Ucuntu n.115

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ANSA/ ANCORA 25 MORTI NEL MARE A SUD DI LAMPEDUSA.SI TROVAVANO SU UN BARCONE AFFOLLATO DA CIRCA 300 CLANDE-

Bologna 1980 Un'estate italiana di Giovanni Caruso

Nel Canale di Sicilia

Sette mesi 1647 emigranti annegati Sono lontani i tempi delle stragi. Adesso in Italia non muoiono più i cittadini che vogliono cambiare la politica ma solo gli emigranti che vogliono lavorare in questo Paese. Ieri le bombe, oggi gli annegamenti. Ne abbiamo fatta, di strada

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L'appello della società civile per il giudice Salvi a Catania

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Roberto Rossi Giuseppe Giustolisi Antonio Mazzeo Ulisse Acquaviva Giovanni Caruso Nunzio Di Francesco, partigiano || 2 agosto 2011 || anno IV n.115 || www.ucuntu.org ||


Economia

Il 20 per cento dell'Italia E' la percentuale di Pil rubata all'economia italiana dalla mafia

Rispondeva col sorriso di venti Nazionali senza filtro al giorno: «La mafia è l’economia! Le imprese sono la mafia!» Il compagno P era il nostro migliore amico, di noi sedicenni e ventenni che ai piedi dell’Etna cominciavamo a muoverci civicamente attorno a una vecchia sede di partito coi maldipancia di un foglio fotocopiato e distribuito gratuitamente per le vie del paese. Il compagno P era un comunista che negli anni Cinquanta s’era dovuto prendere pure qualche pallottola, manifestando in mezza Sicilia per l’applicazione della riforma agraria. Il compagno P, buonanima, lo accompagnammo al cimitero con le bandiere rosse. E non capivamo se i nostri paesani il segno della croce se lo facevano perché passava il suo feretro o per “l’orripilante” vista di quei drappi a mezz’asta portati in processione lungo il corso. Il compagno P aveva il gusto del paradosso e ci piaceva per questo. Amava ridere e sorridere di sé e dei suoi discorsi. E anche quella frase la fece scivolare sorridendo, quasi a proteggerci da una realtà che dava poco spazio alla speranza di cambiamento. Noi accoglievano con lo stesso sorriso e pensavamo che esagerasse, come sempre. Non doveva avere del tutto torto, invece, in quell’angolo di Sicilia orientale dove più che in ogni altra parte d’Italia, la mafia aveva da sempre assunto le fattezze dell’impresa capitalistica. Il 20% del Pil. Sarebbe questo l’equivalente della ricchezza che le mafie con il loro operato farebbero perdere ogni anno alla Sicilia, alla Calabria, alla Campania e alla Puglia. La stima è della Commissione parlamentare antimafia che lo scorso 17 maggio ha presentato la relazione di metà legislatura. Stando ai dati diffusi dal presidente Giuseppe Pisanu, un terzo delle

imprese meridionali subisce una qualche influenza mafiosa, con un picco del 53% in Calabria. «Gli investimenti e le speculazioni mafiose – ha dichiarato Pisanu – giungono in ogni settore di attività del Mezzogiorno e si confondono sempre più con l'economia legale.» Che la mafia sia un operatore economico del Paese è conoscenza acquisita da oltre trent’anni. uno degli studi più interessanti a riguardo è «La mafia imprenditrice» (Saggiatore) di Pino Arlacchi. La prima edizione è del 1983. Già allora, mentre l’Italia aveva appena cominciato a interessarsi della barbarie mafiosa, il sociologo teorizzava il mutamento in senso imprenditoriale della criminalità organizzata negli anni Settanta come un intervento necessario alle cosche per mantenere il loro potere sociale, in risposta alle spinte di modernizzazione intercorse in Italia negli anni Cinquanta e Sessanta. In poche parole, la mafia si reinventava impresa nel momento in cui cominciava a venir meno il suo classico potere di mediazione sociale e di protezione, principale fonte di prestigio e consenso dei vecchi padrini. Secondo questa lettura, quindi, quella imprenditoriale non è solo una delle tante

manifestazioni, seppur importante, di un fenomeno più complesso e articolato; ne diventa piuttosto l’anima, l’unico modo per mantenere forte il potere nel territorio e conservare i privilegi. Tutto questo, introducendo nel mercato il metodo della violenza; uno strumento che in un contesto di rapporti commerciali, assieme all’enorme disponibilità dei capitali assunti col narcotraffico, finisce per essere un vantaggio competitivo talmente forte da facilitare la formazione di monopoli nei settori economici nei quali la mafia decide di investire. Con un grave danno per la libera concorrenza e in termini di sviluppo economico. Scrive Arlacchi: «Secondo noi, anche adottando la versione più precisa e restrittiva del concetto di imprenditore, quella di Schumpeter, che identifica la figura dell’imprenditore con quella dell’innovatore, è possibile far rientrare a pieno titolo molti mafiosi nella categoria. I mafiosi imprenditori hanno, infatti, introdotto innovazioni nella organizzazione delle loro imprese. La più importante di queste innovazioni consiste proprio nel trasferimento del metodo mafioso nell’organizzazione aziendale del lavoro e nella conduzione degli affari esterni dell’impresa. L’incorporazione del metodo mafioso nella produzione di merci e servizi ha permesso e permette a tutta una categoria di imprese di godere – come ogni impresa che innova – di un profitto monopolistico precluso alle altre unità economiche.» Si spiega così quel 20% di Pil di mancato sviluppo. Si spiega così, in un contesto economico drogato dall’assistenzialismo, il forte legame tra mafia imprenditrice e politica locale. E Si spiega così, forse, anche l’ironico disincanto del compianto compagno P. Roberto Rossi Azione nonviolenta

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Politica

I patrizi, i plebei e l'imperatore pazzo “Tremonti o Amato”, dicono i senatori...

1.647 emigranti sono morti nel Canale di Sicilia nei primi sette mesi del 2011. 5.962 dal 1994. Gli ultimi venticinque l'altro ieri, vicino a Lampedusa. Gli emigranti superstiti, dai campi di concentramento, protestano disperatamente da Ponte Galeria a Mineo, ma se ne sa quasi niente perché il governo ha vietato ai giornalisti di avvicinarsi ai campi. *** Una delle principali multinazionali del pianeta, la Foxcom (fabbrica gli Apple, i Dell, i Sony e gran parte degli altri giocattoli di massa) prevede di utilizzare nelle sue fabbriche novecentomila robot nei prossimi tre anni, facendo a meno di altrettanti operai. *** Continua la catastrofe della Fiat sotto Marchionne. 7,8 per cento di vendite in meno nell'ultimo mese. *** Colloqui banche-industrie-sindacati per un “governo tecnico” e un patto sociale. Repubblica azzarda i nomi dei “tecnici”: Mario Monti, Giuliano Amato o - il più probabile di tutti - Giulio Tremonti. Dopo l'imprenditore Berlusconi, avremo, a quanto pare, un altro governo degli imprenditori. *** Queste sarebbero le notizie. Il commento è scontato. La crisi italiana si risolverà (o cercheranno di risolverla) tutta dentro al Palazzo. Dunque, non sarà risolta. I quaranta milioni di italiani (di più, considerando anche gl'italiani senza identità di cui nessuno sa esattamente il numero, come per gli schiavi dell'antica Roma) che hanno pagato questi vent'anni di Berlusconi - dell'imprenditore Berlusconi, e di tutti gli altri imprenditori che l'hanno appoggiato - non hanno voce in capitolo, non la debbono avere.

Il prossimo Berlusconi starà un po' più attento con le donne, non racconterà barzellette idiote, sarà un po' meno ridicolo quando avrà a che fare con presidenti e regine e questo, nelle intenzioni del Palazzo, è più che sufficiente per noi poveracci. Contentiamoci. Giusto? *** Parlavamo di Roma, quella senza Cristi e senza illusioni: l'impero. Approfondiamo il paragone. Anche allora ogni tanto un imperatore impazziva, e i proprietari del mondo - i senatori, i patrizi, coloro che secondo se stessi erano Roma - ne avevano paura. A volte, di malavoglia, si ribellavano. “Forza, plebe! Seguiteci! Viva la libertà! Morte al tiranno!”. E i plebei, che da generazioni lottavano sordamente per le loro vite, li guardavano diffidenti: “Ma voi non eravate a corte con l'imperatore?”. “Tempi passati! Adesso pensiamo a Roma!”. E i plebei, non del tutto persuasi, li applaudivano. “Quale artista muore con me!” sospirava Nerone. E già i senatori litigavano sul prossimo imperatore e su quanti pretoriani e quanti gladiatori sarebbero stati necessari per tener buona la plebe in avvenire. *** L'impero alla fine cadde, perché non può durare un impero con troppo poca tecnologia e troppi schiavi. Ma questo i senatori non lo sapevano, e non gl'interessava saperlo. (Intanto, fra gli schiavi, si macinava qualcosa. Tutto un mondo diverso, né senatorio né imperiale. Un'altra cosa.) Riccardo Orioles

