Progetto Democratico luglio 2008

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@tiscali.it

In questo numero: • Riaffermare la

cultura della legalità.

• A due passi dal centro…

• Allo stato dell’arte. • Le idee

diventano realtà…

• Intervista a Maurizio Tosi. • Via Pisanica. • I giovani e il bullismo.

• Le necessità

dei pietrasantini.

• Interrogazione consiliare su Motroni. • Bastonate ai magistrati, vergognosi bavagli ai giornalisti. • Accade in

Somalia, nessuno lo sa.

• “Dilettanti”… allo sbaraglio.

Riaffermare la cultura della legalità L’intervento di Giancarlo Caselli a Pietrasanta

di Antonio Orsucci, Nicola Lari e Sabrina Mattei In occasione del primo appuntamento del percorso “Il valore della Legalità”, tenutosi presso la Casa diocesana “La Rocca” il 13, 14 e 15 giugno scorsi, è intervenuto il magistrato Giancarlo Caselli. L’intervento, interessante e argomentato, è stato raccolto dagli autori del presente articolo. Pubblichiamo qui di seguito, senza alcun intento di strumentalizzazione e col solo scopo di ascoltare le parole di chi lavora nel campo della giustizia e quotidianamente ne è a contatto, alcune delle risposte alle domande che sono state poste dai sottoscritti e dagli altri presenti. L’intervento integrale è disponibile in internet sul nostro blog: http://pdpietrasanta.wordpress.com Una breve biografia: Giancarlo Caselli è un magistrato torinese con una carriera alle spalle di quarant’anni. Si è sempre occupato di processi penali ricoprendo l’incarico di giudice istruttore prima e procuratore della Repubblica poi. Fra gli incarichi più importanti: a Torino negli anni ’70 e ’80 si è occupato di Prima Linea e delle Brigate Rosse; dal 1986 al 1990 è stato consigliere del CSM; nel 1993 è stato nominato procuratore della Repubblica di Palermo per proseguire l’opera di lotta alla mafia iniziata da Falcone e Borsellino; è stato direttore del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria; ed infine rappresentante per l’Italia nell’Eurojust, organo europeo di coordinamento delle indagini sul crimine transnazionale. Attualmente è Procuratore Generale a Torino.

Con quali strumenti si può ripartire per divulgare la cultura della legalità nelle piccole cose? Vado spesso nelle scuole a parlare di legalità con i giovani, e quando lo faccio devo sempre sforzarmi di non usare termini astratti. C’è una filosofia diffusa nel sentire comune per cui legalità e rispetto delle regole sono cose da lasciare ai fessi, ed insieme ci arrivano dei modelli non positivi da pulpiti alti e prestigiosi: nel nostro paese molte volte chi sbaglia non paga, soprattutto se ha i mezzi economici e “conta”. Questo ce lo insegnano praticamente tutte le trasmissioni televisive perché in esse si afferma l’apparire ad ogni costo, anche scavalcando gli altri se necessario. E con scavalcare si potrebbe dire prendere a calci, (continua a pag. 2)


(continua da pag. 1) sgomitare, avere come obiettivo primario il proprio egoistico interesse. Gli altri non esistono, le regole che servono per vivere assieme e perché ciascuno abbia qualcosa a disposizione sono da mettersi sotto i piedi. E dunque, per parlare con semplicità, si deve dire che è necessaria per tutti l’osservanza delle regole e della legalità, perché senza regole non c’è partita, o se la partita c’è, è truccata. Se non ci sono regole vincono i soliti noti, coloro che sono già forti, privilegiati, ricchi e magari uniti da una cordata di interessi o facenti parte di un’organizzazione criminale. Prendiamo una delle regole cui siamo soggetti quotidianamente: il semaforo. Perché rispettiamo (più o meno) quella regola? Intanto perché la violazione porterà ad una sanzione, e poi perché tutti sanno che fermandosi al rosso saranno evitati incidenti. Ma questo non basta: deve affermarsi la convinzione secondo cui il rispetto di una regola non serve solo ad evitare il male, ma serve anche, ed a maggior ragione, a produrre qualcosa di positivo. Grazie al semaforo ci saranno presumibilmente meno code agli incroci, e quindi più tempo libero per tutti coloro che quotidianamente guidano. Con simili esempi i ragazzi si rendono conto di cosa siano le regole e la legalità. E allora possiamo provare a fare un passo più avanti sostituendo al semaforo la disposizione del codice penale che vieta al pubblico funzionario di ricevere denaro o altra utilità in cambio di fare un qualcosa che già rientra nei suoi compiti. In pratica esaminando il reato di corruzione: in questo caso gli effetti del mancato rispetto della regola non sono circoscritti al funzionario pubblico e a chi paga la tangente, ma si riflettono anche sulla cittadinanza. Quindi la corruzione vista anche come impoverimento, come qualcosa che ci viene portato via. Un’opera pubblica invece di 100 costerà 150, e quei 50 in più sono il prezzo del corrotto. Ma sono anche denari che vengono sottratti alla collettività, che se non fossero sottratti sarebbero un campo sportivo in più, un centro accoglienza in più, una scuola meglio attrezzata, una strada meglio asfaltata, un centro per anziani più funzionante. Allora sintetizzando: 1) più legalità, 2) minore corruzione, 3) migliore qualità della vita. E i giovani (diversamente da tanti adulti) capiscono subito il ragionamento, sono molto sensibili a questo discorso perché sanno di avere ancora tutta la vita davanti. Più legalità, più possibilità di avere un futuro che valga la pena di vivere. Più possibilità concrete e reali: non soltanto sogni. Altra assenza di legalità: le mafie. Uccidono, sequestrano, sono criminali. Ma sono anche, al pari

della corruzione, un impoverimento. Qualcosa che viene meno sul piano sociale, e sul piano economico. Sul piano sociale perché ad esempio con il traffico di stupefacenti abbiamo un fenomeno che si realizza sulla pelle di tanti giovani. Sul piano economico perché, come confermano ricerche del Censis, non è vero che la mafia è un motore, per quanto perverso, di sviluppo economico. Queste ricerche dicono che sulle economie del mezzogiorno le mafie sono una zavorra, tengono lo sviluppo economico bloccato. E questo zavorramento c’è perché ogni anno le mafie causano la perdita di posti di lavoro in numero pari a 180.000. Ogni anno attraverso le mafie si produce ricchezza in nero pari a 7,5 miliardi di euro. Una montagna di ricchezza, un impoverimento colossale. Se non ci fossero le mafie che bloccano quelle regioni il Pil pro capite degli abitanti in quelle zone sarebbe pari o comunque molto vicino a quello degli abitanti del centro-nord. Queste sono le mafie. Meno mafia, più legalità, più possibilità di vivere meglio, più possibilità di avere un futuro con uno sviluppo economico ordinato. E possiamo parlare anche della sicurezza urbana: qui più legalità significa meno paura. Più sicurezza significa impedire che la qualità della vita subisca quel deterioramento che è in atto. Però quando questo diviene il problema dei problemi è sempre più difficile il dialogo, il confronto. Da qui l’intolleranza per quello che viene considerato il diverso, e il rifiuto della politica come partecipazione alla vita della polis. Così cambia la vita: chi ha i mezzi economici si rinchiude nel suo recinto, trasforma la sua casa in un bunker, e si alzano dei muri di separazione fra gli uni e gli altri: fra una certa parte di collettività e coloro che questa parte di collettività considera altri, diversi, pericolosi. L’ostilità e l’insofferenza che comincia nei confronti degli uni se crea un clima di sospetto che va diffondendosi sempre di più può generare un clima di intolleranza anche nei confronti di tanti altri, anche nei confronti di chi pur rispettando tutte le regole la pensa diversamente. Sono cose che abbiamo già vissuto. Veniamo al problema delle infiltrazioni mafiose nelle amministrazioni locali e nell’economia come diminuzione della legalità direttamente percepibile dai cittadini. Il mafioso si fa imprenditore, gestisce un’impresa, utilizza un prestanome, mette capitali in una società altrui consapevole poco o tanto in percentuale ridotta della provenienza del denaro del socio o del titolare. Il mafioso svuota con usura ed estorsione un’attività economica, e quando l’ha spolpata se ne impadronisce. Il mafioso rispetto all’imprenditoria tradizionale gode di vantaggi imponenti. Primo: il denaro a costo zero (grazie ai mille traffici illeciti). (continua a pag. 3)


