Missioni OMI 08 09 2015

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Prezzo di copertina € 2,40 - agosto-settmbre 2015 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, C/RM/68/2012

Attualità

Dossier

Fatti

200 anni

Mons. Steckling OMI vescovo a Ciudad del Este, Paraguay

Gli OMI in Indonesia, Thailandia, Corea del Sud e Cina

P. Andy Sensenig oblato in Alaska e maratoneta

La comunità apostolica e la missione

MISSIONI

RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MISSIONARIA

OMI

n. 8/9 AGOSTO-SETTEMBRE 2015

ASIA

del terzo millennio

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SOMMARIO MISSIONI OMI Rivista mensile di attualità fondata nel 1921 Anno 22 n.08/09 agosto-settembre 2015

attualità Vescovo in terra paraguaiana

a di Sebastian Veits e Gianluca Rizzaro OMI

La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 EDITORE

Provincia d’Italia dei Missionari Oblati di Maria Immacolata Via Tuscolana, 1721 00133 Roma

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Una famiglia chiamata alla missione

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Notizie in diretta dal mondo oblato

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di Angelica Ciccone

news

REDAZIONE

Via dei Prefetti, 34 00186 Roma tel. 06 6880 3436 fax 06 6880 5031 pax1902@gmail.com

a cura di Elio Filardo OMI

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Mgc news

DIRETTORE RESPONSABILE

Pasquale Castrilli REDAZIONE

fatti

Salvo D’Orto, Elio Filardo, Gianluca Rizzaro, Adriano Titone COLLABORATORI

Claudio Carleo, Giovanni Chimirri, Fabio Ciardi, Gennaro Cicchese, Angelica Ciccone, Luigi Mariano Guzzo, Thomas Harris, Luisa Miletta, Sergio Natoli, Michele Palumbo

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Le maratone di padre Andy

di Pasquale Castrilli OMI

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Il senso cristiano delle vacanze e del riposo di Osvaldo Rinaldi, Zenit

PROGETTO GRAFICO E REALIZZAZIONE

missioni

Elisabetta Delfini STAMPA

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Lettere al direttore

Tipolitografia Abilgraph - Roma

Lettere dai missionari

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FOTOGRAFIE

Qui Uruguay, Qui Thailandia

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Si ringrazia Olycom www.olycom.it UFFICIO ABBONAMENTI

Via Tuscolana, 73 00044 Frascati (Roma) tel 06 9408777 - Valentina Valenzi valentina.valenzi@omi.it Italia (annuale) Estero (via aerea) Di amicizia Sostenitore

19 euro 40 euro 38 euro 70 euro

Da versare su cc p n. 777003 Home Banking: IBAN IT49D0760103200000000777003 intestato a: Missioni OMI Rivista dei Missionari OMI via Tuscolana, 73 00044 Frascati (Roma) Finito di stampare luglio 2015 Reg. trib. Roma n° 564/93 Associata USPI e FESMI www.missioniomi.it www.facebook.com/missioniomi

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dossier

Asia

DOSSIER

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il futuro del cristianesimo si gioca qui!

di Alberto Gnemmi OMI e Adriano Titone OMI

Un diario di viaggio tra i Missionari Oblati di Maria Immacolata italiani in Thailandia, Indonesia, Corea del Sud e Cina 14 MISSIONI OMI · 08/09_2015

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una foto per pensare 014_021_08_09.indd 14-15

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foto di Giovanni Chimirri, gio.chimirri@gmail.com testo di Luisa Miletta, luli89@libero.it

UNA FOTO PER PENSARE

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Cosa ci impedisce di prendere il largo? Forse il timore di incorrere in una tempesta, forse qualche delusione che rallenta la vita e la voglia di riscatto, forse la paura di fidarsi, di mettersi in gioco, di correre il rischio. Oppure le comodità di una vita semplice, i legami affettivi, le relazioni che come delle catene ci tengono ancorati a riva e ci impediscono di raggiungere il mare, affrontare le onde e andare. Come fare per decidere se sciogliere le catene o restare a riva? Non c’è una risposta giusta; c’è solo il nostro cuore che batte verso una direzione e c’è Dio che ci stringe la mano e ci conduce dove le nostre paure ci frenano.

