Ucuntu n.110

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Non c'è più maggioranza di destra nel Paese. E se Napolitano decide di sciogliere tutto e lasciarci votare per davvero?

Destino Stranamente, alla fine Milano non ha portato fortuna né a Berlusconi né (prima di lui) a Mussolini. E ora? Tremonti e Marcegaglia oppure il ritorno alla civiltà? Tornerà indietro la Fiat? Verrà isolato Marchionne? Oppure “la guerra continua al fianco dell'alleato”?

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GIUSTIZIA Scidà: Lettera aperta al CSM

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Contro la mafia, aiutiamo i giovani! - Reddito Minimo Garantito: una proposta politica dall'Associazione DaSud || 18 maggio 2011 || anno IV n.110 || www.ucuntu.org ||


Mediterraneo

Sul barcone Storie d'ordinaria emigrazione. Non solo altrui

Vogliamo raccontarvi una storia, una di quelle che, in questi giorni, sentirete spesso. Un’invasione di circa quattro milioni di persone travolge il paese. Gli immigrati arrivano a bordo di navi zeppe. Ci sono tutti: donne, uomini, bambini. I migranti sono tutti ammassati, sembrano “animali" per quanto puzzano. Questi uomini lasciano la loro terra perché non ce la fanno più a sopportare i dolori e la fame della guerra, della crisi agricola. Non vogliono essere più depredati da qualche feroce esercito. Abbandonano tutto e si mettono in mano un biglietto costoso, direzione “un mondo migliore”. Dopo giorni e notti di mare, vedono le coste, cominciano a sentire vicino a loro l’odore della libertà. Ma gli occhi brillano solo per poco. La nave si avvicina alla costa, poi si ferma in un isolotto. Lo chiamano “l’Isola delle lacrime”. Mai nome più azzeccato. Arrivati qui, gli immigrati vengono controllati. I poliziotti chiedono i documenti, i medici svolgono le visite sanitarie e alcuni burocrati fanno domande strane.

Molti non superano questo esame che decide sulla loro vita. Chi non lo supera, gira i tacchi e risale su una nave per tornare a casa: rimpatrio! Tutto questo dura per tanti anni. Molti degli immigrati accolti si integrano. Altri non riescono ad esser parte di questa Nazione. E poi, qui arriva l’aspetto più interessante, altri si integrano a modo loro: sono delinquenti. Ma sono

delinquenti seri, mica spacciano due canne o fanno qualche furtarello. Fanno una “organizzazione” imparentata con il loro paese di origine, e cominciano a trafficare quantità enormi di droga; uccidono, corrompono, torturano. Insomma, roba seria di cui aver paura. *** La storia la interrompiamo così senza svelarvi il finale perché, se ci pensate un po', lo sapete già. Invece, vi sveliamo i protagonisti. Gli immigrati sono italiani: siciliani, veneti, campani, ecc… Il paese della speranza è l’America, e l’isola non è Lampedusa ma Ellis Island. I delinquenti sono i mafiosi. E allora, continuiamo a imprecare contro gli emigranti, sbarcati sulle coste italiane? L’Italia è un paese di emigranti. Sì, emigranti come i cinquecento sbarcati a Marina di Modica. Proprio come i ventenni trovati morti tra gli scogli di Punta Regilione. Giorgio Ruta Il Clandestino

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Politica

Il “partito” che cresce

Lo stanno costruendo i giovani. Senza saperlo...

Forse i “moderati” sono una cosa del genere dei fondamentalisti islamici: fanno, dichiarano, dicono, sono al centro del mondo (sui giornali) ma poi, al momento del dunque, sono una minoranza non rilevante. L'Italia no si divide infatti, a quanto risulta, semplicemente fra santanchisti e gente normale: questi ultimi, a quanto pare, sono la maggioranza. E finalmente. La gente normale, in Italia, ha sempre avuto etichette un po' stralunate: comunisti, radicali, estremisti e chi più che ha più ne metta (io personalmente a sedici anni ero comunista perchè mi sembrava strano che i braccianti, giù da noi, dovessero dormire sui cannicci per terra). Ma era solo un modo di chiamare (un po' perché les bourgeois si spaventavano, un po' perché noi ci divertivamo molto a spaventarli) le cose che nel resto d'Europa erano normali. La tv serve principalmente a far sì che la gente normale e le cose normali appaiano strane, e normale invece il pazzo che si crede Napoleone. L'Italia è l'unico paese al mondo dove la tivvù sia andata al governo, e ci sia rimasta per vent'anni.Questo spiega perché, ai congressi internazionali di psichiatria, ci sia sempre qualcuno che, con gravità professorale, dice cose spiacevoli su noi italiani. Al prossimo congresso, speriamo adesso, il suo intervento sarà più breve, anche se ci vorrà molto tempo prima che venga abolito del tutto.

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La sinistra che vince – perché è la sinistra che ha vinto, non c'è il minimo dubbio: il terzo polo è trascurabile e Fini un bluff – è una cosa stranissima, a osservarla da fuori. Vendola, De Magistris, i grillini, la parte “buona” (Bersani) del Pd vengono da storie diversissime, e si stupirebbero molto se qualcuno gli dicesse che in fondo sono facce diverse della stessa cosa. La “cosa” è la crisi della vecchia sinistra e la travagliatissima formazione di quella nuova. Il qualunquismo rivoltoso dei grillini, il culto della personalità dei vendoliani, la rudimentalità dei dipietristi, la goffaggine dei “sinistri federati”, l'ambiguità programmatica di Bersani, non sono dati politici, sono semplicemente gli annaspamenti di gente che vorrebbe nuotare, ma non si decide a

staccare i piedi dal fondo. La storia vecchia è finita, la nuova ognuno s'illude di trovarla da solo. Non c'è ancora esperienza di storie collettive; l'unica cognizione comune (ma è già moltissimo, qui e ora) è che bisogna muoversi, che il tempo dell'impotenza è finito. In questo c'è molto Ottocento, prima dei socialisti. Sette, partiti, gruppi, ribellioni con troppe “linee politiche” o nessuna. L'unica cosa comune (ma non percepita) era – banalmente – l'età. “Non prenderemo nessuno – disse uno di loro – che abbia più di quarant'anni”. A partire da questo, si potè andare avanti.

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E anche adesso è così. Non per la sciocchezza del sindaco giovane o del candidato ventenne (Renzi, politicamente, è tanto anziano quanto Emilio Fede o la Santanché) ma perché è il collante di tutto, ed è profondo. Il grillino di Bologna, il giovane Pd di Trento o Genova, il rifondarolo di Catania, l'attivista elettorale di Pisapia e quello di De Magistris hanno in comune questo, al di là delle (poche) cose mature che dicono e delle (molte) cazzate che li impacciano: essi sono una generazione. Se riusciranno a riconoscersi, a esprimere un “partito” nei prossimi due o tre anni, l'Italia sarà salva. Altrimenti resterà il rimpianto.

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L'Italia, in questi vent'anni, è stata attraversata da due cose. La prima, la ristrutturazione del sistema economico da industriale a finanziario. La seconda, il passaggio da patologia a fisiologia delle sue componenti mafiose. Le due cose hanno relazione fra loro. Hanno prodotto, fra l'altro, la “seconda repubblica” (in mano non ai politici, ma agli imprenditori), la fine del lavoro (sostituito dal precariato), l'eliminazione della proprietà pubblica (privatizzato tutto, fino alla scuola), l'uscita dall'Occidente (Libia, Russia) e ovviamente da Keynes. Il punto in tutte queste cose s'intersecano, quello su cui bisogna avere le idee chiare e chieder conto, è la Fiat. Che cosa ne pensa Beppe Grillo (e il suo – non innocente – cervello politico, Casaleggio Associati)

dell'abolizione del sindacato? E Bersani (e i giovani di Bersani) da che parte starà, prima o poi, con la Cgil o con Fassino? Nella città precaria che è Napoli, De Magistris cercherà alleati a Torino o si barricherà là dentro? Vendola impernierà la sua strategia sugli operai o continuerà a farne solo un caso umano? I “comunisti” riusciranno a ri-percepire la lotta di classe, a capire che la falcemartello, per gli edili di Roma (che sono quasi tutti rumeni) era il simbolo sul berretto dei poliziotti rumeni? Da queste domande dipende tutto. Non dalle risposte che verranno date (saranno, di necessità, ambigue e lente) ma da chi le farà. Se le faranno i giovani, e in concordanza fra loro, trasversalmente, allora il “partito” loro nascerà bene. Tutti i “partiti” storici – che solo raramente hanno un nome – nascono infatti molto più dalle buone domande che dalle risposte.

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Cos'abbiamo in comune, oltre a Berlusconi? Che cosa tutti noi abbiamo fatto, nei momenti migliori, senza sostanziali differenze? Che cosa potrebbe unirci, noi della nuova repubblica, come nella prima ci unì la Resistenza antifascista e il suo ricordo? Risposta: l'antimafia. E' il movimento antimafia il filo rosso, comune a tutti noi, di questi due decenni. Fra ingenuità, goffaggini, e anche qualche salotto e qualche arroganza (ma anche l'antifascismo repubblicano ne ebbe) esso è nel suo complesso una storia giovane, sana nei suoi fondamenti e persino nei suoi errori. Bisogna votare subito. La Santanchè e la Lega sono minoritari nel Paese. Vincere i referendum, e poi da Napolitano a chiedere elezioni. Bisogna votare uniti. Al referendum è facile. Anche le elezioni politiche, dobbiamo trasformarle in referendum. Una lista unitaria, antimafia e antiprecariato, con un candidato unico di immenso prestigio e chiarezza, un Pertini. Riccardo Orioles (Ucuntu sta uscendo in ritardo per mia colpa. Ma utilizzatelo tutti, è la vostra voce)

|| 18 maggio 2011 || pagina 03 || www.ucuntu.org ||


L'Italia di domani

Piccoli giornalisti crescono nella scuola del quartiere

Che fanno i ragazzini di san Cristoforo, a Catania? Fra l'altro, imparano a farsi un giornale...