FIAT TERMINI MORIRE (E UCCIDERE) DI DISOCCUPAZIONE Disperato, depresso, licenziato e senza lavoro a 56 anni, uccide la moglie, ferisce la figlia e si toglie la vita. L’ultimo atto, di vero squilibrio con follia omicida, di Agostino Bova, operaio, fino all’anno scorso, nello stabilimento Fiat di Termini Imerese. Licenziato per "truffa". "Dopo trent'anni di servizio e pochissimi giorni di assenza", dice il segretario della Uil metalmeccanici locale. L'accusa era di aver usato per la mensa il tesserino di un collega in malattia, per 46 pasti dal valore cadauno di 1,20 euro, per un totale di 50 euro. Un’età impossibile per avere un altro lavoro, specie in Sicilia. Da poco si era concluso il periodo dell’indennità di disoccupazione. Aveva cercato sempre di non stare inattivo; si era messo a restaurare mobili, svolgendo anche attività di pescatore imbarcato su un peschereccio. Poi un incidente e la perdita di due dita. Sembra una storia d’altri tempi, quasi da libro “Cuore”. Gira il calendario, ma la brutale realtà non cambia. Quando si perde il pane e mancano i requisiti elementari della sopravvivenza quotidiana, la mente corre il rischio di bruciarsi, diventando anche omicida, specie se tormentata dall’assillo di avere subito con il licenziamento un grave torto, essendo innocente (come lui ripeteva) dell’accusa. In questa Italia disfatta, immersa nella corruzione più grande, con tanti papaveri lustrati e riccastri impudenti, colti con le mani nei sacchi grandi del ladrocinio immenso e del saccheggio pubblico, che continuano tranquillamente a godersi la loro dorata vita, alla fine pagano sempre i più deboli, in questa iniqua struttura sociale. La clemenza e l’indulgenza esistono solo nella realtà dei film e delle sceneggiate. Alla faccia della Costituzione. Il tremendo atto ha portato grande scoramento ai 2200 lavoratori della fabbrica Fiat di Termini Imprese. La fabbrica chiuderà definitivamente alla fine dell’anno. Ancora non sono state rese operative le alternative di lavoro. Altre tragedie si preparano. Domenico Stimolo

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Caso Catania Le associazioni sottoscritte,

nel momento in cui vengono da più parti riportati episodi sconcertanti che coinvolgono fra l'altro aspiranti al posto di procuratore capo al Tribunale di Catania, manifestano la propria preoccupazione per la nomina prevista in conseguenza del pensionamento del Dott. Vincenzo D’Agata e sottolineano la necessità che chi assumerà l’incarico riesca finalmente a disvelare e a rendere pubblico l’intreccio fra poteri economici, politici e mafiosi che, anche in campo nazionale, ormai è noto come il “ Caso Catania”. Come cittadini abbiamo il diritto di sperare in un futuro di legalità e giustizia per la nostra città. A questo scopo le Associazioni firmatarie del presente appello, così come già richiesto, auspicano che la nomina a procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Catania ricada su una personalità di alto spessore che eserciti l'autonomia della magistratura rispetto al potere politico, che sia capace di operare al di fuori delle logiche proprie del sistema politico-affaristico della città, che possibilmente sia del tutto estranea all'ambiente cittadino, che provenga cioè da realtà lontane dall’humus siciliano e catanese in particolare, una personalità che favorisca il riscatto civile della nostra città e che contribuisca a restituirle orgoglio e dignità. Associazione Centro Astalli, AS.A.A.E., Assoc.CittàInsieme”, Assoc. Domenicani Giustizia e Pace, Laboratorio della Politica Onlus, La Città Felice, Assoc. Studentesca e Culturale "Nike", Comitato NO-TRIV, Assoc. Oltre la Periferica, Librino, Punto Pace Pax Christi Catania, Sicilia e Futuro, Associazione Talità Kum

*** La Sicilia è la regione dove si trova la maggior economia sommersa del paese, come recenti e qualificati studi hanno evidenziato, e gran parte dell’imprenditoria cheopera nell’isola usufruisce di complicità o alleanze con le organizzazioni criminali. La mafia ha esteso da tempo i suoi interessi nell'economia “legale”, dove l'accumulazione della ricchezza avviene attraverso relazioni e attività costruite sulla base del coinvolgimento diretto e dei favori scambiati con potentati economici, politici, professionali. Si è creato così uno spazio dove lecito e illecito finiscono per entrare in commistione. L'epicentro di questa "area grigia", dove si intrecciano gli interessi di mafia ed economia, è oggi Catania, come ribadito anche dal Presidente di Confindustria Sicilia.

APPELLI PER LA GIUSTIZIA A CATANIA Al Vicepresidente del CSM Alla Commissione Uffici Direttivi e p.c. Presidente Repubblica che UnaAlcittà dove, da della anni, diversamente a Palermo o Caltanissetta, l'azione di contrasto della Procura è stata assolutamente inefficace. Emblematica, da questo punto di vista, è apparsa la gestione dell’inchiesta che ha coinvolto il governatore Lombardo e il fratello Angelo. Gli inquirenti si sono divisi sui provvedimenti da assumere in merito all'esito delle indagini sul Presidente della Regione. Il Procuratore D'Agata, nelle prese di posizione pubbliche, ha dato l’impressione di un evidente imbarazzo e fastidio nei confronti dell’inchiesta; in un'intervista rilasciata a Zermo, sul quotidiano di Ciancio (a sua volta indagato in altro procedimento), sembra esprimere contrarietà per le considerazioni espresse da Ivan Lo Bello sul peso dell'imprenditoria mafiosa a Catania. Infine, una fotografia pubblicata in questi giorni ha riacceso i riflettori sul “caso Catania”, una vicenda giudiziaria nata dalla denunzia di Giambattista Scidà che lanciò l’allarme di contiguità tra criminalità mafiosa e frange della magistratura etnea. Alla luce di tutti questi fatti e alla vigilia della nomina del nuovo Procuratore della Repubblica, facciamo appello al Csm affinché la Procura di Catania abbia finalmente un Procuratore capo assolutamente estraneo ai giochi di Palazzo e all’intreccio delle poco chiare vicende catanesi. Un magistrato che non subisca le forti interferenze esterne che hanno condizionato da decenni la direzione della Procura catanese. Giolì Vindigni, Gabriele Centineo, Mimmo Cosentino, Angela Faro, Santa Giunta, Vincenza Venezia, Salvatore Cuccia, Luciano Carini, Giuseppe Di Filippo, Enrico Giuffrida, Lillo Venezia, Claudio Novembre, Massimo Blandini, Marzia Gelardi, Maria Concetta Siracusano, Francesco Duro, Margherita Ragusa, Antonella Inserra, Mario Pugliese, Giovanni Caruso, Elena Maiorana, Tuccio Giuffrè, Rosa Spataro, Paolo Parisi, Marcella Giammusso, Giuseppe Pappalardo, Raffaella Montalto, Giovanni Grasso, Federico Di Fazio, Claudio Gibilisco, Riccardo Orioles, Elio Impellizzeri, Ignazio Grima, Angelo Morales, Pippo Lamartina, Andrea Alba, Matteo Iannitti, Valerio Marletta,

Marcello Failla, Alberto Rotondo, Riccardo Gentile, Barbara Crivelli,Massimo Malerba, Enrico Mirabella, Maria Lucia Battiato, Mauro Viscuso, Sebastiano Gulisano, Aldo Toscano, Anna Bonforte, Grazia Loria, Pierpaolo Montalto, Toti Domina, Fabio Gaudioso, Giovanni Puglisi, Titta Prato, Maria Rosaria Boscotrecase, Lucia Aliffi, Fausta La Monica, Salvatore Pelligra, Anna Interdonato, Lucia Sardella, Federica Ragusa, Alfio Ferrara, Federico Urso, Paolo Castorina, Giusi Viglianisi, Laura Parisi, Gaetano Pace, Luigi Izzo, Alberta Dionisi, Carmelo Urzì, Pina De Gaetani, Giusi Mascali, Marcello Tringali, Daniela Carcò, Giulia D’Angelo, Alessandro Veroux, Ionella Paterniti, Francesco Schillirò, Francesco Fazio, Tony Fede, Antonio Presti, Luigi Savoca, Salvatore D’Antoni, Alessandro Barbera, Vito Fichera, Stefano Veneziano, Pinelda Garozzo, Francesca Scardino, Irina Cassaro, Carmelo Russo, Franco Barbuto, Maria Luisa Barcellona, Nicola Musumarra, Angela Maria Inferrera, Michele Spataro, Giuseppe Foti Rossitto, Irene Cummaudo, Carla Maria Puglisi, Milena Pizzo, Ada Mollica, Maria Ficara, Rosanna Aiello, Rosamaria Costanzo, Mario Iraci, Giuseppe Strazzulla, M. C. Pagana, Vincenzo Tedeschi, Nunzio Cinquemani, Francesco Giuffrida, Maria Concetta Tringali, Maria Laura Sultana, Giovanni Repetto, Giusi Santonocito, Marco Sciuto, Tiziana Cosentino, Emma Baeri, Renato Scifo, Luca Cangemi, Elisa Russo, Angela Ciccia, Alfio Fichera, Giampiero Gobbi, Domenico Stimolo, Piero Cannistraci, Roberto Visalli, Mario Bonica, Claudio Fava, Giancarlo Consoli, Maria Giovanna Italia, Riccardo Occhipinti, Giuseppe Gambera, Orazio Aloisi, Antonio Napoli, Giovanni Maria Consoli, Elsa Monteleone, Francesco Minnella, Antonia Cosentino, Sigismonda Bertini, Giusi D’Angelo, Lucia Coco, Fabrizio Frixa, Santina Sconza, Felice Rappazzo, Concetto De Luca, Maria Luisa Nocerino, Alessio Leonardi, Renato Camarda, Angelo Borzì, Chiara Arena, Alberto Frosina, Gianfranco Faillaci, Daniela Scalia, Lucia Lorella Lombardo, Pippo Impellizzeri, Giuseppe Malaponte, Antonio Mazzeo, Marco Luppi, Ezio Tancini, Aldo Cirmi, Luca Lecardane, Rocco Ministeri, Gabriele Savoca, Fulvia Privitera, Daniela Trombetta, Vanessa Marchese, Edoardo Boi, Stefano Leonardi, Ivano Luca, Maria Crivelli, Guglielmo Rappoccio, Grazia Rannisi, Elio Camilleri, Rosanna Fiume, Alfio Furnari, Claudia Urzi, Luigi Zaccaro, Daniela Di Dio, Gigi Cascone, Ettore Palazzolo, Nunzio Cosentino, Matilde Mangano, Andrea D'Urso, Daniela Pagana, Stefania Zingale, Concetta Calcerano, Luana Vita, Maria Scaccianoce, Costantino Laureanti, Pierangelo Spadaro, Paola Sardella, Luisa Gentile, Antonio Salemi, Antonino Sgroi...

