Andrea Pietrangeli - Rievoluzione

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Andrea Pietrangeli

andrea pietrangeli

ri voluzione Romanzo Alchemico

RI VOLUZIONE

Accettavo tutta questa attività meccanica allo scopo di sostenermi in qualche modo nella vita. Accettavo lavori come una prostituta purché mi dessero soldi, purché potessi rimanere a galla (d’altro canto c’era la crisi, lo diceva la tv). E da sempre nuotavo nel mediocre mare dell’insoddisfazione. Essere frustrati è una malattia figlia di una direzione che le società occidentali hanno preso, forse, con troppa leggerezza. Quella del progresso tecnologico illimitato e del primeggiare a tutti i costi. Io, Carlo Liberti, rappresentavo il tipico soggetto frutto di questa società che ti stimola con luci, giochini e suoni per spegnere sistematicamente tutto ciò che di più reale si può esprimere dal profondo.

ISBN 978-88-97864-34-9

15,00 euro

9 788897 864349

SPAZIOINTERIORE



Andrea Pietrangeli

RIEVOLUZIONE romanzo alchemico

SPAZIO INTERIORE


Andrea Pietrangeli Rievoluzione © 2013 Andrea Pietrangeli © 2013 Spazio Interiore Tutti i diritti riservati Edizioni Spazio Interiore Via Vincenzo Coronelli 46 • 00176 Roma Tel. 06.90160288 www.spaziointeriore.com info@spaziointeriore.com copertina Francesco Pandolfi I edizione: dicembre 2013 ISBN 88-97864-34-9 csr Centro Stampa e Riproduzione, Roma


A Mario Lappon che finalmente ha potuto conoscere il suo socio maggioritario.

Tutto va valorizzato, amato e fatto crescere. A partire da te stesso.



indiziazione di Andrea Colamedici

Non so se queste poche righe verranno poste all’inizio o alla fine della Rievoluzione. Non so, cioè, se diventeranno una prefazione, il cui fine è introdurre il lettore a un testo ignoto (come se fosse possibile!). Non so se chiuderanno il romanzo, quasi a impedire che si possa godere dell’ultima parola, che in questo caso è proprio «godi». Nel dubbio, per me queste righe verranno inserite da qualche parte dentro al libro, un po’ come si fa con quei foglietti sparsi che non trovano mai posto. Volantini, disegni, fotografie. Immaginerò, quindi, che questo testo si affiancherà a pagine bianche a righe orizzontali, cuori spinosi tenuti in mano, giustizie in equilibrio su enormi carapaci e indirizzi appuntati a cavallo di triangoli divini. Che, in quel disordine ordinatissimo che è la scrittura – cos’è una pagina scritta per un bimbo se non una serie infinita di piccoli disegni che altri chiamano lettere? e cos’è una lettera, se non una comunicazione scritta con cui affidiamo i nostri pensieri attraverso altre lettere? – queste parole si trasformino in un indizio, in quella traccia che, per natura, rappresenta qualcosa che non c’è. La mia grande fortuna è, quindi, non dover parlare né a chi sta per avventurarsi nel bosco del testo né a chi è sopravvissuto alla prova iniziatica della lettura. Quel che posso dire è che qui troverete o avrete già trovato campane che richiamano all’attenzione gioiosa. Penso ai rintocchi illusori di High Hopes che risuonano lontani, giù nell’ultima canzone dell’ultimo album dei Pink Floyd, gruppo di note con cui è cucito il libro che state sfogliando e che dicono, a mo’ di

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margherita: «Mi evolvo, non mi evolvo, mi evolvo, non mi evolvo...» Andrea era un uomo in cammino, e con il cammino ha conosciuto il suo piede. C’era il piede di Andrea e ora è rimasta una traccia del piede di un uomo in cammino. Il fatto che anch’io mi chiami Andrea non fa che confondermi le idee, confondermi con lui, che con questo romanzo ha indicato una via verso un risveglio dai manuali di risveglio. C’era una cera, e ora non c’è più: è per questo che il romanzo che aprirete o chiuderete è sin-cero, etimologicamente parlando. Non ha cera, non ha maschere, ma si offre per quello che è, come mostrano bene gli ultimi versi dell’ultima canzone dell’ultimo album dei Pink Floyd: The dawn mist glowing, The water flowing, The endless river. [La rugiada lucente, l’acqua corrente, il fiume senza fine.] Anzi, no: l’ultimo verso è un altro, tanto semplice da essere infinito, tanto numinoso da diventare l’indicazione temporale a cui Rievoluzione porta il lettore: Forever and ever. Sempre e per sempre, lettore, tra le pagine di questo spartito, dall’altra parte, ti troverai.