(continua da pag. 2) E con quello che costa andare in banca e farsi prestare il denaro è un vantaggio che non ha bisogno di essere dimostrato. Secondo vantaggio: io mafioso avendo notevoli mezzi a disposizione posso non guadagnare subito, e posso praticare prezzi che spiazzano la concorrenza. Inoltre metodi di risoluzione delle controversie “rapidi e efficaci” che saranno la suggestione, l’intimidazione, la minaccia e poi la violenza. Questi vantaggi messi assieme danno all’imprenditoria mafiosa vantaggi molto consistenti rispetto a quella onesta, col risultato che l’economia mafiosa sta invadendo l’economia pulita, inquinandola, e i concetti stessi di concorrenza stanno mutando. Il problema esce dai confini del mezzogiorno e diventa nazionale. E per gli amministratori locali tutto questo si traduce nel crescente riciclaggio dei capitali sporchi negli appalti pubblici. Ormai la mafia va ad investire lontano nello spazio e nel tempo dal luogo di produzione della ricchezza illecita. Oggi il riciclaggio addirittura supera i confini nazionali, ma quando si opera entro i confini è ovvio che si andranno a scegliere regioni in cui la mafia non c’è, o è meno evidente. Dove il denaro circola in grandi quantità, pulito ed onesto: proprio perché ne circola tanto il denaro sporco è più facilmente riciclabile. Il rischio derivante dalla mafia e dalla poca legalità è che questo riciclaggio determini sempre di più quella espansività che geneticamente è insita nella mafia stessa; quindi un rischio che si nasconde anche dietro investimenti apparentemente sicuri. La battaglia di Confindustria Sicilia è anche un’operazione di convenienza: dicendo non bisogna pagare il pizzo si afferma che l’economia illegale ci sta togliendo la terra sotto i piedi, è un disperato appello alla sopravvivenza. E fino ad oggi il problema delle estorsioni agli imprenditori e ai commercianti non esisteva? Talvolta è difficile vederlo: un’economia che sia caratterizzata da una forte presenza illegale porta conseguenze negative e devastanti per quelli che sono gli interessi generali. Se cresce la consapevolezza di questi fenomeni anche negli amministratori locali cresce la sensibilità nel percepirli nella cittadinanza, e allo stesso modo vengono potenziati gli strumenti di contrasto. È un cerchio che si chiude. Le nostre scelte sono condizionate da una percezione di insicurezza indotta dal sistema. Come possiamo liberarci da questo condizionamento e far sì che le nostre scelte siano guidate da un senso di giustizia sociale? Quali percorsi educativi seguire? È un dato di fatto che oggi in Italia vi siano tante paure e insicurezze. Secondo me è opportuno chiedersi quali siano le cause autentiche, davvero pre-

occupanti. Una è data dalle tv globali, che ogni giorno invadono le nostre case con immagini terribili di violenze, disastri, sofferenze. Questo mi sembra indiscutibile. Tutto ciò penetra in ciascuno di noi e ci lascia paura e insicurezza. E se si recepisce ciò passivamente si finisce per ragionare esattamente come gli spettacoli ripetuti, con una monocultura. La politica una volta era un punto di riferimento preciso, compresi i partiti con tutti i loro difetti; oggi questo è in crisi e stenta a definire anche dei confini all’insicurezza. E l’assenza di punti di riferimento ci fa vivere questa come una fase di transizione. Altro fattore è il lavoro, che non c’è, o è precario, o sommerso, molte volte insicuro proprio per quanto riguarda la salute e la sopravvivenza del lavoratore. I prezzi sempre più alti, i salari che sono stazionari o non tengono il passo dell’inflazione. Questi sono fattori profondi di insicurezza e paura del domani, sia per i giovani, sia soprattutto per gli anziani, in una società sempre più vecchia. Se mancano punti di riferimento ci si sente soli, abbandonati e allora si cercano delle soluzioni che compensino questo senso di smarrimento. Secondo me oggi ci si rifugia sempre di più in soluzioni sostitutive rispetto ai problemi veri, e quella per eccellenza è l’insofferenza, se non la ripugnanza verso il diverso. Se si gonfiano le paure, come fanno i media – alcuni in modo consapevole e strumentale, altri perché si vende di più – le paure vere, prezzi, salari, lavoro, finiscono per essere relegate a margine e questo fa comodo ad una certa politica, a destra come a sinistra; nel senso che – è sempre una mia riflessione – trasversalmente c’è un appiattimento culturale di tutta la politica su posizioni magari artificiosamente create. L’insicurezza, che dovrebbe essere un problema da curare e, se possibile, estirpare, sta sempre più diventando un’occasione da sfruttare, qualcosa su cui investire. Ci sono fondamenti oggettivi di paura e insicurezza, ma se si alimenta questa sensazione, come nelle campagne massmediatiche del periodo preelettorale, dal fatto obiettivamente preoccupante si passa al mostro, lo si cavalca, ma poi si rischia, o forse va bene così, di essere controllati dalla paura. Nell’informazione, ma soprattutto in politica, si operano scelte che non hanno come obiettivo ridurre o cancellare la paura, ma che sono da questa dettate e se si fa politica in questo modo sappiamo dove si va a finire. Certo non siamo in questa situazione, ma vi sono analogie preoccupanti con la Germania di qualche anno fa. Quando ci sono delle paure vere, profonde e non si riesce a risolverle, si tende a distogliere l’attenzione, si trova la paura sostitutiva, “il diverso”, l’ebreo ieri, il rom ieri e oggi. Se i timori, che hanno un fondamento obiettivo, invece di essere un problema da risolvere (continua a pag. 4)


(continua da pag. 3) diventano metro di giudizio, allora la soluzione non sono più le vere riforme, ma castigare, bastonare; che magari serve anche, ma solo questo non è la migliore soluzione; anche perché così si impara a vivere in una condizione di reciproco sospetto, oggi contro chi ha la pelle di colore diverso, domani contro chi la pensa diversamente da noi. Nessuno pensa che il problema della sicurezza urbana sia da sottovalutare, ma se si crede o si fa credere di risolverlo solo con interventi che finiscono per enfatizzare la paura, paradossalmente l’insicurezza aumenta: se si spende sempre di più per repressione e prigioni, che sono necessarie, ma non sono tutto, e niente per ospedali, alloggi o reinserimento, trasporti pubblici e zone degradate, la microcriminalità aumenta. Un’eccedenza di risposta autoritaria non solo è poco accettabile in linea di principio, ma è anche controproducente; un po’ come il sistema statunitense, dove gli esperti di settore hanno dimostrato che la tolleranza zero non serve a niente. Sempre in questo ambito, oggi si chiede sempre più di frequente alla magistratura penale di risolvere un problema epocale come l’immigrazione. Un fiume in piena trasporta tanta acqua, ma anche detriti e solo su questi, cioè le manifestazioni criminali, si può dare una risposta penale. Pretendere il reato di immigrazione clandestina significa parlare di 600 mila persone e il sistema giudiziario non reggerebbe; inoltre è un annuncio di facciata, rassicurante, che distoglie dalla ricerca e adozione di soluzioni più difficili. Il disegno di legge sulle intercettazioni è stato concepito per risolvere problemi dei cittadini o è solo un mezzo di intimidazione per giornalisti e magistrati “scomodi”? Il cosiddetto “pacchetto sicurezza” si compone di un decreto e di un disegno di legge: il primo è già legge dello Stato, deve essere convertito entro 90 giorni, altrimenti decade. Contiene alcune cose sicuramente positive: la possibilità di giudizi immediati, almeno in teoria; il divieto di patteggiamento in appello, alcune modifiche per quanto riguarda la

