Ucuntu n.72

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Italie Adesso sono tre: una con l'apartheid, una con la mafia e una che si arrabatta ancora alla vecchia maniera. I mafiosi, dal Sud, vugliono conquistare anche il nord. I razzisti, dal Nord, vogliono dilagare anche al sud. Gl'italiani superstiti, stretti fra i due, si guardano fra di loro perplessi e bizzosi. A regazzì, pensateci voi a salvare sto' paese, se no non lo fa nessuno. Elezioni: Benanti/ Biani/ dalla Chiesa/ Fava/ Gubitosa “PRIVATI DELL'ACQUA”: MERCOLEDÌ IL QUARTO DOSSIER DI LAVORI IN CORSO || 6 aprile 2010 || anno III n.72 || www.ucuntu.org ||


Dopo le elezioni

Le tre Italie del dopo-voto La cosa più inportante in queste elezioni è che per la prima volta la gente ha votato secondo criteri “etnici” e non politici: prima c'erano soprattutto una destra e una sinistra, ora c'è soprattutto un nord e un sud. Qualcosa del genere si era già verificato negli ultimi tempi della Jugoslavia. La seconda cosa importante è che queste elezioni, che nessuno formalmente ha contestato, sono elezioni fino a un certo punto, falsate sia da irregolarità amministrative (la faccenda delle liste, ecc.) che dalla disparità, ormai ridicola, di propaganda. Entrambe queste caratteristiche sono ormai praticamente accettate. E' dubbio, da questo punto di vista, che l'Italia sia ancora un paese democratico nel senso occidentale. Dal voto sono usciti tre Paesi distinti – il Nord, il Centro con la Puglia, il Sud – dei quali almeno due, come statuto di fatto, sono completamente fuori dalla vecchia Costituzione. Al nord è ormai riconosciuta quasi dappertutto l'apartheid, che nell'Italia classica non è mai esistita nè a destra nè a sinistra nè in alcun'altra formazione; al Sud, dopo i fatti di Rosarno (ma prima ancora di Napoli), è ormai indubbio che il reale governo del territorio è gestito spessissimo da mafia, 'ndrangheta e camorra (il Sistema). Neanche questo era

previsto dalla precedente Costituzione. *** La responsabilità delle varie sinistre, in tutto ciò, non è da poco. Il partito maggiore ha quella di aver lasciato crescere Berlusconi, con una tendenza all'inciucio (come ora in Sicilia) che sembra fare ormai parte del suo Dna. I minori quello di essersi colpevolmente divisi (Ferrero e Vendola), di aver navigato fra piazza e notabilato (Di Pietro), di aver trasformato giuste istanze in pasticci utili a nessuno (Grillo). Se si dovesse sintetizzare, il vilain più emblematico risulterebbe Bassolino: accolto con entusiasmo da una popolazione ansiosa di cambiare, sostenuto con lealtà e coraggio dalla massa infelice ma fiera dei napoletani – e scivolato nel giro di pochi anni nell'arroganza, nel notabilato, nella corruzione e infine nel tradimento politico e sociale. Nessun segretario della sinistra sarà credibile se non farà piazza pulita, e pubblicamente, di tale gente. Abbiamo perso il Lazio per pochi voti e il Piemonte per la coglionaggine (peraltro giustificata) dei grillini; ma la Campania e la Calabria li abbiamo persi perché abbiamo malgovernato, perché non siamo stati, come la gente ci aveva chiesto, antimafiosi. *** Non è elevatissimo, il dibattito post-

I Conducenti democraticamente eletti delle Repubbliche italiana e libica.

elezioni della sinistra: panico, accuse reciproche e ambizioni si sfogano liberamente e senza alcun senso di responsabilità. Tornano a farsi sentire i Veltroni, i D'Alema e gli altri affossatori del vecchio modello Pci, che pure organizzativamente (e purtroppo l'ha dimostrato Bossi) era quanto di più efficiente la sinistra italiana avesse mai prodotto. Negli apparati, i giovani non sembrano molto meglio dei vecchi, quanto a proclami apodittici gonfi di Io. Alla base, per fortuna, il clima è differente. Rabbia (si è perso per pochissimo), volontà di lottare, patriottismo. Fra i giovani soprattutto c'è confusione, sconcerto, paura per l'avvenire ma non, o assai raramente, rassegnazione. E questo trasversalmente, senza gran distinzioni di partito. Chi spera in Vendola, chi in Bersani, ma in un Bersani o un Vendola visti non come grandi leader blairiani ma come servitori seri e modesti di noi tutti. Il modello politico – lo ripetiamo ancora – per noi è quello dell'antimafia, libera, responsabile, combattiva e unita. Il progetto potrebbe ripartire dell'intervista estiva di Romano Prodi (qui a suo temo ripresa), autocritico, anti-blairiano, irriducibilmente anti-destra, e ottimista. Riccardo Orioles

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Dopo Cuffaro

Mafia e Regione

Mentre in Italia lo scontro fra destra e centrosinistra si acuisce, in Sicilia un politico come Lombardo - decisamente di destra, già alleato strettissimo di Cuffaro e della Lega – trova l'appoggio di una parte del Partito Democratico in nome delle riforme. Non è la prima volta che accade qualcosa del genere in Sicilia. E intanto la Magistratura indaga: un altro presidente siciliano sotto accusa

Mafia e Regione Siciliana, binomio antico. Oggi si rinnova. Il più grande centro di Potere politico-mafioso di Sicilia, appunto la Regione, col suo fiume di denaro e di privilegi, è al centro dell’ennesima inchiesta sul crinale dei rapporti –tutti da dimostrare in un’aula di giustizia, il che è sempre complicato- fra Cosa Nostra-voti-favori. Dalle pagine del rapporto dei Ros verrebbe fuori il solito canovaccio di Sicilia: scambi di “cortesie”, voti di mafia, appalti, denari, elezioni. Il bene pubblico trasformato in un mercimonio continuo e sistematico: un quadro veritiero di una Sicilia metafora di quel che avviene in Italia. Poi, c’è Catania, dove accade di tutto e di più, un’autentica polveriera di misfatti che non esplode per clamorose responsabilità di chi amministra la cosa pubblica e la giustizia. Su tutto questo si staglia la figura di Raffaele Lombardo, un’espressione della “politica” della Prima Repubblica, arrivato ai vertici siciliani provenendo della provincia di Catania, da Grammichele: una volontà di ferro, un’ambizione senza fine, in linea con la descrizione che dei borghesi di provincia faceva Pippo Fava nelle sue pagine sulla Sicilia degli anni Sessanta e Settanta. Ne ha