Al largo 28

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MISSIONI

editoriale di Pasquale Castrilli OMI pax1902@gmail.com

OMI

Asia in chiaroscuro

Prezzo di copertina € 2,40 - agosto-settmbre 2015 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, C/RM/68/2012

I

Attualità

Dossier

Fatti

200 anni

Mons. Steckling OMI vescovo a Ciudad del Este, Paraguay

Gli OMI in Indonesia, Thailandia, Corea del Sud e Cina

P. Andy Sensenig oblato in Alaska e maratoneta

La comunità apostolica e la missione

MISSIONI

RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MISSIONARIA

OMI

n. 8/9 AGOSTO-SETTEMBRE 2015

ASIA

del terzo millennio

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l prodotto interno lordo (Pil) dei paesi asiatici è in crescita come anche il livello di alfabetizzazione ed il progresso tecnologico. Ma il continente presenta anche sacche di povertà, malnutrizione, militarizzazione e in alcune zone mancanza dello stato di diritto. Sono i chiaroscuri di un continente che papa Giovanni Paolo II aveva indicato come la “sfida” per la missione della chiesa all’inizio del terzo millennio. In alcune situazioni più estreme manca una pace duratura tra le parti in conflitto con conseguenti violazioni dei diritti umani. Insomma un chiaroscuro che vede da una parte grandi progressi, dall’altra bisogno di dialogo e riconciliazione. È un fatto che nel continente si sono sviluppati vari ‘nazionalismi’ a discapito dei piccoli gruppi etnici e linguistici. Come a dire che le minoranze non contano, meglio appiattirle. Tra queste dobbiamo citare le popolazioni indigene, le minoranze religiose, le donne e anche la minoranza cattolica. Se si fa eccezione per le Filippine, infatti, la fede cattolica in Asia è assolutamente minoritaria. E in vari contesti, la chiesa cattolica soffre la difficoltà di un riconoscimento effettivo e unanime. Un fenomeno che preoccupa gli osservatori internazionali è, usando un temine inglese, il “land grabbing”,

letteralmente “l’accaparramento della terra”. Si tratta dell’incetta di terreni agricoli di grandi proporzioni nei paesi di via di sviluppo, da parte di multinazionali, e anche di privati cittadini. La pratica è diffusa in Asia, ma anche altrove nel mondo. Con la conseguenza che le popolazioni locali perdono il diritto alla terra e alle sue risorse, prima fra tutte l’acqua, con l’aumento della povertà, dei conflitti e della perdita dei diritti. Se aggiungiamo che l’Asia è spesso vittima di calamità naturali come il disastroso terremoto che ha colpito il Nepal nel mese di aprile di quest’anno, emerge un quadro in parte problematico e pessimista. Proprio sugli argomenti ambientali e dei cambiamenti climatici nel sud-est asiatico, la Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (FABC) ha organizzato a inizio luglio a Manila, un seminario. I cristiani avvertono anche con chiarezza la scelta del dialogo come forma di presenza e testimonianza. Valori come giustizia, pace, dialogo, rispetto del creato, risultano allora importanti per il benessere e il futuro di un continente dove sono attualmente presenti 727 Missionari Oblati di Maria Immacolata distribuiti in 13 Paesi. Tra essi anche molti di origine italiana, soprattutto in Thailandia, Corea e Indonesia. Li in contriamo in questo numero estivo di Missioni OMI.

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lettere al direttore

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Laici e religiosi verso le periferie Organizzato dall’Associazione Missionaria Maria Immacolata (AMMI), si è svolto dall’1 al 3 maggio 2015 a Laurignano (Cs) un incontro di riflessione e preghiera sul tema: Laici e religiosi oggi: insieme verso le periferie esistenziali del nostro territorio. Doveva trattarsi di tre giorni di ritiro per le comunità AMMI della zona sud, Sicilia, Calabria e Puglia, ma grazie alla presenza del Consiglio nazionale AMMI, l’incontro ha visto presenti persone provenienti da quasi tutte le comunità AMMI italiane: Firenze, Pescara, Roma, Somma vesuviana (Na), Aversa (Ce), Taranto, Calabria e Messina. Il Consiglio nazionale AMMI, com’è ormai usuale da un po’ di anni, ha programmato il suo incontro, nello stesso luogo, cogliendo l’occasione

