Zona speciale di Conservazione dei Monti acuto e Corona

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a i r b aUm

Alt Agenzia per la Coesione Territoriale

FSC

Fondo per lo Sviluppo e la Coesione

FSC

Programma Attuativo Regionale Fondo oer lo Sviluppo e la Coesione

2007 2013

Umbria

Progetto cofinanziato dal Programma Attuativo Regionale FSC Umbria 2007/2013 - Azione III.5.1


COMUNE DI UMBERTIDE

3.462 ettari di Zona Speciale di Conservazione (ZSC), con quote che vanno dai 282 m slm della Valle del torrente Nese, fino ai 926 m slm di Monte Acuto, passando per i 703 m slm di Monte Corona. Il territorio ricade interamente nel Comune di Umbertide, sulla destra orografica della Valle del Tevere, in Alta Umbria ed è attraversato da 60 km di sentieri da percorrere a piedi o in bicicletta.

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a ZSC “Valle del Torrente Nese e Monti Acuto – Corona” fa parte della Rete Natura2000, una rete ecologica diffusa su tutto il territorio europeo il cui obiettivo è la conservazione della biodiversità. La rete è stata istituita per garantire il mantenimento, a lungo termine, degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario.

na zona speciale di conservazione o ZSC, ai sensi della Direttiva Habitat della Commissione europea, è un sito di importanza comunitaria in cui sono state applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino degli habitat naturali e delle popolazioni delle specie per cui il sito è stato designato dalla Commissione europea.

L

a Zona Speciale di Conservazione - ZSC IT5210015 “Valle del Torrente Nese e Monti Acuto – Corona è un ambiente prezioso e delicato in cui la rete di interazioni fra gli organismi viventi è ricca e variegata.

Direttiva 92/43/CEE “Habitat”

Direttiva 2009/147/CE “Uccelli”

In Umbria, le 102 aree che fanno parte della Rete Natura 2000 tutelano il 15,9% del territorio regionale e sono gestite direttamente dalla Regione Umbria che ha individuato opportune e mirate misure di conservazione per specie ed habitat di importanza comunitaria. Inoltre qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative sul sito Natura 2000 viene, dalla regione Umbria, sottoposto alla procedura di Valutazione di Incidenza Ambientale con l’obbiettivo di raggiungere un rapporto equilibrato tra conservazione soddisfacente degli habitat e delle specie presenti ed uso sostenibile del territorio.

È

Cos’è... la biodiversità ???

la varietà di esseri viventi che popola un ecosistema. È il risultato dei lenti processi evolutivi della selezione naturale delle specie che, anno dopo anno, si sono adattate ai cambiamenti climatici e ambientali. Maggiore è la biodiversità e maggiori sono le possibilità che un ecosistema sopravviva a un evento negativo (dissesti idrogeologici, cambiamenti climatici, introduzione di specie alloctone). È proprio la biodiversità che garantisce la vita sul pianeta.



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Lo sapevi che... ?

L

’ecosistema è l’insieme degli organismi viventi (vegetali e animali) che interagiscono in un determinato ambiente (con un clima specifico) in una situazione di equilibrio. È un sistema aperto che ha rapporti con gli altri ecosistemi.

L

a nicchia ecologica è il ruolo che svolge un essere vivente nel suo habitat, è il suo lavoro.

U

n ecosistema comprende diversi habitat e cioè specifiche aree (terrestri o acquatiche) con particolari caratteristiche geografiche, biotiche (viventi) e abiotiche (non viventi). L’habitat è l’indirizzo in cui vive un determinato essere vivente.



Come comportarsi in bosco Frequentare un bosco, visitarlo e conoscerlo è un’esperienza unica ma va fatta rispettando alcune semplici regole.

IL DECALOGO 1 L

ascia i veicoli a motore (motorini o altro) fuori dal bosco, altrimenti disturbi e spaventi gli animali;

2 Cammina sempre sui sentieri altrimenti calpesti e distruggi le piantine del sottobosco; 3 Non accendere il fuoco (se non nelle aree attrezzate) e porta SEMPRE con te i mozziconi di sigaretta perché inquinano e possono provocare incendi;

4 Porta sempre i rifiuti (la carta del panino e altro) nello zaino, non lasciarli mai in giro; 5 Parla a voce bassa e non ascoltare musica ad alto volume, il silenzio è fondamentale per la

tranquillità degli animali selvatici;

6 Per merende o pic-nic usa gli spazi appositi, non calpestare i prati, ma resta nei sentieri; 7 Non incidere le cortecce degli alberi, rischi di uccidere la pianta; 8 Evita di calpestare formiche o altri insetti, e stai attento a non danneggiare nidi e tane, sono molto importanti per l’equilibrio del bosco;

9 Lascia fiori, foglie e funghi liberi di crescere, non raccoglierli MAI potrebbero essere protetti e sono tutti importanti per l’equilibrio dell’ecosistema;

10 Comportati come un ospite a casa d’altri perché i veri abitanti del bosco sono gli animali.

All’interno della ZSC non sono presenti cestini per la raccolta dei rifiuti perché creano sporcizia e sono difficili da gestire, per questo motivo, ti chiediamo di non gettare niente per terra ma di portare i rifiuti presso l’isola ecologica nei pressi della chiesa della badia di Monte Corona o presso il centro visitatori Mola Casanova o in loc. Polgeto a Monte Acuto.



? Cosa mettere nello zaino

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L’impermeabile. Serve per proteggersi dalla pioggia ma anche dal vento. Le temperature e il clima cambiano repentinamente in montagna. Inoltre, sulle vette, anche in piena estate può tirare vento forte. L’impermeabile non deve mai mancare.

Una busta. I rifiuti (bucce, vasetti di yogurt, carta dei panini) vanno portati con sé, una busta è comoda per contenerli ed evitare che sporchino lo zaino.

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Acqua e cibo. Soprattutto l’acqua non deve mai mancare. Carta escursionistica e bussola. Anche se i sentieri sono ben segnalati, può capitare di sbagliare strada o perdere l’orientamento. È consigliabile inoltre, studiare il percorso prima di partire, per farsi un’idea del luogo.

Il telefonino con la batteria carica. Serve per seguire il sentiero con il gps o per chiedere aiuto in caso di bisogno. Spesso però il segnale è scarso o assente nelle aree verdi, quindi la carta escursionistica cartacea è comunque indispensabile.

Facoltativo ma consigliato:

Macchina fotografica. In bosco non vanno raccolti né fiori, né foglie, né altro, quindi per avere un ricordo o per immortalare paesaggi, è consigliabile portarla con sé. La fotografia naturalistica ci stimola ad osservare l’ambiente che ci circonda, è una buona abitudine da praticare.

Binocolo. Se si fa silenzio e si presta attenzione, è facile imbattersi in ungulati, lepri, uccelli, scoiattoli e altri animali. Inoltre, dalle vette, è facile scorgere poiane e falchi in volo. Il binocolo è un ottimo strumento per osservare gli animali selvatici senza spaventarli.

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L’abbigliamento deve essere comodo e a strati. Le scarpe devono avere la suola a carrarmato per evitare di scivolare.



Cos’è un HABITAT

?

È

un ambiente o un insieme di fattori ambientali in cui si sviluppa una specie o una comunità. Ai sensi della direttiva Habitat si riconoscono “Habitat naturali” e “Habitat d’interesse comunitario”. Nello specifico, gli “Habitat d’interesse comunitario” sono quelli che nel territorio rischiano di scomparire, ovvero hanno un’area di ripartizione naturale ridotta, cioé costituiscono esempi notevoli di caratteristiche tipiche di una o più delle sette regioni biogeografiche europee.

? Perché è una Zona Speciale di Conservazione (ZSC) della Rete Europea Natura 2000? Nell’area sono stati individuati numerosi sono i seguenti:

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Habitat vegetazionali di pregio e di interesse comunitario, i più rilevanti

Habitat 5210 Matorral arborescenti di Juniperus spp.: si tratta di formazioni dominate dal ginepro (Juniperus spp), quindi, sempreverdi e pressoché impenetrabili. Sono presenti nella sommità di Monte Corona e anche più in basso sul versante esposto a Nord.

Habitat 91AA* Boschi orientali di quercia bianca: si tratta di boschi a dominanza di roverella (Quercus pubescens) con orniello (Fraxinus ornus). Sono formazioni che si trovano lungo il versante esposto a Sud di Monte Corona e sulla vetta. L’asterisco * indica che l’habitat è riconosciuto prioritario, dalla Direttiva “Habitat”, ovvero a rischio di scomparsa.

