Sportivissimo Dicembre 2019

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la nostra guida I

n estate, non ricordo il giorno, si è tenuta una conferenza a Valdagno su Gino Soldà. Un mito dell’alpinismo e dello sci mondiale. Sebbene delle sue imprese si sappia da tempo tutto, perché ottimi libri ne hanno raccontato le gesta e i successi, è bene dedicargli conferenze: parlare di Gino è sempre edificante per chi ascolta. Uomini come lui sono una rarità e la storia della loro vita aiuta noi a vivere la nostra. Com’è capitato a me. Da quando sono presidente del Collegio Veneto dei Maestri di Sci giro le montagne della nostra regione. Talvolta il mio incarico mi porta anche su altre montagne. Ovunque vada sono chiamato a fare qualcosa, a dire qualcosa. Spesso è per la prima volta. Non sempre è facile. Non si conosce nessuno. I maestri sono uomini di montagna, amano una certa riservatezza. Il sole, poi, cala presto d’inverno tra le cime. Tuttavia, ovunque sia, so di essere stato preceduto da Gino, perché sulle montagne sotto alle quali mi trovo, Gino ha aperto una via, ha ripetuto un’ascensione, ha partecipato e magari vinto una gara di sci. Allora quel posto prima sconosciuto mi diventa familiare. Quelle persone, che prima sentivo fredde e lontane, mi diventano cordiali e amiche. Allora accade che la mia contenuta apprensione si sciolga. Mi sento sicuro, protetto. Nella mia mente si forma l’immagine rassicurante di essere in cordata con Gino. So che lui ha lasciato un buon segno tra quelle montagne: mi basta seguire i suoi passi per non sbagliare. Ecco, Gino Soldà non ha aperto solo vie su roccia o ha vinto gare di sci, Gino è stato una guida che ancora oggi sa accompagnarci nelle nostre sfide.

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natura

La lunga notte dei mammiferi

di Dorino Stocchero

Con il letargo alcuni mammiferi evitano i problemi legati ai lunghi periodi di freddo e alla mancanza di cibo. I tessuti di alcuni animali che vanno in letargo possono essere attivi anche quando la loro temperatura sfiora quella di congelamento. Non tutti i mammiferi ibernano allo stesso modo. I “veri ibernanti” cadono in un letargo nel quale si riproducono drastici mutamenti fisici, altri in uno stato di semplice torpore.

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mammiferi generano calore attraverso complessi processi interni e vengono perciò definiti animali “a sangue caldo”. Se gli animali a sangue caldo hanno il vantaggio di poter sopravvivere a temperature inferiori a quella corporea, mantenere una temperatura elevata comporta un notevole fabbiso-

gno di energia che sotto forma di cibo, scarseggia spesso durante l’inverno. I mammiferi piccoli disperdono il calore molto più velocemente di quelli grossi, perché hanno un rapporto superficie massa corporea molto più alto. Essi risolvono il problema accelerando le funzioni vitali (il metabolismo) e brucian-

do energia rapidamente, ma a causa delle ridotte dimensioni non possono immagazzinare sufficiente energia, né dotarsi di una pelliccia abbastanza folta da proteggerli in l’inverno. Per molti di loro la strategia di sopravvivenza è quella quindi di ibernare, trovata una comoda tana, vi si chiudono dentro per i lunghi periodi di freddo. Il letargo comporta notevoli cambiamenti nel metabolismo e nel comportamento. Con il calare della temperatura, l’animale comincia ad assopirsi, il ritmo respiratorio e quello cardiaco rallentano e la temperatura corporea scende. Si rannicchiano per lasciare esposta la minore superficie possibile e ridurre la minore dispersione di calore, cadono in un sonno profondo è possono rimanere in questo stato per alcune settimane. Se la temperatura scende eccessivamente però c’è il rischio che si possono congelare. Quando l’animale avverte che la


7 temperatura sta scendendo troppo, dà inizio a un lento risveglio cominciando a rabbrividire (processo che genera calore). Poi si sveglia del tutto innalzando ancora la temperatura, per ricadere infine in un sonno profondo. Benché la loro attività sia ridotta, gli animali in letargo producono escrementi e, di tanto in tanto devono alzarsi per defecare ogni volta, però bruciano preziose energie, correndo il rischio di morire di fame prima della fine dell’inverno, a meno che non possano procurarsi del cibo rapidamente o attingere a delle scorte immagazzinate precedentemente. Gli animali quindi entrano in un sonno profondo della durata di diverse settimane che si può definire con il termine “ibernazione”, subendo notevoli alterazioni della temperatura corporea e del battito cardiaco. In condizioni normali un animale ibernante come la marmotta ha una temperatura di circa 37° centigradi, una frequenza cardiaca di 88 battiti al minuto e respira 16 volte al minuto. Quando entra in ibernazione, la sua temperatura può scendere fino a 10° centigradi e la frequenza cardiaca si riduce a soli 15 battiti al minuto (il cuore può fermarsi anche per un minuto), inoltre respira solo due volte in un minuto. Se la sua temperatura corporea scende al di sotto dei 10° centigradi si sveglia, si alza di tanto in tanto per nutrirsi e defecare. Alcuni mammiferi cadono in lunghi intervalli di sonno che non sono accompagnati da un netto calo della temperatura corporea e della frequenza cardiaca e respiratoria come gli animali ibernanti. Questo tipo di letargo spesso detto “torpore”, somiglia più a un profondo stato di sonnolenza. Gli orsi bruni che vivono nelle zone più a nord, trascorrono lunghi

periodi in uno stato di dormiveglia nel profondo della tana, situata normalmente sul fianco di un pendio. Gli stessi riescono a non mangiare per più di 100 giorni e nel loro retto si forma un tappo fecale. Comodamente rannicchiati nella tana, sono comunque in grado di compiere movimenti coordinati: la loro temperatura cala di pochi gradi e il metabolismo rallenta di circa la metà rispetto a quello di un orso attivo d’estate. E’ in queste condizioni che la femmina di orso bruno partorisce i suoi piccoli di circa 500 grammi di peso e li allatta per alcuni mesi. Poiché la loro temperatura scende di poco gli orsi non hanno bisogno dei complessi cambiamenti fisici, tipici dei veri animali ibernanti, ma è comunque interessante notare che possono fare a meno di defecare per più di 100 giorni, in parte grazie al fatto che si nutrono solo di grasso accumulato che non produce escrementi. Altri mammiferi che adottano il fenomeno dell’ibernazione sono i pipistrelli. Prima di ibernare il pipistrello costituisce una riserva di grasso per avere energie durante il letargo invernale. Alcuni pipistrelli vanno in letargo stringendosi l’uno addosso all’altro in gruppo, in modo da conservare meglio calore e umidità. Gli stessi si addormentano profondamente pertanto è importante che devono scegliere posti più adatti a trascorrere l’inverno. Fra i luoghi preferiti vi sono le caverne, che offrono buio costante, sicurezza e riparo dalle variazioni nella temperatura esterna, che altererebbero il ciclo di ibernazione. I pipistrelli hanno bisogno di molta umidità per non disidratarsi mentre dormono è perciò amano le caverne. Se la temperatura scende o qualcosa li disturba si svegliano e volano in un altro

punto della caverna, così facendo però consumano energia e se ciò accade rischiano l’esaurimento delle riserve. In tal caso non trovando gli insetti di cui si cibano possono anche non superare l’inverno. I pipistrelli in periodi di normale attività la frequenza cardiaca è di circa 700 battiti al minuto, durante l’ibernazione scende a 12 battiti. La capacità di escursione termica dei pipistrelli è for-

se la maggiore fra i vertebrati, può raffreddarsi sino a 6° centigradi senza danni. I veri animali ibernanti si trovano in 4 ordini di mammiferi e sono: i chirotteri o pipistrelli, gli insettivori come il riccio, i roditori come le marmotte e i marsupiali (opossum pigmeo, specie che vive in Australia con un peso di 44 grammi e la sua lunghezza di 11 centimetri “adulto”).