viste quattro “Raffaele”, come lo chiamano i suoi amici: l’ascesa dall’organizzazione giovanile della Dc, il “cursus honorum” a Catania negli enti locali, fino al salto regionale, deputato e assessore regionale dietro la stella di Rino Nicolosi. Poi, la “caduta”, gli anni bui di Tangentopoli: due volte arrestato, due volte assolto. Ad un certo punto, sembra finito: torna in sella, difende i cavalieri del lavoro e arriva nella Sicilia che non cambia mai davvero, ai vertici della Regione con la sua creatura l’ Mpa. Aggrega tanto, qualcuno dice tutto e il contrario di tutto, professionisti e descamisados, impiegati e sottoproletari, uomini d’impresa e di sindacato. L’ Mpa travolge, fa accordi trasversali negli enti locali: con Firrarello e il suo gruppo di potere è un duello rusticano al giorno. Il potere del senatore e dei suoi uomini cala; lui, invece, no. Don Raffaè vince. Fino all’ultima inchiesta? Si parla di possibili richieste d’arresto per lui e il fratello Angelo: lui è sprezzante sulle accuse e tira dritto. Chi ha bisogno di lui lo difende, sempre: nella palude siciliana sembra che tutto sia consentito, anche e soprattutto venire meno alla propria dignità. Marco Benanti

GLI ANTENATI LA MADRE DI TUTTI GLI INCIUCI: IL “MILAZZISMO” DI CINQUANT'ANNI FA

Silvio Milazzo (1903-1982) è stato un politico italiano, presente all'Assemblea Regionale Siciliana dal 1947 al 1958 con la Democrazia Cristiana e dal 1959 al 196 con l'Unione Siciliana Cristiano Sociale, partito di cui fu fondatore e leader. Dal 1958 al 1960 fu Presidente della Regione Siciliana con un'originale coalizione fra la sua Unione Siciliana Cristiano Sociale, il PSDI, il PLI, il PRI e il Movimento Sociale Italiano, con l'appoggio del PSI e del PCI (Paolo D'Antoni, Vice presidente) allora guidato da Emanuele Macaluso. L'importanza della sua attività politica è tale che si parla di "milazzismo" per designare alleanze politiche fra destra e sinistra. Paolo D'Antoni (1895-1982) venne eletto all'Ars nel 1947nelle liste della DC, da cui uscì nel 1951 per fondare la Concentrazione Autonomista. Rieletto nel 1955 come indipendente con il Pci, fu uno dei protagonisti dell'elezione a presidente della Regione di Silvio Milazzo, di cui fu vicepresidente.

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Ridi, ridi...

Dai giorni di Rosarno...

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Politica

“Ricostruire subito. Cinque cose da fare” Punto numero uno. Occorre ricostruire. Le macerie sono dappertutto e guai a non vederle. Il Paese va ricostruito in profondità sul piano culturale, etico e civile. Con il massimo di valori, di passione e di lungimiranza; e il minimo di ideologia. Il radicalismo civile è vivo, quello ideologico è morto e guai a chi lo resuscita, ha già fatto abbastanza danni. Occorre un grande Piano Marshall morale, capace di investire in pieno il senso della politica. Punto numero due. Occorre ricordare che il popolo che ha bocciato in tante regioni il centrosinistra è lo stesso che lo aveva fatto vincere nel 2005 (anche allora talvolta di misura). Nessun elettorato da maledire. Prendersela invece con chi, dal governo nazionale o da quelli regionali, ha dato spettacoli indigeribili anche da stomaci forti. Punto numero tre. I movimenti, le proteste, i dissensi esistono e bisogna dialogarci. Sono stati la benzina delle vittorie ininterrotte del centrosinistra dal 2002 al 2006. Disprezzarli da allora in poi è stato suicida. Suicida pure la censura consumata nei loro confronti dalla stampa “amica”. Non ha fatto che radicalizzare il dissenso. Verso i grillini e verso l’astensione. Punto numero quattro. I nomi e i volti in politica contano, eccome. Vendola parla per tutti. Ma anche Massimo Rossi nelle Marche. Solo che i nomi e i volti non si inventano all’ultimo momento, piuttosto certificano lunghe storie di sfide e di battaglie. Siano loro, dunque, a tonificare diffusamente la politica; e facciano un passo indietro i signori nessuno d’apparato. Punto numero cinque. Sfogliare l’album delle figurine di leader e mezzi leader, ripassare la loro storia e chiedere a chi non ci azzecca con questi quattro punti di farsi gentilmente da parte. Meglio che lo chiediamo noi a loro prima che loro lo richiedano a Vendola... Nando dalla Chiesa

“Mafie o speranze. Si sfidano due Italie” Un paese allo specchio e la sua immagine responsabile contrapposta a quella logora e trasandata delle cronache preelettorali. Non servirà solo a sapere come finirà, quante regioni a noi e quante regioni a loro: il voto del 28 e 29 marzo servirà a mettere questo Paese davanti allo specchio per capire quanto sia affezionato all’immagine un po’ logora, un po’ trasandata che gli restituisce la cronaca di questi giorni. Un’immagine sdoppiata, come se dentro lo stesso grembo stessero crescendo due Italie diverse. C’è quella di Milano, di sabato 20, una giornata di memorie e di responsabilità, il repertorio dei morti di mafia ricordato e raccontato per continuare a vigilare sul presente, su una nazione in cui le cosche e le mafie continuano ad essere una presenza avida, un chiodo conficcato sui pensieri e le vite di milioni di italiani. E poi c’è l’Italia napoletana, della manifestazione del PdL, che dà il benvenuto al capo del governo e alla sua compagnia di giro affidandosi a un maestro di cerimonia d’eccezione come Nicola Cosentino, un notabile della politica locale che i magistrati vorrebbero in galera per l’amicizia con i camorristi, e che i parlamentari vogliono al suo posto nel governo del paese. Cosa vedremo quando ci guarderemo allo

specchio domenica e lunedi? La piazza di Milano o gli amici napoletani? Conteremo solo voti, consiglieri e governatori o proveremo a scommettere su un’idea della politica che si riprenda tutte le parole che le sono state rapinate? Clandestini, ci dice la corte di Cassazione, sono i figli italiani dei marocchini col permesso di soggiorno scaduto; clandestini, diciamo noi, sono i mafiosi che abitano le istituzioni. Si esce dalla crisi, dice questo governo, regalando all’impresa italiana più arbitrio sulla sorte (e sul licenziamento) dei lavoratori; si esce dalla crisi, diciamo noi, pretendendo che la più grande impresa italiana si impegni a non raddoppiare la produzione licenziando cinquemila operai. Potremmo continuare. Invece ci fermiamo qui, ai primi titoli delle cose che ci aspettano. E che ci riguardano tutti, a sinistra. Non so come la pensiate voi sulle elezioni francesi: a me piace soprattutto quella foto che racconta la vittoria della gauche con l’immagine di tre donne sorridenti, allegre, risolte. Sono le segretarie dei tre partiti della coalizione. Al di là delle cose condivise, in quel modo pudico e rispettoso di stare insieme, e di stare bene insieme, senza ospiti né padroni di casa, c’è molto da imparare per il centrosinistra italiano. Claudio Fava