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Caso Catania

La corsa alla Procura Il contrastato cammino del primo giudice “di fuori” Ce la farà Catania ad avere un Procuratore della Repubblica estraneo all'ambiente, come chiedono le associazioni catanesi (Libera in testa), in diversi appelli al Csm? Un signore di un altro distretto, possibilmente di un'altra regione che non abbia mai avuto a che fare con la malagiustizia etnea? Da qualche giorno pare difficile. La quinta commissione del Csm ha infatti proposto al plenum tre nomi, due dei quali sono del tutto intranei al sistema catanese (oltreché discussi per differenti ragioni). Parliamo di Giovanni Tinebra, Procuratore generale della città, candidato di Magistratura Indipendente e di Giuseppe Gennaro, sostituto procuratore a Catania, candidato Unicost. la corrente di cui è uno dei leader). E poi c'è il candidato che viene da fuori, il sostituto procuratore a Roma Giovanni Salvi, sostenuto da Magistratura Democratica. Vediamo meglio intanto chi sono i due candidati locali. Cominciamo da Tinebra. Fu nominato nel 2006 procuratore generale all'unanimità. Veniva da Caltanissetta, dove aveva retto la Procura dall'epoca delle stragi, e forse quella nomina qualche problema di opportunità lo poneva, visto che Catania è competente per i reati commessi da magistrati in servizio nel capoluogo nisseno. E lo stesso Tinebra era stato indagato e poi archiviato per i rapporti coi legali di Silvio Berlusconi, nell'ambito dell'inchiesta sui mandati occulti delle stragi. Recentemente sono stati sollevati pesanti dubbi sulle sue condizioni di salute, per le quali Tinebra ha marcato visita e non si è presentato al processo al generale Mori, dov'era testimone. Certo è che il plenum del Csm gli ha concesso da poco il via libera necessario per ri-

manere in servizio altri quattro anni. L'episodio della mancata testimonianza è stato denunciato dalla parlamentare radicale Rita Bernardini, in un'interrogazione nella quale si fa anche riferimento ai rapporti di Tinebra con il fior fiore dell'imprenditoria catanese e romana, da Mario Ciancio, editore monopolista catanese, a Francesco Caltagirone. Un'altra interrogazione targata centrosinistra sbarra il passo a Giuseppe Gennaro. A scriverla è stato il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, che ha ricordato al Ministro della Giustizia Alfano “i rapporti personali fra Gennaro e il boss mafioso Carmelo Rizzo”, organico alla cosca dei Laudani di San Giovanni La Punta in provincia di Catania. Di Pietro ha anche rievocato la vicenda dell'acquisto da parte di Gennaro di una villetta a San Giovanni La Punta, dove il magistrato risiede, costruita dalla Di Stefano costruzioni, società riconducibile allo stesso Rizzo. Su queste storie ha fatto chiarezza la sentenza del Tribunale di Roma (non appellata dalla Procura) che ha assolto chi scrive e Marco Travaglio dall'accusa di diffamazione nei confronti di Gennaro. Il magistrato ci aveva querelato per un pezzo pubblicato su Micromega nel 2006. Nella sentenza si dà atto che è stato esercitato correttamente il diritto di cronaca e di critica. Nel pezzo si diceva che il magistrato catanese aveva mentito sui suoi reali rapporti con Rizzo ai colleghi che lo interrogavano a Messina (dove era sotto inchiesta per 416 bis, poi archiviato):“In effetti Gennaro”, scrive il Tribunale nella motivazione, “ebbe ad escludere alcun rapporto di sorta con Rizzo in rilevanti sedi giudiziarie, in con-

trasto con molteplici risultanze, emergenti sia da fonti dichiarative che dalla significativa fonte documentale costituita dall'assegno girato all'inizio del 91, e dunque in coincidenza con l'acquisto della villetta, alla CG Fratelli Rizzo”. E i rapporti di Rizzo con la mafia? Precedono l'acquisto della villetta: “Gli accertamenti dei carabinieri già nel 90”, prosegue il giudice, “diedero spunto per l'avvio del procedimento di misura di prevenzione nei confronti di Rizzo”. Sulle modalità di acquisto della villa, poi, il Tribunale segnala che “non sono stati reperiti tutti i connessi mezzi di pagamento con le relative ricevute”. Questi i fatti. Con buona pace di tutti coloro i quali hanno parlato di veleni. La Sicilia di Ciancio in testa. Ce n'è abbastanza per raccogliere l'appello delle associazioni di Catania. Quel procuratore estraneo all'ambiente.potrebbe essere Salvi, il magistrato “del Nord” nato a Lecce, autore di grosse inchieste su terrorismo e mafia. Non il salvatore della patria certo, ma solo un magistrato alieno dalle beghe catanesi, da giudicare alla prova dei fatti. Quel procuratore estraneo al sistema che l'ex Presidente del Tribunale per Minorenni di Catania Giambattista Scidà, bandiera della questione morale, già chiedeva quindici anni fa al Csm, in un appello inascoltato dove, come esempio della patologia giudiziaria catanese, citava il processo per il centro fieristico di Viale Africa, una mega opera pubblica imposta a suon di tangenti da un imprenditore mai perseguito dalla giustizia etnea. Il Csm adesso rifletta. Giuseppe Giustolisi Il Fatto Quotidiano

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In questo Stato

Gela/ Minacciato il giornalista Rosario Cauchi Sotto casa la scritta: «Non va bene quello che scrivi, questo è l’ultimo avvertimento» Rosario Cauchi, giornalista free-lance di 28 anni, collaboratore di Libera Informazione è stato minacciato a seguito della sua attività di informazione e inchiesta. Il fatto è accaduto due sere fa, a Gela, quando il giovane giornalista ha trovato sotto la saracinesca del garage della propria abitazione due immagini di "santuzze", di cui una bruciata e un bigliettino con su scritto: "Ti leggiamo e non va bene quello che scrivi, questo è l’ultimo avvertimento". Il giornalista ha immediatamente denunciato ai Carabinieri di Gela l'accaduto. Cauchi collabora con diverse testate, Libera Informazione, ma anche "Siciliainformazioni", "Siciliantagonista" e "Il Clandestino". E' autore, insieme a Giorgio Ruta, di un libro sui volti del primo marzo, il primo sciopero dei migranti in Italia. In questi anni ha raccontato dalla provincia di Caltanissetta i cambiamenti in corso nella mafia nissena, i pentimenti di alcuni boss, le infiltrazioni delle cosche gelesi in altre regioni e anche le battaglie antimafia condotte nel territorio dalla società civile e istituzioni. Cauchi, ha dichiarato: “potrebbe essere una fesseria ma non vorrei sottovalutare l'accaduto”. Sono 132 i giornalisti minacciati dall'inizio del 2011. L'ultima a carico di un giornalista di Napoli, Giuseppe Bianco, corrispondente del quotidiano "Cronache di Napoli" Il Clandestino LiberaInformazione

