The Artship

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Alex Roman, Stile e Sovversione, Igort, Canova, Invasione Acusmatica, M.A.U., Abramovic Method, Giulietta Fara, Alessandro Bergonzoni, Krypton, Cyrill Zammit, Naked Brunch, O’ Reilly. Billy Wilder, Esperimenti di Luce, Illegal Cinema, Miart, Claire Fontaine, Pinot Gallizio, Astri in Azione. Seo Young Deok e Jaume Plensa: Comparative Steel,

#3 MARZO - APRILE 2012


Proprietario e direttore: Vicedirettore: Responsabile di redazione: Responsabili di sezione: Responsabili rapporti esterni: Hanno collaborato a questo numero:

Paola Pluchino Andrea M. Campo Giuditta Naselli Rita Aspetti, Gabriella Mancuso, Elisa Daniela Montanari, Luigino Oliva, Elena Scalia Margaux Buyck, Sandra Dalmonte, Valeria Taurisano Silvia Elisa Bordin, Laura Buono, Vincenzo B. Conti, Ilario D’Amato, Michele Di Pasquale, Pasquale Fameli, Federica Melis, C.S.

Special thanks to: Per le illustrazioni: Graphic editor:

Alessandro Bergonzoni, Edoardo Di Mauro, Giulietta Fara, Cyrill Zammit Andrea de Franco e Agata Matteucci Damiano Friscira

Registrato presso la Cancelleria del Tribunale di Bologna Num. R.G. 261/2012, al N. 8228 in data 03/02/2012. Stampatore: Asterisco di Nucci L. &C., via delle Belle Arti 31/A, Bologna.

Con il Patrocinio:

In copertina: Marina Abramovic, The Abramovic Method: Chair for Man and His Spirit Materials: Wood, Selenite. 2012 COURTESY MARINA ABRAMOVIC


INDICE 5

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Bayt Hanami (Paola Pluchino) Macadam Museum Storia di un museo senza confini

(di Elisa Daniela Montanari)

I Racconti di Fedra Naked Brunch (di Andrea M. Campo)

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Motivi Canoviani (la Redazione)

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Sound Forward L’invasione acusmatica nell’arte contemporanea (di Pasquale Fameli)

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Peanut Gallery Cinque atti teatrali verso una nuova percezione dell’opera d’arte (di Elena Scalia) Divagazioni Pneumatiche (di Federica Melis)

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In Conversation With Intervista a Giulietta Fara, direttore artistico del Future Film Festival (di Paola Pluchino) Intervista ad Alessandro Bergonzoni (di Andrea M. Campo)

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In Conversation With - International Intervista a Cyril Zammit, Fair director del Design Dubai Days

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Urban Addicted Pinot Gallizio e la pittura industriale (la Redazione)

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Io, Tu, Lei E Lui (la Redazione)

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Postmodernismo come resistenza (di Paola Pluchino)

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Claire Fontaine: sans dout par antiphrase (la Redazione)

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Heart Bauhaus Alex Roman, The Third & The Seventh (di Michele Di Pasquale)

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E-Bomb Le animazioni lo-fi di David O’Reilly (di Laura Buono)

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Illegal cinema (di C.S.)

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Open Call (di Gabriella Mancuso)

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The Abramovic Method (di Paola Pluchino)

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Miart la città – stato dell’arte (di la Redazione)

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Ballon Igort: l’indiscreto fascino dell’ hard boiled (di Andrea M. Campo)

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La moltiplicazione di Pulcinella (di Ilario D’Amato)

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Routes (di Gabriella Mancuso)

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B(a)uy It Comparative Steel (la Redazione)

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L’Immanente e il Trascendente Profumo di luce (di Vincenzo B. Conti)

(Intervista a cura di Paola Pluchino, traduzioni a cura di Margaux Buyck)

Punctum Astri in Azione a Milano (la Redazione) Passepartout Inside Creative Area Esperimenti di luce (di Silvia Elisa Bordin)

Il Proiettore di Oloferne Billy Wilder? Il cinema (di Giuditta Naselli)

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Andrea De Franco, Tre. Matita d’ulivo e inchiostro fatto in casa su carta Favini, 2012

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BAYT Hanami

Massive Attack - Teardrop

Sapete una cosa, io mi alzo alle cinque tutte le mattine, lavoro da mattina a sera, maneggio soldi miei e di altri, e vedo bene che razza di gente ho intorno. Basta cominciare ad occuparsi di una qualunque cosa per capire quanti pochi galantuomini ci siano in giro, gente di cui ci si possa fidare. Talvolta, quando non riesco a prender sonno, penso: Dio, ci hai dato boschi immensi, campi sterminati, orizzonti sconfinati e, vivendo su questa terra, anche noi dovremmo essere dei giganti Anton Pavlovic Cechov, Il giardino dei Ciliegi

EDITORIALE

Infine giunse la primavera. I fiori si dischiusero sotto il tepore caldo del primo timido sole. Le donne rivelarono la bianchezza delle grazie, carezzandosi il volto coi bagliori mattutini. Il cinguettio degli uccelli fece svegliare le anime gentili, corpi assopiti nel placido dormire dell’inverno. Dopo il silenzio, anch’esso per certi versi soffice rifugio del meditare, le piazze si ricolmarono e i ghiacci si sciolsero, abbeverando l’acqua della fonte. Questo numero porta con sé il lavorio dietro le quinte che ha preceduto il germoglio, qui posto insieme alle radici dell’indagare, mai pago nello svecchiare l’estasi. Reduci da presentazioni ufficiali, torniamo all’opera montando e scomponendo i gesti del valoroso nuovo e originale, quel temerario e delicato fiore che nel brusio si erge a dolce monito del coraggioso esprimere. Celebriamo così la pulizia della sostanza, lontana dalla mera e deprecabile copiatura. Lontani ma non per questo slegati dai nostri alleati e lontani amanuensi, questo seminare fiorisce, come nuova primavera gioiosa, meraviglia che l’investe, per fulgida architettura di luce. Grazie all’Università di Bologna, che premia il nostro lavoro con l’alloro dal bianco fiocco. Paola Pluchino

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MACADAM MUSEUM Storia di un museo senza confini

Il M.A.U., Museo di Arte Urbana di Torino, si racconta di Elisa Daniela Montanari

Torino, forse la città più all’avanguardia nella gestione e promozione dell’Arte Pubblica in Italia, si impreziosisce di un nuovo Museo. La volontà è quella di creare, nel cuore pulsante del centro metropolitano, un insediamento permanente di arte “a cielo aperto”. Nasce così il M.A.U. Museo di Arte Urbana, che si inserisce tra gli stretti vicoli del Quartiere Campidoglio, già di per sé un unicum architettonico. Le nuove opere realizzate sulle facciate degli edifici, e sugli elementi di arredo urbano, ne diventano quasi una seconda pelle, costituendo il patrimonio in continua espansione di questa nuova realtà museale. La storia del M.A.U. è caratterizzata da importanti traguardi ma anche da molte difficoltà, dovute soprattutto a un’iniziale diffidenza e sottovalutazione da parte delle amministrazioni pubbliche. Sebbene il Museo di Arte Urbana Campidoglio esista e sia operativo dal 1995, la delibera definitiva da parte del Comune che dichiara ufficialmente la costituzione di una nuova struttura museale cittadina, arriva solo nel 2011. Nonostante la scarsezza di fondi, l’assenza di una struttura logistica permanente, la carenza di sponsor, il Museo riesce comunque a garantire la sua finalità didattica ed educativa e a inserirsi nei circuiti culturali, promozionali e turistici della Città di Torino e della Regione Piemonte. Attraverso un intervista al direttore Edoardo Di Mauro, si tenta di approfondire le tematiche che più caratterizzano questa originale iniziativa.

Arctic Monkeys - Brianstorm

culiarità di essere un’iniziativa partita dal basso che ha voluto, fin dai suoi esordi, coinvolgere i cittadini nelle scelte. Ma quali sono i reali rapporti con la popolazione? Il presupposto del M.A.U. di realizzare le opere sui muri degli edifici del quartiere, necessita di un rapporto continuo con la popolazione locale. La maggior parte delle opere d’arte si trova infatti sulle facciate di abitazioni private. Il nostro approccio è quello di ricercare una felice intesa col proprietario del muro, motivo per cui prima di scegliere l’artista si contratta il tema e la disponibilità all’accoglimento dell’opera. Quali sono le reazioni dei cittadini? Le reazioni sono solitamente positive e i benefici per i proprietari degli immobili sono indiscutibili, quali ad esempio un incremento del loro valore. Nonostante tutto esistono degli episodi negativi e delle reticenze. Capita per esempio che nei condomini di grandi dimensioni, dove l’accordo per la cessione del muro deve essere unanime tra gli inquilini, non si possa procedere a causa di qualche diniego. Fortunatamente non sono rari episodi di influenze positive tra la popolazione. Ad esempio, il muro dove sono state dipinte le “Mosche” di Sergio Regalzi, è uno dei più fotografati. I vicini, inizialmente perplessi e dopo aver esternato lamentele in proposito, si sono convinti della qualità dell’iniziativa e hanno ceduto anche loro le proprie facciate per la realizzazione di quattro opere.

Il Museo di Arte Urbana Campidoglio vanta la pe-

Vito Navolio, Torino, M.A.U.

Cesare Regalzi, Torino, COURTESY M.A.U.

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Gianluca Scarano, Torino, COURTESY M.A.U.

Veniamo ora alla scelta degli artisti. Con quali criteri e metodi vengono selezionati? L’operazione della quale il nostro Museo vuole farsi carico, non è curatoriale ma didattica. Ciò significa che gli artisti non vengono scelti in base alle preferenze dei curatori ma si cerca di affiancare personalità appartenenti a tutte le generazioni, dagli artisti storici ai giovani. La scelta è inoltre compiuta con la popolazione e di comune accordo con il proprietario del luogo nel quale sarà realizzata l’opera d’arte. Capita anche che le proposte provengano direttamente dai cittadini. La missione didattica è racchiusa, in una scelta che si propone di presentare l’arte contemporanea non come elitaria ma come qualcosa di fruibile da tutti. Ho notato che molti dipinti murali sono realizzati all’interno dei margini di finestre cieche, come quadri incorniciati. Non tutte le opere infatti, anche quando potrebbero, occupano interi muri o si appropriano liberamente dello spazio. È una precisa scelta formale? Le opere di cui parla sono alcune delle prime realizzate. Col tempo ci è resi conto del limite di questa scelta formale e dell’effetto “francobollo” che creavano. Si è allora deciso dal 2001 di utilizzare per una singola opera gli spazi di due o quattro finestre insieme per creare un effetto di continuità. Esistono invece molti edifici che possiedono muri importanti per dimensione e posizione che, a causa di pochi voti contrari, non hanno voluto cedere i propri

spazi. Per risolvere questi problemi sarebbe urgente un intervento del Comune che dichiari la zona di interesse artistico in modo da incentivare la popolazione. Concentrandosi sui nomi degli artisti selezionati ho notato la scarsità di personalità afferenti al mondo del Writing o della Street Art. Da che cosa dipende questa scelta? Il progetto del M.A.U. vuole essere un progetto di Arte Pubblica, e non di Street Art. Questo è il motivo che ci ha spinto nella scelta di artisti che solitamente lavorano su supporti più tradizionali. Tuttavia, negli ultimi anni, ritengo che la Street Art si sia affermata sempre più come vera e propria corrente artistica afferente all’arte contemporanea; anche se continua ad agire in alcune occasioni in condizioni di illegittimità, prende contatti sempre maggiori con le istituzioni. È questo il motivo che ci ha spinto negli ultimi due anni ad includerla nel progetto del M.A.U. È infatti visibile in piazza Campidoglio un’opera di Style Orange ed entro l’estate verranno commissionate nuove opere a Xel, Francesco NOx, Orma e altri. Quali sono, a grandi linee, gli eventi in programma nei prossimi mesi? Tra il 20 maggio e il 23 giugno abbiamo in programma una ricca rassegna di eventi artistici dedicati per l’occasione all’AISM Associazione Italiana Sclerosi Multipla. Gli eventi comprendono, tra gli altri, un concorso fotografico dedicato a Borgo Campidoglio, i cui scatti ver-

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ranno esposti nelle vetrine degli esercizi commerciali aderenti. Verranno organizzate in diverse date visite guidate alle opere del Museo e il 9 e 10 giugno sarà realizzata una performance artistica che vedrà la realizzazione di un’opera di Street Art da parte di Kasy23. Sarà realizzata un’asta benefica di artisti legati alla Street Art presso la Galleria SQUARE 23. Seguirà il 21 giugno un dibattito dal nome “Arte e sostenibilità urbana in Borgo Campidoglio” e il 22 una mostra degli artisti. Per concludere, quali sono i progetti per il futuro? Innanzitutto l’acquisizione di una sede logistica permanente che può realizzarsi solo con un aiuto da parte del Comune. Il M.A.U. ne è infatti sprovvisto e sente inoltre l’esigenza dell’individuazione di locali per attività espositive e didattiche, nonché il potenziamento della promozione. Naturalmente anche l’implementazione del patrimonio delle opere è all’ordine del giorno e si richiede un sistema di illuminazione adeguato.

Angelo Barile, Torino, M.A.U. Style Orange, Torino, 2011, COURTESY M.A.U.

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I RACCONTI DI FEDRA Naked Brunch di Andrea M. Campo

Gripweed - Plastic Bag

Un sorso di gin. Le mie dita picchiano indolenti sui tasti seguendo i singulti di un ritmo a levare. L’alcool lavora bene nel mio corpo affamato e appaga ogni senso; mi concede un breve euforia sospendendomi sugli abiti avorio delle ballerine, feroci e feconde predatrici che volteggiano sulle loro vittime danarose. Un altro sorso rubato in una pausa tra un do diesis e un la. E intanto guardo la mia vita masticata e risputata da un talento mediocre e senza prospettive. Mia madre lo aveva detto. Mio padre lo aveva detto. La mia ragazza mi ha lasciato perché stanca di dirmelo. Ma non ho voluto ascoltare. Come un cattivo giudice ho disatteso ogni principio di raziocinio e quel buon consiglio Max Shirley, Out of Keys, 2004 che a volte solo l’esperienza concede. E mi ritrovo qui, sospeso a pochi cenCOURTESY MAX SHIRLEY AND GETTY IMAGES timetri da queste travi tarlate che a malapena sopportano il riverbero di una nota troppo bassa. In una lunga discesa verso gli inferi l’aria ha smesso di fischiare attorno a me, e nessun diavolo ha osato avvicinarsi. Così, dondolandomi nel mio vano traversare lo Stige perfino Caronte ha avuto pena di me. “Ti pago bene” ha detto e io ho ceduto. Ho concesso il mio corpo e la mia anima strozzata dalla paura di non riuscire. Senza mai ben capire di chi fosse quella paura. E adesso in una lunga pausa tra gli accordi in minore, nel vano tentativo di ricompormi, ho raccolto gli ultimi brandelli di una vita che non ho mai desiderato vivere rinchiudendomi nell’argilla del servo. Ma a volte si deve suonare per sé stessi e non per gli altri. Per tutto ciò che ravviva il respiro, forgia un sorriso e gonfia una lacrima, per perdersi tra i volteggi della grande giostra. Ancora gin. La mente si annebbia, e lungo il corpo tumefatto si schiude lo strazio dell’ignavia. Non sopporto questo dolore. E non sopporto questo brano. Bello senza dubbio ma troppo celebrato. Non è più mio, mi sento tradito quando respira sulla bocca di tutti e perde l’intimità dell’abbraccio che solo io credevo di potergli dare. I pedali vanno su e giù, come sempre, in una consueta danza con le mie mani. Nessuno mi guarda, gli occhi lacrimosi e arrossati dal fumo e dai vapori degli alcolici mi attraversano alla ricerca di una ballerina o, incuriositi, indagano sulle risate grossolane che riecheggiano aspre dietro le quinte. E il bicchiere è vuoto. Con un gesto repentino verso qualche altra goccia di gin nel breve assolo del sassofonista. Butto tutto giù in un solo respiro. Un lungo, desiderato, aspro respiro. Caduto lì, dove inconsapevole termina il mio sentire. Finalmente il cameriere fa un cenno verso il batterista. È il segnale, ancora un pezzo e tutto finirà, tornerò nella mia topaia e su quel lurido letto sommerso dalle bottiglie vuote, attendendo l’arrivo di un’altra interminabile serata da perdente. Ruoto lo sgabello verso l’entrata del locale sperando di evitare l’ennesimo affronto alla densità acustica di Generique di Miles Davis, infastidito da sterili tentativi di contraffazione. Quando improvvisamente entra lei. Indefinita e forse eternamente sospesa. A passo sicuro si dirige verso il palco e con un gesto ossequioso restituisce dignità alla mia esistenza, alla mia musica e al mio volto deturpato dalla cirrosi. Un solo sguardo, forse casualmente caduto su di me, mi libera dalla cedevole incompiutezza di un incontro casuale. Non so se domani tornerà, e in verità non so neanche se si sia mai accorta di me. Ma non importa. “Suoniamo l’ultima” dico ai miei compagni di sventura. E per la prima volta loro mi guardano, comprendono e mi accompagnano lungo quel breve sogno. Suoniamo come mai prima volteggiando su ogni nota dello spartito. Sopra noi si alza una melodia calda e sensuale travolgendoci in una brezza estatica che ci porta ai confini del mondo, dove dimenticare le nostre paure e i nostri insuccessi. Lungo il percorso dei ricordi cancello ogni torto subito e chiedo perdono per ogni offesa arrecata, ritrovando, sulle ultime note, il piacere dell’imprudenza. La musica è finita adesso, riapro gli occhi e lei non c’è più, fuggita con qualche squallido omuncolo calvo. Chissà se tornerà ancora. “Ti ringrazio” dico sommessamente, e brindo a lei sorseggiando lentamente un bicchiere di acqua naturale.

