Alain Vigneau - Clown Esencial

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Alain Vigneau

CLOWN ESENCIAL L’arte di ridere di se stessi Prefazione di Claudio Naranjo Traduzione di Roberta Faggian

SPAZIO INTERIORE


Alain Vigneau Clown Esencial. L’arte di ridere di se stessi titolo originale: Clown Esencial. El arte de reírse de sí mismo traduzione: Roberta Faggian revisione: Elisa e Giovanni Picozza © 2016 Alain Vigneau © 2019 Spazio Interiore Tutti i diritti riservati Edizioni Spazio Interiore Via Vincenzo Coronelli, 46 • 00176 Roma www.spaziointeriore.com redazione@spaziointeriore.com illustrazione in copertina Alain Vigneau progetto grafico Francesco Pandolfi I edizione: maggio 2019 ISBN 978-88- 94906-20-2

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, archiviata o trasmessa in qualsiasi forma o attraverso qualunque mezzo, inclusi quelli elettronici, meccanici, di fotocopiatura o di registrazione, senza l’autorizzazione dell’editore.


INDICE

Prefazione di Claudio Naranjo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 Prologo di Alain Vigneau . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 A titolo di presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Capitolo 1 la celebrazione della tragicomicità dell’essere umano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 Capitolo 2 gli strumenti di clown esencial . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 Capitolo 3 lo sguardo dell’altro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Capitolo 4 l’appartenenza dell’inutile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 Capitolo 5 l’eco del mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 Capitolo 6 l’abbraccio arcaico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Capitolo 7 la poetica del simbolico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65


Capitolo 8 le acque limpide dell’infanzia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 Capitolo 9 l’ego in gioco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 Capitolo 10 il corpo genealogico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 Capitolo 11 il contratto con dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 Capitolo 12 il conforto dell’anima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123 Capitolo 13 ballando con le ombre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143


PREFAZIONE di Claudio Naranjo

Alain Vigneau è non solo un uomo di talento ma anche un grande artista, mosso da una vocazione così peculiare che lo porta a sentirsi ispirato da una missione. Come lui stesso spiega nel prologo, ebbe la necessità di imparare a ridere in risposta al dolore della sua infanzia e, da allora, sta insegnando agli altri a fare lo stesso. Non solo a mantenere l’allegria davanti al dolore, ma anche ad amare se stessi. Conobbi Alain quando entrò nella mia scuola e partecipò ai diversi moduli del Programma sat che dirigo insieme a un certo numero di collaboratori. E poiché in quel periodo lui aveva un circo, era scontato che – al termine del suo ciclo formativo – lo avrei invitato a collaborare al mio programma, così come avevo precedentemente invitato Ramón Resino, Juan Carlos Corazza e altri direttori di teatro. Vista l’altissima qualità dei suoi contributi, l’ho invitato in tutto il mondo: in California, a Mosca, in Germania, in Brasile, in Messico, ecc. Sembrerebbe poco probabile che una persona tenera come Alain sia stata capace di toccare profondamente esseri umani tanto induriti come quelli condannati per omicidio. In un’occasione nella quale mi fu proposto di coinvolgere nel Programma sat alcune persone in libertà vigilata, alcuni miei collaboratori suggerirono che sarebbe stato meglio evitare che venissero a trovarsi insieme il guardiano di una prigione, che aveva per7


messo l’entrata di un gruppo di uomini nella cella di una donna che volevano violentare, e la donna stessa che poi uccise quegli uomini. Alain invece insistette affinché partecipassero insieme a uno dei suoi gruppi e, senza usare altre armi se non dolcezza, comprensione e sincerità, riuscì a toccarli profondamente. Non mi sembra di dover aggiungere altro a ciò che Alain stesso ha già detto del suo lavoro. Io lo apprezzo enormemente come una persona che privilegia il riscatto del bambino o della bambina interiore negli individui, i quali, grazie a questo, recuperano l’amore che prima di estendersi agli altri deve iniziare da se stessi. Comunque, come il lavoro di un vero artista difficilmente si può ridurre in formule, credo non si possa nemmeno schematizzare in forma teorica. Al giorno d’oggi Alain è una persona che non solo ride per non dover soffrire, ma che ha anche riscattato la sofferenza del suo passato. Tutto questo non toglie valore a ciò che dovette imparare da bambino per poter convivere con un’esperienza terribile. E come un’ostrica trasforma in perla il granello di sabbia che le ha provocato irritazione, così – nel migliore dei casi – accade che ciò di cui abbiamo bisogno per attraversare il dolore serva non soltanto a noi stessi ma anche agli altri; e sembrerebbe perfino che, per tale capacità di servizio, si possa giustificare il male che abbiamo attraversato. Un’ultima cosa: ho sempre saputo che Alain è un grande clown, uno che aiuta gli altri a guarire attraverso l’apprendimento della sua arte, ma nel leggere questo bel libro mi sono reso conto che è anche un poeta e ciò, benché non mi abbia sorpreso, mi ha rallegrato. Claudio Naranjo