Catania/ A fuoco la libreria dei magistrati

Lampedusa/ Centosettanta prigionieri-bambini

Nella libreria Librando di Catania ci trovavi spesso i giudici del Tribunale aggirarsi tra le pile di libri. Adesso quella libreria non esiste più, perché gli estorsori l'hanno incendiata due mesi fa. Sessanta mila euro di danni. Le telecamere hanno ripreso due tipi con caschi integrali mentre appiccavano il fuoco. Forse gli stessi che ci avevano già provato qualche mese prima. Maurizio Di Stefano, titolare della libreria, non voleva sentirne più di pagare il pizzo. La risposta è stata il fuoco. Per un po' ha provato a resistere. Qualche giorno fa però ha dovuto dire basta. In due mesi gli incassi erano crollati del 70 per cento. Certo c'è la crisi. Metti anche qualche giorno di chiusura dopo l'incendio. Ma un crollo così non si spiega. “Forse la gente ha paura”, dice Maurizio al Fatto quotidiano, “mi sarebbe bastato un fido di quarantamila euro per andare avanti ma le banche non mi aiutano”. E poi ci sono gli editori che pressano. “Hanno voluto che restituissi subito la merce”. Forse hanno paura anche loro di un altro incendio. La libreria Librando aveva una convenzione con l'Anm. Per questo lì i giudici erano di casa. Per questo suona ancora più strano vedere quei libri anneriti dal fumo. E Maurizio Di Stefano adesso lavora con le sue collaboratrici nell'altra libreria che gestisce in aeroporto. Ma per lui non è la stessa cosa: “Qui siamo più tranquilli certo, ma lì facevamo cultura. Mi hanno abbandonato tutti. Ho potuto contare solo sul sostegno di Crocetta". Che denuncia: ”Trovo assurdo che in Sicilia, in un momento in cui il fronte antipizzo comincia ad estendersi, una libreria presa di mira dagli attentati incendiari debba chiudere. Certo a Catania la situazione è particolare: denunciano in pochi, il racket agisce indisturbato”. Espellere chi non denuncia è la battaglia del Presidente di Confindustria siciliana Ivan Lo Bello. Ma chi non si piega come possiamo aiutarlo? “Conosco Di Stefano e la sua è un'azienda solida”, dice Lo Bello al Fatto quotidiano, “sono andato a trovarlo la mattina stessa dopo l'incendio. La chiusura della libreria non è un bel segnale e in casi come questo ci vorrebbe una sensibilità più forte da parte degli editori. Se non si aiuta un commerciante che ha subìto due attentati, si dà un segnale negativo a chi decide di non pagare. Qualche decina di migliaia di euro è una cifra risibile per grandi editori nazionali”. Giuseppe Giustolisi

Ci sono 169 minori oggi rinchiusi nel centro dell'ex Base militare Loran. Said viene dal Camerun ed ha 14 anni: ha vissuto in Camerun insieme alla mamma (il padre è morto) da quando aveva quattro anni. Poi è scoppiata la guerra ed un giorno non ha più ritrovato sua madre. Si ferma un attimo, ci guarda si tocca il petto e sussurra: ma io lo so nel mio cuore che è viva. Dopo pochi giorni la polizia di Gheddafi quelli con la fascia verde al braccio sono andati a prelevarlo a casa sua. L'hanno portato in un campo e poi fatto salire su una barca. Un adolescente cresciuto d'un botto. Gambe lunghissime ed esili. Sorriso interminabile, solare. Si spegne solo quando parla del viaggio. Abbassa lo sguardo, nasconde le emozioni sotto la visiera del suo cappellino militare e scuote la testa. Non ricorda, non riesce a ricordare i dettagli (quanti erano sulla barca, quanto sia durato il viaggio) .Ma ricorda bene il mare a perdita d'occhi, la paura, i crampi del corpo accatasto e incastrato, la sete. Accanto a lui Dew, un ragazzo nigeriano di 17 anni. Ci è venuto incontro appena siamo entrate. E' triste e preoccupato. Non ha più avuto notizie del suo amico Goodwin che viveva con lui in Libia. Ha paura che sia morto durante la guerra. Vorebbe chiamarlo ma non può. E' un'altra dell'insensate torture che vengono inflitte ai prigionieri della Loran: non ci sono cabine telefoniche. Ci sono gli allacci con la rete, hanno fatto tutti lavori a regola d'arte ma poi si sono “dimenticati” di installare le cabine ed i telefoni. Così i minori che sono rinchiusi in questo centro possono dare e ricevere notizie dai familiari solo quando qualche operatore della Lampedusa Accoglienza decide di mettere a disposizione un cellulare. E allora vengono messi tutti in fila e vengono asseganti dei numeri (operazione lunga e complicata specie quando nel centro ci sono oltre 300 ragazzi che aspettano da settimane di chiamare casa per dire che sono vivi e sperare di ottenere uguale e corrispondente notizia dai familiari). Ma il problema è che in questo centro non c'è copertura di rete ed i cellulari non prendono quasi mai. Cosi può capitare come è successo ad un altro ragazzo nigeriano, di aspettare venti giorni per poter chiamare casa per sentirsi dire dall'altra parte che la mamma è morta, che ci sono già stati i funerali e poi sentire cadere la linea. Neppure un pianto condiviso, una preghiera tardiva. Alessandra Ballerini Missione "Terre des Hommes"

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In questo Stato cadute di responsabilità. Anche per il ruolo nazionale di Milano nell'espansione criminale chiediamo alla nuova amministrazione cittadina di non guardare ad altro che all'interesse delle istituzioni, dei cittadini e della legalità.

Appello per il comitato antimafia di Milano al Consiglio Comunale e al suo Presidente Il Coordinamento delle scuole milanesi per l'educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva" invita i cittadini ad aderire: Noi sottoscritti abbiamo atteso per anni che il Comune di Milano desse vita a un proprio comitato Antimafia come indispensabile strumento istituzionale per aiutare a difendere la città dall'aggressione della criminalità organizzata e in particolare della 'ndrangheta. Per anni abbiamo speso energie e impegno al servizio dell'educazione alla legalità e della crescita di nuove generazioni di cittadini milanesi sensibili e informati. Abbiamo fatto il nostro dovere nell'attesa che l'amministrazione comunale si unisse alla magistratura e alle forze dell'ordine per contrastare sul piano generale la presenza dei clan nell'economia e nella vita cittadina. Per questo abbiamo accolto con speranza l'annuncio della nuova giunta di volere rapidamente costituire un comitato Antimafia. Pensiamo che questa occasione debba essere messa pienamente al servizio della città e che non possa essere svilita da calcoli e dosaggi politici di partito. Che dunque il comitato antimafia debba essere un "comitato speciale di indagine" (nominato dal consiglio comunale come previsto dallo statuto), composta fin dall'inizio da esponenti della società civile e da consiglieri, che si siano distinti per competenza, professionalità e impegno. Noi sottoscritti pensiamo che limitarsi a una "commissione permanente", mera articolazione del consiglio comunale, occasionalmente e di volta in volta allargata a elementi esterni sarebbe oltre che inutile , una vera occasione sprecata per Milano. E questo proprio perché è necessario, a nostro parere, dotare questo comitato della massima credibilità, autorevolezza e indipendenza. Una amara esperienza ci ha insegnato che il tema della mafia non consente ad alcuno

Firme di adesione: Luigi Ciotti (presidente di Libera e Gruppo Abele), Giuseppe Teri (insegnante), Duilio Catalano (insegnante), Maria Scuderi (insegnante), Paola Feltrin (insegnante), Sara Fasoli (insegnante), Riccarda Dell'Oro (insegnante), Silvia Bulletta (insegnante), Laura Spoleti (insegnante), Cecilia Colombo (insegnante), Tommaso Colombo Leoni (studente), Gabriele Rho (agronomo), Lucia Rho (studente), Marta Rho (studente), Fernanda Riva (imprenditrice agricola), Benzione Maestro (artigiano), Michele Maestro (studente Universitario), Monica Fasoli (medico), Marina Spinelli (insegnante), Arnaldo Gallarini (Pensionato), Caterina De Sario (insegnante), Laura Micol (insegnante), Luca Foschi (studente e consigliere Zona 1 Milano), Alida Parisi (insegnante e giornalista), Lorenza Luzzati (studentessa), Claudio Luzzati (docente universitario), Lycia Petri (avvocato), Carmela Battaglia (insegnante), Vindigni Benedetto (insegnante), Maria Angela Garbini (insegnante), Maria Grazia Giacomelli (impiegata), Patrizia Cassera (educatrice), Luisa Riva (insegnante), Franca Sesto (insegnante), Camilla Puglisi (studentessa universitaria), Elisabetta Parisi (insegnante), Baratti Isabella (insegnante), Bonesini Marco (insegnante), Murgia Antonio Raimondo (insegnante), Campanozzi Simone (insegnante), Osculati Roberta (insegnante), Chiara Allegra (insegnante), Alba Di Gioia (insegnante), Giovanni Di Pietro (pensionato), Valerio Di Pietro (impiegato), Alessandro Di Pietro (studente Universitario ), Silvia Stretti (insegnante), Sarah Giancola (insegnante), Simonetta Reggiani (insegnante), Martino Benzoni (studente), Marilena Teri (studentessa universitaria), Giulia Spaltro (studentessa), cosimo biolghini (studente), Marisa Cengarle (psicologa del lavoro), Davide Biolghini (ricercatore), Santino Barbera (ufficio Dogana), Marina Pica (grafica), Cristina Deleo (insegnante), Lucia Pomello (docente universitario), Giancarlo Rossi (architetto), Paola Cao (insegnante), Laura Carchidi (insegnante), Martina Pennisi ( studentessa universitaria), Chiara Pennisi (studentessa universitaria), Valeria Valenziano (insegnante), Giancarlo Tonoli ( architetto), Paola Martino (studentessa), Alessandro Scaglione (rappresentante), Cristina Deleo (insegnante), Michelangelo Luperini (medico), Agostino Cullati (studente), Davide Mapelli (studente), Dafne Anastasi ( coorganizzatrice Settimana contro le mafie a Milano), Giorgia Barbagallo (studentessa), Alessio Baù (co-organizzatore Settimana contro le mafie a Milano;, comunicatore digital), Claudia Bassoli (praticante avvocato), Stefano Zoja (vi-

