Ucuntu n.74

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Il governo esplode. Bossi, il Caimano, Lombardo, Fini, Bondi, il Miccichè, Ferraù, Sacripante... Forza pupi!

E c'è a chi la platea urla:

“Ganu di Maganza!” Cioè Gano di Magonza, il paladino traditore nell'Opera de Pupi. Si gridava, nella Sicilia d'un tempo, al “cattivo” dei western oppure all'”arbitru curnutu” platealmente comprato dall'avversario. A noi, che pure di politica non ci appassioniamo (e men che mai del duello Fini-Berlusconi) un personaggio di questi giorni ricorda irresistibilmente il vecchio “Ganu u traituri”... Vabbe', che se la vedano fra di loro. E quanto a noi... buon 25 aprile! Marescotti/ Morrione/ Mazzeo/ Finocchiaro/ Acquaviva/ Fuoribusta/ Biani L'articolo che non dovevate leggere - a pagina 4 E' tornato Enzo Baldoni – pagina 7 || 24 aprile 2010 || anno III n.74 || www.ucuntu.org ||


Guerra e pace

Gli amici della guerra

Hanno confessato Hanno confessato di essere scorretti, sleali, bugiardi: i sostenitori di questa guerra ci hanno imbrogliato. Lo hanno dimostrato in questi lunghi giorni di ridicola propaganda contro Emergency. Loro sì che hanno confessato. E adesso basta con le bugie: la finta "missione di pace" è in mutande. E non va più rifinanziata. *** Avevano "confessato" i volontari di Emergency. Dai media internazionali arrivava un messaggio agghiacciante: i volontari di Emergency erano terroristi. Avevano complottato per uccidere. Ma ora la grande menzogna è finita. Nessuna delle prove raccolte ha retto. Il popolo della pace è sceso ieri in piazza a Roma. Il governo

italiano ha vacillato di fronte alla prova della verità. Ora possiamo dire una cosa ragionevole: questa è la guerra delle menzogne. E "infowar": l'informazione programmata al servizio della guerra. Chi fa questa guerra ci somministra informazioni che non possiamo controllare e usa la TV per raccontarci un'altra realtà. La stessa definizione di "missione di pace" è una menzogna. Ma noi, ancora una volta, non crederemo più a nulla della propaganda di guerra. La vera missione di pace la stava facendo Emergency. Per questo è stata colpita. Ne abbiamo abbastanza di questa costosa farsa: a casa i soldati italiani. I sostenitori di questa guerra hanno

"confessato" la loro ipocrisia dimostrando nei fatti di essere scorretti, sleali, bugiardi. In questi lunghi giorni di ridicola propaganda contro Emergency abbiamo toccato il senso dell'assurdo. I militari che uccidevano i bambini erano liberi, chi li curava veniva arrestato. *** Abbiamo visto per un attimo il mondo della guerra per il buco della serratura e ne siamo rimasti inorriditi. E adesso basta con le bugie: la finta "missione di pace" è in mutande. E non va più rifinanziata. Scrisse Prevert: “Quelle connerie est la guerre”. Sì, la guerra è proprio una gigantesca fesseria. Alessandro Marescotti, www.peacelink.it

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“In questa strana terra di Sicilia...”

Le formichine “Estremamente determinate a sporcarsi le mani e a spendersi per la costruzione di un mondo migliore, a non mollare”. “Perché sapere è un diritto, garanzia di libertà e democrazia” “Nessuno è autosufficiente, nessuno sa fare tutto, nessuno e nessuna storia vincono da soli. Ragioniamo invece fra noi con fiducia reciproca e su obiettivi concreti, in modo aperto e costruttivo, per contrastare il monopolio di Ciancio e a poco a poco spazzarlo via”. Perché cominciare con queste parole di uno di noi? Un anno e mezzo fa, alcune testate di base catanesi, telematiche e cartacee, decidono di lavorare assieme e di costituirsi nell’associazione “Lavori in corso”. “La periferica”, “Ucuntu”, “I Cordai” e “Catania Notizie”, ma anche tante persone assetate di cambiamenti e di verità s’imbarcano in un progetto che è possibile solo se uniti: fare informazione. Era il gennaio del 2009. Ci siamo detti: - “Facciamo circolare le notizie! Facciamo rete!” - “Tu cosa sai fare?” - “Allora fallo! Intanto io mi occupo del web?” - “Io di giudiziaria!” - “Noi raccontiamo storie di quartiere.” E siamo partiti. Da allora abbiamo fatto tanti piccoli passi. Attraverso alcune inchieste abbia-

mo sperimentato forme e metodi diversi di cooperare, cercando di valorizzare le potenzialità di ciascuno. Abbiamo tentato di allargarci. L’anno scorso abbiamo prodotto tre dossier “Munnizzopoli - Catania tra rifiuti ed affari”, “Toccata e fuga”e “Case”. Il 7 aprile abbiamo presentato l’ultimo, i “Privati dell’acqua”, sulla privatizzazione dell’acqua in Sicilia. Un dossier fatto con i ragazzi del mensile ragusano “Il Clandestino” e tanti piccoli gruppi che in Sicilia si battono per l’acqua pubblica. *** A Palermo, Ragusa, Modica, Enna, Agrigento e in tutta la Sicilia è in atto lo stesso processo, a più voci denunciato in oltre 40 pagine: l’acqua è diventato un business troppo grosso, poche persone stanno lucrando su un bene pubblico. Nel dossier si analizzano le gestioni e i metodi adottati, le società sommerse dai debiti, le consorterie e le persone che ci stanno dietro. Ci sono nomi e cognomi

di tutti. Poi ci sono le storie dei comitati che da anni lottano contro la privatizzazione. Il 7 aprile sono intervenuti Carlo Ruta, giornalista e curatore di un sito oscurato nel 2004, Sara Giorlando del “Forum catanese per l’acqua pubblica”, Piero Cimaglia della nostra associazione, Giovanni Lonico de “Il Clandestino” e Barbara Grimaudo di “Cittadini invisibili” di Palermo. Raccontando luci e ombre del movimento siciliano, Barbara ha concluso così: “In questa nostra strana terra di Sicilia tante piccole formiche sono estremamente determinate a sporcarsi le mani ed a spendersi per la costruzione di un mondo migliore possibile. E non molleremo!” * * *. Anche noi di “Lavori in corso” non molleremo, continueremo ad informare perché sapere è un diritto, garanzia di libertà e democrazia.