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In libreria Antonio Mazzeo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina Prefazione di Umberto Santino Dall’Introduzione: Speculatori locali o d’oltreoceano; faccendieri di tutte le latitudini; piccoli, medi e grandi trafficanti; sovrani o aspiranti tali; amanti incalliti del gioco d’azzardo; accumulatori e dilapidatori di insperate fortune; frammassoni e cavalieri d’ogni ordine e grado; conservatori, liberali e finanche ex comunisti; banchieri, ingegneri ed editori; traghettatori di anime e costruttori di nefandezze. I portavoce del progresso, i signori dell’acciaio e del cemento, mantengono intatta la loro furia devastatrice di territori e ambiente. Manifestazioni di protesta, indagini e processi non sono serviti a vanificarne sogni e aspirazioni di grandezza. I padrini del Ponte, i mille affari di cosche e ’ndrine, animeranno ancora gli incubi di coloro che credono sia possibile comunicare senza cementificare, vivere senza distruggere, condividere senza dividere. Agli artefici più o meno occulti del

pluridecennale piano di trasformazione territoriale, urbana, ambientale e paesaggistica dello Stretto di Messina, abbiamo dedicato questo volume che, ne siamo consapevoli, esce con eccessivo ritardo. Ricostruire le trame e gli interessi, le alleanze e le complicità dei più chiacchierati fautori della megaopera, ci è sembrato tuttavia doveroso anche perché l’oblio genera mostri e di ecomostri nello Stretto ce ne sono già abbastanza. E perché non è possibile dimenticare che in vista dei flussi finanziari promessi ad una delle aree più fragili del pianeta, si sono potuti riorganizzare segmenti

strategici della borghesia mafiosa in Calabria, Sicilia e nord America. Forse perché speriamo ancora, ingenuamente, che alla fine qualcuno avvii una vera inchiesta sull’intero iter

del Ponte, ricostruendo innanzitutto le trame criminali che l’opera ha alimentato. Chiarendo, inoltre, l’entità degli sprechi perpetrati dalla società Stretto di Messina. Esaminando, infine, i gravi conflitti d’interesse nelle gare d’appalto ed i condizionamenti ideologici, leciti ed illeciti, esercitati dalle due-tre famiglie che governano le opere pubbliche in Italia. Forse il recuperare alla memoria vicende complesse, più o meno lontane, potrà contribuire a fornire ulteriori spunti di riflessione a chi è chiamato a difendere il territorio dai saccheggi ricorrenti. Forse permetterà di comprendere meglio l’identità e la forza degli avversari e scoprire, magari, che dietro certi sponsor di dissennate cattedrali nel deserto troppo spesso si nascondono mercanti d’armi e condottieri delle guerre che insanguinano il mondo. È il volto moderno del capitale. Ribellarsi non è solo giusto. È una chance di sopravvivenza. Scheda autore Antonio Mazzeo, militante ecopacifista ed antimilitarista, ha pubblicato alcuni saggi sui temi della pace e della militarizzazione del territorio, sulla presenza mafiosa in Sicilia e sulle lotte internazionali a difesa dell’ambiente e dei diritti umani. Ha inoltre scritto numerose inchieste sull’interesse suscitato dal Ponte in Cosa Nostra, ricostruendo pure i gravi conflitti d’interesse che hanno caratterizzato l’intero iter progettuale. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006, Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa).

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Politica

Manifesto leghista.

Dio non ha votato Berlusconi Vabbè ha vinto la destra, ma non provate a dire che ha vinto Gesù Cristo... Non credo di essere l'unico appassionato del cristianesimo ad essere deluso da questi risultati elettorali. E allora proverò a far uscire dalle catacombe il pensiero di chi come me non accetta che credere in Gesù Cristo e votare Berlusconi siano due azioni inevitabilmente collegate da un rapporto di causa ed effetto. Io credo nel valore della vita, e mi chiedo se questo valore sarebbe stato difeso meglio da forze politiche disponibili a migliorare l'educazione sessuale nelle scuole, e cosa potrà fare al riguardo una destra che non ha la minima intenzione di cambiare la legge 194 e al tempo stesso è più interessata a favorire l'oscurantismo delle scuole confessionali che la sessualità consapevole degli adolescenti. Mi chiedo anche chi difenderà il valore della vita dei popoli che continueremo ad occupare con i nostri eserciti, mettendo a rischio le loro vite e quelle dei nostri soldati. Da cristiano apro il Vangelo e leggo "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio", poi apro il televisore e assisto alle consolidate prassi anticristiane di vescovi e pastori che mescolano fede privata e politica pubblica per orientare il voto del loro gregge. Io credo nel valore della famiglia,

quell'energia buona che circola in casa quando un lavoro dignitoso può garantire un futuro sereno a persone che hanno deciso di condividere la vita. E mi stupisco nel vedere le gerarchie cattoliche lanciare anatemi contro certi candidati per le loro vecchie battaglie di principio, solo per premiare forze politiche che oggi fanno nuove devastazioni sociali negando nei fatti un lavoro dignitoso a tutta la mia generazione e alle famiglie che stiamo cercando di costruire con fatica. Io credo nel valore della verità, e mi chiedo in che misura quei 77693 voti che in Lazio hanno fatto la differenza tra destra e sinistra siano il frutto delle menzogne sparse durante l'incursione del premier nelle reti televisive un attimo prima del voto, una pesca a strascico dove si mente a masse di milioni per raccogliere la credulità di decisive migliaia. Io credo nella libertà di coscienza, e ogni tanto qualche autoproclamato portavoce di Dio in terra prova a negarmela assieme alla libertà di voto. Io credo nel valore della fratellanza tra tutti gli esseri umani, uguali in dignità e diritti indipendentemente dal passaporto, ma assisto alla benedizione di uomini e partiti che negano dignità e diritti a chi ha un passaporto diverso dal loro, solo perché ai padroncini lo schiavismo sommerso conviene più del lavoro tutelato.