deomaker), Carlo Mazzoleni (studente), Alessandra Naso (Studentessa), Marialuisa Arleoni (insegnante), Alda Marini (insegnante), Lorenzo Renne (studente), Sandro Miano (Presidente Ass.Consumatori), Fiorenza Da Rold (dirigente IDV milano), Vincenzo Traina ( Impiegato), Perseo Verdiana (studentessa), Edda Boletti Presidente "Le Girandole", Adriana Castelli, Rossella Noviello, Tiziana Cavallucci, Luca Pradini, Cao Maria Paola (insegnante), Prof Carlo Smuraglia (presidente nazionale dell'Anpi, expresidente del, Comitato Antimafia di Milano), Paola Gennaro (insegnante), Angela ponticelli (psicologa), Marta Benenti (studentessa), Claudia Benenti (studentessa), Luca Caselli (studente), Vanni Benenti (insegnante), Silvia Rondina (impiegata), Giuseppe Venezia (giardiniere), Roberto Musmeci (forestale), Maria Paola Annale (impiegata), Iole Garuti d centroel culturale Saveria Antiochia, Giuseppe Meotti, Fulvia Serra, Vito Calabretta (giornalista), Claudio Tacchini (medico), Nicola Martino (chimico), Mariarca Orta, Annamaria Cipolla, Claudia Luppi, Natale Pezzimenti (studente), Shara Ponti (insegnante), Chicca Domeneghetti (avvocato), Annamariaazzoni, Manuela Micelli (insegnanti), Sonia Introzzi,, Gianpiero Cattaneo (docente universitario), Stefano Boeri, Gherardo Colombo, Giuliano Turone, Corrado Staiano

AVVISO PER GIORNALISTI (E GRAFICI) AMBIZIOSI Il 4 agosto scade la domanda per il Master di II livello in Grafica Digitale per il Giornalismo organizzato dall'Accademia di Belle Arti Palermo. Il Master, della durata di 1500 ore (frequenza obbligatoria), comprende: Teoria e tecnica della comunicazione e dell’informazione; Linguaggio del giornalismo; Storia dei mass media; Analisi e linguaggio della fotografia giornalistica; Organizzazione redazionale; Fatto, notizia e notiziabilità; Graphic design per giornalismo; Web design; Analisi e progettazione dei caratteri tipografici; Tecniche di illustrazione ed elaborazione digitale dell’immagine. Sono ammessi i laureati nei gruppi di laurea letterario, architettura, politico-sociale nonché presso le Accademie di Belle Arti. Sono previste 20 borse di studio da € 6.000,00 cadauna). (Nota: il Master è tenuto da Renato Galasso, uno dei vecchi responsabili del settore grafico di Avvenimenti. Per chi conosce la storia di Avvenimenti, e del suo direttore artistico Piergiorgio Maoloni, non occorrono altre precisazioni - r.o.) Info: www.altaformazioneinrete.it o redazione di Ucuntu.

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Sicilia

Il business sugli emigranti Rifugiati, truffati e spremuti Truffa aggravata e continuata. È l’accusa formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Patti nei confronti di Cono Galipò, legale rappresentante del Consorzio di Cooperative Sociali “Sisifo” che per un anno e mezzo (dal settembre 2008 al maggio 2010) ha gestito il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Sant’Angelo di Brolo, comune della fascia tirrenica della provincia di Messina. Per Galipò, uno dei maggiori operatori nell’ambito dell’accoglienza migranti in Italia, è stato chiesto il rinvio a giudizio (l’udienza preliminare è fissata per il prossimo 19 ottobre). La Procuratrice Rosa Raffa è perentoria: “il rappresentante del consorzio – si legge nel dispositivo – si è procurato, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso” un illecito profitto. Secondo la Procura, Galipò si sarebbe appropriato “di 40 euro oltre Iva al giorno per ciascun cittadino comunitario, con pari danno della Prefettura di Messina e del Ministero dell’Interno”. Il sistema era semplice, bastava “non attivare immediatamente la procedura di dismissione dei rifugiati dal centro di accoglienza dopo il pronunciamento della commissione territoriale di Trapani e, comunque dopo il rilascio del permesso di soggiorno”. Secondo i titolari dell’inchiesta, l’“illegittima permanenza al centro” di 248 richiedenti asilo provenienti da Africa, Medio oriente e sud-est asiatico sarebbe stata complessivamente di 11.707 giorni e, conti alla mano, avrebbe comportato l’“ingiusto” esborso di 468.280 euro (+ IVA) a favore del consorzio. Per alcuni dei rifugiati si sono toccati tempi record: 33 tra uomini e donne, sono stati trattenuti nel Cara di Sant’Angelo di Brolo per più di 100 giorni dalla concessio-

ne del permesso di soggiorno, con i casi estremi di Mahamuud A. (309 giorni), Semere A. (288), Abdullah A.M. (231). Negli atti d’indagine, le generalità degli “ospiti” sono incomplete e alcuni dei nomi trascritti in maniera errata. Nessuno di essi è stato di conseguenza individuato come parte offesa dagli inquirenti e non potrà costituirsi in sede di giudizio. Galipò intanto giustifica l’operato dell’ente gestore del Cara con l’assunto che “i profughi hanno semplicemente aspettato di essere trasferiti da un centro a un altro”. L’operatore gode della incondizionata solidarietà dei dirigenti di LegacoopSicilia e LegacoopSociali che in una nota hanno espresso “piena fiducia” nella magistratura che “certamente farà chiarezza confermando la correttezza della gestione del Centro da parte del Consorzio, in ogni ambito improntata a criteri di trasparenza, correttezza e professionalità, in special modo nell’assistenza agli immigrati che ha visto Cono Galipò agire con profondo amore e passione praticando i valori della solidarietà…”. A fianco dell’imputato (ex sindacalista Cgil) pure la Cisl siciliana convinta che il Cara di Sant’Angelo abbia offerto “servizi eccellenti sia in termini efficienza sia in termini di qualità, registrando pure una integrazione sociale tra la popolazione residente e gli ospiti”. In verità, dopo la decisione del ministro degli interni (settembre 2008) di utilizzare il piccolo centro “temporaneamente e comunque non oltre il 31 dicembre c.a.” per accogliere “per brevi periodi, cittadini stranieri provenienti dai centri di prima accoglienza, quindi già identificati e in attesa di essere regolarizzati”, una parte della popolazione aveva inscenato dure proteste antimigranti, alimentate da amministratori e politici locali. Poi, con le assunzioni di alcuni residenti,

il malumore si dileguò e il centro fu tenuto in vita dalla Prefettura di Messina a suon di proroghe sino al maggio 2010. La convenzione attribuiva al Consorzio “Sisifo” la gestione di “tutti gli interventi relativi all’accoglienza di n. 100 stranieri e più precisamente l’assistenza generica e sanitaria, la fornitura di pasti, posto letto completo di cambio biancheria, prodotti per l’igiene personale, vestiario, generi di conforto e servizi di pulizia”. Interventi che non sempre hanno lasciato soddisfatti gli ospiti della struttura. “Alcuni dei rifugiati si sono lamentati perché in qualche occasione non gli sono stati garantiti i kit giornalieri di tovaglie, sapone e sigarette”, racconta la sociologa delle migrazioni Tania Poguish. “Ancora più grave l’inidoneità della struttura che ha ospitato il Cara, un edificio di proprietà del ministero della Giustizia costruito per essere adibito a pretura. Il centro aveva la caratteristica di un luogo chiuso, inaccessibile. All’ingresso c’era un cancello blindato e l’area era vigilata da poliziotti. Gli ospiti, tra cui molte donne e bambini, potevano uscire solo in alcuni orari”. Ancora un non-luogo dove rendere invisibili rifugiati e migranti, ennesima occasione mancata per affermare i principi di solidarietà e il diritto all’accoglienza. Dopo la chiusura, il centro di Sant’Angelo di Brolo è stato convertito in residenza sanitaria assistenziale per anziani non autosufficienti e disabili e la gestione affidata alla cooperativa “Servizi sociali” di San Piero Patti, il cui rappresentante legale è Cono Galipò, mentre direttore generale è il figlio Carmelo, consigliere comunale di minoranza a Capo d’Orlando. Cono è operatore instancabile e dalle molteplici passioni olitiche. Ex iscritto Pci, consigliere comunale con il Psi e da indipendente con Forza Italia, poi Margherita e