gestione dei beni confiscati. Altre sono molto discutibili: l’aggravante dell’immigrazione clandestina è un problema di cui sicuramente si occuperà la Corte Costituzionale e su cui occorre riflettere perché la persona deve essere sempre al centro dell’attenzione e poi per capire se corrisponde davvero alle esigenze della gente. Nel pacchetto sicurezza c’è poi il problema dei rifiuti a Napoli, per risolvere il quale si prevede di creare dei giudici speciali. Tale misura, anche se per un così grave problema, sarebbe uno strappo alla Costituzione e se si comincia così, dopo ne verranno altri. I problemi si risolvono col rispetto delle regole, soprattutto quelle fondamentali scritte nella Costituzione. Veniamo alle intercettazioni. Con tutti i problemi che ci sono, la crisi Alitalia, la fine del mandato di Bush, il caro benzina, quello ritenuto più urgente sono le intercettazioni telefoniche. Questo tema doveva essere risolto con il decreto, ma viene presentato in maniera tale da confermare le teorie di chi nota un crescente divario fra una politica che tende a travisare i fatti e a diffondere tramite i mezzi di comunicazione a disposizione una realtà virtuale non corrispondente a quella oggettiva, sulla quale operare poi scelte di governo, e la verità. Sulle intercettazioni, per esempio, ne abbiamo sentite di tutti i colori. Luigi Ferrarella, sul Corriere della Sera del 10 maggio scorso, ha scritto un pezzo intitolato: “Una sfilza di leggende”. Comincia parlando del ministro della Giustizia Alfano, che ha detto che il 33% delle spese per la giustizia va a finire in intercettazioni. Ferrarella dice che tale affermazione, che oggi tutti ripetono a pappagallo, è un colossale abbaglio perché se davvero si spendesse questa quota, la cifra dovrebbe essere pari a 2 miliardi di euro abbondanti, mentre si spendono “soltanto” 224 mila euro, quindi il 3%. Si sente ovunque che siamo tutti intercettati. Vi cito i dati della procura di Torino: su migliaia di procedimenti aperti, quelli che prevedono intercettazioni sono lo 0,2% del totale e questo vale per quasi (continua a pag. 5)


(continua da pag. 4) tutte le procure d’Italia. Si sente poi dire che siano uno spreco, ma è falso, perché si spende tanto, ma meno di altri paesi. In Italia si conoscono tutte le intercettazioni disposte perché solo l’autorità giudiziaria può farlo in modo tale che prima o poi divengano pubbliche. Altrove le intercettazioni dell’autorità giudiziaria sono una minima parte di quelle che legittimamente un sacco di enti e autorità possono disporre. Negli USA l’FBI, la CIA, la polizia federale, persino i pompieri hanno in casi particolari la possibilità di disporre intercettazioni; che poi, però, non costituendo prova di reato, finiscono solo negli archivi statistici. Ma dire che in Italia siamo tutti intercettati è falso, perché probabilmente, se si conoscessero tutti i dati altrui, verrebbe fuori che forse siamo intercettati meno. I costi sono un problema, ma noi spendiamo tanto anche perché gli istituti giudiziari sono costretti a prendere in affitto da società private le apparecchiature usate dalla polizia e in questo noleggio per anni è esistito un far west delle tariffe. Adesso finalmente c’è coordinamento fra i vari uffici giudiziari e tutti pagano la stessa cifra. Ferrarella scrive che in Italia si spende moltissimo perché ogni volta che lo Stato acquisisce un tabulato telefonico paga 26 euro alla compagnia telefonica e deve versare al gestore circa 1,60 euro al giorno per intercettare un telefono fisso, 2 per un cellulare, 12 per un satellitare. Stranamente qui nessuno guarda all’estero, dove quasi tutti gli Stati o pagano a forfait le compagnie telefoniche o addirittura le vincolano a pagare tariffe agevolate! Vi sono poi problemi di efficienza e coordinamento fra i vari uffici: senza dubbio i magistrati devono metterci qualcosa di proprio, ma l’organizzazione spetta al ministero. C’è poi un problema che riguarda tutti i reati. È attuale lo scandalo della clinica Santa Rita, scoperto con le intercettazioni. In questo disegno di legge si propone di consentire di intercettare solo per quei reati punibili con più di dieci anni. Qui sono venuti fuori i fatti, come l’omicidio volontario, che ora non si potrebbero più perseguire: la nuova legge dice che se, intercettando, si ascolta uno che confessa un omicidio, non vale, perché si stava intercettando per truffa. Ma siamo matti? Ferrarella continua: le intercettazioni costano tanto, ma non si dice, ad esempio, che l’inchiesta sui “furbetti del quartierino” è costata circa 8 milioni di euro e che dai risarcimenti versati da 64 indagati per patteggiare sono stati recuperati 340 milioni di euro, alcune decine dei quali messi a bilancio dello

Stato per nuovi asili. Se le cose funzionano e si trovano i responsabili c’è un recupero e talvolta questo vale molto più delle spese. Altro luogo comune è che i magistrati intercettino perché hanno disimparato la cultura delle investigazioni. Ma sarebbe come dire che poiché Rosolino pretende una tuta tecnicamente più avanzata per essere al pari dei suoi avversari, che ce l’hanno, ha dimenticato come si nuota! Ma è il proprio mestiere che si arricchisce di nuove prospettive e possibilità! Oggi su Il Sole 24 Ore si scopre una cosa di cui non si è sentito parlare: la nuova legge vieta “la pubblicazione, anche parziale o per riassunto nel contenuto, di atti di indagine preliminare, nonché di quanto acquisito al fascicolo del Pubblico Ministero o del difensore, fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Cioè se c’è un’indagine di mafia o malasanità, non se ne può parlare. Solo dopo si dice che chi pubblica le intercettazioni verrà punito. Qui non si tratta di questo, ma di qualcosa che fa scrivere a Donatella Stasio, ancora più moderata di Ferrarella, che “la stretta è micidiale, a cominciare dal divieto assoluto di pubblicare qualunque notizia sulle inchieste fino all’inizio del dibattimento. Il silenzio imposto è totale”. Continua: “Di un arrestato si potrà scrivere nome e cognome, forse il reato, ma nulla sulla vicenda, nulla sulle ragioni dell’arresto, nulla sulle ragioni dell’apertura dell’inchiesta, nulla, tanto meno, sulle ragioni a discolpa dell’indagato”. Conoscete una democrazia in cui questo accada? Per tutta la durata delle indagini, un periodo iniziale di secretazione è necessario per poter lavorare senza ledere l’onorabilità della persona indagata, sfruttando il fattore sorpresa; ma prolungandolo per tutta l’inchiesta viene meno anche il controllo sociale della pubblica opinione sull’attività della magistratura. Da un certo punto di vista i magistrati potrebbero lavorare meglio, fare quello che vogliono, ma in democrazia servono dei controlli sulle attività dei soggetti pubblici. Il problema vero da risolvere è quello di soggetti e fatti non pertinenti il processo che finiscono sul giornale. Si parla di diritti dei terzi e di privacy violata e si arriva al silenzio anche sulle indagini e il premier dice: “Lo voleva la piazza”. Ma avete visto voi gente in piazza per chiedere questo? I giovani di Confindustria si sono sfregati le mani! In Italia i controlli sono vissuti come una cosa sicuramente fastidiosa, perché a nessuno piace essere controllato. Ma la legalità è un valore accettato da tutti oppure chi può riduce i controlli perché pensa che valga soltanto per gli altri?