Giuseppe Fava, fondatore dei Siciliani, ha insegnato quant'è importante il giornalismo di strada. Un elemento fondamentali per raccontare, in chiave giornalistica, le storie delle persone. Storie di ingiustizia sociale, di povertà, di disoccupazione. Storie di uomini e donne a cui bisogna dar voce la narrazione giornalistica, attraverso le pagine di un giornale. Su questi insegnamenti, nel 2005 l'associazione GAPA ha deciso di costruire un laboratorio di giornalismo di base fondando un giornale di quartiere: I Cordai. Un giornale fatto da non professionisti, ma professionale nel suo risultato finale. E' fatto utilizzando un linguaggio semplice, comprensibile, immediato. Ascoltando le storie, denunciando la cattiva amministrazione, la negazione dei diritti costituzionali. Ma questa esperienza non poteva essere solo nostra, doveva allargarsi altrove. Quale luogo migliore, se non la scuola del quartiere? Così, nel 2009, I Cordai e il Gapa presentarono un progetto di laboratorio di giornalismo rivolto alle classi di scuola media dell'Andrea Doria. L'entusiasmo delle insegnanti e dei ragazzi fu grande, e lo fu ancor di più quando capirono che l'intera gestione delle pagine era tutta loro. Così è nato Newsboys. Le pagine prendono vita, e vengono diffuse nella scuola, tra gli scolari e le loro famiglie. Il progetto "Libera scuola libera stampa", parte dalla conoscenza dell'articolo 21, della nostra Costituzione, che sancisce il diritto alla libera informazione, ed il diritto, di essere informati. E serve anche ad anche avvicinare i ragazzi ad una cultura giornalistica, alla lettura e scrittura. Lo scorso anno scolastico il laboratorio si è svolto solo alla Doria di via Cordai; quest'anno anche in un altro plesso dell'istituto, quello di via Case sante nel quartiere Cappucini, dove insegnanti e alunni hanno dato prova di essere dei bravi cronisti di strada! Giovanni Caruso, I Cordai

UN PROGETTO DI LIBERTA' DAI RAGAZZI DELLE SCUOLE UN GIORNALISMO DI BASE

“Ciò che siamo costretti a vedere per le strade...”

Il progetto didattico "Scuola libera, libera stampa" ha come risultato un paio di pagine dei "iCordai" dal titolo: "Newsboys". Attraverso questo lavoro abbiamo tentato di trasmettere la passione che caratterizza l'attività del giornalista: osservare, descrivere e dare voce ad aspetti apparentemente ovvi, scontati o trascurati della propria città, della propria giornata, della propria vita. Una delle esperienze è stata quella di intervistare le persone (bidelli, compagni, passanti,ecc.) stimolando nei bambini la voglia di conoscere ed ascoltare. Con divertimento è possibile essere partecipi di ciò che ci succede attorno diventare autori di un giornale. Scrivere un articolo, inoltre, implica un forte lavoro collettivo: la classe si sia trasformata in una miniredazione e ognuno è diventato indispensabile al gruppo. Per questo, è essenziale comunicare senza litigare o alzare la voce e prendere parte democraticamente al lavoro. Le voci dei ragazzi si accavallavano fra loro e tra i banchi dell'aula ogni parola detta rimbombava ma con gioia ed entusiasmo: i bambini si sono davvero impegnati, dando il meglio ed esprimendo se stessi. A questo s'è affiancato il lavoro delle insegnanti che tra un incontro e l'altro, approfondivano gli argomenti e li ripassavano con gli alunni, correggendo gli articoli. I piccoli reportage sono poi stati impaginati durante l'ultimo incontro dedicato interamente all'impaginazione. Spesso ci si immagina i bambini seduti davanti ai banchi di scuola, annoiati dal tono monotono della maestra di turno… ma scuola non è solo questo. Scuola è anche crescita personale, impegno, determinazione e perché no, protagonismo. Rafforzare l'autostima dei ragazzini affinché essi non abbiano timore di esprimere la propria creatività con passione, credendosi capaci di osservare ciò che li circonda, anche criticamente, se necessario. Deina Garigali, Gapa

Non ne possiamo più di assistere a scene di spaccio. A. aveva solo sette anni quando ha assistito alla prima scena di spaccio. La mamma ha preferito non rispondere alle domande su cosa fossero le pasticche bianche che un tizio aveva passato ad un ragazzo in cambio di denaro, proprio davanti a loro che camminavano per una delle strade del quartiere. Oggi A. ha 12 anni e non ha bisogno che la mamma le spieghi cosa significano le scene a cui, di tanto in tanto, assiste. E. invece ha una storia più particolare da raccontare: circa un mese fa, di notte, tre ragazzi hanno suonato al citofono di casa sua. La mamma di E. ha risposto chiedendo chi fosse; uno di loro ha detto di chiamarsi M. , un parente stretto, del quale, però, la donna non riconosce la voce e così chiede al marito di controllare dalla finestra. Il papà di E. si affaccia e capisce che non si tratta né di M. né di conoscenti. Dalle risposte sconnesse e insensate dei tre giovani, l'uomo comprende che sono sotto l'effetto di sostanze stupefacenti e si guarda bene dall'aprire il portone.Quando l'indomani mattina E. viene a sapere dell'accaduto ha una sensazione di paura e preoccupazione: chissà cosa sarebbe successo se la mamma avesse aperto! E che dire dell'esperienza che è stata costretta a vivere D., ragazzina di 12 anni, che in un “tranquillo” pomeriggio, tornando a casa, la trova piena di poliziotti con mitra spianati, che mettono a soqquadro l'intera abitazione solo perché hanno il sospetto che si sia nascosto nella sua casa un ragazzo che era scappato con delle dosi in mano. Di fronte a quella scena terribile D. comincia a tremare, l'ansia e la paura la fanno sbiancare in viso, ma ciò non basta a fermare quella irruzione che per quanto legittima, lascerà una traccia indelebile nella sua vita.

Istituto comprensivo Andra Doria, v.Cordai, classe 2D e v.Case Sante, classi 2A e 2F "Libera scuola LIbera stampa", progetto di giornalismo promosso da “I Cordai- Gapa" Coordinatrici: Prof.sse Platania (via Cordai), Musumeci e Zanuccoli (via Case Sante)

|| 18 maggio 2011 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||


L'Italia di domani

Ormai sembra che non ci si possa più indignare ed esprimere la propria disapprovazione verso certi comportamenti, come è successo alla nonna di C., la quale, affacciatasi dal balcone e visto che in strada c'erano dei ragazzi che spacciavano, li ha invitati a smettere e ad allontanarsi e per questo è stata “richiamata” dagli stessi e le è stato intimato di rientrare immediatamente dentro casa. Queste storie sono solo alcuni esempi delle tante, troppe situazioni, in cui dei bambini e dei ragazzi si trovano coinvolti, nonostante la loro precoce età. Negli ultimi anni il fenomeno dello spaccio si è intensificato notevolmente, tanto che ormai quando ci capita di sentirne parlare ci sembra che sia “normale”. Invece non è normale per niente,anzi certamente non è educativo per noi e sopratutto non è piacevole vedersi additati come delinquenti, solo perché abitanti di San Cristoforo. Noi sappiamo che tanta gente onesta e per bene abita nel nostro quartiere ed è a loro,ma anche a tutti gli adulti che chiediamo di pensare di più a quanto possano essere negative certe esperienze per la crescita sana e civile dei loro figli e dei giovani in genere. La mitica II D

“Quanti incidenti sul lavoro” Spesso purtroppo a morire sono i giovani Negli ultimi anni si sono verificati molti incidenti sul lavoro, troppi! Spesso, purtroppo, a farne le spese sono stati i giovani. Sappiamo che lavorare in una raffineria comporta dei rischi, ma forse proprio per questo bisogna far lavorare le persone che hanno un' adeguata esperienza. In una raffineria di Cagliari, la Saras, di proprietà dei Moratti, ci sono stati incidenti

che hanno provocato la morte di alcuni operai. Ultima in ordine di tempo quella di Pierpaolo Pulvirenti, giovane catanese, che il 13 Aprile 2011 è morto a causa di esalazioni di ossido di zolfo e idrogeno solforato in seguito ad uno scoppio improvviso. Meno di due anni fa,nel Maggio 2009, altri tre operai Sardi, sempre nella stessa fabbrica, sono morti suscitando mille polemiche. Erano dipendenti della ditta esterna Comesa, tutti di Villa San Pietro, uno era sposato e aveva figli. Allora la fabbrica non era stata chiusa, ma erano partite delle denuncie che hanno portato al processo iniziato pochi giorni dopo la morte di Pierpaolo Pulvirenti. Anche in questo caso, come nel 2009 gli operai appartenevano ad una ditta esterna, erano tutti giovani ed erano stati chiamati per svolgere lavori particolarmente pericolosi. Pierpaolo Pulvirenti aveva un contratto di soli 20 giorni e aveva seguito un corso accelerato per acquisire le conoscenze necessarie a svolgere quella mansione. Un giovane di soli 23 anni, agganciato per un lavoro di pochi giorni, viene impiegato in attività pericolose e questo, come hanno denunciato gli stessi operai della fabbrica accade regolarmente. Perchè? Non sarebbe più opportuno utilizzare operai più esperti? Alessio ricorda ciò che gli ha raccontato suo nonno tempo fa: in una fabbrica di cavi elettrici, nella zona industriale di Catania, nonno Giovanni aveva assistito alla morte sul lavoro di un suo giovane collega. Nel pomeriggio Alessio va a trovare il nonno e lo intervista: Alessio- Nonno ti ricordi quella storia che mi hai raccontato quando ero piccolo, sull' incidente nella fabbrica in cui lavoravi?

Nonno Giovanni- Sono in pensione da quattro anni, ma non potrò mai dimenticare quello che è capitato! Nella mia fabbrica, Tratos-Sud, un operaio, Guido Russo si chiamava, è morto perchè non si è potuto staccare la corrente subito, non c'erano sistemi di sicurezza. L' incidente di Guido Russo non è stato denunciato alla magistratura per questo motivo: per non fare chiudere la fabbrica. Un altro incidente meno grave, sempre nella stessa fabbrica, si era verificato nel 1990, un lavoratore, Amato Francesco, sposato con due figli, si è infortunato nel turno di notte nella macchina che lavorava la resina a una temperatura di 140 gradi, ha messo la mano destra dentro la trancia, senza le protezioni necessarie mentre spingeva la resina nella “ vite senza fine”. E' rimasto con la mano bloccata a quella temperatura, fino all' intervento del meccanico, circa 30 minuti dopo. A causa di questo infortunio l' operaio ha perso le dita della mano. Anche in questo caso non è stato fatto niente. Fino alla messa in pensione di nonno Giovanni, nel 2007, non erano ancora intervenuti gli ispettori del lavoro per far mettere la fabbrica in sicurezza. Noi ci poniamo delle domande: quanti morti devono esserci prima che si faccia qualcosa per mettere in sicurezza le fabbriche? Quanti giovani devono essere sacrificati in nome degli interessi di gente senza scrupoli, che per risparmiare qualcosa non si preoccupa di mettere a rischio la vita di lavoratori inesperti? Come mai tanti incidenti restano impuniti e spesso si sceglie di non parlarne per non mettere a rischio il lavoro o ancora peggio per non arrecare danno ai proprietari? Alessio Pennisi e Chiara Munzone 2D

|| 18 maggio 2011 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||


Caso Catania Le associazioni sottoscritte,

nel momento in cui vengono da più parti riportati episodi sconcertanti che coinvolgono fra l'altro aspiranti al posto di procuratore capo al Tribunale di Catania, manifestano la propria preoccupazione per la nomina prevista in conseguenza del pensionamento del Dott. Vincenzo D’Agata e sottolineano la necessità che chi assumerà l’incarico riesca finalmente a disvelare e a rendere pubblico l’intreccio fra poteri economici, politici e mafiosi che, anche in campo nazionale, ormai è noto come il “ Caso Catania”. Come cittadini abbiamo il diritto di sperare in un futuro di legalità e giustizia per la nostra città. A questo scopo le Associazioni firmatarie del presente appello, così come già richiesto, auspicano che la nomina a procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Catania ricada su una personalità di alto spessore che eserciti l'autonomia della magistratura rispetto al potere politico, che sia capace di operare al di fuori delle logiche proprie del sistema politico-affaristico della città, che possibilmente sia del tutto estranea all'ambiente cittadino, che provenga cioè da realtà lontane dall’humus siciliano e catanese in particolare, una personalità che favorisca il riscatto civile della nostra città e che contribuisca a restituirle orgoglio e dignità. Associazione Centro Astalli, AS.A.A.E., Assoc.CittàInsieme”, Assoc. Domenicani Giustizia e Pace, Laboratorio della Politica Onlus, La Città Felice, Assoc. Studentesca e Culturale "Nike", Comitato NO-TRIV, Assoc. Oltre la Periferica, Librino, Punto Pace Pax Christi Catania, Sicilia e Futuro, Associazione Talità Kum