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Sonia Giardina


L'articolo che non dovevate leggere

“Il serial killer della memoria e dell'informazione” Questo pezzo, del direttore di Liberainformazione (giornalisti antimafia da tutta Italia), forse contiene qualcosa che a qualcuno non è piaciuta, visto che misteriosi “pirati” hanno provveduto a cancellarlo dai siti di Liberainformazione, di Articolo 21, ecc.., men tre misteriosi ladri rubavano di notte i relativi computer. Ma insomma, di che diavolo parla va, per farli incazzare così? Semplice: dei rapporti fra governo e culture mafiose. Ahhh... Vabbe', leggetevelo qui lo stesso, alla faccia dei ladri, dei pirati e soprattutto di chi li paga

Immersi nelle notizie del braccio di ferro di Gianfranco Fini contro l'asse BerlusconiBossi all'interno del Pdl e del governo, abbiamo sottovalutato in questi giorni l'attacco che il premier ha rivolto il 16 aprile contro le fiction e i libri sulla mafia, accanendosi nei confronti di Roberto Saviano e di Gomorra. Sull'argomento Silvio Berlusconi è recidivo. Già nel novembre scorso, infatti, si era scagliato inaspettatamente contro le storiche serie della Piovra e in generale le fiction televisive sul tema, che a suo dire lederebbero l'immagine del Paese all'estero, arrivando a una sorta di sfogo dell'anima "...strozzerei gli autori della Piovra e chi scrive libri sulla mafia". La reazione a questa uscita era stata allora vasta, sul piano culturale e della comunicazione oltrechè su quello politico. Michele Placido, che nella Piovra era l'indimenticabile commissario Cattani, gli aveva ironicamente ricordato che le più note e seguite fiction televisive, dal Capo dei Capi alla vicenda di Provenzano, fino alle figure di Falcone e Borsellino, erano state ideate e prodotte da Mediaset... L'offensiva era poi proseguita il 28 gennaio al termine del Consiglio dei Ministri a Reggio Calabria, quando alle critiche alle

fiction sulla mafia aveva aggiunto una valutazione sull'immigrazione clandestina, sostenendo che "una riduzione degli extracomunitari in Italia significa meno forze che vanno a ingrossare le schiere dei criminali". Ancora una volta la reazione di sdegno era stata ampia: c'era chi aveva sottolineato come la camorra e la 'ndrangheta sono così attente a ingrossare le proprie file con gli extra-comunitari da farne strage a Castelvolturno e da espellerli con la forza a Rosarno, dopo averli sfruttati e schiavizzati nei campi... E infine ecco la nuova sortita di pochi giorni fa, nella quale Berlusconi ha affermato che la mafia italiana, pur essendo per potenza solo "la sesta al mondo", è la più conosciuta, proprio per i film, le fiction e i libri che ne hanno parlato, a partire da Gomorra. Nella stessa conferenza, coadiuvato dai ministri Maroni e Alfano, il presidente del consiglio ha per l'ennesima volta magnificato l'azione del suo governo contro la criminalità organizzata, con 500 operazioni di polizia giudiziaria, 5000 arresti di mafiosi, enormi quantità di beni sequestrati, ecc. A questo punto emergono domande allarmanti, che abbiamo il dovere di estendere ai cittadini.

Questa brutale e reiterata offensiva è solo il frutto di una insensibilità e di un'incultura insita nella formazione del personaggio, nella sua vocazione a improvvisare e a stupire fino a contraddirsi e a rasentare la schizofrenia, di un'incapacità nel valutare i passaggi critici del problema e il rapporto causa-effetto fra la realtà e la sua comunicazione ai cittadini, in una visione mercantile avulsa da ogni responsabilità pubblica come da una scala di valori etici e civili? O è anche un obiettivo freddamente meditato, parte di una strategia volta a distrarre l'opinione pubblica dalla gravità dell'espansione criminale, chiamando in causa le connivenze e le responsabilità del governo, estese ormai in gran parte del Meridione all'intero schieramento politico, attraverso quel sistema illegale che ha nella corruzione e nel voto di scambio i motori? E hanno un peso in questo sconcertante approccio di Berlusconi le incognite che gravano nelle inchieste aperte sulle stragi mafiose degli anni '90 e sulla trattativa fra lo Stato e Cosa Nostra che segnò la fine della prima Repubblica, coincidendo con l'ascesa politica di Forza Italia e, anche se non definitivamente provato, con l'avvio stesso delle fortune economiche del Cavaliere?

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L'articolo che non dovevate leggere

Il ruolo di Marcello Dell'Utri nei rapporti con Cosa Nostra, il giudizio pendente in Appello dopo la sua condanna in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa, sono oggettivi e inquietanti indizi in questa direzione... Una cosa è certa: le ripetute sortite contro una comunicazione antimafia che ha segnato un positivo salto di qualità nella conoscenza degli italiani di un fenomeno che mina le basi stesse dei diritti e dello sviluppo dell'Italia, richiamano nell'immaginario, ma anche alla ragione, i comportamenti di una sorta di "serial killer". *** Killer della memoria , perché il silenzio sui crimini del passato fa parte di una sottocultura mafiosa che ne fa la condizione stessa della propria forza nel presente. Killer della realtà, perché chiama in causa chi denuncia un problema e non il problema in quanto tale, che passa così in secondo piano, come prendersela al solito con il dito che indica la luna. Killer della buona informazione, perché si integra ogni volta con capziose e incomplete notizie che nascondono dati decisivi di conoscenza. E'vero che vi sono stati importanti arresti e sequestri di beni mafiosi, ma questo vuol dire soprattutto che il problema è diventato

enorme: visto che gli interessi criminali stanno dilagando in tutt'Italia e nel mondo, e' chiaro che la pur eccellente azione repressiva non tocca i gangli vitali e le fortissime complicità politiche, imprenditoriali e sociali di cui godono le mafie. Per non parlare dei Pm che rendono possibili le operazioni di polizia e che al contempo vengono attaccati, vilipesi, minacciati sul piano legislativo o della mancanza di risorse a cui sono sottoposte le forze investigative, costrette a supplire con l'abnegazione e un faticoso impegno personale. Killer della libertà e dell'autonomia creativa di tanti autori, scrittori, giornalisti, registi, attori, che dedicano la loro professionalità e l' impegno civile ai fatti e ai protagonisti della realtà, stabilendo con spettatori e lettori un patto di trasparenza e di lealtà ampiamente ricambiato. L'insieme di queste "uscite" berlusconiane rappresenta infine non solo un più o meno velato desiderio di una sorta di "minculpop" di impronta fascista, ma per alcuni, come Roberto Saviano o l'autore teatrale Giulio Cavalli, già costretti per la loro denuncia a una vita blindata, ulteriore isolamento e minacce da non sottovalutare. Roberto Morrione, www.liberainformazione.org

“NOI NON CI FACCIAMO INTIMIDIRE”

Nel giro di pochi giorni si sono ripetuti tentativi di intimidazione nei confronti di Articolo 21 e di Libera Informazione. Dopo l'incursione notturna di ignoti nella sede di Articolo 21, con il furto di 7 computer, gli hackers sono entrati nel sistema informatico di quel sito distruggendo un articolo di Roberto Morrione sugli attacchi che il Presidente del Consiglio ha mosso contro le fiction e i libri sulla mafia, con riferimento a Gomorra e a Roberto Saviano. Poi l'aggressione informatica ha colpito il sito di Libera Informazione, avendo ancora di mira esclusivamente quell'editoriale. Al di là della gravità del reato, sorge spontanea la domanda su chi e perché non vuole che si esprima liberamente un'opinione critica su una posizione di Berlusconi che sta suscitando forti reazioni e sdegno nella società civile, fra i famigliari delle vittime di mafia e nel mondo della comunicazione. Su questa sconcertante e violenta aggressione Libera Informazione, come già Articolo 21, ha inoltrato denuncia alla polizia, chiedendo con fermezza che sia fatta piena luce sugli autori e che sia garantita in condizioni di sicurezza la libertà di stampa. Una cosa comunque è certa: noi non ci facciamo intimidire e proseguiremo con tutte le nostre forze e a testa alta nell'impegno per la legalità, contro le mafie, di denuncia delle complicità che a ogni livello ne consentono l'espansione. Libera Libera Informazione