A due passi dal centro... Con lo spostamento di alcuni uffici comunali e l’insediamento del poliambulatorio nei locali dell’ex ospedale Lucchesi, via Martiri di Sant’Anna è diventata una strada molto trafficata; non che prima non lo fosse, data anche la presenza di alcuni laboratori artigiani, dove spesso si recano grossi automezzi per caricare sculture o scaricare blocchi di marmo da lavorare. Quando questo accade, il traffico si blocca per alcuni minuti, necessari alle manovre dei tir per entrare o uscire dall’azienda, ma una volta finito il lavoro, tutto ritorna alla normalità. Ciò che non è normale è l’ingorgo che si crea il giovedì mattina, quando in Piazza dello Statuto, si tiene il mercato comunale, o quando alla vicina chiesa di San Francesco vi sono particolari cerimonie. In tali occasioni la viabilità lungo questa strada conosce degli intoppi, dovuti alla presenza di numerose vetture parcheggiate sui bordi della sede stradale, dove pure sono presenti dei segnali di sosta vietata. Ciò comporta dei momentanei blocchi di traffico, dovuti al fatto che, essendo permesso il doppio senso, questo diventa un senso unico alternato. Eppure i parcheggi ci sono: uno è quello in Piazza Emilio De Ferrari, adiacente all’ingresso degli uffici comunali e dove spesso, quindi, alcuni posteggi sono occupati da auto a servizio dei dipendenti; un altro si trova poco più avanti, procedendo verso Massa, appartiene ad un privato ed è anch’esso a pagamento. Nonostante questo, nelle occasioni di cui si è parlato, i posti non sono sufficienti. E non parliamo della cattiva abitudine dei cittadini a lasciare in sosta vietata il proprio mezzo anche quando i posti dove parcheggiare regolarmente ci sarebbero! La situazione non sembra essere tenuta sotto controllo come si dovrebbe rispetto alle infrazioni occorrenti e questo sa un po’ di beffa: non vorremmo che, per salvaguardare l’afflusso di persone al mercato comunale o per non fare un torto ai fedeli che si recano alla chiesa francescana per assistere a delle cerimonie importanti, si faccia finta di chiudere un occhio a scapito dei residenti! Con ciò non

di Antonio Orsucci vogliamo dire che la gente non debba venire al mercato o frequentare la messa, ma solo che l’amministrazione comunale potrebbe incentivare l’uso di mezzi pubblici e vigilare meglio questa zona. Vigilanza che sarebbe opportuna anche per reprimere quei centauri e piloti da Formula 1 che talvolta transitano credendo di trovarsi alla pista del Mugello! Un’altra cosa da chiarire è se il cartello che informa che la zona circostante l’ex ospedale è videosorvegliata, ubicato all’incrocio fra via Martiri di Sant’Anna e via di Capriglia, abbia ancora validità. È vero che negli ultimi tempi non ci sono stati problemi di microcriminalità, ed è pur vero che è opportuno ricorrere alla videosorveglianza solo proprio laddove non sia possibile farne a meno; ma se si informa la cittadinanza di un servizio, si dovrebbe avere come minimo la certezza che questo funzioni. Occorre poi spendere due parole a riguardo degli alberi che fiancheggiano la via lungo il tronco sudest: rappresentano una bella cornice, ma quando è stata fatta l’ultima potatura? Infatti, in occasione di recenti fenomeni ventosi, sulla strada si sono visti alcuni rami divelti dalle suddette piante, che, per fortuna, non hanno creato danni, come è accaduto invece in altre zone della città. Speriamo che chi di dovere provveda a non soprassedere a questi problemi, se non altro proprio per la presenza dei servizi che di recente hanno trovato sede in questa zona, ma soprattutto per le persone che devono accedervi e per quelle che qui risiedono.


Allo stato dell’arte. Guardiamoci attorno, e vediamo se le opere architettoniche e i monumenti stanno veramente bene. Il 14 giugno scorso è stato inaugurato il pontile di Tonfano, una grande opera che l’amministrazione Mallegni ha regalato alla città. Eccolo lì, ben mantenuto, illuminato … forse troppo... Peccato che, andando in centro storico, nella centralissima Piazza del Duomo, recentemente messa a nuovo, noteremo lo stato di degrado in cui versa il campanile in stile barocco della chiesa di Sant’Agostino, che sta letteralmente cadendo a pezzi. In più punti manca dell’intonaco ed è circondato da catene, onde evitare che qualcuno si avvicini troppo all’edificio dal quale possono piovere calcinacci o campane, vista la situazione in cui versano i ceppi in legno … Queste situazioni sono già state più di una volta al centro di osservazioni, sia da parte di comuni cittadini che esponenti politici, anche di maggioranza. Eppure nessuno si è mai interessato seriamente dei problemi … Basti pensare che durante l’incontro del sindaco con i commercianti di via Stagi sollevai la questione del campanile del Sant’Agostino, dopo aver scritto Sono passati 12 anni da quel maledetto mercoledì in cui la Versilia, e la piana pietrasantina, furono messi in ginocchio dall’alluvione che portò danni e morte.

di Matteo Tartarelli una lettera pubblicata su “Il Tirreno” durante il ciclone Volonté - Larraz, ma nulla è stato fatto. Fortunatamente il terremoto del 21 gennaio scorso non ha causato il distacco della targa in latino su cui è scritta la storia dell’edificio. Anche la chiesa, risalente al XII secolo, non è in condizioni migliori. Inutile restaurare l’organo se poi ci sono delle crepe che attraversano da cima a fondo la facciata, e i finestroni, ben riconoscibili, sono chiusi da lavori di muratura approssimativi. Volgendo lo sguardo verso mare scorgiamo la Torre Civica, che sembra attrezzata per gli escursionisti per riconoscere dove si trova il nord … La facciata in direzione nord-est è infatti completamente tappezzata dal muschio, ben visibile anche durante le ore notturne. Situazione di degrado anche per il campanile dell’ex-complesso di San Leone che può esser fonte di problemi di ordine sanitario vista la presenza di escrementi volatili all’interno della torre. Brutto anche lo stato manutentivo di alcune marginette, come quella in Via del Marzocco e in Via Marconi, nelle immediate vicinanze del sottopasso. Trasferendoci in periferia è da segnalarsi la cappella della Madonnina in fondo a Via Santini, parzialmente crollata in seguito un incidente stradale. Se per beni architettonici, in questo Comune, si intende soltanto un pontile, delle angurie o dei falsi storici, penso che l’amministrazione comunale necessita un’analisi delle proprie priorità.

Anche Progetto Democratico dedica questo trafiletto al ricordo di quel 19 giugno 1996, in cui la furia delle acque cancellò anni di lavoro, vite e ricordi di numerosi cittadini.


Le idee diventano realtà... …Ormai questo slogan è famosissimo in tutto il Comune di Pietrasanta. E’ una di quelle frasi ad effetto tipo: ”Dove c’è Barilla, c’è casa”. In questa frase c’è racchiusa una promessa, quella appunto di concretizzare le idee rendendole tangibili. L’amministrazione ha fatto di questo motto il suo cavallo di battaglia, soprattutto per quanto riguarda il settore dell’urbanistica, che, come è risaputo, è molto florido… quasi da agenzia immobiliare, si potrebbe dire! Ma non è tutto oro quello che questa amministrazione comunale tocca: ci sono alcune idee che non sono state concretizzate ed altre che non sono state poi così buone! Da questo numero di Progetto Democratico, sarà approfondito il tema dell’urbanistica, ponendo l’attenzione su queste proposte rimaste sospese o mai realizzate. La prima di queste “chicche” riguarda un parcheggio nella zona delle Focette, proprio in prossimità della sede della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). I cittadini devono sapere che, poco dopo l’insediamento della prima giunta Mallegni, nasce l’idea di realizzare questo posteggio, realizzato in un paio di mesi, su terreno agricolo privato, quindi non di proprietà comunale, senza nessun atto. Primo dubbio: che sia forse abusivo? Costo dell’opera: 20.000 euro per disboscare l’area e altro denaro pubblico per asfaltare e per piantare verde “fantasma”, visto che se avete oc-

di Barbara Ippolito casione di visitare la zona, vi accorgerete dalla totale assenza di piante che non siano di vegetazione spontanea! In compenso, la zona è ricca di copertoni di auto, spazzatura e tanti altri rifiuti che non creano certo un bel vedere. A meno che questa amministrazione comunale, non consideri la cosa arte moderna, credo che il parcheggio sia in una grave situazione di degrado, segnalato tra l’altro anche dalla UILDM stessa che fece una rimostranza che portò alla chiusura del parcheggio per alcuni anni (potete immaginare la problematicità di un’area di sosta di questo genere!). Attualmente le cose non sono certo cambiate visto che il parcheggio viene aperto per i soli mesi estivi in una zona isolata, lontana dal centro abitato di Focette e francamente di scarso utilizzo, nonostante la penuria di parcheggi lungomare in quel tratto. Che sia stato studiato male il suo posizionamento? Ora sta a voi giudicare se veramente “tutte le idee diventano realtà”. Come ho già detto, questa è solo una delle tante “chicche” del nostro Comune, un “lato B”, e per continuare con le frasi fatte, quello che dobbiamo ancora conoscere forse “lo scopriremo solo vivendo”.