Io credo nell'anatema lanciato da Gesù Cristo contro i ricchi e i farisei, ma mi sento ripetere che per essere buoni cristiani bisogna premiare nelle urne l'ipocrisia farisaica di chi si è arricchito a spese dell'Italia riempiendosi la bocca di slogan cattolici solo per conquistare il potere. Io credo in tutte queste cose, e fino ad ora ho vissuto queste convinzioni in forma intima e privata, come se fossi il solo a pensarla così. Ma oggi faccio outing, ed esco allo scoperto: se sono amareggiato per questa tornata elettorale è perché prevedo l'avvento di politiche profondamente anticristiane, e temo che da oggi la cultura della morte e della guerra, la distruzione della famiglia a partire dall'economia e la ricerca spasmodica dell'arricchimento attraverso la corruzione sistematica e sfacciata troveranno nuovi spazi per esprimersi grazie al potere regalato a forze secolarizzate, materialiste e oscurantiste con un voto distorto da ingerenze mediatiche e clericali. Il primo passo per combattere tutto questo è far sentire con più coraggio la voce dei cristiani convinti che Gesù non avrebbe mai votato Berlusconi: al massimo gli avrebbe chiesto di seguirlo gettando via tutte le sue ricchezze. Carlo Gubitosa www.mamma.am

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Nord

Voi vietate il kebab e la mafia intanto si mangia la Padania Dopo il trionfo elettorale della Lega, proseguirà al Nord il delirio securitario, già avviato con ordinanze anticostituzionali e provvedimenti da tempo di guerra. Ma anche norme ridicole - come quelle sulle panchine - o assurdamente razziste. Nel frattempo, le organizzazioni criminali di tipo mafioso si sono installate stabilmente: non si limitano al riciclaggio ma puntano a controllare il territorio, gli appalti, gli enti locali Nessun politico “padano” parla di emergenza ‘ndrangheta. Il pericolo vero – per i leghisti e i loro imitatori - sono i venditori di cibo etnico. Letizia Moratti ha chiesto al ministro Maroni un decreto legge per permettere di perquisire le case dei migranti. Anche senza mandato, per individuare i “clandestini”. Siamo ritornati a un clima da nazifascismo e alle leggi razziali che creano ghetti e schiavi. L’ordinanza “antidegrado” per via Padova prevede la chiusura alle 22 per le rivendite di kebab e i phone center, cioè luoghi in cui si comunica con i paesi d’origine, di diverso fuso orario, e che spesso stanno aperti a qualunque ora. Per i “centri massaggi” il coprifuoco scatta alle 20, alle 2 per le discoteche, alle 24 per i ristoranti. Norme da tempo di guerra, ma anche gli ultimi di una lunga serie di provvedimenti e proposte di stampo nazista. Autisti ATM italiani. Vagoni del metro riservati agli stranieri. Autobus con le grate ai finestrini usati per rinchiudere migranti senza documenti. Curiosamente, il sindaco di Milano, come il ministro Maroni e il presidente della regione Formigoni, non si preoccupa minimamente delle mafie che in “Padania” ormai sono entrate negli appalti e nelle forniture pubbliche e che hanno preso residenza nei comuni attorno a Milano, Varese, Brescia. Che spesso impongono il pizzo ai negozianti, senza che siano nate associazioni antiracket. Anzi, si risponde che la mafia non esiste al Nord. Il problema mafioso

non è entrato nella campagna elettorale delle elezioni regionali. E’ chiaro che al Sud il problema è gigantesco, ma non bisogna sottovalutare le candidature e la pulizia delle liste in nessuna parte d’Italia. A Legnano, roccaforte della Lega Nord, nel 2008 è stato ucciso con un colpo alla nuca e abbandonato nelle campagne Cataldo Aloiso, genero di Giuseppe Farao della cosca Farao-Marincola di Cirò Marina, in Calabria. Il 25 aprile del 2007 viene ucciso a Tagliuno (Bergamo) Leone Signorelli, raffinatore di cocaina colombiana che rivendeva alla ‘ndrangheta. Cinque mesi dopo i killer aspettano davanti casa Giuseppe Realini, artigiano del legno bergamasco. “Si ammazzano tra loro?”. Non è così semplice. Secondo la Procura Realini sarebbe stato ucciso perché unico testimone del delitto Signorelli, a cui erano legati altri due morti ammazzati: Cataldo Murano e Giuseppe Russo, a loro volta connessi al clan Filippelli, alleati ai Rispoli che controllano proprio Legnano. Il cerchio si chiude proprio dove fu ucciso Aloisio: il suo cadavere fu fatto ritrovare di fronte al cimitero dove è sepolto Carmelo Novella, esponente dell’omonimo clan catanzarese di Guardavalle, ucciso al bar in un pomeriggio d’estate a San Vittore Olona, a metà strada tra Milano e Varese. Tutto ciò è avvenuto, non alle falde dell’Aspromonte o sulle coste calabresi, ma nel cuore della “Padania”. L’Espresso ha recentemente ricostruito ben 25 omicidi di mafia compiuti nel Nord negli ultimi 10

anni. Questi fatti non hanno provocato nessuna ordinanza comunale, riunioni straordinarie in Prefettura e nemmeno decreti d’urgenza. Nessuna emergenza sicurezza. La commissione antimafia presieduta da Francesco Forgione, quella della legislatura del secondo governo Prodi (2006/2008), è riuscita a mappare le famiglie mafiose operanti in Italia e ha prodotto una dettagliata relazione in meno di due anni di lavoro. L’attuale commissione deve ancora battere un colpo per capire se è in vita. Secondo l’ente presieduto da Forgione, dunque, in Lombardia operano, con tutta probabilità, le famiglie De Stefano, MorabitoBruzzaniti-Palamara, Farao-Marincola, Sergi, Mancuso, Iamonte, Falzea, Arena, Mazzafferro, Facchineri, Bellocco, Mammoliti, Imerti-Condello-Fontana, Paviglianiti, Piromalli, Ursini-Macrì, Papalia-Barbaro, Trovato, Latella, Versace, MorabitoMollica. Il paese dove si sono insediati i PapaliaBarbaro - Buccinasco - viene chiamato la Platì del nord. Al sindaco di centro-sinistra, Maurizio Carbonera, è stata incendiata la macchina tre volte, tra il marzo del 2003 e il novembre 2005, mentre era impegnato nell’approvazione del nuovo piano regolatore, non gradito alla cosca. Per tutta risposta, la regione Lombardia ha promulgato una legge che impedisce di cucinare kebab nei centri storici. Ad Adro (Brescia), c`è una taglia di 500 euro che verrà versata a ogni vigile che