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Sud

Mafia e ponte: attentato numero uno La trivella si trovava parcheggiata nel quartiere di Cannitello Case Alte, nei pressi della stazione di servizio ovest dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. Appena un mese fa il ministero dell’Interno, la Società Stretto di Messina, il general contractor “Eurolink” a cui è affidata la progettazione e la costruzione del Ponte, e i sindacati Cgil, Cisl e UIl avevano sottoscritto un “protocollo di legalità” per prevenire i tentativi d’infiltrazione da parte della criminalità nei lavori della cosiddetta Variante di Cannitello, consistenti nello spostamento a monte della stazione e della linea ferroviaria per evitare interferenze con i futuri cantieri del Ponte. Il protocollo prevede l’implementazione di misure di controllo quali la «tracciabilità dei flussi finanziari», la «definizione di una white list delle aziende con i requisiti in regola», una «Banca Dati a cui avranno accesso tutti i soggetti istituzionali interessati alle attività di monitoraggio sulle opere e sulle procedure di reclutamento della manodopera». Il piano per la Variante di Cannitello è stato indicato con sin troppo entusiasmo dal ministro Maroni come «lo scudo che il Governo mette in campo per proteggere i cantieri del Ponte dalla ‘ndrangheta» e «il laboratorio su cui lavorare per bonificare in via definitiva il settore dei lavori pubblici da appetiti malavitosi». L’attentato di adesso prova tuttavia che ‘ndrine e cosche non devono essere rimaste particolarmente impressionate dai contenuti delle nuove misure anti-infiltrazione. E comunque sino ad oggi il Viminale si è guardato bene di specificare quando e quali risorse finanziarie verranno messe in campo per rendere operativi gli interventi pro-legalità nella criticissima area dello Stretto di Messina. I lavori ferroviari di Cannitello, per un valore di circa 26 milioni di euro, sono stati

affidati ad “Eurolink”, l’associazione temporanea d’imprese guidata da Impregilo che si è aggiudicata la gara per la realizzazione del Ponte. Presentati dalla Società Stretto di Messina come «propedeutici» alla costruzione del manufatto, i lavori per la nuova tratta ferroviaria di Cannitello sono stati duramente stigmatizzati dalla Rete No Ponte e da alcune delle maggiori associazioni ambientaliste (Fondo Ambiente Italia, Italia Nostra, Legambiente, Wwf). In un documento congiunto, il progetto di variante viene descritto come «estremamente schematico e stringato e del tutto inadeguato all’opera che si intende realizzare». «Del resto - si aggiunge - i documenti progettuali sembrano l’ovvia conseguenza delle carenze di analisi e di programmazione territoriale e ambientale che connotano tutta l’operazione e che è riscontrabile nelle anomalie procedurali». Per il WWF Italia, in particolare, la “bretellina di Cannitello” (appena 1,1 km di linea ferroviaria) è «una grottesca rappresentazione da cui i cittadini di Calabria e Sicilia non ne ricaveranno alcun vantaggio, mentre l’aver avocato a Stretto di Messina (SDM) SpA, e quindi al General Contractor “Eurolink” la realizzazione della variante, affidata originariamente (com’era logico) a RFI SpA, quale opera funzionale al ponte, darà al GC, ancor prima dell’approvazione del progetto definitivo, una formidabile arma di ricatto nei confronti dello Stato”. Secondo il contratto tra la concessionaria pubblica e il general contractor, infatti, dal momento in cui verrà aperto anche un solo cantiere in qualche modo collegato al ponte, quest’ultimo potrà chiedere, nel caso non venga poi realizzata l’infrastruttura, penali che vanno da un minimo di 390 milioni di euro (10% del valore di aggiudicazione di gara) ad un massimo di oltre 630 milioni di euro (10% del costo totale dell’investimento).

In attesa del via ai lavori del Ponte, la 'ndrangheta incendia la trivella di una ditta palermitana incaricata dei sondaggi geologici a Cannitello dove sorgerà uno dei piloni

Quello odierno non è il primo tentativo da parte delle organizzazioni criminali d’inserirsi “militarmente” nei sondaggi idrogeologici propedeutici ai lavori del Ponte. Secondo quanto emerso in occasione del processo Olimpia 4, condotto contro alcuni dei gruppi ‘ndranghetisti responsabili di una serie di episodi delittuosi nella provincia di Reggio Calabria, a fine anni ’80 il presunto boss di Campo Piale, Ciccio Ranieri, avrebbe sottoposto ad estorsione i responsabili della ATP - Giovanni Rodio Spa, la società di Milano incaricata delle trivellazioni per gli studi di fattibilità del Ponte. Per questa estorsione, Ciccio Ranieri è stato condannato in appello a tre anni e quattro mesi di reclusione; ad accusarlo, il pentito di mafia Maurizio Marcianò, che ha pure identificato i dirigenti della società che gli avevano versato alcuni milioni di lire. Un importante collaboratore di giustizia, il messinese Gaetano Costa, a capo della cosca locale durante tutti gli anni ’80, ha inoltre riferito di un incontro tenutosi a Roma intorno all’82-83 tra il suo ex braccio destro Domenico “Mimmo” Cavò, poi assassinato, e il boss di Porta Nuova, Pippo Calò, mente economica della mafia e vero e proprio ambasciatore di Cosa Nostra nella capitale. «Il tramite di quell’incontro fu Michelangelo Alfano», ha raccontato Costa. «Si doveva discutere una questione concernente l’inserimento della mafia nella gestione di alcune somme che dovevano essere stanziate per realizzare alcuni sondaggi geologici in vista della possibile realizzazione del Ponte di Messina. Mimmo Cavò mi raccontò che grazie sempre alle garanzie di Michelangelo era riuscito ad ottenere la consegna di grosse partite di eroina da parte dello stesso Leonardo Greco». Trent’anni dopo, il Ponte mantiene inalterata la sua vocazione criminale e criminogena. Antonio Mazzeo

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Nostoi Enzo Baldoni è tornato in Italia. Col suo stile. In punta di piedi. Con quel sorriso curioso riservato a pochi

Bentornato Enzo Adesso sorridi in pace

Poveri resti e una grande anima recuperati da carabinieri e agenti segreti in Iraq che hanno pazientemente ricostruito le fasi del suo assassinio. Il Dna studiato dagli scienziati forensi del Ris conferma, quelle ossa sparse tra la sabbia appartengono a quel ficcanaso di Enzo. "Sì, siamo stati avvertiti e ora abbiamo avuto anche la conferma che quei resti sono quelli di mio marito. Siamo tutti emozionati". Conferma Giusy Bonsignore, vedova di Enzo Baldoni. "Sapevamo che ad ucciderlo erano stati quelli dell'Esercito islamico in Iraq e siamo contenti che siano stati individuati anche gli esecutori materiali" Collega per pochi di noi, Collega per quelli che non si accontentano dei take di agenzia, collega non certamente di quelli che lo hanno diffamato anche da morto. C’è chi narra la vita e chi la morte. Noi di Articolo 21 vogliamo ricordaarlo con le parole di uno dei blog, “Balene”, che hanno consentito agli italiani di non dimenticarlo in questi lunghi anni di limbo. “Non c'è niente da fare: quando uno è ficcanaso, è ficcanaso. E' insopprimibilmente curioso, gli intaeressano i lebbrosi, quelli che vivono nelle fogne, i guerriglieri. E poi non gli basta fare il pubblicitario, deve occuparsi anche di critica di fumetti, di traduzioni, di temi civili e perfino di robbe un sacco zen. Ma soprattutto di ficcare il naso dove i governi non vorrebbero: dal Chiapas alle fogne di Bucarest, dallo sterminio dei Karen birmani ai massacri di Timor Est, dal lebbrosario di Kalaupapa ai dissidenti cubani fino alle mon-