per incontrare le comunità locali presenti, per un momento di aggiornamento, condivisione e programmazione. Lo stile dei tre giorni è stato la comunione e la condivisione delle esperienze. Niente temi o conferenze particolari, ma luoghi dove religiosi e laici si sono raccontati le singole realtà descrivendo quanto una vocazione possa aiutare l’altra a scoprire la sua pienezza e bellezza. Nell’anno dedicato alla Vita consacrata, è stata veramente una grazia avere l’opportunità di rincontrarci intorno al dono della fede ricevuta e del carisma vissuto, per capire a cosa Dio ci chiama per essere la famiglia “più unita della terra”. Ci si è chiesto: “Che

laici siamo?” e la risposta è stata: “Gente comune che opera nel quotidiano secondo un cammino di fede, tenendo presente che quello che conta è il valore della testimonianza”. Il fedele laico è anzitutto un battezzato e come tale chiamato all’amore da vivere come Cristo stesso l’ha vissuto. I laici sono chiesa come lo sono i religiosi, la vigna nella quale il Signore chiama gli uni e gli altri è questo mondo e i laici non sono da considerare manovalanza, più o meno qualificata, ma tralci radicati in Cristo e, perché tralci, debbono essere disposti e soggetti alle potature per dare frutti. Se i religiosi hanno il dono di richiamare a tutti la trascendenza della

vita, i laici sono chiamati a dare frutti portando Cristo agli altri nel quotidiano, con la testimonianza e con la parola, diventando così lievito, sale e luce del mondo. Complementarietà quindi, anzi reciprocità tra le due chiamate e non confusione, per operare insieme nell’annuncio. Laici e religiosi sono i due pilastri dello stesso ponte che unisce il quotidiano e l’Eterno. A conclusione nell’omelia della messa di domenica 3 Maggio p. Angelo Capuano ha invitato tutti a vivere il proprio impegno ecclesiale secondo sette parole: coerenza, competenza, obbedienza, visibilità, umanità, solidarietà e fraternità. Carmelina Chiellino Catanzaro

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Luogo per gli sposi nel centro di Roma Lo scorso anno, in un’intervista di RomaSette, p. Alfredo Feretti OMI, presidente dell’Associazione Centro La Famiglia e direttore del Consultorio familiare di via della Pigna 13/a a Roma, confessò di avere due sogni: «Poter aprire altri consultori in periferia “laddove c’è più bisogno di accogliere, aprire una porta e far sentire

che ci siamo” e creare, stavolta in centro, magari in uno dei tanti palazzi inutilizzati del Tridente, “un’oasi per le famiglie, un nido caldo con una chiesa dove pregare e una tavola attorno cui riunirsi”». Il primo sogno si è avverato con l’apertura, poco dopo e dopo altri, del Centro di consulenza familiare presso la parrocchia di S. Gregorio Magno alla Magliana. Il secondo, dopo ricerche e

la constatazione di quanto sia difficile reperire nel centro di Roma un locale idoneo allo scopo, si è avverato grazie al restauro di una sala (La sala del Giogo) presso la casa degli OMI in via dei Prefetti 34 (a fianco della bella chiesa seicentecesca di S. Nicola di Bari) perché potesse essere un punto di riferimento, un luogo di pace e di confronto in questo tempo di misericordia per le coppie di sposi, per le persone che vivono le situazioni difficili di separazione e le loro famiglie, non solo: per tutti. La comunità di Missionari OMI ha voluto e continua a mettersi a disposizione dell’ascolto, della misericordia e del perdono al centro di Roma. È una realtà che è stata