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Motivi Canoviani la Redazione

Erik Satie - Gymnopedie No.1

Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono. – Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri. Platone, Il mito della Caverna da La Repubblica

Cosa contenga l’interno di una scultura, quale sia l’energia vitale che viene imprigionata nelle sue forme immote è un segreto che viene tramandato nel corso dei secoli. Canova, abilissimo in questo, faceva scolpire alle maestranze bellissime figure, di gesso e marmo candido e venerabile, di una delicatezza e di un fascino che, novelli pigmalioni, spingevano gli spettatori ad interrogarsi se quei corpi, non fossero in realtà vivi, immobilizzati dal fervore divino in una bellezza eternamente tale. Nella materia, credeva Canova e come prima di lui Michelangelo, la forma è già presente, l’artista è solo il mezzo che la materia usa per dirsi compiuto, per esprimersi in significati all’uomo comprensibili. In questo senso, per Canova, la forma esiste contestualmente alla materia, ancor di più, la forma preesiste a quest’ultima, rivelandosi solo attraverso il gesto puro della mano, che la spoglia dai suoi veli. Questo fu Canova, l’alba del contemporaneo e dello stupore che fece, nei salotti primo - ottocenteschi (compresi quelli di Giuseppina Bonaparte), riuscendo a produrre dei corpi che, nonostante la pesantezza e il volume specifico, si elevavano vaste nell’olimpo del mondo etereo e delicato della purezza. Da quei bozzetti conservati nella Gipsoteca trevisana di Possagno che dedica a lui memoria, si rivela un gusto di belle fate, anime dalla danza inquieta, fulgide creature dalla passione recondita e profondissima, portatrici del lume della femminilità1. Oggi la bella dama dai cembali torna a suonare grazie ad un restauro hi- tech (in collaborazione con il Bode Museum di Berlino), che ha aggiunto due protesi articolari, braccia perse sotto il fuoco dei bombardamenti del 1918. Recuperata così la posa che indica e rappresenta il fervore stante del movimento, al mondo viene ridata e concessa la possibilità di ammirare, in tutto il suo semplice splendore e magnificenza suadente, l’ordito delle muse canoviane, perfetta simbiosi di forza e leggerezza, sintesi suprema del tattile amore di Canova per il cristallino bianco. E così, se è vero che la contemporaneità cura le ferite della guerra, chissà se un giorno riusciremo a vedere l’espressione di Nike, vittoria della scienza sul tempo.

Antonio Canova, Danzatrice coi cembali 1798- 1799, COURTESY OLYCOM S.P.A (in alto) Antonio Canova, Danzatrice coi cembali 1812, COURTESY MUSEO CANOVA, Possagno (TV) (in basso)

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Cfr. BARILLI Renato, Storia dell’Arte contemporanea in Italia, da Canova alle ultime tendenze, Bollati Boringhieri,Torino, 2007, p. 29. «Le figure femminili mettono in atto una seduzione insinuante, subdola, apparendo come maliziose creature poste al servizio di Eros [ ] ambigue tra una pretesa innocenza di superficie e un’intrigante seduzione sottostante.». 1


SOUND FORWARD L’invasione acusmatica nell’arte contemporanea di Pasquale Fameli

Demetrio Stratos - Flautofonie

I mezzi tecnologici adoperati in una determinata so- sto nel verso di una sintetica ricognizione di alcune cietà restituiscono all’utente stimoli che ne riplasmano esperienze di ricerca sonora poco conosciute in Itala sensibilità, rimodellando così i suoi sensi sulla base lia, non certo meno importanti, citando solo alcuni dei delle loro strutture profonde, le quali possono poi ri- personaggi più rappresentativi in questo settore. affiorare in gran parte della conoscenza sensibile proIl padre di molte di quelle ricerche, che andranno a dotta in quel periodo; accade così, che in quel ritrova- finire poi sotto la più generale etichetta di Sound Art, to spazio acustico di cui parla il culturologo canadese è l’americano Max Neuhaus (1939-2009) che realizza Marshall McLuhan1, il rigido imperialismo del visivo un’importante opera “site-specific” rimasta attiva dal venga soverchiato dalla fluida e in1977 al 1992, ossia Time SquaIl musicista e teorico globante espansione del sonoro e re, collocando dietro una grata che dunque gli operatori culturali Pierre Schaeffer recupera su un marciapiede nei pressi ne seguano la rivoluzione. della piazza newyorkese dei così, ai fini di una teoria Nello spazio acustico contempodiffusori che trasmettono un raneo, possiamo sostanzialmente fluire incessante di sommesdell’oggetto sonoro, rintracciare due modalità di mase sonorità elettroniche, che nifestazione del suono, una “in la nozione di “acusmatico” si impongono alla percezione presenza” in cui il suono è anco- per definire questo fenomeno degli ignari passanti come un rato alla propria causa in maniera fenomeno misterioso, reso tale di autonomizzazione evidente e l’altro che potremmo dall’impossibilità di rintracciardefinire “in assenza” dove il suono ne visivamente la causa. Il fedel suono, permesso non poggia su altri dati sensibili, nomeno sonoro si impone così dai media elettronici non è più causa di qualcosa, ma si come un oggetto immateriale, impone come oggetto autonomo a evanescente, che entra in relacausa dell’impossibilità di rintracciarne visivamente la zione dinamica al contesto, pur senza appartenergli. fonte; è bene precisare tuttavia che l’una non esclude L’americana Maryanne Amacher (1938-2009) riprenl’altra, entrambe possono coesistere simultaneamen- de, attraverso l’uso di microfoni e telefoni, il piazzate, rispondendo positivamente alla logica aperta e to rumoristico di vari luoghi (ma sarebbe meglio dire ibridante tipica dello spazio acustico. Ciò che connota “nonluoghi” secondo l’accezione data dall’antropologo però il suono contemporaneo è la modalità “in assen- francese Marc Augé3) quali moli o aeroporti per poi za”, dettata da una specificità materiale del contem- trasmetterli in tempo reale, attraverso le casse acuporaneo, ossia il rapporto registrazione-riproduzione, stiche, in altri ambienti; si tratta di un’operazione di che ne determina una nuova condizione esistenzia- decontestualizzazione del suono abbastanza vicina alla le: l’incisione del suono su nastro o in forma digita- poetica duchampiana del ready-made e che rispecchia, le permette una riproducibilità diffusa in cui il suono al tempo stesso, quell’abbattimento delle distanze è totalmente svincolato dalla sua causa, separato da spaziali permesso dall’interconnettività globale. Altro qualunque altra informazione sensoriale che non sia grande protagonista dell’installazione sonora è il tedeesclusivamente quella uditiva, imponendosi così alla sco Bernhard Leitner (1938) che, dalla fine degli anni percezione come oggetto autonomo. ‘60 in poi, realizza vere e proprie strutture primarie, Il musicista e teorico Pierre Schaeffer2 recupera così, analoghe a quelle dei minimalisti americani quali Bob ai fini di una teoria dell’oggetto sonoro, la nozione di Morris o Sol Lewitt, dotandole però di woofer e casse “acusmatico” per definire questo fenomeno di autono- acustiche che veicolano onde sonore con cui riempire mizzazione del suono, permesso dai media elettronici. i vuoti dell’ambiente; le strutture e i suoni emessi conTutto ciò non poteva che avere forti ripercussioni dividono dunque il medesimo carattere “oggettuale” e nell’ambito della ricerca artistica contemporanea, coinvolgono l’intero apparato percettivo del fruitore dove la pratica sonora si era già avviata in seno alle con stimoli tattili, visivi e sonori di rigorosa elementaavanguardie storiche, e della quale si cercherà ora di rità, posti ora in relazione simultanea. dare qualche essenziale informazione, prescindendo Con le esperienze della generazione successiva le posdalle ben note soluzioni di artisti quali Vito Acconci, sibilità si ampliano. Attraverso la pratica performativa Bruce Naumann o Laurie Anderson, operando piutto- del deejaying, artisti quali Christian Marclay (1955) e

Cfr. M. MCLUHAN, Spazio acustico, in E. CARPENTER, M. MCLUHAN (a cura di), La comunicazione di massa (1960), La Nuova Italia, Firenze, 1966, pp. 82-90. 2 Cfr. P. SCHAEFFER, Traité des objet musicaux: essai interdisciplines, Ed. du Seuil, Parigi, 1966. 3 Cfr. M. AUGÉ, Nonluoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità (1992), trad. it., Elèuthera, Milano, 2009. 1

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Muneteru Ujinu (1964), negli anni ’80 e ’90, coniugano campionamenti sonori di varia provenienza con azioni rumoristiche live di varia natura; nel 2003 l’artista tedesca Christina Kubisch (1948) avvia le Passeggiate elettriche, ovvero percorsi specifici da compiere con apposite cuffie attraverso cui ascoltare le onde elettromagnetiche presenti nell’ambiente. La partecipazione attiva del fruitore si fa fondamentale anche nei Prototypes for the Mobilization and Broadcast of Fugitive Sound dell’artista e teorico americano Brandon LaBelle (1969), curiosi carrelli mobili in legno con casse acustiche che riproducono musiche e rumori di ogni genere, messi a disposizione del pubblico, il quale può prenderli in prestito e portarli in giro per le strade, diffondendone il flusso sonoro. Queste sono solo alcune delle innumerevoli esperienze di Sound Art4, filone in continua espansione che costituisce, senza dubbio, una delle più avanzate e rilevanti forme di ricerca artistica contemporanea.

Si tratta di un’operazione di decontestualizzazione del suono abbastanza vicina alla poetica duchampiana del ready-made e che rispecchia, al tempo stesso, quell’abbattimento delle distanze spaziali permesso dall’interconnettività globale

Due testi di riferimento per questo argomento sono A. LICHT, Sound Art. Beyond Music, Between Categories, Rizzoli, New York, 2007 e B. LABELLE, Background Noise. Perspectives on Sound Art, Continuum, New York – London, 2007. 4

Bernhard Leitner, Serpentinata 06, 2006 Tubi in PVC, 48 altoparlanti, 48 amplificatori finali, composizione a 48 canali COURTESY BERNHARD LEITNER Brandon LaBelle, Prototypes for the mobilization and broadcast of fugitive sound, 2007 Legno, casse acustiche e materiali vari COURTESY BRANDON LABELLE

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PEANUT GALLERY Cinque atti teatrali verso una nuova percezione dell’opera d’arte di Elena Scalia

Squarepusher - The Exploding Psychology

La compagnia Krypton nasce nel 1982 delineando una La messa in scena non è veicolata da una drammaturlinea di ricerca teatrale che fin dall’inizio giocherà sulla gia letteraria ma scaturisce dal confronto con l’opera creatività visionaria di Giancarlo Cauteruccio, artista d’arte: cinque artisti contemporanei vengono chiamati, di teatro ma architetto di formazione. Il primo proget- attraverso le loro opere, a riflettere sul senso profondo to, Corpo, ambient-video-laser, si afferma come ma- del teatro, definito non a caso “opera d’arte totale”. nifesto poetico della compagnia volta a sperimentare Cauteruccio mira, infatti, a concretizzare la concezioe a scandagliare il rapporto tra la parola e la luce, il ne di luogo scenico come luogo centripeto, che attrae corpo umano e la tecnologia, l’utilizzo del linguaggio e e metabolizza all’interno della propria “architettura” le possibilità del video come strumento per la manipo- altre esperienze creative aprendo lo spazio del teatro lazione elettronica dell’immagine reale. all’intenzione poetica, estetica, formale di autori del L’esito di questo primo lavoro sancisce, negli anni Ot- panorama internazionale delle Arti Visive. tanta, la nascita di una nuova sintassi della scena che Il primo atto (29, 30, 31 gennaio) è dedicato alla censcardina i codici drammaturgici, contaminandosi con tralità della parola suggerita dall’opera Gas di Alfredo altre discipline artistiche, verso la creazione di azio- Pirri; si tratta di un’installazione di sette elementi, coni tese a mettere la sensibilità dello spazio corporeo, stituiti da geometrie astratte e luce che evidenzia “un della pittura, della scultura, dentro lo “stra-ordinario” problema teorico sulla crisi del modernismo e sulle mondo del teatro. Con l’ulsue conseguenze culturali”. Cauteruccio mira, infatti, timo lavoro, PROGETTO Il corpo in scena, immobile, OA – cinque atti teatrali la manifestazione di a concretizzare la concezione di delega sull’opera d’arte, in scena al senso alla voce recitante che luogo scenico come Teatro Studio di Scandicci, i rimanda alle “parole di TheKrypton portano agli estremi odor Adorno e alla poesia luogo centripeto, che attrae la propria “meta teatralità” di Paul Celan, autori qui e metabolizza all’interno dividendo l’opera in cinque chiamati a testimoniare la atti che si svolgono in una complessità della memoria della propria “architettura” successione temporale dilae l’assurdità della storia”. tata, a intervalli di un mese altre esperienze creative aprendo Il secondo atto (23, 24, 25 l’uno dall’altro. È un progetto si struttura intorlo spazio del teatro all’intenzione febbraio) che approfondisce la riflesno all’opera di Enrico Capoetica, estetica, formale sione sulle lingue del teatro e stellani Il muro del tempo: su alcune forme fondamentai sette metronomi, “caricati di autori del panorama li dell’azione scenica: parola, alle sette velocità della loro internazionale delle Arti Visive scala esaltano e negano il danza, musica, luce e canto.

Krypton, prove d’allestimento; da sinistra Giancarlo Cauteruccio e Jannis Kounellis, COURTESY TEATRO STUDIO KRYPTON, Scandicci (FI)

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tempo, esprimendo l’incapacità dell’uomo di raccoglierlo, di descriverlo, di misurarlo”. Qui il corpo si esprime in un movimento senza ritmo, in una condizione di astrazione totale dove non trova strumenti che lo guidino o lo organizzino. Il terzo atto (24, 25, 26 marzo) si apre sull’opera che Jannis Kounellis ha pensato e realizzato espressamente per il progetto; come si legge nel testo a corredo della mise en scene “ tre grandi sacchi incombono sulla scena come corpi impiccati lasciando indovinare al loro interno le forme convulse di mobili e oggetti dismessi. La materia espressa nelle forme più arcaiche, ma con i materiali di scarto della cultura consumista, si fa metafora della condizione umana, intrisa di memoria come di dolore”.La forza evocativa della materia conversa con la simbologia degli elementi introdotti: “Sette cantanti liriche, sette presenze umane in movimento tra le opere, interpretano attraverso la parola cantata il conflitto tra il caos della materia e l’ordine cui aspira l’uomo. Il tormento e la centralità del corpo dominano l’azione scenica nella sintesi visiva di un altro oggetto sospeso: un crocifisso capovolto, dove al posto del braccio corto è stata innestata una campana che rintocca alle oscillazioni prodotte casualmente da un animale legato alla struttura”. Nel quarto atto (14, 15, 16 aprile), l’ opera di Loris Cecchini apre alla possibilità di “un lavoro sulla luce come principio scultore delle materia; l’installazione, fatta di materiali sintetici, trasparenti e capaci di creare una distorsione ottica, viene abitata da corpi reali, diversi e quasi estremi, come per rappresentare alcune delle categorie con cui si definisce la fi-

Krypton, prove d’allestimento; da sinistra Giancarlo Cauteruccio e Jannis Kounellis COURTESY TEATRO STUDIO KRYPTON, Scandicci (FI)

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sicità. I canoni di bellezza, magrezza, prestanza trovano la propria specificità nella compresenza con i loro opposti” ed i performer mettono in scena con lentezza una serie di azioni minimali, conferendo, attraverso il corpo, un senso di attesa beckettiana che non trova compimento in nessuno scioglimento della tensione. Nel quinto atto (18 maggio), conclusivo della linea di rappresentazione e di studio della compagnia, dopo una serie di esplorazioni sul corpo si risale in superficie, alla pelle, all’abito. Pina Izzi, direttore artistico della compagnia la spiega così: “L’opera di Cristina Volpi mette in evidenza la percezione del corpo come sovrastruttura, come pelle altra: un abito da sposa in tessuto militare che descrive uno stato di conflitto permanente, una criticità dell’identità. La musica classica, nell’esecuzione dal vivo di tre musicisti tenta una ricostruzione di questa armonia interrotta e l’opera, che richiama anche la centralità del costume nel teatro, diviene il testo di un’azione fortemente poetica”. OA, acronimo di Opera e Azione, è un progetto teatrale fortemente innovativo in cui l’opera di ogni artista diviene struttura dinamica, attiva e generatrice di nuove inaspettate condizioni espressive che la dilatano e la amplificano attraverso il linguaggio del corpo, della luce, della musica, contribuendo alla nascita di nuova percezione dell’opera d’arte. Ma per cogliere l’essenza e per fruire a pieno di questo lavoro è necessario “assistere”: essere presente all’evento come “spet-attori” testimoni delle suggestive, potenti e “maieutiche” azioni ricreate sulla scena. Appuntamento il 24, 25, 26 marzo al Teatro Studio di Firenze con il Terzo Atto.

Krypton, prove d’allestimento; da sinistra Jannis Kounellis e Giancarlo Cauteruccio COURTESY TEATRO STUDIO KRYPTON, Scandicci (FI)


Divagazioni pneumatiche

Arte e scienza dal Settecento all’ Età contemporanea di Federica Melis

L’Aria, forma musicale che ha animato l’opera nel Settecento, possiede una storia che oggi potremmo definire multidisciplinare. Tale storia, se osservata con uno sguardo grandangolare, consente non più di isolare singolarmente le sfere del sapere ma, avversando le più agguerrite metodologie conservatrici, di accordare le loro parti in contrasto, nel tentativo di attenuare il giudizio di obsolescenza che le Arie musicali mantengono nella contemporaneità. Già nel Settecento si registrava una notevole difficoltà nel dare una definizione univoca di Aria: il musicologo Roger North, autore di The Musicall Grammarian, affermava che il termine utilizzato nel lessico musicale era il medesimo per tutte quelle disposizioni inesprimibili verbalmente, come, ad esempio, l’aria del volto di una persona. Tale difficoltà risiedeva nella stretta vicinanza della musica con le dottrine mediche, fisiche e perfino teologiche, rendendo impossibile pensare aria, canto e vita come elementi separati; un legame inscindibile che mosse il filosofo naturale Robert Boyle a “riflettere con gratitudine sulla saggezza e bontà del creatore, il quale dando all’aria una sua elasticità, ha reso difficilissima all’uomo l’eliminazione d’una cosa tanto necessaria agli esseri viventi”. Così l’aria, come fluido elastico, entrò a far parte delle definizioni dei musicologi: la sostanza compressa, pesata e misurata in laboratorio, era la stessa che animava il canto delle passioni umane. Il meticciato lessicale attuatosi in ambito musicale nel Settecento, ricorda l’importanza di trattare le separazioni disciplinari non come impenetrabili barriere cementificate, piuttosto come sottili strati membranosi che garantiscono il pas-

Pearl Jam - Do the Evolution

Modello di albero rappresentante la linearità evolutiva delle specie. Charles Darwin, The Origins of Species, 1859.

saggio osmotico di elementi eterogenei. Prassi questa che l’età contemporanea non disdegna affatto e che addirittura pare esserle, in virtù della sua nota complessità, quella più funzionale. Gli esempi dei rapporti fra l’ambito artistico e quello scientifico certo non mancano; gli affondi dell’arte in campo medico sono innumerevoli e, per quanto possa risultare singolare, anche la ricerca scientifica quando posta di fronte al dato incalcolabile, abbandona i sentieri delle certezze avanzando nuove ipotesi sorrette da modelli affini alle “utopie” artistiche. Per fare un esempio, fino a qualche decennio fa, gli studi sugli acidi nucleici non trovavano validi motivi che giustificassero la presenza di ampie porzioni di DNA apparentemente non codificanti. “Al livello del DNA non è scritta solo l’informazione genetica- sosteneva l’immunologo Claudio Franceschi - ma anche tutta la storia evolutiva della nostra specie, che essendo stata invasa da virus di ogni genere non può essere esente da una contaminazione fra una specie e l’altra. Dunque il modello darwiniano rappresentato da un albero i cui rami, perfettamente ordinati e allineati, conducevano l’evoluzione della specie in senso verti-

Modello di albero ritorto utilizzato dall'immunologo Claudio Franceschi per spiegare l'intrico evolutivo delle specie, 2004 ca.