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grandi viaggi

Il trekking per la valle di Markha (Ladak) Himalaja Indiano di Bepi Magrin

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a valle di Markha nell’Himalaya indiano (Ladak) è una lunga valle selvaggia e solitaria, caratterizzata da stupende montagne che a volte assumono forme incredibili e architetture geologiche che producono scenari da fiaba. Passarvi una volta almeno, produce immagini e ricordi che non si potranno più dimenticare. La valle che si sviluppa per una ottantina di km non ha strade, sbocchi o collegamenti con i luoghi più abitati. Si lascia la valle dell’Indo, oggi molto densa di installazioni militari per la vicinanza del confine pakistano e si supera il Ganda La, uno dei passi di 5mila metri che caratterizzano il trekking: gole erosive e rocce colorate precedono gli alti pascoli degli yak e le imponenti montagne glaciali. Noi qui, proveniamo da Leh, la capitale, dove un ameno alberghetto (Hotel Snowland) tra giardini fiorenti e meli carichi di bei frutti rossi, ci ha accolto per alcuni giorni e ci ha fatto da base per le visite culturali a Lamajuru, ad alcuni monasteri nella valle dell’Indo e ad un affollato festival religioso dove affluivano monaci, pellegrini e una quantità di colorati personaggi nei loro costumi tipici. L’ambiente è molto diverso da quelli abituali: alte montagne dalle cime imbiancate ma prive di vegetazione, valli profonde, bianchi imponenti monasteri, caserme a non finire e strade dal gran traffico militare circondano la capitale, dominata da un antico castello/fortezza. Bei negozi che espongono merci esotiche: stoffe, gioielli,


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abbigliamento sportivo e quant’altro caratterizzano il centro, ormai diventato punto obbligato del turismo internazionale. Con i nostri otto cavalli, la guida di Lobsang (mio vecchio amico) e alcuni altri aiutanti, affrontiamo il trekking lungo e impegnativo che sappiamo essere dei più ambiti tra gli specialisti di tutto il mondo. Nei dieci giorni di cammino incontreremo solo piccolissimi villaggi, sperduti monasteri e solo rari abitanti. Ci sarà da guardare alcuni freddi torrenti salire e scendere per valli tortuose, accamparsi in alta quota dove si arriva e adattarsi ogni giorno ai piccoli disagi della vita al campo.

Ma si vedranno scenari indimenticabili e nel lungo camminare insieme si consolideranno amicizie e conoscenze da conservare nel tempo con i propri compagni di viaggio, facendo intanto la più completa acclimatazione in vista di quello che è il nostro obiettivo finale ossia, la cima di quell’imponente montagna che ogni tanto ci occhieggia tra le valli e che porta il misterioso nome di Stock Kangry. La sua cima di seimilacentocinquantasette metri, è un obiettivo ambizioso ma forse ancora alla portata di un veterano collezionista di grandi altezze quale chi scrive. La permanenza nella Markha Valley sem-

pre tra quote dai 3500 ai 5200 costituisce il miglior modo per prepararsi opportunamente alla salita. Il sangue deve avere il tempo di arricchirsi di globuli rossi per cercare lo scarso ossigeno dell’alta quota e qui, la sobria alimentazione, il clima secco, e le quotidiane fatiche della marcia, creano le giuste condizioni per prepararsi a toccare i propri limiti. Docili e fedeli cavalli che sopportano le fatiche come la cosa più naturale del mondo, ci seguono per sentieri impervi e talora pericolosi, con tutto l’armamentario dei nostri bagagli, delle tende, della cucina ecc. La sera, una volta scaricati li vediamo salire tra le pie-

ghe dei monti in cerca di qualche filo d’erba. Saranno recuperati l’indomani per sottoporsi docilmente alla diuturna fatica. Cerco il “genepy”, la pianta aromatica da cui si ricava il famoso liquore, che da noi cresce tra i 2400 e i 3mila metri. Finalmente la trovo e ne faccio abbondante raccolta riempiendomi le tasche, ma qui cresce solo a circa 4300 metri. La sera, la stendo perché si asciughi accanto alla tenda, ma di notte arriva il vento e una gelida nevicata, sicché al mattino non c’è più traccia del mio raccolto: addio liquorino tanto gradito anche agli amici. Passiamo al villaggio di Markha il quale –vediamo-


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grandi viaggi

è più una leggenda che una realtà. Poche case di fango e sul colle, le rovine crollanti di un forte/monastero, qualche animale al pascolo e fugaci apparizioni di bambini. Attorno modesti campetti di grano sulle terrazze digradanti verso il fiume, dove i pochi abitanti sono intenti al raccolto. In una casa, sotto la tenda ricavata da un paracadute militare, troviamo del thè e perfino la coca cola che qui è già un lusso. Di seguito saliremo ancora lungamente tra monti pittoreschi e singolari. Infine dopo una notte molto fredda a 4900 metri, affrontiamo

l’ultimo passo a circa 5200 metri. Laura, l’unica donna del gruppo, che è un’ alpinista molto forte di Lugano (Svizzera), sta male per aver ingerito qualcosa di sbagliato. Vorrei che salisse su un cavallo ma lei orgogliosamente si rifiuta. Pian piano sale lo stesso fino al valico accompagnata dal nostro cuoco nepalese Gandruk, sempre allegro e sor-

ridente, e ci segue con i suoi mezzi fino in fondo all’ultima tappa: brava e davvero tenace! Torneremo per due giorni a Leh prima dell’ ultima fatica: il tentativo allo Stok Kangry per il quale solo Laura si è candidata, mentre Claudio e Paolo decidono per più riposanti nuove visite culturali nella valle di Nubra.



moto

Sportivissimo ha incontrato Francesco Antoniazzi, giovane promessa del motocross veneto

Una stagione trionfale

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a stagione crossistica 2019 è stata trionfale per Francesco Antoniazzi, che si è aggiudicato sia il Campionato Triveneto che il Campionato Veneto Motocross, classe MX2 Fast. Ecco ricordi ed emozioni di una stagione indimenticabile. - Quanti anni hai, Francesco? Ho 20 anni. - Lavori o studi? Lavoro. - Lavoro e sport, è una convivenza complicata? Conciliare il lavoro con lo sport non è semplicissimo; però se si mettono impegno e passione in quello che si fa, il tempo si trova sempre. Fortunatamente dal mese di marzo di quest’anno ho iniziato a lavorare in qualità di meccanico nella ditta “HOBBY MOTOR” di Cornedo Vicentino. Essendo questa una concessionaria moto dei marchi KTM e SUZUKI, aziende leader nel mondo crossistico, il mio lavoro è direttamente collegato con lo sport

che pratico. Oltre a essere un collaboratore in ambito lavorativo, sono anche un pilota del Team Sportivo che da tanti anni è sostenuto dalla concessionaria. Devo quindi ringraziare i miei datori di lavoro, che mi concedono qualche pomeriggio settimanale per potermi allenare. - Come hai scoperto questa passione? La passione per la moto mi è stata tramandata dalla mia famiglia, in primis da mio papà Giorgio, pluricampione italiano, e anche da mio zio e dai miei cugini, Michele (attualmente impegnato nel Mondiale Motocross Mxgp) e Andrea Cervellin, che dopo aver smesso con le gare agonistiche gestisce una scuola di motocross e minicross. - Quando hai iniziato ad andare in moto? Ho cominciato a fare qualche giro con la moto nel prato davanti a casa a due anni e mezzo; era un po’ grande per me, perché ero piccolino, allora mio papà saliva dietro per insegnarmi. A otto anni ho


zierà a marzo 2020, correrò sempre per il Team Hobby Motor e con i colori del Motoclub Schio; in sella ad una KTM 250 2 tempi. Il progetto è di gareggiare nel Campionato Triveneto e Veneto e fare qualche gara del Campionato Italiano. - Prossimi impegni? Sicuramente iniziare con la preparazione per le gare della prossima stagione e continuare la mia formazione con i corsi tecnici che la concessionaria Hobby Motor mi permette di frequentare. A questo proposito desidero ringraziare Giancarlo Novella, titolare del Team Hobby Motor, che mi dà un ottimo supporto sia per la moto che per l’abbigliamento, inoltre il mio grazie va al mio meccanico speciale, che è mio papà, e poi alla mia fidanzata e a tutta la mia famiglia, che fa sempre il tifo per me e mi accompagna nella mia passione.

iniziato con le gare di minicross e da allora non ho più smesso. - Che caratteristiche bisogna avere per essere un pilota? Chi non conosce il motocross pensa che correre in moto sia facile “tanto basta solo accelerare”, ma non è affatto così. E’ indispensabile avere una perfetta preparazione fisica, una buona tecnica in pista ma soprattutto tanta passione e spirito di sacrificio. - La tua qualità principale? La mia qualità principale, che mi ha insegnato mio papà, è “non mollare mai”, fino a quando non vedo sventolare la bandiera a scacchi, non si deve mai smettere di credere nella vittoria. Inoltre l’adrenalina che si prova durante la corsa mi dà la convinzione e la grinta per riuscire a farcela. - Quante volte ti alleni? La voglia di correre in moto c’è sempre. Con la moto riesco ad allenarmi nel week end e certe volte anche durante la settimana grazie a qualche pomeriggio libero. Non riuscendo sempre ad andare in moto cerco di mantenere costante l’allenamento fisico alternando corsa, moutain-bike e palestra. - Progetti? Nella prossima stagione, che ini-