*** La Sicilia è la regione dove si trova la maggior economia sommersa del paese, come recenti e qualificati studi hanno evidenziato, e gran parte dell’imprenditoria cheopera nell’isola usufruisce di complicità o alleanze con le organizzazioni criminali. La mafia ha esteso da tempo i suoi interessi nell'economia “legale”, dove l'accumulazione della ricchezza avviene attraverso relazioni e attività costruite sulla base del coinvolgimento diretto e dei favori scambiati con potentati economici, politici, professionali. Si è creato così uno spazio dove lecito e illecito finiscono per entrare in commistione. L'epicentro di questa "area grigia", dove si intrecciano gli interessi di mafia ed economia, è oggi Catania, come ribadito anche dal Presidente di Confindustria Sicilia.

APPELLI PER LA GIUSTIZIA A CATANIA Al Vicepresidente del CSM Alla Commissione Uffici Direttivi e p.c. Presidente Repubblica che UnaAlcittà dove, da della anni, diversamente a Palermo o Caltanissetta, l'azione di contrasto della Procura è stata assolutamente inefficace. Emblematica, da questo punto di vista, è apparsa la gestione dell’inchiesta che ha coinvolto il governatore Lombardo e il fratello Angelo. Gli inquirenti si sono divisi sui provvedimenti da assumere in merito all'esito delle indagini sul Presidente della Regione. Il Procuratore D'Agata, nelle prese di posizione pubbliche, ha dato l’impressione di un evidente imbarazzo e fastidio nei confronti dell’inchiesta; in un'intervista rilasciata a Zermo, sul quotidiano di Ciancio (a sua volta indagato in altro procedimento), sembra esprimere contrarietà per le considerazioni espresse da Ivan Lo Bello sul peso dell'imprenditoria mafiosa a Catania. Infine, una fotografia pubblicata in questi giorni ha riacceso i riflettori sul “caso Catania”, una vicenda giudiziaria nata dalla denunzia di Giambattista Scidà che lanciò l’allarme di contiguità tra criminalità mafiosa e frange della magistratura etnea. Alla luce di tutti questi fatti e alla vigilia della nomina del nuovo Procuratore della Repubblica, facciamo appello al Csm affinché la Procura di Catania abbia finalmente un Procuratore capo assolutamente estraneo ai giochi di Palazzo e all’intreccio delle poco chiare vicende catanesi. Un magistrato che non subisca le forti interferenze esterne che hanno condizionato da decenni la direzione della Procura catanese. Giolì Vindigni, Gabriele Centineo, Mimmo Cosentino, Angela Faro, Santa Giunta, Vincenza Venezia, Salvatore Cuccia, Luciano Carini, Giuseppe Di Filippo, Enrico Giuffrida, Lillo Venezia, Claudio Novembre, Massimo Blandini, Marzia Gelardi, Maria Concetta Siracusano, Francesco Duro, Margherita Ragusa, Antonella Inserra, Mario Pugliese, Giovanni Caruso, Elena Maiorana, Tuccio Giuffrè, Rosa Spataro, Paolo Parisi, Marcella Giammusso, Giuseppe Pappalardo, Raffaella Montalto, Giovanni Grasso, Federico Di Fazio, Claudio Gibilisco, Riccardo Orioles, Elio Impellizzeri, Ignazio Grima, Angelo Morales, Pippo Lamartina, Andrea Alba, Matteo Iannitti, Valerio Marletta,

Marcello Failla, Alberto Rotondo, Riccardo Gentile, Barbara Crivelli,Massimo Malerba, Enrico Mirabella, Maria Lucia Battiato, Mauro Viscuso, Sebastiano Gulisano, Aldo Toscano, Anna Bonforte, Grazia Loria, Pierpaolo Montalto, Toti Domina, Fabio Gaudioso, Giovanni Puglisi, Titta Prato, Maria Rosaria Boscotrecase, Lucia Aliffi, Fausta La Monica, Salvatore Pelligra, Anna Interdonato, Lucia Sardella, Federica Ragusa, Alfio Ferrara, Federico Urso, Paolo Castorina, Giusi Viglianisi, Laura Parisi, Gaetano Pace, Luigi Izzo, Alberta Dionisi, Carmelo Urzì, Pina De Gaetani, Giusi Mascali, Marcello Tringali, Daniela Carcò, Giulia D’Angelo, Alessandro Veroux, Ionella Paterniti, Francesco Schillirò, Francesco Fazio, Tony Fede, Antonio Presti, Luigi Savoca, Salvatore D’Antoni, Alessandro Barbera, Vito Fichera, Stefano Veneziano, Pinelda Garozzo, Francesca Scardino, Irina Cassaro, Carmelo Russo, Franco Barbuto, Maria Luisa Barcellona, Nicola Musumarra, Angela Maria Inferrera, Michele Spataro, Giuseppe Foti Rossitto, Irene Cummaudo, Carla Maria Puglisi, Milena Pizzo, Ada Mollica, Maria Ficara, Rosanna Aiello, Rosamaria Costanzo, Mario Iraci, Giuseppe Strazzulla, M. C. Pagana, Vincenzo Tedeschi, Nunzio Cinquemani, Francesco Giuffrida, Maria Concetta Tringali, Maria Laura Sultana, Giovanni Repetto, Giusi Santonocito, Marco Sciuto, Tiziana Cosentino, Emma Baeri, Renato Scifo, Luca Cangemi, Elisa Russo, Angela Ciccia, Alfio Fichera, Giampiero Gobbi, Domenico Stimolo, Piero Cannistraci, Roberto Visalli, Mario Bonica, Claudio Fava, Giancarlo Consoli, Maria Giovanna Italia, Riccardo Occhipinti, Giuseppe Gambera, Orazio Aloisi, Antonio Napoli, Giovanni Maria Consoli, Elsa Monteleone, Francesco Minnella, Antonia Cosentino, Sigismonda Bertini, Giusi D’Angelo, Lucia Coco, Fabrizio Frixa, Santina Sconza, Felice Rappazzo, Concetto De Luca, Maria Luisa Nocerino, Alessio Leonardi, Renato Camarda, Angelo Borzì, Chiara Arena, Alberto Frosina, Gianfranco Faillaci, Daniela Scalia, Lucia Lorella Lombardo, Pippo Impellizzeri, Giuseppe Malaponte, Antonio Mazzeo, Marco Luppi, Ezio Tancini, Aldo Cirmi, Luca Lecardane, Rocco Ministeri, Gabriele Savoca, Fulvia Privitera, Daniela Trombetta, Vanessa Marchese, Edoardo Boi, Stefano Leonardi, Ivano Luca, Maria Crivelli, Guglielmo Rappoccio, Grazia Rannisi, Elio Camilleri, Rosanna Fiume, Alfio Furnari, Claudia Urzi, Luigi Zaccaro, Daniela Di Dio, Gigi Cascone, Ettore Palazzolo, Nunzio Cosentino, Matilde Mangano, Andrea D'Urso, Daniela Pagana, Stefania Zingale, Concetta Calcerano, Luana Vita, Maria Scaccianoce, Costantino Laureanti, Pierangelo Spadaro, Paola Sardella, Luisa Gentile, Antonio Salemi, Antonino Sgroi...

|| 18 maggio 2011 || pagina 06 || www.ucuntu.org ||


Caso Catania Lettera aperta alla V Commissione del CSM, in relazione all'istanza del dott. Giuseppe Gennaro, di nomina all'Ufficio di Procuratore della Repubblica di Catania; destinatari di essa lettera anche il Presidente della Repubblica, il Vicepresidente e il Comitato di Presidenza del CSM; la I Commissione del CSM ed il Ministro della Giustizia. Codesta on.le Commissione V non può provvedere sulla istanza Gennaro, senza prima avere acquisito parere non viziato del Consiglio Giudiziario di Catania, in luogo di quello che le é stato rimesso, invalido per il modo della sua formazione, a causa di vizi appariscenti che ne determinano la radicale inattendibilità e, prima ancora, l'inutilizzabilità. I fatti, certissimi, son questi: Il 14 dicembre 2010 furono depositati, nella Segreteria del Consiglio Giudiziario, due scritture: 1°) Un'esposizione dei percorsi del magistrato, dal 1982 al 2009, sotto il titolo di “Per capire il caso Catania”; 2°) La segnalazione, al Presidente f.f. Della Corte d'Appello, di documentate circostanze, relative ai suoi rapporti con l'autore della scrittura, che potevano suggerirgli di lasciare ad altri, per l'affare Gennaro, la Presidenza dell'organo. Il dott. Scuto non ritenne di astenersi; la relazione sulla istanza Gennaro fu da lui rimessa ad un componente che è Sostituto nella Procura Repubblica presso il Tribunale di Catania, com'è lo stesso dott. Gennaro, da quando ha dovuto lasciare le funzioni, esercitatevi per otto anni, di Procuratore Aggiunto: della quale Procura esso Gennaro è in attesa di conseguire la direzione. Nota a tutti è l'eminente posizione di lui: è stato a capo della corrente di maggioranza dell' ANM; ha presieduto per due volte tale associazione; è stato membro del CSM. Il gruppo degli eletti al Consiglio per la sua corrente è sempre il più numeroso fra tutti. Sono iscritte nella storia della magistratura italiana le prove della sua influenza: il prontissimo voto del CSM, a sua richiesta e per sua tutela, del 20.3.2001, a proposito dell'acquisto di una villetta in San Giovanni La Punta, che egli asseriva di aver comprato da soggetto estraneo alla mafia; il rifiuto del CSM di tornare su quel voto avventuroso, dopo le rivelazioni del simulato costruttore e venditore; l'osservanza bipartisan della quale