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cale, è stato sostituito con un nuovo albero, stavolta Arie, attraverso la ripetizione costante di uno stesso però dotato di una estrema flessibilità, rappresentativo pensiero, attraverso la variazione continua del mededella nuova evoluzione orizzontale. Le legnose rigidità simo tema, con circa la stessa combinazione di suodei rami appartenenti al regno vegetale sono divenute ni, svolgevano il compito di rappresentare la potenza le contorsioni, gli accavallamenti e le intersezioni di reiterata delle passioni: stati d’animo tanto coercitivi vermi piatti (planarie) volti a comporre il nuovo arbu- da imporsi, da stabilirsi, da installarsi e ripetersi fino sto dalla chioma scapigliata; una sorta di ibrido fran- all’ossessione. Tale asfissiante presenza, secondo Carkensteiniano a metà fra il regno vetesio, non era da considerarsi uno “ Chi trepido non s’è svantaggio, poiché la mente avrebgetale e quello animale”. Così come quei filoni artistici caratterizzati dal be avuto in tal modo la possibilità di seduto di fronte prefisso neo, anche la scienza conriconoscere gli spiriti ribelli e di imal sipario del cuore? primere su di loro la ragione. In una temporanea nella formulazione del suo Neo-evoluzionismo ha dato uno certa maniera la mente addomestica Alla fine s’aprì; sguardo ai modelli del passato e tragli spiriti al fine di educare sé stessa. slandone, rielaborati, alcuni elementi e di scena era l’addio” L’idea cartesiana che nel secolo dei nel presente, ha creato nuove ipotesi lumi ottenne un considerevole sucper il futuro, dove le nuances fantacesso, prende forma e si concretizza Rainer Maria Rilke stiche, almeno a livello d’immagine, attraverso l’opera, che a sua volta Elegie Duinesi (IV) traspaiono visibilmente. ne esalta e ne attualizza la valenza psicologica e sociale. Le passioni, i turbamenti psichiIn una sorta trittico evolutivo è utile porre l’accento ci ed emotivi e la possibilità di vederli rappresentati sul progetto Babel del 2010 dell’artista Corrado Zeni: attraverso l’azione scenico-musicale, oggi come ieri, l’indagine scientifica sui rapporti fra una specie e l’al- conducono lo spettatore alla catarsi omeopatica: solo tra si trasforma in una ricerca sociale dei rapporti fra attraverso la conoscenza di tali turbamenti nell’altro, individuo e individuo della medesima specie; il con- ognuno potrà riconoscerli in sé, comprenderne il sencetto di incomunicabilità umana, dato da apparenti so e con l’ausilio delle arie, fissarne il ricordo. Se è vero differenze linguistiche e culturali, nella traduzione che la musica è per eccellenza l’arte del tempo, nella artisco-formale di Zeni diventa un complesso albero nostra società, il maggiore assillo è proprio quello di bidimensionale, che sceglie come parti costitutive pro- non avere più del tempo a disposizione: l’importanza prio l’oggetto della sua analisi: l’uomo. e l’utilità dell’opera nella frenesia dettata dai MercuE l’uomo, nella propria interiorità, era anche l’oggetto ri alati del XXI secolo, non è quella di far fronte alle della rappresentazione estetico-musicale del Sette- archeologiche e oscure esigenze dei cosiddetti melocento. Con sguardo anatomico il filosofo indagava la mani blasés, bensì quella di configurarsi come luogo mente e l’animo umano e, di fianco a lui, il musicista del tempo ritrovato, dove chiunque può sopperire al metteva in scena questa ritrovata interiorità. Le bisogno di ritrovarsi e di rivedersi col cuore.

Corrado Zeni, Babel, COURTESY GUIDI&SCHOEN ARTE CONTEMPORANEA, Genova

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IN CONVERSATION WITH Intervista a Giulietta Fara, direttore artistico del Future Film Festival di Paola Pluchino

♬ 1. A te si deve l’idea di fondare il Future Film Festival, era il 1999. Perché hai deciso di crearlo? Non solo a me si deve l’idea, ma a un gruppo di persone che in quegli anni assieme a me hanno scoperto che, fuori dall’Italia, tanto si muoveva nel campo delle nuove tecnologie applicate al cinema, e tanto spazio veniva dato al cinema d’animazione. Cosa che, nel nostro paese, non succedeva. Ecco perché decidemmo di proporre questo Festival, che raccontasse il cinema d’animazione in modo diverso, e che parlasse di effetti speciali e li facesse scoprire a chi, anche nel nostro paese, rimaneva affascinato da film quali Titanic, Godzilla, The Truman Show, Matrix, Starship Troopers, Paura e Delirio a Las Vegas e molti altri. Case di produzione come la Pixar Animation Studios, la Dreamworks, la Industrial Light & Magic, la Digital Domain, sono state le prime a cui ci siamo rivolti per andare a cercare il meglio degli effetti visivi e dell’animazione al computer. Toy Story, primo film d’animazione digitale, ha aperto anche a noi la strada per una ricerca diversa, vòlta alle possibilità di realizzazione di intere pellicole al computer. E così il Future Film Festival ha preso le mosse da due esigenze forti: quel-

The Shins - Bait and Swintch

la di mostrare il “dietro le quinte” dei film con effetti speciali e in animazione digitale, per svelare al pubblico e ai professionisti italiani le magie create dalle case di produzione, e quella di portare in Italia molti film d’animazione che non venivano distribuiti in sala. Un cinema d’animazione anche per adulti, dove la tecnica utilizzata non era sinonimo di film per bambini ma al contrario uno stile distintivo per raccontare storie di tutti i tipi e per tutti i pubblici. Da Hayao Miyazaki allo studio MadHouse, da dalle produzioni europee a quelle coreane, il Festival ha iniziato la sua ricerca nel paesi più ricchi di produzione di cinema d’animazione. Con l’idea di portare in Italia qualcosa che in Italia non c’era, solo dopo i primi anni abbiamo iniziato a guardare anche vicino a noi, a quel che di interessante succedeva nel nostro paese, invitando artisti e case di produzione italiane a raccontare “la via italiana” all’animazione e agli effetti visivi. Un percorso “al contrario” forse, ma che ci è servito per essere sicuri di selezionare, all’interno del programma del Festival, ogni anno il meglio della produzione, senza per forza dover parlare dell’Italia ma solo se meritevole e competitiva rispetto alle produzioni degli altri paesi.

Arrugas, Ignacio Ferreras, still video COURTESY FFF

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2. Cosa si è modificato e cosa permane all’oggi come zoccolo duro del vostro Festival? Il Future Film Festival negli anni si è modificato molto, pur mantenendo le sue caratteristiche principali. Lo “zoccolo duro”, ovvero le intenzioni iniziali, sono rimaste invariate: portare in Italia le produzioni di cinema d’animazione e con effetti speciali che nei normali circuiti non si trovano, e raccontare le tecnologie dal punto di vista di chi le crea. Abbiamo senz’altro ampliato la ricognizione, siamo arrivati alla Nuova Zelanda con Peter Jackson e la Weta Digital, alla Cina e quest’anno al Brasile. Ci occupiamo ogni anno di tecnologie o tecniche nuove o che tornano in auge. Nel 1999 presentammo la prima retrospettiva della Aardman (Wallace&Gromit, Galline in Fuga) e qualche anno fa abbiamo dedicato un focus sulla tecnica della animazione in stop-motion o “a passo uno”, poiché ultimamente viene scelta da molti registi quali ad esempio Tim Burton, Wes Anderson. Il Future Film Festival 2012 invece si occuperà di motion graphics, altra tecnica molto utilizzata da giovani autori e registi. Si partirà questa volta dal Brasile per andare a vedere la nuova scena produttiva e gli spot, le sigle, i corti più belli realizzati in motion graphics, e si mostrerà una selezione del meglio della produzione internazionale del 2011, curata dalla famosissima rivista di Hong Kong IdN. Ancora, abbiamo negli ultimi quattro anni deciso di dedicare una sezione alla stereoscopia, come “metro” per raccontare la rivoluzione del cinema in 3D da vedere con gli occhialini. Quest’anno tra gli altri ospiti di rilievo la Pixar Animation Studios racconterà come stanno sviluppando il 3D per il prossimo film Brave. Inoltre, abbiamo cercato negli ultimi anni di differenziare gli appuntamenti per il pubblico e quelli specifici per professionisti, per iniziare a dare strumenti concreti a chi in Italia si occupa di effetti visivi, grafica, animazione. Così il programma ospita ogni

Midori-Ko,Keita Kurosaka. Still video COURTESY FFF

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anno più workshop e incontri professionali, assieme a convegni dedicati a tematiche specifiche e ai pitching, ovvero le opportunità di presentare un progetto davanti a “giudici” qualificati che possono dare consigli per un miglior sviluppo dello stesso. Infine, Future Film Festival ha creato anche una sezione a concorso per film, il Platinum Grand Prize, oltre alla sezione a concorso per cortometraggi provenienti da tutto il mondo, il Future Film Short. Questo concorso ha sia una giuria ufficiale che una giuria popolare: lo stesso pubblico può vedere e votare i corti in sala. 3. Future Film Festival, dedicato quest’anno al tema della fine del mondo: quale desiderio è racchiuso tra parentesi? La fine del mondo è un tema che abbiamo scelto per gioco, e soprattutto per giocare con la profezia del 2012 e poter presentare i film a cui noi siamo più legati. Infatti, come si sa, gli effetti speciali al cinema si usano spessissimo per film catastrofici, quando c’è da ricreare al computer una esplosione vulcanica, un’onda anomala, o ancora una invasione aliena. Da sempre, proprio questi film sono infatti la fucina migliore da cui escono più effetti visivi. Future Film Festival presenta nel 2012 quattro titoli del passato, per raccontare quattro catastrofi differenti. 4. Ormai giunto alla quattordicesima edizione, il FFF si declina seguendo le coordinate della scomposizione avanguardistica; la struttura dell’immagine, seppur trasfigurata, suggerisce un moto inverso rispetto alla naturale evoluzione della specie. Come coesistono queste due anime temporali? La fiction, in tutte le sue declinazioni, può portare avanti e indietro il tempo quante volte vuole. Così, una scimmia del futuro può arrivare adesso o un dinosauro del passato può andare a passeggio con un ragazzino del 2012. La manipolazione digitale offre all’arte una potenza in più: la trasformazione all’infinito, la scomposizione e ricomposizione senza sosta. Anche dal basso. 6. Cos’ è per Giulietta Fara il contemporaneo? E qual è la giusta chiave di volta per cogliere ciò che è, ancora solo in germe, il futuro? Difficile definire il contemporaneo se non con le categorie della storia dell’arte, che riportano le avanguardie storiche e gli artisti del Novecento come il contemporaneo. L’arte di adesso, “contemporanea” a noi, deve moltissimo al Novecento, staccandosi da esso però in molti modi. Il cinema di oggi si sta sepa-


rando dal suo antenato del secolo scorso. Un distacco che è, come sempre, tecnologico e di pratiche, ma anche di contenuti. Un contenuto digitale è sicuramente contemporaneo nel senso di “odierno”, ed esso è per sua stessa natura mutevole, impalpabile, file e non pellicola. I connotati del cinema sono cambiati perché, proprio questo essere file, accomuna tutte le opere digitali senza distinzione, travalicando i confini tra cinema, arti visive, video, fotografia, letteratura. E nel file unico si inserisce benissimo Martin Scorsese ma anche William Joyce e Brandon Oldenburg, Virgilio Villoresi, Wes Anderson o Goro Miyazaki. È un file che, alla fine, passa anche dalle nostre mani, letteralmente, e può essere manipolato, diviso e riassemblato, all’infinito. L’autore, a questo punto, è chi assembla meglio, chi inventa e allo stesso tempo mette a disposizione la sua idea per future manipolazioni.

Artwork by Kensuke Koike COURTESY FFF

Chico&Rita, Tono Errando - Javier Mariscal. Still video COURTESY FFF

Future Film Festival

Bologna, dal 27 marzo al 1 aprile Teatro Manzoni, Cinema Lumière, Palazzo Re Enzo, Sala Borsa.

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Intervista ad Alessandro Bergonzoni di Andrea M. Campo

♬ 1. Le sue lettere raccontano l’onirico, il surreale, l’assurdo, viceversa nelle sue opere emergono i ricordi e cenni di vita vissuta: animo trascendente e pensiero immanente, quale è la distanza tra lo scrittore Bergonzoni e l’artista Alessandro? Sono agli antipodi ma nello stesso corpus. Sono autonomi ma hanno lo stesso sangue pulsante, uno è l’occhio l’altro la gamba e potrei andare avanti negli esempi. Non essendo un passatempo o un hobby, l’arte per me devo dire che vive certamente di vita propria, anche se la mano del pensiero che agisce è anche il pensiero della mano che scrive. 2. Calembour, saltimbanco, esteta della lingua, tutti mestieri per chi ha bramo - sia di fame che le tasche vuote. Coerentemente ha scelto di dedicarsi all’Arte Povera: almeno Lei ci guadagna? Ironie a parte, pur essendo in qualche modo vicino all’Arte Povera (ma aspetto il tempo e gli addetti ai lavori per confermarlo), devo dire che il tema del guadagnare o dei ricavati mi tocca già poco, sia nel teatro che nella scrittura, figuriamoci nell’arte che non frequento da trent’anni, ma soltanto da una decina. È chiaro che sia Ottogallery di Bologna che la Galleria Rizzo di Venezia lavorano io con loro per vendere le mie opere ma non mi sembra questo il punto.

Portait of Alessandro Bergonzoni COURTESY ALESSANDRO BERGONZONI

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Bill Evans - Some Other Time

3. A dieci anni di distanza è tempo di fare i conti, svestire i panni del debuttante e indossare quelli nobili del navigante navigato; si dia un voto, faccia un voto, si ponga un veto, accenni un invito e, a onor del varo, mi indichi un porto: dove vuole arrivare? Come detto il voto lo daranno altri. Io posso dire di aver iniziato, d’essere parte di un mondo che è fatto di creazione più che di creatività, di genesi e di moventi più che di scadenze o risultati, e quindi non ponendomi nessuna dirittura d’arrivo, vado attraverso, scarto, cerco, scavo, ma non mi pongo mai il problema se “da bravo”…. Nell’arte più che le parole di un’intervista, dovrebbero risaltare le mie opere, il mio fare, penso quasi in un nuovo silenzio. 4. Tra galleristi fieri, rimpolpati da critici e notai, canuti nuotatori facoltosi, come fa, chi fa arte, a difendere il giovane e impertinente nuovo e talentuoso? Demandando ai sopracitati galleristi e a saldi collaboratori la parte più gestionale, restando comunque anch’io in prima persona al loro fianco ma soprattutto concentrandomi tra idee, progetti, energia, materia e luoghi dell’arte che è anche la sostanza di quell’altrove che vado cercando.


IN CONVERSATION WITH INTERNATIONAL Intervista a Cyril Zammit, Fair director del Design Dubai Days Entrevue avec Cyril Zammit, directeur de Design Days Dubai Intervista a cura di Paola Pluchino Traduzioni a cura di Margaux Buyck 1. Mr. Zammit la prima domanda è sulla sua carriera. Ci può raccontare il percorso lavorativo che l’ha condotta a rappresentare il design come nuovo fenomeno culturale per l’Asia e il Medio Oriente? Nato a Parigi, ho una laurea magistrale in Comunicazione. Il mio primo impiego è stato all’Istituto francese di Praga, per cui ricoprivo la carica di responsabile marketing e della programmazione cinematografica. Mi sono poi trasferito a Londra per lavorare, nei successivi tre anni, al Dipartimento Culturale dell’Ambasciata di Francia. Nel 1999 ho lanciato l’USB Festival Youth Orchestra per la banca USB e ho gestito le sponsorizzazioni di Art Basel e Art Basel Miami Beach per 2 anni. Nel 2005 ho raggiunto la banca privata svizzera HSBC. Il mio mandato mi ha dato la possibilità di firmare per la sponsorizzazione per Design Miami e questo dal 2006 al 2009. Nel settembre del 2009 ho cominciato a lavorare per il Dipartimento culturale TDIC ad Abu Dhabi per cui ho curato la partnership e la sponsorizzazione di Abu Dhabi Art. 2. Il calendario del DDD è ricco di eventi e comprende, oltre a quotate gallerie italiane come la Paola e Rossella Colombari, la Nilufar di Milano e la Secondonome di Roma, una pletora di Gallerie Orientali come la Smogallery e la Carwan Gallery di Beirut, la Nakkash Gallery di Dubai e la Galerie Nationale, con doppia sede a Parigi e Dubai oltre che la Mariam Al Nassar 20th Century Decorative Arts (UK/Kuwait). Quali sono

Edit - Situps Pullups

1. Cyril Zammit pour cette première question nous souhaiterions évoquer votre carrière. Pouvez-vous nous raconter votre parcours professionnel, ce qui vous a amené à devenir une figure importante de la promotion du Design comme phénomène culturel pour l’Asie et le Moyen Orient? Né à Paris, je détiens une maitrise en communication. Mon premier emploi était à l’Institut français de Prague, où j’étais en charge du marketing et de la programmation du cinéma de l’institution. J’ai par la suite déménagé à Londres pour travailler pendant 3 ans au Département Culturel de l’ambassade de France. En 1999, j’ai lancé l’UBS Verbier Festival Youth Orchestra pour la banque UBS et géré le sponsoring de Art Basel et Art Basel Miami Beach pendant deux ans. En 2005, j’ai rejoint la banque privée HSBC en Suisse. Mon mandat m’a donné la possibilité de signer le sponsoring de Design Miami que j’ai développé entre 2006 et 2009. C‘est en septembre 2009, que j’ai rejoint le Département culturel de TDIC à Abou Dabi pour lequel j’ai été en charge notamment du développement du partenariat et du sponsoring de Abu Dhabi Art. 2. Le calendrier du DDD est riche d’événements et comprend, outre la présence de prestigieuses galeries italiennes telles que Paola et Rossella Colombari, la Nilufar de Milan et la Secondonome de Rome, une pléthore de galeries orientales (la Smogallery, la Carwan Gallery