Habitat 91M0 Foreste Pannonico-Balcaniche di cerro e rovere: si tratta di boschi a dominanza di cerro (Quercus cerris) e rovere (Quercus petraea) da termofili a mesofili, molto estesi a Monte Corona, localizzati sul versante esposto a Nord e Nord-Ovest.

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a Zona Speciale di Conservazione fa parte della Rete Natura 2000 perché nell’area vivono numerose specie animali e vegetali e molte di esse hanno rilevante importanza conservazionistica.

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Habitat 9260 Boschi di Castanea sativa: si tratta di un bosco dominato dal castagno (Castanea Sativa) e si trova lungo il versante esposto a Nord di Monte Corona, molto vicino alla vetta e all’Eremo. Questi boschi derivano da antichi impianti produttivi coltivati dai monaci che, abbandonati, si sono velocemente rinaturalizzati con l’ingresso di altre specie arboree, arbustive ed erbacee di notevole interesse. Habitat 6210* Formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia) con stupenda fioritura di orchidee: si tratta di praterie costituite da varie specie, soprattutto graminacee e in cui vegetano numerose specie di Orchidaceae. Si trovano a Monte Acuto, sulla vetta e anche in alcune radure lungo il versante esposto a Nord Ovest. L’asterisco* indica che l’habitat è riconosciuto prioritario, dalla Direttiva “Habitat”,ovvero che rischia di scomparire.

Habitat 9340 Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia: si tratta di Sono boschi a dominanza di leccio (Quercus ilex), sono molto estesi e si trovano lungo il versante esposto a Sud di Monte Corona, dove il clima è più mediterraneo.


A R FLO

Specie botaniche di interesse conservazionistico presenti nella

ZSC Valle del Torrente Nese e Monti Acuto – Corona

Ginepro (Juniperus spp) rovere (Quercus Petraea) roverella (Quercus pubescens) cerro (Quercus cerris) leccio (Quercus ilex) castagno (Castanea Sativa) abete bianco coltivato (Abies alba Mill.), brugo (Calluna vulgaris (L.) Hull), 
 cefalantera bianca (Cephalantera damasonium (Mill.) Druce), elleborina
(Epipactis helleborine (L.) Crantz), agrifoglio
(Ilex aquifolium L.), melo fiorentino (Malus florentina (Zuccagni) C.K. Schneid.), pulmonaria (Pulmonaria apennina Cristof. & Puppi) le orchidee: vesparia o fior di vespa (Ophrys apifera Huds.), moscaria (Ophrys insectifera L.), giglio caprino (Orchis morio L.), orchidea bruciacchiata (Orchis ustulata L.)


U E R CE T O Q IL

T

utte le querce sono alberi maestosi che formano boschi ricchi di vita. La luce del Sole, indispensabile per la vita di piante e animali, infatti, riesce a passare fra le fronde, creando habitat adatti a molte specie. Le foglie di quercia, inoltre, sono leggere e marciscono in fretta dopo che sono cadute, formando, ben presto, un humus ricco di sostanze nutritive. I querceti offrono anche cibo e rifugio a molti animali e insetti. Le ghiande sono cibo per colombacci, scoiattoli, tassi, cinghiali... Nel terriccio e nei tronchi vivono lombrichi e larve. Molti piccoli animali come roditori e uccelli trovano rifugio fra i contorti rami delle querce.

È

L

a foresta di rovere (Quercus petraea) di Monte Corona è coltivata fin dal medioevo dai monaci, e oggi, è una delle formazioni pure più importanti d’Europa. Sembra che siano stati proprio i monaci ad introdurre la rovere in queste zone. Gli studi, infatti, mostrano una vicinanza genetica della nostra rovere con un piccolo popolamento francese e la leggenda narra che un gruppo di monaci Benedettini, nel lontano medioevo, sia arrivato dalla Francia portando con sé un sacchetto di ghiande da cui è nato il popolamento esistente ancora oggi, nel versante esposto a Nord di Monte Corona.

molto difficile riconoscere le diverse specie di querce, il segreto è osservare bene la pianta e seguire le nostre indicazioni.


ROVERE

ROVERELLA

Quercus petraea

È

uno degli alberi più maestosi della nostra flora. In Italia è molto difficile incontrare boschi puri di rovere perchè tende ad ibridarsi con le altre querce. A Montecorona, però, sul versante esposto a Nord, vegeta un popolamento puro di notevole interesse. Le sue ghiande sono tozze e non hanno peduncolo (sessili) ma sono direttamente attaccate al rametto. Le foglie sono lobate, e hanno un picciolo di circa 2 cm, la base della foglia è cuneiforme. Il legno di questa pianta è molto pregiato e viene utilizzato per numerosi lavori (parquet, botti, mobili).

Quercus pubescens

L

a roverella è una pianta di dimensioni minori rispetto alla rovere. È molto frugale e riesce a crescere anche sulle pendici più assolate e sui suoli più superficiali. È diffusa in tutta la ZSC, in particolare sul versante esposto a Sud di Monte Corona.

È chiamata pubescens perché ha il picciolo fogliare e la pagina inferiore delle foglie giovani pubescenti (con fitta peluria). La ghianda è allungata ed è ricoperta fin quasi la metà dalla cupola, il peduncolo è breve o assente.

CURIOSITA’

In inverno, le foglie secche della roverella restano attaccate ai rami fino alla comparsa delle nuove foglie. Questa caratteristcia ne rende facile il riconoscimento.


FARNIA Quercus robur

L

CERRO

a farnia è anche detta quercia peduncolata perché le sue ghiande sono disposte in paia su lunghi peduncoli. Le foglie sono a margini lobati e sono attaccate al rametto con un brevissimo peduncolo, quasi invisibile (subsessili). Le farnie sono piante molto imponenti, i rami sono molto robusti e formano una chioma folta e massiccia. È una pianta molto longeva, esistono farnie di oltre 1000 anni.

Quercus cerris

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istinguere il cerro dalle altre querce non è difficile, basta osservare la ghianda, la cupola che la ricopre ha squame arricciate, molto caratteristiche. Anche la foglia è piuttosto riconoscibile, ha i margini lobati come quelli delle altre querce ma generalmente, hanno lobi molto più profondi. Il cerro è riconoscibile anche in inverno, infatti il tronco è solcato da profonde e strette fessure di colore rosso.


A

LECCIO Quercus ilex

BCalluna R Uvulgaris GO

nche il leccio è una quercia ma ha foglie sempreverdi. È una pianta che cresce lentamente ed è molto massiccia. Le ghiande sono ricoperte per quasi i due terzi dalle cupole. Le foglie più giovani sono dentato-spinose ai margini invece, quelle più vecchie, sono più strette e hanno i margini lisci. Le foglie sono spesse e dure perché si sono adattate a sopportare le carenze idriche limitando l’evapotraspirazione. È una pianta tipica della macchia mediterranea, nella ZSC è molto diffusa, soprattutto sui versanti esposti a Sud.

I

l brugo è un piccolo arbusto alto 15-80 cm.

È un cespuglio con foglie minutissime, lunghe circa 3,5 mm. Quando fiorisce colora i boschi di rosa con i suoi abbondanti fiori. Ne esistono molte varietà anche da giardino perché fiorisce tardi e quindi è l’unico colore vivace che si ha in inverno. Il brugo fiorisce in tarda estate o in autunno, mentre l’Erica carnea, molto simile, fiorisce in pieno inverno. Questa caratteristica ne rende facile il riconoscimento.


G I N E Juniperus P R O communis COMUNE

I

l ginepro può essere un piccolo albero di forma conica alto fino a 6 m, o un basso arbusto ritorto, con rami distesi. Gli aghi sono disposti in verticilli di tre e hanno una banda bianca sopra. Sono aghi pungenti e coriacei. Le bacche maturano in due anni, il primo anno sono verdi, il secondo maturano e diventano di colore blu scuro.

G I N EJuniperus P R Ooxycedrus ROSSO

È

molto simile al ginepro comune. A maturità i suoi frutti diventano rossastri. Le bacche possono essere usate in cucina come quelle del ginepro comune. Le foglie si distinguono da quelle del ginepro comune perché hanno due linee bianche, invece di una, sul lato superiore.


LA FAGGETA

A

Monte Acuto, nei pressi di Cima Cerchiaia, vegeta una folta faggeta. In primavera il terreno è spruzzato dei colori dei ciclamini e delle primule, in piena estate, invece, le fitte foglie dei faggi lasciano filtrare così poca luce che le piante del sottobosco non riescono a svilupparsi. L’assenza di sottobosco unita alla morfologia dei faggi, così imponenti e ramificati, crea un’atmosfera fiabesca. Le faggete inoltre, sono particolarmente fresche e d’estate passeggiare in questi luoghi è particolarmente rigenerante.