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Nord

catturerà un clandestino. A Voghera, si è deciso che non si ci può sedere sulle panchine in più di tre persone, per evitare assembramenti di stranieri. In altre regioni del Nord, afflitte comunque dal problema mafia, tutta l’attenzione è sulle panchine: a Vicenza devi avere almeno 70 anni se vuoi sederti, se no stai in piedi. A Sanremo, devi avere tra 0 e 12 anni oppure più di sessanta. Si potrebbe continuare con l’elenco di queste soluzioni per la sicurezza: ad esempio il “White Christmas” di Boccaglio, comune a sindacatura leghista, dove entro Natale 2008 si volevano stanare i migranti per cacciarli dal paese. Per sfuggire a questo clima razzista, spesso gli stranieri scappano verso sud. Dove trovano, ancora una volta, la ferocia italiana, fatta di mafia e sfruttamento. *** Secondo Libera, che ha tenuto a Milano la propria giornata nazionale antimafia 2010, sono 665 gli immobili e 165 le aziende confiscate in Lombardia, che la collocano al quinto posto tra le regioni italiane, preceduta solo da Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. Nel rapporto “Ombre nella nebbia”, Libera sottolinea che occorre superare il vecchio luogo comune delle aree non tradizionali come zone di riciclaggio. Ormai anche lì si punta al controllo del territorio: ci sono clan insediati stabilmente da decenni e la reattività antimafiosa dei cittadini locali è spesso pari a zero. Nel giugno 2008, trecento poliziotti appoggiati da un elicottero hanno circondato i palazzi di Quarto Oggiaro, periferia mila-

nese, all’alba. L’operazione ha messo in evidenza una situazione gravissima. Piazze-roccaforti e squadre di giovanissimi spacciatori con turni di lavoro precisi. Un “mercato a cielo aperto” con un giro d’affari di 800 mila euro al mese. Ma non a Scampia, bensì nella capitale della “Padania”, la terra che ha scatenato una guerra ideologica contro il pericolo islamico ma che non sa nulla dei potentissimi clan crotonesi (quelli che investivano i proventi del crimine in Fastweb, per intendersi). Le “profezie” sulla presenza mafiosa nei prossimi cantieri milanesi nell’Expo non hanno generato alcun provvedimento, anzi la tendenza è la riduzione nei controlli sugli appalti legati ai “grandi eventi”. Le cosiddette “infiltrazioni” mafiose nei cantieri TAV del settentrione non hanno prodotto neppure un editoriale sdegnato. *** E’ facile diventare “clandestino” al tempo della crisi. Basta un licenziamento. Le settimane passano inesorabili verso lo scivolamento nell’irregolarità, ovvero uno status che è diventato reato col pacchetto sicurezza. Anche se rimani onesto, comunque rischi di finire dentro. Alla fine, una regola nata col pretesto della sicurezza potrebbe trascinare tante persone nell’illegalità e creare maggiore insicurezza. La Bossi-Fini impedisce, nei fatti, l’arrivo in forme regolari. Nessun imprenditore assume un lavoratore dall’altra parte del mondo, senza averlo mai visto. E chi lo fa non può; adattarsi ai tempi lunghi della bu-

rocrazia. Dunque si parte sempre più spesso con falsi contratti di lavoro, su cui ha già messo le mani la mafia. Nel salernitano, dove tanti marocchini sono stati fatti arrivare così e poi resi irregolari da imprenditori che si sono volatilizzati. A Reggio Calabria, dove le cosche Iamonte e Cordì hanno fatto entrare centinaia di indiani per poi condannarli alla condizione di invisibili. La mafia ingrassa, la Lega costruisce immeritate carriere politiche. Il reato non è etnico, e non avrebbe senso sostituire alle campagna contro i migranti quella contro i meridionali, che segnarono gli esordi dei leghisti. L’unica lotta è quella contro il crimine organizzato e lo sfruttamento, come dimostrano le rivolte di Castel Volturno e Rosarno fatte dagli africani. Al contrario, la mancata reazione contro il crimine organizzato è la cartina di tornasole di società malsane, che non vogliono sicurezza ma semplicemente scaricare – con viltà – paure e incertezze sui più deboli. Oltre che clan italiani, nelle città del Nord ci sono gruppi stranieri sempre più forti: albanesi e soprattutto nigeriani. Ma a questi si sono opposti eroicamente solo le centinaia di donne – quasi sempre ex prostitute – che hanno denunciato i loro aguzzini nell’ambito dei programmi dell’articolo 18, rischiando la pelle. E che non hanno mai ottenuto un ringraziamento, una medaglia, un titolo in cronaca, una stretta di mano. Claudio Metallo e Antonello Mangano www.terrelibere.org

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Sicilia

Terra di gattopardi Da anni l'avvocato Fabio Repici impegna la sua vita professionale a denunciare la mafia di Barcellona, la città del messinese che è ormai una piccola capitale di Cosa Nostra. Come si vive una situazione del genere? In piena solitudine, normalmente. Ci sono momenti in cui pare che un consenso sociale alle battaglie dell'antimafia cominci a manifestarsi. Ma sono momenti brevi. Poi torna a stringersi l'isolamento. E intanto l'”antimafia” di facciata... Da oltre un decennio, il mio impegno professionale e civico è spesso dedicato all’analisi ed alla denuncia del degrado mafioso del circondario di Barcellona Pozzo di Gotto. Cominciai ad occuparmene allorché iniziai ad assistere Piero Campagna e gli altri familiari di Graziella, nel processo a carico di Gerlando Alberti junior e Giovanni Sutera, definitosi con la condanna degli imputati solo un anno fa. Approfondii l’impegno, fisiologicamente, assumendo la difesa di Sonia Alfano, dei suoi fratelli e di sua mamma nel processo per l’assassinio del più coraggioso giornalista mai capitato in provincia di Messina. Da cosa nasce cosa, in materia di mafia, come ci insegna Alfio Caruso, ma anche in materia di antimafia. È la vita ad essere così: ed ecco, allora, che dopo la famiglia Campagna e la famiglia Alfano, spesi e continuo a spendere le mie energie per i familiari di Attilio Manca, così come feci per il padre di Roberto Amato e come feci in altre vicende giudiziarie. Nel denunciare il sistema mafioso barcellonese e le sue impressionanti protezioni istituzionali non incontrai troppi volenterosi: qualcuno esterno al territorio barcellonese, primo fra tutti il sen. Giuseppe Lumia; pochissimi, fatta eccezione per i familiari delle vittime, nell’area barcellonese, primo fra tutti Adolfo Parmaliana. Anni di impegno ma anche di solitudine: a questo pensavo l'altra settimana assisten-