Graft, Phantom table, Stilwerk Design Gallery COURTESY DDD

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stati i criteri di selezione per la scelta degli espositori? Abbiamo voluto primariamente riflettere la diversità culturale presente a Dubai nella scelta delle gallerie e parallelamente, abbiamo agito con la volontà di mantenere un largo ventaglio nella creatività, nell’audacia, nell’abilità tecnica e l’accessibilità nella gamma dei prezzi. Per questo abbiamo avuto la fortuna di ospitare 22 gallerie, provenienti da 14 paesi diversi. Design Dubai presenterà: Carpenters Workshop Gallery, Londres/Paris Carwan Gallery, Beyrouth Coletivo Amor de Madre, Sao Paulo Croft, Séoul Franziska Kessler Gallery, Zurich Galerie BSL, Paris Galerie Diane de Polignac, Paris Galerie Downtown François Laffanour, Paris Galerie Nationale, Paris/Dubaï Galerie Seomi, Séoul Mariam Al Nassar 20th Century Decorative Arts, GB/ Kuwait Nakkash Gallery, Dubaï Nilufar, Milan Paola e Rossella Colombari, Milan Priveekollektie, Heusden (Pays Bas) R20th Century, New York Sarah Myerscough Fine Art, Londres Secondome, Rome smogallery, Beyrouth Southern Guild, Afrique du Sud Stilwerk Limited Edition Design Gallery, Hamburg Victor Hunt Designart Dealer, Bruxelles 3. Design, Architettura, capacità di essere uno snodo forte sembrano essere i vostri punti fermi. Se dovesse spiegare ai lettori italiani la filosofia del Design Dubai Days cosa direbbe? «Scambio» sarebbe la prima parola. La regione del Golfo è sempre stata una zona di scambi. Il suo posizionamento strategico ha permesso a Dubai di svilupparsi come Hub commerciale incontestabile ma, recentemente, è anche diventato un polo culturale con più di 50 gallerie d’arte. «Condivisione». Per questa prima edizione di Design Dubai ci siamo concentrati su basi essenziali, per consolidare un mercato promettente: - Educazione: collaborazioni con le università del Paese e internazionali. - Gallerie: più di 400 oggetti presentati con valori di prezzo compresi tra 500 e 350.000 euro - Rete: una comunicazione orientata verso i collezionisti della regione. Oltre a questo offriamo una serie di conferenze e di laboratori aperti al pubblico che favoriranno gli scambi d’idee e di expertise. Una delle nostre ambasciatrici

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de Beirut, la Nakkash Gallery de Dubai et la Galerie Nationale), ainsi que des institutions telles la Mariam Al Nassar 20th Century Decorative Arts (UK/Kuwait). Quels ont été les critères de sélection pour le choix des exposants? Nous souhaitions premièrement refléter la diversité culturelle présente à Dubai dans le choix des galeries tout en maintenant un large éventail dans la créativité, l’audace, la maitrise des techniques et l’accessibilité dans la gamme des prix. Pour cela, nous avons la chance d’accueillir 22 galeries, provenant 14 pays différents. Design Days Dubai présentera: Carpenters Workshop Gallery, Londres/Paris Carwan Gallery, Beyrouth Coletivo Amor de Madre, Sao Paulo Croft, Séoul Franziska Kessler Gallery, Zurich Galerie BSL, Paris Galerie Diane de Polignac, Paris Galerie Downtown François Laffanour, Paris Galerie Nationale, Paris/Dubaï Galerie Seomi, Séoul Mariam Al Nassar 20th Century Decorative Arts, GB/Koweit Nakkash Gallery, Dubaï Nilufar, Milan Paola e Rossella Colombari, Milan Priveekollektie, Heusden (Pays Bas) R20th Century, New York Sarah Myerscough Fine Art, Londres Secondome, Rome smogallery, Beyrouth Southern Guild, Afrique du Sud Stilwerk Limited Edition Design Gallery, Hamburg Victor Hunt Designart Dealer, Bruxelles 3. Design, architecture et échange semblent être vos points de références. Si vous deviez expliquer aux lecteurs italiens la philosophie de Design Days Dubai, quels mots utiliseriezvous? «Echange» serait le premier mot. La région du Golfe a toujours été une zone d’échanges. Son positionnement stratégique a permis à Dubai de se développer comme un hub commercial incontesté mais également est récemment devenu un pôle culturel avec plus de 50 galeries d’art. «Partage» Pour cette première édition de Design Days Dubai, nous nous sommes concentrés sur les bases essentielles pour consolider un marché prometteur: - Education: des collaborations avec des universités régionales et internationales. - Galeries: plus de 400 pièces présentées avec des valeurs oscillantes entre 500 et 350. 000 euros. - Réseau: une communication ciblée envers les collectionneurs de la région. De plus, nous offrons une série de conférences et


Eva Marguerre, Nido chair, Stilwerk Design Gallery COURTESY DDD

Nada Debs, animerà due sessioni di 3 ore e incontrerà individualmente gli studenti di Design per dare consigli e supervisionare con loro il proprio portfolio. 4. Un ricco calendario di appuntamenti in cui notiamo la presenza di Istituzioni culturali come la Dubai Culture & Arts Authority, Scuole di Architettura e Design ed Università. Il dialogo che intendete intessere con queste realtà è per Voi di estrema importanza. D’altra parte siete appoggiati da prestigiosi partner. Secondo Lei in che modo crede che cultura, insegnamento e ricerca possono interagire con il collezionismo? L’obiettivo del DDD è quello di creare un dialogo e nuove iniziative tra i membri dell’industria, i designer e i collezionisti negli Emirati e nella regione. Questa fiera offre l’opportunità di riscoprire le tecniche di produzione di oggetti in serie limitata. Gli studenti di design possono beneficiare del sostegno dell’industria e delle case di produzione col fine di apprendere nuove tecniche che implementeranno le loro abilità e conoscenze. 5. Gli Emirati Arabi (UAE), sono, nella corsa all’avanguardia con l’architettura, in lotta con Paesi più piccoli come gli stati dell’Europa del Nord, in che modo questa fiera si rapporta con problemi come eco sostenibilità, riciclo, impatto ambientale? Gli Emirati si sono allineati a rispettare le norme internazionali in materia di ambiente. Tantissime iniziative dimostrano questa presa di posizione, come per esempio MASDAR ad Abu Dhabi. A DDD noi lavoriamo con tasmena per una operazione “SitinShade”: un concorso aperto agli studenti delle università degli Emirati per creare sedie che provengono dal riciclo delle pedane di legno. I designer brasiliani presenti grazie alla Galleria Coletivo Amor de Madre (Sao Paulo) durante i DDD (Hugo Franca, Amaury, Leo Capote, Pedro Bernades) ������������� supervisioneranno i lavori e,alla fine, un gruppo di giudici indiche-

d’ateliers ouverts au public qui favoriseront les échanges d’idées et d’expertise. Une de nos ambassadrices, Nada Debs, animera deux sessions de trois heures et rencontrera individuellement les étudiants de design afin de les conseiller et de réviser leur portfolio. 4. Lors du DDD, on remarque de nombreux rendez-vous avec des institutions culturelles comme Dubai Culture & Arts Authority, des écoles d’Architecture et de Design et des universités. Le dialogue avec ces institutions semble être pour vous d’une grande importance. D’un autre coté, vous êtes appuyé dans vos initiatives par de prestigieux partenaires. Selon vous de quelle manière culture, enseignement et recherche peuvent-ils interagir avec le collectionnisme? L’objectif de Design Days Dubai est de mettre en place un dialogue et de créer de nouvelles initiatives entre les membres de l’industrie, les designers et les collectionneurs aux Emirats et dans la région. Cette foire offre l‘opportunité de redécouvrir les techniques de production d‘objets à édition limitée. Les designers et les étudiants peuvent bénéficier du soutien de l’industrie et des usines de fabrication puisqu’ils pourront apprendre de nouvelles techniques qui amélioreront leurs habilités et connaissances. 5. Les Emirats arabes unis se sont lancés dans une course à l’avant-garde en matière d’architecture et sont, dans ce secteur, en compétition avec des pays plus petits comme les états nordeuropéens. Comment l’événement DDD aborde– t-il les problématiques de développement durable et de responsabilité environnementale en matière d’architecture et de design? Les Emirats se sont engagés à respecter les normes internationales en matière d’environnement. De nombreuses initiatives démontrent cette décision comme par exemple MASDAR à Abu Dhabi. A Design Days Dubai, nous travaillons avec tasme-

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rà i vincitori della fiera. Per maggiori informazioni sul concorso «Sitinshade»: http://www.facebook.com/#!/sitinshade 6. Con il DDD ha aperto le porte al collezionismo della serie limitata. Non pensa che questa iniziativa possa snaturare l’idea stessa del collezionismo che ha per fine il possesso di un’opera unica? L’opera unica nel design rivela senza dubbio del genio puro. Lei converrà che la realizzazione di un oggetto necessita di un lavoro lungo di ricerca e di tentativi. I collezionisti nel design conoscono questa costrizione. C’è lo stesso orgoglio a possedere un esemplare proveniente dalla serie limitata che un’opera unica. 7. In Italia è giunta poche settimana fa la notizia di un acquisto eccellente, I Giocatori di Carte di Paul Cezanne, venduto allo stato del Qatar per 250 milioni di dollari. Come considera questo investimento? Il Qatar, come gli Emirati Arabi ha sposato un ambizioso programma che lega cultura e educazione. Ogni iniziativa in questo senso va interpretata come lodevole. 8. In un testo uscito qualche anno fa, Dal Deserto al Web ( Les Sindbads Marocains: Voyage dans le Maroc Civique) di Fatema Mernissi, si lodava la capacità di quei Paesi che, nonostante il posizionamento geografico, riuscivano a conversare e commerciare con il resto del mondo. Le chiedo, quale ruolo gioca oggi il Medio Oriente nella partita del commercio dell’arte contemporanea? Si pensa (troppo) spesso che il mercato culturale nella regione sia appena emergente. Non è vero. Sarebbe meglio dire che si è sviluppato velocemente riuscendo a creare un vero dinamismo. Solo negli Emirati per esempio, Sharjah ha lanciato una Biennale Internazionale 20 anni fa e gestisce 22 musei. I nuovi Musei ad Abu Dhabi rinforzano questa politica che è consolidata dal mercato d’arte di Dubai: 50 gallerie è il successo in crescita di Art Dubai e vendite di Christie’s ogni anno. 9. L’attenzione che rivolgete ai giovani e alla cultura di nuova generazione fa intuire un esplicito interesse verso la ricerca. L’investimento del Design Dubai Days non si esaurirà quindi in concomitanza alla chiusura della fiera (21 marzo). Quali risultati intendete centrare con questo evento? Questo evento apre all’opportunità per progetti di medio – lungo termine? In questo caso, di quali partner vorrebbe circondarsi? DDD si riproporrà nel 2013 per la sua seconda edizione. Mi piacerebbe che questo evento creasse un dialogo tra industria, studenti, designer. Andremo ad associarci con le Istituzioni locali per mantenere l’at-

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na pour une opération «SitinShade»: un concours ouvert aux étudiants des universités émiriennes afin de créer des sièges issus du recyclage de palettes en bois. Les designers brésiliens présents grâce à la galerie Coletivo Amor de Madre (Sao Paulo) durant Design Days Dubai (Hugo Franca, Amaury, Leo Capote, Pedro Bernades) superviseront les travaux et un jury composé de professionnels désignera les gagnants à la fin de la foire. Pour plus d’informations sur le concours «Sitinshade»: http://www.facebook.com/#!/sitinshade 6. Avec le DDD, vous ouvrez les portes du collectionnisme au design en édition limitée. Ne pensez-vous pas que cette démarche puisse dénaturer l’idée même du collectionnisme qui tend à avoir comme finalité la possession d’une œuvre unique? L’œuvre unique dans le design doit sans doute relever du génie pur. Vous conviendrez que la réalisation d’un objet nécessite un long travail de recherches et d’essais. Les collectionneurs dans le design connaissent cette contrainte. Il y a autant de fierté à posséder un exemplaire issu d’une série limitée qu’un tableau unique. 7. En Italie, il y a quelques semaines de cela, Le célèbre tableau de Cézanne, Les joueurs de cartes, a été vendu au Qatar 250 millions de dollars. Quel est votre point de vue sur ce que l’on peut qualifier de véritable investissement? Le Qatar, tout comme les Emirats arabes unis s’est engagé dans un ambitieux programme liant la culture et l’éducation. Toute initiative dans ce sens ne peut être que louable. 8. Il y a quelques années de cela, lors de la publication de Les Sinbabs Marocains: voyage dans le Maroc civique, Fatima Mernissi faisait l’éloge de la capacité d’échange des pays du Moyen-Orient aussi bien au niveau commercial que culturel. Pourriez-vous expliquer à nos lecteurs quel rôle joue le Moyen-Orient aujourd’hui dans le domaine du commerce de l’Art? On semble (trop) souvent penser que le marché culturel dans la région vient de naitre. Il n’en est rien. Disons plutôt qu’il se développe rapidement et surtout a réussi à créer une véritable dynamique. Aux Emirats uniquement, Sharjah a lancé une biennale internationale il y a 20 ans et gère 22 musées. Les nouveaux musées et expositions à Abou Dabi renforcent cette politique qui est consolidée par le marché de l’art de Dubaï: 50 galeries et le succès toujours grandissant de Art Dubai et des ventes de Christie’s chaque année. 9. L’attention que vous portez aux jeunes et à la culture «nouvelle génération» laisse entrevoir un vif intérêt pour la recherche. On peut imaginer que la dynamique du Design Dubai Days ne s’arrêtera pas à la clôture de la foire,


tenzione viva sul design grazie ai laboratori, seminari, e alle esposizioni. 10. ArtBasel, ArtBasel Miami, Frieze Art Fair sono grandi rendez- vous. Qual è il Vostro posizionamento nei confronti di queste realtà e qual è il fiore all’occhiello con cui differenziate l’iniziativa? Riconosciamo la loro importanza e la loro professionalità da molti anni. Nello stesso modo di Art Dubai il DDD aprirà le porte alle creazioni provenienti dal Medio Oriente ma anche a una variegata presenza di diverse gallerie e svilupperà il mercato del collezionismo nella regione. 11. Le dinamiche di appropriazione del capitale costituiranno piattaforma per successivi reinvestimenti esteri o verranno iniettati nell’economia interna al Paese? Abbiamo numerosi progetti per il 2013 soprattutto orientati verso i giovani talenti. Il nostro sforzo è proteso nel mantenimento del dinamismo prodotto durante il DDD per fare di Dubai un centro nevralgico del Design. 12. Infine, per concludere quest’intervista, dall’edificio più alto del mondo - il Burj Khalifa -, sede del Design Dubai Days, godete di un punto di vista privilegiato per percepire e anticipare i cambiamenti nella linea del mercato dell’arte e delle nuove frontiere del collezionismo. Che tendenza prospetta nell’ambiente dell’arte contemporanea e nel mercato? Constato che lo straordinario lavoro realizzato per Art Dubai ha creato una comunità molto legata in città. Questa forza conduce più 80 Musei di Gruppi internazionali a visitare Dubai in marzo per percepire le nuove tendenze e comprare le opere autoctone. Sono anche molto orgoglioso d’essere stato informato che due gallerie di Dubai faranno il loro ingresso ad Art Basel quest’anno. Penso che questo dimostri agli occhi del mercato internazionale la serietà della nostra regione. Ho fiducia nel fatto che il Design seguirà questa dinamica.

le 21 mars. Quelles répercussions attendezvous de cet événement? Ouvre-t-il la porte à d’autres projets à moyen et long terme? Si c’est le cas, de quels partenaires pensez-vous vous entourer? Design Days Dubai reviendra en force en 2013, pour sa deuxième édition. Je souhaite vivement que l’événement génère un dialogue entre l’industrie, les étudiants et les designers. Nous allons nous associer aux institutions locales pour garder le sujet du design bien vivant grâce à des ateliers, des séminaires et des expositions. 10. Art Basel, Art Basel Miami, Frieze Art Fair sont des grands rendez-vous du Design et de l’Architecture. Comment le DDD se positionneil face à ces grands événements et de quelles manières s’en démarque-t-il? Nous reconnaissons leur importance et professionnalisme depuis des années. A l’instar de Art Dubai, Design Days Dubai ouvrira la porte aux créations venues du Moyen-Orient mais aussi à une large mixité des galeries représentées et développera le marché des collectionneurs dans la région. 11. Les recettes dégagées par l’événement DDD feront-ils l’objet d’un réinvestissement dans l’économie interne du pays ou seront-ils utilisés en dehors des émirats arabes unis, pour d’autres initiatives à l’étranger? Nous avons de nombreux projets pour 2013 surtout dirigés vers les jeunes talents. Nous nous efforcerons de continuer la dynamique crée à l’occasion du lancement de Design Days Dubai et ainsi de faire de Dubai un centre névralgique pour le design. 12. Enfin, pour conclure cette interview: de l’édifice le plus haut du Monde, le Burj Khalifa, siège du Design Dubai Days, vous jouissez d’un point de vue privilégié pour percevoir et anticiper les oscillations du marché de l’art et les nouvelles frontières du collectionnisme. Quelles tendances voyez-vous se dessiner dans le domaine de l’art contemporain et de son marché? Je constate que le travail extraordinaire réalisé par Art Dubai a généré une communauté soudée en ville. Cette force conduit plus de 80 groupes de musées internationaux à visiter Dubai en mars, à s’enquérir des nouvelles tendances et acheter des œuvres régionales. Je suis aussi fier d’apprendre que deux galeries de Dubai feront leur entrée à Art Basel cette année. Je pense que cela démontre le sérieux que notre région représente aux yeux du marché international. Je suis confiant que le design suivra cette dynamique.