LETTERA APERTA AL CSM

egli è oggetto dalla Sinistra e dalla Destra, come in gara tra loro; il rifiuto della Destra, ascesa al governo proprio in quell'anno, di perseguirlo disciplinarmente, o di disporre ispezioni; il rifiuto della Commissione Antimafia di quella legislatura (XIV) di aprire inchiesta; per non dire di numerosissimi altri fatti, ognuno dei quali confermativo della sua speciale posizione. Il Presidente, dal quale fu disegnato il relatore, era candidato all'Ufficio di Presidente della Corte d'Appello. Il tenore del memoriale succitato era tale da precludere la possibilità di un parere non preceduto da attenta considerazione dei singoli suoi punti, e da accertamenti. Ma il Consiglio ha eluso quell'imprescindibile testo con l'affermazione che i fatti sono irrilevanti, perché “pregressi” e già definiti nelle competenti sedi istituzionali. Ma l'affermazione, tutta generica e gratuita e apodittica, è insostenibile. Se non fosse infondata , sarebbe inconferente: che questo o quel fatto, tra tanti, sia stato “definito” in qualche sede, a certi fini, non toglie che esso serbi rilevanza, forse anche aumentata dalla stessa definizione ai fini del parere. Il “parere” che la Commissione V ha tra le sue carte è una parvenza di parere. Non è l'atto che la Commissione ha il diritto e prima ancora - l'obbligo di esigere. Il parere, seriamente utilizzabile, che va chiesto al Consiglio Giudiziario, non può prescindere dall'effettivo esame della scrittura a mia firma; va espresso in composizione ineccepibile dell'organo; e deve esserlo sopra relazione di un componente dalla garantita autonomia rispetto all'interessato. La composizione sarà sottratta a riserve critiche dall'astensione del dott. Scuto, che codesta Commissione ha frattanto proposto per Presidente Capo della Corte d'Appello, pretermettendo altro concorrente per una pregiudiziale di diritto, af-

ferente alla legittimazione, che si trova, per altri casi, all'esame del Consiglio di Stato. La proposta del dottor Scuto è stata già impugnata dal controinteressato. Essa, e i termini della cennata questione, dovranno essere esaminati dal plenum. A quanto auspico, da cittadino, c'è in astratto un'alternativa: una deliberazione immediata, alla base della quale stia pro ratione voluntas. Mi interdico, per la fiducia che va nutrita nei confronti della Commissione, il pensiero che questo possa avvenire. Non è più tempo per impazienti colpi di aritmetica dei voti, come se ne ebbero nel marzo del 2001, per la fortuna del dottor Gennaro, e con pregiudizio enorme dell'organo deliberante; non è più tempo, nemmeno se si tratti della fortuna di lui. In dieci anni la sera è andata scendendo sul prestigio di quasi tutte le grandi istituzioni. Non è il caso di farla più cupa. Giambattista Scidà

GIUSTIZIA PROCESSO GARIBALDITAVOLIERE: RICUSAZIONI NEGATE. LA STAMPA TACE Nel processo (di appello) per l'affare "Garibaldi-Tavoliere" (appalti del nuovo ospedale Garibaldi e del Tavoliere di Catania), nel quale sono imputati, insieme con Infantino Valerio (ex commissario dello Iacp di Catania), Firrarello Giuseppe ed altri, il collegio giudicante è composto dal Presidente Santangelo, dal consigliere relatore Gioacchino La Rosa e dal consigliere a latere Anna Muscarella. Il consigliere relatore Dr. La Rosa è stato ripetutamente ricusato dalla parte civile Messineo (Sig.ra Marina, in quanto erede del padre, Avv.Francesco). Il dr. La Rosa non si è voluto astenere; le ricusazioni (due) sono state dichiarate inammissibili dalla Corte d'appello (la quale, pertanto, non ne ha mai esaminato e trattato il merito). Le ragioni poste a base delle ricusazioni sono imponentissime ed il rifiuto del consigliere ricusato è sconcertante! Il Presidente del Collegio, dr. Santangelo, a sua volta, è stato ricusato dall'imputato Avv. Cicero Giuseppe (rappresentato dagli Avv.ti Antonio Fiumefreddo e Carlo Taormina) per motivi consistenti: si attende in merito la pronuncia della Corte d'appello. Il silenzio dell'informazione rende possibile tutto e tutto scoraggia! Avv. Giuseppe Messineo

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Motivazioni della sentenza del 10.2.2011 del Tribunale di Roma

nella causa penale contro Giustolisi Giuseppe e Travaglio Marco, imputati di diffamazione a mezzo stampa (parte civile: Giuseppe Gennaro). Il Tribunale assolve Giustolisi e Travaglio dal reato loro ascritto perché il fatto non costituisce reato. *** Le prove acquisite nel corso dell'istruttoria dibattimentale non hanno infatti sortito risultati favorevoli all'ipotesi accusatoria. Non appare cosi smentita la versione difensiva di cui danno contezza le dichiarazioni spontanee di Giustolisi, col pertinente corredo documentale di supporto. Marino in udienza sentito come testimone ha affermato ~ fosse notorio nell'ambito delle investigazioni in questione che Gennaro. conoscesse il clan Laudanl ' perché quando era sostituto In procura si era occupato, a seguito. del pentimento di Al/erUlzo, delle investigazioni che riguardano il clan Laudani, investigazioni cile riguardavano fatti degli anni ottanta e addirittura credo avesse adottato anche un ordine di cattura nei confronti di Gaetano o Sebastiano, comunque uno della famiglia Laudani, per tentato omicidio In danno di Alleruzzo. Non venne contestato Il 416 bis e questa cosa fece si, e ricordo che in quello stesso periodo il Laudani si spogliò di alcuni beni proprio perché con un 416 bis si poteva anche intraprendere un procedimento per misura di prevenzione patrimoniale e vendette alcuni beni a Scuto. Ecco perché c'era questo collegamento tra Rizzo, Laudani e Scuto... " (v. esame teste Marino traser f. 19, dietro domanda del Giudice il teste poi precisa che le investigazioni che riguardavano il tentato omicidio Alleruzzo sono degli ani 88 o 89 e che la vicenda della cessione di beni di Laudani a, Scuto è del 92, 93 ) ; E' dunque emerso: che effettivamente Gennaro dopo aver stipulato contratto preliminare di vendita con la società Di Stefano Costruzioni per l'acquisto di un vil1ino in Via MontelIo in S. Giovanni La Punta effettuò l'atto definitivo, il 17 gennaio 1991,

con il proprietario del terreno, tale Arcidiacono, mentre il prezzo, almeno in parte, come emerge dal contenuto della richiesta di archiviazione della Procura di Messina del 18 luglio 2003 (v. ff. 12-13) venne pagato alla Di Stefano sr! ed un assegno, nel gennaio 1991, di lire 18. 000. 000 venne emesso da Gennaro all'ordine di se medesimo e poi girato alla GC F. lli Rizzo snc ; che in effetti un collegamento tra la società di Di StefaIio e Rizzo Carmelo vi era atteso che di essa era socia la moglie di Rizzo C. Concetta Ferlito, che secondo le dichiarazioni sopra ricordate di un teste si limitava a prestare il nome in luogo del marito, soggetto realmente interessato all' attività edilizia svolta dalla soc. Di Stefano. Inoltre come detto risulta che Gennaro avesse corrisposto un assegno nel periodo della compravendita del villino anche direttamente alla società dei fratelli Rizzo. Inoltre a confenna del collegamento milita un documento ( non contestato) prodotto in copia dalla Difesa degli imputati ( sub allegato 5) ossia una ricevuta - sottoscritta in calce da Rizzo Carmelo in corrispondenza di timbro deIla CG Fratelli Rizzo snc - rilasciata da tale Brancato Antonino in S. Giovanni La Punta su carta intestata "CG FRATELLI RIZZO snc" dove si legge che Rizzo Carmelo... nel nome e per conto del geom Finocchiaro Antonio, amministratore deIla Dì Stefano Costruzioni srl dichiara di ricevere lire 10 milioni quale 'caparra confirmatoria per l'acquisto di una unità immobiliare sita nelle costruende villette di Via Mondello Lottizzazione Arcidiacono...e dunque per una villetta appartenente allo stesso novero di quelle di cui fa parte anche la villetta acquistata da Gennaro. Il tra la soc Di Stefano costruzioni e il Rizzo e tramite la prima del Rizzo con il clan Laudani troverà poi anche un supporto in sede giurisdizionale, quando il Gup di Catania il 27 IO 2005 ( e dunque pochi mesi prima della stesura dell' articolo incriminato) manderà a giudizio L. audani Alfio per attribuzione fittizia a terzi di vari beni tra cui oltre le società Rizzo Costruzioni e CG Fratelli Rizzo· la società Di Stefano Costruzioni srl; che in effetti Rizzo frequentava i Laudani, potente famiglìa mafiosa dell' aerea, dal

1985 ( v. dichiarazioni di Gemma) e che Gemma appreso da Rizzo che Gennaro stava acquistando una villa avverti Anna Finocchiaro che Rizzo costruiva per i Laudani. Nella richiesta di archiviazione citata si legge test a f. 12 rimandando a dich di Gemma :".. . Quando aveva appreso che il giudice Gennaro stava acquistando una villetta realizzata da Rizzo aveva sentito il bisogno di informare l'onorevole Abnna Flnocchiaro che conosceva... L'onorevole gli aveva detto che ne avrebbe parlato con il giudice al fine di dissuaderlo ma non. sapeva come fossero poi andate le cose...; che in effetti Gennaro ( e ci si riferisce alla parte dell' articolo che suona : • Menti ai - • colleghi che lo interrogavano.. .. • ) ebbe ad escludere rapporti di sorta con Rizzo in varie rilevanti sedi, tra cui quella giudiziaria ove si svolse il procedimento concluso con la ricordata archiviazione e ciò ebbe a fare in contrasto con molteplici risultanze emergenti sia da fonti dichiarative che dalla significativa fonte documentale costituita da assegno girato all'inizio del 1991 e dunq\le in coincidenza con l'acquisto della villetta alla' CG Flli Rizzo snc : tanto che nella richiesta di archiviazione a f. 21 si legge della smentita nei confronti di Gennaro della di lui posizione negatoria in ordine alla conoscenza con il Rizzo; che in effetti il villino acquistato da Gennaro risultò essere difforme dal progetto tanto che egli presentò domanda di concessione in sanatoria nel 2000, che gli fu accordata -dal Comune di S Giovanni La Punta nell'agosto dello stesso anno e tanto avvenne nello stesso periodo in cui Gennaro coordinava indagini anche nei confronti del sindaco pro tempore di S. Giovanni La Punta, ossia il menzionato Trovato ( v dichiarazioni di Marino e di altro teste sopra indicato nonché documentazione prodotta dalle difese) che in effetti Marino ebbe a rendere le dichiarazioni riportate tra virgolette dai due giornalisti, dichiarazioni peraltro per le quali detto magistrato attinse in particolare proprio dalla citata richiesta di archiviazione, che pur escludendo profili di penale responsabilità a carico di Gennaro evidenziava però taluni dati non chiari e dava atto di una smentita alle posizioni di Gennaro circa i suoi rapporti con Rizzo conseguente ad alcuni elementi raccolti.