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Nome: Francesco Cognome: Antoniazzi Data di nascita: 28.03.1999 Team: Hobby Motor – Cornedo Moto club: Moto Club Schio

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Via Monte Cengio, 55 – Cornedo (VI)


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ciclismo

Enrico Neri, campione veneto d’Autunno

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nrico Neri è un giovane talento del ciclismo vicentino. Nato a Valdagno il 4 giugno 2006, Enrico vive a Cornedo Vicentino e frequenta le scuole medie a Montecchio Maggiore. Fin da piccolo si è appassionato alla bicicletta, seguendo le orme del padre, apprezzato ciclista, in tante gare e manifestazioni dedicate alle due ruote. Enrico inizia a pedalare da giovanissimo ma è nel marzo dello scorso anno che diventa un vero e proprio atleta della bici. Sono le ruote grasse, quelle della mountain bike, ad attrarlo. A soli tredici anni entra nel blaso-

nato team “METALLURGICA VENETA GT TREVISAN” di Montecchio Maggiore. Già dalla sua prima gara si nota una grande voglia di fare e tanta determinazione. Oltre a partecipare al circuito della VENETO CUP, Enrico ha disputato una gara nazionale a Gualdo Tadino (in provincia di Perugia) dove si è classificato nono e una gara internazionale a Nalles (Bolzano) dove ha ottenuto il diciottesimo posto, malgrado un disguido tecnico che lo ha fortemente penalizzato, altrimenti avrebbe potuto ottenere un piazzamento migliore. Altra ottima prestazione è stato il


quarto posto conquistato nella gara internazionale a Pineto (Teramo). A settembre si è concluso il combattutissimo campionato della VENETO CUP. Enrico si è classificato al secondo posto tra gli esordienti primo anno, solamente dietro al campione italiano. Ma a fine ottobre si conclude il campionato veneto d’AUTUNNO ed Enrico conquista il primo posto, vincendo la maglia e la coppa di campione. Felice dei suoi risultati, il giovane atleta di Cornedo è determinato a continuare su questa strada, fatta di tante ore di allenamento. Infatti per raggiungere questi obiettivi Enrico ha messo tutto se stesso, tutta la sua grande passione per questo sport duro, che richiede infiniti sacrifici, ma bello e appagante come pochi altri, perché

la mountain bike significa pedalare sulle nostre colline, all’aria aperta, nella natura. I risultati raggiunti da Enrico derivano anche dal supporto costante dei suoi genitori che gli sono sempre stati vicini, dandogli il giusto sostegno e le giuste motivazioni. Ciò che inorgoglisce mamma e papà è vedere la passione e l’impegno del figlio per questo sport. Enrico ha tanti sogni e quello più importante e ambizioso è quello di partecipare ai mondiali di mountain bike. La strada per raggiungere questo obiettivo è in salita; ci saranno molte difficoltà e ostacoli da superare, però Enrico è tenace… è un combattente. Continuando così, come ha già dimostrato di saper fare, può farcela. In bocca al lupo Enrico, ti meriti il meglio.


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piccole dolomiti

ITALO SOLDÀ il Re della neve e delle rocce di Bepi Magrin

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vrebbe compiuto 101 anni lo scorso aprile Italo, il fratello minore del grande Gino, di cui si conoscono le imprese e la pratica da campione dello sci, ma si ignorano o quasi le imprese alpinistiche, che almeno per le piccole Dolomiti sono pari a quelle del fratello maggiore. Figura discreta, sempre positiva e sorridente, uomo frizzante e spiritoso, si muove da sempre nell’alone della leggenda di una famiglia che è sinonimo di sport e di ardimenti aventi per teatro naturale la montagna. Una schiatta, quella dei Soldà, volitiva e forte di una caparbietà e di una ostinazione nel perseguimento della meta, che ha pochi eguali nel mondo alpinistico e sportivo, ma le cui imprese non sempre si conoscono forse a causa dell’innata modestia dei protagonisti, usi a trattare anche i sesti gradi con naturale e giocosa semplicità, lasciando sottovalutare la realtà, a chi non abbia buona competenza specifica. Lo conoscemmo di persona di ritorno dal Bondone, dove a 79 anni suonati ancora insegnava a pennellare la neve con gli sci essendo un Maestro sempre aggiornato con le tecniche (anni prima aveva scritto uno dei primi manuali di tecnica sciistica) e discepolo di Leo Gasparl e di Pirovano (Università dello sci). Italo si presenta con forza sulla scena immacolata delle candide arene nevose negli anni intorno alla guerra. Gli avvenimenti bellici determinano una pausa relativa, dopo il servizio alla Scuola Militare Alpina e la partecipazione nel Plotone Arditi Sciatori alla tragica campagna contro la Francia dove vedrà morire molti compagni, buttati allo sbaraglio contro le montagne innevate di confine, scapperà in Svizzera, dove pure, mentre in Italia nasce la Resistenza, verrà impiegato come Maestro di Sci per


17 gli ufficiali delle truppe da montagna. L’8 settembre del 1943 è impegnato sul Dente d’Herin (Cervinia) dove con Albino Alverà ripete la difficile via di Carrel ricevendo al suo ritorno dagli alpini del reparto, le gravi notizie sugli avvenimenti politico militari del momento. Nel dopoguerra lo troviamo al Sestriere e poi a Foppolo dove per conto del CAI di Bergamo dà avvio alle fortune di quella stazione invernale, continuando d’estate la sua attività allo Stelvio nell’altro rifugio dei bergamaschi (Livrio). Qui, sul ghiacciaio dà inizio alla nuova attività dello sci estivo che praticherà sempre allo Stelvio fino al 1962. Gino, fratello maggiore, praticava gli stessi luoghi fin dal ’34, e avendo aperto una grande via sulla parete nord dell’Ortles assieme a due coniugi bergamaschi, riceverà un cospicuo compenso che gli permetterà di “metter su casa” a Recoaro. Quelli della montagna: guide e maestri, erano, sennò, una scanzonata e squattrinata compagnia di Bergvagabunden che vivevano di sporadiche fortune e di espedienti, accontentandosi di saltuarie minestre. Nondimeno fu Italo primo pioniere dello sci estivo, ideatore e promotore dei primi rudimentali impianti per lo sci estivo sul ghiacciaio del Presena, avendo costruito e gestito nei primi anni ’60 grazie all’aiuto economico dell’eclettico architetto trentino Marconi, una capanna sul ghiacciaio che non a caso, si chiamerà “Capanna Soldà”. Nei tempi d’oro dell’alpinismo dolomitico, Italo, sciatore per vocazione, non disdegnava le salite estreme in roccia e fu compagno dal fratello Gino, da Aldo e da “Biri” Carlesso, Bortolo Sandri, Franco Bertoldi e da molti altri in numerose indimenticabili

ma spesso misconosciute imprese. Da lunghe conversazioni che ebbi con lui, maestro/amico sincero e fedele, scoprii che aveva salito con mezzi modestissimi assieme all’amico “Gambetta” di Recoaro, alcune cime ritenute inaccesse, come la guglia poi dedicata a F. Meneghello o le Ghimbalte o il Sengio Lorecche e almeno una decina di altre vie. Le relazioni non furono riportate nella Guida delle P. Dolomiti e Pasubio perché al momento della stesura, nessuno lo consultò. Ma vi si porrà rimedio con la nuova guida che dovrebbe uscire nel 2020 a cura di Will (Baloss). Belli alcuni episodi della prima gioventù che qui, se pur di sfuggita, ci piace ricordare: la sua prima salita al Baffelan all’età di 6 anni, impresa sottaciuta anche dal CAI perché quasi ridicolizzava l’enfasi con cui venivano celebrate analoghe imprese di maturi alpinisti. Con Francesco Meneghello, Italo si reca nella zona delle Guglia Berti dove svetta una guglietta che essi hanno idea di conquistare. Giunti tra le nebbie vaganti sul posto, si rendono conto che la guglia è crollata e del tutto scomparsa. Meneghello, superata la sorpresa, si fa riflessivo e con una certa solennità dice a Italò: “Vedi Italo, a volte basta un atomo!” “Te voi dire un attimo” ribatte il giovane e allora Meneghello con grande pazienza “Vedi Italo, un atomo è…..!” E vi sarebbero molti altri gustosi aneddoti sulla vita alpinistica di Italo veramente importanti e di straordinaria intensità. Ma sappiamo che l’etichetta che la gente ti attacca a volte prevale sulla storia vera e Valdagno, la città dove Italo è sempre tornato e dove ha vissuto i suoi ultimi anni, ancora non ha pensato di ricordarlo come ampiamente meriterebbe.


