha dichiarato il 17 febbraio del 2004; mentre due anni dopo, di fronte alla candidatura di Massimo D’Alema alla Presidenza della Repubblica, ha annunciato che, in caso d’elezione dell’esponente Pd, «faremo lo sciopero fiscale». Proprio il governo D’Alema, fra l’altro, nel biennio in cui è stato in carica, ha dimostrato che l’evasione si può colpire, recuperando circa 20 miliardi di euro; l’ultimo governo Prodi (2006-2008) ne ha messi in cassa ben 23. Se consideriamo che i tagli del ministro Giulio Tremonti al bilancio dell’istruzione e dell’università ammontano a quasi 10 miliardi di euro per il triennio 2009-2011, si comprende abbastanza agevolmente come, dalle tasse, potrebbe arrivare linfa vitale per le disastrate finanze pubbliche e per investimenti mirati. Senza contare il continuo, ininterrotto aumento delle spese militari, dopo l’11 settembre 2001. In un simile contesto, i tagli di bilancio alla scuola, all’università e alla ricerca assumono le caratteristiche di autentici tagli al futuro delle giovani generazioni e del paese stesso, che, nel frattempo, ha assunto sempre più le connotazioni disegnate nel «piano di rinascita democratica» della loggia massonica segreta P2 di Licio Gelli; un progetto politico redatto verso la metà degli anni Settanta che, secondo l’apposita Commissione parlamentare d’inchiesta, «ha

costituito motivo di pericolo per la completa realizzazione del sistema democratico», caratterizzato da «una filosofia predemocratica» e diventato, secondo la Commissione, «una metastasi delle istituzioni, negatore di ogni civile progresso». Proprio nel campo dell’istruzione, cioè in un settore fondamentale nella formazione delle conoscenze e delle coscienze dei cittadini, nonché delle future classi dirigenti, tale «filosofia» si è dispiegata con una meticolosa sistematicità, tesa a svuotare la scuola pubblica a vantaggio di quella privata, spingendosi fino a gettare le basi per la sostanziale privatizzazione delle università statali, trasformandole in fondazioni, in maniera che, secondo la visione di Berlusconi, al figlio dell’operaio siano negate le possibilità di emancipazione riconosciute e tutelate dalla Costituzione, ma, a suo tempo, avversate dalla P2 (cui il premier era regolarmente iscritto), la quale osteggiava «la spinta all’egualitarismo assoluto», conseguenza dell’istruzione di massa. Quella stessa istruzione di massa che generò il Sessantotto e, con esso, l’illusorio e ambizioso obiettivo di portare «l’immaginazione al potere». A oltre quarant’anni di distanza di quei propositi non è rimasto più nulla, così come ben poco è rimasto delle conquiste, in termini di diritti, che dalla spinta di quel movimento non solo studentesco, ma anche operaio e del mondo del lavoro in genere,

sono scaturite. Si può tranquillamente affermare che quella spinta propulsiva si sia esaurita nell’autunno del 1980, con la «marcia dei quarantamila» a Torino: trentacinque giorni di protesta operaia, finalizzata a impedire il licenziamento di quattordicimila lavoratori, che aveva fermato la Fiat, la più grande industria italiana: «il mattino di martedì 14 ottobre ci fu la marcia dei 15 mila (secondo il primo dato fornito dalla Questura di Torino), diventata dei 30 mila (secondo il giornale della Fiat, La Stampa) e poi dei 40 mila (secondo il Tg1 e le agenzie imbeccate dall’efficiente ufficio stampa della Fiat)», ricorda Diego Novelli, all’epoca sindaco comunista della città, nel suo libro La democrazia umiliata. «Quanti fossero esattamente – prosegue Novelli – nessuno li aveva contati, ma comunque erano tanti. Sopratutto quadri intermedi: operatori, capi squadra, capi reparto, capi officina, ma anche molti operai che chiedevano a gran voce la fine della vertenza, la riapertura dei cancelli e la ripresa del lavoro». I licenziamenti non ci furono, non subito: nell’immediato presero la forma della cassa integrazione, per ventimila lavoratori. Fu l’inizio della fine. Una sconfitta che, forse, non è esagerato definire epica. Come quella che da lì a poco avrebbe travolto i minatori inglesi o i controllori di volo statunitensi. La fine del più lungo ciclo di lotte e di conquiste sociali che hanno interessato l’intero Occidente, rendendolo più civile.

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L'istruzione ai tempi della Gelmini

Con gli anni Ottanta, invece, è iniziato un diffuso processo di restaurazione di cui la precarietà e le diseguaglianze di oggi sono il compimento logico e conseguente. Ed è anche all’interno di tale restaurazione che, a un primo sguardo, può essere inserita la cosiddetta riforma Gelmini, poiché secondo la Cgil espellerà dalla scuola circa 150.000 fra docenti precari e personale tecnico e amministrativo. La riforma, attribuita a Mariastella Gelmini, ministro dell’istruzione, università e ricerca (Miur), in realtà è stata partorita in partnership col titolare dell’economia, Giulio Tremonti, e quello per la pubblica amministrazione e l’innovazione, Renato Brunetta. Con l’imprinting del presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, ha preso corpo in un susseguirsi di regolamenti (non soggetti al voto del parlamento) e decreti legge, ispirati a logiche autoritarie e ragionieristiche che, di fatto, considerano il sapere come un prodotto da vendere, merce di una qualsiasi azienda in stato di crisi dove tutti bisogna stringere la cinghia se non si vuole chiudere. Non a caso il primo atto legislativo è inserito nel decreto 112/2008, dal titolo inequivocabile: «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria». Una riforma che, a ben vedere, sembra guardare più alle esigenze delle imprese che a quella di formare cittadini

