RAFFAELLA CORCIONE SANDOVAL - LA FONTE DI SAN GIOVANNI

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Studio Byblos

La Fonte di San Giovanni RaccontoPrefazione di EmilioIllustrazioniGiordano di Raffaella Corcione Sandoval

Raffaella Corcione Sandoval

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2022 Raffaella Corcione Sandoval www.raffaellacorcionesandoval.net

A mio padre, che mi ripeteva sempre: “Tre sono le capitali del mondo: Padula, Roma e Gerusalemme”.

«Ho dovuto stroncare una fitta vegetazione, addensatasi al centro dell’edificio al punto da costituire una zona di tenebra, ed è riemersa, luminosa, una vasca, alimentata dalla sorgiva, la quale ci consente di precisare senza esitazioni la natura del monumento»: così Vittorio Bracco raccontava alcuni particolari della sua importante scoperta in un lungo articolo pubblicato nel 1958 sulla “Rivista di Archeologia Cristiana”, dove – seguendo le indicazioni contenute in una lettera famosa di Cassiodoro al re dei Goti Teodorico (VI secolo d. C.) – riportava idealmente alla luce Marcellianum («un suburbio di Cosilinum») e, appunto, le rovine del suo straordinario Battistero paleocristiano. San Giovanni in fonte! Questa breve nota non poteva che ini

PER LE ANTICHE STRADE

I ricordi son mani che non giungono a toccarsi. C. Sbàrbaro, Versi a Dina (1930-1931)

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Emilio Giordano

A quest’ultimo spazio, non troppo frequentato e destinato forse a rimanere un po’ in ombra negli anni, appartiene senz’al tro il racconto che qui si presenta: lo dichiara, già sulla soglia, il titolo stesso prescelto (La fonte di San Giovanni).

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ziare nel suo nome, nel ricordo del mio venerato e mai dimenti cato Maestro, nel ricordo cioè, di colui che quel monumento ha strappato con forza all’oblìo, consegnandolo come prezioso e quasi vivo reperto all’immaginario delle generazioni future: al turista più o meno distratto, allo studioso che vorrebbe saperne di più, o magari a colui (o a colei) che un giorno si arrende alla spinta di una segreta passione e inventa parole capaci di farlo improvvisamente rivivere nel tempo esaltante che fu il suo, re galando così un piccolo e breve brandello di vita ad un antico fantasma ormai muto.

Siamo nel Medioevo, a Padula, un Medioevo declinante che si muove verso nuove atmosfere e altri scenari: la Certosa già esiste nella sua primaria struttura ed è monumento oramai fa moso ed economicamente pregnante nel territorio. Ma a colei che scrive non interessa tanto una ricostruzione inappuntabile anche nei minimi dettagli del momento storico, del contesto

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È uno sguardo che si rivela al lettore non solo per questo versante, ma anche per la reiterata e puntuale attenzione riservata ai colori: si va dalle «lunghe tuniche color ocra chiaro» dei Cer tosini alla volta del Battistero «coperta di mosaici con sfumature di colori che andavano dal blu turchese al verde smeraldo, con alcune parti in oro».

socio-culturale sul quale ha deciso di posare brevemente i suoi occhi: delineato con rapidi tratti, esso è come un suono malin conico di voci lontane, quasi fosse lo sfondo di un quadro.

E non a caso il pensiero corre ora a un dipinto: l’autrice di queste pagine, infatti, è soprattutto una pittrice famosa, che –se qui ha deciso di muoversi lungo sentieri diversi – conserva comunque per intero la peculiarità di uno sguardo costruito con cura negli anni.

È il primo piano, insomma, ciò che a lei interessa, il perso naggio che si stacca d’improvviso dal fondo per poter rappresentare una storia, la sua storia: con i gesti, con gli occhi, con le parole. Una storia semplice, direbbe Sciascia, una delle tante storie semplici – reali o verisimili – cancellate dal tempo, quasi inghiottite lentamente da un pozzo infinito dalle cui profondità

Appartenente a una famiglia in condizioni economiche precarie, il padre da tempo malato e debilitato, costretto perenne mente a letto, ella nel fazzoletto miracolosamente ritrovato vede materializzarsi la presenza di quella fortuna tanto a lungo e invano invocata in passato: si recherà in Certosa, e sarà la prima volta nella sua vita – questo dice fra sé la ragazza – e restituirà il prezioso tessuto al suo legittimo proprietario: e lui mostrerà di sicuro la sua gratitudine, dandole un lavoro e quindi la possi bilità di curare il padre. Le cose andranno anche al di là di ogni più rosea aspettativa: lei entrerà, infatti, nelle grazie del Priore, profondamente colpito dalla bontà del suo gesto, e avrà un lavoro decentemente retribuito. Dovrà aiutare coloro già da tempo impegnati nell’assistenza dei numerosi pellegrini che, dai terri tori più diversi e dopo lunghi viaggi, si avvicinavano alla fonte battesimale di San Giovanni.