FAGGIO Fagus sylvatica Ăˆ una pianta con chioma massiccia e molto ramificata. La corteccia liscia e grigia si fessura in squame. Le foglie sono semplici e con margini ondulati e pelosi, in autunno assumono colorazioni inizialmente gialle e poi arancioni o rossastre. Il frutto, la faggiola, è costituito da quattro valve che racchiudono due frutti secchi.



LE

ORCHIDEE

DELLA

ZSC

Valle del Torrente Nese e Monti Acuto – Corona

È

molto facile imbattersi nelle orchidee selvatiche della ZSC: sono piante eleganti, con fioriture coloratissime e profumate. Quasi tutte le orchidee selvatiche sono protette, perchè rare.

MAI

Non si deve raccogliere fiori, né altro, nelle aree naturali, potrebbero appartenere a specie protette. Recidere un fiore potrebbe significare creare gravi danni alla sopravvivenza della specie. Piuttosto, è una buona idea quella di usare la macchina fotografica per avere un ricordo di quel fiore, di quella pianta o di quel paesaggio.

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I

Lo sapevi che...

n molti hanno provato a coltivare le orchidee selvatiche e tutti hanno fallito. Infatti il seme delle orchidee per germinare e per svilupparsi ha bisogno di un particolare fungo che si trova nei terreni naturali. Ogni specie di orchidea, inoltre, ha il suo fungo speciale. Questo rende praticamente impossibile la coltivazione delle orchidee selvatiche. Alcuni caparbi ricercatori sono riusciti nell’intento utilizzando particolari soluzioni di laboratorio al posto del fungo.


Ophrys apifera vesparia

Conosciuta come vesparia, questa orchidea ha il fiore che ricorda molto un’ape. È una strategia, consolidata con anni e anni di evoluzione, per attrarre gli insetti impollinatori. In realtà, però, questa orchidea non utilizza alcun insetto perché ha sviluppato un sistema di autoimpollinazione. Le caudicole dei pollini, subito dopo la fioritura, si curvano in avanti favorendo la deposizione del polline nello stigma sottostante. Il fiore, grazie al suo caratteristico aspetto, continua ad attrarre gli imenotteri maschi ma sembra che l’insetto specifico che permetteva l’impollinazione di questa orchidea sia estinto. Questa è la ragione per cui la pianta è stata costretta ad adattarsi sviluppando l’autoimpollinazione. la perdita di biodiversità è un danno gravissimo e irreparabile

L

a carenza di biodiversità e l’estinzione di specie apparentemente insignificanti costituisce un grave danno per l’equilibrio degli ecosistemi. Se la vesparia non avesse avuto la forza genetica per sviluppare la strategia dell’autoimpollinazione, oggi, sarebbe estinta. Inoltre, l’autoimpollinazione è un sistema che impoverisce geneticamente la specie e la rende meno forte per affrontare, nel futuro, nuove sfide evolutive.


Ophrys insectifera insectifera moscaria

A

nche questa orchidea, come la vesparia, ha i fiori sorprendentemente simili agli insetti per attrarli e favorire l’impollinazione. Fiorisce da maggio a luglio.

Orchis morio giglio caprino

È anche detta orchidea minore e quasi in ogni regione esiste un nome diverso per questo fiore. Presenta una notevole variabilità del colore dei petali, dal rosa al viola e non sono così rare le piante con fioriture bianche.


Orchis ustulata

orchidea bruciacchiata

L

e infiorescenze sono costituite da 15 a 60 fiori e sono molto vistose. Il nome ustulata cioé “bruciacchiata” deriva dalla colorazione dei fiori che passa dal bianco al rosa fino ad arrivare, all’apice, ad un color vinaccia molto intenso che fa pensare proprio ad una bruciatura. Fiorisce da maggio a metà agosto.




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? Come riconoscere gli alberi Per riconoscere un albero, occorre osservarlo. I frutti e soprattutto le foglie rendono il riconoscimento piuttosto semplice. In inverno, per le piante decidue, il lavoro è più difficile, ma facendo attenzione, è possibile raggiungere l’obiettivo. Infatti, spesso, le foglie secche cadono ma restano vicine alla pianta. In altri casi, come per la roverella (Quercus pubescens) le foglie secche restano addirittura attaccate ai rami fino alla nuova fogliazione. Se non è possibile avvalersi delle foglie secche, occorre osservare altre parti della pianta come la corteccia, le gemme e il portamento. Il riconoscimento delle querce è piuttosto difficile dato che sono molto simili fra loro, ma nei capitoli precedenti sono state fornite le indicazioni per riuscirci.


GLI ACERI G

li aceri sono alberi molto diffusi nella ZSC, hanno foglie facili da riconoscere e i frutti (chiamati sàmare) sono secchi e alati rendendoli unici.

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Il nome

In inverno, questi alberi creano un paesaggio molto suggestivo perché le foglie assumono colorazioni molto vivaci che vanno dal giallo all’arancio fino al vinaccia. Proprio per queste caratteristiche, sono piante molto impiegate nei giardini e nei parchi.

Lo sapevi che... acer in latino significa “appuntito” e si riferisce all’estremità appuntita delle foglie.



ACERO MONTANO

acer pseudoplatanus

I

l nome di questo acero, pseudoplatanus, è dovuto al fatto che la sua foglia è simile a quella del platano ma si riconosce perchè quella del platano è più appuntita. L’acero montano ha una forma massiccia e può raggiungere i 35 m di altezza, ha il fogliame molto fitto e ombroso e i rami inferiori grandi e pesanti. La foglia è grande e pentalobata, i lobi inferiori sono meno pronunciati degli altri. Le ali dei frutti secchi (sàmare) sono molto divaricate.


ACERO MINORE

acer monspessulanum

ACERO CAMPESTRE

acer campestre

L

’acero campestre è molto frequente nel nostro territorio. È un albero di dimensioni ridotte.

Le foglie sono pentalobate, a margine intero. Il riconoscimento è piuttosto facile perché ogni apice dei cinque lobi è a forma di corona di Re. Le ali dei frutti secchi (sàmare) sono disposti in linea quasi retta.

È

un alberello di dimensioni ridotte ed è per questo che viene chiamato acero minore.

Le foglie sono di un piacevole colore verde scuro. Sono trilobate e a margine intero. Le foglie in autunno assumono un’intensa colorazione rosso-vinaccia. I frutti secchi (sàmare) hanno ali più strette rispetto all’acero campestre e all’acero montano.


CASTAGNO Castanea sativa

N

ella ZSC, i boschi dominati dal castagno si trovano lungo il versante esposto a Nord di Monte Corona. Non è raro trovare anche piante sporadiche nei boschi dominati da altre specie arboree. I castagni di Monte Corona derivano dagli antichi impianti produttivi coltivati dai monaci che, da sempre, hanno popolato questi territori. Ăˆ una pianta di grandi dimensioni, riconoscibile anche in inverno grazie alla corteccia che si fessura in lunghe nervature a spirale. La foglia ha margine seghettato ed è molto grande, è lunga circa 20 cm. Nel periodo di fioritura, i fiori maschili (amenti) sono molto lunghi (anche 30 cm) e appariscenti.



I frassini I frassini hanno delle colorazioni molto intense in autunno, le foglie virano dal giallo al rosso, inoltre hanno la foglia composta, cioÊ ognuna è costituita da tante foglioline piÚ piccole.


FRASSINO

Fraxinus excelsior

I

l frassino è un albero alto con chioma a cupola. È molto diffuso nella ZSC.

Le foglie sono dentate e hanno 9-13 foglioline picciolate con lunghi apici. I frutti secchi sono lungamente alati e pendono in fitti gruppi. I fiori sono piccoli e violacei e danno all’albero un colore purpureo prima che spuntino le foglie. È una pianta facile da riconoscere in inverno perché la gemma è tozza e nera ed è portata su un rametto grigiastro.

ORNIELLO

C

Fraxinus ornus

iò che differenzia maggiormente l’orniello dal frassino è la fioritura, quella dell’orniello è molto appariscente. I fiorellini sono bianchi e sono raggruppati in densi racemi. Come quelle dell’altro frassino, le foglie sono composte e dentate ma quelle dell’orniello sono formate da 5-9 foglioline picciolate. La gemma è marrone chiaro.