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Sicilia

oggi Pd (area vicina al deputato Francantonio Genovese, ex sindaco di Messina), Galipò è attivo a Capo d’Orlando nel settore turistico-alberghiero ed è presidente dell’Associazione siciliana Leucemia Onlus e di T Sanità, società Legacoop attiva a livello nazionale nel settore dell’assistenza sanitaria. L’incarico che più conta è però quello di vicepresidente del Consorzio “Sisifo”, costituito da 25 cooperative sociali con sedi in mezza Sicilia in grado di coprire il più ampio ventaglio di interventi sanitari e socio-assistenziali a favore di diversamente abili, anziani e malati terminali e di gestire alloggi per minori, asili nido, comunità terapeutiche e centri di accoglienza per immigrati. È grazie a “Sisifo” che Cono Galipò è stato nominato amministratore delegato di Lampedusa Accoglienza, la società a responsabilità limitata costituita insieme a BlueCoop (Consorzio Nazionale Servizi di Bologna) che dal giugno 2007 gestisce il Centro di soccorso e prima accoglienza (CSPA) di Lampedusa. Oltre 44.000 ospiti nei primi due anni e mezzo di funzionamento a cui si aggiungono le decine di migliaia di transiti del primo semestre 2011. Omologato per ospitare 804 persone (ma ne sono state stipate sino a 2.000), Lampedusa genera introiti alla Srl per oltre due milioni e mezzo di euro l’anno. Per ogni migrante assistito, lo Stato versa giornalmente 33,42 euro, 16 euro in meno della gestione precedente. Lampedusa Accoglienza sbaragliò gli avversari con un ribasso di oltre il 30% che fece sollevare più di un’obiezione. “Gestiamo tutto attraverso grandi centri d’acquisto che ci permettono economie di scala”, ribatte Galipò. “Le carte telefoniche, ad esempio, le compriamo direttamente da Tim, hanno 5 euro di valore in telefonate, ma a noi costano meno. Usiamo poi

contratti d’inserimento lavorativo e altre forme che permettono sgravi contributivi”. Più risparmi e più precarietà delle figure professionali occupate. “Lo status del centro di Lampedusa è sempre meno definito”, commenta il giurista Fulvio Vassallo Paleologo dell’Università degli studi di Palermo. “Era un centro di prima accoglienza e dopo la breve parentesi nel febbraio del 2009, come Cie (centro d’identificazione ed espulsione) è stato di nuovo trasformato di fatto, dal 2 maggio 2011, in un centro di detenzione, con il trattenimento amministrativo di oltre 200 immigrati tunisini che attendevano che fossero espletate le procedure per il loro rimpatrio. Oggi si isolano le persone in strutture chiuse a tempo indeterminato, limitandone di fatto la libertà personale per settimane, solo per effetto di misure di polizia”. Invivibilità, sospensione del diritto, sovraffollamento, sensazione diffusa di incertezza ed è così che esplodono nei centri “d’accoglienza” proteste, tensioni, autolesionismi. La memoria va a quanto accaduto il 21 febbraio nel centro di Lampedusa dopo un violento diverbio tra gli ospiti esasperati dalle lunghe file per i pasti. O al

CSPA di Cagliari Elmas, quando l’11 ottobre 2010 un centinaio di immigrati occuparono gli alloggi ricavati all’interno dell’area militare dello scalo aeroportuale mentre una decina di persone riuscivano a fuggire raggiungendo la pista poi chiusa al traffico aereo. La rivolta, tentativo estremo di impedire il trasferimento di alcuni immigrati in un altro centro italiano, fu brutalmente repressa dalle forze dell’ordine con cariche e lanci di lacrimogeni. “Elmas è peggio di una prigione, con sbarre, ringhiere alte 3 metri, telecamere di sorveglianza; dispone di spazi irrisori e anche l’ora d’aria, concessa ai detenuti nelle galere normali, qui è quasi impraticabile”, denuncia il coordinatore di Libera Sardegna, Giampiero Farru. Dall’agosto 2010 la gestione del centro semidetentivo cagliaritano è passata proprio al Consorzio “Sisifo” che ha pure tentato, con poca fortuna, di accaparrarsi il controllo dei famigerati Cie di Torino e Ponte Galeria (Roma), dell’ibrido Cie-Cara di Gradisca d’Isonzo e del centro di prima accoglienza di Borgo Mezzanone (Foggia). Miglior sorte per le coop siciliane a Castroreale (Messina), dove nel febbraio 2011 è stato approvato un progetto triennale per ospitare all’interno della ex caserma dei carabinieri un paio di famiglie di profughi. Finanziato con 714.471 euro dal ministero dell’interno e 179.361 euro dal Comune, il centro affidato a “Sisifo” ha una disponibilità di 15 posti letto. Mini ospitalità dai costi maxi: Castroreale comporta infatti una spesa pro capite di 55,2 euro al giorno, 22 in più di Lampedusa e 15 del Cara di Sant’Angelo di Brolo finito sotto indagine. L’emergenza migranti, insomma, sembra sempre più un affare per chi lavora nel “sociale”. Antonio Mazzeo

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Libri

“L'Invisibile” Storia di una terra

“Giornalismo ad altezza d'uomo”, guardandosi negli occhi e dandosi del tu “Il mio dovere è guardarlo negli occhi, e dargli del tu” è questo il senso del libro di Giacomo Di Girolamo dal titolo “Matteo Messina Denaro - L’Invisibile”. Ed è proprio alla primula rossa di Cosa Nostra che il giornalista di Marsala da del tu. Rivolgendosi a Messina Denaro Di Girolamo racconta la storia del boss dalle origini fino al potere. Ma non è solo una biografia del boss di Cosa Nostra, ma anche la storia di una terra. La terra di Di Girolamo così come di Messina Denaro. Il giornalista antimafia che da un’emittente locale si chiede “Dove sei Matteo?” e il boss che “con le persone che hai ammazzato potresti riempire un cimitero”. Nel libro ti rivolgi a Messina Denaro in maniera diretta, dandogli del tu. Perchè hai fatto questa scelta? Per vincere una certa mentalità che ci porta a parlare di mafia e di mafiosi come se si trattasse di una specie di arcano. Tutti ne parlano, nessuno sa dov’è. Matteo Messina Denaro è mio conterraneo, calpestiamo il suolo della stessa porzione di Sicilia, sotto lo stesso sole, giriamo per le stesse città. Abbiamo più cose in comune di quanto si possa immaginare. Il mio dovere è guardarlo negli occhi, e dargli del tu. Abbiamo paura di ciò che non si conosce, perché è inenarrato (ancora prima che inenarrabile),e fin quando non lo portiamo allo scoperto, ne avremo sempre paura. Io parlo in questo caso proprio di giornalismo ad altezza d’uomo, che ha il compito di guardare le persone negli occhi, e di dare un nome alle cose. Perchè hai deciso di raccontare la vicenda di Messina Denaro? Proprio perché è il mio vicino di casa. Tutto qua. Si comincia sempre a raccontare ciò che si ha accanto. E io, accanto a me, ho Messina Denaro, la sua famiglia, la sua cosca, e tutti coloro che hanno resa violenta e cupa una terra bellissima. Io credo molto in un giornalismo “residente”, che ha il compito di esplorare le cose vicine. Purtroppo a volte si preferisce fare giornalismo parlando di fatti lontani o per schemi generali. Essere un giornalista “locale” non è una riduzione del mestiere del giornalista. Purtroppo la stampa locale ci ha abituato a

questo. Ma non è così. Il giornalista locale è un giornalista che ha un compito, una responsabilità, in più rispetto agli altri: raccontare la propria terra. E se non lo fa lui non lo faranno certo i grandi inviati venuti dalle redazioni “continentali”. Dal tuo libro emerge una fitta rete di ragnatele mafioso che avvolge il trapanese. Dall'economia alla cultura, passando per la politica. Cosa è oggi la mafia a Trapani? La mafia a Trapani prima odorava di stallatico, di “becco”, diremmo in siciliano. Oggi è una mafia che non sta più tra i latifondi ma nei salotti buoni. I figli dei mafiosi fanno ottimi studi nelle università più prestigiose, hanno cancellato tutto l’apparato tradizionale di Cosa nostra e stanno creando una “cosa” nuova, dove accanto a politici e imprenditori siedono notai, commercialisti, professionisti. Cosa nostra è cambiata. La sua versione tradizionale, militare, quella che abbiamo imparato a conoscere negli anni, ormai è sul punto di essere sconfitta. Ogni giorno c’è un’operazione che sgomina un clan, una rete di estortori, i favoreggiatori di qualche pezzo grosso. Tuttavia c’è un’altra mafia che è emersa, contro la quale lo Stato non fa nulla. Una mafia che sa come frodare la comunità europea o la legge 488, che investe nell’energia alternativa come nella grande distribuzione, che sa come truccare le gare d’appalto, corrompere i funzionari, riciclare denaro, nella più assoluta impunità. Io la chiamo “la cosa grigia”. Me ne sto occupando nella mia nuova inchiesta. E’ paradossale, ma questa nuova mafia è la principale favorita dall’azione repressiva dello Stato nei confronti della vecchia mafia, perchè si sta agevolando, con gli arresti, un ricambio che non è solo generazionale, ma culturale e, in qualche modo, politico. Il tuo libro ha avuto grande successo, fai nomi e cognomi, dal barista al politico dall'imprenditore all'amante. Come hanno reagito i tuoi concittadini? In Sicilia (come in Italia), manca un’opinione pubblica capace di reagire, cioè di indignarsi, lottare per un cambiamento. Anche quando si fanno nomi e cognomi. E’ singolare che ogni volta che racconto un fatto che riguarda un politico, un imprendi-