consapevoli e d’investire nella ricerca, disegnando un sistema della conoscenza più simile a quello del secondo dopoguerra che a quello necessario nell’era della globalizzazione. Creando, a differenza che nel dopoguerra, ostacoli e disparità fra cittadini, in base alla logica berlusconiana che il figlio dell’operaio, iscritto alla scuola statale, non può avere le stesse opportunità di quello del professionista, sempre più orientato verso quella privata, finanziata surrettiziamente con fondi pubblici a dispetto della Costituzione. Se poi si è figli di cittadini stranieri, ostacoli e disparità aumentano anche rispetto a quelli frapposti agli italiani meno abbienti. Altro che politiche di integrazione. La riforma, se così la si può chiamare, incide pesantemente e negativamente sul futuro individuale e collettivo di milioni di cittadine e cittadini, sul futuro dell’intero Paese. È per contrastare questa tendenza che, da settembre, in tutt’Italia, si susseguono le manifestazioni contro la Gelmini e il governo nel suo insieme. E ancora una volta, come negli altri momenti critici della nostra storia recente, parallelamente e accanto agli studenti, cresce la protesta degli operai, specie quelli della Fiat. Questi ultimi, a partire dallo stabilimento di Pomigliano d’Arco, si battono contro chi vorrebbe cancellare il contratto nazionale di lavoro e lo stesso Statuto dei lavoratori. E, con essi, una fetta consistente di democrazia. In questo libro si vuole raccontare, anche

attraverso le parole di chi subisce la cosiddetta riforma Gelmini, come, in dettaglio, le sforbiciate al già magro bilancio dell’istruzione e le nuove norme trasformino l’autonomia scolastica in un boomerang lanciato contro la scuola, l’università, la ricerca e le vite di centinaia di migliaia di giovani. A Corato, in Puglia, ad esempio, la riforma delle superiori ha trasformato in liceo l’istituto d’arte che, ora, grazie anche alle sforbiciate di Tremonti, rischia di perdere i suoi otto laboratori di oreficeria, con un danno alla didattica e all’economia locale. Alla Sapienza, a Roma, il rettore Luigi Frati, dopo avere ridotto del quaranta per cento i dipartimenti e dimezzato le facoltà, deve fare i conti coi tagli del ministro del tesoro che lo costringerebbero a chiudere il bilancio preventivo col segno meno, ma lui non ci sta e minaccia il blocco dell’anno accademico se il governo non dovesse risolvere il problema contabile. In tutta Italia, da Siracusa e Trento, la drastica riduzione degli insegnati di sostegno da parte della Gemini ha privato migliaia di bambini con problemi d’apprendimento della necessaria assistenza per stare al passo coi loro coetanei, col rischio di essere irrimediabilmente tagliati fuori dalla regolare attività di studio: non è letteralmente la Rupe Tarpa auspicata da un insegnante milanese per i diversamente abili, lo è metaforicamente. Sebastiano Gulisano (da: Un taglio al futuro/ L'istruzione al tempo della Gelmini

|| 10 dicembre 2010 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||


Lettere dalla Sicilia

Lettera a un editore Al Presidente della Einaudi Editore S.p.A. In riferimento alla giusta e motivata richiesta di rettifica da parte del Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato” delle affermazioni, destituite di ogni fondamento, contenute nel libro di Roberto Saviano “La parola contro la camorra”, circa la storia dell'impegno civile per arrivare al riconoscimento, anche in sede giudiziaria, della matrice mafiosa dell'assassinio di Peppino Impastato, si rappresenta quanto segue: Si esprime viva riprovazione per le affermazioni dell'Amministratore Delegato della Einaudi Editore, contenute nella sua nota di risposta, che dimostrano assoluta noncuranza e disinteresse rispetto alla grave mistificazione di una pagina fondamentale della storia dell'antimafia in Sicilia. Non si tratta solo del giusto e doveroso riconoscimento dell'impegno della famiglia Impastato – Mamma Felicia, il fratello Giovanni e sua moglie Felicetta –, dei compagni di Peppino e del Centro Giuseppe Impastato, ma di affermare la verità della storia della resistenza antimafia in Sicilia che dalla fine dell'800 ha contato sul proprio impegno pagando dei prezzi altissimi. Nessuno vuole disconosce il valore dei media nella lotta alle mafie, ma emerge il rischio di una preoccupante spettacolarizzazione di tutto, compreso l'impegno antimafia, spesso non supportata da adeguato rigore nell'acquisizione delle notizie sui fatti e nell’elaborazione delle analisi, come nella vicenda in parola. Ma ciò che più indigna è la riprovevole minaccia di ritorsioni giudiziarie nei confronti di chi - i familiari e i compagni di Peppino e i responsabili del Centro Impastato - ha osato chiedere a una Casa Editrice di verificare e rettificare alcune informazioni per ristabilire un'importante verità storica. Si auspica che questa pagina infausta dell'editoria italiana non abbia nulla a che vedere con il prestigio di una Casa Editrice come la Einaudi e sia soltanto l'improvvida iniziativa di un Amministratore evidentemente non in grado di valutare la gravità di certe affermazioni, forse per carenza di strumenti culturali sulla materia dell'antimafia. In questo senso, si auspica che il buon senso prevalga nelle posizioni ufficiali del-

la Einaudi che voglia dimostrare la sensibilità sociale che ha caratterizzato il suo impegno culturale. Sorprende, infine, che l’autore non abbia deciso di prendere pubblicamente posizione sulla vicenda con un sereno atto di riconoscimento dell’errore, che è sempre una virtù dei “grandi” e che non sminuirebbe – in alcun modo - il valore del suo impegno civile e culturale. Cordiali saluti Simona Mafai, Pino Maniaci, Antonella Monastra, Maria Luisa Martorana, Annibale Raineri, Giovanni Abbagnato, Salvatore Cernigliaro, Antonella Tagliaferri, Frank Ferlisi, Vincenza Longo, Agostino Marrella, Giovanni Nastasi,Riccardo Orioles, Daniela Pappalardo, Giusto Carlino, Maria Patellaro, Claudio Riolo

Lettera a un Procuratore Al Procuratore della Repubblica, Messina Santino Napoli, da inequivoche intercettazioni telefoniche del procedimento "Omega", è risultato l'autorevole referente del clan barcellonese nella città di Milazzo. La Relazione di minoranza della Commissione parlamentare antimafia dedica più di un passaggio. Quello di Santino Napoli, paramedico, definito “soggetto di rilievo e di rispetto”, in contatto con i boss mafiosi barcellonesi Salvatore Di Salvo, Carmelo Mastroieni con il noto pregiudicato Avv. Rosario Pio Cattafi e l’imprenditore Vincenzo Pergolizzi. Al momento è Vice Presidente del Consiglio Comunale a Milazzo. Rosario Pio Cattafi. “Sulla base di un’attenta lettura dei vari atti giudiziari che li hanno coinvolti ed anche dai rapporti interpersonali che emergono da attività info-investigative, possono indicarsi quali possibili referenti mafiosi a livello locale, oltre ai boss Giuseppe Gullotti e Salvatore Di Salvo, tali Pietro Arnò, Felice Spinella, Angelo Porcino, Giovanni Rao, Cosimo Scardino e Rosario Cattafi”. E' il giugno 2005, e il Procuratore capo di Barcellona P.d.G., Rocco Sisci, presenta l’organigramma criminale ai membri della Commissione Parlamentare Antimafia in visita ispettiva nel centro tirrenico della provincia di Messina. Sisci. In particolare, si sofferma sulla figura dell’avvocato Rosario Pio Cattafi, «pluripregiudicato» e «persona socialmente pericolosa», nei cui confronti il 2 agosto 2000 la Sezione Misure di Prevenzione del Tri-