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la SCHEDA Questa bella guglia isolata che si trova tra il Sassolongo di Campetto e il Gramolon nella catena delle tre Croci fu salita per la prima volta lungo lo spigolo nord da Gianni Bisson, Susanna Fantini e Bepi Magrin. Per iniziativa di quest’ultimo la guglia fu intitolata a Italo Solda. Nello scorso agosto alcuni giovani che rispondono ai nomi di Moreno Camposilvan, Bruno Gemo hanno per la prima volta ripetuto la via molto difficile dei primi salitori con passi di 7° grado, dichiarandosi molto entusiasti della scalata. Durante la prima salita dello spigolo, lungo la cresta che segue la vetta digradando verso i ca-naloni laterali, fu rinvenuto un grande ometto di pietra di cui nessuno ricorda l’origine, ma che evidentemente era stato posto per segnalare la “conquista” della vetta dal lato più accessibile. Dalla relazione di Moreno Camposilvan e di Bruno Gemo si legge: “La guglia presenta un altezza di circa 70/80 metri. La roccia e molto solida specialmente nel primo tiro di corda, il restante è buona. Chiodatura anch’essa buona con chiodi tradizionali. Noi abbiamo aggiunto qualche chiodo sempre sul primo tiro. All’ inizio della via abbiamo lasciato un bel chiodo con anello bene in vista per identificare l’attacco della via. È stata fatta una bella pulizia al punto di partenza per migliorarne l’estetica dello spigolo della guglia.

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Beroe ovata foto Cristian Chirita

Leucothea pulcra foto Julius Senegal

Mnemiopsis leidyi foto A. Vidar

Durante le immersioni è facile incontrare organismi di consistenza gelatinosa, evanescenti o traslucidi. Tra questi gli ctenofori occupano un posto speciale. Sono in prevalenza predatori o filtratori di plancton ed hanno lunghezze assai variabili, da pochi centimetri ad oltre un metro. Il corpo è trasparente e sono fragilissimi. Attenzione, quindi, a non danneggiarli, anche se, proprio per la loro vulnerabilità, sono in grado di rigenerare molto velocemente gli organi e le parti danneggiate o perdute. Sono diffusi in tutte le aree marine del mondo ed è facile trovarli anche nel mediterraneo e nell’Adriatico. Il loro nome deriva dalle parole greche, ktenos, pettine e phoros, portatore, in quanto, lungo le costole, hanno una serie di ciglia vibranti disposte a pettine, le quali, battendo in modo coordinato, ma con frequenze variabili,
permettono all’organismo di spostarsi.

La maggior parte degli ctenofori è dotata di due lunghi tentacoli, retraibili all’interno del corpo, provvisti di filamenti secondari muniti di cellule adesive con cui catturano e portano alla bocca i piccoli organismi di cui si nutrono. Sono ermafroditi. Producono sia uova che sperma e li rilasciano entrambi nell’acqua, dove avviene la fecondazione. Lo zigote dà origine ad una larva planctonica, che, successivamente, per metamorfosi, si trasforma in un adulto. Biologicamente sono divisi in due classi che si distinguono per la presenza o meno dei tentacoli. Nel Mediterraneo tra i tentacolati sono comuni la Pleurobrachia rileus, l’Hormiphora hormiphora di un centimetro, la Leuchotea multicornis da 20 centimetri e la Cestum veneris chiamata Cinto di Venere, perchè sottile pochi centimetri ma lunga oltre un metro. Gli ctenofori privi di tentacoli,

Biologia subacquea Trasparenze natalizie: gli ctenofori di Antonio Rosso

Ctenofero Beroida - foto Shane Anderson NOAA National Oceanic and Atmospheric Administration USA

Illustrazione tratta dal Kurstformen der natur (1904) di Hrnst Haeckel

di cui esiste la sola specie Beroe ovata, hanno il corpo a sacco munito di una bocca capace di ingoiare minuscoli pesci e altri ctenofori. Una nota particolare per la specie Mnemiopsis leidyi che è stata inserita nell›elenco delle cento specie invasive più dannose al mondo. Se non è tenuta a freno da altri animali competitori, questo ctenoforo, per la sua adattabilità, prolificità e regime alimentare a base di zooplancton, priva le popolazioni ittiche, che si nutrono anch’esse di zooplancton, del loro sostentamento, provocandone la scomparsa. Originaria delle coste atlantiche americane, arriva negli anni ’80 nel mar Nero contenuta nelle acque di zavorra delle navi. Qui si sviluppa a tal punto da causare un serio depauperamento delle risorse ittiche. Nel 1999 giunge, con il medesimo trasporto, nel mar Caspio dove provoca, secondo le stime, il calo dell’80% dello zooplancton. Ora è stata rinvenuta nel mar Egeo, in Adriatico e nel mar Ligure. Ne sentiremo, probabilmente, ancora parlare. Per gli appassionati di fotografia, il suggerimento è di fotografare gli ctenofori con uno sfondo di colore scuro che li metta in evidenza. Per le loro dimensioni, infine, è bene essere attrezzati per la foto a distanza ravvicinata.

Ctenoforo foto Denis Zorzin


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recoaro

Senza orari e senza bandiere, verso est

di Sara Storti Foto di Mariano Storti

2400 km in bici dalle Piccole Dolomiti al MarNero

O

re 5.30. Non ho nemmeno bisogno di spegnere la sveglia perché mi sono già alzata. Succede sempre così prima di una partenza. Come al solito sono un po’ emozionata. Siamo io, mio papà e i nostri fedeli destrieri, la mia cinelli hobootleg (da me affettuosamente ribattezzata hoby) e la sua sequoia specialized. Direzione: un nebuloso e imprecisato “est”. Prima del fatidico giovedì 18 luglio scelto per iniziare il viaggio, avevo chiesto diverse volte a mio papà indicazioni un po’ più precise sul nostro itinerario di viaggio; mi aveva sempre risposto con misteriosi e laconici “vedremo” o “di-

Danubio, Porte di Ferro, i Carpazi incontrano i Balcani

pende” e con un accattivante “verso est Europa”. E allora mi sta bene così. Andiamo senza orari e senza bandiere, rotolando verso est con le nostre due bici gravel. L’inizio del viaggio ha ben poco di esotico, è la semplice (ma non banale) riscoperta di luoghi vicino a casa. Grazie alla bici riscopriamo la bellezza di Marostica, Bassano e Feltre. Ogni cosa ci appare diversa e speciale quando la raggiungiamo con la fatica delle nostre pedalate. Arriviamo a Cortina seguendo la ciclabile costruita sul vecchio trenino che portava alla città e quasi non ci sembra vero di aver raggiunto la perla delle dolo-

miti con la sola forza delle nostre gambe. Attorno a noi un paesaggio incredibile che ci ripaga della fatica dei primi giorni segnati da un dislivello non indifferente con un peso come il nostro. Al confine con l’Austria incontriamo la Drava, il nostro primo fiume guida che seguiremo fino al Danubio. La nostra idea è di farci guidare da Drava e Danubio verso est, ma quando vedo la Drava alla sorgente non mi pare possibile che si possa seguirla fino al Danubio. In pochi giorni mi devo ricredere e il nostro fiume cresce, si ingrandisce e cambia; allo stesso modo cambia anche il paesaggio e un po’ anche noi

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dopo giorni di viaggio. Il viaggio in qualche modo ci cambia e diventiamo un po’ vagabondi, un po’ bambini, sempre pronti a meravigliarci per ogni cosa che ci circonda. Attraversiamo l’Austria di ciclabili di lusso e valli che risuonano di campane alla domenica, entriamo in Slovenia e scopriamo le terme di Ptuj, altissimi ponti sulla Drava e piantagioni di luppolo. Non facciamo a tempo ad affezionarci troppo alla Slovenia che entriamo in Croazia a Varazdin. La nostra Croazia è completamente diversa da quella formato vacanze della costa: è la Croazia delle immense campagne coltivate. Pedaliamo tra campi, donne che vendono angurie ai lati delle strade e paesini fantasma. Vediamo chiese ortodosse abbandonate e case deserte,

città minuscole con due cimiteri, quello ortodosso e quello cattolico…i luoghi in cui pedaliamo ci raccontano una storia di serbi scacciati, di valigie preparate in fretta e guerre tra popoli. Ci coglie quasi un senso di malinconia mentre lasciamo correre le bici in queste campagne abbandonate e al confine con la Serbia salutiamo la Drava, a cui ormai ci eravamo affezionati, per seguire il Danubio. Il Danubio ci guida attraverso il confine con la Serbia e speriamo che possa aiutarci a fare chiarezza in mezzo alle scritte in cirillico. Non facciamo a tempo a realizzare di aver varcato l’ennesimo confine, che veniamo invitati ad un matrimonio e, tra un bicchiere di schweeps, i sottaceti e i dolci, iniziamo a sperimentare l’ospitalità serba.