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URBAN ADDICTED Pinot Gallizio e la pittura industriale la Redazione

Rolling Stones-Sympathy For The Devil

Si immagini il rotolo di pittura industriale lungo pa- Il suo ambiente di azione, fin dalla nascita sarà la città recchi metri realizzato nel 1958 da Pinot Gallizio. Si di Alba, la stessa che promuove le attività di “La primaimmaginino pure le sperimentazioni degli anni ‘70 in vera della cultura e del gusto e del vino” all’interno del ambito di Dressing design realizzate da designer quali quale si inserisce il progetto che vede coinvolto l’artiNanni Strada o Dario e Lucia Bartolini per Archizoom. sta della pittura industriale con mostre, allestimenti e Bene. Ci si starà chiedendo cosa hanno in comune il appuntamenti unici. rotolo di pittura industriale e le sperimentazioni di La nascita della pittura industriale è annunciata nel Dressing design. La questione li riguarda da un volantino diffuso in occasione delle manifestazioni del punto di vista tecnico. MIBI (Movimento Internazionale per un Bauhaus ImPer eseguire le loro sperimentazioni Nanni Strada e i maginista) all’Unione Culturale di Torino nel dicembre Bartolini utilizzavano il tessuto o la stoffa a larghezza 1956. costante, cioè con l’altezza spiegata proveniente da un L’utopia situazionista, voleva dar vita ad un collettivo rotolo, secondo una modalità inunitario che si sviluppava conteUn’arte lunga una strada, stualmente all’ambiente urbano in dustriale. Dunque, immaginate come sarebcui operava, dando vita a un’arte che si può tagliare be interessante creare dei capi totale, frutto di diversi stimoli e e ricucire, appendere o diverse competenze (pittura, arsperimentando insieme le progettazioni dei designers del Radical moda). incorniciare, un’arte che è chitettura, Design con i rotoli di pittura reaLa pittura industriale voleva abtappeto del tempo lizzati da Gallizio. battere il mercato dell’arte da una Magari potrebbe essere utile fare parte, i rotoli di Gallizio venivano che l’ha prodotta un ripasso visivo della pittura su infatti venduti al mercato di Alba rotolo? al metraggio, ma anche criticare Basta semplicemente recarsi ad Alba da sabato 31 direttamente la civiltà dei consumi, il tutto uguale, la marzo presso la chiesa medievale di San Domenico, serie. Un’arte lunga una strada, che si può tagliare e nel centro storico della città ed osservare il rotolo di ricucire, appendere o incorniciare, un’arte che è tappittura industriale lungo 74 metri realizzato nel 1958. peto del tempo che l’ha prodotta. Perché Pinot Gallizio oltre ad essere farmacista, ap- Un’atmosfera da sessantotto quella allestita in questa passionato di tradizioni storiche, inventore del palio mostra, che permette al visitatore, di vedere in prima degli Asini, consigliere comunale, insegnante di Aro- persona, la traccia di un artista che non fu solo tale, materia presso la Scuola Enologica, dal 1952, a seguito ma che seppe, forte delle sue idee, organizzare intorno dell’incontro con Piero Simondo, giovane pittore e ce- a lui un nuovo modo di fare arte, ibridando a questa, ramista, comincia ad interessarsi di pittura ed a pren- sia l’industria che la moda. Fino al 10 giugno. dere a cuore la problematica di una sintesi delle arti.

Pinot Gallizio, La fabbrica del vento II, detail, 1963 COURTESY ARCHIVIO GALLIZIO Pinot Gallizio, vista rotolo di pittura industriale, 1958 COURTESY ARCHIVIO GALLIZIO

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Io, Tu, Lei E Lui

L’amore per sua natura è un sentimento unico ed universale la Redazione ♬ Archive - Again A Venezia, fino al 15 aprile presso la Fondazione Bevi- Workshop, seminari e proiezioni completano il perlacqua La Masa, la mostra Io, tu, lei e lui. corso espositivo: tra tutti la pellicola Je, tu, il, elle, Curata da Francesco Ragazzi e Francesco Urbani la lungometraggio di Chantal Akerman, manifesto del mostra sviluppa il tema dell’amore queer, partendo da cinema sperimentale e della ricerca sull’identità, che una serie di scatti fotografici realizzati in laguna negli dà il titolo alla mostra, e ancora Jean Vigo, e Luchino anni ‘30 e ‘40 del Novecento. Ai giovani artisti selezio- Visconti, Tsai Ming Liang e una videoinstallazione di nati, Antonio Bigini e Rachele Maistrello, Tomaso De Arin Rungjang. Luca, Sabina Grasso, Andrea RoSpesso per paura, chiusi in circumano e Annatina Caprez il com- Una realtà fatta di delicati iti riservati, decidono ora di metpito di raccontare quest’amore tersi in straight line con un prinpensieri e di confronti riattualizzando la narrazione alla cipio di umanità raffinato, dove che chiedono di essere visti, la compartecipazione, a prescincontemporaneità. All’interno dei sommovimenti ladere dall’orientamento sessuale, dando dignità a gunari che nell’ultimo anno hanvira sull’arte, spazio neutrale in un sentimento no sviluppato un laboratorio articui il gusto privato non ha ancora stico sulla cultura queer, questa per sua natura universale intaccato il saper fare arte in pubcrea uno storyboard sulla memoblico. Io, tu, lei, lui è in questo ria del movimento LGBT senza l’ipocrisia di non dover senso una mostra aperta, una mostra che crede che parlare di certe cose, di certe minoranze, di certi con- per non aver paura del diverso, bisogna conoscerlo. tenuti considerati, ancora nel 2012, un tabù. Tutti siamo delle minoranze, chi ha i capelli rossi, chi Venezia in questo senso, così come società avanzate ha le lentiggini, chi dorme solo a pancia in giù, ognuno e progressiste come Los Angeles ma anche New York, è unico e speciale e tutti dovrebbero avere la possibiLondra, e tante altre, celebra una mostra giovane, di lità di “essere”. una realtà fatta di delicati pensieri e di confronti che chiedono di essere visti, dando dignità a un sentimento per sua natura universale.

Andrea Romano e Annatina Caprez, Sugar, coffee, lemonade, tea, rum, boom! Colore spray su legno, 13 tavole, dimensioni variabili COURTESY FBLM

Tommaso De Luca, Letters from a Lion Tecniche miste su carta e stampe fotografiche, creta, legno COURTESY FBLM

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Postmodernismo come resistenza di Paola Pluchino

Velvet Underground - Venus in Furs

Gli architetti traggono spesso ispirazione dall’arte contemporanea, non solo dalla sua presenza tattile, fisica e dal trattamento fantasioso dei materiali, ma anche dall’investigazione analitica che opera sulla società. (dalla prefazione di Cristina Bechtler)

Un giusto incipit è quello che Cristiana Collu, nuovo direttore del Mart di Rovereto, escogita alla sua prima prova. Accanto alla quotata Alice in Wonderland, che per la prima volta apre all’indagine delle influenze dell’omonimo romanzo di Lewis Carroll sulle arti visive, si pone la Post modernismo, Stile e Sovversione 1970-1990, organizzata dal Victoria & Albert Museum di Londra. Se per la prima, il filo conduttore è intessuto nell’assunto del risvegliare la meraviglia, pur affiancando al gioco della fantasia la storicità del tema proposto, quella sul post modernismo rispecchia e rivela una luce di ricerca che lentamente avanza, ponendo nuovi interrogativi sull’interpretazione del gusto contemporaneo oltre che una semplice domanda sull’allargamento del confine delle arti. Una mostra che fonda le sue solide radici sul design e l’architettura, sul fulcro del presentarsi bene, in luogo dell’esporre semplicemente la propria teoria. Così, avanza perturbante la scelta di porre, sembra tra le righe, uno stuolo di pensatori di marca frommiana prima e grunge poi, intervenendo sul perno dell’incatenarsi al colore e alla forma. Le opere presentate (circa 200), in cui spicca un Jeff Koons onnipresente (anche a Parigi e ad aprile a Venezia), si strutturano dialogando con la musica dei New Order e con l’espressività del regista Jarman (cui si deve tra l’altro, una raffinata prova sulla vita e il pensiero del linguista viennese -dagli studi britannici - Ludwig Wittgenstein). Il senso dell’arte è arbitrario e si produce in relazione al contesto d’uso. Dai manuali di storia dell’arte, passando per quelli di linguistica di matrice recente, colui che inventa viola sistematicamente dalle regole imposte, sfruttando le falle del ragionamento iniziale, innestando un proprio regime, arbitrario appunto in cui forma e sostanza si conciliano nella dialettica di senso e significato su cui fondano la loro esistenza. Il piacere che scaturisce dal vedere queste opere non sta tanto nel loro statuto di arte, quanto nell’uso semantico che esse fanno del contenitore in cui sono poste. Un contenitore che permette l’influenza reciproca di grandi opere con piccoli capolavori, piccoli disegni e performance, in un dialogo tutt’ora in corso sulla ridefinizione del fuori cornice, e fuori target artistico1. Molte opere trascendono dall’intenzionalità del loro essere arte, ovvero, trascendono dalla volontà di essere creati come oggetti d’arte. Una rivoluzione invertita, una resistenza che destina ad un oggetto d’uso una funzione da esposizione e contemplativa, fuori dal gioco ironico del détournement duchampiano. Oltre la nozione di un’estetica negativa di matrice adorniana allora, l’intendersi di stile e sovversione è piuttosto un accettare un sistema totale in cui gusto e fine si conciliano in conveniente conversare, dove l’abile indica al bello la direzione.

Dall’alto: Robert Rauschenberg, Kite. Olio e colore serigrafato su tela, 1963 COURTESY ILEANA SONNABEND Ettore Sottsass (per Memphis), Credenza Casablanca. Laminato plastico su fibra di legno, 1981 COURTESY VICTORIA & ALBERT MUSEUM, London Martine Bedin (per Memphis), Prototipo per Super lamp. Metallo dipinto, sistema di illuminazione, 1981 COURTESY VICTORIA & ALBERT MUSEUM, London

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E in questo simile all’Antiestetica di Hal Foster (edito da Postmendiabooks, Milano, 2012) laddove sostiene che “Con il suo modello testuale, la strategia postmoderna diventa chiara: decostruire il modernismo non per sigillarlo nella sua stessa immagine, ma per aprirlo, riscriverlo, per schiudere i suoi sistemi chiusi (come il museo) all’”eterogeneità dei testi” (Crimp), per riscrivere le sue tecniche universali in termini di “contraddizioni sintetiche” (Frampton); in breve, per confrontare le sue narrative dominanti con il “discorso degli altri” (Owens). 1


Claire Fontaine: sans dout par antiphrase

la Redazione Destabilizzano, provocano, dileggiano l’autorità e l’immobilità di alcuni sistemi sociali che sottendono al mantenimento dello statu quo: sono pirati che delle arti hanno fatto il loro credo e il loro mezzo di sovversione: a Bolzano, con una mostra dal titolo M-A-C-C-H-I-N-A-Z-I-O-N-I, si presenta il collettivo Claire Fontaine, gruppo di artisti italo britannico – ma operante a Parigi- nato nel 2004 che trova la propria ragion d’essere sulla contestazione politica e sulla derisione dei meccanismi di potere precostituiti. Claire Fontaine è il nome di una nota marca di quaderni e, si legge tra gli stralci di un’intervista1 anche la scelta del nome ha una sua ragione fondante: “

Mount Kimbie - Carbonated

Il collettivo risulta essere “il più addomesticato” nel suo normalizzarsi all’interno di strutture museali istituzionali 1

http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=36790&IDCategoria=52

Nella città trentina il collettivo invade -letteralmente- gli ampi spazi delle sale espositive con opere note e alcune novità: tra queste tre macchine, tre marchingegni, escamotage logico per celare il duplice e mal velato senso che da il titolo alla mostra, il moto perpetuo di Leman Brothers che suggerisce l’alimentarsi del debito da parte a parte nel procedere patologico dell’errore, e ancora, un’Italia ricostruita con migliaia di fiammiferi, simbolo di precarietà e di un drammatico annebbiamento, i dialoghi con i cuscini di Carl Andre (già presenti in una precedente mostra dal titolo “Floar piecies”) che qui diventano tappeti da combattimento in uno sperimentale gioco sul contemporaneo e infine la provocazione sulla parola “stranieri ovunque” che si legge all’ingresso, come “lavoro”, “potere”, “capitalismo”, con quell’arbeit (macht, kapital) tanto amaro in bella posta. Il fare guerresco dei Claire Fontaine, fa subito presa per l’immediatezza e la coerenza con cui si muove, con l’intento di scardinare la regola dello stato sociale e influendo attivamente nel contesto in cui operano. Ma a ben vedere il collettivo risulta essere “il più addomesticato” nel suo normalizzarsi all’interno di strutture museali istituzionali. Nonostante voci critiche, questo adeguamento pare un limite, l’accettazione di uno scambio, una reciproca ospitalità di spazi e di contenuti, dove partecipare ad un quodlibet ma senza esporsi a un dibattito.

Claire Fontaine, Italy Unburnt, 2012 COURTESY MUSEION Bozen

I Claire Fontaine si distaccano da gruppi atipici come gli Yes Men, i più temuti dalle banche dati del governo americano o dai responsabili ai sistemi di sicurezza nazionale, nonché fautori di truffe milionarie, o Luther Blisset, collettivo di matrice bolognese nato tra gli anni Ottanta e Novanta, che, studiando i meccanismi di manipolazione dell’informazione ha escogitato negli anni della sua attività una serie di opere aperte, provocando anche episodi di isterismo collettivo o ancora i russi del collettivo Voina, forse il più irriverente di tutti, che si muove nel verso di una dichiarata contestazione al governo reggente, al confine tra la dissidenza e l’arte. L’utopia spesso tacciata di inapplicabilità, trova forse all’oggi un giusto terreno per muoversi, avendo la società trasformato la terra tutta in un non luogo. Stranieri Ovunque. Pur apparendo a tratti priva di efficacia, M-A-C-C-H-I-N-A-Z-O-N-I riesce ad avere una sua forza, incuneandosi in un contesto, come quello altoatesino, che fonda sulla multiculturalità e sul plurilinguismo la sua tradizione. Tuttavia, pur lodando l’impresa, questa volta i Claire Fontaine non convincono completamente, non riuscendo a sviluppare coerentemente una direzione precisa nel rivelarsi. Forse del testo di Gilles Deleuze, Differenza e Ripetizione non rimane veramente altro che l’involucro.

Claire Fontaine, They Hate Us For Our Freedom, 2008

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PUNCTUM Astri in Azione a Milano

Luigi Ghirri, Elia Festa, Mario Giacomelli, Paul Thuile, Jorma Puranen la Redazione

Come mezzo di espressione filmico, come rapporto esistenziale tra l’essenza incantatrice delle forme e l’amena successione dell’eventualità: in un piccolo spazio di Milano (via Trebbia 33) i fotografi raccontano la luce e le sue dinamiche. Fino al 27 aprile la mostra Astri in azione, collettiva di Photology che sviscera le dinamiche di appropriazione del risultante fotografico secondo i principi della luce. Uno studio sul rapporto formale del colore, sull’anedottica interdipendenza del bianco e nero dove la luce è al tempo stesso significante e significato, ideale idiosincrasia dell’osservazione nel suo accennarsi. È il moto che sottende e anticipa la percezione, indica -ancor più che rappresenta- il vero veto dell’arte fotografica, quel gesto che trasfigura la carne e sublima la matericità dell’oggetto: ogni corpo trova la propria forma di espressione nelle categorie infinite che contemporaneità propone. Lume sicuro, si rifugia così nei grandi interpreti del secondo Novecento, consacrando, con una piccola collettiva, il celebrato artistico dello scatto, senza il rischio di difendere e promuovere contro i giganti, il nuovo. Luigi Ghirri, Paul Thuile, Elio Festa, Mario Giacomelli sono solo alcuni dei nomi presentati in questa collettiva in cui, come afferma Jorma Puranen (anche lui presente in mostra) si esalta il ruolo della luce che “diffonde e tempera i colori riflettendo e celando la vera forma sottostante la tela”. Nell’ossequio ai diktat della tecnica, nello sdoganamento esteriore dei codici stabiliti, dove trovare ancora l’impeto per una confessione terribile come quella della fotografia, mutevole forma dell’ordinario esserci? Inquadrati in orbite concettuali, spesso evanescenti e fuorvianti, resta il convincimento che lo studio della gravitazione del cosmo, sia dell’uomo il mezzo più consono per esprimere le potenzialità che egli sente e che l’universo suggerisce. Il fiato eroico della poeticità si perde così afflitto e sconsolato dietro al finto virtuosismo del provare, senza l’estremo dolore che solo il rivelare della luce può veramente comunicare.

Elia Festa, Microbo II, 2011 COURTESY PHOTOLOGY, MILAN

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Pink Floyd - Interstellar Overdrive


PASSEPARTOUT INSIDE CREATIVE AREA Fotografa dal promettente curriculum e dalle scarpe da urlo. Le abbiamo chiesto di raccontarci dei suoi studi sulla luce, e così, Silvia Elisa Bordin, conosciuta in occasione di ComBo.01 (Combinando la New Communication a Bologna) ci svela (in parte) alcuni trucchi del mestiere, rivelando la maestria del suo stile.

Esperimenti di luce

Burial - Shell of Light

di Silvia Elisa Bordin La sperimentazione sulla gestione della luce dovreb- tratta, ad esempio in studio, oppure sulla figura ambe essere per qualsiasi fotografo il principale campo bientata, in location. di ricerca. Ma sappiamo tutti che la faccenda non è A scuola normalmente insegnano due schemi classicosì semplice: sarebbe come dire che a un cuoco ba- ci: la cosiddetta “scatola bianca” per i primi piani, sti conoscere perfettamente gli effetti del fuoco sugli che elimina qualsiasi difetto dal volto, ma toglie analimenti! che ombre, volume, tridimensionalità, rendendo tutCosì come un cuoco deve conoscere to piatto. E poi lo schema da “luce Scattare una foto al in primis gli alimenti stessi, così un caravaggesca”: softbox laterale o fotografo deve imparare a conoscebuio con tempi molto di tre quarti, magari arricchito da re gli oggetti sul quale la luce rimcontroluce nei capelli. lunghi è un po’ come Personalmente, non amo molto quebalza, tenendo conto del fatto che la luce è materia capricciosa, e ri- trovarsi una tela bianca sti due schemi, principalmente perserverà sempre qualche margine di ché all‘occhio di un professionista da dipingere. imprevedibilità, che è anche il bello sono perfettamente riconoscibili. del nostro mestiere. Quello che normalmente mi affasciAl posto del colore, Nella mia ricerca, ho deciso di fona, nelle foto dei colleghi, è la capacalizzarmi fin da subito sulla figura cità di addomesticare la luce natupuoi usare la luce umana. rale, oppure di rendere totalmente Il volto, e l‘intera figura, possono venire illuminati in surreale la luce artificiale, come in quelle notti magimille modi, ci si può concentrare solo sulla figura ri- che in cui la città ti sembra un presepe vivente.

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La luce naturale che io definisco “addomesticata” viene chiamata in gergo tecnico luce mista, ed è la mia preferita in assoluto. Io di solito parto da quello che ho: misuro la luce ambiente, imposto la camera su quella, e poi aggiungo quel po‘ di luce artificiale che mi serve per schiarire le parti troppo in ombra. Nell‘esempio 1, la luce del sole filtrava dalla grata formando delle chiazze che trovavo decorative sul volto della modella, ma se avessi sfruttato solo la luce naturale, il viso sarebbe risultato totalmente nero, così ho schiarito con un colpetto di flash frontale ammorbidito da un piccolo softbox. Nell‘esempio 2, la luce penetrava morbida dalla finestra e andava a illuminare bene la poltroncina, lasciando in ombra la protagonista della mia foto. Volendo creare un effetto notturno e un po‘ hot, ho piazzato un neon portatile rosso a destra dell‘immagine. Poi ho dovuto regolare la temperatura colore sulla camera per compensare l‘effetto troppo rosso. Il rosso è diventato meno evidente, ma il colore neutro che penetrava dalla finestra è risultato blu. Il conttrasto mi piaceva e l‘ho lasciato così, correggendo leggermente in postproduzione il colore sul viso della modella, in modo da creare al centro una zona neutra. I colori delle luci artificiali di notte mi hanno sempre colpito, per questo sfrutto spesso gelatine da cinema per ricreare l‘effetto di neon e faretti, alterado la luce del flash che è tarata sul colore bianco.