bunale di Messina ha emesso la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di Barcellona per la durata di 5 anni. «Qualche tempo fa - scrive il Procuratore - è stata avanzata l’ipotesi (tutta da verificare) che il capo della consorteria criminale potesse essere individuato in tale Rosario Cattafi, già coinvolto in numerose eclatanti vicende giudiziarie in materia di traffico internazionale di armi, riciclaggio e altro». Nonostante il pesante provvedimento amministrativo, Cattafi era riuscito ad ottenere l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati. I Carabinieri del R.O.S. di Messina avevano iniziato un’attività investigativa sulla base di intercettazioni telefoniche ed ambientali tra presenti nel barcellonese. «In tale contesto si è avuta la prova che il Santapaola era stato ospite del gruppo Gullotti», si legge nella memoria depositata dal Pubblico ministero al processo di Palermo contro il manager-politico berlusconiano, Marcello Dell’Utri. «Da una verifica dei tabulati Sip relativi all’utenza in uso a Giuseppe Gullotti sono risultati contatti anche con Cattafi Rosario. E non deve sfuggire che lo stesso Cattafi è stato identificato come soggetto più volte chiamato da persone appartenenti al circuito Dell’Utri, cioè da persone entrate con lui in contatto telefonico od esistenti nelle sue agende, come risulta dalla nota della Direzione Investigativa Antimafia nr. 125/RM6/ H2-24/6937 del 31 agosto 1995». Un articolo del 10 Maggio 2005 de La Repubblica, ”Mafia, arrestati giudici e poliziotti”, riportava che tale imprenditore Salvatore Siracusano di Messina avrebbe avuto rapporti d’affari con Youssef Nada. Altresì, il Siracusano rappresenterebbe l’anello di congiunzione tra mafia palermitana e catanese investendo i miliardi dei traffici di Cosa Nostra, guadagnati dalle speculazioni immobiliari e nel traffico di armi, attraverso Rosario Spadaro. Insieme a tale Spadaro furono oggetto di indagine anche Filippo Battaglia e il noto pregiudicato Rosario Pio Cattafi. Nomi finiti anche nelle inchieste sulle Stragi di Capaci e Via D’Amelio(Cattafi era collegato a Pietro Rampulla l’artificiere della strage di Capaci). Cattafi inoltre era stato accusato da un pentito di aver procurato il telecomando che aveva azionato l’attentato a Falcone e Battaglia era stato accusato anch’egli da un pentito di avere procurato l’esplosivo. (lettera firmata)

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Teatro Popular

Io + te = amore Da “Romeo e Giulietta” di Shakespeare

Narratore: Nell’antica città di Verona (Provincia di Catania) Tutti: Chi? Narratore: Au cca c’è scrittu! Dove gli uomini, irrequieti come vespe, andavano in giro con la spada pronta a punzecchiare, vivevano due famiglie: i Capuleti e i Montecchi che si odiavano a morte. Tutti: Bastava che s’incontrassero in strada ppa ammmazzarisi com’ e cani Narratore: La brava gente di Verona, terrorizzata dalle urla e ddo schifiu (che non risparmiavano nessun angolo di strada), era stufa di vedere turbata la pace della città. Un giorno durante una delle solite risse arrivò il principe di Verona con i soldati Principe: Suddi sudditi ribelli, nemici della pace! Se turberete ancora la quiete delle nostre strade la pagherete con la vita” Narratore: Quando il principe se ne fu andato, rimasero in piazza solo gli anziani Montecchi assieme al giovane nipote Benvolio a cui chiesero: I vecchi Montecchi insieme:“Dov’è nostro figlio Romeo? L’avete visto oggi? Menomale che non è stato coinvolto in questa rissa. Mamma Montecchi: chiddu è na testa pazza sicuru c’avissa pigghiatu quacche cutiddata” Benvolio: “Eccolo che arriva, avvolto dalla sua misteriosa malinconia! Vi prego, allontanatevi e vi saprò dire perché è così triste, saprò dirvi cosa l’affligge!” Narratore: I genitori se ne andarono. Benvolio: “Ciao Romeo, come stai?” Romeo: “Nenti, sugnu pesso. Nutro una passione folle per una creatura mera-

vigliosa, bella come un cigno che si chiama… Rosalina… ma idda non ni voli sapiri nenti di mia: mi tratta comu a munnizza” Benvolio: Avanti non dire così, e poi tutta sta bellezza nta sta Rosalina non cia staiu virennu …Confrontala con altre ragazze e vedrai: autru ca cignu Rosalina ti sembrerà un corvo!. Romeo: Oh ma io muoio dalla voglia di rivederla? Benvolio: Senti domani sera c’è una festa e una delle invitate è proprio Rosalina. L’unico problema è che la festa è a casa Capuleti e su ti virunu ti capulianu. Ma ho la soluzione: potremmo partecipare alla festa mascherati. Romeo: Grazie cugino, tentiamo! Narratore: La sera dopo, alla festa, i suonatori accordarono gli strumenti, batterono il tempo, e diedero via alle danze. Romeo: Chi è quella bella dama? Servo: Non lo so signore Romeo: Oh, essa insegna alle torce come risplendere! Tebaldo: Dalla voce mi sembra un Montecchi! Narratore: Tebaldo aveva riconosciuto la maschera. Un Montecchi aveva osato beffarsi dell’ospitalità dei Capuleti! Fuori di sé dalla collera ordinò a un paggio di prendergli la spada. Suo zio, il vecchio Capuleti, lo invitò con fermezza a trattenere la rabbia. Era una sera di festa e baldoria, e non doveva essere rovinata. Vecchio Capuleti: Lascialo in pace Tebaldo Tebaldo: No sumpottu!! Vecchio Capuleti:: Tu sumpotti inveci!! Vai ora, io sono il padrone qui, tu vai!” Tebaldo: Vado ma non finisce qui! Vecchio Capuleti:: (sbrigativo) Va beni, va beni. Narratore: Intanto Romeo, ignaro del-