I carpini

N

ella ZSC, i carpini sono molto frequenti. Alcuni sono sporadici e vegetano in boschi dominati da altre specie, in altri casi, invece, vi sono delle vere e proprie carpinete, governate a ceduo, coltivate per ricavarne legna da ardere per i forni a legna.

il carpino bianco Carpinus betulus e

il carpino nero Ostrya carpinifolia

Curiosità

I

due carpini, anche se morfologicamente sono molto simili, appartengono alla stessa famiglia delle Betulaceae ma a due generi ben distinti, uno è il genere Carpinus e l’altro è Ostrya. Come si evince dal nome latino, inoltre, il carpino nero (Ostrya carpinifolia) pur essendo geneticamente distante dal carpino bianco, ha una foglia davvero molto simile.


CARPINO BIANCO

CARPINO NERO

Carpinus betulus

Ostrya carpinifolia

È

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Le foglie sono semplici, appuntite e con margine doppiamente dentato. Il carpino bianco conserva le foglie secche sui rami per tutto l’inverno.

Il frutto secco è alato e l’insieme dei frutti forma un’infruttescenza a cono.

una pianta molto robusta e rustica, sopporta bene anche l’ombra.

una pianta pioniera, capace di crescere anche su terreni poco profondi e sassosi.

Il frutto secco è portato dai rami in gruppi.

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Le infruttescenze sono molto diverse, inoltre, la foglia del carpino nero si distingue da quella del carpino bianco per la presenza di nervature terziarie sul primo paio di nervature secondarie. Anche in inverno è possibile distinguere le due piante, infatti, il fusto del carpino bianco è più chiaro e crescendo, forma delle costolature molto tipiche.

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Come si riconoscono i due carpini?

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Il frutto secco è alato e portato dai rami in gruppi.


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PERCHÈ LE FOGLIE SONO VERDI

N

elle cellule delle foglie è presente un pigmento, la CLOROFILLA, che è verde. In caso di assenza di luce, le piante ingialliscono perché senza il Sole, le cellule delle foglie non riescono più a produrre clorofilla. A COSA SERVE LA CLOROFILLA?

È

il pigmento che capta i raggi del Sole e attiva la fotosintesi clorofilliana. Senza la fotosintesi, le piante muoiono.

COS’È LA FOTOSINTESI CLOROFILLIANA?

È

il processo tramite il quale le piante riescono a produrre zuccheri e altre sostanze complesse, partendo da anidride carbonica e acqua. È il Sole, catturato dalla clorofilla, che attiva il processo. COS’È LA LINFA

ELABORATA? E LA LINFA GREZZA?

L

a linfa elaborata è quella prodotta dalla pianta grazie alla fotosintesi ed è molto ricca di sostanze nutritive complesse. Viene prodotta nelle foglie e poi viene trasferita verso il basso per nutrire tutta la pianta. La linfa grezza è quella assorbita dalle radici ed è composta da acqua e sali minerali, essa viene convogliata verso l’alto per nutrire tutte le cellule.


PERCHE’ IN AUTUNNO LE FOGLIE CAMBIANO COLORE?

L

a clorofilla non è l’unico pigmento presente nelle cellule fogliari, ci sono anche, in quantità minore, caroteni di colore arancione, xantofille di colore giallo e antociani di colore rosso. In autunno, le temperature fredde provocano la morte della clorofilla e ne impediscono la rigenerazione, gli altri pigmenti, quindi, non più coperti dalla clorofilla, riescono a manifestarsi. Ogni pigmento cattura una fascia diversa della luce del Sole.

PERCHE’ IN UNA STESSA PIANTA LE FOGLIE HANNO VERDI

E

DIVERSI?

?

sistono le “foglie di luce” e le “foglie d’ombra”, le prime, quelle più in alto, catturano i migliori raggi di luce del Sole, quelle d’ombra, invece, schermate da quelle superiori, sono costrette ad assorbire verdi con lunghezza d’onda diversa.

COS’È IL COLORE?

I

colori non sono altro che lunghezze d’onda, ovvero vibrazioni con maggiori o minori frequenze che fanno parte delle radiazioni elettromagnetiche della luce. I colori vengono percepiti dai fotorecettori centrali del nostro occhio (i coni), sono trasformati in segnali bioelettrici ed inviati al cervello che si occupa di tradurli e interpretarli per fornirceli così come noi li vediamo (e crediamo che siano).


?

Lo sapevi che...

L

e piante sempreverdi (come i pini, gli abeti, i cedri ma anche il leccio o il corbezzolo) perdono le foglie come le piante decidue (querce, aceri, carpini...) ma invece di perderle tutte insieme in autunno, le perdono poche alla volta. La pianta, quindi risulta sempre fogliata.

Le foglie delle piante semprevederdi sono più spesse e forti, spesso sono veri e propri aghi, ricoperti da cere per affrontare le temperature fredde dell’inverno. Ogni foglia sempreverde, vive circa 2 o 3 anni, poi cade e viene sostituita da una nuova.

CORBEZZOLO Arbutus unedo

È

una delle specie tipiche della macchia mediterranea. Ha una certa importanza forestale per la facilità con cui cresce dopo gli incendi. È usato per ricavarne legna da ardere e carbone, di consequenza assume portamento cespuglioso. Se non viene tagliato cresce come un piccolo albero. Ha un valore ornamentale notevole grazie alla presenza in contemporanea, in inverno, di fiori bianchi, frutti rossi e verdi. Le foglie sono persistenti e di un bel verde scuro. Unedo deriva dal latino unum edo e cioè “ne mangio solo uno” perchè il frutto è commestibile ma insapore. Il miele di corbezzolo è molto pregiato.


CONIFERE

N

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ella ZSC Valle del Torrente Nese e Monti Acuto – Corona sono presenti alcuni rimboschimenti di Conifere che risalgono agli anni ’50-’60 del secolo scorso. Il gruppo delle CONIFERE fa parte delle aghifoglie, il nome deriva dal fatto che queste piante hanno i fiori a forma ifera on di cono. Con la fecondazione questi fiori diventano legnosi e vengono c i chiamati strobili o più comunemente pigne o coni.

PINO DI ALEPPO

N

ei boschi dell’Umbria la conifera autoctona più diffusa è il Pino di Aleppo (Pinus halepensis), fino ad alcuni secoli fa, nel territorio regionale, erano presenti, anche se poco diffusi, l’abete bianco e l’abete rosso, ma sono scomparsi in seguito alla loro eccessiva utilizzazione da parte dell’uomo.


G

li alberi che raggiungono le maggiori altezze sono le conifere sempreverdi, in particolare la duglasia (o abete di Douglas, Pseudotsuga menziesii) e la sequoia (Sequoia sempervirens). Anche se gli alberi continuano a crescere per sempre, non potranno mai superare i 130m di altezza.

Perché? La linfa grezza risale verso l’alto nei condotti linfatici per capillarità. Le foglie, in cima, traspirano, quindi perdono acqua con l’evaporazione e questo fatto innesca il meccanismo di “risucchio” della linfa. Sopra i 130 m di altezza, però, le forze di coesione che tengono unite le molecole d’acqua lungo la risalita, non riescono più a farlo a causa della forza di gravità.

Nonostante il limite dettato dalle leggi della fisica a 130 m, l’albero più alto del mondo è una sequoia in America, alta solo, si fa per dire, 112m. Questo significa che può ancora crescere!

CURIOSITA’

Gli studiosi hanno calcolato che per questi giganti verdi il tempo che impiega la linfa grezza per raggiungere la cima, partendo dalle radici, è di circa 24 giorni.


Il nostro

Gigante verde CEDRO DEL LIBANO

Cedrus libani

I

l Gigante verde della ZSC Valle del Torrente Nese e Monti Acuto – Corona è un imponente esemplare di Cedro del Libano. Si trova sulla vetta di Monte Corona, di fronte all’Eremo di clausura dei Monaci di Betlemme. È una pianta censita tra gli alberi monumentali della Regione Umbria, non conosciamo la sua età ma è sicuramente centenario ed è stato uno dei primi cedri arrivati in Italia.

UN PO’ DI STORIA

I

n epoca biblica, il solido e durevole legno del cedro del Libano era spesso usato per la costruzione di templi e palazzi. Nel Medio Oriente l’abbattimento ridusse il cedro in un’area relativamente piccola sul monte Libano, dove ora è conservato e protetto. Il cedro del Libano fu introdotto in Europa nel 1683; in Italia, i primi esemplari importati furono piantati, nel 1787, nell’orto botanico di Pisa. Oggi, è molto diffuso nei giardini per il suo bellissimo aspetto e per il tronco potente, ramificato fin dal basso. Si adatta a quasi tutti i terreni, pur preferendo quelli fertili e asciutti. Il legno del cedro del Libano è compatto, forte ed estremamente durevole; emana anche una dolce fragranza. Un olio particolare, distillato dal legno, veniva adoperato, nell’antico Egitto, per l’imbalsamazione dei defunti. Il legno era considerato incorruttibile, tanto che una cosa degna di essere immortalata era indicata come “digna cedro”.