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giungono a noi voci sempre più flebili e indistinte: la storia di un fazzoletto perduto (oggetto prezioso per il suo possessore, il Priore dei Certosini di Padula) e di Carmen, la ragazza che si ritrova come per caso a salvarlo, sottraendolo a un triste destino. Da qui prende avvio il breve plot del racconto.

Al centro della stanza c’era una grande vasca rotonda di marmo») e nell’opera svolta nei confronti dei tanti pellegrini che si avvicinavano alle sue acque, con le affollate scene notturne delle cerimonie religiose («Alcuni giovani laici e novizi erano disposti intorno al Priore, avevano bastoncini di incenso accesi tra le mani e attendevano i battezzandi, pregando fino al mo mento in cui, a mezzanotte, come per incanto, la vasca vuota co minciava a riempirsi d’acqua»). Alla fine, anche la ragazza si sente pronta a ricevere il sacramento della nuova religione, lei siriana emigrata con la sua famiglia in Europa, e la conseguenza sarà – per la madre e per la figlia – una dolce, inaspettata me tamorfosi («Quello che contava era che nei loro cuori si sentivano limpide come l’acqua della Fonte di San Giovanni»).

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Nel racconto, nella sua breve finzione letteraria, il monu mento sacro ritorna così ad essere quel luogo pieno di vita che fu: non più un insieme di rovine amorosamente conservate come testimonianza di un glorioso passato, ma il Battistero descritto nella sua originaria purezza («Un cielo punteggiato di stelle do rate decorava la parte superiore, da cui uscivano otto raggi di diverse dimensioni…

Per l’autrice, insomma, parlare di quel paese lontano è anche (anzi, soprattutto) parlare del proprio paese, il paese della sua infanzia, e farne il reale protagonista di queste pagine.

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Comunque, al di là dei personaggi e dei loro gesti più o meno esemplari, il vero protagonista del racconto bisogna cercarlo al trove. Infatti, se proviamo a scorrere queste pagine non solo con gli occhi, ma soprattutto – per usare le parole di uno scrittore famoso – congliocchidellamente, i soli in grado di capire i si lenzi e il non detto di un testo, esso appare d’improvviso in tutta evidenza: è il paese. È Padula, con le sue strade e i suoi angoli segreti, con i suoi boschi e i suoi ruscelli, le sue albe e i suoi tra monti, con i suoi monumenti e le sue particolari atmosfere. «Vedi, gli alberi sono, le case che abitiamo reggono. Noi soli passiamo via da tutto, aria che si cambia», scriveva Rilke nei primi anni del secolo scorso: quante generazioni attraverso i se coli si sono rivelate soltanto «aria che si cambia» rispetto a un luogo, quel luogo, rimasto identico nel tempo, con il suo incon fondibile corpo, con la sua anima segreta!

Attraversarne le strade, sfiorare con gli occhi le case oramai silenziose e scoprire la sacralità misteriosa dei suoi oggetti: in

altre parole, aprire lo scrigno prezioso che custodisce i ricordi (ogni paese è uno scrigno: non tutti lo sanno) e abbandonarsi al loro segreto richiamo, per vivere ancora qualche frammento di quella dolce malinconia che rende così ricca talvolta l’esistenza di ogni essere umano.

Padula, febbraio 2022

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Tableau 1 Acquerello su cartoncino, cm 30 h x 20 l Raffaella Corcione Sandoval - 2022

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Il ruscello, saltellando gioioso tra le pietre e i cespugli, tra scinava con sé i piccoli ciottoli che rotolavano ritmicamente. Il cinguettio di un passero su un ramo vicino sembrava voler prevalere sull’incessante frinire delle cicale, in quel caldo pome riggio d’estate.