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La foto 3, è un notturno realizzato con un trucchetto. La foto è scattata sfruttando le luci naturalmente presenti, col sistema hdr: tre foto scattate a cavalletto con esposizioni diverse, infine fuse per recuperare le alte e le basse luci. Questo sistema, anche se ingegnoso, naturalmente non consente di fotografare le stelle, che sono aggiunte in postproduzione, e in realtà non sono stelle ma...brillantini. I brillantini dorati erano stati precedentemente fotografati in studio, su sfondo nero, semplicemente lanciati in aria, illuminati in controluce da un flash. Infine sono stati fusi con la tecnica di fusione di livello. L‘esempio 4, è invece uno schema di luce classico, il secondo tra quelli citati sopra; in questo caso l‘ho usato perché trovavo interessante il fatto che il faretto in controluce non andasse a colpire direttamente i capelli, bensì il lampadario di cristalli, creando un divertente effetto patinato che si abbinava perfettamente al tipo di lavoro richiesto. Per ricreare l‘effetto di luce gialla che caratterizza le lampadine, ho collocato un pezzetto di gelatina correttiva sul flash dietro al lampadario. Concluderò le mie riflessioni con una tecnica che mi ha appassionato per un po‘ di tempo: la cosiddetta pittura di luce. Si tratta semplicemente di una sperimentazione sui tempi lunghi. Scattare una foto al buio con tempi molto lunghi è un po‘ come trovarsi una tela


bianca da dipingere. Al posto del colore, puoi usare la luce e lo puoi fare in molteplici modi. L‘esempio 5, è una foto realizzata con l‘uso dei flash. Non si tratta di fotomontaggio né doppia esposizione. Regolando la camera su un tempo sufficientemente lungo, ho “inseguito” la modella con un flash, azionandolo a mano. L‘esempio 6, è invece realizzato dipingendo letteralmente la modella con una torcia elettrica. Le microvibrazioni del corpo rendono formidabili effetti di de-

formazione del volto, per questo ho nominato l‘intero progetto sformidable. In sintesi: spesso non è necessario possedere elaborate attreezzature da studio per muovere i primi passi verso un buon ritratto o una buona foto di moda. Gli esperimenti si possono fare con quello che si ha attorno, semplicemente osservando, e spesso rischiando di sbagliare, ma ottenendo così anche effetti sorprendenti, che è difficile prevedere a tavolino.

Tutte le foto sono di Elisa Bordin

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HEART BAUHAUS Alex Roman, The Third & The Seventh di Michele Di Pasquale

Philip Glass - The Kiss

Nello scorrere del tempo e tra la moltitudine di linguaggi artistici, la computer grafica diventa forma di espressione sublime che, con applicazioni sinestetiche, fonde i piaceri derivanti da arti, suoni e immagini. Figlio di alcune filosofie sull’estetica, che enumerano le forme d’arte primaria in: architettura, scultura, pittura, danza, musica, poesia e cinema1, il capolavoro d’animazione, The Third & The Seventh di Alex Roman, nasce come “il terzo dei sette” in quanto alcune diatribe hanno rimescolato gli ordini relegando l’arte della progettazione di spazi al terzo posto. Jorge Seva in arte Alex Roman, nato 1979 ad Alicante in Spagna, con ambizioni da regista e una staordaria capacità nella padronanza delle luci, crea una narrazione completamente in computer grafica che, con incredibile delicatezza, ci conduce per mano negli spazi segreti di grandi opere come: il German Pavillion, il National Parliament Building del Bangladesh, il Naoshima Benesse House Museum, il Milwaukee Art Museum, L’Elogio del Horizonte, il Walt Disney Concert Hall, il Philips Exeter Academy Library, il Looking Glass Building, la Casa Huete, L’ Orioll Chamber Hall e lo Shiba Ryotaro Memorial Museum. L’impatto fotorealistico, i lenti movimenti di macchina come la fotografia di cinema di Takeshi Kitano digitale e una fresca composizione dell’immagine degna di scuola Guy Ritchiana, split screen e rapide sfocature di campo, catturano lo spettatore cancellando le impressioni di freddo, finto e inespressivo, che in modo diffuso si applicano quotidianamente al concetto di rendering per l’ar-

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G.W.F. Hegel, Lezioni di Estetica. Corso del 1823. Laterza, Roma - Bari, 2007.

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chitettura, surclassando questi paradigmi e creando una poesia che rapisce lo spettatore per dodici minuti e ventinove secondi. La narrazione dell’animazione segue un percorso antitetico dove il video digitale è il prodotto di una ripresa virtuale di telecamere analogiche ricreate in 3d. Le telecamere scorrono, dotate di vita propria, su binari che ci portano a vedere l’invisibile e c’immergono in un’ intimità nascosta, svelando una sensazione di vita paradossale per oggetti inanimati; i libri esplosi, i fogli danzanti, le micro fibre di polline ed i petali di una fioritura sintetica, danzano nell’aria diventando i protagonisti vivi di spazi svuotati dall’umanità stessa. L’unico cordone che ridona l’appartenenza al mondo umano è conferita dalla sagoma lontana o a volte restitituita solo per mezzo di ombre del regista digitale, presente e coinvolto negli eventi iperbolici come il fluttuare di sfere di acque tremolanti. Il senso di totale realismo è creato grazie alla restituzione di materiali dotati di scalfiture sui bordi come geometrie vissute nella vita reale e con le riflessioni distorte di metalli anisotropici. Le colonne sonore di Michael Laurence Edward Nyman (The Departure) e Charles-Camille Saint-Saëns (Le Carnaval des Animaux) generano cambi ritmici esaltati da bagliori di luce, diventando collante nel passaggio da una stanza all’altra, da un’opera all’altra. Il risultato è stupore. Alex Roman con The Third & The Seventh va oltre i dialoghi fatti sulle sette categorie aprendo le porte alla computer grafica ed inserendola di diritto in quei canoni che Hegel descrisse. Ad oggi, l’artista, ha utilizzato le stesse formule e modalità di narrazione per produrre commercials per conto di agenzie di comunicazione creando una sua linguistica narrativa ed entrando di diritto nell’olimpo degli dei del digitale.

Tutte le foto: Alex Roman, The Third & The Seventh, 2009 Still video

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E-BOMB Le animazioni lo-fi di David O’Reilly di Laura Buono

Artista poliedrico e visionario, il ventiseienne irlandese David O’Reilly dà prova del suo talento artistico già nel 2004, quando realizza i primi episodi della serie XYZ RGB, ispirata all’estetica dei primi videogiochi, animata grezzamente e originariamente caricata su un sito web sotto lo pseudonimo di Chuck Clint III. Contemporaneamente inizia a lavorare come freelance nel mondo degli Studios di animazione, carriera che abbandona poco dopo per dedicarsi completamente ai suoi progetti indipendenti. Nel 2008 l’artista si rivolge nuovamente all’universo di Internet e pubblica, su YouTube, i cinque episodi di Octocat Adventure, presentato come il lavoro di Randy Peters, un presunto bambino di 9 anni di Chicago. La trama della serie è del tutto insignificante – la storia di un bizzarro animale, un gatto con tentacoli di polpo, che va in cerca dei suoi genitori perduti - e a questa si accosta un trattamento formale che ricacalca l’aspetto dei video amatoriali: ogni episodio è costruito intenzionalmente come una pessima animazione al computer creata da un bambino. La saga viene accolta con entusiasmo dagli utenti di YouTube e raggiunge in breve tempo un enorme numero di visualizzazioni, prima che l’artista, ormai noto, la presenti ufficialmente come sua creazione qualche anno dopo. Queste operazioni compiute da O’Reilly, precedenti alla realizzazione del suo primo cortometraggio premiato a Berlino con l’Orso D’Oro, Please Say Something, dimostrano già un’ottima padronanza del mezzo, unito alla consapevolezza della portata rivoluzionaria di Internet nella competizione con i prodotti amatoriali che, a disposizione sul web, rivaleggiano con le opere dei nuovi artisti visivi. O’Reilly volge la sua ricerca alla bassa definizione, si oppone all’emulazione della realtà radicata in alcuni stili tradizionali di animazione e utilizza un linguaggio completamente nuovo, mixando con estrema libertà numerose fonti visive contemporanee: manga e anime giapponesi, videogiochi, TV, pittura e animazione tradizionale. Oltre alla miscela visionaria e citazionista di elementi stilistici differenti e l’apparente rozzezza della sua CG (Computer Graphic), l’impiego di un senso dell’umorismo spietato e perverso è un tratto comune di tutte le sue creazioni. Esemplare il sovracitato Please Say Something, la storia d’amore di una coppia - un topo e un gatto – in una città futuristica, completamente curato e animato dall’autore, che mostra perfettamente il tipico tocco di O’Reilly: animazione grossolana e priva di rendering, in deliberata contrapposizione con lo stile patinato e ricercato del cinema mainstream. O’Reilly spesso imputa, riduttivamente, il risultato delle sue creazioni ad un problema economico più che stilistico, ma l’utilizzo stesso di software con risultati dall’aspetto antiquato o approssimativo è una componente chiave di tutta la sua produzione, che si apre a una riflessione metalinguistica sul mezzo rivelando la volontà di esplicitare i propri intenti a prescindere dal contenuto dei suoi lavori. Infatti, dopo il sorprendente e psichedelico corto The External World, che getta uno sguardo crudo e disincantato sulla società

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2Pigeons - Hard Working Space

O’Reilly volge la sua ricerca alla bassa definizione, si oppone all’emulazione della realtà radicata in alcuni stili tradizionali di animazione e utilizza un linguaggio completamente nuovo, mixando con estrema libertà numerose fonti visive contemporanee

David O’Reilly, Octocat


contemporanea e in cui realtà e finzione si fondono fino a diventare irriconoscibili l’una dall’altra, anche l’ultima creazione di O’Reilly non ha deluso le aspettative di chi lo segue fin dagli esordi. Si tratta questa volta di un lungometraggio prodotto in appena una settimana, assieme a Vernon Chatman, con l’utilizzo di Xtranormal (un programma di animazione dalle funzionalità ridotte ad un numero limitato di possibilità preimpostate). The Agency riproduce una serie di dialoghi “da ufficio” esilaranti proprio perchè estremamente brutali e provocatori, inducendo un’ambiguità tra realtà e finzione: l’impossibilità di immedesimarsi in personaggi così abbozzati che, nonostante tutto, parlano di noi e dicono esattamente ciò che non abbiamo il coraggio di dire nella vita reale. David O'Reilly, Please Say Something, 2009 Still Video (in alto) David O'Reilly, The External World, 2010 Still Video (in basso)

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Illegal cinema

Una piattaforma video a disposizione di tutti di C.S.

Kasabian - Club Foot

Come trascendere il limite e la distanza che esiste tra spettatore e realizzatore? Questa è una domanda comune nel mondo dell’arte , nel quale l’opera vive ed esiste tramite la fruizione e l’interrelazione col publico. Nella contemporaneità, per questa problematica, ci si trova davanti a una cospicua crescita di opere interattive che cercano di coinvolgere e vincolare maggiormente il pubblico. Questa non è una ricerca nuova, ma giá si era iniziata a praticare negli anni ‘50 in poi; nel 1951 Mark Rothko alludeva alla ricerca di questo tipo di strumenti, riferiti alla pittura, trovando la risposta del suo quesito nella dimensione dei suoi dipinti. Una maggiore dimensione accorciava la distanza e creava un unico spazio di fruizione e intimità dove lo spettatore era immerso totalmente nell’ opera. John Cage, con le sue opere- performance sonore, cercò lo stesso risultato facendo in modo che fosse il pubblico lo sperimentatore e il creatore dell’opera. Anche Yoko Ono e tanti altri usarono espedienti similari. Un esempio piú recente è quello della performer Marina Abramovic che, nel 2010 con la sua opera The Artist is Present, invitò il pubblico a partecipare attivamente alla sua performance, che molto volentieri e con curiosità accettò l’invito. Certamente il discorso di oltrepassare il limite è molto vasto ed ha sfumature totalmente diverse rispetto alla tecnica di cui si parla. In effetti il mondo della performance, essendo piú legato al teatro e avendo come base il principio dell’interattività e l’immedesimazione è quello più avvantaggiato: tutto succede in diretta e in quel momento.

In altri campi, come quello della pittura e della video arte, il discorso diventa un po’ più complesso, giacché gli stessi elementi sono limitati da sé. Il quadro è limitato da una cornice e il video è limitato dalle dimensioni della proiezione e dallo spazio nel quale deve essere esposto. Molti artisti nel corso della storia hanno trovato diverse soluzioni a questo problema, facendo per esempio diventare la pittura un oggetto quasi tridimensionale, facendo sparire il supporto o in alcuni casi anche la stessa materia pittorica. Nel video, invece, si è sempre cercato il modo per variare le dimensioni della proiezione in modo da generare una percezione diversa e più totale dell’opera. Nel caso dell’interattività c’è ancora molto da fare e da sperimentare ed è l’aspetto che produce gli espedienti e le pratiche più interessanti, dato che sfiorano la maggior parte degli aspetti possibili. Un esempio di questo é la proposta ILLEGAL_CINEMA creata nel 2007 a Belgrado dal collettivo Serbo TkH Walking Theory, che ha come base i laboratori di Aubervilliers a Parigi. Questo funziona come un progetto educativo di scambio e contestualizzazione di lavori video di ogni genere, emarginati o no, perché siano fruibili per ogni tipo di pubblico. Qualunque persona può proporre un film, l’unica regola è che non deve essere proprio, per essere visto una volta a settimana alle 20 di lunedì ai laboratori. Il film, video sperimentale, documentario, animazione o cortometraggio viene introdotto da colui che lo propone e a fine visione si apre uno spazio di dibattito sul materiale visionato. Ciò è un ottimo modo per trascendere la distanza autore- spettatore, in uno spazio di condivisione comune in cui tutti sono allo stesso livello e si uniscono per creare una comunità che pretende eliminare ogni tipo di visione filtrata o censurata, cercando prima di tutto la ridefinizione del termine illegal e instaurando un modo efficace per generare una coscienza e un discorso critico. Da sinistra a destra: Marina Abramovic, The artist is present, 2010 Courtesy MOMA NY John Cage, Performance 4'33" llegal cinema, I laboratori di Aubervilliers, Parigi

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OPEN CALL di Gabriella Mancuso PREMI E CONCORSI: Acri, Bando Young At Art, Concorso finalizzato alla promozione e valorizzazione dell’arte contemporanea, Primo premio: esposizione collettiva presso il MACA Termine ultimo di partecipazione: 20 marzo 2012 Info: www.museovigliaturo.it Bologna, Concorso per la realizzazione di strutture sonore, Primo premio: esposizione nel Parco Cavaioni, in occasione di “Energia sui colli” Termine ultimo di iscrizione: 30 marzo 2012 Info: www.ca-shin.it Firenze, RiartEco- riconoscimento al rifiuto Primo premio: esposizione Termine ultimo di partecipazione: 15 aprile 2012 Info: www.ruotati.com Como, Miniartextil, Manifestazione per la diffusione dell’arte tessile come mezzo espressivo dell’arte contemporanea Primo premio: acquisizione dell’opera nella Collezione Arte&Arte Termine ultimo di partecipazione: 15 aprile 2012 Info: www.miniartextil.it

Cuneo, Bando Zoo Art, esposizione internazionale d’arte visiva Primo premio: esposizione delle opere Termine ultimo partecipazione: 2 aprile 2012 Info: www.zooart.it Milano, Progetto RigenerArt Arte del riciclo Primo premio: esposizione e performance live Termine ultimo di partecipazione: aprile 2012 Info: www.guizart.it Perugia, Concorso d’Arte Contemporanea “Lune di primavera 2012” Sezioni: pittura, scultura, installazioni e fotografia Primo premio: esposizione delle opere Termine ultimo di partecipazione: 30 marzo 2012 Info: www.donnemondo.it Varese, Premio GhigginiArte giovani 2012, Concorso finalizzato alla promozione e valorizzazione dell’arte contemporanea giovane, Primo premio: esposizione personale Termine ultimo di partecipazione: 14 aprile 2012 Info: www.ghiggini.it


The Abramovic Method

Dall’alto: Marina Abramovic ,The Kitchen VIII From the series The Kitchen, Homage to Saint Therese. Color lambda print, 2009 COURTESY MARINA ABRAMOVIC AND GALLERIA LIA RUMMA, Milan Marina Abramovic, Black Sheep From the series Back to Simplicity. C- Print, 2010 COURTESY MARINA ABRAMOVIC AND GALLERIA LIA RUMMA, Milan

Appunti per una consultazione umana di Paola Pluchino

Radiohead - Bodysnatchers

Il suono interiore di Marina Abramovic si ascolta a Milano dal 21 marzo al PAC di Milano con The Abramovic Method, poi dal 22 presso il cinema Apollo dove sarà trasmesso in anteprima il film Marina Abramovic “The Artist Is Present” e, fino al 5 maggio, alla galleria Lia Rumma nella mostra With Eyes Closed i See Happiness. Un triplo appuntamento per ripercorrere insieme il cammino di una della più grandi sostenitrici della Body Art, quell’arte del fare arte con il corpo che, fin dalle prime apparizioni con il compagno Ulay, giunge qui modificata di senso: “An artist should not repeat himself” e – An artist should look deep inside themselves for inspiration”1. Al PAC di Milano, l’artista coinvolgerà pubblico e spettatori in una performance collettiva della durata di 90 minuti dove ognuno potrà scegliere se essere dalla parte dell’osservatore o del partecipante. Nessuna violenza questa volta, nessuno spargimento di sangue, nessuna biblica confessione del corpo ma un’indagine sugli spostamenti della percezione, sul movimento del corpo che ottenebrandosi riesce depurato grazie al metodo Abramovic; cuffie per un raccoglimento interiore che invaderà ogni singolo partecipante all’evento perché, come la stessa Abramovic sostiene, “la performance ha motivo di esistere solo in rapporto agli spettatori, in un certo senso queste due anime sono inseparabili”. Terrorista2 dell’arte, archetipo dello sconfinamento, l’artista spinge nel verso di una dedizione illimitata al disgusto, al mostruoso, a ciò che l’uomo vorrebbe celare, dimenticando l’origine primigenia della stessa democrazia e la sua stessa essenza. La depurazione che il filtro d’arte permette in un’analisi estetica delle opere, porta con sé l’assunto di greca memoria in cui la tragedia sigilla ed esprime la condizione umana nella complessità dei suoi fenomeni, adempiendo a un fine che è conoscitivo, etico ed estetico a un tempo3. In perfetta sintonia con lo spirito dell’arte, la grandezza dell’Abramovic si palesa nel suo rapporto con gli spettatori che agiscono sempre per reazione e non per emulazione, provocandone sentimenti di pena, compassione ed esorcismo del dolore. The Abramovic Method segna quindi una svolta nel pensiero collettivo dell’artista – performer, un superamento della violenza che non è però la sua sospensione, quanto l’apparizione sine tempo della legge4. Emancipata da vincoli esistenziali, estrema narratrice del riappropriamento corporeo, questa donna, gentile nell’aspetto e rovente nell’occhio, decide adesso per un atteggiamento che pare porsi tra la meditazione orientale e il surrealismo sibillino. Lo sguardo si rivolge così alla costellazione dell’individuo, agendo sulla linea che porta l’espressione -il movimento e il corpo tutto- a trasformarsi in energia: è l’espansione della percezione attraverso canali inusuali e remoti, che trascende e purifica l’occhio. Performer estrema, graffiante provocatrice, la sua anima indistinta e abile nel prestarsi al gioco molto pericoloso dell’arte, l’ha spesso ricondotta all’etichetta di folle ossessa e masochista, invasata e inutile malata. Chi invece ha cercato e ha provato a scardinare il velo profondo che sottende tutto il suo percorso artistico, ha scoperto in lei l’anima fragile dell’allegoria, il vero e forte nodo centra-