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A fronte di ciò le deduzioni di Gennaro, supportate da una relazione di un dottore commercialista, circa la motivazione dell'acquisto definitivo da Arcidiacono, sebbene di per se non inverosimili non paiono però addurre concreti elementi atti a spiegare le modalità della complessiva operazione, che oltretutto ha coinvolto anche altri soggetti ( come la ICOES) tanto più grave si consideri che non sono stati prodotti tutti i contratti ed accordi intervenuti in relazione all' operazione stessa e reperiti (come si legge nella richiesta di rinvio a giudizio) tutti i connessi mezzi di pagamento, con le eventuali ricevute. Anche le deduzioni in ordine al fatto che solo dopo l'acquisto del villino emersero elementi pregiudizievoli a carico di Rizzo da un lato sono messe in discussione da quegli accertamenti dei carabinieri già nel 90 che diedero poi spunto per l'avvio del procedimento per l'applicazione a Rizzo della misura di prevenzione d'altro lato non valgono ad escludere che Gennaro, anche in ragione della sua specifica attività di au-

torità inquirente, espletata precipuamente proprio nell' area di Catania, sicuramente a conoscenza dell'azione del clan Laudani, possa, dall'ottica dei due giornalisti, si badi ai quali erano presenti nuovi elementi sulla posizione del Rizzo e sui rapporti con Gennaro, esser apparso come soggetto comunque intenzionato ad effettuare l'acquisto e a concluderlo sollecitamente, magari con una riserva di sospetto in ordine agli effettivi interessi del Rizzo nell' operazione. Tanto più grave si consideri che verosimilmente le forze dell'ordine stavano già tra il 90 e il 91 raccogliendo elementi, attingendo anche a fonti confidenziali, su Rizzo e sui suoi contatti con la criminalità organizzata. Quanto poi alle modeste dimensioni dell'abuso edilizio le stesse invero a poco rilevano ai fini del contenuto dell'articolo e d'altronde il difetto di produzione dell'intiera pratica di sanatoria non consente di dar credito de plano alle deduzioni della Difesa. Il fatto poi che sia stata prodotta dalla Difesa di parte civile un'unica, ulteriore, concessione in sanatoria rilasciata dal me-

desimo comune nel 2000 del pari a poco rileva ai fini del contenuto dell'articolo, che soprattutto 'calca' l'accento sulla concomitanza di tempi tra il rilascio della concessione e delicate comprovate indagini della Procura di Catania anche sul Comune di S Giovanni La Punta. Si può concludere pertanto nel senso che è stato correttamente esercitato il diritto di cronaca e ìl diritto di critica quanto meno di certo sotto il profilo putativo, evidenziato che il “pezzo” ha un forte contenuto critico laddove evidenzia gli incarichi di elevato prestigio e di alta rappresentanza conferiti a Gennaro, anche "a seguito di contestazioni al suo operato provenienti da colleghi, che almeno in parte avevano ancorato le loro censure a dati concreti e significativi, di cui in particolare dà ampia contezza la documentazione prodotta dalla difesa degli imputati. E' del resto rilevante il fatto che il procedimento a carico del Dr Gennaro, anche pel grave delitto di cui all'art. 416 cp, sia stato originato principalmente dalle dichiarazioni in precedenza rese in sedi istituzionali da Marino. Ricorre anche pei motivi suesposti il pubblico interesse alle notizie in questione vista appunto la posizione di rilievo di Gennaro anche in organo di rappresentanza della magistratura e tenuto conto dell'intero contesto in cui si colloca il “pezzo” che riguarda il magistrato. Ricorre altresi il presupposto della continenza dell'espressione, che non travalica limiti di correttezza anche nella forma e rimanda alle fonti delle informazioni, senza toni gratuitamente denigratori: tra l'altro i due giornalisti nelle parti finali dell'articolo usano la formula dubitativa in ordine alla storicità di dichiarazioni rese da Arcidiacono e da Marino; evitano inoltre in tutto l'articolo di focalizzare l'attenzione su altri contenuti delle indagini a carico di Gennaro e sulle fattispecie penali ipotizzate a suo carico, cosi evitando si spostare la critica su di un piano strettamente personale.

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Politica

Reddito garantito come strumento antimafia Il Sud, l'emigrazione e il lavoro che non c'è

Si fugge da un luogo che non ha nulla da dare, o che rischia di portare disgrazie. Si fugge dal deserto, o dalla guerra. In un certo senso, sebbene con ben più limitati rischi e ben più alte aspirazioni, i giovani italiani del Sud fuggono dalla propria terra alla stessa maniera dei migranti che oltrepassano il mar Mediterraneo. Il nostro deserto è l'assenza di lavoro, la guerra a cui andiamo incontro è quella degli eserciti mafiosi quando ci si frappone tra loro e il controllo del territorio. Ogni anno 20mila laureati fuggono dal Sud al Nord Italia e altri 2mila vanno all’estero, (dati Svimez). In dieci anni, dal 1996 al 2006, 245mila meridionali sono espatriati a fronte di 170mila rientri, con una differenza di circa 75mila unità. I dati sono drammatici e fanno pensare ad altre epoche, che speravamo esserci lasciati alla spalle, quando i cafoni meridionali prendevano i treni per Torino Porta Nuova e s'inventavano operai. Il fatto che oggi a spostarsi siano in gran parte laureati è il tornasole dell'epoca in cui viviamo. La precarizzazione del sistema lavoro e l'indebolimento strutturale dei diritti dei lavoratori in atto da almeno un quindicennio hanno contribuito, insieme alla crisi economico-finanziaria di questi anni, alla marginalizzazione di un'intera generazione di giovani sul piano occupazionale e del reddito. In Italia, nel 2011, un giovane su tre non ha lavoro, con picchi del 38,5% in Sicilia (dati Cgil). Quella che era considerata una sfasatura fisiologica del sistema dell'impiego nell'Italia avviata verso uno spensierato modello neoliberista, povero di welfare, si scopre oggi come elemento strutturale del sistema di produzione vigente. Tra le giovani generazioni, il lavoro a tempo indeterminato diminuisce costantemente. Esperienza comune di questi anni sono i contratti a progetto, i co.co.co. , i part time, il tempo determinato, i rapporti subordinati mascherati da accordi con professionisti a partita Iva, quando non il lavoro nero tout court.

Il lavoro non è più incanalato in un percorso lineare di formazione, pratica e crescita professionale, ma assume la forma di montagne russe in cui il picco massimo raramente supera i mille euro mensili, e i tanti picchi minimi sono le fasi a reddito zero.

Reddito di cittadinanza e Basic income Di fronte a un sempre più ampio scollamento tra occupazione e continuità economica, è evidente ormai che l'unica possibilità per assicurare un reddito minimo a tutti i cittadini in età lavorativa, e soprattutto alle giovani generazioni massacrate dal precariato, evitando loro il rischio ricorrente di una brutale e improvvisa marginalizzazione sociale, sia quella di adottare strumenti di basic income. Reddito minimo, salario garantito, reddito di cittadinanza, ammortizzatori sociali. Sono tante, ognuna per ogni espressione, le varianti che nel tempo da diverse aree politiche ed economiche sono state proposte e in alcuni casi sperimentate. Tagliando con l'accetta, possiamo dire che i sostenitori di questo tipo di strumento si dividono in chi lo ritiene fondamentale un ammortizzatore sociale per il lavoratore che si trova temporaneamente senza un impiego, e chi invece sostiene che qualsiasi individuo in età lavorativa abbia diritto a un sostegno economico di base in quanto cittadino, al di là della propria condizione di impiego. Come daSud, per il momento, non vogliamo entrare nel merito di queste divergenze. Ciò che ci interessa ribadire è che il nostro paese ha urgente bisogno di misure strutturali di sostegno al reddito. E ci preme sottolineare che l'Italia è uno dei pochissimi paesi dentro l'Unione Europea che non ha attivato una qualche forma di reddito minimo. Ciò vuol dire che una misura del genere non solo non è un'utopia, ma è possibile e addirittura comune.

Reddito e lavoro al Sud: il nodo del controllo mafioso Come e più che in altrove, al Sud il rapporto tra reddito e lavoro s'intreccia in maniera paralizzante con gli interessi mafiosi e politico-clientelari. I giovani che emigrano con numeri da inizio del '900, lo fanno innanzi tutto per trovare una prospettiva economica e occupazionale negata al Sud. È ormai patrimonio comune che il controllo delle mafie sulle economie del Mezzogiorno imponga un freno massiccio allo sviluppo economico del territorio e, contestualmente, alla liberazione di energie e competenze proprie dei ragazzi che si avviano ad entrare nel mondo del lavoro. Sono 135 i miliardi di euro che ogni anno l'economia mafiosa guadagna, sottraendoli alla collettività. Quello che è meno risaputo, o che quantomeno in fase di studio si tende a sottovalutare, è il ruolo sempre più centrale che in questo rapporto capitale-lavoro hanno altre figure d'intermediazione tra mafie e cittadini: la classe politica e l'imprenditoria. Secondo il rapporto Res 2010 “Alleanze nell’ombra Mafie e economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno”, che ha analizzato e incrociato dati quantitativi e qualitativi in tutto il Sud Italia, al contrario dei luoghi comuni in merito, nell'aria grigia economica il ruolo del nodo forte non è quello dei mafioso in senso stretto. Il rapporto Res parla di “cordate affaristico-clientelari”, composte da imprenditori, politici e professionisti. Dalla sintesi del rapporto: “La gamma di prestazioni rese da questi soggetti ai mafiosi è molto varia e dipende soprattutto dal tipo di attività svolta e dalle opportunità che puòoffrire. È la situazione in base alla quale si formano spesso dei «cartelli» e dei veri e propri comitati di affari (come emerso ancora in provincia di Trapani) cementati da accordi collusivi che finiscono per controllare e regolare le attività e la filiera produttiva di un determinato settore economico in un dato contesto territoriale”.

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Politica

In un processo in rapida evoluzione che sta portando le mafie a diventare un elemento strutturale, seppure patologico, della modernità, del sistema economico e di potere del XXI secolo. Le mafie controllano il Paese non solo per la forza militare. Ma perché fanno politica ed economia, hanno una sconfinata liquidità e condizionano il mercato del lavoro, si intrecciano con massoneria e all'occasione fanno da sponda ai servizi segreti, infiltrano le istituzioni con cui trattano, inquinano le università. Per dirla in altri termini, stanno nel potere, hanno e gestiscono consenso, contengono il concetto di borghesia mafiosa. Un ragionamento complesso del quale in questo contesto – relativo al reddito - ci interessa isolare in particolar modo la parola “clientelare”. La questione del consenso elettorale per un politico che s'inoltra nella “zona grigia” è fondamentale e funzionale a quella del ritorno economico. Posti di lavoro, reali o presunti, part time o a tempo pieno, indeterminati o a progetto. Questo è il capitale di un politico in grado di portare con sé in dono al partito di turno un folto pacchetto di voti assicurati. Su questa partita si gioca la possibile candidatura, la conseguente elezione, e la successiva porzione di potere da mettere in atto per mantenere e ampliare la propria dote elettorale con nuovi posti di lavoro da promettere. In questa triangolazione, la criminalità organizzata svolge il ruolo di facilitatore di ingranaggi, in cambio di corsie preferenziali per appalti e posti di lavoro per i propri “assistiti”. Il meccanismo è così ben oliato che la criminalità organizzata piazza sempre più spesso direttamente i propri uomini all'interno delle istituzioni. Succede già in alcune realtà, come ad esempio la Calabria, (si

veda il caso di Alessandro Figliomeni, ex sindaco di Siderno) o in Campania, dove il sindaco di Melito, Alfredo Cicala, era egli stesso un affiliato della Camorra.