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PROLOGO di Alain Vigneau

Quando mia madre morì ero un bambino, e a quel tempo pensai fosse un castigo di Dio. Nella mia anima infantile credetti che Egli, nonostante non mi conoscesse personalmente, mi castigava perché mangiavo le caccole che toglievo accuratamente dal mio naso di bimbo di sette anni. In quel momento nessuno mi contraddisse e così, per quanto incredibile possa sembrare, quella convinzione si conficcò da qualche parte dentro di me per anni. Poi, semplicemente, smisi di pensarci: il crimine aveva il suo colpevole, il caso era risolto. Passò molto tempo prima che fossi finalmente in grado di recuperare la mia innocenza e, quando questo avvenne, persi molto anche dell’importanza che mi davo. In qualche modo, essere colpevole era stato più sopportabile che non essere nessuno. E se il dolore aveva scelto di accusarmi, fu perché sarebbe stato ancora più terribile accettare il fatto che io non avevo potuto salvarla. Dal mio sconcerto per questo percorso nascosto e dalla successiva comprensione delle sue conseguenze nella mia vita, sorse gradualmente la preoccupazione di esplorare l’anima dell’infanzia e di comprendere in che misura essa, con le sue fertili linfe e i suoi aridi deserti, con i suoi territori segreti e i suoi cieli infiniti, rimane il timone della nostra vita adulta. Così fu. Mia mamma, di grande sensibilità artistica, amava dipingere. Dipingeva pagliacci con grandi cappelli a cilindro e 9


vivaci papillon. Ma in un freddo giorno d’inverno fu assassinata, lasciando improvvisamente i suoi pagliacci senza alcuna musa, tristi da morire nell’essere rimasti del tutto orfani e per sempre bloccati nel silenzio dei suoi quadri incompiuti. Io sopravvissi e, tra chimere e silenzi, arrivai all’adolescenza. Con il cuore senza àncora e con la sola bussola della fede nei miei sogni, fuggii, abbandonai gli studi e diventai un pastore di pecore. Nelle montagne cercavo un luogo fuori dalla portata del mio dolore e della mia segreta disperazione, e così andai nascondendomi per molti anni. Alla fine però la pazzia mi trovò e dovetti tornare nel mondo. Allora diventai pagliaccio, con la speranza di poter trasformare i miei tormenti in un’arte che potesse restituirmi l’infanzia rubata. Lo feci, e con il passare del tempo ottenni un’appropriata conoscenza dei meccanismi dell’umorismo e della vergogna. A poco a poco questa conoscenza disegnò una mappa sempre più precisa che con il passare degli anni mi trasformò, a sua volta, in un intuitivo collaboratore terapeuta. Fino a che un giorno lavorai con assassini e misi loro un naso di pagliaccio. Si sentirono denudati e piansero. Piansi anch’io. Si chiuse il cerchio, ci salii e me ne andai. Questo è il libro. Alain Vigneau Puebla de los Ángeles, Messico giugno 2015