CEDRO DEL LIBANO

Cedrus libani

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un albero imponente, i rami di secondo ordine si espandono a formare larghi palchi orizzontali.

Le foglie sono aghiformi, lunghe da 1 a 3,5 centimetri; quelle dei rami piĂš grandi sono singole e inserite a spirale, mentre quelle dei rametti sono riunite a ciuffi di 20-35 aghi. A maturitĂ le pigne si disfano lasciando sul ramo il rachide bruno e liberando i semi muniti di una grande ala.

CEDRO DI MONTE CORONA



L’ETA’ DEGLI ALBERI Gli alberi, al contrario degli animali, non smettono mai di crescere. È una strategia per non restare sottomessi dalle altre piante. Ogni albero cerca il Sole e più sale in alto e minore è la possibilità che subisca l’ombreggiamento di piante concorrenti.

Quando contiamo l’età di un albero, quindi, contiamo le sue primavere, spazi chiari, fra le righe più scure del legno estivo.

GLI ANELLI DI ACCRESCIMENTO

L

a vita di un albero dipende dal clima della zona in cui vive e dagli eventi accaduti come malattie, incendi ecc. Ogni albero registra la propria storia vitale nei cerchi annuali di accrescimento (o anelli di accrescimento), che si possono osservare facendo una sezione orizzontale del tronco. Nel tronco il legno primaverile è costituito da vasi ampi e con pareti sottili perché c’è molta acqua a disposizione e la pianta deve poterla trasportare in fretta dalle radici verso le foglie per nutrirsi e crescere. In estate, invece, piove poco e i vasi sono più piccoli ma hanno una parete molto spessa, ricca di cellulosa e lignina, per sostenere la pianta e darle robustezza.

Nei paesi tropicali, in cui NON ci sono le STAGIONI, gli alberi non hanno gli anelli di accrescimento perché la pianta cresce costantemente tutto l’anno.


? Lo sapevi che... I

n alcune conifere, come pini, abeti o cipressi, è possibile calcolare l’età della pianta anche senza contare gli anelli. Basta contare i PALCHI cioè quella serie di rami nati nello stesso anno e presenti alla stessa altezza sul tronco. Ad ogni palco corrisponde un anno di età. Al primo palco visibile corrisponde un’età della pianta di 2 o 3 anni. Valutando l’altezza del tronco, da palco a palco, o esaminando lo spessore degli anelli, si può dedurre l’accrescimento dell’albero, in quali anni è cresciuto di più e in quali di meno.

5 ANNI

4 ANNI

3 ANNI

PALCHI DI ACCRESCIMENTO Le cause di una minore crescita annuale possono derivare da un’eccessiva concorrenza con le altre specie (alberi troppo fitti) o da fattori climatici. Estati siccitose o primavere fredde provocano la formazione di anelli più ravvicinati e cioé una crescita ridotta. La DENDROCRONOLOGIA è lo studio degli anelli di una pianta per desumere le condizioni climatiche delle epoche passate. Si può arrivare a conoscere il clima fino a circa 1000 anni fa perchè nel mondo, esistono alberi che hanno più o meno quell’età.

DENDRO = albero CRONO = tempo LOGIA = studio


Cosa ci dice questa rondella di larice?

S

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i inizia ad osservare gli anelli partendo dal centro cioé da quando l’albero è nato. Questo larice è cresciuto costantemente nei primi 12 anni di vita, infatti gli anelli sono ampi e la larghezza è omogenea. Dal 13° anno fino al 25°, invece,la crescita è stata molto ridotta.

Perché?

Le ragioni possono essere climatiche ma dato che si parla di parecchi anni, e non 2 o 3, è più probabile che si tratti di concorrenza. Osservando l’ambiente circostante all’albero è facile comprendere se si trattava di un impianto forestale e cioé di alberi piantati per ricavarne legname. Di solito, dopo i primi 10 anni, occorre fare un diradamento, cioé tagliare alcune piante per permettere alle restanti di crescere più vigorose. Nel nostro caso, il diradamento è avvenuto in ritardo, precisamente dopo 25 anni dall’impianto. Questo ha causato la riduzione della crescita della pianta. Dopo il 25° anno la pianta ha ripreso a crescere con costanza per i successivi 5 anni, dopo di che, c’è stato 1 anno di crescita ridotta, molto probabilmente per cause climatiche. Dato che si tratta di un larice, abituato a vegetare in luoghi freddi, si può dedurre che il problema è imputabile alla siccità estiva e non al freddo primaverile. Gli ultimi 3 anni di vita della pianta sono stati costanti.

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in pillole - dal 13° anno fino al 25°, il larice ha sofferto della concorrenza con gli alberi vicini; - dopo 25 anni dall’impianto, il bosco è stato diradato; - nel 31° anno di vita, la pianta ha sofferto per la siccità ed è cresciuta poco; - l’albero è stato abbattutto all’età di 34 anni. Il Succhiello di Pressler permette di estrarre dal tronco una carota di legno ed esaminare gli anelli di accrescimento senza abbattere l’albero. La pianta subisce una ferita che poi va curata con del mastice per evitare l’insorgere di malattie.

I

l tronco ha una parte interna più più scura, il DURAMEN. Qui le cellule del legno sono tutte inattive e sono piene di lignina e composti indurenti. La parte esterna al duramen, l’ALBURNO è più chiara e ospita le cellule funzionanti della pianta, le trachee che trasportano la linfa grezza dalle radici alle foglie. Proprio sotto la corteccia, ci sono le cellule più vive e importanti per la pianta (il CAMBIO e il floema). Qui le cellule trasferiscono la linfa elaborata dalle foglie alle radici

CAROTA DI LEGNO estratta dal tronco. Occorre estrarre la carota a circa 130 cm di altezza per evitare di incorrere nelle anomalie di accrescimento della parte basale della pianta.


La La foglia è l’organo della pianta in cui avvengono la respirazione, la traspirazione e la fotosintesi clorofilliana.

RESPIRAZIONE

viene assorbito e utilizzato l’ossigeno per produrre energia “bruciando” zuccheri.

foglia Lo sapevi che..

la foglia compa

re circa 400 m

.

ilioni di anni fa

TRASPIRAZIONE

è la fuoriuscita di vapore acqueo, regolata dagli stomi della foglia, che permette la risalita dei liquidi dalle radici fino alle parti più alte della pianta.

FOTOSINTESI clorofilliana .

Uorganica

nici tra tutti gli esseri viventi, i vegetali costruiscono la materia che forma il loro corpo a partire da poche sostanze inorganiche. Per trasformare le sostanze semplici in altre complesse serve una fonte di energia solare che forma la luce visibile. Questo processo può avvenire solo grazie a particolari pigmenti, i più comuni dei quali sono le clorofille, Durante la fotosintesi viene prodotto glucosio a partire da acqua e anidride carbonica, mentre viene liberato ossigeno come scarto della reazione. Nel corso della storia della vita sulla Terra, la percentuale di questo essenziale elemento nell’atmosfera è aumentata proprio grazie all’attività fotosintetica, svolta inizialmente da organismi microscopici come alghe unicellulari e cianobatteri e solo in un secondo momento anche dalle piante terrestri.


FOTOSINTESI CLOROFILLIANA SOLE

i cloroplasti assorbono l’energia del Sole

acqua (linfa grezza) che arriva dalle radici

CO2 + H2O = C6H12O6 anidride carbonica

zuccheri e carboidrati anidride carbonica (aria) (linfa elaborata) vanno ad alimentare tutte le cellule che entra dagli stomi della pianta

FOTOSINTESI E SIMBIOSI

semplificando...

SOLE

+

acqua

=

glucosio AMIDO = più molecole di glucosio unite in una catena

ARIA + ACQUA = PASTASCIUTTA

I LICHENI

La fotosintesi è un processo talmente efficace che alcuni organismi, incapaci di compierlo, hanno sviluppato relazioni con delle piante. Sono stretti rapporti di convivenza per trarne beneficio reciproco. Uno dei più noti esempi di simbiosi di questo tipo è dato dai licheni. Essi sono costituiti dall’associazione di un fungo con un organismo fotosintetico (cianobatterio o alga). Il fungo sopravvive grazie alle sostanze prodotte dal vegetale con la fotosintesi, e a sua volta, l’alga riceve in cambio protezione, sali minerali ed acqua.