Era un piacere immergere le mani nell’acqua di fonte, fredda e limpida, che si raccoglieva nelle vasche, create appositamente perché le popolane del posto potessero lavare i loro indumenti e le lenzuola trasportate sin lì in grandi ceste di paglia, poggiate in equilibrio sulla testa. Carmela si sentiva immersa in questi suoni che le riempivano la mente, impedendo alla miseria della propria vita di influenzare negativamente il suo umore. Non era necessario cantare, già la natura cantava per lei! D’un tratto, le ruote di un carro sempre più vicino la riportarono al Pertusillo: questo era il nome del luogo in cui il ruscello diventava perfetto

Carmela lo guardava, chiedendosi chi fosse; d’un tratto lo vide prendere un fazzoletto dalla tasca del saio, con cui si asciugò la fronte e il collo più volte, strofinando con insoffe renza. Il monaco, nel rimettere al suo posto il candido e sgualcito tessuto, non si accorse di averlo fatto cadere, mentre il carro si allontanava velocemente, lasciando la scia del suo passaggio. La fanciulla si asciugò alla meglio le mani sulla lunga gonna di cotone marrone sbiadito e si arrampicò fino al ciglio della strada per raccoglierlo.

Uno di loro, con una lunga barba bianca e seduto accanto al cocchiere, portava alcuni grandi libri sulle ginocchia e aveva la fronte bagnata di sudore.

Sulle ginocchia avevano canavacci legati, contenenti di sicuro grandi forme rotonde di pane o di formaggio.

per poter lavare. Una nuvola di polvere si avvicinava sempre più sul sentiero roccioso che dal Castello riportava a valle, verso la Certosa. Alcuni uomini dalle lunghe tuniche color ocra chiaro sedevano in silenzio sui bordi del carro, fissando il paesaggio. Nessuno si accorse di Carmela, che preferì spiarli nascosta dietro un folto cespuglio di ginestre.

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Tableau 2 Acquerello su cartoncino, cm 30 h x 20 l Raffaella Corcione Sandoval - 2022

Non era mai entrata nella Certosa di San Lorenzo e pensò che fossero di sicuro diretti proprio lì quei monaci. Non era facile entrare nel Monastero, perché solo i signorotti potevano aspirare a vedere i loro figli diventare Certosini, e la regola poi imponeva che poche persone soltanto vi fossero ammesse.

Il Monastero si era ingrandito nel tempo, fino a diventare uno dei più importanti del Meridione. La Certosa era ormai l'orgoglio della Lucania, con i suoi vasti corridoi, l’immenso chiostro di dodicimila metri quadrati, con trecentoventi stanze e ottanta quattro colonne. La pace che regnava nella comunità religiosa non era affatto minacciata dai continui conflitti feudali e dalle infinite battaglie circostanti. Il Regno di Napoli era una delle mete più ambite per i rifugiati dalle regioni confinanti, a ciò spinti dall’estrema povertà e dalle tasse imposte loro dai signori. Carmela lavò il fazzoletto con delicatezza e, mentre lo immergeva nell’acqua cristallina, sentì il desiderio di restituirlo e, in

Quando ebbe tra le mani il fazzoletto, sentì il morbido e sottile tessuto di lino di cui era fatto e non le sembrò giusto che esso fosse così sudicio di polvere: sapeva che era prezioso e lo portò con sé al ruscello per lavarlo.

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La Fonte di San Giovanni 20 sieme, un tuffo al cuore. Capì, infatti, che quella poteva essere l’occasione per entrare nel grande Monastero. Cercò tra gli al beri un ramo su cui stenderlo ad asciugare e, nell’attesa, pensò di raccogliere le more più belle da portare a casa. Era quasi il tramonto, quando mise la biancheria asciutta nel suo piccolo cesto e si incamminò verso il paese. Il fazzoletto era nella sua grande tasca al sicuro e, mentre procedeva lungo la strada pol verosa, pensava a cosa avrebbe potuto indossare, tra i suoi poveri indumenti, per incontrare il frate e restituirlo. Carmela, in quel momento, si senti fortunata di essere approdata con la sua fami glia in questa terra, che per lei aveva il sapore della “Terra Pro messa”.Poteva sentire la pace in questa Valle di Diano, circondata da dolci colline, con i suoi paesini arroccati sotto un cielo blu in tenso. Questo angolo della penisola italica, in questa regione, la Lucania, con i suoi boschi, le sue montagne, i suoi fiumi e l'eco delle sue campane, era un'oasi nel mondo di violenza e igno ranza che li circondava. Preferiva percorrere sempre la strada più lunga e non le scorciatoie, perché così passava davanti alla Chiesa di San Michele Arcangelo, patrono di Padula, in cima al