tanto desiderata e che si è realizzata con il lavoro di diversi mesi e la splendida collaborazione di molti amici. Il sacrificio di tanti ha permesso di aprire uno spazio fruibile a servizio della famiglia e di coloro che vivono la bellezza e la fatica di questo mistero, compresi coloro che sono alla ricerca di pace dopo separazioni o divisioni. Una missione, quella degli OMI e del Centro La Famiglia, accanto alle famiglie, anche a quelle ferite. Un nuovo punto di riferimento, quindi, per «Persone anfore» e «Famiglie anfore» e «Achor - Porta di speranza» i percorsi di formazione animati da p. Alfredo, rivolti rispettivamente alle coppie di sposi che desiderano riscoprire la bellezza del matrimonio e crescere nel loro rapporto d’amore attraverso la conoscenza di sé, dell’altro e di Dio e alle persone separate, divorziate e nuovamente unite. Un percorso, quest’ultimo, che nasce «dal desiderio di mostrare, sempre più. il volto accogliente, materno e tenero della chiesa nei riguardi di alcuni suoi figli e figlie feriti dalla separazione o dal divorzio». Un nuovo punto di riferimento nel centro di Roma e nel cuore del Municipio I, un ganglio

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MISSIONI MISSIONI

editoriale

Con Maria accanto ad ogni uomo L’invito alla condivisione nel n. 5 della rivista chiede quale rapporto ci lega a Maria È come se la Madonna mi abbia condotto per mano dolcemente al Figlio e al Padre,,, “I nostri giorni illuminati dall’Eterno e a lui indirizzati”. È la percezione che porto con me. Nell’editoriale è scritto

OMI

Un lungo ritorno

Prezzo di copertina € 2,40 - maggio 2015 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, C/RM/68/2012

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Attualità

Dossier

Fatti

200 anni

P. Louis Lougen in vista del 200° dei Missionari OMI

Il rosario, teologia in ginocchio

P. Mimmo Di Meo racconta 20 anni in Uruguay

Maria Immacolata, madre della comunità apostolica

MISSIONI

RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MISSIONARIA

OMI

n. 5 MAGGIO 2015

IN PREGHIERA CON

Maria

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ono quasi le 18. Per molti italiani un appuntamento quotidiano. Telecomando, sedia o poltrona, corona tra le mani. TV2000 si collega con il santuario di Lourdes, i Missionari Oblati di Maria Immacolata che fanno servizio al santuario, a turno guidano la preghiera del rosario in diretta dalla grotta. Ci si raccoglie in preghiera, la statua della Vergine di Lourdes, le luci della sera, i volti delle persone davanti alla grotta… Tutto aiuta al raccoglimento e alla contemplazione. In centinaia di famiglie italiane (o di origine italiana) si ripete questa “liturgia” quotidiana, fatta di tradizione, fede, devozione mariana. La preghiera del rosario accompagna le generazioni cristiane. Se da giovani emerge soprattutto il peso della ripetizione, più avanti negli anni la si apprezza e la si gusta un po’ di più. Maria accompagna chi lo recita a mettere a fuoco, nel proprio cuore, i momenti della vita di Gesù, misteri della fede. Madre di tutti, accompagna ciascun credente, quasi per mano, alla porta del figlio Gesù. E questo a tutte le latitudini. Lo sanno bene i missionari che sgranano la corona insieme ai cristiani delle missioni dove servono ed educano i figli di Dio. La preghiera del rosario ha una storia antica e unica. Furono i monaci cistercensi e l’Ordine dei Frati predicatori, i

domenicani, ad iniziarne la diffusione nel periodo del tardomedieoevo quando si usava porre una ghirlanda di rose sulle statue della Madonna. In quell’epoca nacquero anche le Confraternite del Santo Rosario con lo scopo di diffondere questa preghiera, Una tradizione vuole che la Madonna apparve allo stesso S. Domenico consegnandogli un rosario nel 1214. Tra i santi che hanno contribuito alla promozione di questa preghiera ricordiamo senz’altro S. Luigi Grignion de Montfort e il beato Bartolo Longo, fondatore del santuario di Pompei. Le apparizioni mariane a Lourdes e a Fatima concorsero ulteriormente alla conoscenza e alla diffusione di questa preghiera. Numerosi sono stati i Missionari Oblati di Maria Immacolata che hanno contribuito a far apprezzare il rosario dal popolo di Dio. La lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, nella quale papa Giovanni Paolo II proclamava l’Anno del rosario e introduceva i misteri della luce, affermava che il rosario “se riscoperto nel suo pieno significato porta al cuore stesso della vita cristiana” (n. 3). È come se la Madonna conducesse dolcemente ogni cristiano al Figlio e al Padre; una sorta di percorso circolare, un lungo ritorno a Dio, principio e fine. I nostri giorni illuminati dall’Eterno e a lui indirizzati. ■