do, proprio a Barcellona Pozzo di Gotto, proprio insieme ai familiari di Graziella Campagna, di Beppe Alfano, di Attilio Manca e di Adolfo Parmaliana, alla rappresentazione teatrale di (P)resa di coscienza, una sorta di autobiografia collettiva di un territorio che finalmente urla la ribellione al Tiranno. Vedere per la prima volta il consenso sociale e direi quasi l’affetto per i familiari delle vittime a Barcellona Pozzo di Gotto, con la presenza perfino del nuovo Procuratore della Repubblica e dei suoi due pregevoli sostituti, mi aveva fatto sentire più lieve il peso di un decennio di solitudine. Sono passati pochi giorni e le vicende di Barcellona Pozzo di Gotto mi si sono presentate di nuovo con sfumature non troppo gradevoli, che forse è bene non confinare alla dimensione della mia vita privata. Il prossimo 19 aprile comparirò davanti al Gip presso il Tribunale di Barcellona P.G. come indagato per diffamazione. A querelarmi era stato niente meno che un frate, tale Salvatore Massimo Ferro – figlio, nipote e fratello di mafiosi legati a Bernardo Provenzano – il quale, assistito dall’avv. Fausto Maria Amato, si è sentito leso da mie dichiarazioni sul fatto che alcuni anni fa, a causa sua, il convento dei Frati Minori di Barcellona P.G. fosse stato oggetto delle attenzioni investigative dei carabinieri del R.o.s. La Procura di Barcellona P.G., accertato che effettivamente il R.o.s. aveva svolto in-

dagini su quel convento e che il frate Ferro è figlio, nipote e fratello di mafiosi provenzaniani, aveva richiesto l’archiviazione. Sennonché Salvatore Massimo Ferro, sempre assistito dall’avv. Fausto Maria Amato, si è opposto alla richiesta di archiviazione. E quindi il prossimo 19 aprile innanzi al Gip di Barcellona io (che della presenza nel barcellonese di Provenzano mi sono occupato soprattutto nell’interesse dei familiari di Attilio Manca) comparirò in veste di indagato e frate Ferro (il parente stretto, strettissimo, di tutti quei mafiosi provenzaniani) comparirà in veste di persona offesa dal reato. Pazienza, supererò anche questa. Anzi, me l’appunterò moralmente al petto come una medaglia al valore. Alcuni giorni fa, poi, ho scoperto che in realtà a Barcellona Pozzo di Gotto sono un pluriindagato. Ho infatti appreso di una querela, sempre per diffamazione, sporta contro di me da un imprenditore di Terme Vigliatore, tale Sebastiano Buglisi, per alcune affermazioni che ho fatto il 2 ottobre scorso, in risposta ad alcuni disturbatori della manifestazione in ricordo di Adolfo Parmaliana nel primo anniversario della sua morte. Evito di farne un’interpretazione soggettiva e trascrivo invece alla lettera la contestazione del reato di diffamazione riportata nel documento notificatomi: “perché nel corso di un intervento pubblico, successivamente pubblicato sul sito internet www.illume.it offendeva la reputazione di

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Sicilia

Buglisi Sebastiano, proferendo le seguenti frasi: ‘Quando ero bambino mi fu insegnato un detto, che tradotto in italiano più o meno fa “quando piove alle lumache spuntano le corna”, oggi è giornata di pioggia e a molte lumache sono spuntate le corna’; ‘Io ho buona memoria e sicuramente ho memoria migliore di certi imprenditori che sono pronti a denunciare gli estortori di Tortorici, ma non fanno la stessa cosa quando gli estortori si chiamano Lo Piccolo’. Fatto aggravato perché consistito nell’attribuzione di un fatto determinato e mediante mezzo di pubblicità”. Pazienza, ho pensato, supererò anche

questa ed anche in questo caso mi è venuta voglia di appuntarmi moralmente al petto una medaglia. Sennonché, dal sito ufficiale del Ministero dell’Interno ho appreso che il prossimo 12 aprile 2010 Barcellona Pozzo di Gotto ospiterà un’importante manifestazione alla quale parteciperà niente di meno che un sottosegretario del governo più antimafioso degli ultimi 150 anni (e forse più), l’on. Alfredo Mantovano, per la (riprendo testualmente dal sito ministeriale) “presentazione della locale associazione antiracket”. Magari ci sarà il mio querelante, l’imprenditore Buglisi. E magari ci sarà un altro imprenditore

dell’antiracket barcellonese (o forse sarebbe meglio dire “alla barcellonese”), Maurizio Marchetta, tanto più che egli ormai è libero dagli impegni che lo affliggevano anni fa come vicepresidente del consiglio comunale di Barcellona P.G. (quello che il ministro Amato graziò dallo scioglimento per mafia) e come quotidiano frequentatore (perfino in crociera insieme ai propri pargoli) del capomafia barcellonese Salvatore Di Salvo. Ecco, ho pensato, che il gattopardo barcellonese tenta di inghiottire il risveglio sociale fin dai suoi primi vagiti in culla. Fabio Repici

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Paìs

C'era una volta l'Italia L'Italia, che per la maggior parte della sua storia è stata un' “espressione geografica” politicamente disgregata, è stata tuttavia sempre unitissima sul piano della cultura e, diciamo così, sentimentale. Lo è ancora? L'Italia comincia a Formia e finisce a Sassuolo. Prima di Formia, sei in terra di camorra (o di 'ndrangheta o mafia, secondo i casi). Dopo Sassuolo, Parma ormai americana (coi sikh col turbante che lavorano il parmigiano) e poi Piacenza, il Po, la Padania. Padania parta est in partes tres, di cui la prima l'abitano i Padani (anticamente Lombardi), l'altra è il Nordest (un tempo Veneto) e la terza il Piemonte, unico ad aver conservato il vecchio nome. L'Italia, in queste terre, conserva Genova, Susa, Spezia, Mantova e Aosta. Un tempo questa regione era costellata di fabbriche (a ovest) e chiese (a est). Queste ultime esistono ancora, per quanto vi sia cambiata la religione; ma le fabbriche sono state quasi tutte trasferite in Cina, lasciando al loro posto vasti buchi neri. Le autorità periodicamente li riempiono di veline, stilisti, finanzieri d'assalto e faccendieri per evitare che gl'indigeni si accorgano che lì manca qualcosa. Per la stessa ragione aizzano, quando lo ritengono il caso, pogrom contro gli zingari, i miscredenti, i mori o anche i semplici stranieri. A sud di Roma (di cui estremo avamposto è Formia) si stendono gli Stati Criminali, cosìddetti non perché la criminalità vi sia particolarmente elevata (lo è) ma perché vi governa. Da secoli colà pacificamente conviveva con re, duchi, repubbliche e chiese locali. Negli ultimi vent'anni, tuttavia, ha ritenuto di non aver più bisogno di loro e di poter prendere direttamente nelle proprie mani le cure dello Stato; ciò che è avvenuto rapidamente e con uno spargimento di sangue relativamente contenuto. E' stato tuttavia mantenuta, nella