Lavoro o sfruttamento? Conti in tasca a mafia e clientele Per capire cosa le triangolazioni dell'aria grigia abbiano a che fare col reddito di cittadinanza, bisogna spostare l'attenzione sul terminale ultimo di questo meccanismo e sui benefici che ne trae: il cittadino che si sottopone alla logica del voto di scambio (o di favori di altra natura) in cambio di un lavoro. Le cooperative di servizi sono uno dei mezzi privilegiati per inserire una cittadino votante che si è ben comportato, all’interno del Comune o della Provincia. Si affida la gestione dei servizi, soprattutto di carattere sociale, a cooperative direttamente o indirettamente controllate da un uomo politico, che inserisce nei posti a disposizione i propri raccomandati. Il metodo, negli ultimi anni, si è un po' raffinato: intervengono associazioni create ad hoc per svolgere assistenza sociale, come le attività ludiche per i bambini dei quartieri disagiati, o l'assistenza agli anziani. Anche in questo caso, il ruolo del politico di turno è essenziale per certificare la serietà dell’associazione e per procurargli l’appalto di gestione dei servizi comunali. Gli stipendi, sia nel caso delle cooperative che in quello del “volontariato”, variano a secondo delle ore di lavoro svolte. In ge-

nere, se va molto bene, ci si può trovare a guadagnare 800 euro al mese per svolgere lavori tali e quali a quello che fa un impiegato comunale a tempo indeterminato: abbiamo raccolto “voci” su politici che trovavano questo tipo di lavoro ai raccomandati tramite cooperativa, richiedendo indietro una percentuale di 200 euro su 800. Nella maggior parte dei casi, però, accompagnare i “bambini difficili” al mare frutta attorno ai 400 euro al mese. La durata di questo tipo di lavori raramente supera i 12 mesi. Se ci concentriamo sulla tipologia di contratto offerto al votante in cerca di briciole, possiamo dire che, diventati obsoleti i Lavoratori Socialmente Utili, la frontiera del diritto scambiato per favore passa per i contratti a progetto (Co.Pro). In teoria, il lavoratore viene assunto per realizzare un progetto, è un collaboratore indipendente e non ha obbligo di orari. In pratica, ha solo doveri e nessun diritto: lavora quanto, quando, e come gli altri, e guadagna la metà. I contratti a progetto vengono spalmati dai politici su qualsiasi interesse di scambio elettorale. In un caso che ci è stato raccontato, nel siracusano, l’interessamento di un candidato eletto ha permesso l’assunzione con contratto a progetto in un ipermercato per sei mesi: paga 400 euro per 12 ore di lavoro al giorno. Nella stessa zona, una agente di sicurezza viene assunto grazie a raccomandazione eccellente con una combinazione di contratto part time e a progetto a 900 euro al mese per 8 ore lavorative. I Co.Pro vengono anche utilizzati per assegnare posti in Comune o alla Provincia tramite speciali carambolazioni. Ad esempio, la Provincia delega il compito di trovare personale adeguato per dei servizi di cui necessita a un’agenzia intermediaria di lavoro interinale. Formalmente la scelta spetta all’agenzia, che prende una percentuale sulle persone “collocate”.

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Politica

In pratica, chi deve lavorare lo sceglie sempre il solito politico che piazza l’elettore fedele, tramite apposita segnalazione all’agenzia compiacente. I contratti a progetto raramente superano la durata di 6 mesi, e obbligano il lavoratore alla fedeltà perpetua per il timore che il contratto non venga ripetuto. In alcuni casi si arriva al paradosso di persone che sono state costrette a votare il centrodestra per avere il lavoro e nelle elezioni successive il centrosinistra per avere il rinnovo del contratto. Per gli amici veri, l’onorevole di turno ha uno speciale asso nella manica: i corsi di formazione professionali. Neolaureati con scarsa conoscenza della materia vengono “consigliati” come docenti di informatica o lingue straniere in corsi presso istituti privati, spesso finanziati dal pubblico, che durano alcuni mesi e fruttano al fortunato diverse migliaia di euro. Il gradino più basso della scala del clientelarismo è costituito dal servizio civile volontario. Dopo la fine della leva obbligatoria, anche i maschi entro i 28 anni possono vincere il concorso e svolgere un’attività socialmente utile per 12 mesi. La paga è di 400 euro mensili. E in Sicilia, spesso, il primo prossimo che si aiuta è il politico di turno, che si ringrazia dell’interessamento con i voti della famiglia. Siamo di fronte, dunque, a salari che che raramente superano i 600 euro, e in molti casi si fermano al di sotto dei 500. A confermare la nostra ricerca, basata su dati del 2006, gli ultimi dati dell'Istat sull'ultimo trimestre del 2010, rielaborati da DataGiovani. I salari d'ingresso per un giovane under 30 al primo impiego al Sud si attestano attorno ai 748 euro di media. Nel caso delle donne, calcolando una differenza negativa del 9%, possiamo ipotizzare uno stipendio di 680 euro.

Se analizziamo andando ancora più nello specifico, nel settore del commercio, le retribuzioni sono più basse del 20% rispetto alla media. Significa che in questo settore un giovane guadagna in media 598 euro al mese. Se aggiungiamo l'handicap del 9% per la retribuzione femminile, possiamo concludere che, seguendo quanto segnalatoci dall'Istat, è assolutamente nella norma che una commessa siciliana o calabrese, guadagni meno di 540 euro al mese, pur lavorando a tempo pieno. E questi, si badi bene, sono i dati che l'Istat ha potuto ricavare da situazioni occupazioni rintracciabili grazie a qualche forma di contratto.È possibile immaginare che nelle sacche di lavoro in nero, prive di qualsiasi tutela, esistano casi di sfruttamento ancora più acuti.

Reddito minimo: uno strumento antimafia A questo punto vengono spontanee due domanda e una considerazione. Perché al Sud ci si sottopone a sfruttamento salariale e fisico, perdita della propria dignità politica, e precarietà esistenziale spinta? Perché evidentemente anche 500 euro al mese, in contesti in cui il costo della vita è più basso che in altre parti d'Italia, fanno la differenza tra povertà e integrazione socioeconomica nella comunità in cui si vive. E perché evidentemente le occasioni di averceli, questi 4-500 euro a fine mese, si riducono quasi soltanto a un'ottica che prevede o lo sfruttamento, o il clientelismo, o entrambi.

La seconda domanda è: Quanti di fronte a un reddito di cittadinanza che promette grossomodo la stessa cifra senza chiedere nulla in cambio, si sottrarrebbero al giogo dello sfruttamento, magari denunciando, e a quello della sudditanza al sistema politicoclientelare che fa da potente sponda al controllo mafioso del territorio? Noi crediamo che sarebbero in tanti. L'Italia è oggi un Paese dove precarietà esistenziale, precariato lavorativo, capitalismo selvaggio, gestione mafiosa del territorio, attività economico-politica delle criminalità organizzate si intrecciano e si confondono senza soluzione di continuità. A farne le spese, sono soprattutto i giovani, spesso iperformati e allo stesso tempo espulsi dal mondo del lavoro, o altrimenti mantenuti sotto il ricatto dello sfruttamento. E tra i giovani, sono quelli provenienti dalle aree sottoposto a maggior controllo mafioso, depredati due volte, dalla violenza del neoliberismo e della criminalità organizzata, a subire il danno maggiore. Fuggono verso un Nord sempre più simile al Sud. Fuggono verso un territorio che si arrende progressivamente all'invadenza mafiosa e alla demolizione dei diritti dei lavoratori a beneficio del capitale. Al Sud resta il controllo arcaico e spregiudicato al tempo stesso di mafie e politica clientelare. Chi resta si trova a scegliere spesso tra l'indigenza e un tozzo di pane in cambio del personale e umiliante contributo al mantenimento dello status quo. Fornire un reddito minimo ad ogni cittadino di queste zone, soprattutto ai giovani, crediamo costituisca uno strumento formidabile per sottrarlo al giogo delle mafie, e per sottrarre alle cosche e alla malapolitica il principale strumento di ricatto e di potere. Associazione DaSud info@dasud.it www.dasud.it

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Economia

Favola dell'economista estemporaneo Una fiaba senza morale...

Secondo una teoria fisica irrefutabile, l’energia non si crea né si distrugge: semplicemente –semplicemente?- si trasforma. Non sono esperta in cataclismi tellurici; fra le formule fisiche mi muovo con certa inettitudine e, veramente, la mia conoscenza del volatile mondo delle finanze è senz’altro povera e di dubbiosa base teorica. Ma penso che il denaro è come l’energia: non si distrugge mai, in ogni caso si trasforma e, soprattutto, si distribuisce secondo precetti ineluttabili e occultisti. Cinque anni fa governi e banche ci hanno convinti di essere ricchi. Io non capivo bene il miracolo del denaro plastico e non volevo disturbare la felicità altrui –disinvolta e frizzante come un Lambrusco prima di mangiare-. Tutti si vedevano pletorici, pieni di sé, soddisfatti...la banca elargiva una richezza che non c’era e noi spendevamo un denaro che non avevamo.

Una persona cosiddetta esperta, legata a quel spettacolo della meraviglia, mi spiegava –ma io sono apprendista indolente e di lenta assimilazione- che, quando qualcuno aveva un’ipoteca e, malgrado questa scoperta affascinante della virtualità fatta carne ed ossa, non aveva abbastanza per vivere, si appellava a un’altra ipoteca. Ecco qua il prodigio: dove prima il debito era di 30000 € adesso la quantità di-

ventava 60000. Problema risolto e faccia felice rinnovata. Il sillogismo è di comprensibile complessità: con 30000 € non si poteva vivere, e grazie all'applicazione dell'ingegneria finanziaria che ingrandiva il buco, la vita sembrava non soltanto sopportabile ma perfino piacevole. I miei amici finanzieri mi guardavano con benevolenza e un pò di compassione per la mia incapacità di intravedere la luce nell’ovvietà. La chiave era il rubinetto. Quel rubinetto d’acqua miracolosa che, aperto sine die in tempi di vacche grasse e richezza globalizzata, la banca ha dissipato con prevedibile gioia. (Un guastafeste ci ha detto anni più tardi che l’acqua non era miracolosa e che, di fatto, non c’era neanche l’acqua). Un miraggio inventato da noi. Una finzione di credenti senza dio. Il denaro era un bene intangibile, tanto intangibile che è sparito nell’interminabili tasche di quelli che hanno creato questa truffa piramidale. La banca ha chiuso i rubinetti ed aspetta che i governi, generosi con quello che non gli appartiene, aprano le riserve di speranze, false e fragili come la tangibilità delle monete assenti. Ma la domanda rimane la stessa: se il denaro non si distrugge, dov’è? Ha cambiato la sua topografia? Il suo segno d’identità? Il denaro è lo stesso. Ma le mani nelle quali sta, sono poche. Anticamente i prestigiatori non cavavano dal cilindro conigli bianchi e cotonosi, ma migliaia di milioni che ci abbagliavano nella loro apparizione da Santa Immacolata...I credenti aumentavano e si facevano devoti dei pani e dei pesci moltiplicati, sotto forma di mattoni, marketing di dubbiosa legalità e bugie a cui a tutti conveniva credere. All’improvviso, però, quel prestigiatore esce di scena e si porta

via con lui la visione del denaro dorato, promettente di futuri dove ci libereremmo della maledizione biblica di lavorare.