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Cado. Nei sogni, quando precipito e sprofondo, mi sveglio di soprassalto. Ho preso l’abitudine di scrivere ogni sogno. C’è, nel mondo onirico, una comunicazione celata e misterica che può far rimettere insieme il puzzle di una vita che sembra avere molto più che un senso. Ma non è dato comprendere tutto e subito. La mente, anzi, è lo strumento meno adatto per farci percepire i motivi del nostro passaggio. Ci offre delle spiegazioni che sembrano sempre, più che altro, delle fughe da noi stessi. Ecco perché nessuno ha in mano una verità universale. Religioni, chiese e dogmi ci provano da anni e con successi strabilianti, poiché hanno basato per secoli le loro presunte verità sulla paura e sull’ignoranza delle persone che sono diventate – loro malgrado – complici inconsapevoli che preferiscono affidarsi a spiegazioni esterne piuttosto che iniziare una ricerca interiore sui veri motivi della propria vita. Nessuno può raccontare a un altro la verità. In questo viaggio fatto di eventi, persone e cose, la parola verità somiglia sempre di più a libertà. Arrivi alla tua verità quando ti liberi. Quello che sembra certo è che siamo tutti legati da fili invisibili, immersi in un gioco che va scoperto giorno per giorno. La nostra verità ci viene continuamente raccontata da persone che non la conoscono, ma potremmo non accorgercene mai. A stare attenti, vigili e all’erta, invece, rischiamo di scoprire cose davvero grandi. Si sciolgono catene e si attivano potenzialità nascoste. Ecco perché cado nei sogni. La paura dell’ignoto, che in vita si traduce anche con vertigini e fastidi di certe altezze, è insieme «paura di cadere e voglia di volare». E la vita vuol vederci volare davvero. Per questo tutto quello che entra a far parte del nostro sguardo ci racconta sempre e solo di noi. Del nostro modo di percepire l’esterno e di quanto cerchiamo di resistere all’ignoto. Questa storia non è una storia. Questo romanzo non è un romanzo. È il racconto dell’incredibile, che può accaderci non appena lo permettiamo.

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capitolo uno

Ho attirato Mario nella mia vita all’età di trentacinque anni. Mario è uno splendido bimbo di settantanove anni. La prima volta che lo vidi ero seduto alla mia scrivania. Ne osservavo distrattamente la sagoma da dietro il grande vetro che offre ai passanti la vista del mio studio. Il locale è illuminato dal sole che batte – soprattutto nelle ore della tarda mattinata – su questa strada, una via secondaria di un quartiere romano piuttosto affollato. Nascosto dietro la grande vetrata, vivo indirettamente le abitudini delle persone. La mattina osservo famiglie che accompagnano figli a scuola, fornitori che lasciano furgoni in seconda fila, anziani di zona che abitualmente percorrono le loro tappe quotidiane tra sorrisi e stanchezze di una vita che non ha risparmiato loro fatica e forti emozioni. Osservo velocemente, ma mi tuffo sempre nel mio lavoro/schermo/pc. Una sorta di responsabilità lavorativa auto-imposta che suona come una fuga da tutto il resto. La mia vita procede da trentacinque anni con gli stessi ritmi, con le stesse abitudini e la stessa irrequietezza, che cerco di spegnere con impegni pressanti, rapporti passeggeri e obiettivi di vita variabili e casuali. Mario non era uno di quegli anziani arrabbiati col mondo o rassegnati, ma neanche il tipico vecchietto che ha lo sguardo ironico di chi tanto ha vissuto e tanto potrebbe raccontare. No. Fin dall’inizio, fin dalla sua camminata poggiata a un vecchio bastone, Mario emanava la decisione e la fierezza di chi è pronto a lasciare il corpo senza neanche batter ciglio, sfidando a petto in fuori la vecchia signora e sapendo benissimo che l’avrebbe avuta vinta lui.