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Tableau 3 Acquerello su cartoncino, cm 30 h x 20 l Raffaella Corcione Sandoval - 2022

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La Fonte di San Giovanni 23 paese. Padula, un tempo nota come Cosilinum, fu fondata nel VI secolo a.C. dall'antico popolo degli Enotri; in seguito, si svi luppò sulla cima di una collina a 698 metri sul livello del mare, come difesa contro l'invasione dei Saraceni. Solo recentemente era stata unificata come paese, circondata da un muro che la ren deva impenetrabile, per opera del barone di Sanseverino, che fondò anche la Certosa, a partire del 1306.

Carmela si fermò davanti all'antica chiesa, guardò la sua torre e la grande campana. Non era la sua religione, ma provava un grande rispetto verso chi andava in quel luogo a pregare. Salì alcuni scaloni di pietra e giunse davanti ad una piccola porta di legno, la cui metà superiore era quasi sempre aperta, perché fun geva anche da finestra.

La stanza aveva le pareti formate da grosse pietre e sul pavi mento sacchi di yuta impedivano alla polvere di alzarsi. La madre aveva acceso due piccoli ceppi nel rozzo caminetto (doveva cuocere un pugno di legumi per cena) e le disse subito di richiamare il gattino che era scappato fuori. Carmela però corse al capezzale di suo padre, che giaceva in un letto di legno scricchiolante e respirava a fatica. Gli accarezzò le guance e passò le

La madre di Carmela sorrise quando vide le more nel cestino di foglie poggiato sul tavolo: con esse avrebbe potuto preparare un po’ di marmellata.

sue dita tra i capelli: l’uomo le sorrise, chiamandola, come sem pre, “gioia mia”.

La stanza era buia e umida in tutte le stagioni, ma abbastanza grande per loro tre, con un piccolo tavolo, delle sedie di paglia, un cassettone e qualche cassapanca.

Riuscì a dormire poche ore soltanto, desiderando che sorgesse subito il sole sulla grande fortuna che il destino aveva messo sulla sua strada. Avrebbe indossato la gonna nera della dome

Cosa poteva fare per trovare le medicine adatte a curare suo padre? Aveva bisogno di un lavoro e si ritrovò a parlare con Dio, come aveva visto fare più volte ai devoti nella Chiesa di San Michele, i quali chiedevano a lui solo che si accorgesse di loro.

Quella notte si stese sul suo materasso di paglia, tirando la vecchia coperta fino al collo e, mentre ascoltava il respiro af fannoso del padre, malato di cuore, decise che la mattina se guente avrebbe portato il fazzoletto prezioso al Monastero, sperando di ricevere in cambio un bel pezzo di formaggio.

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ciolava ancora sul viso, e di tanto in tanto rivolgevano uno sguardo d’amore alla figlia che li precedeva in estasi. Sapevano che qualcosa di nuovo e meraviglioso era sorto in lei, proprio come quelle acque trasparenti.

Arrivati a casa, il padre entrò per primo, come sempre, perché andava subito a sdraiarsi sul letto per riposare. Carmela e sua madre, entrando dopo di lui, videro con sorpresa che egli era da vanti al caminetto intento ad accendere il fuoco, come faceva in passato. L’uomo si chinò senza fatica e raccolse un po' di legna, pulì la fuliggine con un gesto abituale e soffiò sui ramoscelli, disposti a strati su due piccoli ceppi, che si accesero. La legna crepitò, producendo calde fiamme piene di vita. Carmen e sua madre si guardarono e si abbracciarono forte. Senza dire nulla, si tolsero i mantelli e si sedettero accanto al fuoco. La sola cosa che riuscivano a fare era sorridere e piangere finalmente di gioia.

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Era stata la Fonte? La Fede? Il Battesimo? L’Uomo Dio? Non aveva importanza! Quello che contava era che nei loro cuori si sentivano limpide come l’acqua della Fonte di San Giovanni!

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