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Prezzo di copertina € 2,40 - maggio 2015 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, C/RM/68/2012

vitale di una rete concreta di solidarietà e sussidiarietà familiare, aperto alle coppie e alle famiglie nonché a tutti coloro che si sentono disorientati e desiderosi di ritrovare la libertà di essere se stessi e di vivere la relazione con l’altro in modo autentico, sincero e amicale o che solo desiderano trovare un attimo di quiete e di tranquillità. Maggiori dettagli su questa iniziativa scrivendo a p. Alfredo Feretti (alfredoferetti@ gmail.com) o al Consultorio Centro La Famiglia (info@ centrolafamiglia.org). Dr. Federico Sandrucci e Amici del Giogo, Roma

di Pasquale Castrilli OMI pax1902@gmail.com

OMI

Attualità

Dossier

Fatti

200 anni

Luca e Gianluca rileggono la loro vocazione

La solidarietà per le missioni estere: un resoconto

La recente assemblea della Provincia oblata Mediterranea

S. Eugenio rad i primi compag a Aix en Prove

MISSIONI

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Dossier

Fatti

200 anni

P. Louis Lougen in vista del 200° dei Missionari OMI

Il rosario, teologia in ginocchio

P. Mimmo Di Meo racconta 20 anni in Uruguay

Maria Immacolata, madre della comunità apostolica

MISSIONI

OM

n. 4 AP

allargare gli orizzon

RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MISSIONARIA

OMI

n. 5 MAGGIO 2015

IN PREGHIERA CON

Maria

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RIVISTA MENSILE DI ATTUA MISSION

Sostenere la mission

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Attualità

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Prezzo di copertina € 2,40 - aprile 2015 - Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, C/RM/68/2012

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Comunicato stampa Fesmi Il piano delle Poste penalizza le riviste missionarie

200 anni

nte assemblea rovincia oblata rranea

S. Eugenio raduna i primi compagni a Aix en Provence

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RIVISTA MENSILE DI ATTUALITÀ MISSIONARIA

OMI

n. 4 APRILE 2015

la missione

li orizzonti 15/03/15 09:10

In sintonia con la posizione assunta dalla Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), la Federazione della stampa missionaria italiana (Fesmi), che comprende oltre 20 riviste, esprime totale contrarietà al piano strategico di Poste italiane e all’ipotesi di riorganizzazione contenuta nella “Consultazione pubblica sull’attuazione di un modello di recapito a giorni alterni degli invii postali rientranti nel servizio universale”. L’ipotizzata chiusura di 455 uffici postali e la consegna a giorni alterni per oltre mila centri andrebbe a peggiorare il sistema di distribuzione segnato da cronici ritardi e «significherebbe la morte quasi certa dei giornali quotidiani e settimanali che basano il loro rapporto con gli abbonati sulla puntualità del recapito domiciliare», denuncia la Fisc. Il proposto piano di ristrutturazione delle Poste italiane penalizzerebbe anche la Fesmi che dipende dal servizio postale per la diffusione dei suoi mensili. Da anni la Federazione della stampa missionaria italiana lamenta ritardi nella consegna che si verificano in particolare durante il periodo natalizio ma si protraggono durante il corso dell’anno. Questi ritardi scoraggiano i nostri lettori dal rinnovare l’abbonamento alla rivista nonostante la puntualità con la quale i responsabili della direzione delle testate si impegnano a far pervenire le riviste all’ufficio postale locale per la distribuzione. Su richiesta dei nostri abbonati.- che spesso ricevono solo dopo settimane la rivista e se ne lamentano - i responsabili delle testate missionarie della Fesmi hanno più volte fatto presente il problema alla direzione degli uffici postali locali e chiesto di rettificare la situazione. A seguito delle rimostranze, si sono registrati miglioramenti nel servizio di recapito. Ma non è durato molto. Con l’andare del tempo si è tornati al vecchio modus operandi di un ritardo cronico nella consegna. Per questo come Fesmi reiteriamo nel modo più energico la nostra opposizione alla proposta del piano strategico e della riorganizzazione delle Poste italiane che va ad aggravare il problema della già carente distribuzione postale e rischia di pregiudicare il futuro delle nostre riviste che faticano a sopravvivere nel contesto della crisi economica che da anni colpisce l’Italia. 11 maggio 2015. I direttori delle seguenti riviste aderenti alla Fesmi: Africa, Andare alle genti, Comboni Fem, Missione Oggi, Missioni Consolata, Missioni OMI, Nigrizia, Notizie SMA, Piccolo Missionario. Popoli e Missione