tagne della Colombia dove si annida il più potente esercito guerrigliero del mondo: le Farc...”. Insomma, come spiegano le agenzie, I resti del corpo di Enzo Baldoni, il freelance rapito il 24 agosto 2004 e ucciso il 27 agosto dello stesso anno a Latifia (Iraq), sono giunti nei giorni scorsi a Roma. Dagli esami effettuati dal Ris dei carabinieri, in particolare dalla comparazione del profilo genotipico, è arrivata la certezza che si tratta proprio del corpo del giornalista assassinato. Non solo, attraverso la collaborazione dei servizi segreti dell'Aise, i carabinieri del Ros, coordinati dal pool

antiterrorismo della procura di Roma hanno definitivamente individuato gli esecutori materiali del sequestro e dell'omicidio di Baldoni, tutti appartenenti al gruppo "Esercito Islamico in Iraq" Questa la fredda cronaca. Quel che importa. L’impareggiabile narratore di ribelli e umanità afflitta è tornato tra noi. Adesso può ridere in pace di noi, dei nostri timori e delle nostre incongruenze. Enzo ha dato la vita da uomo libero in un mondo di oppressi. Ridi Enzo. Ridi. Bentornato in Italia. Pino Finocchiaro, www.articolo21.info

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Allegri editori/ 1

Ciarrapico e i pupazzetti di marzapound In piena crisi delle ideologie, Tolkien e D'Annunzio diventano obsoleobsoleti: nei centri sociali più a destra perfino Ciarrapico adesso è un riferiferimento culturale. Noi lo avevamo detto già da tempo: il problema con i neo-post-paleofascisti è che non sono più quelli di una volta...

Il termometro del cambiamento è l'organizzazione a Roma di un convegno sull'"editoria non conforme" che vede come ospite d'onore nientemeno che l'"onorevole Giuseppe Ciarrapico, editore", dove il titolo di onorevole e quello di editore sono sfoggiati simultaneamente e con orgoglio sul manifesto di presentazione come un segno di modernità che celebra due diversi interessi liberati da qualunque conflitto. Un teatrino così ce lo aspettiamo dai vecchi parrucconi della politica, da mammalucchi senza passione che non sentono più ribollire il sangue nelle vene per le cose in cui credono, da gente ormai rassegnata al compromesso, abituata a scendere a patti col potere e i potenti, al massimo in qualche libreria Mondadori. Ma a sorpresa l'altare che celebra la trasfigurazione mistica di Ciarrapico è allestito nientemeno che dai giovani e focosi "camerati" di Casapound, il cuore pulsante di quelli che si definiscono i "fascisti del terzo millennio". Viene da piangere a vedere come si è ridotta gente che aveva come riferimenti culturali l'universo fantasy di Tolkien e la poesia di D'Annunzio, e che ora celebra come eroi dell'"editoria non conforme" piccoli "berluschini" come Ciarrapico. E piangendo mi chiedo che speranze ci sono per un paese dove i ragazzi imparano la "non conformità" con il potere dominante guardando anziani di 76 anni da sempre organici al potere. che hanno usato i media per costruire e rafforzare i loro feudi privati, in perfetta conformità con l'ecosistema politico ed economico nel quale si sono ri-

tagliati una nicchia di sopravvivenza. Vedere i giovani di destra che si affidano a Ciarrapico come guida culturale è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: avevo appena elaborato il passaggio da De Andrè a Morgan come riferimento musicale dei giovani di sinistra, il primo bocciato dal Vaticano per l'uso musicale dei vangeli apocrifi, il secondo bocciato da Sanremo per l'uso personale di "sostanze rilassanti" tipo cocaina. Ma non vogliamo essere generici e qualunquisti: scendiamo nel merito e soffermiamoci per un attimo sullo specifico curriculum che Wikipedia associa a Ciarrapico: gioventù da simpatizzante fascista, poi dc della corrente andreottiana, condannato con sentenze passate in giudicato per faccende legate a lavoro minorile, bancarotta, finanziamento illecito ai partiti e perfino persecuzioni a mezzo stampa ai danni di una giornalista che gli stava antipatica. In effetti ce n'è quanto basta per trasformarlo in un eroe del nostro tempo, un perfetto modello della cultura dominante. Con questa immeritata apparizione mistica nei circoli più ribelli della destra giovanile, Ciarrapico si è conquistato sul campo il titolo di "pupazzetto di marzapound": una marionetta da esibire in pubblico come i pupazzetti di marzapane dei giorni di festa, buoni solo per riempire la pancia nelle tre ore necessarie ad espellerli con una forma materiale più consona al loro valore culturale. Cari pasticcieri dei pupazzetti di Marzapound, sul vostro manifesto leggo lo slogan

"dove il confronto è libero", e allora mi dichiaro pronto a confrontarmi: mi dite che cosa ha detto Ciarrapico di così esaltante in quel dibattito? Sono pronto a rimangiarmi tutto quello che ho detto se si è trasformato nel nuovo D'Annunzio pronto a trascinare folle di giovani sull'onda di un ideale, per quanto stronzo possa essere questo ideale. In caso contrario, lancio un accorato appello ai dirigenti di Casapound: tirate fuori le palle. Ridateci i vecchi dibattiti, quelli che ci facevano incazzare con posizioni diametralmente opposte alle nostre, quelli dove si intravedeva un barlume di sincera passione anche dietro tesi e iniziative che ci apparivano odiose, quelli dove parlavano persone giovani con gli occhi accesi che ti davano voglia di sfidarli ad una battaglia di idee, e non vecchi potenti, ammuffiti e noiosi con gli occhi spenti che ti ammosciano la tensione politica togliendoti ogni voglia di combattere per quello in cui credi. Ma forse avete ragione voi, lasciamo perdere le battaglie d'idee, l'onestà intellettuale, le ideologie e altri vecchi orpelli del secolo scorso. Meglio affidarci agli uomini d'affari, tanto è tutto inutile: a destra, a sinistra, tra i vecchi e i giovani, nei grandi partiti e nei piccoli circoli alla fine chi ha ragione sono sempre loro: gli "onorevoli editori" seduti sui banchi più alti del parlamento a farsi i cazzi loro predicando grandi valori ai giovani che hanno lasciato senza futuro mentre nel frattempo devastano il paese. E viva la non conformità. Ulisse Acquaviva www.mamma.am