maggioranza dei casi, un'apparenza di continuità (in molte cittadine della Calabria esistono ancora le caserme dei Carabinieri), soprattutto per riguardo ai cittadini più anziani. Ciascuna di queste organizzazioni ha un nome pubblico (Camorra, Cosa Nostra, 'Ndrina) che si richiama agli antichi tempi; con esso è conosciuta all'esterno del paese; fra loro, tuttavia, si chiamano semplicemente "il Sistema", termine più moderno e molto più adeguato alla situazione. Da tutte queste terre l'Italia fu espulsa fra il 1982 e il 1993; nessuno dei tentativi di riconquista attuati (ma sempre con forze insufficienti e per così dire all'avventura) da questo o quel funzionario italiano ha avuto successo; pertanto i maggiorenti italiani decisero, dopo matura meditazione, di riconoscere il fatto compiuto e di concedere a quei baroni, se non il nome, almeno la sostanza della libertà. Quelli tuttavia non se ne contentano ma muovono arditamente, e non senza successi, alla conquista del rimanente d'Italia. Il che se otterranno, lo vedranno i nostri nipoti. Si eccettuano, a questo regime, alcune terre che, con gran difficoltà ma tenendo fede, mantengono per via di mare i legami con Roma. Ed esse sono Stromboli, Filicudi, Alicudi, le Puglie, Siracusa in Sicilia e la Basilicata. Quanto a lungo potranno resistere, Dio lo sa. Si aggiungano, molto più lungi, i Sardi, divisi tuttavia dall'Italia da lingua, mare e costumi. Va tuttavia ricordato, a loro onore, che il Sistema da loro non attecchisce. Fieri e gelosi della loro isola, ne hanno respinto mafia, camorra, 'ndrangheta e americani. Tale lo stato della penisola italica ai nostri tempi. Dalla mia giovinezza, come tut-

to è cambiato! Allora - e parlo della tarda metà dell'altro secolo, quando le lucciole e i filobus c'erano ancora - l'Italia era un luogo incantevole, unito dal nord al sud, diviso in tantissimi popoli che però, per alchimia dello spirito, si completavano fra loro. Così al napoletano cialtrone ma intelligentissimo faceva contrappunto il buon torinese serio e quadrato; il corridore veneto ("Mama son contènto di esser arivado uno!") era congenere del picciotto palermitano ("Bedda matri e che ffu?"); volti e dialetti si mescolavano nel crogiolo della Fabbrica, koiné non essendo il pidgin italish di ora ma un veneto-turìn-sicilianu comprensibile a tutti, da tutti amato. Cessava dopo un millennio il latinorum dei preti; l'italo-romanesco della Rai, ben più popolare, ne prendeva il posto ed alfabetizzava tutta quanta l'Italia - da Nicolò Carosio al maestro Manzi - per la prima volta nella sua lunga storia. *** Adesso, cammini ingrugnato per piazza Maggiore. Le foto dei duemila partigiani (modeste fototessere in bianco/nero) nella bacheca di vetro, sopra i gradini; e frotte di ragazze e ragazzi che chiacchierano allegramente sotto di esse. E il sindaco - il nostro sindaco - che tre anni fa faceva accordi col fascio per "mantenere l'ordine" e tenere lontani i lavavetri. E sei ancora a Bologna, città civile; non sei a Verona dove il sindaco appena insediato ha dichiarato guerra, in un'unica dichiarazione, agli zingari e alla Sovrintendenza alle Belle Arti o a Catania dove ammazzano i poliziotti allo stadio e ridono il giorno dopo. Non sei a Milano né a Napoli - capitali antichissime, testa e cuore - dove scacciano i mendicanti e fanno spacciar droga ai bambini.

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Paìs

L'Italia è sempre stata le Italie. Italian macaroni, mandolino. Abbiamo sempre avuto un Nord e un Sud, e ciò ci faceva più belli. Anche Milano, per Stendhal, era una città meridionale. Anche Napoli Cuoco, Amendola - era illuminismo. C'era un grandissimo poeta cattolico, Pasolini, c'era un immenso rivoluzionario comunista, don Milani. C'era papa Giovanni e Peppone. C'era Gassmann, Mina, le Kessler, Alberto Sordi: chi di questi era nord e chi era sud, chi non era semplicemente italiano? C'era la grande Inter. State a sentire: Sarti, Burgnich, Facchetti, Guarneri, Picchi... cioè Giuliano, Tarcisio, Giacinto, Aristide, Armando... Avete visto che nomi? Nobili, densi di storia, popolari. Nomi italiani. Di che paese sarà la mia nipotina? Certo, sarà europea. Ma poi? Sarà semplicemente siciliana - o nordestina, o bolognese - o sarà italiana? Ha ancora un senso pensarlo? Altre nazioni sono sparite, o per trauma o per noia. Non si è più austroungarici, non si è più jugoslavi. O ateniesi, o cheyenne o polinesiani. Così sta sparendo l'Italia, o e già sparita; non già politicamente ma proprio nel profondo, come nazione. Di solito, quando parliamo di nazioni, pensiamo ai bei discorsi, alla patria immortale. Roba di destra, insomma. Invece, la nazione è una cosa di sinistra. E' ciò che sopravvive. E' popolare. *** La nazione è il porto di Messina, con la nave che va in Australia pronta a partire, i contadini di Caltanissetta e Favara sul ponte e i parenti sulla banchina, tutti ridanciani e chiassosi, per dare coraggio a chi parte. Sciolgono gli ormeggi, e la nave si stacca. E in quel preciso momento, cogli