bene e io l’ho vissuta questa emozione di Maria. Come vivi oggi questo rapporto nella famiglia oblata? S. Eugenio a coloro che vogliono continuare la sua opera diede quasi un ordine “L’avranno sempre per madre”. Nell’Evangelii Gaudium papa Francesco scrive che “con lo Spirito Santo, in mezzo al popolo sta Maria. Lei raduna i discepoli… ed ha reso possibile l’esplosione missionaria. Lei è la Madre della chiesa evangelizzatrice”. È la missionaria che si avvicina a noi per accompagnarci… cammina con noi, combatte con noi. Allora provo come Maria e con Maria a pormi accanto all’uomo, ad andare incontro alle necessità di chi forse ha smarrito la via e a portare il peso della miseria umana mia e poi quella degli altri. Maria ha accettato questa missione, io l’accetto con lei. Sara Cisto Messina

Per per ogni necessità riguardante l’abbonamento a Missioni OMI si può contattare l’ufficio abbonamenti scrivendo a valentina. valenzi@omi.it o telefonando allo 06.9408777 in orario ufficio.

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attualità

Vescovo

in terra paraguaiana di Sebastian Veits e Gianluca Rizzaro OMI per gentile concessione della rivista oblata Der Weinberg. Germania traduzione dal tedesco di Francesca Falchini

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La sorpresa della nomina alla diocesi di Ciudad del Este, il lavoro tra i giovani, le piccole comunità, i poveri. Parla mons. Guglielmo Steckling

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al 21 dicembre scorso, c’è un nuovo vescovo tra i Missionari Oblati di Maria Immacolata. È mons. Guglielmo Steckling, tedesco di nascita, missionario in America Latina e ora pastore della diocesi di Ciudad del Este, in Paraguay. Un oblato conosciuto, per il suo passato come superiore generale, ma soprattutto un missionario, che ha donato la vita per l’annuncio del Vangelo nello spirito del fondatore, Eugenio de Mazenod. Eletto superiore generale nel Capitolo generale degli OMI del 1998, dopo aver ricoperto il ruolo di assistente generale, p. Steckling ha guidato la congregazione oblata per 12 anni. Al termine del suo doppio mandato, nel 2010, era tornato in Paraguay. Nel Paese sudamericano, che l’aveva già visto all’opera molti anni prima della nomina del 1998, si occupava della formazione dei giovani studenti nello Scolasticato oblato. Lì lo ha raggiunto

la chiamata della Santa Sede. Ripercorriamo il cammino nei suoi ultimi anni sudamericani. Da formatore allo Scolasticato ha lavorato molto nella comunità, ma anche “fuori”, come si addice ad un buon missionario. Assieme ad un confratello mi occupavo dell’ultimo grado della formazione dei giovani, che consiste nello studio della teologia ed in un anno di esperienza pratica. In particolare, mi occupavo della vita all’interno della casa, ero un po’ come un padre di famiglia: pregavamo insieme, affrontavamo quelle tematiche che all’università non si aveva la possibilità di discutere, come ad esempio temi di spiritualità, della vita in comunità, del raggiungimento della propria maturità. Inoltre contribuivo alla formazione, a vari livelli. Infine, coordinavo una ‘piccola