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In quei giorni avevo preso la decisione di vendere dei libri usati che avevo ricevuto in regalo. Avevo preparato accuratamente una cesta e avevo scritto «libri usati – tutto 5 €», ed ero convinto che i titoli avrebbero attirato molti nuovi clienti nel mio piccolo studio di grafica pubblicitaria. Un posto originale, colorato e appena inaugurato. «Questo quanto costa?» L’accento non era romano. A metà tra il calabrese e il siciliano. La figura ferma sulla porta, controluce, definiva un’ombra avvolta da un lungo cappotto e sovrastata da un berretto-scoppola tipico dei vecchietti italiani. Il bastone saldamente impugnato sorreggeva una stazza imponente. Il volto in contrasto era appena percettibile. Risposi distrattamente: «Cinque euro, c’è scritto anche sul cartello!» «Allora se lo può tenere!» Questo sconosciuto signore burbero fece per andarsene, senza prestare grande attenzione alla mia risposta: «È un buon libro questo, appena sfogliato! Questa versione usata di sicuro non la trova in giro, e non a questo prezzo comunque». La porta si stava parzialmente chiudendo dietro di lui, ma afferrando di nuovo la maniglia con piglio deciso e aggressivo tuonò: «Lei è un giovanotto simpatico, ma io questo libro lo compro a tre euro. Non un centesimo di più!» Ora, c’è da dire che è piuttosto divertente osservare la bellezza della diversità delle persone quando hai un’attività che ti regala questa opportunità unica, ma all’epoca io non ero ancora così allenato a scoprire nelle persone dei doni. Dovevo leggere il Corriere dello Sport, poi lavorare, produrre, guadagnare, programmarmi la serata con qualche amica. Quel confronto improvviso, oltre a distogliermi dagli impegni, rischiava di sfociare in uno scontro tra caratteri forti. Inoltre, allora ero ancora molto affezionato ai soldi e al tempo, binomio apparentemente inscindibile. Questa persona, dall’alto del mio giudizio automatico, m’infastidiva a prescindere. L’aria di Natale che entrava dalla porta non favoriva un mio eventuale ammorbidimento, e ancora non avevo notato che Mario con una mano si poggiava sul bastone e con l’altra, a fatica, sulla maniglia della vetrina.

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Così replicai stizzito: «Non c’è problema, può anche non prenderlo!» Il mio personale guanto di sfida era stato lanciato. Ero una persona in guerra e il mondo intorno mi faceva la guerra, ma non riuscivo ancora a fare due più due e ad assumermi la responsabilità di ciò che percepivo e attiravo. «Giovanotto, lei ha letto questo libro o lo vende soltanto?» Il suo tono di voce era stranamente cambiato, di sicuro non paternalista, ma seriamente incuriosito. Io, che all’epoca ero scettico e ateo (mi riempivo la bocca e il petto di questa parola), ribollivo di rabbia anche per un semplice scambio. Durante i confronti con gli altri percepivo solo i giudizi e i rimproveri che le persone mi riversavano addosso. Non potendo fare altrimenti, mi schieravo sempre sulla difensiva: «Guardi, se il libro le interessa sono cinque euro. Sa, io starei lavorando...» A quel punto se ne andò senza neanche salutare. La mia frasesigillo in questi casi era: «La gente sta veramente fuori!» Ero io quello fuori. Ci avrei messo poco tempo a scoprirlo. ∞ Le mattinate in uno studio di grafica sono sempre diverse: a volte ti permettono le più grandi riflessioni sugli argomenti seri della vita – calcio, donne, cibo e politica – altre volte invece hanno dei ritmi così alti da impedirti di svolgere anche i bisogni primari. Proprio in un momento di pausa wc, nella stessa mattinata soleggiata, sentii riaprire la porta. La velocità in questi casi è d’obbligo, e rientrando nella sala grande mi accorsi che la scena era la medesima di pochi minuti prima: «Allora, me lo dà per tre euro?» Incredibile, era tornato. A volte i pensieri, per qualche oscuro caso del destino, si spostano e lasciano spazio a delle intuizioni che arrivano da posti probabilmente molto più lontani della mente. Teneva il libro nella sua mano, mentre io cercavo di rileggere il titolo, più incuriosito di prima: Illusioni di Richard Bach.