l’improvviso odio di cui era oggetto, col rimbambimento tipico degli innamorati rintontiti, andava incontro al suo amore improvviso facendosi largo tra i ballerini. Finalmente le fu davanti; i suoi occhi, dietro quelli dorati della maschera, brillavano di passione. Da vicino, la giovane era cento volte più bella. Sorpresa lei, guardò il bel giovane. E tale era la fiamma della passione di Romeo che anche Giulietta prese fuoco. Le loro mani si toccarono; poi i giovani si misero a parlare del più e del meno. Narratore: Poi Romeo, parrannu parranno, sapiti com’è: na parola tira l’autra… comu fu e comu non fu, le chiese un bacio. E lei mentre pensava alla risposta da dargli…cominciò a baciarlo e a baciarlo e a baciarlo e poi… a baciarlo Giulietta: Padroncina, vostra madre chiede di parlarvi. Giulietta: Mi propriu ora ca mi stavu addivittennu….(esce) Romeo(alla Balia): Chi è sua madre? Giulietta: Sua madre? La padrona di casa. Sono io che ho allattato la figlia, la fanciulla con cui avete parlato. Ve lo dico io: sarà moneta sonante per chi se la prende. Romeo: Cioè? Giulietta: Cu sa pigghia azzicca bonu a frucchetta, ora mi scusi. Romeo: Mi ma vadda chi cosa! Con tante ragazze che ci sono proprio di una Capuleti dovevo innamorarmi. Tutti: Come si dice…Chi mancavunu scecchi a fera? Corifeo: Nel frattempo la festa era finita, le maschere lasciarono la casa. Mentre Romeo, dopo esser anche lui inizialmente uscito, scavalca i muri del giardino Capuleti.

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Teatro Popular “Ma tutti a mia mi capitanu! E' proprio 'na tragedia!”

Era una situazione pericolosa ma l’amore le dava lustro, proprio come il pericolo dava mordente all’amore. Guardò la scura facciata della casa. Una finestra s’illuminò: dava su un balcone, alto un paio di metri da terra. La finestra si aprì e sul balcone uscì Giulietta. Guardò nella notte e sospirò. Tutti: (Chissa a sapemu tutti, ascutati!) Giulietta: Oh, Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre e ripudia il tuo nome! Solo il tuo nome è mio nemico ma che c’è in un nome? Quella che chiamiamo rosa avrebbe il suo dolce profumo anche con un altro nome: e così Romeo, anche se non si chiamasse Romeo….” Giulietta seguitò a parlare alla luna e alle stelle, finchè Romeo non uscì dall’ombra per fermarsi sotto al balcone. Giulietta: Chi sei tu che difeso dall’ombra della notte entri nel mio chiuso pensiero? Romeo: Con un nome non so dirti chi sono, odio il mio nome che ti è nemico, sciassi u fogghiu unni je scrittu: parola d’onore! Giulietta: Il mio orecchio non ha bevuto cento delle tue parole…e già ne riconosce il suono. Ma tu non sei Romeo, uno dei Montecchi? Romeo: Si, mia bella fanciulla! Narratore: Giulietta quando vide Romeo temette per la sua sicurezza. E quando si rese conto che il giovane doveva aver sentito la sua dichiarazione d’amore, provò un moto di vergogna. Romeo pieno d’ardore, felice della confessione di Giulietta, non taliau periculu. E ci rissi a Giulietta: Romeo: il pericolo è solo nei tuoi occhi, se mi guardi con dolcezza sarò forte

contro ogni odio. Giulietta: non vorrei che i miei familiari ti vedessero qui, per tutto il mondo. Vai via Romeo: allora mi lasci così, insoddisfatto! Giulietta: ahuuuu, ma quali soddisfazioni vulissi aviri a stanotti!!! Romeo: vorrei solamente scambiare il mio amore con il tuo. Dentro la stanza una voce chiamò Nutrice: (sguaiata) Giuliiieeettaaaaa, Giulietta: meee, non c’è mai paci nda sta casa. Chi ffuuu, n’minutu ca staiu abbivirannu u balicicò. Tu pasticcino mio, aspetta, non ti muovere, torno subito. Coro: Auh tempu du secunni era già n’autra vota affacciata Giulietta: due, tre parole caro Romeo e poi davvero buonanotte. Narratore: Succomu Giulietta di matematica non nmi rattava mancu a broru, ssi rui tri paroli si trasfommanu nta n’poema. E allura si misunu r’accoddu ca l’indomani dovevano pigliare un appuntamento col parrino, perchè avevano fatto la pensata di maritarisi. Si danno la buonanotte e Romeo si allontana, e torna nella sua casa. Vi ricordate Rosalina? Auh Romeo a cancellau a tipu ca era addisignata ndo ghiacciu!! E dda stunata di Giulietta?? non s’ava scuddatu ca l’indomani s’ava maritari ccu n’autru?? Cu cui?? con un ricco giovane scelto da suo padre: il conte Paride!!!! L’indomani, a matinata presto, Romeo parrau con il parrino ed il parrino, frate Lorenzo, acconsentì a celebrare la cerimonia pensando… Frate Lorenzo: Forse con questa unione riusciremo a seppellire l’antico odio tra le famiglie dei Capuleti e dei Montecchi. Va bene, ci vediamo questo pomeriggio, e facemu stu matrimoniu. Narratore: Romeo riuscì ad avvertire