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Sfondo: Marina Abramovic, Sleeping with the White Lamb From the series Back to Simplicity. C- Print, 2010 COURTESY MARINA ABRAMOVIC AND GALLERIA LIA RUMMA, Milan

Marina Abramovic, The artist’s life Manifesto, punti 7 e 13. Crf. http://grandevetro.blogspot.com/2010/09/marina-abramovic-artists-life-manifesto.html 1

Il Terrorista è misologo, e, nella goccia d’acqua che resta sulla punta delle sue dita, non riconosce più il mare in cui credeva di essersi immerso. In Giorgio Agamben, L’uomo senza contenuto, Quodlibet, Macerata, 2005 2

Perte Szondi – Sergio Givone – Gianluca Garelli, Saggio sul tragico, Einaudi, Torino, 1999. 3

Gustavo Zagrebelsky su Habermas: “la legge non è violenza”. Cfr. http://www.unica.it/pub/print.jsp?id=6296&iso=22&is=7 4


“L’uomo è un piccolo mondo (minor mundus) che riflette il grande mondo (maior mundus), ma grazie al suo intelletto, il saggio – il mago – può innalzarsi al di sopra dei sette cieli”. In Picatrix. Ghayat al-hakim, «Il fine del saggio» dello pseudo Maslama al-Magriti, Mimesis edizioni, Milano 1999, p. 13. 5

le dell’arte. Rivelarsi per dire io esisto e così sono. Di nietzschiana memoria, ha scavalcato sistemi e sovrastrutture dell’arte costituita, rendendo il suo corpo sintesi di suggestioni estreme che prestano il fianco all’espressione audace della complessità della provocazione: allarga la percezione e il comune sentire a regioni che spesso, per tabù o per morale, lasciamo chiuse in un angolo austero del nostro essere umani. Trascendendo il comune sentire, la Abramovic è riuscita a giocare e vincere il dolore; la carne, si è fatta così schiava della mente, facendo riecheggiare l’inversione hegeliana del binomio servo – padrone. Non depurata, ma sicuramente ridotta, appare adesso Marina Abramovic che, mutata nella forma ma non nella sostanza, provoca in questa nuova performance l’azione del pubblico. L’arte è il faro che traccia la rotta che impone un metodo di conversione delle anime e dei corpi, fuori dalle logiche della paura e del principio del pavido “non tentare” di farsi materia dell’arte. Giudicare da alti seggi, come illuminati voyeur, non è compito di chi vuol guardare le stelle. I telescopi, rivolti all’azione del qui e ora, soccorrono lo spettatore nella caoticità del movimento e dei corpi vivi. Dove il macro e il micro si incontrano, dove il potente serve e osserva il minimo e l’impercettibile fluire del tempo, l’occhio si presta al contiguo, nella certezza che solo abbassandosi alla percezione del reale possa imporsi il giusto paragone con il trascendente. La spiritualità, l’energia e la dilatazione della sfera sensoriale, sono per la Abramovic nodi focali della ricerca che l’hanno portata da Bologna - con Ulay - fino al PAC di Milano. L’oltre corpo, così come l’oltre uomo, il post modernismo, rivelano e addizionano nella sintesi della performance, lo slancio ancora vivo e progressista dell’andare al di là, imponendo un metodo, una regola, che indica e suggerisce, senza imposizioni e imbastiture coatte. Quando il piccolo si eleva e il grande si distende l’equilibrio che si produce muove i corpi in successione, provoca armonicamente intrecciando il successo al disagio, il molteplice all’uno: nella performance l’entusiasmo si trasforma in energia collettiva, producendo un moto invisibile di misticismo. A giocare col fuoco è facile bruciarsi, se l’azione non è definita da coordinate implicite e tra loro accordate. Oltre san Lorenzo sulla graticola, oltre alla purificazione monacale della frusta, nel confine che l’azione opera al corpo e in ascesi allo spirito, il dettame del video gioca coordinando il pungolo che sta tra anatemi e trattati5 d’innesco. Nell’operare della Abramovic questa volta non c’è violenza, o forse è solo la quiete prima della tempesta. Evoluzione della performance newyorkese al MOMA nel 2010 The Artist is Present (prova di resistenza fisica in cui per sette ore ogni giorno l’artista seduta ha incrociato lo sguardo di migliaia di visitatori), oltre che di House With the Ocean View e Seven Easy Pieces, la Abromovic si dissesta e in trono sentenzia l’ascesa di un’energia congiunta che si accumula in minerali preziosi, così come gli uomini, novelli portatori e contenitori di energie. Nella catarsi del pensiero collettivo i minerali servono qui da connettori di energia, dialogando nella loro anima immota e arcana con il pubblico e gli spettatori presenti. In novanta minuti si impartirà il metodo Abramovic, la riscoperta di un paradosso antico e ancora attuale che vede la nuova danza dell’arte esprimersi secondo i labirinti antichi della mente.

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IL PROIETTORE DI OLOFERNE Billy Wilder? Il cinema di Giuditta Naselli

La notte degli Oscar di quest’anno ha avuto come protagonista assoluto il film muto The Artist, che ha vinto diverse statuette, tra cui quella di Miglior film. Il regista Michael Hazanavicius ha trionfato superando autori del calibro di Martin Scorsese, Terence Malick e Woody Allen e, dimostrando la sua commozione, ha dedicato un ringraziamento speciale al regista Billy Wilder. Le parole di Hazanavicius hanno suscitato alcune domande. Mentre, infatti, coloro che non solo del mestiere si chiedono: “Chi è questo fantomatico Billy Wilder?”, chi si occupa di cinema si domanda già da tempo: “Chi era veramente Billy Wilder?” Maestro di commedie esilaranti e autore di grandi drammi amari e corrosivi, il cinema di Wilder sfugge a qualsiasi sistematica critica per il complesso gioco di maschere insito in ogni film, dalle commedie brillanti ai malinconici drammi. Billy Wilder è uno di quei cineasti, vissuti nel fervore culturale della Berlino della fine degli anni ‘20, che ha contribuito a costruire il classicismo hollywoodiano, traducendo nel cinema le stimmate dei grandi conflitti etici e spirituali che affondano le radici nella cultura tedesca. Attratto dalle peculiarità che l’arte comica ha di rappresentare la trasgressione alle regole e di intrecciarsi con il mondo delle pulsioni corporee, Wilder gira diverse commedie il cui comune denominatore diventa quel desiderio sessuale commisto al mondo del capitale tanto caro al maestro Ernst Lubitsch. È un’illusione, però, credere che l’umorismo della commedia wilderiana, sia pure travolgente come nei due film con Marilyn Monroe Quando la moglie è in vacanza (The Seven Year Itch, 1955) e A qualcuno piace caldo (Some Like It Hot, 1959), non celi una profonda ambiguità. Nelle sue commedie, infatti da Stalag 17 a L’appartamento (The Apartment, 1960) i personaggi sono continuamente costretti a fingere e a mascherarsi per sfuggire a un regime di censura. Sovrapponendo al reale il proprio immaginario narrativo, Wilder racconta il mondo umano dominato dalla bramosia di denaro che influenza i rapporti sociali e la sfera dei sentimenti umani. Lo sguardo ambiguo e ferocemente indagatore del regista emerge in molte delle sue commedie brillanti che prendono spunto da un avvenimento drammatico, come il massacro del giorno di San Valentino in A qualcuno piace caldo o l’esecuzione di un probabile innocente in Prima pagina(The Front Page,1974). Ciò dimostra come il paradosso assuma, nel cinema di Wilder, un ruolo fondamentale per sondare la realtà e scoprire attraverso la lente dell’umorismo le antinomie del cuore umano. Questo si materializza nel morto che parla (“Prima che gli altri vi raccontino questa storia deformandola, sono certo che vi piacerebbe sapere la verità, la pura verità”) o nel funerale della scimmia in Viale del tramonto (Sunset Boulevard, 1950) o nell’omosessualità taciuta in Prima pagina o ne La vita privata di Sherlock Holmes (The Private Life of Sherlock Holmes, 1970). Con causticità e sarcasmo Wilder racconta storie percorse dal bisogno di sesso e di denaro come strumenti per affermare il proprio potere sugli altri o per nutrire il proprio narcisismo, tutte però destinate al fallimento. Sin da La fiamma del peccato(Double Indemnity, 1944) il regista esplicita i termini della sua poetica attraverso le parole del protagonista Walter Neff (Fred Macmurry): “Ho ucciso Dietricson[…] l’ho ucciso per i soldi - e per una donna

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Leonard Cohen: The Stranger Song

Billy Wilder e Marilyn Monroe

Billy Wilder dimostra la sua genialità utilizzando il retroterra culturale ebraico per investigare la società americana e per denunciare la regressione che essa opera limitando la sfera dei bisogni primari e dei desideri individuali.


- non ho avuto i soldi, e non ho avuto la donna[…]”, sottolineando così l’abbrutimento dell’uomo moderno, la sua “impotenza” fisica e mentale. Billy Wilder dimostra la sua genialità utilizzando il retroterra culturale ebraico per investigare la società americana e per denunciare la regressione che essa opera limitando la sfera dei bisogni primari e dei desideri individuali. Cosa hanno allora in comune Billy Wilder e il film The Artist? Ben poco. The Artist non è altro che il sincero e struggente omaggio di un regista che si dimostra anche un appassionato cinefilo. Collage di numerose vecchie pellicole The Artist riprende diversi elementi dal cinema classico: la leggerezza e il savoir-faire della coppia Fred Astaire e Ginger Rogers, lo sfacciato fascino di Cary Grant, la figura del cagnolino acrobata ne L’orribile verità (The Awful Truth, 1937) o ne L’uomo ombra (The Thin Man, 1934) e il tema del mondo del spettacolo che ricorre in diversi film come ne I Barkleys di Broadway (The Barkleys of Broadway, 1949) o in Follie dell’anno (There’s No Business Like Show Business, 1954). The Artist è senz’altro un film piacevole e sicuramente il suo più grande merito è quello di aver riportato alla ribalta il cinema muto pur essendo molto lontano dall’eccellenza del grande cinema classico. Se The Artist ha commosso il pubblico, incoraggiato a vedere qualche vecchio film, come quelli di Billy Wilder, si innamorerà perdutamente di quella sala buia con le poltrone usurate e polverose e di quella luce che, dal fondo, proietta sullo schermo sogni.

Ciò dimostra come il paradosso assuma, nel cinema di Wilder, un ruolo fondamentale per sondare la realtà e scoprire attraverso la lente dell’umorismo le antinomie del cuore umano.

Portrait of Billy Wilder

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Miart la città – stato dell’arte la Redazione

Palcoscenico per galleristi ed espositori di ogni parte del mondo, per un intero weekend MiArt proclama Milano centro dell’arte. Dal 13 al 15 aprile nel quartiere fieristico di Fieramilanocity (padiglione 3, Viale Scarampo, Gate 5) la Fiera Internazionale di Arte Moderna e Contemporanea aprirà i battenti a collezionisti e curiosi con la formula tipica del movimento fieristico italiano: grandi nomi di fama internazionale si intrecceranno con artisti cutting edge, in una serie di mostre monografiche o double – dove due maestri vengono messi a confronto- cui faranno da cornice progetti curatoriali pensati per grandi aree, i cicli di conferenze e la lodevole iniziativa dello Iulm di Milano: i giovani tra i 18 e i 30 anni potranno, infatti, accedere gratuitamente alla manifestazione accompagnati in una visita guidata di un laureato dell’ateneo. Il layout della comunicazione è quest’anno lasciato a Federico Pepe. A Frank Boehm, l’arduo compito di sancire il ruolo delle gallerie come vettori di sapere, e accorciare le distanze tra pubblico ed espositori, interpretando la fiera come una grande mostra temporanea che muove dall’idea di non fare cassa ma fare cultura. Un ruolo scomodo per l’architetto e curatore tedesco, nonché consulente per la Deutsche Bank Collection Italy, che dovrà tirar le redini di tante anime e levare via la polvere di un mercato dell’arte spesso sottomesso alle regole del denaro. Non convince pienamente, infatti, una struttura unificata che contempla un gioco di rimandi tra celebrati ed emergenti, tra vecchio e nuovo che rischia di corrompere un salotto della cultura dell’arte a favore di una concezione utilitaristica della stessa. Lungi da Frank Boehm, che ben conosce l’effetto Cattelan, cadere in facili luoghi comuni incorrendo nelle insidie di un difficile confronto tra le posizioni di critici belligeranti e quelle dei galleristi collusi in dinamiche esclusivamente economiche. Quello che la diplomazia è in grado di fare, se mossa da ideali puliti di rilancio dell’arte come mezzo di cultura, è sterminato: a meno che non rimanga solo un orpello, uno strumento per un camouflage ordito ad hoc al fine di fidelizzare gli investitori, ormai troppo furbi per cedere. Rimane pur sempre la speranza che nel 2% dei casi, la parola venga lasciata veramente all’arte.

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Adriano Modica - Il Paese dei Balordi

Miart, Layout by Federico Pepe


BALLON Igort: l’indiscreto fascino dell’ hard boiled di Andrea M. Campo

The Beatles - Dr. Robert

Senza alcun dubbio, Johnny Lo Cicero -Sinatra per gli amici dei bassifondi della Grande Mela che lo ascoltano mugugnare celebri motivetti durante il “lavoro”- ha il fascino hard boiled degli antieroi della Nouvelle Vague: nonostante l’aura negativa e gli atteggiamenti torbidi dell’uomo sopraffatto dal delitto e dalla colpa, è difficile non predisporsi benevolmente verso l’archetipo dell’esiliato dannato. Al personaggio creato da Igort (pseudonimo Igor Taveri) spetta l’arduo compito di rappresentare il lato oscuro del fumettista sardo, celebre oltreoceano per i suoi lavori ibridi, con la mostra “Igort. Crime – Attento sei seguito dalle ombre”, fino al 2 aprile nella Sala alla Porta di Sant’Agostino (Porta di Sant’Agostino a Bergamo). Le tavole bicrome e le tavole originali di Sinatra– definite da campiture azzurre che corroborano l’idea della scenografia urbana crudelmente ostile- celebrano l’austerità del fumetto anni Cinquanta - Sessanta favorendo un revival di atmosfere noir: le lunghe sequenze di silenzi, dove l’azione è limitata a simboliche partiture della spirale emotiva dei protagonisti, si caricano dell’intensità lirica di uomini persi in un mondo distopico, a volte irreale e lontano dai sobborghi in cui agiscono, quasi a delinearne un aureo distacco, ma pur sempre intrise di un movimento sincopato e anomalo. La rapsodia jazz dell’elemento figurativo si compone, comunque, nel pieno rispetto di una struttura narrativa classica che conduce a un mondo forzosamente vero. “Mi interessava usare un meccanismo classico di certi thriller- spiega l’autore nel suo sito - per potere lavorare con il ritmo e inserire delle pause e dilatazioni. Da un punto di vista grafico inoltre mi sono divertito a “inventare” una bicromia che unisce la materia fluida dell’acquerello con la tecnica piatta del secondo colore. Pensavo a Touluse Lautrec e al suo lavoro con le litografie fatto un secolo fa. Arrivare alla stampa ma con l’attitudine del pittore. Mi piace l’idea di mettere in discussione il concetto di fumettista”. La mostra di Bergamo composta da tavole originali e serigrafie (Coconino Press, Collana Maschera Nera, Bologna, 2000) si chiude con i quadri di Polar (tiratura limitata e numerata, Bologna, 2004) con otto immagini firmate e serigrafate a colori con pellicole ritoccate manualmente dall’artista, realizzate per la casa editrice fondata dallo stesso Taveri, la Coconino Press.