tore, qualche personaggio più o meno illustre del mio territorio, le critiche vengano rivolte non al fatto che racconto, ai protagonisti delle vicende, ma a me. Insomma, le repliche alle cose che scrivo sono che sono giovane (!), stravagante (!!), comunista (!!!). Detto questo, ci sono però molte persone, tanti giovani, che hanno trovato nei miei racconti, anche se li riguardano da vicino, un monito e uno sprone per andare avanti, a testa alta, e cercare di ridare dignità ai siciliani. Penso ai ragazzi di Castelvetrano e di Corleone ad esempio, a molti insegnanti e a tante belle, bellissime, persone, incontrate in questi ultimi mesi girando la Sicilia per presentare la mia inchiesta. Nella prefazione dici: “Questa, Matteo, è la tua storia. Che un po' è anche la mia”. Cosa hanno in comune un giornalista antimafia trapanese e un boss mafioso? Molte più cose di quanto si possa immaginare. La storia di Matteo Messina Denaro è anche un po’ la mia perché la sua azione violenta ha contribuito a frenare lo sviluppo della mia città e della mia regione. Dirò di più, in provincia di Trapani, ogni gesto di un individuo rischia di essere a favore o contro Cosa nostra: fare la spesa in un supermercato gestito dal prestanome del boss, accettare il lavoro da un imprenditore “chiacchierato”, votare un politico colluso. E’ un continuo relazionarsi con questi fattori e questi schemi. Pensi che ti dovrai chiedere ancora per molto “Dove sei Matteo?” No. E’ la domanda che mi fanno più spesso. Sono convinto che i giorni della latitanza di Matteo Messina Denaro sono brevi. Lo dicono le continue operazioni di intelligence, lo dice la tendenza delle forze dell’ordine a fare piazza pulita intorno ai grandi latitanti, tagliando loro ogni aiuto pur di farli venire a galla. Ma a me non interessa sapere dov’è Messina Denaro, quando verrà preso, come. E’ un finale già scritto. Perché c’è sempre un finale, anche nelle storie di mafia. La vera sfida è per noi siciliani capire se e quando cambieremo davvero, rinunciando totalmente alla mafia e alla sua violenza, per meritarci davvero questa bellissima terra dove ci è toccato in sorte di vivere.

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Metropoli

L'ultimo viaggio dei proletari Diario da una città d'Europa

Vedere le facce dei proletari – leggevo tempo fa in un articolo sull’Internazionale – si può ancora nella metropolitana romana, la prima del mattino. Ma se volete vedere quel che resta di un sottoproletariato in via d’estinzione dovete venire a Napoli e prendere le ultime corse di un qualunque mezzo pubblico, magari di domenica. Questo è quanto… Dal finestrino la prima cosa che vedo è un mucchio di prostitute sul marciapiede di fronte. Una si cambia le scarpe, sostituendo quelle comode con dei tacchi rivestiti di finti brillanti, appoggiando i piedi tra quel che resta del mercatino diurno di stracci. Un’altra, tutta svestita di rosso parlotta con un potenziale cliente o con un semplice sfottitore. Il camion che lava i cassonetti è a pochi metri ma la puzza non le tange. Una ragazza con zainetto invece si porta le mani al naso chiaramente disgustata. Sale anche lei sull’R2 delle 23:30, forse l’ultimo della giornata. Siamo al capolinea, si aspetta da un quarto d’ora con il motore acceso. La prima porta, quella più vicino al conducente resta chiusa, evidentemente non vuole essere fatto domande. Sul fondo due trans si raccontano senza discrezione. I sediolini sono di un tessuto che in origine doveva essere azzurro, mentre ora, dopo chissà quante andate e ritorno, ciò che li caratterizza più che il colore è la puzza. Ho di fronte un vecchio accartocciato su se stesso. Ha un braccio che gli avvolge il volto pieno di rughe, solchi vuoti che raccontano una vita piena, piena di qualcosa che non oso immaginare. Dorme mentre l’antichità dei suoi lineamenti fa a cazzotti con la modernità di un abbigliamento recuperato a buon mercato. Due posti più avanti un uomo sulla quarantina poggia il piede sul sediolino vuoto che lo separa dal vec-

chio, poggia la testa sul vetro unto (o unge il vetro con la testa sudata?) e inizia anche lui a dormire, conciliato dal tremolio del motore. L’aria è condizionata ma tutti sudano lo stesso, come se qualcosa li rodesse dall’interno. Ecco, ora sale un altro uomo, ha dei piccoli baffetti e un teschio ben visibile. Sembra in fin di vita, arranca, si trascina sul maniglione della porta centrale e striscia fino al posto vuoto tra i due dormienti. Siede con un tonfo tanto è morto il suo peso. L’uomo col piede sul sediolino si sveglia per un attimo, controlla se la gamba

è saldamente attaccata al resto del corpo e richiude gli occhi lentamente, lasciando il piede lì dov’era, vicino al ginocchio esile del nuovo arrivato. Una donna è seduta sul sediolino che sovrasta la ruota dando le spalle al resto dell’autobus. Quando si gira svela uno sguardo che contiene dolore, tanto, che rapidamente si travasa negli occhi di chi guarda guardare. Fa male, e intanto parla al telefono con la madre dicendole che Tonino non ce la faceva a guidare e che non l’aveva potuta accompagnare, che si stava addormentando sullo sterzo e le ha detto pigliati il pùllman. Mentre la tristezza continua a sprigionarsi come i deodoranti per la casa, sale al Rettifilo un giovane studente appena fatto bersaglio di un uovo tra i capelli da qualche balordo. Un carnevale fuori tempo massimo. L’albume, non avendo il giovanotto un fazzoletto, continua a colargli, facendo prima tappa sullo zaino, poi finalmente sul pavimento, mischiandosi a polveri altro che sottili e untuosità varie. Siamo già a piazza Municipio, chè a quest’ora il traffico è scorrevole, si sa. Il nostro uomo col piede sul sediolino dorme cacciando un filo di bava dalle labbra. Scandito dal respiro il filo sale e scende per un po’, almeno fino a quando non arriviamo al San Carlo, dove dallo stesso finestrino da cui poco prima ho osservato le puttane di Piazza Garibaldi vedo una folla di gente uscita dalla prima della nuova edizione del teatro festival. Scopro poi che si tratta di Le dragon bleu, proprio come il tatuaggio del trans seduto nelle ultime file di quest’autobus neanche notturno… R.C. Napoli Monitor In alto: Cristina Ortolani, “Sogno napoletano”

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Satira

Ma per “Libero” il mostro è sempre musulmano Anche quando è un fanatico “cristiano” integralista Parte la caccia al musulmano, ma poi si scopre che l'attentatore di Oslo era un fondamentalista antislamico di destra. Libero però si ostina, e Al-Qaeda rimane nei titoli. E allora io telefono. Non sopporto più l'attivismo virtuale di Facebook. Gente che si lamenta di tutto e non fa un cavolo di niente. L'altro giorno, per esempio, tutti a lamentarsi delle bufale di "Libero" e "Il Giornale", con titoli del tipo "Con l'Islam il buonismo non paga", e "Ci attaccano. La prima vendetta di Al Qaida dopo la morte di Bin Laden". Molti segnalano anche le minchiate di Fiamma Nirenstein nell'editoriale del "Giornale", roba del tipo "non importa se sono state le vignette su Maometto ... ciò che importa è che la guerra dell'islamismo contro la nostra civiltà è feroce e aggressiva", aggiungendo "se verrà confermata l'ipotesi che nel corso della giornata è diventata sempre più robusta". E allora prima conferma l'ipotesi, e poi lancia le tue guerre sante, no? Dov'è finito il vostro garantismo? I "presunti innocenti fino alla cassazione" sono solo gli "onorevoli parlamentari" che vi danno la paghetta? Ma la responsabilità è un concetto ormai

sorpassato, e nessuno dei nuovi crociati chiede scusa per le boiate scritte sotto l'effetto di "ipotesi robuste" che si rivelano clamorose bufale alla prova dei fatti. Alle 10:30, quando ormai tutto il mondo sapeva vita morte e miracoli di Anders Behring Breivik, il "biondo norvegese doc vicino agli ambienti dell'estrema destra xenofoba" i toni si smorzano, e tutti decidono che si tratta di una azione individuale e non di una "guerra del neonazismo contro la nostra civiltà", per usare le parole della Fiamma Nazionale. Breivik viene asportato chirurgicamente dal suo "brodo di coltura", la parrocchia che frequentava non si trasforma in un covo di terroristi, la sua religione cristiana non diventa sinonimo di estremismo, non si estendono le sue responsabilità alla destra neonazista e lui si ritrova ad essere un "presunto attentatore", forse plagiato mentalmente da videogiochi troppo violenti. Ma c'è chi si ostina a perseverare nell'errore. Come il sito di "Libero", dove continua a campeggiare in homepage la scritta "Al Qaeda attacca Oslo - autobomba e sparatoria". E allora anziché piangere dagli amichetti di Facebook, chiamo la redazione milanese

di Libero allo 02.999.666. Non ho neppure il tempo di riflettere sulle simbologie sataniche del doppio "numero della bestia" 666, visibile sia per dritto che capovolto nel numero della redazione, e mi risponde una gentile redattrice: "Deve ricaricare la pagina, abbiamo già corretto". "Continuo a caricarla, e sotto la foto di apertura c'è sempre Al Qaeda". Quando si entra troppo nel tecnico la faccenda diventa una cosa da uomini, e a gentile redattrice mi fa parlare con un suo collega: quella che sembrava una didascalia era il titolo di un altro articolo, che appare in evidenza sulla homepage. "E allora correggete il titolo, no? Se lasciamo queste inesattezze poi non lamentatevi se i musulmani si arrabbiano..." "Ha ragione, adesso provvediamo". Il tutto si svolge nella massima cortesia e cordialità, e dopo pochi minuti "Al Qaeda attacca Oslo" diventa "Norvegia sotto attacco: autobomba e sparatoria". Peccato che nell'incipit rimanga quel "Ci sarebbe Al Qaeda dietro il doppio attentato". Ma per ora va bene anche così, d'altronde nessuno è perfetto. Ulisse Acquaviva

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Satira

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Memoria 198o/ Un'estate italiana

Bologna due agosto Bologna 2 agosto 1980, sullo spiazzale della stazione mi investe l’odore delle polveri. Io non ero stato mai in zone di guerra, ma quel giorno a Bologna vidi uno scenario di guerra. I taxi e i bus trasformati in ambulanze che correvano su e giù verso gli ospedali come ambulanze vere, a sirene spiegate. Macerie, urla di aiuto, i soccorritori si coordinavano urlando. L’odore del sangue colpiva le narici, pompieri e volontari estraevano i corpi o quel che rimaneva di loro mentre l’orologio segnava ancora le dieci e venti, l'ora dell’esplosione. Dapprima si pensò a un incidente,

ma fu facile capire che incidente non era. Era stata una bomba ad alto potenziale. Vagoni squarciati ridotti in metallo contorto, le pareti interne dei vagoni imbrattate di sangue. E nella sala d’aspetto più colpita, uno squarcio a forma di “vi” da dove entrava il sole che dava risalto al pulviscolo di polvere sospesa. Si fotografava meccanicamente e se abbassavi la fotocamera ti veniva su un grosso magone, avevi voglia di posare la fotocamera e dare una mano ma non si sapeva da dove incominciare. A un certo punto,si sentiva solo il bisogno di andar via tutto quello che c’era intorno, era insopportabile.