dell’appuntamento pomeridiano Giulietta e... finalmente, nella cella di Frate Lorenzo, si maritanu!!!. Nel frattempo Tebaldo, vi ricordate?… voleva pigliare questioni con Romeo che aveva osato introdursi di scapocchio alla festa di abballo dei Capuleti. Tebaldo sfidò Romeo. Romeo si rifiutò perché si era sposato da un’ora con Giulietta, e quindi era imparentato a casa Capuleti. Non voleva, non poteva, versare il sangue di nessuno di loro. Ma siccome il matrimonio era ancora segreto, fu costretto a starisi mutu, pecciò: l’amici di Romeo non compresero la riluttanza di Romeo a Combattere! Comu fu e comu non fu, Tebaldo ammazzau l’amicu di Romeo: Mercuzio.Au a Romeo chi c’aunarittu cunnutu? Sopraffatto dal dolore, pigghiau e ammazzau Tebaldo. Benvolio: Romeo, se ti prende il principe ti condannerà a morte. Via, via, scappa!!! Romeo: Ma tutti a mia mi stannu capitannu, è na tragedia!! Troverò rifugio da Frate Lorenzo. Frate Lorenzo: Romeo, ma chi mi cumminasti? T’accompottari bonu!! Si fannu sti cosi? Romeo: Lorenzo ‘o frati, non puoi capire. Non puoi parlare di ciò che non provi. Se tu eri giovane come me, se Giulietta era il tuo amore, il tuo zuccherino, se eri fresco fresco di matrimonio, su addivintavi esaurito per amore, allora forse, dico forese (ma mancu je sicuro) potevi parlare... Narratore: Nel frattempo la nutrice bussa alla porta. (Tutti: Toc, toc). Nutrice: Romeo, la mia giovane padroncina è disperata per la morte del cugino Tebaldo e per la tua mala parte, non lo dovevi fare! Romeo: Iu m’ammazzu!!

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Movimenti

Compagnia delle Lettere Srl Via Merulana 215 00185 Roma tel. 06.45426793 www.compagniadellettere.it

Verso il Primo Marzo 2011

L'anno scorso, con un tam tam partito da FaceBook, siamo riusciti a colorare l’Italia di giallo e a fare scendere in piazza oltre 300mila persone per dire NO al razzismo e alle politiche di esclusione, SI a un’Italia multiculturale e arcobaleno. Autoctoni, immigrati, seconde generazioni: abbiamo scelto di lavorare e manifestare insieme per superare la contrapposizione tra italiani e stranieri, tra “noi” e “loro”, questo schema che fa il gioco di chi punta a dividerci per calpestarci più facilmente. E la mixité, d’altra parte, è stata uno dei nostri principali punti di forza. L'anno prossimo vogliamo fare ancora di più! E pensando al 1° marzo 2011 (che non è così lontano), invitiamo scrittori e giornalisti, professionisti o no, italiani o “stranieri”, a inviarci dei brevi testi sul concetto di mixité e sulla necessità di andare oltre le parole che dividono per trovarne altre, nuove, che uniscano. Saranno raccolti in un libro che vedrà la luce alla vigilia del 1° marzo 2011. I diritti d’autore serviranno a finanziare il lavoro del comitato Primo Marzo. Mandate i testi (max 10 cartelle, su file) entro il 31 dicembre a: redazione@compagniadellelettere.it/ primomarzo2011@gmail.com (allegate una breve biografia, mail e numero di telefono).

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Teatro Popular “Ma c'incucchi... vatinni 'nti Giulietta!”

Frate Lorenzo: Ma chi ‘ncucchi…Votinni ‘nti Giulietta, Sali nella sua stanza e confortala! Narratore: Romeo, mancu su fici riri: andò da Giulietta e rimasero insieme tutta la notte (erunu maritati, giustamente). All’indomani matina dopo che i giovani sposi si separarono….Guardate cosa accadde: Vecchio Capuleto: Conte Paride, che giorno è oggi? Paride: Lunedì, mio signore. V.C: Il matrimonio con Giulietta per quando era fissato? Paride: Per Mercoledì Vecchio Capuleto: Forse Giulietta non è ancora pronta per il matrimonio, gli hanno appena ucciso il cugino Tebaldo. Tu capisci vero conte Paride? Paride: Certo mio Signore…ma…allora se non possiamo sposarci Mercoledì, quando potremo? Vecchio Capuleto : Deve passare un po di tempo, Se non è Mercoledì… facciamo Giovedì Paride: E va bene, vuol dire che aspetterò…lo faccio per amore! V.C: Bravo! Ah, carusi, chiamate Giulietta. Tutti: Giuliettaaaa! Giulietta: Chi c’è papà? Vecchio Capuleto Giovedì ti mariti ccu Paride! Giulietta: Ma non sinni parra! Vecchio Capuleto : Come?? Pigghia sti peri ca jai e giovedì prossimo adrai con Paride alla chiesa di San Pietro, o ti ci trascino io ppe capiddi!!! Giulietta: Ma papiiii!!! Vecchio Capuleto Vai in chiesa Giovedì, o non guardarmi più in faccia! Narratore: Quando il padre e la madre se ne furnono andati, rimasero soli Giulietta e la sua Nutrice. Giulietta: Amica mia, consolami, dimmi qualcosa. Nutrice: Ti consiglio di sposarti il con-

te Paride, è un gentiluomo delizioso, Romeo è tuttu straviddicatu!! Giulietta: Bene, mi hai consolato a meraviglia!...Senti piuttosto, fai una cosa: vai a dire a mia mamma che, avendo contrariato mio padre, sono andata alla cella di frate Lorenzo a confessarmi e ricevere l’assoluzione. Nutrice: Va bene. Giulietta si recò da Frate Lorenzo a cui sfogò tutta la sua infelicità e disperazione. Il vecchio ascoltò e, commosso dall’amore di Romeo e Giulietta, escogitò un fantastico piano per loro. Frate Lorenzo: Conosco un filtro che bevuto è in grado di causare una morte apparente, ma in modo così perfetto che nessuno può accorgersi dell’inganno. Questo stato di morte apparente dura 42 ore, dopo di che segue un tranquillo risveglio. Il mercoledì sera, cara Giulietta, bevi questo filtro. Quando i tuoi familiari entreranno per svegliarti la mattina delle nozze, ti crederanno morta. Allora, com’è d’uso, ti vestiranno dell’abito più bello, e ti metteranno nella cripta di famiglia, dove passato l’effetto del filtro, ti troverai Romeo accanto. Romeo infatti a Mantova, dove è adesso esiliato, riceverà una lettera che lo metterà al corrente del piano, così voi due sposi potrete fuggire insieme verso la salvezza e felicità. Manderò subito un frate da lui! Narratore: Giulietta prese la fiala dalle mani di Frate Lorenzo e disse: Giulietta: Amore, dammi forza…Addio padre caro” Narratore: Nel frattempo nella tortuosa Mantova, Romeo ricevette una notizia da Verona. Ma non veniva da Frate Lorenzo; la potava il servitore di Romeo. Servitore di Romeo: Romeo, ho una notizia per te, nera come l’inferno. Giulietta è morta! Narratore: La lettera che diceva la verità a Romeo non aveva, in realtà, mai lasciato Verona. Il povero frate al quale era