Igor Tuveri, Storyteller. Immagine di copertina COURTESY IGORT E COCONINO PRESS, Bologna Igor Tuveri, Frederick Dubois. Character COURTESY IGORT Igor Tuveri, Johnny Lo Cicero. Strip COURTESY IGORT

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Fratelli Scuotto, San Gennaro mascherato, 2000 Fratelli Scuotto, Famiglia in-formazione, 2000 Fratelli Scuotto, Colonna Infame, 2012

La moltiplicazione di Pulcinella

Tutte le foto: COURTESY NEA ARTGALLERY, Naples

di Ilario D’Amato

Almamegretta - Nun Te Scurdà

Dopo essere stata battezzata con la mostra collettiva Po- popolare campano, una maschera che si riferisce inlis dello scorso Ottobre, la Nea Artgallery di Napoli, neo- nanzitutto all’espressione della morte. Una valenza di nata e polivalente galleria d’arte situata nel centro storico morte... ha l’abito bianco, confezionato con le lenzuoa pochi passi dall’Accademia di Belle Arti, ha presentato la, un camicione completato dal coppolone o cappello la prima personale con Pulcinella essenza liquida idea- a punta, pure di stoffa bianca; una valenza di morte.. ta da Nicola Russo e realizzata dall’abile manualità artisti- ha la maschera che copre il volto. Una maschera nera ca dei fratelli Scuotto. Protagonista assoluto della scena che si può ribaltare in una coloritura bianca del volè la celebre maschera di Pulcinella che opera all’interno to ottenuta con farina o gesso, e che rende ancor più dello stesso spazio espositivo una moltiplicazione feroce spettrale la maschera stessa”1. e carica di simbologie. Lo spettatore della mostra assiste L’esposizione dei fratelli Scuotto elimina da questa figura il senso di morte che De Simone, nella a quella che potremmo definire come “gestazione di un simbolo”. Ana- L’esposizione dei fratelli sua analisi antropologica, ha tracciato e ci presenta invece una vitalità lizzando attentamente questa potente Scuotto elimina da esaltante che si evidenzia attraverso maschera, senza tener conto dei luoghi questa figura il senso di la proliferazione di immagini e di mecomuni che la contemporaneità vi ha costruito sopra, risulta evidente come morte che De Simone, tafore. In queste opere non vi è però il Pulcinella della tradizione teatraPulcinella è, da sempre, il simbolo di nella sua analisi le e della grande commedia dell’arte, Napoli, incarna la sua anima popolare, ma la sua forma embrionale che viene rappresenta lo sberleffo dei potenti e la antropologica, presentata in diversi contesti e stati rivincita sociale sui soprusi del padroha tracciato di costituzione. Si parte dalla Famine. Fra tutte le maschere della tradizione artistica italiana è l’unica a non aver subito mai un vero glia in-formazione dove l’embrione sotto vetro viene e proprio tramonto, registrando anzi continue rinascite e inquadrato al centro di due genitori ideali e lontanissisempre maggiore popolarità. Roberto De Simone ha scrit- mi nel tempo con i quali si vuole rimandare alla nascita to: “Pulcinella è la maschera per eccellenza del mondo di quest’antica maschera in quella che Franco Toscano,

nella prefazione del catalogo della mostra, ha definito: “la stagione degli oracoli e degli enigmi” anche se poi verrà canonizzato “negli anni spaventati dell’Impero Romano, quando per ogni esigenza eleggevano un Dio, con tutte quelle mode e religioni che arrivavano da Oriente (…)”. Sotto forma di tanti piccoli feti umani conservati sotto spirito si forma poi la Colonna Infame ,con la quale pare conservarsi, nelle pose irriverenti delle piccole figure, tutto il carattere sconcio e talvolta spietato del personaggio maturo. Il percorso espositivo quindi si snoda a partire da una lontana e misteriosa nascita alla cristallizzazione del suo intimo carattere, Pulcinella viene sacrificato su un palo (Impalato), conservato sotto vetro come anima sopita di una città in affanno (Dormiente) e finisce quasi col contaminare un alto simbolo assoluto quale S. Gennaro, che per

l’occasione indossa anch’egli una maschera e mostra il suo cuore in reliquia (San Gennaro in maschera). Racchiuso in barattoli di vetro come placenta umana, questo germe si nutre del tempo e allo stesso tempo rilascia la sua “essenza liquida” che pulsa e scorre incessantemente nelle vene della popolazione. L’immagine finale è quella di un esercito in battaglia, uno stuolo di spiritelli che forma una vera e propria Macchina da guerra pronta ad una riscossa che sembra imminente ma non si realizza mai. Tutto termina in questo carro simbolico che calpesta con le sue ruote le cronache quotidiane del passato e del presente e si appresta a sfondare con il suo ariete le porte di un futuro se non migliore, sicuramente diverso, perché qualcosa deve cambiare, una rivoluzione è necessaria. Vincenzo De Simone, Carnevale si chiama Vincenzo, Roma, De Luca Editore, 1977. 1

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ROUTES di Gabriella Mancuso

Mostre Berlino, Nationalgalerie, Gerhard Richter: Panorama, Dal 12 febbraio al 13 maggio 2012 Biglietto intero: 8 euro Biglietto ridotto: 4 euro Info: www.smb.museum

Milano, Fondazione Marconi,Sonia Delaunay. Atelier Simultané 19231934, Dal 22 febbraio al 31 marzo 2012, Ingresso gratuito Info: www.fondazionemarconi.org

Bologna, Galleria Oltredimore, When ( Italian) Responsabilities Become Form, Dal 9 marzo al 21 aprile 2012, Info: www.oltredimore.it

Milano, Galleria Blu, Un invito a guardare, Dal 6 marzo al 4 maggio 2012 Info:www.galleriablu.com

Bologna, Ono Arte Contemporanea, 1969: l’anno in cui tutto è cambiato, Dal 16 febbraio al 12 aprile 2012 Ingresso gratuito Info: www.onoarte.com Brescia, Galleria Agnellini Arte Moderna, Georges Mathieu. 19481969, Dal 15 ottobre 2011 al 14 aprile 2012 Info: www.agnelliniartemoderna.it Doha, Quatar, Museo d’Arte Islamica, Ego: Takashi Murakami, Dal 9 febbraio al 24 giugno 2012 Info: www.alriwaqartspace.com Firenze, Spazio Base, Lawrence Weiner. Ever so Much/Mai così tanto, Dal 18 febbraio al 20 aprile 2012 Info: www.baseitaly.org Firenze, Strozzina, Centro di Cultura Contemporanea, American Dreamers, Dall’8 marzo al 15 luglio 2012 Ingresso gratuito Info: www.strozzina.org Londra, Tate Modern, Alighiero Boetti-Game Plan, Dal 28 febbraio al 27 maggio 2012 Info: www.tate.org.uk Londra, Tate Modern, Yayoi Kusama, Dal 9 febbraio al 5 giugno 2012 Info: www.tate.org.uk

Milano, Museo Pecci, Turbolenze, Dall’8 marzo al 14 aprile 2012 Ingresso gratuito Info: www.centropecci.it Milano, Spazio Orlandi e Superground, Pop Surrealism vs Urban art, Dal 15 al 23 marzo 2012 Ingresso gratuito Info: www.spaziorlandi.com Milano, Spazio VIATREBBIA33, Astri - in - Azione, Dal 13 marzo al 27 aprile 2012 Milano, Wow, Museo del fumetto, Dal manga all’anime, Dal 10 marzo al 13 maggio 2012 Biglietto intero: 7 euro Biglietto ridotto: 4 euro Info: www.museowow.it Milano, Zonca&Zonca, Nobuyoshi Araki, Pothos & Polas, Dal 15 marzo al 21 aprile 2012 Info: www.zoncaezonca.com Napoli, Nea Artgallery, Pulcinella Essenza Liquida Fino al 1 aprile Info:www.neartgallery.it New York, MoMa, Cindy Sherman, Dal 26 febbraio all’11 giugno 2012 Info: www.moma.org Roma, Chiostro del Bramante, Miró. Poesia e luce, Dal 16 marzo al 10 giugno 2012 Biglietto intero: 12 euro Biglietto ridotto: 10 euro Info: chiostrodelbramante.it

Roma, Museo di Roma in Trastevere, Evgen Bavcar. Il buio è uno spazio, Dal 19 gennaio al 25 marzo 2012 Biglietto intero: 6,50 euro Biglietto ridotto: 5,50 euro Info: www.museodiromaintrastevere.it Rovereto, Mart, Gina Pane, Dal 17 marzo al 8 luglio 2012 Biglietto intero: 11 euro Biglietto ridotto 7 euro Info: www.mart.tn.it Rovereto, Mart, Postmodernismo. Stile e sovversione 1970- 1990, Dal 25 febbraio al 3 giugno 2012 Biglietto intero: 11 euro Biglietto ridotto 7 euro Info: www.mart.tn.it Torino, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Press Play. L’arte e i mezzi d’informazione, Dal 2 febbraio al 6 maggio 2012 Biglietto intero: 5 euro Biglietto ridotto: 3 euro Info: www.fsrr.org Torino, GAM, Strangers, Dal 16 marzo al 10 giugno 2012 Biglietto intero: 10 euro Biglietto ridotto: 8 euro Info: www.gamtorino.it Venezia, Palazzo Fortuny, Diana Vreeland After Diana Vreeland Dal 10 marzo al 25 giugno 2012 Info: www.museiciviciveneziani.it Winterthur, Fotomuseum, Diane Arbus, Dal 3 marzo al 28 maggio 2012 Info: www.fotomuseum.ch Zagabria, Museo di Arte Contemporanea, Silenzi in cui le cose s’abbandonano, dal 2 marzo al 3 aprile 2012 Info: www.msu.hr

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Vernissage

Eventi

Incontri

Acri, MACA Museo Arte Contemporanea Acri, Dal polimaterico all’essenza della struttura, Dal 31 marzo al 27 maggio 2012 Info: www.museovigliaturo.it

Bologna, Sedi varie, Future Film Festival, Dal 27 marzo all’1 aprile 2012 Info: www.futurefilmfestival.org

Bolzano, Libera Università di Bolzano, Artiparlando, ciclo di conferenze sulla tematica “Global Art-New Public”, Dal 29 febbraio al 14 giugno 2012 Ingresso gratuito Info: www.museion.it

Bologna, Galleria Marabini, Harland Miller, Dal 30 marzo al 4 maggio 2012 Info: galleriamarabini.it Milano, Galleria Lia Rumma, Marina Abramovic. With Eyes Closed I See Happiness. Dal 20 marzo al 5 maggio 2012, Info: www.liarumma.it Milano, Pac, Padiglione d’Arte Contemporanea, Abramovic Method, Dal 21 marzo al 10 giugno 2012 Biglietto intero mostra: 8 euro biglietto ridotto: 6 euro biglietto mostra+performance: 30 euro (obbligo prevendita: 3 euro) Info: www.comune.milano.it Roma, Maxxi, Kaarina Kaikkonen. Towards Tomorrow, Dal 14 aprile al 15 luglio 2012, Biglietto intero:11 euro Biglietto ridotto: 8 euro Info: www.fondazionemaxxi.it Roma, Museo dell’Ara Pacis, Avanguardie russe, Dal 5 aprile al 30 settembre 2012 Ingresso ordinario: 7.50 euro Ingresso ridotto: 5.50 euro Info: www.arapacis.it

Bologna, La Cupola, Urto, programma DOM a cura di Laminarie Dal 29 febbraio al 26 maggio 2012 Info: www.lacupola.bo.it Firenze, Teatro Studio Krypton, Cinque atti teatrali sull’opera d’arte Dal 24 al 26 marzo 2012 Info: www.compagniakrypton.it Milano, Cinema Apollo, anteprima nazionale del film Marina Abramovic. The Artist is Present, 22 marzo 2012 Info: www.spaziocinema.info

Roma, Maxxi, L’arte pubblica nel ‘900. Il mito dell’uomo nuovo, 4 aprile 2012 incontro con Timothy Verdon 11 aprile 2012 incontro con Achille Bonito Oliva Info: www.fondazionemaxxi.it Roma, Maxxi, dal ciclo “Le storie dell’arte”, 21 aprile 2012 incontro con Laura Cherubini biglietto: 4 euro Info: www.fondazionemaxxi.it

Roma, RO.MI Arte Contemporanea, Videoart-Contaminazioni, Dal 10 febbraio al 24 marzo 2012 Info: www.romiart.net

Fiere Arezzo, Firenze, Montecatini Terme, Lucca, Pisa, Toscana Art Expo, Dall’1 aprile al 30 novembre 2012 Ingresso gratuito Info: www.artefiera.blogspot.com Maastricht, Exhibition & Congress Centre, Tefaf, Dal 16 al 25 marzo 2012 Biglietto intero+catalogo: 55 euro Info: www.tefaf.com Milano, quartiere fieristico, MiArt, Dal 12 al 15 aprile 2012 Biglietto intero: 15 euro Biglietto ridotto: 10 euro Info: www.miart.it Monaco, ArtMonaco, Dal 5 all’8 aprile 2012 Biglietto unico: 20 euro Info: www.artemonaco.com

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B(A)UY IT Comparative Steel la Redazione

È difficile mettere a confronto due artisti come Jaume Plensa e Seo Yeong - Deok, che prestano alla statua il fianco dell’acciaio, delle lettere il primo e delle catene di biciclette l’altro. Ormai celebrato e conosciuto dal grande pubblico, Jaume Plensa, assembla le lettere dell’alfabeto così da formare corpi imponenti e leggeri al tempo stesso, a volte sospesi in aria, comunque perennemente attraversati dalla luce. La resa delle sue sculture è sicuramente suggestiva e reinterpreta l’assunto di filosofica memoria dell’essere corpo tramite il pensiero esprimibile –solo- per mezzo della parola. Le opere si sviluppano seguendo il criterio della carne come muto riflettere, acme di una società spesso rumorosa e superficiale, sagoma esteriore del vuoto apparire e corazza dell’ombra; in questo si riflettono due suoi celebri lavori, Alchimista ed Eremita. Diverso il caso di Seo Yeong Deok, meno celebrato dal mondo dell’arte, ma sicuramente più interessante sotto i profili tecnici e di resa. Seo Yeong - Deok utilizza infatti catene di biciclette tra di loro assemblate, fino a produrre inquietanti figure umane di notevoli dimensioni sfiorando, avolte, anche i 7.5 m di altezza. La mostra itinerante, già a Seoul e Istanbul, ha per titolo Dystopia. Anche per il coreano quindi, la parola veicolo dell’espressione, assume un rilievo chiaro nell’interpretazione della sua opera. Corpi turbati anche se ben oleati, sfilano di fronte al pubblico, in una nuova interpretazione della vanitas, laddove essa rappresenta immoto ciò che in realtà è destinato al movimento.

Pink Holy Days - Spaceman

Jaume Plensa, Heremit IV, 2011 COURTESY GALLERY LELONG, Paris

Seo Young Deok, Addict ñ Meditation, 2011 COURTESY HUFFINGTON POST U.K.

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L’IMMANENTE E IL TRASCENDENTE Profumo di luce di Vincenzo B. Conti

Distance - My Demon

Mirò - Il biomorfismo, traccia di mutevoli sequenze vitali, cromatici grafismi. È il lieto capitolare davanti al segno che narra dell’organica mutazione delle forme minimali della vita. La luce si riappropria della sua forza, non cedendo, per sua grazia, allo stupore dell’allegorico. Ottanta opere di Joan Mirò si potranno ammirare al Chiostro del Bramante fino al 10 giugno con la mostra dal titolo “Mirò! Poesia e luce”, a cura Maria Luisa Lax Cacho. Nell’elegante espressione dei microrganismi eclettici, Roma sperimenta il gioco dell’elementare, e infinita poesia della luce. Chablis - Giovani e freschi i colori di questo vino di un giallo verde-oro, giovani e freschi i suoi profumi gelosamente intrappolati dall’acciaio utilizzato nella produzione, giovani e freschi anche grazie al gesso della terra su cui cresce il miglior Chardonnay; giovani e freschi, infine, gli aromi floreali e fruttati. In Francia, poco a sud della Champagne, nelle campagne di Chablis, sapiente mani producono, da secoli, uno dei migliori bianchi francesi senza bollicine: lo Chablis strizza l’occhio ai grandi vini francesi grazie alle sue caratteristiche note minerali, donate da terreni simili a quelli su cui crescono i vigneti per la produzione di spumanti di alta qualità. Sebbene la posizione geografica dell’area di Chablis, riconosciuta dal sistema di qualità francese come AOC (Appellation d’Origine Contrôlée o Denominazione d’Origine Controllata), appartenga alla regione vinicola della Borgogna, la composizione del suolo e le condizioni ambientali sono molto simili alla Champagne: il suolo ricco di gesso conferisce ai suoi bianchi i caratteristici aromi e sapori minerali di pietra focaia tipicoi della Champagne. L’influenza di Parigi è forte in questi vini senza cedere al facile gioco della mera imitazione: il carattere forte di questo territorio -grazie anche ad un clima molto rigido- lascia in bocca un sapore secco e rotondo, fermo, pieno e deciso. Lo Chardonnay non sempre si presta ad un’ottima vinificazione in purezza ma regala comunque un insospettabile gusto dai tipici profumi primari che riempiono la bocca. Domaine Laroche onora il patrono di Chablis con un vino eccezionale dai grandi riconoscimenti: Annata 2000, International Wine Challenge 2000, Medaglia di Bronzo; Annata 1998, WineSpectator 87/100 pt; Annata 1997, Robert Parker’s The Wine Advocate 84/100 pt. Bel colore trasparente verde-oro, al naso sottile e cremoso, al palato svela un accenno di burro con classiche note minerali, note di nocciola e polvere da sparo, lungo ed intenso in bocca e una finitura morbida. Chablis Saint Martin 2009 Domaine Michel Laroche A.O.C. Chardonnay 100% 75 cl 25.00 euro

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Joan Mirò, Untitled, 1978, COURTESY FUNDACIÓN PILAR I JOAN MIRÒ, Palma de Maiorca e CHIOSTRO DEL BRAMANTE, Roma.


Agata Matteucci, Sensi di colpa, inedito, 2011

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Leo&Lou Lou è una ragazza dolce e naïf, curiosa e determinata a non lasciarsi deprimere dalle nere prospettive che il XXI secolo le propone. Leo è un ventenne arrabbiato. Con il sistema, con il governo, con i politici, con la sua generazione, con la generazione passata, con il futuro. L’un l’altro si interrogano, psicanalizzano, incoraggiano e distruggono, volontariamente o involontariamente, ma senza comunque riuscire a cavare un ragno dal buco. Agata Matteucci nasce a Ravenna nel 1982, vive a Bologna e lavora come grafica e webdesigner, fumettista e illustratrice. Leo & Lou è la sua prima pubblicazione personale, acquistabile in libreria e su www.agatamatteucci.com

Agata Matteucci, strip da Leo&Lou

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CREDITS Design Days Dubai, DIFC Gate Village, 1 Dubai, UAE; 00971 44258747 Future Film Festival, Via Pietralata, 65\2 Bologna; 051 6567133 Getty Images, Via G.B. Vico, 16\A Milano; 02 4819020 Guidi&Schoen Arte Contemporanea, Vico Casana, 31r Genova; 010 2530557 Lia Rumma Gallery, Via Stilicone, 19, Milano; 02 29000101 Fondazione Bevilacqua La Masa, Piazza San Marco, 71c Venezia; 041 0994734 M.A.U., Via Musine, 19 Torino; 011 745580 Mart, Corso Angelo Bettini, 43 Rovereto (Trento); 0464 454111 Museion, Via Dante, 6 Bolzano; 0471 223413 Photology, Via Della Moscova, 25 Milano; 02 659 5285 Coconino Press, Via De’ Buttieri, 7/B Bologna; 051 325516 Galerie Lelong, Rue De Téhéran, 13 Paris; 01 45631319 Nea Artgallery, Via Santa Maria Di Costantinopoli, 53 Napoli; 0810332399 Fundacion I Pilar Joan Miro, Carrer De Joan De Saridakis, 29 Palma; 971 70 14 20 Chiostro Del Bramante, Arco Della Pace, 5 Roma; 066 8809098 Museo Canova, Via Canova, 74 Possagno (Treviso); 0423 544323 Olycom S.P.A, Via Ludovico D’Aragona, 9 Milano; 02 9737201 P.A.C., Via Palestro, 14 Milano; 02 884 65931 Paola Colombari, Via Maroncelli, 10 Milano; 02 29001189 Stilwerk Design Gallery, Große Elbstraße, 68 Hamburg; Teatro Studio Krypton, via Donizetti, 14 Scandicci (Firenze); 055 757348 Victoria & Albert Museum, Cromwell Road, London; 0 207 9422502

Si ringraziano inoltre i collaboratori degli uffici stampa che hanno sostenuto la nostra ricerca.


NAIV – VAIN: Andrea Salvatori in mostra per Bianco 3, rassegna di arte contemporanea a cura di Chiara Cardinali; Antony Gormely alla Galleria Continua con un grande progetto.


Christo, Wrapped bicycle on Luggage Rack (project), 1962-2000


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