La subita sparizione del prestigiatore ha lasciato il teatro muto e nell’oscurità, il pubblico pensando con furore se quell’incantesimo era solo un sogno, e chiedendo a urla l'uscita di emergenza verso la pura realtà della vita senza travestimenti. Oggi, omessa già la consolazione del pretigiatore, chi aveva assunto il debito di 60000 € credendo al grande affare della sua vita in quel furore economico agitato, è rimasto con i suoi 60000 € di debito, colla vita ipotecata (in Spagna, dopo aver dovuto restituire la proprietà acquistata grazie a prestiti impossibili si deve continuare a pagare la banca), con la prova certa che il denaro, effettivamente, non è distrutto, ma sì spaesato: lontano. La ricchezza è sempre la ricchezza degli altri. Mia nonna centenaria, che non ha mai capito niente di economia, non ha smesso di fare il calcolo colle dita, e si può dire che quello è stato il suo successo. Dalla prospettiva di quella scienza molto più difficile che è il senso comune, sorride colla vanità del sopravivvente nato e privilegiato, e minaccia con un gesto dispregiativo della sua mano pergamenata quando si parla di crisi. Natalia Fernandez Diaz

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Satira

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Satira

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Libri

L'Italia cantata fra cronaca e poesia L'antimafia antiretorica di Pietro Orsatti

In Italia non mancano i giornalisti, mancano i narratori. Sappiamo abbastanza bene chi è Dell'Utri, quanti anni ha l'ultimo acquisto di Berlusconi, quanta gente ammazza - per annegamento - la Lega ogni anno. Sappiamo tutte queste cose, e altre ancora: eppure, profondamente, non le sappiamo. Le cose succedono, certo. E come si fa a nasconderle, nell'epoca di Facebook e dei videofonini? I mafiosi mafieggiano, e i vecchi bavosi sbavano, e i bombardieri bombardano, davanti agli occhi di tutti. Ma dove le fanno tutte queste cose? Al di là del vetro, nel Mondo Due - film, tg, fiction, e anche frammenti di realtà - in cui vivono essi e, nel periodo in cui li osserviamo, viviamo noi. Hai voglia a far girare la telecamera, hai voglia a piazzare microfoni sotto i musi. L'uomo sulla poltrona, quello del telecomando, nel cucinino prolet o nella stanza borghese, sta guardando uno spettacolo, anche e soprattutto quando guarda cose vere. Ci sono gli occhi sbarrati, ma non gli odori. La camera viaggia tranquilla, indifferente come un dio di Eschilo. Gli esseri umanisono molto vicini a sembrare veri, un reportage da Lampedusa o Tor Bella è un'ottima computergrafica montata da chissà chi. Questo percepisce lo spettatore. * ** Ma non con "Comizi d'amore", non con Carlo Rivolta o Sandro Penna. Con loro nella borgata romana ci stai davvero. Non sei dietro uno schermo, ci stai là in mezzo. Eppure l'inchiostro è lo stesso, e non è che la pellicola sia diversa. C'è solo una cosa in più, cui abbiamo rinunciato a dare un nome (gli antichi lo chiamavano "poesia") e non glielo diamo perché non sia riassorbito-digerito dai monitor come tutto il resto. Ecco: quelle di Orsatti sono narrazioni. Narrazioni "di cronaca" (e anche, tecnicamente, di cronaca esatta) ma in cui, oltre la cronaca ci sono sensazioni di altre cose. C'è un mondo, ti fa sentire Orsatti quando a fortuna, che esiste veramente oltre casa tua, non un mondo da fiction, un mondo vero. Non nasce come cronista di mafia, per quel che ne so io: qui è

stato a scuola. Eppure, in certi pezzi di mafia, si sente l'atmosfera di un Besozzi, di una Giuliana Saladino: ti fa attraversare un mondo in cui il morto di mafia (e anche il vivo di mafia) è solo la punta di iceberg di tutto un continente. Non credo che l'abbia imparato (le cose di questo genere non s'imparano), non credo che lui sapesse d'averlo dentro, ma l'ha riconosciuto subito, quando l'ha incontrato. E ce lo trasmette subito, da narratore. Non sono tempi facili per i giornalisti appena non regolamentari, in Italia qui e ora. E figuriamoci per i narratori. Orsatti avrebbe figurato benissimo, ovviamente, nel vecchio Avvenimenti di Fracassi e Turone, proprio per questo istinto di cronista dell'umanità, di raccontatore. Nel nuovo "Avvenimenti" (un giornale italiano si decora ogg, per un caso bizzarro, di questa parola) altrettanto ovviamente per lui non c'è stato posto. Palazzi, grandi politici, grandi parole: basta ben poco, adesso, a contentare i giornali perbene "di sinistra". Così si è meritato di avere il Pulitzer dei veri giornalisti italiani: la disoccupazione.

Orsatti, in questi anni, sta imparando il mestiere finale dei giornalisti di sinistra (veri), cioè l'editore. Fare un pezzo non basta, bisogna fare un giornale. Fare un giornale non basta, bisogna farci attorno una rete. E fare una rete a che serve, se non - prima o poi - a costruirci attorno una rivoluzione? *** Ecco: a questa parola "rivoluzione" tu, occidentale saputo, hai sorriso. Ti sarebbe bastato aver parlato con Ridah, la settimana scorsa, per sorridere di tutt'altro genere di sorriso. Ridah che ti spiegava tranquillo (Ridah è studente, forse di Roma o Catania, in realtà forse di Casablanca) come si fa tecnicamente a connettere a un gateway in inglese un flusso di mail nate in "arabish" o in arabo puro. Parlavano di queste cose, Ridah e gli altri, come altri studenti avrebbero potuto parlare - in altre giovinezze di altri secoli - di contestazione globale o di pavè e barricate, con la stessa dimessa ma concretissima serietà. Ce la farà Pietro Orsatti ad essere cronista fra l'altro - di questo prossimo Quarantotto, di questo Sessantotto a venire, di questa (comunque vorranno chiamarla) rivoluzione? Quanto tempo gli toccherà tener duro, per arrivarci? Tre? Cinque? Venti? Si accettano scommesse. R.O.

APPUNTAMENTI ROMA 27 MAGGIO AL MARIO MIELI Roma 27 maggio ore 20 presso il Mario Mieli via Efeso 2/a (metro S. Paolo) L’Italia cantata dal basso finestre sbieche sul Belpaese di Pietro Orsatti Blog sul libro "L'Italia cantata dal basso" http://orsatti63.tumblr.com/ http://www.facebook.com/pietro.orsatti http://www.facebook.com/profile.php? id=100002252806224 http://twitter.com/orsatti63 www.gliitaliani.it

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Appuntamenti

Ricordare (e difendere) Mauro Rostagno

Mauro fa ancora paura: non hanno ancora rinunciato a gettar fango su di lui

Il 4 giugno a Siracusa e il 19 giugno a Roma ci saranno due iniziative su Mauro Rostagno. In particolare a Siracusa si vuole ricordare la figura di Mauro da Lotta Continua a Macondo, dall'India a Saman, all'impegno antimafioso ed al giornalismo di frontiera. Il suo lavoro di giornalista in una televisione locale in provincia di Trapani era fatto di inchieste sui traffico di armi e droga, sulle cosche mafiose del luogo, sulla struttura locale di Gladio (di cossighiana memoria) e sulla loggia massonica trapanese “Scontrino ". Pochi giorni prima di essere ammazzato Mauro aveva ottenuto, tramite la sua collaboratrice Monica Serra, un colloquio con Giovanni Falcone. Al convegno hanno già dato la loro adesione Giovanni Impastato, Riccardo Orioles, Rino Giacalone e il segretario dell'Assostampa siciliana Alberto Cicero. *** Il 19 giugno a Roma, alla presenza di Claudio Fava, Giovanni Impastato, Rita Borsellino ed altri verrà invece costituito il comitato "Pro Mauro", che avrà essenzialmente il compito di seguire passo dopo passo il processo a Trapani agli assassini di Rostagno, i killer Mazara e Vigra. E il compito - così come ce l'assumeremo a Siracusa, anche come compagni di Lotta Continua - di rintuzzare qualsiasi tentativo di riportare il processo a ipotesi che la magistratura ha definitivamente sepolto. Qualche buontempone travestito da giornalista ha infatti affermato che sarebbe il caso di "riverificare altre strade" già percorse all'inizio dell'inchiesta, risultate peraltro campate in aria: rilanciare, in sostanza, la possibilità di un omicidio maturato nel cerchio ristretto della comunità (vale a dire Cardella) e dell'ambito familiare (come dire Chicca Roveri, che ha già do-

vuto subire l'umiliazione del carcere, ingiustamente accusata di complicità nell'omicidio del suo compagno). Per quanto mi riguarda, tirare fuori queste ignobili storie è assolutamente una porcata e come tale vanno considerate le idiozie scritte in tal senso proprio ora che il processo è iniziato. Le inchieste sugli assassinii di Peppino Impastato, Giuseppe Fava e Mauro Rostagno hanno delle somiglianze fra loro. All'inizio le indagini "a 360 gradi" si sono indirizzate tutte all'interno dell'ambiente di lavoro degli uccisi, tenendo fuori ogni ipotesi di omicidio per mano mafiosa. Peppino, secondo queste prime "indagini", era un terrorista. Fava la vittima di qualche marito geloso. Rostagno, di probabili forti contrasti nella comunità o in famiglia. Ci sono volute manifestazioni, mobilitazioni civili e tanta controinformazione per fare emergere ciò che era subito evidente e chiaro per tutti: omicidi mafiosi. Per Peppino Impastato e per Giuseppe Fava i processi sono stati fatti e conclusi con sentenze di colpevolezza nei confronti degli assassini (nel caso di Peppino anche del mandante Badalamenti).Ora tocca agli

assassini di Mauro, non per una questione di vendetta, ma per giustizia e per ridare serenità ai familiari. Ai giornalisti siciliani uccisi dalla mafia - Cristina, De Mauro, Francese, Spampinato, Alfano, Impastato, Rostagno e Fava dobbiamo grande rispetto ed anche gratitudine per avere condotte battaglie impari contro la mafia, il più delle volte isolati dai loro stessi colleghi. A quanti di questi ultimi - cui ricordo che l'Assostampa siciliana si è costituita parte civile nel processso - intendessero proseguire sulla strada della diffamazione e del vituperio, posso solo dire solo una cosa: fatela finita, perché in caso contrario... una grassa risata vi seppellirà. Lillo Venezia