stata affidata, era rimasto in casa perché sospettavano che avesse preso la peste e gli era stato proibito di uscire. Romeo in preda alla disperazione corre dallo speziale e compra un potente veleno. Poi parte per Verona, diritto verso la tomba di Giulietta. “Giulietta dormirò con te stanotte” disse fra sé. Frate Lorenzo, dopo aver saputo dell’impedimento dell’amico frate, si recò preoccupato verso la cripta di Giulietta: doveva essere presente al momento del suo risveglio. Ma prima di Frate Lorenzo nella cripta era arrivato Romeo. Giunto davanti al corpo di Giulietta prese la pozione di veleno e disse: Romeo: Occhi, guardatela un’ultima volta, braccia, stringetela in un ultimo abbraccio! E voi, labbra, uscio del respiro, suggellate con un bacio il patto eterno con la morte. A te amore mio!” E bevve il veleno dello speziale. Così in un baleno, si riunì per sempre al suo amore. Narratore: Quando frate Lorenzo, entrò nella cripta, Romeo era già morto; e Giulietta si stava svegliando Giulietta: Oh frate, conforto mio dov’è il mio sposo? Dov’è il mio Romeo? Narratore: Quando Giulietta scoprì cosa era accaduto al suo giovane amore ordinò al frate di lasciarli soli per l’ultima volta. La giovane baciò appassionatamen te le labbra di Romeo. Poi prese il pugnale di Romeo e se lo spinse nel cuore. Così, nell’antica città di Verona, provincia di Catania, morirono Giulietta e Romeo, che si amarono dal primo loro sguardo all’ultimo. I padri, i vecchi Capuleti e Montecchi, affranti, si vergognarono del loro antico odio che aveva causato la tragica morte dei figli, e si giurarono eterna amicizia! Orazio Condorelli

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Scrivere per chi?

Michele Serra, la satira “accasata” e quella no "La satira italiana ha vinto. I suoi autori storici oggi sono tutti accasati nei giornali veri e godono di una solida fama". Lo dice il guru storico della sa tira italiana, il fondatore di Cuore, il “settimanale di resistenza umana” (ché tale in realtà è la satira) sulle cui pagine verdi è cresciuta tutta una generazione di ragazzi civili. E ora? “I giornali veri”? Ma quelli di satira non lo sono? E che vuol dire “accasati”? E' un complimento?

Su un giornale di cui ignoro il nome (l'articolo mi è stato inoltrato via Facebook) compare un articolo sulla satira a firma Michele Serra: vista l'autorevolezza del personaggio in questione, e considerate varie inesattezze che meritano una risposta, eccomi qui a replicare. Serra dice che "la satira italiana ha vinto ... i suoi autori storici ... oggi sono tutti accasati nei giornali veri, pubblicano per editori importanti, lavorano per la televisione o per il teatro, godono di una solida fama". Primo dubbio: per Serra la "vittoria" era quella di trovare un posto all'ombra dei padroni editoriali o televisivi? L'arruolamento nelle truppe Endemol del potere televisivo berlusconiano? La conquista del posto fisso nei cartelloni teatrali? Il raggiungimento di una solida fama? Sempre riguardo alla presunta vittoria, provate a dire "hai vinto e godi di una solida fama grazie alla satira" guardando negli occhi gente come Marco Scalia, Massimo Caviglia, Gianni Allegra e tanti altri autori storici che oggi fanno la fame, o vivono di altri lavori, o si sono dati alla saggistica, o si sono riciclati come consulenti editoriali, o peggio ancora hanno appeso la matita o la penna al chiodo.

Loro sono rimasti fuori dalla cricca dei "vincenti" nel mondo editoriale, e non per demeriti individuali, ma solo perché sono stati sfortunati, troppo liberi e incontrollabili a livello artistico, non funzionali alle esigenze di qualche editore, oppure troppo esigenti sul piano etico e conseguentemente refrattari ai compromessi (lo sa Serra che il suo giornale che a Catania fa accordi con l'imprenditore Ciancio in odore di mafia, e che la Endemol per cui lui lavora come autore a "Vieni via con me" è di proprietà di Berlusconi?) Provate a dire "sei nel gruppo dei vincenti" a quelli che oggi scrivono e disegnano per quotidiani nazionali accettando di lavorare gratis, o nella migliore delle ipotesi accettando compensi nemmeno lontanamente paragonabili alle tariffe extralusso in vigore nei tempi d'oro dell'editoria, dove una vignetta veniva pagata anche una milionata, proprio per non costringere gli autori a dover fare un collage di mestieri. Altro che i cento euro di oggi (quando va bene, più spesso cinquanta, trenta o gratis). Non è che la vittoria di Serra, spacciata come vittoria di una generazione di satiri in realtà è il successo professionale di un ristretto gruppo di fortunati? "Una generazione di talento ha finito per

occupare il palcoscenico tutto intero, rubando involontariamente spazio e occasioni a eventuali giovani autori". Benissimo, ottima analisi, e allora che facciamo per le nuove generazioni? Rimarrai sdraiato sulla tua amaca repubblicana oppure ci darai una mano? Hai intenzione di spendere la tua "vittoria e solida fama" conquistate a livelo editoriale per aiutare qualche iniziativa a decollare brillando (anche) di luce riflessa grazie alla tua firma? Ti stimola l'idea di unire le tue risorse con l'energia creativa di gruppi emergenti o ti basta discettare sulla stampa patinata di un presunto "ristagno della satira"? Di un "ristagno" tutto da dimostrare si parla anche nel seguito dell'articolo, dove si lamenta una "dispersione impressionante delle esperienze artistiche ... polverizzate dentro una nebulosa dove passa di tutto ma quasi niente si coagula. E senza creare gruppo, corrente, banda di amici, difficilmente nasce qualcosa di strutturato". Prospettiva legittima, ma vorrei aggiungere la mia: dalla trincea delle autoproduzioni editoriali, dove ogni giorno scorrono lacrime, sudore e sangue nel faticoso tentativo di aprire nuovi spazi, di ristagno non ne vedo nemmeno l'ombra.

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Scrivere per chi? Il primo numero “non accasato” di Cuore 1991).