|| 24 aprile 2010 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||


Allegri editori/ 2

“Clandestinolei? Ma mi facci il piacere!” “Il Clandestino” è un giornale libero di Ragusa, fatto da un gruppo di ragazzi impegnati nel sociale. Improvvisamente a Roma è venuto fuofuori un altro “Clandestino”, un quotidiano con un sacco di soldi e padropadroni “importanti”. Che confusione, direte voi. Già. Però a un certo punto al “Clandestino” numero due (quello “copiato”) è successo che... Che cosa c’è dietro al quotidiano Il Clandestino? Il giornale vicino ai Minardo, alla ricerca di finanziamenti pubblici, fa suo “Il campanile” di Mastella. Ma questo non basta. E intanto tra dimissioni e scandali loro sono in crisi e noi del “Clandestino” vero, quello libero e giovane di Ragusa, restiamo qua. “Un direttore del nord e un gruppo editoriale radicato nel centro sud. Un matrimonio originale. Perché un imprenditore di Modica punta sull’editoria e sul web?” “Questa iniziativa dimostra che il Mezzogiorno può essere motore di innovazione. E investire nella rete e nella buona informazione contribuisce alla crescita del Paese”. A fare la domanda è il giornalista Andrea Camaiora e l’imprenditore modicano che risponde alla domanda è Raimondo Minardo, figlio del noto petroliere Rosario. “Con il direttore, David Parenzo, e con Caso - continua Minardo - abbiamo un’ambizione che è parte integrante del nostro dna e della nostra storia: fornire ai lettori italiani un prodotto di qualità”. Ma stanno parlando di un prodotto che sa tutt’altro che di qualità, anzi alimenta serie perplessità: il quotidiano Il Clandestino. Questo, dopo una pomposa campagna pubblicitaria, è apparso in edicola il 24 novembre. Grandi aspettative, tv in ansia, città tappezzate da manifesti. Ma la qualità di cui parla Minardo è latitante sin dall’inizio. Facciamo un passo indietro. Tempo fa il gruppo modicano, tramite la Filgest srl, ha acquistato Ergon srl, proprietaria dei marchi Ekma, istituto di ricerche e sondaggi, e

Clandestinoweb. Così facendo i Minardo, hanno rafforzato la loro presenza nel campo dell’informazione. Infatti, tra le loro mani possiamo contare: l’emittente locale Video Regione, Blue Tv; giornali on line come IlgiornalediRagusa, di Siracusa e di Gela; oltre a riviste come Dodici. Ma forse il bottino sembrava ancora magro. Infatti, il quotidiano Il Clandestino nasce come seguito del sito ilclandestinoweb.com, animato dai fratelli Luigi e Ambrogio Crespi, e viene fuori da un accordo tra il gruppo modicano e l’editore Fabio Caso. Il primo direttore è David Parenzo, supportato da Pierluigi Diaco, collaboratore di Sky, il Foglio, Libero e altro ancora. I dubbi che suscita questa nuova iniziativa editoriale sono molti. Infatti, l’editore Caso ha acquistato il giornale di partito dell’Udeur, edito dalla cooperativa “Il Campanile nuovo”, che ha percepito nel 2008 1,15 milioni di finanziamento pubblico. Questo è confermato anche per il 2009. E se il nuovo Il Clandestino si dimostra sin dall’inizio in difficoltà, dato lo scarso successo, quale miglior modo per fare cassa? Ma non finisce qui, infatti, per avere diritto ai fondi pubblici, il giornale dovrebbe appartenere ad una cooperativa. Invece, sembra che il giornale sia ancora edito da “Datamedia”, e i giornalisti non facciano parte di nessuna cooperativa da quanto dice, sul CorrierediRagusa.it, Antonio Di Raimondo, in un articolo apparso il 20 febbraio. Stupiti? Ce n’è ancora. Caso ha dichiarato una tiratura di 25 mila copie ma misteriosamente Il Clandestino è difficil-

mente trovabile nell’edicole. Cosa significa? Malignamente si potrebbe pensare che il giornale sia nato per intascare soldi pubblici, o se vogliamo pensare bene potremmo dire che l’acquisto della cooperativa “Il Campanile nuovo” di Mastella sia stato uno stratagemma per non fallire. Dubbi venuti prima di noi al giornalista del Fatto Alfredo Faieta, che il 19 febbraio, ha narrato di trascorsi editoriali poco edificanti di Caso. La famiglia Caso ha minacciato querela, che però finora sembra non essere arrivata. Concedeteci una soddisfazione, noi non abbiamo ancora cambiato, in un anno di vita, direttore. Loro vantano il triste record di due in tre mesi: David Parenzo e Pierluigi Diaco. Non si sanno i motivi di queste dimissioni, ma forse si possono intuire. E intanto pure i fratelli Crespi abbandono il carro. Ambrogio, anima del sito ilclandestinoweb, tiene a precisare, il 16 marzo, che “deve essere chiaro che io non ho più niente da spartire con questo progetto, non si tratta di una presa di distanza con la redazione e il direttore che hanno svolto un egregio lavoro in condizioni oggettivamente di difficoltà, ma bensì di una secca e decisa presa di distanza dall’editore Fabio Caso. Una presa di distanza dai suoi metodi di gestione”. Alla fine, arriva la Finanza e fa piazza pulita di tutto quanto. Insomma il prodotto di qualità di cui parlava Minardo dov'è mai stato? A noi sembra tutta una bella presa in giro. Ascoltateci: comprate il vero Clandestino. Il nostro... Giorgio Ruta, Redazione Il Clandestino (Ragusa)

|| 24 aprile 2010 || pagina 09 || www.ucuntu.org ||


Schegge di storia siciliana

La rivolta, l'incendio, don Calò e una mamma siciliana ”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva e la cronaca è morta, e aveva ragione. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento anti mafia: ma forse non siamo d'accordo. La storia è un insieme di cronache di tante perso ne comuni. E tutte le cose diventano anch'esse storia, prima o poi. Comun que, ecco le storie che Elio Camilleri sta facendo girare per l'internet. Antiche e attualis sime, siciliane

IL SETTE E MEZZO Le famose gocce che fecero traboccare il vaso furono l’abolizione della festa di S. Rosalia e l’introduzione del monopolio sui tabacchi e allora nella notte tra il 15 e il16 settembre 1866 piombarono su Palermo tremila e più uomini provenienti dalla campagna. Erano guidati dagli stessi volontari che erano stati con Garibaldi nel 1860. Sollevarono una folla di 30, 40 mila palermitani, esausti per le disastrose condizioni economiche, per la feroce pressione fiscale e poliziesca della Destra, nel contesto nazionale della fallimentare conduzione della terza guerra d’indipendenza a causa delle sconfitte per terra a Custoza e per mare a Lissa. I rivoltosi tennero in scacco per sette giorni e mezzo le forze al comando del generale Cadorna che con 40.000 uomini riconquistò casa dopo casa, via dopo via, quartiere dopo quartiere, il controllo dell’intera città, presa pure a cannonate dalla flotta. Si contarono, alla fine, circa duecento caduti tra i soldati di Cadorna, non si contarono quelli tra i rivoltosi e tra la popolazione civile, o meglio, non si volle contarli. Furono migliaia, secondo gli storici, i caduti e migliaia quelli passati per le armi. La rivolta del 1866 rappresentò l’ultimo rigurgito rivoluzionario delle componenti ormai isolate, solitarie, disperate dei demo-

cratici, repubblicani, garibaldini e mazziniani della prima ora. “… fu un evento annunciato da prima, nella tradizione ormai consolidata del cartello di sfida lanciato dalla popolazione palermitana ai poteri costituiti. Ma annunciata soprattutto in quanto in essa si coagulano tutti i problemi di un equilibrio di potere non risolto nel 1860”. (Brancati, Muscetta, La letteratura sulla mafia, Roma, Bonacci, 1988) Le cause vere e profonde del moto si riconducono alla mancata distribuzione delle terre demaniali ed ecclesiastiche, all’insostenibilità dei provvedimenti di ammonimento e di confino, alle conseguenze della leva obbligatoria, alla diffusione della renitenza e al riflusso nelle bande brigantesche e all’introduzione della carta moneta che causò il panico, la svalutazione della moneta e la riduzione del potere d’acquisto. Altro che sigari e Festino! FUOCO A PALAZZO ELEFANTI A Catania da qualche giorno i postini consegnavano le “cartoline rosa” del richiamo alle armi per tutti i ragazzi nati nel 1922, 1923 e nei primi mesi del 1924. La protesta, la rabbia ed il rifiuto di partire scoppiarono come a Catania, anche a Ragusa, Comiso, Giarratana, Messina ed in tante altre città. (Cfr “scheggia” n. 14)