Nel corso del viaggio conosceremo altre volte l’ospitalità di questa gente dell’est, sempre pronta ad aiutarci a trovare una sistemazione per la notte, informazioni, cibo. Attorno a noi sempre paesini minuscoli, terre coltivate e cicogne che fanno il nido sopra i lampioni. Arriviamo a Belgrado seguendo stradine secondarie, per poco finiamo in una base militare, veniamo sballottatati in un’improbabile strada sterrata e restiamo stupiti dalla bellezza di questa città. Ci perdiamo tra i colori del mercato di Zeleni Vanac, restiamo abbagliati dalle decorazioni dorate della chiesa di San Sava e ci stupiamo di quanti boschi ci siano attorno a questa città. Vorremo restare più a lungo nella capitale della Serbia ma la


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strada ci chiama e come uccelli migratori dobbiamo spostarci verso la nostra prossima meta. Usciamo da Belgrado in mezzo a surreali campagne verde smeraldo piene di uccelli e acquitrini e in breve raggiungiamo la Romania. In Romania subito raggiungiamo uno dei punti più spettacolari del nostro viaggio: le porte di ferro. Si tratta del punto in cui il fiume si restringe tra le due rive, quella serba e quella rumena, fino a raggiungere la larghezza di 500 metri. È come osservare un gigante che trattiene il fiato. Restiamo a bocca aperta di fronte a questo strano spettacolo e penso a come sia strano avere due stati su due rive diverse, a 500 mt uno dall’altro, bagnati dalle stesse acque. Entrare in Romania è come usare una macchina del tempo per tornare nell’Italia del secondo dopoguerra. La realtà attorno a noi si fa sempre più rurale. Vediamo i primi carretti che con nonchalance percorrono le strade, bagni che sono un buco nel terreno, oche, capre, vecchini che vendono il miele dentro baracche. Tutti ti guardano e, passata la prima iniziale diffidenza, ti salutano con calore. I bambini ti battono il cinque ai lati delle strade e le donne lavano i panni nelle fontane. Rimaniamo affascinanti da questa vita di campagna e chiacchie-


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riamo spesso con la gente, un po’ a gesti un po’ in un ibrido rumeno-italiano-spagnolo. Ci accorgiamo di come i confini, sia linguistici, sia fisici, sia politici, non siano mai insormontabili e talvolta siano più mentali che altro. Quando arriviamo a Costanza ci siamo ormai affezionati a questa gente e veniamo colti da un senso di malinconia. Dopo 2400 km è giunto il momento di tornare a casa e l’arrivo alla meta ci lascia un sapore agrodolce in bocca. Dopo aver seguito Drava e Danubio, pedalato tra campi di girasole, fiumi, imprevedibili collinette e paesini di strada, arrivare al mar Nero ci lascia una certa malinconia. È il percorso fatto per arrivare lo scopo del nostro viaggio, non la meta in sé. Non è come muoversi in macchina con il mondo che passa veloce fuori dal finestrino, quando si pedala è diverso. Quando sei in bici sei tu a pedalare dentro il mondo e le cose ti restano inevitabilmente addosso. Pioggia, sole, la puzza del letame, il profumo del fieno appena tagliato, il verde di un campo, la gentilezza della gente… mentre viaggi tutto ti si appiccica addosso assieme al sudore; torniamo a casa pieni di punture di zanzare, con le facce arrossate da vento e sole e questo meraviglioso est appiccicato addosso.

QUALCHE DATO SUL VIAGGIO: Giorni di viaggio: 24 giorni di bici, 3 di stop per visita culturale a Belgrado e Costanza e riparazione bici a Vidin (Bulgaria), 4 giorni di bus-treni per tornare a casa Km percorsi: 2400 km, di cui 500 di sterrato Dislivello totale: 10.000 Stati attraversati: Austria, Slovenia, Croazia, Serbia, Romania, Bulgaria Bici compagne di avventura: Cinelli hobootleg (Sara), Sequoia specialized (Mariano) Tipo di percorso: misto (in parte asfalto, in parte sterrato).


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SCHEDA PILOTA Nome: David Cognome: Cracco Età: 9 anni Prima volta sulla moto: 4 anni Prima gara: Peschiera Dei Muzzi, luglio 2016 a 6 anni Moto: ktm 65 sx Team: Piazza Moto Sport Gare disputate nel 2019: 22 Vittorie 2019: 12 Podi 2019: 17

Il talento di David per il cross Con l’ultima gara di Mantova si è conclusa la stagione 2019 per David Cracco, il forte pilota del Team Piazza.

U

na stagione molto positiva, questa appena conclusa, durante la quale David è salito più volte sul gradino più alto del podio. Suo infatti è il titolo di campione triveneto della categoria debuttanti. Ma anche ottimi sono stati i piazzamenti ottenuti da David. Tra tutti spicca il terzo posto al campionato italiano della stessa categoria. Grazie a questo risultato, David è stato selezionato per disputare anche le finali, sempre del campionato italiano, della categoria dei ragazzi più grandi, i co-

siddetti cadetti, concludendo la gara con una più che soddisfacente tredicesima posizione. Tali risultati sono il frutto di un mix di fattori, tra cui un buon meccanico che lo supporta (e con l’occasione ringraziamo Piazza Moto), di tanto allenamento e tanta determinazione. Non da meno sono fondamentali gli sponsor, senza i quali correre a certi livelli sarebbe proibitivo, a causa delle cifre in gioco. Il motocross infatti rimane uno sport molto costoso e più si cresce di livello, più alti sono i costi


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da affrontare. Allo stato attuale, la famiglia di David sta affrontando l’attività agonistica del figlio nel modo più “easy” possibile. David corre con una moto praticamente originale e non fa più di 2 allenamenti alla settimana. “La nostra filosofia”, dice il padre, “è quella di far correre David nel segno della passione, del divertimento, mirato anche alla crescita personale come individuo. Gli vien chiesto di applicarsi al meglio delle sue possibilità senza pretendere nessun risultato. Noi cerchiamo di supportarlo come meglio possiamo, e programmiamo di investire progressivamente, man mano che si cresce di livello e di prospettive. Siamo fortemente convinti che se son rose fioriranno, e non vogliamo forzare le cose. Troppe volte in pista, soprattutto a livelli più alti, si vedono esasperazioni, che spesso però non portano da alcuna parte. A fine stagione sono arrivate anche proposte

molto interessanti da aziende del settore, e questo non può che far piacere e dare motivazione per la stagione a venire”. Per l’anno 2020 molto dipende dagli sponsor che supporteranno David. Verosimilmente i programmi prevedono la partecipazione al campionato italiano, con la speranza di chiudere nei primi 3 e di partecipare alle selezioni del campionato europeo, con l’obiettivo di accedere alla finale. Poi, nei weekend liberi, David scenderà in pista per correre in alcune gare regionali, nelle regioni dove valga la pena di essere al via, per tipologia di tracciato e livello dei piloti. Rimane infatti fondamentale confrontarsi con i piloti più forti per crescere, e questa, in un certo senso, è sempre stata la fortuna di David, in quanto egli ha sempre corso con ragazzi più grandi e quindi più forti. Ora David sta svolgendo la preparazione atletica per essere pronto per dare il massimo nel 2020.


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cornedo

Dimensione ÉLITE di Nicola Ciatti

Futsal Cornedo, una scuola calcio a 5 che sta per diventare… d’Elite!

Il direttore Nicola Ciatti

Elena Frizzo

Giuseppe Lucato

E’ dal 2003 che in casa bluamaranto si dà la massima attenzione e cura alla valorizzazione del settore giovanile, lavorando sodo sia nell’attività agonistica che in quella di base, e i tanti ragazzi del territorio che in questi anni hanno esordito nella prima squadra della città ne sono la conferma. Un anno che è partito davvero alla grande quello del vivaio bluamaranto, coordinato dal Direttore Nicola Ciatti, e dal Responsabile Tecnico Fabio Fioravanzo. L’attività di base porta avanti un progetto tecnico innovativo, che dal 2010 propone l’abbinamento di pari passo di calcio e futsal, coi bambini che giocano sul campo esterno o in palestra con estrema naturalezza, a conferma che queste due discipline possono essere propedeutiche l’una all’altra. I Piccoli Amici e Primi Calci sono allenati da Cristiano Tomasi e da un’autentica istituzione del calcio cornedese, Giuseppe “Bepi” Lucato, da 52 anni nel vivaio della città. Nel loro staff an-

che le sorelle Frizzo, Elena e Lisa, che curano la parte motoria dei più piccoli, il giocatore croato della prima squadra Elvir Husaric, e Nicola Ciatti, Istruttore Coni-Figc. I Pulcini 2009 sono curati direttamente da mister Fabio Fioravanzo, mentre i 2010 da un tecnico di grande esperienza in questa realtà come Davide Bertinato, col coordinamento di Matteo Rensi, allenatore Uefa B. Per loro grandi soddisfazioni sia nei Tornei Provinciali di Calcio che nei Raggruppamenti Regionali di Calcio a 5. Il primo gruppo che ha iniziato quest’anno a partecipare solo ai Tornei Regionali di Calcio a 5 è quello degli Esordienti, coordinato da Sebastiano Bosco e allenato da Cristiano Tomasi e due ragazzi giovani, giocatori della prima squadra e tecnici che si stanno facendo le ossa nel vivaio, come Simone Boscaro e Luca Facchinetti. La voglia di mettersi in gioco nel settore tecnico del club dopo averne concluso il percorso giovanile è for-