Vedo invece decine di autori vecchi e nuovi, che non hanno un problema generazionale, ma un problema professionale. E non vedo neppure i "problemi di coagulazione". In un deserto editoriale che ormai ha perso interesse per la satira come prodotto vendibile, questi autori si organizzano e fanno gruppi, correnti e bande di amici che portano avanti progetti strutturati come Spinoza, ScaricaBile, Inserto Satirico e anche la rivista "Mamma!", che esiste e resiste con uno zoccolo duro di abbonati. A differenza di Cuore non abbiamo avuto come "incubatrice" un giornale di partito, non abbiamo avuto investimenti iniziali di "editori puri", non abbiamo avuto finanziamenti pubblici. In breve, ogni lettore ce lo siamo conquistato a colpi di satira e senza scorciatoie. Se si scende dall'olimpo della grande stampa, si può scoprire che la satira su internet è tutt'altro che una "nebulosa", ma è semplicemente una costellazione, dove sono chiaramente distinguibili un buon numero di autori che non supera le due cifre e alcuni progetti significativi che non superano la decina, qualcuno in più ma non molti di più di quelli attivi ai tempi di "cuore". Questi progetti sono molto diversi tra loro per impostazione culturale e piano edi-

toriale, e al loro interno sono presenti autori con le opinioni e gli orientamenti più vari, ma credo che su una cosa si possa essere tutti d'accordo: l'aiuto che ci è arrivato dal mondo dei "vincenti di solida fama" non è stato all'altezza delle aspettative, men che meno delle potenzialità che voi "vincenti" avreste avuto per dare nuova forza a un genere editoriale in via di estinzione mentre il mercato, il governo e gli editori fanno di tutto per sopprimerlo. Caro Michele Serra, prendila sul personale, ma in senso buono: magari non ti rendi conto di quello che tu e i tuoi "colleghi vincenti" avete rappresentato per noi che siamo cresciuti leggendo i vostri articoli, fumetti e vignette. Se abbiamo deciso di fondare la rivista di giornalismo satirico a fumetti "Mamma!" anche a costo di rimetterci di tasca nostra, la passione necessaria a questo azzardo l'abbiamo trovata anche grazie a voi, grazie al vostro coraggio nel tentare strade nuove, grazie al fatto che ci avete dimostrato la possibilità di lavorare scrivendo, disegnando e divertendosi, lottando contro il potere armati di intelligenza e di ironia. Ma adesso voi "vincenti" ci lasciate col culo per terra, non ci aiutate col potere della vostra "solida fama" a far decollare i no-

stri progetti, guardate il vostro ombelico e cantate vittoria solo perché un piccolo manipolo di autori si è infiltrato sulla stampa di sempre, e per giunta iniziate a fare discorsi da vecchi del tipo "tutto è nebuloso, la satira non è più quella di una volta". A meno di clamorosi cambi di rotta, se voi ci abbandonate al nostro destino liquidando il problema della satira con analisi frettolose siamo davvero messi male. Dopo aver perso il sostegno degli editori che non investono più, dei giornali che non pagano più e dei partiti che non aprono più spazi creativi sui loro giornali, perderemo l'ultimo sostegno che ci rimane: quello dei nostri riferimenti culturali. Magari è vero che Babbo Natale non esiste, e che tu, Serra, non eri un leader ideologico come lo abbiamo percepito da ragazzi, ma un "semplice" giornalista alla ricerca di una legittima affermazione professionale. Però ti chiediamo un piccolo favore: se è vero che Babbo Natale non esiste, non dircelo così brutalmente, perché qui stiamo ancora apparecchiando l'albero sperando che prima o poi scenda dal camino. Con amicizia e stima, ma anche con la dovuta franchezza Ulisse Acquaviva www.mamma.am

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Satira

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Satira

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Periferie/ La cultura

|| 10 dicembre 2010 || pagina 18 || www.ucuntu.org ||


Periferie/ L'informazione

La voce dei quartieri: si riparte In distribuzione “La Periferica” di dicembre La Periferica - Giornale di informazione e cultura distribuito gratuitamente a Catania nei quartieri Librino, Pigno, Zia Lisa, San Giorgio, Villaggio Sant’Agata Ci ritroviamo dopo una pausa forzata di cinque mesi, e non vi nascondo che avremmo voluto riprendere le fila con un elenco dei progetti realizzati e dei cambiamenti in positivo nel frattempo intervenuti nel quartiere. Ci ritroviamo invece, nostro malgrado, ad aprire con un titolo forte e paradossale. Librino, quartiere giovanile per eccellenza, non è un quartiere per giovani. Perché? “Librino ha tutta l’aria di apparire come luogo privilegiato soprattutto per le famiglie più giovani. Se questo è vero, il fenomeno si presta ad una preoccupante interpretazione rispetto a quel disagio giovanile che in questa Municipalità assume toni particolarmente allarmanti. E’, infatti, in questo desolante paesaggio urbano privo quasi di tutto, che avviene la socializzazione e la formazione valoriale e culturale delle grandi schiere di minori, membri delle numerose giovani famiglie presenti qui, che "affollano" la Municipalità. L’esito è quasi inevitabilmente costituito da un tasso di dispersione scolastica e da una criminalità minorile che pongono la Municipalità ai primissimi posti nelle rispettive graduatorie fra le dieci circoscrizioni cittadine”. Questa riflessione non è nostra, ma è riportata sul portale web del comune di Catania nella parte che riguarda la IX Municipalità, e che per la verità appare non aggiornata da diversi anni. In effetti questa definizione è sostenuta anche dai successivi studi che, tra il 2007 e il 2008, il Centro di Documentazione e studi dell’università di Catania ha elaborato analizzando questo quartiere. Nella ricerca

si evidenzia come il titolo di studio maggiormente posseduto a Librino è la licenza media, mentre i diplomati risultano circa 1 su 3 e i laureati scendono paurosamente a poco più di uno ogni 30 abitanti. I dati sono stati più volte sottolineati da alcuni presidi delle scuole del territorio i quali hanno costantemente denunciato la necessità di contrastare il fenomeno della dispersione scolastica istituendo una scuola superiore nel quartiere. Librino è il quartiere nel quale risiedono buona parte dei giovani e bambini catanesi, coloro che domani, da cittadini e genitori, dovranno portare avanti questa città vivendola e partecipando attivamente alla sua crescita; eppure Librino è il quartiere catanese con il più alto tasso di dispersione scolastica; è il quartiere catanese con il più alto numero di minori ospitati nel centro di prima accoglienza di Catania. Qual è dunque la risposta delle istituzioni a questo dramma in evoluzione per il quale, con buona probabilità, Catania piangerà le conseguenze nei prossimi 10/20 anni? Promesse. Facili e ingannevoli promesse e nient’altro. Promesse di portare qui l’istituto d’arte, promesse di aprire nel quartiere un liceo musicale, promesse di portare qui una scuola superiore. Tutte promesse non mantenute con una forma di cattiveria e sadismo politico che vede i nostri rappresentanti mostrare continuamente un bicchiere d’acqua fresca a questo quartiere assetato di servizi salvo poi restituirglielo puntualmente vuoto. Di chi è la colpa? Sicuramente dei nostri politici incapaci e disinteressati verso que-