A N FAU

La Direttiva “Habitat” affida al nostro paese il compito di assicurare una tutela efficace della biodiversità e nello specifico, di conservare le specie animali e vegetali, elencate nell’allegato II della Direttiva, che presentano uno stato di conservazione particolarmente sfavorevole a livello europeo. Similmente, l’allegato I della Direttiva “Uccelli” individua l’elenco di Uccelli di interesse comunitario, la cui conservazione richiede misure urgenti di conservazione. Specie animali di interesse comunitario presenti nella ZSC Valle del Torrente Nese e Monti Acuto – Corona

Uccelli specie di cui all’allegato I Direttiva “Uccelli” 2009/147/CE Aquila reale – Aquila chrysaetos; Biancone – Circaetus gallicus; Falco pecchiaiolo – Pernis apivorus; Falco di palude – Circus aeruginosus; Albanella minore – Circus pygargus; Falco pellegrino – Falco peregrinus; Starna – Perdix perdix; Succiacapre – Caprimulgus europaeus; Martin pescatore – Alcedo atthis; Tottavilla - Lullula arborea; Calandro – Anthus campestris; Magnanina – Sylvia undata; Averla piccola - Lanius collurio; Ortolano – Emberiza hortulana.

Mammiferi specie di cui all’allegato II Direttiva “Habitat” 92/43/CEE Lupo – Canis lupus.

Invertebrati specie di cui all’allegato II Direttiva “Habitat” 92/43/CEE Cervo volante - Lucanus cervus; Cerambice della quercia - Cerambyx cerdo; Euphydryas aurinia; Euplagia quadripunctaria; Melanargia arge.

Anfibi e Rettili specie di cui all’allegato II Direttiva “Habitat” 92/43/CEE Salamandrina dagli occhiali – Salamandrina perspicillata; Tritone crestato italiano - Triturus carnifex carnifex; Cervone – Elaphe quatuorlineata.


Aquila reale

Biancone

Circaetus gallicus

Aquila chrysaetos

È

un rapace, ai vertici della catena alimentare. Vola molto in alto nel cielo sfruttando le correnti ascensionali. Ha una vista almeno otto volte migliore di quella dell’uomo. Il territorio di caccia è molto vasto, va dai 30 ai 100 Km2. Ha una lunghezza di circa 80 cm e un’apertura alare superiore ai 2 m. Si alimenta di mammiferi, uccelli e rettili. In libertà vive dai 15 ai 20 anni. È minacciata dal disboscamento, dalla caccia e dalla cattura dei nidiacei. Il colore del piumaggio varia a seconda dell’età, l’abito adulto viene completato a 5 anni di vita. L’adulto è bruno con spalle e nuca dorate, da cui il nome inglese “Golden Eagle”, Aquila dorata.

È

una fra le specie più rare e più protette in Europa. Si nutre quasi esclusivamente di serpenti, da qui, il nome inglese “Snake eagle”. È un po’ più piccolo dell’aquila reale, l’apertura alare sfiora i 2 m ma è più grande delle poiane. È un rapace migratore che resta in Italia da marzo a settembre.

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Lo sapevi che...

Il biancone è uno dei pochi rapaci che riesce a fare il volo dello “Spirito Santo” e cioè resta sospeso in aria grazie a precisi movimenti della coda e a veloci battiti delle ali. In questo modo riesce ad individuare più facilmente la preda.


I FALCHI

Questi falchi riescono a catturare prede vive, sia in aria sia su territori aperti. In volo possono raggiungere velocitĂ notevolissime e in picchiata, battendo velocemente le ali, sono ancora piĂš rapidi.

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Il lupo

rappresenta un elemento fondamentale per la biodiversità e per gli ecosistemi naturali, è inoltre il simbolo della vita selvatica e possiede un fascino indiscusso. È il progenitore del cane domestico e ha una corporatura slanciata e muscolosa. Il colore del mantello è variabile, dal grigio pallido al marrone grigiastro. L’aspetto più affascinante del Lupo è la sua elevata socialità, vive infatti in branchi formati da individui che si nutrono, si spostano, cacciano e riposano insieme e che sono tenuti uniti da forti vincoli sociali. In Italia il branco è formato, generalmente, da 3-6 individui, al vertice c’è la coppia “alfa” (maschio e femmina dominanti) che ne gestisce le principali attività e da cui dipendono quindi la gerarchia, la strategia di caccia e la difesa del territorio. Il maschio e la femmina dominanti sono gli unici che si riproducono. La strategia del branco permette al lupo di catturare prede di grandi dimensioni come cervi e cinghiali.

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l lupo ha decisamente una brutta reputazione, sia le favole che le storie a lui riferite (una per tutte “Cappuccetto Rosso”) lo considerano feroce, senza scrupoli, proprio cattivo.

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’uomo lo ha perseguitato per anni e questo fatto con l’aggiunta della diminuzione del numero di prede e la riduzione dell’habitat in cui vive, ne ha causato una drastica e preoccupante riduzione che ha avuto il suo apice negli anni ’70. In Italia, negli ultimi venti anni, grazie ai provvedimenti che ne vietano la caccia, le popolazioni del lupo hanno avuto un notevole incremento, dai 100 individui di inizio anni ’70 alla stima dei 400-500 attuali. Continua, però, ad essere una specie minacciata a causa dell’alto numero di individui abbattuti illegalmente.


ezione, t o r p i d i g g le Grazie alle il lupo. o t a n r o t è e finalment


Le tracce del LUPO S

e si fa attenzione, camminando nella ZSC, è possibile imbattersi in impronte di lupo.

Come si fa per distinguerle da quelle di un cane di grossa taglia? Le tracce del lupo sono grandi circa 10cm e le unghie appaiono sempre molto appuntite. Quelle dei cani, spesso, sono più piccole e inoltre le unghie sono poco evidenti dato che si consumano camminando sull’asfalto. La caratteristica più marcata che differenzia la traccia di lupo da quella di cane è che nel caso del lupo, le due dita centrali sono più avanti della linea congiungente le due dita laterali.


La pista del LUPO S

e ci si imbatte in una pista del lupo, per esempio quando il terreno è fangoso o se ha nevicato, è possibile seguirla anche per un lungo tratto. Al contrario del cane, il lupo quando si sposta, segue una linea perfettamente dritta sul sentiero, perchè il suo istinto lo fa spostare in fretta da una parte all’altra del suo territorio. La sua pista, quindi, apparirà perfettamente dritta con piccole deviazioni solo per schivare gli ostacoli. Il cane, invece difficilmente rimane concentrato sul suo percorso, e compie deviazioni ogni 3-4 passi per annusare o esplorare i bordi del sentiero, quindi la sua pista apparirà molto confusa e incostante.

Nel caso di una pista di lupo, è difficile stabilire quando si tratti di un lupo solitario e quando di un branco, perché in quest’ultimo caso i diversi individui procedono in fila indiana, calpestando esattamente le orme del loro predecessore.


Gatto selvatico Felis silvestris

È

simile al gatto domestico con il mantello tipico del “soriano europeo”. Ha una costituzione robusta e le zampe brevi. Il mantello è marrone striato di n e r o , mentre la coda è grossa ha l’estremità arrotondata di colore nero ed è ricoperta da anelli scuri. Oltre alla riduzione degli habitat in cui vive, un’altra importante causa di rischio per la sopravvivenza di questa specie sono l’ibridazione con i gatti domestici, le malattie che questi ultimi possono trasmettere e la competizione con gli esemplari randagi.

Salamandrina dagli occhiali Salamandrina perspicillata

Il carattere distintivo della salamandrina è la presenza di 4 dita sulle zampe. Gli adulti misurano dai 7 agli 11 cm compresa la coda. È specie tipicamente terricola, notturna e attiva con tempo coperto e piovoso. I siti di riproduzione sono pozze, fossi, abbeveratoi e piccoli corsi d’acqua con ricca vegetazione arbustiva sulle rive. Le minacce per la sopravvivenza di questa specie sono dovute alla riduzione dei boschi, all’inquinamento dei corsi d’acqua, al loro prosciugamento ed all’introduzione nei corsi idrici di specie ittiche predatrici.


Tritone crestato italiano

CERVONE

Triturus carnifex

È

È un serpente della famiglia dei Colubridi di grandi dimensioni (anche oltre i 200 cm nelle femmine), robusto, con testa piuttosto lunga e appiattita e pupilla rotonda. È specie diurna, terricola e arboricola. L’accrescimento corporeo è molto veloce e un animale di 3 anni è in media lungo 120 cm. Tra i predatori più comuni vi è il Biancone e altri grossi rapaci diurni. È specie in progressivo declino, a causa soprattutto dell’intensa caccia cui la specie è stata soggetta in questi ultimi decenni e del continuo deterioramento e scomparsa degli habitat in cui essa vive.