La rivolta del “non si parte” si alimentò a causa del blocco totale delle attività produttive, commerciali, dei servizi; la disperazione portava la gente affamata a manifestare ogni giorno per le strade. La mattina del 14 dicembre 1944 il giovane artigiano Antonino Spampinato rimase a terra, colpito a morte da un ordigno esplosivo, che, fuori di metafora, provocò una terribile esplosione in tutta la città: l’ufficio leva fu incendiato, distrutta la sede del Banco di Sicilia e saccheggiato e distrutto il Palazzo degli Elefanti. L’attacco al Palazzo iniziò intorno alle 15,30 e il Sindaco Carlo Ardizzone, informato dal Segretario Generale che le cose si stavano mettendo male, se la squagliò dall’uscita posteriore seguito dal Comandante dei Vigili Urbani, colonnello Pietro Musumeci, dai vigili urbani in servizio, da consiglieri ed assessori. La forza pubblica intervenne soltanto nel tardo pomeriggio, i vigili del fuoco domarono l’incendio a tarda sera sui resti di un Palazzo devastato. Il Prefetto Florindo Giammichele fu esonerato in tronco con un telegramma e ne morì di crepacuore. Anche il questore Giuffrè fu esonerato, ma lui se ne fece una ragione. Palazzo degli Elefanti tornò ad essere la Casa municipale il 14 dicembre 1952, esattamente otto anni dopo quel 14 dicembre 1944, un giorno tra i più tristi della storia di Catania.

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Schegge di storia siciliana

LA MAFIA INDIPENDENTISTA Prima di andare alla riunione Don Calò Vizzini era passato dalla piazzetta sul porticciolo di Mondello e aveva nei denti, nel palato e nella lingua il nero delle seppie e negli occhi il monte Pellegrino, l’Addaura e il liberty del Charleston. Nella villa di don Lucio Tasca, sindaco di Palermo, trovò il gotha dell’indipendentismo siciliano: Andrea Finocchiaro Aprile quasi sempre nel posto giusto al momento giusto, Antonino Varvaro su posizioni definite di sinistra. Adocchiò una poltrona e vi lasciò cadere la sua abbondante corporatura dopo avere poggiato su un tavolinetto davanti a lui la pistola che aveva sfilato dalla cintura. Il gesto fu interpretato come una sorta d’intimidazione, ma don Calò con un gran sorriso rassicurò tutti: “Sulla pancia mi dà fastidio quando sono seduto”. Ma il bello doveva ancora venire! Quando Antonino Varvaro fece notare che tra gli indipendentisti della zona di Caltanissetta non figurava il nome di don Calò Vizzini, ancora una volta, l’ineffabile capo della mafia con un tono tra l’intollerante e l’infastidito ribatté: “Perché non pensa, piuttosto, agli iscritti di domani? In qualunque momento, se sarà necessario, io faccio un cenno e un’ora dopo tutte le Camere del Lavoro della provincia sono bruciate. Queste

sono le tessere che porto io”. Andò così, almeno fino a quando a don Calò Vizzini l’indipendentismo poteva far comodo; quando poi il movimento indipendentista si esaurì cercò e trovò porte aperte nella casa della Democrazia Cristiana, cristiano conforto tra arcivescovi e cardinali, oscuri contatti con i peggiori nostalgici del fascismo, con pezzi d’america particolarmente interessati a certi pezzi di Sicilia. Comunque don Calò Vizzini tornò ancora nella piazzetta sul porticciolo di Mondello; nei denti, nel palato e nella lingua il nero delle seppie e negli occhi il monte Pellegrino, l’Addaura e il liberty del Charleston. LA MAMMA DI TURI Francesca Serio aveva 18 anni e si trovò con un piccino appena nato e senza marito, abitava tra le montagne dei Nebrodi e anche quell’anno seguì i suoi fratelli in quelle migrazioni stagionali per la raccolta delle olive. Capitò a Sciara e, pur sfiancata dalle fatiche dei campi tirò su il piccolo Salvatore (Turi) Carnevale. Ai paesani intrigava alquanto quella ragazza senza marito e con quel bambino, ma Francesca Serio non era certo il tipo di abbattersi per le dicerie, i commenti maligni e i pettegolezzi rivolti ingiustamente sulla sua persona. Quando Turi, ragazzo e poi soldato e poi

contadino non sopportò più i soprusi dei gabelloti della principessa Notarbartolo e si mise in testa che anche a Sciara bisognava applicare i Decreti Gullo sulla assegnazione alle cooperative contadine delle terre incolte e sulla diversa e più equa ripartizione del raccolto, la mamma avvertì tutto il pericolo che cominciò a incombere su Turi. Lei stessa tenne botta alle minacce, alle intimidazioni che il boss del paese le rivolgeva, ma ritenne di continuare a votare per la DC quando Turi già aveva aperto la sezione del PSI. “Tanto tu resterai sempre la madre di un socialista” le disse Turi a mò di rimprovero. Fu lei, però, a richiamarlo a Sciara quando avvertì che i contadini senza Turi erano persi, sbandati, impotenti. Lui tornò dalla Toscana e si mise a loro totale disposizione contro gli uomini della principessa e contro quelli della ferrovia per difendere diritti contadini ed operai. Francesca Serio adesso aveva fatto anche sua la battaglia che il figlio stava combattendo e per la quale sarebbe stato ucciso e quando lo uccisero volle reagire con tutte le forze al disorientamento, al dolore, alla paura e già, avvolgendo la bara con la bandiera rossa, dimostrò tutta la volontà e la determinazione nella sfida contro la mafia. “Matri ti sugnu e cumpagna sincera!” ( Ignazio Buttita, Lamento per la morte di Turi Carnevale)

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Satira

TOTO' Fight clan Un film che vi inchioderà alla poltrona. Una pellicola surreale e nevrotica, tratta da una storia vera, girata quasi esclusivamente in interni di lussuose auto blindate, dove ogni vano portaoggetti rappresenta un’insidia Il protagonista è Giuseppe, un agente di scorta, un appuntato dalla carriera promettente. Lo scortato è un ex presidente di Regione, Totò Smack and Clean, molto amato e molto ricercato. Purtroppo, alcune infelici amicizie del passato hanno portato l’ex governatore a essere condannato a sette anni per favoreggiamento della mafia. Giuseppe, vive così un forte conflitto interiore. Deve proteggere il suo capo da possibili attentati mafiosi, ma allo stesso tempo lo accompagna ogni giorno alle udienze in cui è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Un giorno Giuseppe capisce che se veramente l’ex governatore fosse un amico degli amici, spetterebbe a lui difenderlo… da se stesso. Questo dilemma morale spinge l’appuntato sul pericolosissimo crinale di uno psicothriller, in cui il confine tra bene e male, tra vittima e carnefice, tra amici e nemici si confonde in continuazione. Giuseppe, nel tentativo di salvare lavoro e morale, nella speranza di dare una coerenza a tutto, prende a sorvegliare i bracci destri dell’ex presidente. E tra questi pericolosi bracci destri, c’è lui stesso.