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Alzando lo sguardo vidi finalmente che sotto la scoppola si aprivano due occhi neri, piantati su un volto scavato e scolpito dalle arrabbiature e dalle battaglie di una vita. Per una strana trasposizione spazio-temporale velocissima, mi rividi in quei panni, a settantanove anni. Il cuore per un paio di secondi decise di darmi prova delle sue qualità nascoste: «Guardi, glielo regalo, è per me un piacere vero!» Che sorpresa! Non mi ero mai permesso parole e slanci di questo tipo. Non sul mio lavoro, almeno, nel quale tutto era immagine, apparenza, efficienza, vetrina, slogan e risultato concreto. Io a trentacinque anni avevo già fatto mille esperienze, avevo girato un po’ di mondo, sfiorato gli occhi (e altre regioni fisiche) di mille ragazze, ma la mia preoccupazione primaria era sempre Io. La parola che girava più spesso nei miei dialoghi interiori ed esteriori era Io: «Io sono fatto così»; «Io faccio questo lavoro»; «Io al posto tuo avrei fatto in questo modo»; «Io... io... io...» Ecco, questa corazza mentale che ancora non vedevo mi appesantiva, e tanto. Troppo. Dovevo dare un prezzo a tutto ciò che facevo, il mio valore veniva prima di qualunque altro evento. Di questa pesantezza non mi ero mai accorto, almeno fino al momento in cui mi ritrovai a voler regalare di cuore qualcosa a una persona sconosciuta. Ero contento, leggero, orgoglioso! Di contro, la risposta di Mario fu secca e quasi odiosa: «Io non accetto regali da nessuno, si figuri da Lei... Io questo libro lo pago tre euro, prendere o lasciare!» Tutto il mio egocentrismo in quel momento stava lasciando spazio a una tenerezza infinita mista a un amore puro, affiorato da luoghi lontani, che raramente avevo sperimentato (e quasi esclusivamente prima dei tre anni). Era lì, sulla porta, che tentava di prendere degli spicci dalla tasca, in equilibrio precario tra il bastone, la maniglia e il piglio orgoglioso che lo spingeva a compiere questa azione il più velocemente possibile. Pagò e se ne andò, lasciandomi in piedi con la mia nuova sensazione-regalo che fino a quel momento avevo scansato e schifato, una perdita di tempo: un gesto di cortesia incondizionato. Lo vedevo allontanarsi molto lentamente, un passo alla volta, fermandosi faccia al sole ogni tre o quattro passi. Girandosi si accorse che lo stavo osservando e mi urlò: «Non possiamo dirigere il vento... ma possiamo orientare le vele!»

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Rimasi a osservarlo ancora e ancora, finché non ebbe voltato l’angolo del palazzo. Quando arrivò, la mia supersocia/caterpillar dalle grandi tette e dai grandi obiettivi, Claudia, mi salutò dicendo: «Che hai, Carle’? Stamattina hai preso una camomilla invece dei soliti tre caffè?»

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Hey you, would you help me to carry the stone? Open your heart, I’m coming home. [Ehi, tu, mi aiuteresti in quest’impresa? Apri il tuo cuore, sto tornando a casa.] Hey You – Pink Floyd (The Wall 1979)

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Andrea Pietrangeli

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Accettavo tutta questa attività meccanica allo scopo di sostenermi in qualche modo nella vita. Accettavo lavori come una prostituta purché mi dessero soldi, purché potessi rimanere a galla (d’altro canto c’era la crisi, lo diceva la tv). E da sempre nuotavo nel mediocre mare dell’insoddisfazione. Essere frustrati è una malattia figlia di una direzione che le società occidentali hanno preso, forse, con troppa leggerezza. Quella del progresso tecnologico illimitato e del primeggiare a tutti i costi. Io, Carlo Liberti, rappresentavo il tipico soggetto frutto di questa società che ti stimola con luci, giochini e suoni per spegnere sistematicamente tutto ciò che di più reale si può esprimere dal profondo.

ISBN 978-88-97864-34-9

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