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Tutto il Futsal Cornedo

te in tanti ragazzi, che vogliono trasmettere quanto appreso dal punto di vista tecnico e umano alle nuove generazioni. In questo senso anche l’Under 15 Regionale è affidata alla guida tecnica di Thomas Grigolato e Giuliano Boscaro, col coordinamento del mister della prima squadra, Alberto Dal Cason: per i bluamaranto primo posto in classifica dopo 4 giornate con un bilancio di 3 vittorie ed 1 pareggio. Imbattuta anche l’Under 17, che

fa affidamento sul gruppo che l’anno scorso ha centrato la vittoria della Coppa Veneto Under 15: alla guida di questa squadra, prima in classifica con 6 vittorie in altrettante partite, c’è Fabio Fioravanzo, che porta avanti un lavoro tecnico assieme al giocatore della prima squadra Mohammed Fahmi e al preparatore dei portieri Marco Zaccaria. In crescita anche la squadra Under 19 Nazionale, quella che di fatto rappresenta l’ultimo step prima dell’ap-

Piccolini

prodo in prima squadra: un gruppo giovane e molto rinnovato, che sta raccogliendo piano piano grandi soddisfazioni, con la guida tecnica di Fabio Fioravanzo, aiutato dal giovane talento della prima squadra, Fabio Gonella. Un lavoro a 360 gradi quello dello staff del settore giovanile, che va da una decennale collaborazione con le scuole del territorio, dove i tecnici insegnano calcio a 5 in orario curricolare, all’organizzazione di serate formative

Piccoli Amici

aperte al pubblico, dove si parla di alimentazione, regolamento, motricità, tecnica e psicologia. Dopo aver ottenuto nella stagione 2018-19 il titolo di Scuola Calcio a 5 dalla Figc Veneta, la società ha completato tutto l’iter per ricevere nei prossimi mesi la qualifica di “Scuola Calcio a 5 Elite”, che sarebbe il meritato coronamento di un lavoro che ha radici nel passato, con uno sguardo al futuro.

Pulcini


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Città di Valdagno Assessorato allo Sport

Momenti di Gloria

di Giulio Centomo

La stagione agonistica 2019 si è conclusa portando all’Associazione POLISPORTIVA VALDAGNO sezione Pattinaggio Artistico, grandi risultati e un ricco medagliere ai vari Campionati provinciali, regionali e italiani FISR esercizi obbligatori e liberi.

Chiara Peripolli

T

ra i Campioni Provinciali, spiccano: Zenere Mia, Peretto Jennifer, Basso Giulia, Bedin Beatrice, Basso Filippo e buoni risultati per Bevilacqua Giulia, Contro Emma e Dircetti Marta. Preziose e ambite medaglie d’oro ai Campionati Regionali FISR per: Callegari Benedetta, Strainov Maria Sole, Danzo Chiara, Cammisuli Eleonora, Bedin Elisabetta e Danzo Giulia. Medaglia d’argento: Grigato Claudia, Medaglia di bronzo: Gasparoni Filippo. Nel 2019 l’attività agonistica si chiude con risultati

di grande prestigio e orgoglio per la società: due vice-campionesse Italiane Chiara Peripolli (cat.Divisione Nazionale D, esercizio libero) e Francesca Bernardi (cat. Divisione Nazionale C, esercizi Obbligatori). Chiara ha concluso la sua lunga e brillante carriera agonistica ricca di soddisfazioni, nella pista di Piancavallo il 28 luglio 2019 mentre Francesca il 02 Giugno 2019 a Bologna. Ai GIOCHI GIOVANILI VENETI, si sono messe particolarmente in evidenza alla fase Provinciale nelle varie categorie: Bertoldo Elisa, Cocco Caterina, Viel VeroFrancesca Bernardi


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nica (medaglie d’argento), buoni piazzamenti per: Urbani Maddalena, Pejcic Eva, Favrin Malaika, Carta Matilde, Pellizzari Anna, Pellizzari Margherita. Alla successiva fase Regionale che si è svolta a Bassano del Grappa il 17 Novembre 2019, le già campionesse del podio provinciale si sono riconfermate salendo sul gradino più alto del podio: Randon Sofia, Callegari Benedetta, Zenere Mia e Callegari Cristiana (medaglia d’oro). Peloso Aurora, Girardello Sofia, Urbani Melissa (medaglia d’argento) e Disconzi Maria (medaglia di bronzo). Buone prestazioni e piazzamenti anche per: Randon Maria, Gardellin Stella, Bertoldo Elisa, Cocco Caterina e Viel Veronica. Questi grandi risultati sono frutto di un lungo lavoro tecnico e coregrafico creato con grande professionalità dal team di allenatrici tesserate FISR della scuola: Intelvi Stefania, Massignani Marisa, Rossato Lisa, Mezzadri Susanna, Parlato

Silvia, Zerbato Gioia, Nassi Aurora, il coreografo Carraro Massimo, e le aiuto allentrici Antoniazzi Sandra e Luna Denise. E’ stato davvero un anno irrepetibile: il Sindaco di Valdagno, Giancarlo Acerbi, ha ricevuto in municipio l’allenatrice Stefania in seguito alla onorificenza “palma di bronzo” insignita dal CONI per meriti tecnico sportivi. Ad accompagnarla il Presidente dell’Assaciazione Polisportiva Valdagno, Vencato Vittorio. I primi passi sui pattini, splendido regalo ricevuto dal papà super tifoso dell’hochey valdagese, li ha fatti a soli 8 anni e da quel momento non ha mai smesso. Nel borsone, oltre ai pattini, ha un diploma di Liceo Artistico e una formazione nel settore dell’arredamento d’interni. La passione per il pattinaggio però, negli anni ha avuto la meglio e ha prevalso. Prima atleta in forze alla Polisportiva Valdagno, Stefania non ha mai appeso i

pattini al chiodo ed ha vestito in seguito i panni di allenatrice con alle spalle centinaia di ore di formazione e corsi di aggiornamento per allenatori FISR. Nella sua carriera di allenatrice, coadiuvata anche da un ottimo team di allenatori e Consiglieri, ha portato in alto diversi pattinatori valdagnesi e non solo: da Giovanni Rigo, atleta azzurro e vincitore di Coppe Internazionali, Vittoria Saccardo che ha vestito più volte la maglia azzurra, alle Campionesse Italiane in Combinata, Fancesca Nizzero, Isabella Soliman e tanti altri campioni provinciali e regionali, fino ad arrivare all’atleta azzurro Filippo Gasparoni più volte sul podio anche in campo internazionale. Nel corso della stagione sportiva 2018/2019 la scuola grazie agli ottimi risultati degli atleti ha ottenenuto così il 2° posto nella classifica provinciale, 3°posto nella regionale e al 48° posto a livello italiano su 252 società partecipanti ai Campionati FISR. La società conta su circa 80 atlete e atleti che arrivano anche da fuori città, attratti non solo dai risultati, ma dalla qualità della preparazione sportiva e agonistica, oltre che dalla lunga storia legata alla società che nasce nel lontano 1975. “Sono orgogliosa dei miei atleti - spiega Stefania con la modestia che la caratterizza - ed è stata per me una fortuna sceglierli e coltivarne le abilità agonistiche. Non mancano i sacrifici, ma il mio sogno rimane di poter vedere un team corposo che permetta di non disperdere atleti, allenatori e volontari. Il pattinaggio a rotelle sta crescendo anche in visibilità grazie al nuovo regolamento RollArt e sarebbe davvero bello po-

terlo vedere approdare tra le discipline olimpiche.” Assieme al Sindaco era presente anche il consigliere delegato allo sport, Franco Visonà. “Dobbiamo andare fieri di persone come Stefania commentano - che da anni forma con professionalità tanti giovani. I risultati parlano da sé. Nel futuro speriamo si possa migliorare la sinergia tra le diverse realtà attive anche in questa disciplina per non sprecare energie preziose”.


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arzignano

Carradore Marta outdoor training - personal trainer

Costruire le basi per la nuova stagione agonistica

La stagione agonistica 2019 è ormai terminata da qualche mese soprattutto per quelle discipline che prevedono il picco di forma fisica nel periodo estivo.