sto quartiere. Ma non ci illudiamo di poter scaricare interamente su di loro il barile. Li abbiamo messi lì noi; perché da anni è Librino a decidere in larga misura chi vincerà e chi perderà le elezioni locali. Come dite? “Su tutti i stissi?”. Forse. Ma il nostro dovere, lo dobbiamo soprattutto ai giovani di questo quartiere, è anche scegliere il meno peggio e una volta scelto pretendere la giusta attenzione al territorio e, se così non fosse, rispedirli a casa. Il nostro dovere è quello di impegnarci direttamente per il cambiamento di Librino perché, come ha detto don Sapienza, parroco a Zia Lisa, in un recente convegno: “occorre un nuovo modello di democrazia deliberativa secondo cui i cittadini non danno più deleghe in bianco ai politici restando poi a guardare, ma è necessario che tutti i cittadini partecipino attivamente alla vita della città contribuendo alle sue decisioni”. P. S. A circa 3 anni dalla chiusura del gruppo scout Catania 18 a Librino, un gruppo di adulti, dopo un periodo di formazione, si sta scommettendo per la sua riapertura nella parrocchia Resurrezione del Signore in viale Castagnola. Proprio il 5 dicembre questo gruppo di giovani capi ha ricevuto il fazzolettone bianco-giallo simbolo del loro impegno verso il territorio e della loro volontà di riportare lo scautismo a Librino. Sono anche questi quei segni di cittadinanza attiva dal quale può partire il riscatto della periferia. Auguri a loro. Massimiliano Nicosia La Periferica

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Satira

La nostra cultura Dialogo fra un integrato e un non so http://dajackdaniel.blogspot.com/ «Che, la vuoi una sigaretta?». «La ringrazio, ma non fumo. Mi dica, sono sorti nuovi ostacoli alla mia richiesta?». «Come? No… cioè sì… Ma proprio non la vuoi ‘sta sigaretta?». «No, la ringrazio ancora. Per quanto riguarda la mia domanda, credevo di aver raccolto tutti i documenti necessari e risolto tutti i problemi.». «Oh, sì, mica dico di no. Vero, vero, ci sta tutto. Non ti dà fastidio, no? se fumo...». «A me personalmente no, ma mi pare sia vietato: ricordo la Legge 3 del 2003 (nota come Legge Sirchia) che proibisce il fumo negli ambienti di lavoro…». «Ecco, ti pareva. Comunque sì, qualche problemino c’è, in effetti. I documenti sono a posto, in ordine. Tutto, ci sta tutto. E’ che non bastano i documenti, le carte non sono tutto…». «Di cos’altro ancora ha bisogno?». «Ecco, cioè, vedi. Quando si va in un posto bisogna un po’ rispettare, insomma, sì, adeguarsi alle usanze, insomma, al modo di fare di quelli da cui vai. E’ casa d’altri, insomma…». «Mi pare di aver compiuto, in tal senso, innumerevoli sforzi.». «E che, non lo so? Lo vedo, lo vedo, ti sforzi. E’ che se tu vuoi la cittadinanza italiana devi, come ti posso dire?, un po’ adeguarti, no?, a quelle che sono le tradizioni, no? Cioè la cultura italiana.». «Mi permetto di rammentare che ho

conseguito due lauree, di cui una specialistica. In letteratura italiana, come forse potrà notare sfogliando l’incartamento.». «Visto, visto. No, niente da dire: l’italiano un po’ lo sai, quasi quanto me, ma non ci sta solo la faccenda della lingua. La cultura d’un popolo è una cosa un pochetto più complessa…». «Ma ho compiuto anche studi di carattere storico e giuridico. Se avrà la bontà di sfogliare la documentazione troverà l’attestazione degli esami svolti presso…». «Visto, visto.». «E inoltre in questi dieci anni non ho infranto nessuna norma o legge. Potrà notare gli attestati dei versamenti Unico, le bollette, la tassa comunale sui rifiuti, il canone Rai, le quietanze dei pagamenti del condominio, il bollo per l’autoveicolo, l’assicurazione per il medesimo e l’abbonamento annuale ai mezzi pubblici, in aggiunta a tutti gli altri versamenti o pagamenti effettuati per l’Università, i ticket sanitari, le assicurazioni volontarie e obbligatorie, i contributi INPS. Non ho ricevute di multe per infrazioni al codice della strada perché non ne ho mai commesse…». «Mai?».

«Mai, ne sono orgoglioso». «Cioè, pure il canone Rai?». «Certamente, è un obbligo di legge». «Ecco, appunto, vedi, quello che stavo dicendo… Insomma, la cultura, le usanze della Nazione. Ecco, cioè, qui da noi è diverso, fa parte della nostra cultura. Cioè, pure il canone della Rai…». «Ma ho sostenuto un esame di diritto costituzionale!». «Vedo, vedo. No, è che lo studio, le leggi, la letteratura, cioè, non dico di no, sono pure una cosa importante, e chi dice di no (a scuola mi sono pure letto quasi tutti i Promessi Sposi), ma la cultura vera è un’altra cosa. Ti ci devi adeguare, cioè la cittadinanza è una cosa seria.». «Debbo quindi ritenere che la mia domanda non sarà accolta?». «No, non ora, ma in futuro non è detto. Ci si rivede, magari tra sei mesi, no?, così magari ti adegui un po’, t’ambienti un po’ meglio. A giugno. Il canone Rai, insomma, non è obbligatorio. Poi, sai, qui da noi la famiglia è importante.». «Anche presso di noi. Sono orgoglioso della mia famiglia, amo mia moglie e i miei figli. Ecco, ho qui le loro foto.». «E che non lo so? Anche la mia famiglia è importante. Molto. Se a giugno, capitasse, un pensierino, un segno, come dire, un segno di riconoscenza… In fondo ti ospitiamo, no?, ecco, capisci, sono queste le cose importanti, la nostra cultura, la famiglia.» Jack Daniel

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