conti bancari, a prendere informazioni su sè stesso. In un momento di distrazione, inserisce una microspia nella tasca del proprio giubbotto. Sono tante le notti insonni passate ad ascoltare le sue conversazioni telefoniche con l’ex governatore, in cerca di un possibile indizio che lo porti a sventare un progetto d’attentato ai danni del suo protetto. Ma Totò non si sbilancia. Difficile trovarlo a parlar male di se stesso. O è un genio, o è innocente. Giuseppe si avvia dunque verso la pazzia. Se lo stato ha assegnato la scorta a Totò, vuol dire che rischia veramente la vita. E se lo stesso stato lo ha condannato a 7 anni, non c’è dubbio che si tratta di un uomo pericoloso. La matassa si ingarbuglia ancora di più quando Giuseppe trova un cannolo smangiucchiato dentro la sua cassetta della posta. È se fosse lui, adesso, al centro del mirino? E se fosse un avvertimento della serie “ti squagliamo nella ricotta”? E se invece le sue fossero soltanto allucinazioni paranoidi? Il finale, degno dei migliori fantathriller degli ultimi decenni, non possiamo svelarvelo. Vi toglieremmo il gusto. E soprattutto lo toglieremmo all’ex governatore.

Hanno detto di questo film: “Quando Fight Clan inizia, è impossibile alzarsi dal divano. Ma anche dopo”. Giuliano Ferrara “Nonostante sia un esordiente, questo regista si conferma un maestro del cinema”. Walter Veltroni “Dall’inizio dell’anno abbiamo arrestato un mafioso a pasto”. Bobo Maroni “Porcoddue, avevo promesso a Cinzia di prendere quello con Brad Pitt”. Gianni er Pizzettaro “Questo film è un pizzicotto all’interno-coscia della mafia. Comunque, anche io ho la scorta”. Roberto Saviano

Giuseppe comincia a pedinarsi, a controllare i propri

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25 Aprile

Donne libere Al tempo del Duce. E al tempo della Gelmini... IERI

PARTIGIANE

OGGI PRECARIE

Negli anni del fascismo e dell’occupazione nazista vi furono donne che lasciarono le proprie case, i propri figli e si unirono alla lotta partigiana. Quella lotta armata è stata combattuta tra i boschi e le montagne, ma anche con gesti meno eclatanti, ma importantissimi, ai quali le donne, nascoste dietro la loro condizione femminile, si sono dedicate per liberarci dal nazifascismo, pagando anche con la vita. Ne presentiamo tre storie. Mimma Bandiera. Prima fra le donne bolognesi a impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà, si batté sempre con coraggio. Catturata in combattimento dalle SS, sottoposta a feroci torture, non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata fu barbaramente trucidata e il corpo lasciato sulla pubblica via. Renata Agostini Pizzino durante l'occupazione nazifascista, prese parte alla lotta clandestina con generosità e passione. Dopo la Liberazione, lo stresso entusiasmo lo mise nell'organizzazione dell'accoglienza agli ex deportati, sopravvissuti ai campi nazisti. Avvalendosi del determinante apporto della “Compagnia unica”dei

Un passo avanti e dieci indietro, questa è la sensazione che sento sottopelle, da insegnante “precaria”, oggi. Ma perché noialtri ci chiamiamo (e ci chiamano) insegnanti precari? “Precario”assume nella terminologia comune una connotazione quasi di disprezzo, come per qualcosa di infelice. Invece noi abbiamo fatto un percorso di studi lunghissimo e paziente: lauree, concorsi, specializzazioni; invece sembra che civenga fatto un favore a metterci nelle graduatorie o che siamo addirittura “fortunati” quando veniamo assunti nelle scuole. Ma gli insegnanti, precari e no, continuano a resistere, vogliono comunque svolgere il loro ruolo di educatori, liberare anime e menti, trasmettere valori e sapere! I valori della Costituzione, innanzitutto: la libertà, la civiltà, la tolleranza. E mentre tentiamo faticosamente, giorno dopo giorno, di portare avanti questo lavoro alla Don Milani, c’è chi parla di produttività nella scuola. Produttività? Ma l'educazione ha percorsi lunghissimi, l'educazione degli esseri umani non è un'azienda. Le servono continuità didattica e stabilità. Non produce delle merci da spendere a comando qui e ora. Per noi insegnanti la precarietà non consiste solo nellinsicurezza del lavoro, ma anche nella “precaria” ricaduta delle proprie azioni educative, soprattutto nei contesti più difficili, come le cosiddette “aree a rischio. Ma alla fine, che importa? In questa Italia così “flessibile” nelle strutture e nei valori, noi nsegnanti precari continuiamo a resistere ancora. Abbiamo una missione da svolgere. E la svolgiamo. Raffaella Carrara

portuali genovesi, avviò poi la straordinaria esperienza di “Villa Perla”. Cecilia Deganutti prese parte alla Resistenza, militando nelle Brigate "OsoppoFriuli". Asolse coraggiosamente rischiosi compiti informativi, operando a Udine. Catturata dai tedeschi ad Udine seppe resistere alle più atroci torture delle SS. Finì rinchiusa nella famigerata Risiera di San Sabba. Qui a poche settimane dalla Liberazione, fu uccisa e bruciata nel forno crematorio. Cinzia Abramo

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25 Aprile

La Costituzione perduta Partecipiamo alle manifestazioni con una fascia nera di lutto al braccio

Il 25 aprile di quest'anno arriva in un paese inquieto turbato da eventi che ne hanno minato l'unità e la coesione. Non credo sia opportuna una celebrazione unitaria mettendoci dentro tutti anche coloro che non si sono mai riconosciuti e non si riconoscono nei valori espressi dalla Resistenza e racchiusi nella Costituzione. Le forze che fecero il 25 aprile sono state sconfitte e sono diventate minoritarie e in preda al disorientamento ed a vere e proprie crisi di identità. Il coacervo di forze antiresistenziali oggi maggioranza pretende riforme con cui cancellare i tratti fondamentali della democrazia italiana. Una forza cresciuta come un tumore nel Nord del Paese, con una lucida strategia secessionistica, usa la sua presenza nel governo per accumulare potere e sottrarre risorse al Mezzogiorno d'Italia, risorse che alimentano enormi clientele elettorali del Nord. Ora governa il Veneto ed il Piemonte e ha già messo l'ipoteca su Milano. Chiede le Banche del Nord come compenso all'appoggio "leale" dato a Berlusconi Il controllo leghista del Nord coincide con una decadenza dei diritti di cittadinanza. Nelle zone controllate

dalla lega se non si è un elettore di Bossi si hanno minori diritti nella fruizione dei servizi della pubblica amministrazione. Siamo al punto che viene negata la sepoltura ai musulmani e si invoca l'espulsione di tutti i meridionali a cominciare dalle scuole e dalla magistratura. Queste forze di rottura dell'unità nazionale non operano soltanto dentro il Nord ma controllano, assieme a Berlusconi ed agli