Intervista a Maurizio Tosi, Presidente della Croce Verde di Pietrasanta

Perché è importante la Croce Verde a Pietrasanta? La Croce Verde di Pietrasanta è la più vecchia pubblica assistenza d’Italia, è nata nel 1865. Ne fanno parte circa un migliaio di soci e credo che sia una delle realtà occupazionali più importanti del Comune, infatti occupa una media di 45 dipendenti dove più dell’80% sono donne. Siamo occupati nel servizio sanitario, abbiamo un punto di emergenza, del 118, effettuiamo servizi sociali convenzionati con il Comune, abbiamo un settore di Protezione Civile adeguatamente attrezzato, il servizio di onoranze funebri e un Circolo Arci dove si mangia bene a prezzi contenuti. Qual è lo stato di salute del volontariato in genere e, in particolare, della Croce Verde di Pietrasanta? Per quanto riguarda il volontariato in generale, credo che tutte le associazioni stiano attraversando un po’ di crisi. Noi qualche giovane ce lo abbiamo, ma il volontariato è una cosa un po’ complicata perché dedicare un po’ di tempo libero che si ha per questioni di solidarietà oggi non è più una pratica, quindi soffriamo un po’ della mancanza di gioventù. Qui a Pietrasanta abbiamo una trentina di volontari attivi, ma il gruppo è anche più numeroso. Tra servizi ordinari e servizi di emergenza, ne abbiamo fatti 3800 nel 2007 e non sono pochi. Il bilancio è stato chiuso nel 2007 con una perdita di 7 mila euro, però se teniamo conto che abbiamo accantonato più di 10 mila euro per l’acquisto delle attrezzature possiamo dire che il bilancio si è chiuso in un sostanziale pareggio. Lo sforzo maggiore che facciamo è quello di essere puntuali con il pagamento degli stipendi. Fino ad oggi ci siamo riusciti! Siamo ben radicati nel terri-

torio ma intendiamo, prima della fine dell’anno andare anche nelle frazioni per farci conoscere meglio.

Qual è la differenza tra “Pronto Soccorso” e “Punto di Primo Soccorso”? La differenza è sostanziale perché il Pronto Soccorso è quello dell’Ospedale Versilia, dove vengono fatti tutti i codici (bianchi, gialli, verdi, blu e rossi, a seconda dell’entità della patologia), mentre il Punto di Primo Soccorso sarebbe destinato soltanto ai codici bianchi. La cosa strana è che se ne è parlato tanto, tempo addietro, ma ora sono mesi che non se ne parla più e vorrei capire perché, visto che circa un anno fa, fu approvata in consiglio una delibera per la costruzione di questo punto di Primo Soccorso sul nostro territorio, dovrebbero spiegarci in consiglio perché prima c’era interesse a farlo e ora no, e se ci sono ancora le condizioni per farlo. (Continua a pag. 10)


Esiste attualmente un Punto di Primo Soccorso a Pietrasanta? No, non esiste. Possiamo dire che uno spirito di solidarietà, deve tendere a costruire un’assistenza sanitaria sempre più qualificata ed efficiente che dia delle tutele alle persone e, un punto di Primo Soccorso, potrebbe essere un sostegno a questa politica di rafforzamento del Sistema Sanitario. L’ASL ha sempre sostenuto che siamo troppo vicini all’ospedale, ma sarebbe utile secondo me, la presenza del Primo Soccorso nel periodo estivo, in quanto la popolazione quadruplica e, potrebbe essere utile per alleggerire il Pronto Soccorso dell’ospedale.

Resta da capire dove farlo, perchè noi non abbiamo spazi e nemmeno la Misericordia, quindi dovrebbero farlo al Distretto. Ci sono delle differenze rispetto ad altri Comuni o siamo tutti nella stessa condizione, in merito alla presenza di questo servizio sanitario? Le differenze ci sono perché in molti comuni è già presente: a Seravezza, a Ponte Stazzemese, a Camaiore, a Viareggio, la Misericordia a Massarosa. Ne hanno fatto uno a Torre del Lago, estivo, così come a Forte Dei Marmi. In pratica tutti i Comuni della Versilia, tranne il nostro, hanno un Punto di Primo Soccorso. Nel periodo estivo credo che anche a Pietrasanta non sarebbe poi un’idea così malvagia.

I Ragazzi di Progetto Democratico aggiungono soltanto che esiste una delibera approvata dal Consiglio Comunale di Pietrasanta in data 31 luglio 2007, in cui, considerando le criticità dell’Ospedale Unico della Versilia e l’apertura di punti di Primo Soccorso nei centri limitrofi e dopo aver preso atto delle istanze delle organizzazioni politiche e non, e della disponibilità a collaborare manifestata dalle Associazioni di Volontariato sanitario locali (Croce verde e Misericordia), si impegnava l’Amministrazione Comunale a richiedere nelle sedi istituzionali l’apertura di un punto di Primo Soccorso sul territorio comunale.

Alfredo Marchetti, lettore di Progetto Democratico, ci manda la presente lettera corredata da foto. Ringraziamo cordialmente e invitiamo a scriverci per mail al seguente indirizzo: progettodemocratico@tiscali.it “Buongiorno a tutti i lettori di Progetto Democratico. Mi chiamo Alfredo e sono un cittadino di Pietrasanta, in particolare del quartiere Africa. Siete passati ultimamente da via Pisanica? No? Beh, allora ve la descrivo io! Cominciamo dal manto stradale. Ve lo raccomando! Dire dissestato è poco! Provate a percorrerla con la bici o con il motorino: buche, rattoppi di catrame, tombini sporgenti o al contrario piantati nell' asfalto… e questo non solo per un tratto, ma lungo tutta la strada! L’illuminazione? Appena sufficiente dalla via Aurelia fino a via Bernini (teniamo presente il gran numero di abitazioni presenti!) e poi totalmente assente. Se pensate veramente di voler

vivere un po’ di avventura vi invito a percorrerla con la bici o a piedi: scoprirete cosa significa il rischio off limits! Se volete poi andare ancora oltre e siete veramente dei folli, provate con la pioggia! Inoltre i rami delle piante o di rovi di terreni di cittadini privati invadono, in alcune zone, parte della carreggiata, rendendo il percorso pericoloso per biciclette o motorini. Che sia un modo per renderlo meno noioso e più stimolante?! Dulcis in fundo, ma non per questo meno importante, le fosse ai lati della carreggiata. Parliamo di vere e proprie “trincee”, profonde e senza nessuna protezione. Il problema più serio si presenta allo scambio di due mezzi, vista la ridotta carreggiata. Fortunelli se si tratta di due auto, con il brivido se invece troviamo un furgone o un mezzo pesante! Ebbene questa è via Pisanica, via di grande passaggio, che collega velocemente Pietrasanta alla Scorrevole e via di elezione per i pietrasantini per recarsi al casello autostradale”