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A TITOLO DI PRESENTAZIONE

Il libro che adesso si trova nelle tue mani nasce da osservazioni, riflessioni ed esperienze che ho registrato nel corso degli ultimi venticinque anni, dedicati all’arte del clown e del far ridere, analizzando sia l’aspetto artistico sia la sua dimensione arteterapeutica, approfondendo la complessità della relazione che unisce bambino interiore, umorismo e vergogna. Come pagliaccio professionista ho creato vari spettacoli e con questi ho avuto il privilegio di recitare, durante un lungo cammino, in luoghi molto diversi in Europa e nel mondo. Dai festival teatrali in Spagna al deserto della Namibia o alla selva del Guatemala; dai teatri del Gabon a quelli del Venezuela o del Messico, passando per i lebbrosari di Managua e i campi profughi in Indonesia, quest’arte mi ha portato a far ridere migliaia di persone. In questo singolare pellegrinaggio intercontinentale mi ha sempre colpito la realtà della sofferenza dell’essere umano, ma anche la speranzosa e condivisa ricerca di una felicità semplice, tanto legittima nelle sue fondamenta quanto effimera nel suo godimento. Progressivamente e in modo naturale mi sono reso conto che sostanzialmente, in tutti gli angoli del pianeta, ci addolorano e ci fanno soffrire le stesse cose, così come uguali situazioni ci fanno provare felicità e benessere. Al di là delle nostre evidenti differenze culturali, gli stessi dolori e le stesse gioie segnano i volti e i cuori nello stesso modo. Questa convinzione 11


ha aumentato la mia creatività e le migliaia di adulti, anziani e bambini che in tutti questi anni hanno assistito ai miei spettacoli, si sono trovate per un momento in uno spazio comune fatto di umanità ed emozione. Forse per questo qualcuno una volta ha detto con molta acutezza: «La risata è la distanza più breve fra due persone». Con il passare del tempo sono diventato sicuramente un esperto (e tuttavia eterno apprendista) nel maneggiare gli strumenti scenici propri del clown; e contemporaneamente ho via via scoperto il balsamo che questi offrono allo spirito umano. È stato l’inizio di un nuovo viaggio durante il quale ho accompagnato centinaia di uomini e donne nel sud del Brasile, nel nord del Messico, a Barcellona, Roma, Bruxelles, San Francisco, Mosca, Madrid o Parigi. Ogni volta ho continuato a stupirmi della misteriosa alchimia delle persone, così come della comune inquietudine verso l’accettazione di se stessi nella ricerca di un’appartenenza al mondo e del sollievo che questa concede. Ho tenuto laboratori per decine e decine di gruppi in paesi diversi, nelle circostanze più varie e con diversi approcci, passando centinaia di ore a esplorare, nascondere o svelare, condividere, ridere o piangere con commozione e stupore, arrivando nel migliore dei casi alla resa di se stessi a una realtà più profonda. Tutto questo è sempre avvenuto al momento della ricerca di una felicità più grande, di una vita piena e fatta propria, accogliendo con humor, amore e rigore le nostre luci e le nostre ombre, i nostri misteri e i nostri segreti, le nostre certezze. In tutte le occasioni il lavoro realizzato insieme si è rivelato una bella e commovente celebrazione del tragicomico tentativo di essere noi stessi e di decifrare qualcosa nel buon uso di questa vita, anche quando essa si mostra così tanto sconcertante. Innumerevoli incontri hanno nutrito con generosità il mio percorso artistico professionale, affinandomi sensibilmente la percezione e ampliandomi lo sguardo. Si sono tutti intrecciati con il mio personale processo terapeutico, con il mio percorso 12


di vita come uomo, padre e nonno, marito o discepolo, con il vissuto di altre esperienze, disegnando una mappa sempre in movimento, ma ogni volta con la direzione sempre più chiara. Nell’arrivare a questo momento del mio lungo cammino, ho sentito la necessità di prendermi una pausa per mettere sulla carta qualcosa di tutto ciò che avevo osservato: tutti portiamo dentro un clown, un pagliaccio sacro unico e personale, possessore di uno sguardo limpido e veritiero, che può riconoscere i nostri travagli interiori senza giudicarli e senza provare vergogna, e che ci restituisce la genuina voglia di vivere in pace con noi stessi e con i nostri simili. Ho dedicato gran parte della mia vita a indagare e riflettere su una questione centrale: perché e soprattutto come ridere di noi stessi? Come farlo in modo sano e benefico? Come possiamo amarci tanto da riuscire a ridere delle nostre pene e delle nostre glorie con uguale leggerezza e uguale compassione? Esiste la possibilità di riconquistare la consolazione di un umorismo amorevole per guarire vergogne segrete, causate spesso dall’umorismo pungente e umiliante degli altri? Come sanare a colpi di risate le profonde ferite provocate a suo tempo da un altro tipo di umorismo – quello sarcastico o ironico – che ridicolizza e stigmatizza, che esclude, unendo i prepotenti e condannando per sempre la vittima all’occulto disonore di essere com’è? In che modo ricostruire in noi stessi, attraverso l’umorismo, quello che altri distrussero con lo stesso strumento? Quali sono le risate che possono dissolvere la corazza dell’ego, placare i mostri, curare le ferite più intime e restituirci alla nostra essenza? Qual è il posto nel nostro cuore dove lacrime e risate diventano sorelle in un’unica espressione di vita? Quando usare l’allegria come fedele ambasciatrice di vita e accettare che celebrando quest’ultima con umorismo (il buon umorismo) significa anche rispettare la sua misteriosa, dolorosa e spesso profondamente tragica dimensione? Come con13