ex fascisti il Paese. Realizzano politiche e riforme che discriminano e colpiscono gli stranieri, i lavoratori, la scuola, il Sud. Quest'anno spariranno altri 40 mila insegnanti. Con le nuove leggi sul lavoro si realizzeranno strumenti di espulsione dalle aziende che permetteranno alle imprese di selezionare la manod'opera anche su base etnica. L'abolizione dell'art.18 si iscrive nel disegno di razzismo regionale dal momento che priverà di difese i lavoratori in atto occupati. La principale forza politica che dovrebbe garantire la difesa della Costituzione è in preda ad una schizzofrenia che ne distrugge l'identità. Finirà con il partecipare, come sollecita il Capo dello stato,alle riforme che vuole la destra italiana. L'Italia perderà i suoi presidi democratici: la Corte Costituzionale e la Magistratura. Il Parlamento è già stato ridotto a mero orpello del Governo. La sinistra vi è stata esclusa con un colpo di mano bipartisan. Il PD ha fatto proprie le politiche leghiste law end order con due leggi sulla "sicurezza" che hanno stravolto il diritto. L'Italia ha lagers per stranieri tra i più immondi del pianeta forse non molto al disopra di quelli della Libia e carceri popolate in gran parte da stranieri dove il suicidio è quasi un evento quotidiano. Bisogna fare di questo 25 aprile una giornata non di festa ma di lutto. Lutto per la libertà e la democrazia perdute, lutto per le leggi che rendono penosa la condizione dei lavoratori e che hanno il consenso di tutta l'Oligarchia, lutto per leggi elettorali che privato la cittadinanza del diritto di eleggere i suoi rappresentanti, lutto per le riforme prossime venture che ci faranno rimpiangere financo lo Stato Umbertino. Pietro Ancona

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25 Aprile

Vecchia e nuova Resistenza Adesso che abbiamo conquistato la democrazia dobbiamo difenderla e custodirla con altre forme di lotta Anche quest’anno si sono avviati i preparativi per la Festa della Liberazione del 25 Aprile, data fondamentale per la costituzione della Repubblica Italiana. È il 65° anniversario della lotta di Resistenza che si conclude con la vittoria Partigiana e Popolare contro i nazifasciti. Lotta che ha prodotto circa 44.700 caduti (in combattimento o uccisi a seguito della cattura). Claudio Longhitano responsabile dell’ANPI di Catania presenta l’organizzazione della Festa: - lunedì 19 cena sociale al Nievski; nell’occasione verrà presentato il libro su Francesco Borghese, importante figura dell’antifascismo catanese; - sabato 24 presso l’aula della Provincia ci sarà la commemorazione del 65° anniversario dell’uccisione del professore Salanitro che pagò il suo antifascismo subendo l’espulsione dall’istituto Cutelli e trasferito in un campo di concentramento nazista dove venne ucciso il 24 Aprile del 1945 nel lager di Matausen”. Claudio Longhitano continua: “Nel 2006 il Consiglio Provinciale ha dato il nome all’aula consiliare di Carmelo Salanitro, ma nonostante siano passati 4 anni ancora non è stata posta la targa di intestazione alla sala. L’ANPI si è incontrata con il presidente Castiglione e questi non ha dato una giustificazione, tergiversando e dando delle risposte vaghe. Infine l’associazione dei Partigiani ha sollecitato la partecipazione dell’alta carica

provinciale alla commemorazione del 24 Aprile, ma nessuno si è degnato di dare una risposta. Comunque l’ANPI, l’ANED e la CGIL hanno prenotato ugualmente la sala consiliare e saranno presenti Nunzio De Francesco e Maria Salanitro Scavuzzo e due insegnanti dell’istituto Cutelli organizzatrici del premio Salanitro; - domenica 25 Aprile ci sarà il tradizionale corteo.” “La prima forma di resistenza – dice ancora Claudio - compare quando lo Stato si

avviava verso la dittatura e si conclude con la lotta armata, adesso che abbiamo conquistato la democrazia dobbiamo difenderla e custodirla con altre forme di lotta.” Ha proprio ragione Claudio, adesso si fa Resistenza in modo diverso. Resiste l'Experia, che svolgeva gratuitamente attività sociali nel quartiere Antico Corso Resiste il centro Iqbal Masih a Librino da più di 15 anni, effettuando sostegno scolastico ed attività sportive nel disagiato quartiere di Catania grazie a giovani volontari. Resistono le mamme degli studenti e gli insegnanti della scuola media Andrea Doria, istituto che svolge attività formative che incidono enormemente alla giusta crescita degli abitanti di San Cristoforo, ribellandosi alla chiusura forzata della sede scolastica perché il comune di Catania intende risparmiare togliendo l’ultimo baluardo di democrazia nell’abbandonato quartiere. Resiste il GAPA, associazione di volontariato, che realizza gratuitamente attività di doposcuola, palestra, danza, teatro, informatizzazione, pittura ed argilla nello stesso quartiere di San Cristoforo. Malgrado lo sfratto effettuato nel 2001 dall’amministrazione comunale, questa associazione ha continuato a lottare riorganizzandosi e riprendendo le attività. Oggi coloro che ci governano, dal Parlamento al Comune, malgrado i tentativi di distruggere la Costituzione trovano negli italiani una nuova resistenza, persone che non si rassegnano a subire questi abusi. Credo che questi governanti 70 anni fa non si sarebbero schierati con la Resistenza ed avrebbero realizzato una costituzione molta diversa da quella attuata. Una Costituzione che tutto il mondo prende come esempio di democrazia. Paolo Parisi, I Cordai

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25 Aprile

UN VOLANTINO

La Resistenza che cos'è "Non rompere le scatole al tuo padrone. Non parlare di mafia. Non chiedere i soldi che ti spettano. Non dire mai "i miei diritti". Perché tu di diritti non ne hai. Tu non conti niente. Tu non sei nessuno". Te lo dicono ogni giorno e se non bastano le parole te lo dicono a legnate. A Catania Costanzo ha fatto sempre quello che ha voluto. Come i democristiani e i socialisti sotto Craxi. Come i gerarchi fascisti sotto il fascismo. Quando cambia il vento, cambiano il colore della camicia (viva il duce, viva Andreotti, viva Craxi, viva Berlusconi) ma restano sempre al potere. Resistenza vuol dire che per almeno una volta nella storia non è andata così. Che almeno per una volta nella storia tu ti sei incazzato e hai detto "Adesso basta. Voglio contare anch'io". Questo è successo un venticinque aprile di molti anni fa. I padroni e i gerarchi ne hanno ancora paura. Perché se è successo una volta può succedere ancora. Per questo dicono che sono cose vecchie e superate, e non bisogna pensarci più. Ma noi invece ce lo ricordiamo. Molte persone come noi e come te hanno combattuto perché gli operai non venissero bastonati per la strada, perché i mafiosi come Costanzo fossero inseguiti e non protetti dalla polizia, perché i ladri andassero in galera e non tornassero invece a governare sotto un'altra bandiera. E' grazie a loro che siamo un popolo, nonostante tutto, e non un gregge. Un popolo può sbagliare una volta, può lasciarsi imbrogliare. Ma alla lunga, prima o poi, ragiona. Viva la Resistenza contro i fascisti e i mafiosi Viva il Venticinque Aprile

I Siciliani aprile 1994

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