Riceviamo e pubblichiamo una lettera di Nicola Lensi. L’emergenza bullismo e i più giovani. “Quella del “bullismo” è una delle più grandi emergenze all’interno della nostra società. I problemi che ci affliggono sono tanti, questi però si riversano per la maggior parte sui giovani, sui giovanissimi che si sfogano, in modo a volte intollerabile, inconcepibile con atti che siamo soliti liquidare come episodi di bullismo, che hanno per protagonisti ragazzi, definiti, appunto, bulli. È proprio questo il punto: bisogna aiutare chi compie queste scellerate azioni, chi si lascia affascinare dal rischio, chi si lascia persuadere dalla voglia di apparire e quindi dalla voglia di trasgredire; fino alla ben più grave voglia di isolarsi da una società in cui non ti riconosci. Leon Battista Alberti diceva che: “l’uomo nasce per essere utile all’uomo”, chi compie ogni tipo di scelleratezza dovrebbe chiedersi se quello che fa è veramente utile alla società in cui vive e da cui non può fuggire, cercando suo malgrado di isolarsi; altresì può provare a cambiarla in meglio o in peggio, sta a lui deciderlo, sta a lui dedurlo. Quella degli episodi di bullismo è una cosa che unisce l’Italia, che avviene indifferentemente dal Trentino alla Sicilia, dalla Lombardia alla Sardegna. Questi episodi non sono fenomeni isolati, ben sì molto radicati non solo geograficamente, come detto poc’anzi, e riguardano molti adolescenti, nonostante si cerchi in svariati modi di sminuire, di circostanziare. Questo è semplicemente evidenziato da come a volte (escludendo gli episodi più gravi), i coetanei dei bulli non disdegnino le varie “animazioni” (una nota disciplinare di un professore si spinse a definirli animatori in un contesto classe associato ad un villaggio turistico), ma anzi le incoraggino, dandogli corda e quindi legittimando le loro azioni. Ergo è per questo che insisto nel dire che una rinascita della scuola deve partire da tutti, anche da chi non è attivamente responsabile, da chi non è considerato un bullo. Una cosa vorrei che fosse ben chiara; non è facendo “gli animatori” in una classe che si acquisisce una forte personalità: questa la si acquista nel rispetto delle leggi, delle regole, nel rispetto degli altri. Si può essere divertenti anche senza fare certe cose, che non voglio citare poiché ritengo che si debba andare oltre, che si POSSA andare oltre. Stare ad elencare tutti i vari atti da

bullismo non serve a niente, occorre capire il perché e cercare delle ricette per farvi praticamente fronte. Queste possono essere tante, da un inasprimento delle pene (chiaramente per pene si intendono lavori socialmente utili nei giorni di sospensione), alla presenza in ogni scuola di uno psicologo che possa aiutare in maniera molto fruttuosa i ragazzi sia nell’atteggiamento dal punto di vista della condotta che in quello nei confronti dello studio, per potere alla fine assumere un atteggiamento diverso nei confronti della società, portandoci a riflettere su quello che siamo veramente e quello che cerchiamo di essere. Cercando di perseguire la retta via, che per papa Benedetto è illuminata dalla speranza che è fede. Il ministro della pubblica istruzione Gelmini parla di giro di vite nei confronti dei bulli, che è utile, ma non basta assolutamente: serve la cooperazione di tutti, serve uno psicologo, servono dei valori in cui credere, per cui valga la pena battersi, non gesti per una semplice e compiacente risata; serve semplicemente più senso civico,serve semplicemente che l’uomo torni ad essere quello per cui è stato creato, che è riassunto bene nella celeberrima definizione di Aristotele, un animale che per natura ha sete di conoscenza che lo renda semplicemente civile. Concludo ribadendo, che il fenomeno del “bullismo” ha radici profonde e che non è una malattia dei giovani, ma della nostra società, inaccettabile da liquidare come semplici “goliardate”, rifiutandosi quindi di studiare, di analizzare e di capire dove stia la vera matrice di questo male profondo, che non si può, bensì si DEVE combattere ed estirparlo prima che si arrivi ad una generale deriva culturale.” I Ragazzi di Progetto Democratico ringraziano Nicola e invitano chi come lui ha qualcosa da dire, a contattarci.


Le necessità dei pietrasantini... Coordinamento di Pietrasanta Centro e Frazioni Collinari Pietrasanta, 3 Giugno 2008 Bella struttura il pontile a Tonfano, lo dico seriamente, ma quanti soldi di cui avrebbero potuto godere più quartieri e frazioni, in modo certo più tangibile! I soldi della comunità sono stati impiegati per una causa “turistica” e per questo in parte condivisibile, ma a scapito delle altre zone di Pietrasanta e dei suoi cittadini, perché è questa la verità! Assisteremo all’inaugurazione, tra pochi giorni di quella che è l’unica grande opera “dei sogni che diventano realtà”, di otto anni di amministrazione comunale di centro destra. Sicuramente è costata davvero troppo ai nostri concittadini, che chiedono, nelle altre frazioni, asfaltature di vie comunali ancora sterrate, maggiori servizi, punti luce per la sicurezza personale (quella “sicurezza” su cui la destra ha poggiato tutta la sua campagna politica nazionale, ma che si vede sul locale non va così!), fognature per le case

(ebbene si, molti concittadini hanno fosse biologiche che provocano, oltretutto, inquinamento!) e più attenzione per tutti i Pietrasantini, impiegando denaro pubblico per la risoluzione delle grandi problematiche urbanistiche e di vivibilità di noi poveri mortali che hanno la sfortuna di non essere turisti in Pietrasanta e nemmeno di passaggio, ma dobbiamo viverci per 365 giorni l’anno. Quando saliremo sul pontile, nei prossimi giorni, ci verrà pensato che in quei legni c’è il denaro per la pulizia delle nostre strade. Che nelle pietre c’è una parte dei nostri servizi sociali rimasti indietro insieme all’asfalto, e che quelle luci (una marea sul pontile, una vicina all’altra!) potrebbero essere quelle che ci permetterebbero di rientrare a casa in tutta sicurezza. Ma in fondo che ci importa: abbiamo si o no un bel pontile! Ci auguriamo, allora, che riesca perlomeno a risollevare le sorti di un turismo della marina, privo questo anno, anche di bandiera blu!

INTERROGAZIONE AL SINDACO DEL COMUNE DI PIETRASANTA OGGETTO: Sistemazione Casermetta in località Motroni. La casermetta in località motroni in via Tolmino adiacente al parcheggio in prossimità del Circolo della Vela, un tempo sede della Finanza, è stata impiegata con varie finalità da parte di questa amministrazione comunale. Attualmente nello stabile abita una famiglia in attesa di alloggio. La struttura versa in degradante stato di fatiscenza. Un pannello di legno, difatti, sembra chiudere una vetrata rotta, l’intonaco è in molti tratti caduto e le condizioni generali dell’immobile risultano assai pessime nonostante sia parzialmente coperto alla vista da vegetazione. Vista la vicinanza di alberghi e case estive, e data la visibilità dello stabile ai turisti di passaggio sul lungo mare o che posteggiano al parcheggio confinante, CHIEDO 1) Di procedere a risistemazione della struttura e alla pulizia della zona adiacente, anche in previsione, al momento di una sistemazione più adeguata dei soggetti ospitati, di un suo impiego per la comunità di marina. 2) Che l’amministrazione si attivi per un futuro utilizzo come centro civico per riunioni delle varie associazioni che gravitano nella marina e come punto di riferimento per iniziative di carattere sociale e culturale. Il Consigliere comunale del Partito Democratico - Luca Mori


Bastonate ai magistrati, vergognosi bavagli ai giornalisti.