ciliare nel nostro cuore, nelle sue profondità e nel suo valore, queste due dimensioni dell’esistenza apparentemente tanto distanti l’una dall’altra? È possibile festeggiare in scena l’avvinghiante vergogna fino a trasformarla in un ponte di comunione con il pubblico? Come convertire il mondo in un alleato solidale quando abbiamo imparato tanto presto a vedere in lui minaccia, oppressione o competizione? Possiamo restituire al nostro essere tutta la sua dignità e senso di appartenenza, al tempo stesso senza smettere di celebrare il suo patetismo e la sua goffaggine? Se è certo che la maggior parte di noi vive con la diffusa sensazione di essersi allontanata da se stessa, qual è lo humor, tanto vicino all’amore stesso, che può mostrarci la via del ritorno alla nostra casa interiore? Un anonimo saggio in epoche lontane pregava con grande lucidità: «Beati coloro che ridono di se stessi perché mai mancheranno loro i motivi per ridere». Ma come raggiungere questo nirvana? Quello dove regna una coscienza chiara e semplice, che fa di una risata squillante la colonna sonora naturale di uno sguardo che vede nelle profondità della vita e delle persone e che, dopo il guizzo della sua sonorità, invita al silenzio e alla gioia. Tali sono le domande che hanno nutrito la volontà di scrivere questo libro, con la speranza che dalle sue pagine possano fiorire alcune risposte. Ci sono posti nel mondo dove guardiamo al cielo e altri, molto meno frequenti, dove il cielo guarda verso di noi. Il villaggio di Cholula, in Messico, è uno di questi. Sopra la sua antica piramide l’aria soave, l’imponente presenza del vulcano Popocatépetl, il volo delicato delle decine di aquiloni dei bambini nel cielo del tramonto, lì tutto sussurra alle nostre orecchie parole che la nostra mente può appena decifrare. Una storia di suoni, odori e immagini appena percettibili. Tuttavia, se per un momento mettiamo a tacere la mente, il nostro cuore sospira e istintivamente sorride. 14


Nello stesso modo vorrei che il cuore del lettore potesse sorridere qualche momento nel suo percorso attraverso queste pagine e che il libro fosse in grado di parlare al suo istinto, alla sua immaginazione, alla sua creatività latente, alla sua sensibilità umana, al suo spirito cercatore, più che alla sua mente razionale. Vorrei che qualche parte del suo mondo interiore potesse risuonare sottilmente, nella speranza che la dimensione intuitivamente saggia che tutti ospitiamo nel nostro intimo, sappia captare i segnali emessi dalle parole, dai silenzi e dai casi qui descritti. Spero che chiunque possa riconoscersi tra le righe e trovare, attraverso la loro lettura, motivi sufficienti per rinnovare una relazione di genuino amore verso se stesso, sorridendo del proprio imbarazzo e guardando con chiarezza, profondità e benevolenza le sue ombre, i suoi demoni e altre pietre contro le quali si costringe sempre a inciampare. Esistono già molti libri (e molte informazioni sono disponibili in rete) su terapie di indole artistica in cui arte e sviluppo personale dialogano insieme, sul filo di numerose e diverse tecniche, con approcci e inquadramenti distinti. Il lettore potrà trovare documentazione anche su clown, pagliacci e altri interpreti della comicità, o sulla funzione dell’umorismo nelle relazioni umane e il ruolo svolto in ogni società. Fino ad oggi però io non ho trovato alcun testo su ciò che ho visto in tanti anni di viaggi ed esperienze. Sono state così numerose le persone che si sono avvicinate a Clown Esencial – di condizione, formazione, professione, cultura e religione differenti, ma tutte alla ricerca dello stesso benessere – che mi è sembrato importante decifrare la loro misteriosa alchimia e condividere con il pubblico le esperienze di un’avventura che, per molte di esse, è risultata essere la molla di un significativo cambiamento di vita. Anche così il mio contributo, per quanto entusiasta e pazientemente elaborato, non cessa di essere artigianale. Il mio desiderio è stato soprattutto quello di documentare e testimo15