P

assato il “season-off”, ovvero un tapering prolungato che permette al corpo e alla testa di recuperare le fatiche accumulate durante il periodo races, il periodo autunnale rappresenta il momento ottimale per mettere le basi per la nuova stagione agonistica. Prima di capire come costruire una nuova stagione, bisogna ricordarsi che l’allenamento per l ‘atleta amatoriale deve essere un puro divertimento che richiede dei sacrifici e dell’impegno ma che tutto deve essere compatibile al meglio con la vita privata. Ora, per definire un vero e proprio piano d’attacco per il 2020, bisogna fare un piccolo salto indietro e focalizzarsi su alcuni aspetti della stagione passata: • Come è andata la mia stagione agonistica? • Ho raggiunto i miei obbiettivi? Se sì, cosa ho fatto per realizzarli? • Mi sono infortunato? Ho avuto delle carenze sulla mia forma fisica? • Mi sono divertito? Nel momento che avrò risposto a questi quesiti, mi riporterò con un altro salto nel presente...e un pochino nel futuro: • Cosa mi aspetto dalla nuova stagione? • Che obbiettivi voglio raggiungere? • Su che punti di Forza e di miglioramento devo lavorare? Quando sarò riuscito a rispondere a tutto ciò, potrò iniziare a programmare il mio 2020.


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Sicuramente non esiste una preparazione standard che possa produrre gli stessi effetti positivi su ogni atleta, ma sicuramente, quello che non può mancare in questo periodo introduttivo in ciascuna disciplina è LA TECNICA e LA PREPARAZIONE FISICA indoor. La TECNICA rappresenta un punto fondamentale; essa ci permette di rendere un gesto atletico sempre più corretto, più efficace ed efficiente facendoci ridurre il dispendio energetico a guadagno della performance fisica. In un programma di allenamento, a qualsiasi livello esso venga svolto, non devono mancare delle sedute specifiche di tecnica e dei richiami nella fase di riscaldamento specialmente nel periodo invernale dove si iniziano a costruire le basi per la nuova stagione. Parlando di corsa: calciata dietro, sotto, skipp, obbligano il corpo a svolgere un movimento tecnico preciso, sistematico e ad alta cadenza che il cervello interiorizza, memorizza e riprodurrà, poi, nella sessione di corsa. Stesso aspetto fondamentale avviene nel nuoto dove la tecnica fa da padrona! Anche qui è consono inserire nella fase iniziale degli esercizi mirati soprattutto sui punti di crescita: bracciata, rollio del corpo, assetto in acqua, e così via. Il secondo aspetto importante nel periodo introduttivo è l’ALLENAMENTO INDOOR. Esso prevede diversi aspetti: • Allenamento per sviluppare forza e, successivamente, potenza con l’utilizzo di grandi attrezzi

• Allenamento a corpo libero che permette di sviluppare le stesse caratteristiche utilizzando esclusivamente il proprio corpo e piccoli attrezzi • Propriocettività Anche in questo caso, prima di decidere che tipo di allenamento intraprendere devo analizzare cosa prevede il mio programma Outdoor. Generalmente, chi svolge sport di Endurance, ama stare all’aria aperta e utilizzare i locali chiusi solo per degli allenamenti di “costruzione fisica”. Premesso questo, tutto quello che riguarda la forza e la potenza può essere allenato al parco, su strada e sentieri previlegiando esercizi mirati quali gli squat, affondi, balzi…seguiti da allunghi, scatti o ripetute in salita, gradoni, percorsi misti-collinari…insomma spaziando un po’ tra tecnica e fantasia! Quello che, invece, è indispensabile sviluppare indoor è il CORE, ovvero il nucleo, la parte centrale del nostro corpo che rappresenta il complesso coxo-lombo-pelvico da cui ne dipende l’efficienza statica e dinamica e funge da centrale di trasferimento di forze dagli arti inferiori e superiori e viceversa; tutto ciò ne fa conseguire un elemento fondamentale per il miglioramento della performance sportiva. Per allenare il Core bisogna sommare insieme forza, flessibilità e controllo motorio con esercizi isometrici, statici o dinamici e con l’utilizzo di piccoli attrezzi che

sollecitano equilibrio e capacità coordinative. Un po’ di esempi sono: il plank con tutte le sue variabili, leg raises,v-sitv-ups,superman… Ultimo aspetto indoor di grande importanza e prettamente collegato al Core è l’allenamento propriocettivo. La PROPRIOCETTIVITA’ è un termine introdotto da Sherrington per descrivere gli ingressi sensoriali che originano, nel corso di movimenti guidati centralmente, da particolari strutture, i propriocettori, che hanno il compito di segnalare, istante per istante, quali sono i movimenti che l’organismo stesso sta compiendo. Per allenare la propriocettività si eseguono, principalmente, esercizi di disequilibrio con tavolette e pedane mobili portando l’attenzione su particolari distretti corporei ma anche lo streching, il trekking e la focalizzazione nella respirazione sono elementi che stimolano i nostri propriocettori. Con questo semplice articolo mi auguro di avervi dato delle basi per iniziare a costruire una nuova stagione agonistica, ricordandovi sempre che alla base di tutto deve esserci la Passione e il Divertimento! Il mio consiglio, da preparatore atletico, è quello di farvi sempre consigliare e/o allenare da persone competenti, professionali e specializzate. Detto ciò non mi resta altro che augurarvi un BUON ALLENAMENTO e, visto il periodo, BUONE FESTE!


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moto

Fratelli di moto Breve storia di due fratelli uniti dalla stessa passione, il Motocross.

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iamo Nicola e Alberto, residenti a Brogliano, abbiamo iniziato a sei anni con il ciclismo, settore giovanile con gare a livello nazionale fino ai 13/14 anni. Nell’inverno del 2011 nostro papà ebbe l’idea di sistemare un motorino, un Fantic Rocket, di un nostro caro amico. Da quell’istante qual-

cosa cambiò in noi. Dalle ruote fine del ciclismo siamo passati alle ruote tappate del Motocross. Dalla polvere delle strade al fango della pista. Ecco, infatti, che nel 2015 arriva la prima moto: Honda CR 125 2002. Prime esperienze con una moto a marce, prime volte in una pista di motocross, usandola un po’ per uno. A noi sembrava di volare, ma in realtà eravamo i più lenti della pista. Ma la passione ci conquistò nel profondo e così arrivò la seconda moto: Yamaha YZ 125 2004, che ci ha permesso nella stagione 2016 essere “Ready to race”. Decidiamo allora di iscriverci al motoclub Cornedo per poter partecipare al campionato Veneto Uisp. Il primo anno è stato difficile tra sconfitte e cadute. Il livello dei partecipanti poi era molto alto per noi che avevamo appena iniziato, ma poco importa, perché se si vuole crescere sportivamente bisogna competere con i migliori, per confrontarsi e piano piano fare esperienza. Nel 2017 arrivano le prime soddisfa-


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zioni, i primi trofei e gara dopo gara una maggiore confidenza con la moto e tutto questo grazie a nostro papà che ancora oggi ci segue negli allenamenti e nelle gare. Arriva il 2018, dove raccogliamo i primi frutti, con la prima vittoria, conquistando tutte e due le mance, proprio nella gara di casa, a Peschiera dei Muzzi: vittoria assoluta! Che emozione! Gli occhi arrossati e lucidi di nostro papà esprimevano una grande gioia. Abbiamo concluso l’anno in modo positivo: Alberto al 5° posto e Nicola al 15° nella classifica generale. 2019, nuovo anno e passaggio di categoria. Quindi nuovi avversarsi, tutto molto più difficile e perciò abbiamo acquistato due Yamaha Yz 125, più recenti per essere più competitivi. L’inverno tra il 2018-2019 è stato il più intenso. Bisognava preparare tutto, con molta cura per non lasciare niente al caso e così diventare più competitivi e dimostrare il nostro valore. Per questo le moto necessita-

vano di una manutenzione generale, revisione del motore, dei freni, del telaio e successivamente il collaudo con la taratura delle sospensioni da fare nelle varie piste tra Veneto e Lombardia. La preparazione fisica non è meno importante: palestra, corsa, nuoto e ciclismo, in modo da allenare la resistenza “fiato, gambe, braccia”. In contemporanea allenamenti in pista con la moto. Eccoci pronti per il campionato, ma già dalle prime gare abbiamo capito che il passaggio alla categoria superiore non era così semplice ma, gara dopo gara, la performance è migliorata, concludendo così il campionato al sesto e all’ottavo posto. Non eravamo pienamente soddisfatti e volevamo al più presto riscattarci. Così ci siamo iscritti al Campionato Veneto Uisp Trofeo Autunnale. La prima gara era la gara di casa, Peschiera dei Muzzi, dove l’anno precedente avevamo dominato. La pressione si sentiva, non volevamo deludere i nostri amici, sponsor e il nostro presidente del Motoclub Cornedo. Ma, come si sa, le gare sono imprevedibili e fino alla fine il risultato non è mai scontato. Viena agosto, il giorno di gara. È una giornata molto calda con quasi 35/40 gradi, tutti volevano vincere, nessuno correva per divertimento. Nel pre-parco si assaporava un’aria tesa, l’adrenalina si vedeva negli occhi dei piloti. Prima mance, pronti ai cancelletti: Vittoria! Un risultato inatteso e sorprendente visto il