Tutto in nome della privacy? Visti gli avvenimenti della cronaca recente non potevo sottrarmi dal commentare il nuovo disegno di legge del governo Berlusconi sulle intercettazioni. Già negli scorsi anni, in diverse occasioni, il legislatore, sentendosi scoperto di garanzie è intervenuto di soppiatto, quasi in segreto, per preservare la propria immunità, arrivando a fissare nell’art. 68 della Costituzione un’autorizzazione che la magistratura deve richiedere ogniqualvolta intenda sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazione di conversazioni o comunicazioni. Formalmente si configura una tutela generale della funzione parlamentare e della dialettica politica, ma sostanzialmente vediamo come la tutela scenda sempre più nel particolare, a vantaggio del singolo più che dell’istituzione. Altro passaggio decisivo, prima di arrivare ai giorni nostri, è quello della legge n. 140 del 2003 sulle intercettazioni indirette, dichiarata incostituzionale perché stabiliva implicitamente un’estensione dell’immunità anche ai terzi che avessero colloquiato con il parlamentare di turno: a prescindere dai contenuti della telefonata intercettata, che potevano essere anche penalmente rilevanti, le bobine delle registrazioni dovevano essere distrutte. E questo comportava un’ingiustificata disparità di trattamento fra i cittadini comuni che avessero avuto la “fortuna” di dialogare con un parlamentare e tutti gli altri intercettati. Quindi una magistratura che, se vuole celebrare i processi contro i parlamentari, nella migliore delle ipotesi deve chiedere autorizzazioni, o addirittura rischia di trovarsi senza materiale per operare. E fino ad oggi è sempre rimasta in ombra la seconda categoria scomoda dopo la magistratura: quella dei giornalisti “rompiscatole”, che in nome della libertà di stampa, anche se non si celebreranno i processi, hanno la possibilità di pubblicare le intercettazioni, giusto per far sapere agli italiani i retroscena che politici e potenti delinquenti tramano alle loro spalle. “Potenti” perché l’argomento intercettazioni non riguarda solo la politica: prendiamo il recentissimo caso del medico primario della Clinica S. Rita di Milano che trattava i pazienti come carne da macello e aveva l’abitudine di confessarlo ogni volta che alzava la cornetta del telefono. I giornali e i telegiornali hanno pubblicato le intercettazioni, con le conseguenze che tutti sappiamo. Ebbene, con il nuovo disegno di legge questi esempi non potranno più verificarsi. La persistente esigenza di “coprirsi le spalle” nutrita dal premier Berlusconi, vanamente celata dietro il velo della tutela della privacy, ha

di Nicola Lari

spinto il nuovo governo ad intervenire “a volto scoperto” procedendo su due lati paralleli: - da un lato (ancora) bastonando la magistratura con il divieto di intercettazione per i reati puniti con una pena inferiore a 10 anni di reclusione (che renderà non intercettabili reati gravi come furto, rapina ed estorsione e tutti i reati societari, dal falso in bilancio alla truffa all’evasione fiscale) eccezion fatta per i reati contro la Pubblica Amministrazione; il divieto sarà esteso anche per filmati, tabulati telefonici e microspie; inoltre si colpiscono i magistrati che parlano di processi fuori dalle aule dei tribunali (fino a 5 anni di reclusione); - dall’altro lato (operazione mai vista in 62 anni di storia della Repubblica) mettendo un bavaglio alla stampa sulla cronaca giudiziaria, con il divieto di pubblicazione degli atti di indagine e di quanto acquisito al fascicolo del pubblico ministero, anche quando non sussiste più il segreto, fino alla fine delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare; divieto che sarà punito con l’arresto da 1 a 3 anni di reclusione e l’ammenda da 500 a 1.032 euro per i giornalisti e con le multe agli editori da 50.000 a 400.000 euro. Come possiamo notare a differenza dei precedenti interventi si opera sul piano generale, ed anziché circoscrivere la portata del divieto di intercettazione (se proprio ve ne fosse una ragione) a determinati soggetti, lo si estende in modo che delitti di grave allarme sociale non possano più essere perseguiti. E sullo sfondo rimangono le norme del pacchetto sicurezza varato a pochi giorni di distanza che, in netta contraddizione con questo disegno di legge, irrigidiscono le pene cercando di contrastare più efficacemente gli stessi delitti per i quali non sarà più possibile effettuare intercettazioni. In sostanza si dice ai magistrati di aumentare il contrasto verso determinati fenomeni criminosi, ma allo stesso tempo vengono tolti gli strumenti per farlo. Berlusconi, accerchiato dalle critiche del Consiglio Superiore della Magistratura, dei giornalisti (non solo quelli italiani), delle minoranze (in evidenza PD e IDV) e degli italiani onesti indignati per questo provvedimento, ha detto che è stata la gente nelle piazze a chiedergli di mettere fine allo strapotere dei magistrati. Non sappiamo quali piazze frequenti il presidente del consiglio. Forse in campagna elettorale avrà fatto qualche comizio nel cortile di San Vittore a Milano o, più probabilmente, avrà sentito certe “voci” nello studio dei suoi avvocati. Una cosa è certa: i magistrati, i giornalisti e gli italiani non tele-dipendenti sanno perfettamente che in qualsiasi piazza d’Italia, oggi come oggi, si parla di tutto tranne che di intercettazioni, di legalità e di giustizia.


Accade in Somalia, nessuno lo sa Apro Google news... esami di maturità, europei e un po'di politica prima del letargo. Siamo in estate, e sappiamo che sui giornali questo è il tempo dei pettegolezzi... tutti i tg ci informano di Briatore e del suo matrimonio: sappiamo chi c' era, cosa vestivano e pure cos' hanno mangiato. Dove trovo qualche informazione sulla Somalia per scrivere l' articolo? Mi viene pure il dubbio che i 2 italiani rapiti siano stati liberati... sbagliato! Sono sempre li, e cerca cerca trovo un bell' articolo sul Corriere firmato da Paolo Conti. Iolanda Occhipinti e Giuliano Paganini, sono stati rapiti in Somalia il 21 maggio scorso. I loro familiari, l' Ong Cins di cui facevano parte e la Farnesina hanno chiesto il silenzio dei media e, implicitamente, quello della politica e delle mobilitazioni. Perche? Parla Sergio Marelli, presidente dell' Associazione ONG Italiane: “Perché si rischia di trasformare in politica, quindi mobilitando e facendo chiasso, un sequestro la cui gestione richiede invece grande attenzione, discrezione, calma”. Ma che vuol dire? Politica = chiasso? Sì, a volte succede: in tv, in consiglio, in strada, ma non è il modo normale di fare politica, o il modo di prendersi a cuore i problemi. D' accordo, non serve e non si devono fare fiaccolate, striscioni o altre iniziative che molti giornali -a partire dal Manifesto - fanno spesso e volentieri. Nel 2000 Veltroni ha rispolverato lo slogan “I care”, ma oggi nessuno lo fa più suo e sembra che la nostra politica estera sia impegnata più a cercare una visibilità da vetrina fatta di cene con Putin e Bush più che una operatività sul campo. Il portavoce del ministero degli Esteri, Pasquale Ferrara, nel briefing settimanale con i giornalisti: "il fatto che non ci siano comunicazioni di dettaglio sull' andamento di questo sequestro non implica in nessun modo che non ci sia, non solo un interessamento, ma anche un impegno attivo di tutte le istituzioni per trovare una soluzione che garantisca l' esito felice e l' incolumità dei nostri connazionali". Io penso invece che occorra che la gente sappia quello che succede in Somalia, anche perché da

di Simone Battisti

anni la situazione è sempre uguale. È così per i tanti paesi sui quali è calato il silenzio stampa. Succede sempre: quando abbiamo li i soldati ci interessiamo, quando vanno via non è più un nostro problema. Da Wikipedia: Somalia L' Italia, la Gran Bretagna e la Francia si spartirono il suo territorio nel tardo XIX secolo. L' indipendenza delle colonie fu ottenuta nel 1960: Somalia Italiana e Britannica divennero parte dell' attuale stato, poi la parte Francese. Fra la fine degli anni ' 70 e l' inizio degli anni ' 80 iniziarono a formarsi organizzazioni di guerriglia ostili al regime. Ebbe così inizio un' epoca di guerra civile intermittente che, sebbene con diversi contendenti, perdura ancora oggi. Negli anni ' 90, il conflitto divenne sempre più confuso e violento. L' onu inviò un contingente di pace,(missione "Restore Hope", partecipava anche l' Italia), ma nel 1995 incapace di far fronte alla situazione, ritirò le proprie forze.Il periodo fu caratterizzato dalle violenze dei "Signori della guerra", i temibili capi-clan che sottomisero la popolazione. Poi si sono accordati di creare una parvenza di governo, ma in ogni caso, aldilà della facciata concorde, nessun signore della guerra era disposto a lasciare il proprio feudo e consegnarlo ad un' altro signore con cui era in guerra da 16 anni. Nel 2006 le milizie controllate dalle Corti islamiche (sostenute, secondo l' ONU, da Iran, Libia e Arabia Saudita) scacciarono da Mogadiscio, con l' appoggio della popolazione civile, i signori della guerra e presero il controllo della parte centro-meridionale del Paese. L' esercito etiope entrò in soccorso dell' esercito governativo somalo, sostenuto anche da Uganda, Yemen e Kenya. Il governo provvisorio si rifugiò a Baidoa e Galmudug si auto-dichiarò uno Stato all' interno della Somalia. Le Corti islamiche riuscirono a riportare una (continua a pag. 15)