BIACCO

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Il biacco è una specie di medie dimensioni che raramente supera i 150 cm di lunghezza, con corpo piuttosto slanciato, testa ben distinta, pupilla rotonda di grosse dimensioni e squame lisce. È specie per lo più terricola, amante della luce, attiva soprattutto nelle ore diurne. FATE ATTENZIONE quando lo avvistate perché è aggressivo anche se non è velenoso. La specie, insieme alla Biscia dal collare, è il serpente più comune delle nostre regioni.

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Hierophis viridiflavus

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il più grande tritone italiano (fino a 14-18 cm compresa la coda). Nel periodo riproduttivo i maschi presentano una cresta vertebrale con margine dentellato alta anche più di un centimetro. Le femmine sono più grandi dei maschi. A terra, vive in campi, prati e boschi, mai troppo lontani dal sito di riproduzione acquatico (pozze, stagni...). Sverna generalmente sotto le pietre o interrato. La causa principale del declino di questa specie è la progressiva distruzione degli habitat riproduttivi. Talvolta a questa causa si aggiunge la predazione esercitata dai salmonidi introdotti.

Elaphe quatuorlineata


nella ZSC Valle del Torrente Nese e Monti Acuto – Corona Un pò di

ARCHEOLOGIA

STORIA

N

ei boschi dell’Area ZSC immersi nel verde, si MONTE ACUTO trovano ancora oggi castellieri, fortificazioni di epoca medievale, aree votive del VIII-VII sec a.C., borghi fortificati, l’Abbazia di San Salvatore ai piedi del monte (XI sec.) e l’Eremo di Monte Corona, in cima, (XVI sec.). L’antica presenza dell’uomo in quest’area ha contribuito a trasformarne le caratteristiche ambientali, creando un’atmosfera suggestiva in bilico fra passato e presente.

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Perché Monte Acuto è così importante?

onte Acuto (926 m) è un sito archeologico in altura di importanza eccezionale. Qui, infatti, sono stati rinvenuti un gran numero di bronzetti votivi, ben 1800. Inoltre, ancor più interessante, è che qui è stato possibile individuare le strutture dell’antico santuario e se ne è compresa l’organizzazione interna. A Monte Acuto infatti, contrariamente agli altri siti archeologici, sono ancora visibili in pianta tutti gli elementi per l’identificazione.


LA CIMA DI MONTE ACUTO

L

a posizione strategica di Monte Acuto (926 m slm) domina Umbertide e il Tevere e vede, dalla sua cima, il lago Trasimeno ad ovest, l’area di Cortona e l’Alta Valle del Tevere a nord, la catena degli Appennini, Gubbio, Assisi ad est e l’orizzonte perugino a sud. Questa posizione di dominanza fu particolarmente sfruttata in epoca antica.

Cos’è un Castelliere? Dal latino “castellum” diminutivo di “castrum”= luogo

fortificato

ArcheoHiking è una passeggiata archeologica che si sviluppa tra i Comuni di Umbertide e Montone. Sono 25 km di sentieri, percorribili a piedi o in bicicletta, che si snodano sulle tracce di una storia lunga millenni, tra le testimonianze lasciate dall’antico popolo degli Umbri, dagli Etruschi e dai Romani. I tracciati, in parte, si intersecano con quelli dell’Area SmAC. Presso il Museo di Santa Croce di Umbertide sono esposti i bronzetti votivi e altri reperti rinvenuti a Monte Acuto.


Questo disegno è stato realizzato dalla associazione culturale Amici di Monte Acuto e Monte Corona in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Umbria. Ringraziamenti: Comunità Montana Alto Tevere Umbro, Comune di Umbertide, dott.ssa Dorica Manconi e dott.ssa Luana Cenciaioli (Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Umbria), prof.ssa Franca Burzigotti, prof.ssa Luisa M. Rosi, prof. Guido Lamponi e gli studenti delle classi 4C e 4D a.s. 2006-07 dell’Istituto di Istruzione Superiore “Leonardo da Vinci” di Umbertide, gruppo Archeologico Alto “Tiber”, Lorenzo Starnini, Sarah Bradpiece.

IL CASTELLIERE DI CIMA CERCHIAIA

I

l Castelliere di Cima Cerchiaia (720 m slm) fa parte di un articolato sistema di controllo delle vie di comunicazione e del territorio sottostante. Si possono ancora notare i resti di una muraglia costituita da materiale ricavato sul posto, disposte con una certa regolarità a secco, sovrapposte in più filari. Nonostante l’azione degli agenti atmosferici abbia provocato il disfacimento delle strutture e delle pietre, a tratti, la tessitura muraria è ancora ben visibile e delinea una superficie ellittica chiamata, appunto, “cerchiaia”.



L

N

egli ultimi 20 M.A. (miocene med/sup), ha inizio una lunga fase di formazione delle montagne (orogenesi) di tipo compressivo che produrrà l’emersione ed il piegamento di questi sedimenti marini fino all’attuale configurazione geografica. È così che si sono formati gli Appennini.

Il processo di fossilizzazione è assai raro e con ancor più difficoltà si realizza in forme ben definite e conservate come quelle dei ritrovamenti di Monte Acuto.

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ono numerosi i resti di pesci fossili (100 M.A.) ritrovati nella cava del Bucaio, mentre le ammoniti sinemuriane (200 M.A.) sono state trovate nella cava lungo il versante che si affaccia sulla valle del Tevere. Le ammoniti Toarciane sono state trovate numerose nella cava della Scannata (180 M.A.).

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I FOSSILI di Monte Acuto

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nte Acuto risale a a storia geologica di Mo A.) fa quando, nei (M. i ann circa 200 milioni di re chiamato “Tetide”, si fondali di un antico ma tare i primi sedimenti. incominciavano a deposi depositi marini nei di . Nel corso di 180 M.A lobati diversi tipi di sedimenti sono stati ing etali che ci hanno organismi animali e veg si sono evolute nel e permesso di capire com . vita di me tempo le varie for

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GEOLOGIA

Le cave di Monte Acuto


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a cava detta del “bucaio” si apre nel i ippopota versante occidentale di Monte ore d mo eri f 1,5 Acuto. La sua apertura risale ai primi in o anni settanta ed è stata attiva per circa 10 anni. La cava, con il suo notevole fronte a gradoni, offre uno “spaccato” rappresentativo della geologia dell’Appennino Umbro-Marchigiano, in particolare della “Successione Umbro-marchigiana”.

PERCHÈ QUESTA CAVA È IMPORTANTE?

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Se da un punto di vista cava è ambientale una una ferita difficilmente rimarginabile, da un punto di vista geologico rappresenta una sorta di radiografia del terreno.

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Come mostrano le cave, la composizione delle rocce di Monte Acuto è quasi esclusivamente di tipo calcareo/carbonatiche.

IL LAGO TIBERINO

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a fase Orogenetica di compressione che determinò l’innalzamento dei nostri Appennini e di Monte Acuto terminò nel Pliocene (6 M.A.) e fu allora che fino a tutto il Pleistocene (1,8 M.A.) iniziò una nuova fase definita distensiva che favorì la formazione del Lago Tiberino che si estendeva per quasi tutta l’Umbria da San Sepolcro a Terni e Spoleto. La sua lunghezza era di circa 120 km e la larghezza massima di 15 km. Aveva una forma ad Y rovesciata e ricalcava in gran parte il percorso del fiume Tevere. Nel pleistocene medio (0,5 M.A.), a causa di un’apertura provocatasi nel bacino del lago nelle vicinanze di Todi (gole del Forello), si è realizzato un suo lento svuotamento a seguito del quale, il Tevere trasformò il suo corso così come lo osserviamo oggi.


un po’ di storia... M

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onte Acuto e Monte Corona, fin dai tempi antichi, sono stati luoghi di culto e di preghiera. Sulla cima di Monte Acuto sono state trovate statuette dia di Monte C votive che risalgono all’antico popolo degli Umbri, poi agli Etruschi e Ba or on infine ai Romani. In tempi più recenti, nel medioevo, Monte Corona è stato un territorio ricco di storia e di religione ne è testimonianza l’Eremo sulla vetta del monte e l’Abbazia di San Salvatore in pianura.

ABBAZIA DI SAN SALVATORE econdo la tradizione, sarebbe stato San Romualdo a fondare, nel 1008, il monastero di San Salvatore. Nella seconda metà del Duecento ebbe, nella sua giurisdizione, ben 21 chiese. La chiesa di San Salvatore ha un campanile a pianta ottagonale posto di fianco alla struttura, che, anticamente, aveva la funzione di torre di difesa. L’antica cripta è senza dubbio la parte più suggestiva della chiesa. È semi interrata e costituita da cinque navate, con colonne romane e altomedievali, una diversa dall’altra, che sorreggono le basse volte. Questi aspetti, e cioè il fatto che sia semi interrata e quindi poco luminosa, che le volte sono basse e che le colonne sono tutte diverse fra loro, le conferiscono un’atmosfera suggestiva che coinvolge chiunque.