niare la realtà dei processi di cambiamento ai quali ho assistito nel corso di tante ore di sostegno. Desideravo semplicemente rendere visibile, e in qualche modo onorare, le molte conquiste celebrate con il naso rosso e la sua allegra sfacciataggine sulle tante infanzie saccheggiate, spaventate o soffocate sotto il peso di persone o circostanze funeste. Desideravo condividere le mie conoscenze sul percorso trasformatore che offre la rappresentazione del nostro mondo interiore attraverso il clown; in lui è centrale il processo di risanamento della figura archetipica del bambino interiore. Grazie a un umorismo sano e compassionevole, consapevole della mente adulta, si può avviare un dialogo coraggioso e paziente fra le due entità. Ecco perché, nonostante il suo titolo, il libro non ha assolutamente la pretesa di documentare i fondamenti dell’arte del clown (vedi il capitolo Gli strumenti di Clown Esencial) che comprendono molto più di quanto io abbia descritto, ed è perciò consigliabile avvicinarlo come il resoconto di un percorso fondamentalmente esperienziale, integrato da alcune considerazioni di base sulle tecniche impiegate. I titoli dei diversi capitoli sono associazioni di parole nate durante le sessioni di lavoro che, nel corso di successivi incontri con i partecipanti, hanno preso corpo e pieno significato, arrivando a definire in modo preciso alcuni aspetti concreti di questo viaggio. Essi definiscono in modo poetico i punti cardinali di una mappa dove appaiono in modo nitido l’infanzia, la nostra relazione personale con il mondo, la vergogna, il nostro potenziale creativo, la nostra storia individuale e l’arte dell’umorismo amorevole. Desidero sottolineare che se nella maggior parte dei casi ho usato la parola “bambino” è stato unicamente per semplicità di lettura, ma questo termine deve ovviamente leggersi includendo sia il significato femminile che quello maschile. Per finire, desidero dedicare questo libro alle centinaia di persone che hanno avuto fiducia nel navigare insieme a me per 16


i mari incerti di Clown Esencial. Munite semplicemente di un naso di pagliaccio – minuscola maschera rossa brillante come un faro che illumina la ricerca di verità e riposo – e con l’unica bussola della fiducia che una profonda accettazione di noi stessi ci condurrebbe verso le dolci acque di una vita più piena, queste persone mi hanno dato credito e affetto nell’intraprendere insieme questo viaggio meraviglioso. Con ciò hanno fatto di me un marinaio esperto in stelle, venti e maree, e un uomo colmo di gratitudine. E lo dedico al mio maestro Claudio Naranjo, che ha sempre avuto fiducia in me, molta più di quella che io avevo in me stesso, e che mi ha mostrato il cammino allora invisibile ai miei occhi e per primo mi ha invitato a documentare il lavoro svolto.

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Locandina dello spettacolo Master Clown (1998)


ALAIN VIGNEAU Attore, clown e pedagogo, Alain Vigneau (Francia, 1959) fondatore e direttore della compagnia teatrale La Stravagante, professore di Teatro e Clown nel Master di Arteterapia della aec/ uvic (Barcellona), cofondatore del centro Coscienza e Arti Sceniche di Puebla de los Ángeles (Messico), collabora con diversi centri di sviluppo personale e/o artistico in Europa e America Latina. Iniziato da Rosine Rochette a integrare l’arte del clown alla Gestalt, è discepolo e collaboratore di Claudio Naranjo nei programmi sat di Italia, Spagna, Germania, Francia, Russia, Messico, Brasile e Stati Uniti. Artista collaboratore di Payasos Sin Fronteras (Pagliacci Senza Frontiere), ha realizzato numerosi spettacoli in Guatemala, El Salvador, Nicaragua, Namibia e Indonesia, facendo ridere migliaia di persone tanto nei festival più rinomati quanto negli angoli più sperduti del pianeta. info@clownesencial.com www.clownesencial.com



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