(continua da pag.14) relativa pace nelle città e nelle regioni che governavano (Mogadiscio compresa): scesero i prezzi di molti beni di prima necessità, e riaprirono perfino, dopo undici anni, il porto e l’aeroporto. Ma tutto questo venne ottenuto grazie a esecuzioni sommarie e a gravi riduzioni delle libertà (come la chiusura dei cinema). A fine anno le truppe etiopi, intervenute pesantemente a sostegno del governo di Baidoa, entrarono nella capitale somala dopo pochi ma violentissimi giorni di guerra, provocando migliaia di morti. Il 9 gennaio 2007 gli Stati Uniti entrarono militarmente nel conflitto, a supporto dell' esercito etiope e con il sostegno del presidente e del governo somalo, causando la morte di numerosi civili ricevendo dure critiche dall' Unione Europea e dall' ONU. A marzo, sono giunte a Mogadiscio le truppe ugandesi della missione di pace dell’Unione africana. Gli scontri sono comunque aumentati di intensità (anche contro gli stessi "caschi verdi"). Nell' autunno del 2007 a Mogadiscio (in preda a caos, violenze ed epidemie) si è in piena catastrofe umanitaria, e gli sfollati hanno raggiunto quota un milione. Nel gennaio 2008 il nuovo primo ministro Nur Hassan Hussein è giunto per la prima volta a Mogadiscio con i 440 soldati del Burundi a rafforzare il contingente di pace.

Nel giugno 2008 è stata concordata la firma di un accordo tra governo somalo, parte dell' opposizione ed Etiopia. Le fasi previste nell' accordo sono la fine degli scontri armati, l' ingresso delle forze internazionali ed il ritiro dei militari etiopi. Le poche informazioni disponibili parlano di un sequestro avvenuto con le modalità di un blitz armato, quasi militare. Jolanda e Giuliano collaboravano alla costruzione di un impianto di irrigazione nell' ambito di un progetto Fao. Due le ipotesi del sequestro. La prima parla di un rapimento a scopo di estorsione: La seconda, ed è quella che sta prendendo consistenza, è che invece si tratti di un sequestro di tipo politico che dopo una prima fase sarebbe gestito da un gruppo integralista. Durante un bombardamento americano (strano, c' entrano gli americani... sembra che quando si tratta di creare problemi in somalia ci siano sempre loro!) è stato ucciso Adan Hashi Ayro, capo degli shebab una specie di versione somala dei Taliban. Questi hanno fatto sapere che la morte di Ayro avrebbe giustificato anche i rapimenti dei volontari delle Ong. Questi sono un paio di siti dedicati completamente alla Somalia, a cui vanno aggiunti quelli delle varie ong. Sarebbe bello che il nostro ministro li leggesse... però sarebbe bello li leggessimo pure noi. http://somaliamia.blogspot.com/ http://www.somalianonsolo.it/

I Ragazzi di Progetto Democratico invitano i cittadini di Pietrasanta ad inviare foto della città o a contattarli tramite e-mail. Pubblicheremo le vostre denunce!!!

progettodemocratico@tiscali.it


I consiglieri Pdl-Udc? “Dilettanti”… allo sbaraglio! COMUNICATO STAMPA del Partito Democratico di Pietrasanta

Pietrasanta, 17 Giugno 2008 In questi giorni, in cui l' attenzione di molti era altrove, sono apparse sui quotidiani locali alcune dichiarazioni del presidente del consiglio comunale Gabriele Marchetti, che il Partito Democratico di Pietrasanta ritiene di una gravità estrema per coloro che ne sono destinatari: i consiglieri comunali della maggioranza, giustamente definiti dallo stesso presidente dei "dilettanti". La situazione odierna è quella di un progressivo svilimento dell' istituzione Consiglio Comunale: appare ormai chiaro a tutti che quando ci sono delibere che "interessano" o che mettono a rischio il proseguimento di questa sgangherata amministrazione comunale, i consiglieri sono tutti presenti, fanno le ore piccole, votano "a comando" senza battere ciglio e senza minimamente arricchire il dibattito; quando invece si discutono interrogazioni, mozioni e le numerose proposte elaborate dal PD aventi primaria importanza per il nostro Comune se ne vanno, spesso utilizzando toni polemici, sottraendosi al confronto. Sedute fiume che si protraggono fino a notte inoltrata sono molto impegnative, ma la democrazia è fatta anche di discussioni estenuanti: per questo ringraziamo i consiglieri Cosci, Lanè e Brizzolari che invece onorano fino in fondo, come è avvenuto l' altra sera, il loro dovere istituzionale con la partecipazione ai consigli. Per dimostrare quanto detto basti sapere che il consigliere Musso ha proposto una sorta di que-

stion time in cui i consiglieri protocollano l' interrogazione scritta e l' assessore di turno risponde senza l' obbligo della presenza dei consiglieri stessi: ma non siamo mica in Parlamento! Non siamo d' accordo: noi facciamo numerose interrogazioni non solo perchè ce lo chiedono i cittadini ma perchè riteniamo importante che esse vengano condivise e messe a conoscenza di tutti i consiglieri. Tra l' altro fra i consiglieri di maggioranza vi sono diversi micro-assessori con deleghe specifiche che dovrebbero interessarsi delle questioni che portiamo all' attenzione. Proprio la sera in cui c' è stato il "fuggi-fuggi" generale era in discussione un ordine del giorno di grande rilievo sui costi della politica. Il testo proposto era fortemente deficitario sull' individuazione dei costi da ridurre: si puntava il dito solo sulla politica "nazionale", tralasciando completamente il livello locale. E l' attuale amministrazione di Pietrasanta non si distingue certo per parsimonia: consulenze e spese di rappresentanza fanno del nostro Comune un ente "non particolarmente" virtuoso. Se il testo originario verrà riscritto considerando anche gli sprechi locali ed esaminato nuovamente in Consiglio Comunale è merito dei consiglieri, come quelli del PD, che hanno fatto il loro dovere. Fare il consigliere è un onere importante. Chi vuole continuare a farlo si impegni con serietà nel rispetto del mandato dei cittadini, gli altri si dimettano e lascino il posto: magari a chi è consapevole delle responsabilità e delle competenze che occorrono per questo ruolo.

Aggiornamenti sulla vita politica di Pietrasanta e sull’attività del Partito Democratico in Parlamento su

pdpietrasanta.wordpress.com Hanno contribuito a questo numero: Alessandro Lippi, Anna Betti, Ilaria Rovai, Barbara Ippolito, Valentina Lucchetti, Matteo Tartarelli, Patrizia Viviani, Roberto Rebechi, Antonio Orsucci, Nicola Lari, Sergio Di Clemente, Luca Mori, Alessandro Cavallaro, Maurizio Picchi, Laura Cancogni, Alfredo Marchetti, Enrica Tealdi, Guido Galeotti, Silvia Tovani, Sabrina Verona, Giorgio Benelli, Gina Bertozzi, Alessandro De Santi, Alessandro Biagi, Paolo Vezzosi, Guido Galeotti, Paolo Rossi, Nicola Lensi, Simone Battisti.


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