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Lo sapevi che… Nell’Abbazia di Monte Corona, nel medioevo, c’era una farmacia che aveva una grande importanza anche fuori dai confini locali. I monaci producevano medicinali e unguenti estraendo il principio attivo dalle piante officinali. In particolare, erano rinomatissimi il balsamo e i liquori contro la malaria. La farmacia rimase in attività per molti anni, anche dopo che gli eremiti furono costretti a lasciare Monte Corona nel 1860.

Curiosità

C

on l’Unità d’Italia e l’esproprio in Umbria dei beni ecclesiastici, l’Abbazia di Monte Corona passò sotto la proprietà della famiglia Marignoli, poi nel 1936 ne fu proprietario il tenore Beniamino Gigli. Dopo la seconda guerra mondiale furono proprietari della tenuta le famiglie Agnelli e Ligresti. Oggi la proprietà è di UnipolSai.


Il guercio di Marignoli 1912 - Archivio del Comune di Umbertide

il Marchese veniva detto “il guercio” perché, appunto, era cieco da un occhio


Monte Corona tavolata - 1911 - Archivio del Comune di Umbertide

Festa di Monte Corona - primi del ‘900 - Archivio del Comune di Umbertide

Monte Corona ponte Appennino- 1935 - Archivio del Comune di Umbertide

Monte Corona - 1918 - Archivio del Comune di Umbertide


Mietitura e battitura - 1928 - Archivio del Comune di Umbertide

Il ruzzolone a Monte Corona - Archivio del Comune di Umbertide

Il calzolatio di Monte Corona - 1911 - Archivio del Comune di Umbertide

Abbazia di Monte Corona - Archivio del Comune di Umbertide



EREMO DI MONTE CORONA Sulla vetta di Monte Corona sorge l’eremo di clausura dei Monaci di Betlemme. Fin dal Medioevo, l’eremo ospitò quel ramo dei monaci Camaldolesi che volevano riavvicinarsi allo spirito eremitico, gli Eremiti di S. Romualdo. Nel 1861 i monaci furono costretti ad andarsene e l’eremo venne abbandonato. Divenuto una proprietà laica, costituì un sicuro rifugio nei periodi di guerra. Poi attraversò un periodo di totale abbandono. Nel 1981 quattro monache della Famiglia monastica di Betlemme, dell’Assunzione della Vergine Maria e di S. Bruno giunsero in questo luogo, ne rimasero colpite per la sua suggestività e decisero di ristrutturarlo. Nove anni dopo, nel novembre 1990, le monache fondarono un nuovo monastero nei pressi di Mocaiana (fraz. di Gubbio), lasciando l’eremo al ramo maschile dello stesso Ordine.


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LA VITA DI CLAUSURA

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La solitudine e il silenzio sono alla base della vita dei monaci di clausura di Betlemme.

I

monaci danno inizio alla propria giornata alle 3.00 del mattino e, fino alle 6.00, pregano e meditano nel silenzio della propria cella. Alle 6.45 si ritrovano insieme in chiesa per la celebrazione dell’Ufficio Liturgico e della Santa Messa. Alle 9.30, in solitudine all’interno della cella, consumano il proprio pasto e si dedicano, poi, al lavoro manuale e allo studio. Alle 16.15 viene consumata la cena, sempre nella solitudine della celletta, e alle 17.00 si recitano, insieme, i Vespri, cui segue un altro momento di preghiera solitaria. Alle 19.00 i monaci si coricano. Il sabato e la domenica vivono, invece, un numero maggiore di momenti di fratellanza, il pasto infatti viene consumato insieme in refettorio, svolgono una camminata di circa tre ore nei boschi circostanti il monastero e un incontro di condivisione.



I sentieri della ZSC Valle del Torrente Nese e Monti Acuto – Corona

L

’Area Natura 2000 di Monte Acuto e Corona è attraversata da 60 km di sentieri percorribili a piedi o in bicicletta. Due sono sentieri didattici nei quali dei cartelli esplicativi spiegano le peculiarità dell’area. Uno si trova a Monte Corona e l’altro a Monte Acuto.

Presso il Centro Visitatori Mola Casanova è possibile reperire la carta topografica in scala 1:15.000.

NUMERI UTILI 1515 CFS (Corpo Forestale dello Stato) 115 Vigili del Fuoco 113 Soccorso pubblico

D

i seguito sono riportati alcuni circuiti ad anello particolarmente interessanti che permettono di attraversale i luoghi più caratteristici dell’Area SmAC.


ANELLO DI MONTE CORONA

Traccia Corrente: 16 Nov 2013 10:37 001 on GPSies.com

Lungh. 11,4 km Disl. 440 m. Difficoltà E Durata 5 h 30 m

Si parte dalla Badia di Monte Corona. Fino alla “Madonnina” il sentiero è DIDATTICO con cartelli esplicativi di flora e fauna dell’area.


ANELLO DI MONTE ACUTO


S

Percorso M.te Acuto Anello on GPSies.com

i parte da localita Monteacuto, nei pressi dell’area Pic-nic. Una parte dell’anello è un sentiero DIDATTICO con cartelli esplicativi di flora e fauna dell’area.

Lungh. 9 km Disl. 662 m Difficoltà E Durata 5 h

PARTICOLARE DEL SENTIERO DIDATTICO DI MONTE ACUTO

Il sentiero didattico parte nei pressi dell’area Pic-nic in località Monteacuto e arriva fino a cima cerchiaia.


GRANDE ANELLO

È

un tracciato piuttosto lungo. È possibile percorrerlo anche in mountain bike. Mostra tutte le peculiarità della ZSC perché si snoda sia su Monte Corona che su Monte Acuto.

Lungh. 21 km Disl. 1300 m. Difficoltà E Durata 9 h Partenza consigliata: da Badia di M.te Corona



CENTRO VISITATORI

della ZSC Valle del Torrente Nese e Monti Acuto – Corona

MOLA CASANOVA parco per le energie rinnovabili e la sostenibilità

La struttura è un antico mulino ad acqua del XVI sec. e di fianco ad esso, nel fiume Tevere, c’è la centrale idroelettrica. L’antico Mulino ospita le sale a tema: - le grandi sale del vecchio mulino in cui passato e presente si fondono ricordando la vita dei mugnai; - la sala dell’energia, con i pannelli solari, la cella a combustibile, la pala eolica e le macchine per l’energia; - la sala naturalistica con animali impagliati, erbari, semi, rocce e microscopi a disposizione dei visitatori; - la mostra di fotografia naturalistica “La riva del fiume” con foto d’epoca, dal 1900 ad oggi, della vita lungo il Tevere.

Servizio di noleggio di E-BIKE biciclette a pedalata assistita

www.molacasanova.it


Il Parco esterno Il giardino è un orto

botanico con le piante più rappresentative della ZSC.

Qui, la natura si sposa con l’energia rinnovabile perchè nel verde del giardino, si trovano: - un impianto ibrido

eolico-fotovoltaico con sistema di accumulo a batterie;

- il pozzo geotermico che a soli 90 mt di profondità estrae acqua a

38°C che, in inverno, viene utilizzata per alimentare

l’impianto di riscaldamento a pavimento del mulino; - l’aiuola di fitodepurazione per le acque reflue; - la

Centrale Idroelettrica sul fiume, è un

impianto ad acqua fluente da

700 kW di potenza. Passeggiare sulla passerella

è un’esperienza unica dove è

facile ammirare aironi cenerini, garzette, martin

pescatori, germani e tanti altri

animali che popolano il Tevere.


INFO E CONTATTI

www.smac.umbria.it www.molacasanova.it info@molacasanova.it


PROGETTO GRAFICO Alchemilla s.a.s. TESTI dott.sa Tatiana Roscini, arch. Giuliano Ciocchetti Con la collaborazione di: Carla, Hind, Francesca, Mattia, Alessio, Alessandro, Tommaso e Giuseppe del CAMPUS LEONARDO DA VINCI DI UMBERTIDE copyright fotografico Giuliano Ciocchetti, Leone Ciocchetti, Simona Ragni, Valentina Bovicelli, Archivio fotografico del comune di Umbertide.


“L'unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell'avere nuovi occhi� M. Proust

Ministero dello Sviluppo Economico

Comune di Umbertide


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