emigranti tutti aggrumati a poppa e i parenti sulla punta del molo, che ormai piangono liberamente perchè tanto da lontano non si vede, la banda, che fino allora aveva suonato canzonette allegre, comincia a suonare l'inno: il primo e l'ultimo, per la maggior parte di loro, della loro vita. Questo non succedeva nell'Ottocento: succedeva vent'anni fa. Ci sono duemila emigranti, nella città di Sidney, di Santa Marina Salina; a Santa Marina, ne saranno rimasti forse mille. C'era il consolato australiano a Messina, fatto apposta per loro. E prima quello del Belgio, per le miniere. E prima quello argentino, quello americano... C'è un poeta veronese, Barbarani, di cui i veneti si sono ormai dimenticati da un pezzo; e io non ne ricordo che un verso, ma che è tutto un mondo; siamo fra gli emigranti veneti, "seradi" all'osteria, la sera prima della partenza: "Porca Italia!, i biastema, andemo via". Ci sono i genovesi, in Argentina, e i lombardi, e un intero quartiere che si chiana Palermo. Ci sono gli italiani d'America, fisici nucleari e mafiosi. Ci sono i bergamaschi, che andavano a lavorare in Francia; e una volta la popolazione di un'intera provincia scatenò il pogrom contro di loro e ne fece strage. C'è Bologna (il sogno di noi siciliani di sinistra, un tempo, era che Palermo diventasse un'altra Bologna) dove se vai a fare due passi alla Montagnola ti trovi esattamente nel posto dove una volta c'era la fortezza papalina che controllava la città. Quattro volte la distrussero, i bolognesi, e quattro volte il papa la ricostruì; la quinta, restarono a vincere loro e ne fecero terra e ci fecero su i giardinetti. Tutti insieme, questi erano gli italiani. Ci sono pochi paesi al mondo che abbiano avuto tanto kitsch di generali e politici

come l'Italia; ma pochi che abbiano avuto, nella grandissima parte dei cittadini, tanta storia di vita e tanta umanità. Il nostro, molto più che uno stato, è - o era - una cultura, un modo d'esserci; un software. Facile da sfasciare pestando a casaccio sul computer; difficilissimo, e probabilmente impossibile, da rimettere insieme. *** Non so se ci sarà ancora un'Italia fra dieci anni, o solo una specie di Belgio o un'Alabama. In quest'ultimo caso, sarà un peccato per tutti: perchè non sono molti i posti del mondo dove si sia riusciti, per tanti secoli, ad essere poveri e tuttavia signori, e dove si sarebbe potuto essere finalmente ricchi restando umani.Avremmo potuto insegnare ai poveri del mondo come si fa ad uscire dalla miseria e ai ricchi come si possono usare dignitosamente i denari. Invece stiamo preferendo imitare pacchianamente e maldestramente i ricchi di più antica data, e scalciare ferocemente contro i poveri che ancora si dibattono indietro. I tempi delle nazioni non sono quelli della cronaca, e dunque quello attuale, chissà, potrebbe essere solo un involgarimento passeggero. Ma potrebbe anche essere la fine definitiva di una storia che dura da più di duemila anni. Noi non abbiamo una hispanidad sparsa nel mondo né un commonwealth né una cultura illuministica che comunque coinvolga altri paesi. Siamo solo noi italiani d'Italia, con la nostra lingua parlata solo da noi stessi, con la nostra identità sofisticatissima ma delicata, con i nostri meccanismi etologici quasi impossibili da analizzare - e tutto questo può sparire, per incultura, demagogia e rozzezza, nel giro di una generazione. R.O.

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Scuola

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Lettere

“Amo l'Italia ma... Come si fa a lavorare così?” Un caso di mala amministrazione nelle forniture per la Marina?

“HO SCRITTO A TUTTI MA NESSUNO RISPONDE” Francese di nascita ma Italiana di adozione, amo questo paese che difendo da tante accuse, però devo dire che dopo quello che mi è successo nell'ambito lavorativo, ho perso fede in tutto. destra, sinistra, per me, purtroppo tutto uguale. Ho scritto a tutti i giornali, di destra, di sinistra, di opposizione, a Comandanti, a Procuratori...Tutto tacce, neanche l'ombra di una risposta . Lei dirà cosa è successo ?! Ho partecipato indirettamente ad una gara d'appalto per una fornitura alla Marina Militare di La Spezia, in quanto fornitori stranieri non sono autorizzati; dopo essere stati squalificati, benché il ns prodotto corrispondesse del tutto ai requisiti e dopo attento esame del bando, mi sono accorta che c'era un'errore madonale nel bando, che faceva che neanche il prodotto di riferimento non sarebbe stato giudicato idoneo. Via fax, telefonate, raccomandate con R/R al Comandante della Base

stesso, alla Procura di la Spezia, le altre ditta che hanno preso parte all'appalto ma che per paura di ritorsioni non si muovono, messaggi ai vari giornali di destra, di sinistra, dell'opposizione, ho denunciato il fatto con documenti in appoggio di quello che affermavo. Avessi ricevuto una sola risposta, sì, quella del Comandante che mi diceva, cito: " si garantisce un attento riesame di quanto segnalato, nell'ottica della massima trasparenza e serietà, elementi cardine su cui si basa l'azione di Comando dello scrivente". Intanto so, per essere stata informata dalla ditta vincitrice dell'appalto, che consegna o ha già consegnato tutto il materiale questa settimana. Materiale tra l'altro neanche idoneo per un totale di quasi mezzo milione di euro. So anche di essere stata qualificata di "persona non grata" preso la base militare. Ecco, scusi se mi sono sfogata ma nella politica, nell'onestà di chi ci deve proteggere, nelle notizie pubblicate sui giornali, non ci credo più da quel giorno. (lettera firmata)

SCHEDA/ L'APPALTO Oggetto: Gara d'appalto o C.T. (consultazione Tecnica) presso Comsubin Raggrupamento Teseo Tesei - Base militare di la Spezia. Bando emesso inizio Agosto 2009 con scadenza 8 o 9 Settembre 2009 Prodotto: n.3 minirov - veicoli subacquei filoguidati muniti di sonar e generatore, allargati poi a 8 pezzi. Budget: 50.000 euro Iva inclusa a sistema, cioè in totale: 400.000 euro Rimproveri: - 1) modifiche al bando inviate consecutivamente alla sua emissione e poco prima della scadenza. - 2) incongruità tra caratteristiche tecniche richieste e tabella utilizzata per attribuzione dei punti. Il prodotto descritto nella C.T. (bando) non otterebbe il punteggio minimo di 36/60 e sarebbe dunque squalificato. - 3) presenza in questa tabella di elementi non menzionati nel bando, con solo ed unico scopo l'attribuzione di maggiore punteggio al prodotto presentato dalla ditta vincente. - 4) prodotto vincente e consegnato, non corrispondente al bando.

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SocietĂ civile

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