Quando si fece sera sentii il bisogno di allontanarmi da quello scenario di terrore e di sgomento. Io non sono uno che beve ma quella sera decisi di girare un paio di osterie, e ovunque andavo, ascoltavo i bolognesi feriti a morte dalla strage. Nei giorni successivi le indagini suggerirono che la strage era di stampo fascista.

*** Bologna 1981. Sono tornato in questa città che dopo un anno reagisce con orgoglio e dignità, promuovendo un grande convegno di popolo contro il terrorismo e tutte le stragi.

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Memoria 198o/ Un'estate italiana FOTO: ARCHIVIO GIOVANNI CARUSO

Contro le stragi ricordando le altre sragi: Piazza Fontana a Milano, Piazza della Loggia a Brescia e il treno Italicus. La città fremeva di mille riunioni, i gay che denunciavano il terrorismo verso di loro, i movimenti studenteschi, autonomia operaia che ricordava l’assassinio di Francesco Lo Russo da parte delle forze dell’ordine nel 1977. Nella facoltà di Magistero le assemblee si susseguirono e fu decisa una manifestazione non autorizzata, osteggiata dalla polizia. I ragazzi del movimento studentesco riuscirono a eludere i cordoni della pubblica sicurezza, superarono la Torre degli Asinelli, e lì vidi i “caroselli”

delle pantere che tentavano di disperdere la manifestazione che voleva arrivare a Piazza Grande. Bologna 2 agosto 1981. Le celebrazioni istituzionali iniziano nello spiazzale della stazione di Bologna parla Torquato Secci e il Primo Ministro di allora, Giovanni Spadolini, che viene fischiato dai tanti giovani dei movimenti. Alle dieci e venti scocca il minuto di silenzio nel ricordo delle vittime, e dagli altoparlanti alti sullo spiazzale si sentono le sirene stridule delle locomotive. Il silenzio viene spezzato dal pianto dei parenti delle vittime, e da un canto in lontananza sul viale che

porta alla stazione: sono i ragazzi di Democrazia Proletaria che cantano l’Internazionale. La sera, in Piazza Grande, le note della Quinta di Beethoven solennemente ricorda le vittime. Sono passati trentun anni da quel 2 agosto 1980. Quanti processi, quanti depistaggi da parte dei servizi segreti deviati. Ma una sola verità: la mano che mise la bomba fu la mano della reazione fascista. Forse un giorno, chissà quando, i posteri ci racconteranno la verità. Giovanni Caruso

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Italia

Un partigiano E' morto Nunzio Di Francesco. Era stato a Mauthausen

In data 21 luglio improvvise complicazioni sopraggiunte sullo stato di salute hanno piegato il vigore umano di Nunzio Di Francesco, ottantasettenne, nativo e residente a Linguaglossa (Catania). Partigiano, sopravvissuto agli immani assassini del lager nazista di Mauthausen. Nunzio, componente storico e dirigente dell’Aned nazionale, presidente dell’Anpi provinciale di Catania e presidente onorario dell’Istituto siciliano per la storia dell’Italia contemporanea “ Carmelo Salanitro”, ha rappresentato da sempre, nell’area del catanese e della Sicilia tutta, la memoria vissuta, attiva e propositiva, dei valori della Lotta di Liberazione dal nazi-fascismo fondativi della nostra Repubblica, e degli orrori nei campi di sterminio. Dall’aprile 1943, giovane diciannovenne, si trovava da militare aggregato al “V artiglieria Superga”, a Venaria Reale in provincia di Torino. Con l’armistizio dell’8 settembre e lo sbandamento dei reparti militari italiani, Di Francesco, dopo un breve periodo trascorso come ospite da una famiglia di contadini della zona, già dall’ottobre del 1943 si aggrega alle prime formazioni partigiane, inserito nella IV Brigata Garibaldi, operative nella zona - comandata dal siciliano Pompeo Colaianni, Comandante “Barbato”, successivamente diventato comandante dell’8°zona militare in Piemonte -. Nunzio assunse il nome di “Athos”. Per quasi un anno nell’area piemontese, nelle alterne vicende di attacchi partigiani e offensive delle forze nazifasciste che caratterizzarono tutta la regione, svolse un fattivo ruolo di combattente per la libertà, compreso in particolare la zona della Valvaraita e Val Maira. Nella notte tra il 17 e il ottobre

1944 le formazioni partigiane attive nell’area della Val Girba furono attaccate da preponderanti forza nazifasciste, Di Francesco preso prigioniero fu portato nel carcere di Salluzzo. Il 16 dicembre assieme ad altri partigiani prigionieri fu trasferito nel lager di Bolzano. La mattina dell’8 gennaio 1945 con il XIII trasporto che “conteneva” 501 persone ( ritornate sopravvissute in 47) fu deportato nel campo di sterminio di Mauthausen. Scrive nel suo libro Il costo della Libertà, memorie di un partigiano combattente: “Non conoscevamo la nostra destinazione, sapevamo soltanto di essere nella mani di un mostro che con notevoli capacità tecniche ed organizzative riusciva a pianificare lucidamente i delitti e le torure più efferate. I prigionieri furono spinte a frustrate sui carri e in ognuno di essi ne venivano stipati cinquanta; poi di nuovo al conta ed ulteriori controlli, infine la chiusura dei carri e il sigillo”: Poi, il 5 maggio 1945, la liberazione del lager, tra un enorme ed immane catasta di cadaveri che gli aguzzini nazisti non avevano avuto la possibilità di bruciare, e decine di migliaia di “scheletri” viventi che vagavano nel campo. All’inizio di ottobre del 1945 il ritorno a Linguaglossa. Per intraprendere un nuovo percorso di vita. In tutti i pubblici consessi sociali che caratterizzarono la sua fattiva azione è stato sempre un vigoroso rappresentante civico e democratico dei valori della democrazia duramente riconquistata. Per molti anni, nel dopoguerra, come dirigente sindacale della FederTerra Cgil, fu in primo piano nel catanese nella guida delle lotte dei lavoratori bracciantili per la riforma agraria e il riscatto umano e sociale, contro lo strapotere e lo sfruttamento dei latifondisti. Poi continuò il suo impegno nella costruzione e nella gestione di cooperative. Per molti decenni il suo impegno prioritario è stato dedicato a “raccontare” ai giovani e agli studenti delle scuole, in tutta la Sicilia e nel Sud, le motivazioni che portarono tanti uomini e donne a combattere il nazifascismo durante la Lotta di Liberazio-

ne. Schivo, per il profondo senso di discrezione e moralità umana che lo caratterizzava, a riportare gli orrori direttamente subiti nel lager di Mauthausen. Preferiva calarsi nei panni degli altri, riportando ciò che vide in quei luoghi dove fu cancellata qualsiasi minimale forma di rispetto della vita altrui. In particolare fu un imperterrito propugnatore della difesa dei valori supremi della pace contro la guerra, e di strenuo difensore dei valori della nostra democrazia, mai a priori garantita per sempre. A questi suoi incontri di “educazione” sulla Memoria della deportazione e sulla Resistenza hanno partecipato decine di migliaia di studenti, sempre con grande attenzione e stima. Gli ultimi, di rilievo, il 30 aprile presso il Liceo Classico Mario Cutelli in occasione del Premio Carmelo Salanitro - martire antifascista catanese ucciso a Mauthasuen il 24 aprile 1945, da lui direttamente incontrato nel lager - e il 5 maggio all’IIS Enrico Mattei di Avola ( Sr) nell’anniversario della liberazione del campo di sterminio di Mauthausen, per la presentazione di un “Quaderno di storia”.. Il suo ultimo intervento pubblico è stato il 2 giugno a Nicolosi ( Ct) in occasione della costituzione della sezione Anpi. Lo ricordiamo con immenso senso di affetto e di stima civile e democratica. Un generoso combattente per la libertà che contribuì a riportare la democrazia nel nostro Paese. Aned Associazione Nazionale ex Deportati Politici nei Campi Nazisti- Catania

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