livello degli avversari. Ecco la seconda mance, nulla di scontato, bastava un piccolo errore per rovinare tutto. Dopo ben 12 minuti più di 2 giri di gara da cardiopalma, Alberto è riuscito a terminare secondo, conquistando il primo posto nella classifica generale. Gioia immensa riuscire a vincere in casa. Alberto è in testa al campionato avendo la tabella rossa. Successivamente con la gara di Sant’anna D’alfaedo (VR) è riuscito a vincere il campionato Veneto Uisp Trofeo Autunnale mentre il fratello Nicola è salito sul terzo gradino del podio. Il nostro entusiasmo era alle stelle, la voglia di confrontarci ancora una volta con altri piloti ci ha portati a iscriverci anche al campionato Veneto interclub della Csen con altre cinque sfide da affrontare. La prima a Fara Vicentina che ci mise al secondo posto in campionato, la seconda a Pasiano (PN) con la vittoria in prima mance ci portò in testa alla classifica, rimanendo in testa anche nella gara di Foresto (RO) e Bovolone (VR). L’ultima e decisiva gara a Albettone (VI) causa una brutta caduta, per fortuna senza conseguenze, si è conclusa con Alberto al 2° posto in campionato e Nicola al 10°. Eravamo entrambi molto soddisfatti. Vi abbiamo raccontato la nostra storia per dedicarla a tutti i giovani che praticano sport di qualsiasi genere, perché lo sport unisce le famiglie e fa crescere una profonda intesa tra le persone.


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recoaro

Una lezione speciale

di Manuela Santagiuliana

Passione, determinazione, coraggio, sacrificio, ma anche condivisione, amicizia, divertimento, soddisfazione. E Sport. Un modo (anche se non completo) per definire i giocatori di rugby in carrozzina della squadra 4Cats di Vicenza.

I

n occasione del 3 dicembre, Giornata Internazionale dei Diritti delle Persone disabili, la Scuola Secondaria di 1° grado “Floriani” di Recoaro

Terme ha voluto conoscere e ospitare Lucio Vicentini (fondatore) e Angelo Fontana (capitano) dell’H81 – Wheelchair Rugby Vicenza – 4 Cats.

L’incontro si inserisce in un percorso di promozione e conoscenza sui temi della disabilità, per sostenere la piena inclusione delle persone con disabilità in


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ogni ambito della vita, con particolare attenzione allo sport, per allontanare ogni forma di discriminazione. Gli atleti sono stati protagonisti della Giornata Speciale (una tra quelle che caratterizzano le attività della Scuola di Recoaro): i ragazzi, che hanno definito un privilegio incontrare questi due giocatori, sono rimasti affascinati dal racconto della storia personale di Lucio e Angelo, hanno fatto domande, ma soprattutto hanno recepito il messaggio positivo offerto dai due ospiti: non piangersi addosso o lasciarsi prendere dallo sconforto, ma considerare invece le innumerevoli opportunità che ciascuno di noi ha. Ecco che allora, per esempio, la carrozzina non rappresenta una disgrazia, bensì una possibilità e una occasione di autonomia. “La loro disabilità” scrive Margherita, nel suo tema dedicato all’attività con Lucio

e Angelo “è arrivata all’improvviso e, come un uragano, li ha travolti, catapultandoli in un mondo nuovo”. Ma questi due campioni hanno saputo reagire, anche grazie allo sport, e appaiono (e sono) grandi uomini, tenaci e positivi. Nell’aula magna della scuola, Lucio e Angelo hanno anche illustrato le regole del rugby in carrozzina e commentato il video di una partita di rugby, con cadute spettacolari, lasciando poi spazio al videoclip “Segui la tua libertà” del cantante Luca Bassanese, che li vede protagonisti. L’attività è proseguita con una sfida, caratterizzata da agonismo e tifo tipici dello Sport “sano”: in palestra, i ragazzi si sono potuti cimentare in una prova pratica, con un percorso con slalom, ostacoli e scontro finale, dato che i due atleti avevano messo a disposizione due carrozzine da rugby (una da attacco e una da di-

fesa). Gli alunni hanno molto apprezzato la capacità di mettersi in gioco degli adulti: la competizione, infatti, non è avvenuta soltanto tra di ragazzi, ma anche tra Dirigente della Scuola Eleonora Schiavo e sindaco di Recoaro Davide Branco, tra il parroco don Mariano Ciesa e il vicepreside Davide Sandri.

Una giornata indimenticabile di entusiasmo per il grande valore della pratica sportiva, la forza e la tenacia di due campioni e dei loro compagni di squadra, che sicuramente lascerà strascichi positivi! Grazie H81 Wheelchair Rugby Vicenza 4 Cats!


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castelgomberto

21° Coppa Italia A.I.C.S. Si è appena conclusa la gara di coppa Italia a Castelgomberto, dove la San Xing Team (Palestra Polafit) ha partecipato con 7 atleti dei quali un esordiente nei combattimenti di “Sanda” e due bambini nelle specialità a mani nude e con arma lunga e corta.

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risultati sono stati veramente inaspettati, nel Sanda due ori e due argenti e nel Kung Fu tradizionale invece un oro due argenti e tre bronzi. Ma ora parliamo un po’ del Sanda, una disciplina che non è molto conosciuta, ma che, fatta bene da delle soddisfazioni che a mio avviso non si trovano in altre discipline. Nel Sanda che è la parte di combattimento sportivo del Kung Fu, parliamo di tecniche di pugno, tecniche

di gamba e prese con proiezioni dell’avversario. Vediamo ora un piccolo cenno storico sul Sanda. Quando negli anni 60 il Wushu si stava trasformando in uno “sport” moderno per mano del governo cinese, venne dato il mandato ai più grandi maestri di tutta la Cina di riorganizzare l’enorme patrimonio tecnico del Wushu. Questo per creare uno stile di combattimento con regole precise secondo le quali combattenti provenienti da scuole diverse potessero confrontarsi. Al fine di limitare gli infortuni venne inoltre deciso di adottare delle opportune protezioni, tutt’ora utilizzate. Nasceva quella disciplina che tutti in Italia conosciamo sotto il nome di Sanda, mentre all’estero, in particolare negli USA, prende il nome di Sanshou oppure Cinese Kickboxing. Mentre Cinese Kickboxing è accettabile, anche se lo ritengo semanticamente riduttivo, e’

preferibile non usare Sanshou perché, come si e’ già detto, con questo termine si indica tutto ciò che è combattimento libero nel Wushu. Anche un occhio non abituato a vedere sport da combattimento, e che potrebbe reputare uguali le discipline in cui si portano colpi di mano e di piede, riesce a riconoscere immediatamente che la tecnica principe del Sanda sono le proiezioni. Il Sanda infatti ha mutuato queste tecniche dalla lotta cinese, o Shuai Jiao. Altre discipline simili, come ad esempio la Thai Boxe, fanno un certo uso delle proiezioni però ricoprono un ruolo di secondo piano. Se le proiezioni eseguite non influenzano il punteggio finale difficilmente saranno applicate dai contendenti. La Thai Boxe in particolare è stata fortemente influenzata dal mondo delle scommesse che la circonda: solitamente infatti viene pagato un

premio differente a seconda della tecnica utilizzata nel momento in cui viene messo KO un combattente ed in genere si paga di più per un calcio circolare alto, o Tae Kaen Ko, portato con la tibia sulla testa dell’avversario. È logico allora che chi affronta un incontro di Thai Boxe punterà a mettere KO l’avversario con un calcio circolare alto, facendone di conseguenza un uso sistematico. Oltretutto nella Thai Boxe è permesso bloccare l’avversario e colpirlo, essendo il clinch considerato in tutto e per tutto una distanza di combattimento. Nel Sanda invece vige una regola che una tecnica di proiezione deve essere eseguita entro un lasso di tempo non superiore ai 3 secondi, tempo oltre il quale l’arbitro interromperà l’azione e farà riprendere l’incontro al centro del LeiTai. Questo per non penalizzare il realismo dell’incontro e per renderne il ritmo più fluido.



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