SCHEDA LE DATE DELLE MANIFESTAZIONI 4 giugno, ore 17. Siracusa, Centro Pio La Torre Intervengono: Paolo Brogi, Lillo Venezia, Riccardo Orioles, Rino Giacalone, Giorgio Zacco, Alberto Cicero, Vittorio Corradino, Carmelo Maiorca, Libera di Ragusa,Giovanni Impastato ed altri che vorranno aderire. Sel Sicilia aderisce., così come l'Assostampa Siciliana e l'Ordine dei Giornalisti di Sicilia. Durante il convrgno sarà esposta una mostra con scritti di Rostagno a cura dell'Associazione Ciao Mauro di Trapani. Sempre durante il convegno saranno letti contributi dei familiari di Rostagno e di Adriano Sofri 19 giugno, ore 18, posto da definire, a Roma. Intervengono: Claudio Fava, Rita Borsellino, Giovanni Impastato, Paolo Brogi, Chicca Roveri, Maddalena Rostagno

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Siciliani

“Mentre l'orchestrina suonava Gelosia”

Il libro di Antonio Roccuzzo sui suoi anni ai Siciliani. Eccone uno stralcio

«Buongiorno, direttore. Si ricorda di me? Vorrei fare il giornalista». La telefonata iniziò proprio così. Nel più scontato dei modi. «Portami qualcosa che hai scritto» aveva detto Pippo Fava tagliando corto, come si fa sempre con i principianti. Quello appena passato, il 1979, era stato l’anno dedicato dall’Onu all’infanzia. Il tema mi sembrava d’attualità. Nei due giorni successivi alla mia imbarazzata telefonata avevo scritto un pezzo, anzi un’arringa, sull’infanzia abbandonata, sfogliando qualche libro e consultando statistiche sulla fame nel mondo e sullo sfruttamento del lavoro minorile nel Sud d’Italia. Il mio amico Sergio stava per laurearsi in psicologia e faceva il volontario al brefotrofio della città. «Trecento bambini abbandonati, senza assistenza, sbattuti in uno stanzone bianco per ore…» mi aveva raccontato. Così avevo riempito quattro facciate, dattiloscritte in spazio 1, fitte di commenti sul pericolo che l’umanità dimenticasse la parte più indifesa di se stessa. Poi ero andato al giornale, di lì a poco la mia prima redazione. Era il 2 marzo 1980, per l’esattezza. Avevo ventuno anni e, in quei mesi, mio padre stava morendo di tumore. Stringevo in mano il pezzo che Fava mi aveva chiesto. Mi ero fatto annunciare dalla segretaria del direttore di quel quotidiano non ancora nato, ma con i corridoi già affollati di miei coetanei. L’attesa era durata una decina di minuti. Dieci giorni dopo l’esordio del «Giornale del Sud», mio padre morì. Quella notte ero tornato a casa tardissimo; all’inizio si facevano sempre le due o le tre per confezionare il giornale in tipografia. Appena socchiusa adagio la porta di casa, sentii il fischio di mio padre morente, un segno convenzionale tra noi. «Come stai? Ancora sveglio?»«Bene, bene. E al giornale? E Pippo Fava, come sta?» Era ormai cieco, ma lucido. Fino alla fine.

Non aveva ancora sessant’anni. Aveva cominciato a stare male un anno prima. La città lo aveva stritolato. Le barzellette non erano bastate a rendergli la vita felice. Lui aveva continuato a raccontarle anche ai funzionari di una cassa artigiana e rurale della quale era notaio da vent’anni. Un funzionario di quella cassa, tra una risata e l’altra, gli aveva fatto firmare alcuni certificati a falsi o inesistenti artigiani. E così era finito per un mese in carcere per falso in atto pubblico, per aver raccontato barzellette vere mentre firmava atti che non sapeva falsi. Lo scandalo aveva fatto rumore. Il notaio più simpatico e onesto della città era stato sbattuto in prima pagina accanto a politici e funzionari corrotti ideatori della truffa. La sua vita era finita in quel momento, travolta da una città di cui non si era accorto, camminandovi dentro sorridente e inconsapevole: come un cieco sul ciglio di un burrone. La mattina dopo la sua morte, Fava scrisse di lui sul giornale, del suo sorriso bambi-

no, della sua onestà e simpatia. Quasi l’epitaffio di una città morente. Tornai al lavoro dopo qualche giorno, e Fava, paterno ma sbrigativo, disse: «Mettiti sotto! Ora hai un motivo in più per iniziare a fare bene e fino in fondo questo mestiere. Mi dispiace…». Poi, mentre uscivo dalla sua stanza, comunicò: «A proposito, da domani passi alla cronaca nera». La stanzetta della cronaca nera era affollata da ragazzi: meno di cento anni in quattro, sedici ore in movimento su ventiquattro. L’inizio di un’avventura. A metà luglio, in piena festa della Madonna del Carmine, fu ucciso un uomo. Mentre l’orchestrina suonava “Gelosia”, titolò pomposamente il «Giornale del Sud». La cronaca era firmata da me, ma interamente riscritta dal direttore. In piazza Bovio, centro storico, poco dopo l’omicidio, c’era ancora un sacco di gente. Un tempo quella era la festa dei catanesi, l’inizio della stagione balneare, l’occasione per fare scalzi – ricchi e poveri, buoni e cattivi, mafiosi e onesti – il pellegrinaggio con il cero in mano. Quell’anno ci fu il delitto. Due giovani s’inseguirono in piena festa, si presero a schiaffi e a pugni, litigando si gettarono nella fontana intorno alla quale la gente passeggiava. Poi, uno dei due tirò fuori la pistola dalla giacca e sparò. Per gelosia, per una donna. «Non c’era orchestrina…» mi ribellai di fronte alla sfrondatura del pezzo e al titolo scelto dal direttore. «C’era solo una cassetta di musica napoletana sparata a mille watt.» «È più efficace così» obbiettò Fava sorridendo. Fu la mia prima cronaca di un omicidio. Pippo Fava, da adulto, aveva assunto uno stile sempre più guascone: il volto solcato da profonde rughe, la barba folta, il sorriso acuto e sfottente. Più Cyrano de Bergerac che don Chisciotte de la Mancha.

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Siciliani

Moralista, orgoglioso e testardo, i suoi affondi letterari erano carichi di aggettivi ma toccavano direttamente l’obiettivo. Non si batteva mai contro «mulini a vento», ma contro potenti in carne e ossa da smascherare con le parole. Faceva nomi e cognomi, senza peli sulla lingua, usando spesso la letteratura e il teatro piuttosto che l’inchiesta giornalistica e le statistiche. Durante i primi vent’anni di carriera, Fava aveva intervistato tutti i personaggi della vita politica, tutti i protagonisti della cronaca in Sicilia. A partire dal 1965 aveva fatto numerosi scoop per il «Tempo Illustrato», settimanale d’inchiesta nel quale si andavano consolidando una generazione di grandi firme del giornalismo e alcuni tra i più originali scrittori italiani dell’epoca, a partire da Pier Paolo Pasolini. Una foto degli anni Sessanta ritrae un Fava poco meno che quarantenne seduto nel salotto dell’anziano boss mafioso di Mussomeli, Giuseppe Genco Russo, durante un’intervista esclusiva. Quel vecchio boss, mafioso ormai «in pensione» e con la pipa in bocca, gli aveva consegnato un memoriale che iniziava così: «Mi chiamo Giuseppe Genco Russo e sono stato il capo della mafia…». Attraverso la cronaca, Fava aveva imparato a conoscere gli uomini. E ogni suo gesto, anche privato, era una piccola, dolce provocazione nei confronti del contesto. Lo stivaletto nero, i blue-jeans, il borsello, il giubbotto di pelle comprato a Roma, la sua faccia scavata, le radici della commedia e della tragedia greca sempre presenti nelle sue cronache. L’inquietudine e la curiosità lo spingevano a non accontentarsi mai e a cercare sempre nuovi progetti da realizzare. Era un uomo che conosceva il mondo, ma non smetteva mai di rivendicare la sua identità abbarbicata nella provincia italiana. Fava aveva saccheggiato ogni angolo della cronaca siciliana: «Dietro ogni

notizia, miserabile o istituzionale, bella o brutta, c’è sempre la storia di un uomo» diceva. Teorizzava la cronaca come racconto. Alla fine degli anni Settanta aveva iniziato a disegnare i cattivi locali (politici, imprenditori, mafiosi) come tanti Mackie Messer, banditi grotteschi e sfacciati, senza ironia e senza pudore. Mai eroi. Era un uomo pignolo e scanzonato, con le debolezze e le fissazioni di ogni siciliano: i grandi piatti di spaghetti con salsa, basilico, ricotta salata e melanzane, una buona nuotata, la passeggiata sul corso di Taormina. Il sole. Le donne. Il sesso. I sogni realizzati un attimo dopo averli fatti. L’instancabile voglia di raccontare e raccontarsi. La voglia di ridere e di dissacrare i potenti. Aveva la sfrontatezza e l’allegria di un ventenne. Giocava a calcio, preso in giro dagli amici: grande stratega e teorico negli spogliatoi, in campo era un disastro, ma non lo avrebbe mai ammesso. Si appassionava alla competizione sportiva, senza violenza, per misurarsi con gli altri. Voleva vincere. Non metteva mai in preventivo la sconfitta e, proprio per questo, non era, né sarebbe mai stato, un eroe retorico. Gli piaceva troppo vivere e per questa semplice ragione credo che non avesse mai

pensato di poter diventare – un giorno – lui stesso un simbolo o un eroe: è solo che non immaginava di vivere e fare il suo mestiere di cronista in un modo diverso. Aveva paura di invecchiare e amava troppo la vita, anche le piccole debolezze che te la fanno goderee alle quali non avrebbe mai rinunciato. Negli anni Sessanta e in quelli del movimento sessantottino era stato la penna più brillante e irriverente dei paludati giornali ufficiali di Catania, «la Sicilia» e «Espresso sera», che i gruppi della contestazione studentesca definivano con sommo disprezzo «fogli scelbiani». All’inizio degli anni Ottanta e alla fine della sua evoluzione professionale, Fava diventò il punto di riferimento per un irriguardoso gruppetto di cronisti ventenni, e dunque senza esperienza. A tutti, confessando il suo irrequieto bisogno di novità, diceva: «I miei amici ora sono loro». Parlava con orgoglio. E si ribellava così alla colpevole immobilità della sua città, al modo di essere di colleghi e amici suoi coetanei. In fondo, continuava a essere il ragazzo battagliero e ottimista che più di trent’anni prima aveva iniziato a stupirsi, raccontando il mondo visto da Catania.

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Movimenti

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