comunità’. Queste ‘piccole comunità’ in realtà non sono poi così piccole: una parrocchia di città è composta in media da 20mila cattolici, in alcune si arriva anche al doppio. Poi ci sono le cappelle, e ad ogni cappella appartengono dai 4 ai 15 mila battezzati. Sono queste le “piccole comunità”. Vengono coordinate da laici, che a loro volta sono sostenuti dalle parrocchie e dai sacerdoti. Ai catechisti bisogna dare tutto l’aiuto possibile. Sono motivati, però hanno bisogno di qualcuno che li sostenga nelle difficoltà. Le comunità si mettono in gioco anche nel sociale, e molto spesso questo impegno viene direttamente dalle persone e non dal sacerdote. La comunità della mia chiesa offriva tre volte alla settimana assistenza e cibo. In alcuni periodi, ci occupavamo contemporaneamente anche di 50 bambini, di cui una parte non riceveva a casa cibo sufficiente.

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Come educatore ha lavorato a stretto contatto con i giovani. Cosa ha appreso da loro? Stando con loro ho imparato molto su ciò che provano, sulle loro famiglie e sulla società. Mi hanno spinto a trovare continuamente nuovi modi per esprimere il mio credo; il ripetere continuamente semplici formule non ha senso e quindi devo sforzarmi di approfondire la mia fede per poterla trasmettere nel modo migliore. A proposito di trasmissione della fede: è uno dei problemi di una gran parte del mondo cristiano. Per i genitori e i nonni, è diventato complicato trasmetterla a figli e nipoti… Non è semplice, e anche in Paraguay esiste questo problema. Alle persone della mia piccola comunità dicevo sempre: “non dovete arrendervi! Non lasciate che i giovani crescano da soli, solamente perché pensate di non capirli! Non dite che non potete essere d’aiuto nel loro cammino di fede!”. I giovani, anche se vogliono essere indipendenti, hanno bisogno degli adulti, e

anche degli anziani. Si può essere molto fecondi assumendo questo atteggiamento.

lui, volevo sapere il suo nome, dov’era la sua casa. Più di questo non potevo fare per lui, però almeno era qualcosa.

Cosa la chiesa del Paraguay ha da insegnare a noi occidentali? Papa Francesco ha sempre detto che non ci serve una chiesa per i poveri, bensì una chiesa dei poveri. Questo significa che è bene condividere ciò che si ha con i poveri, ma è ancora meglio avere con loro dei legami, quindi bisogna frequentarli, fare amicizia. Ci sono molte persone che vengono considerate insignificanti. Proprio a loro dobbiamo esser vicini. Spesso, infatti, sono i piccoli gesti a fare la differenza! Questo legame con le persone delle zone di confine si può sperimentare ovunque. Ad esempio, quando stavo ad Asunción, c’era sempre un ragazzo che bussava alla nostra porta chiedendoci dei soldi; era un tossicodipendente e si stava lentamente rovinando. Per me era importante salutarlo e dargli del lavoro, anche se si trattava di un lavoro che lo occupava per un quarto d’ora soltanto; ricordo che m’interessavo a

Da formatore degli Oblati ha avuto la possibilità di farsi un’idea della situazione vocazionale in Paraguay. Quando ho lasciato la comunità di formazione, c’erano tre studenti di teologia; avevamo inoltre un novizio, sei studenti di filosofia e otto ragazzi nell’anno di orientamento. Da molti anni non si vedeva un così gran numero di ragazzi. Il fatto che molti giovani non prendano in considerazione la possibilità di diventare Oblati è il primo ostacolo che credo si debba superare nelle nostre pastorali vocazionali. Personalmente io cercavo di approfittare delle attività con i giovani per presentare la vita oblata. Coloro che dimostravano di essere interessati venivano invitati ai ritiri. Bisogna comunque essere realisti: dopo un congresso per i giovani a cui prendono parte 100 ragazzi, solo 15 sono veramente interessati alla vita oblata. In molti casi ci sono anche problemi fa-

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miliari che ostacolano il cammino vocazionale. Ad esempio molti ragazzi sentono il dovere di lavorare e guadagnare per le proprie famiglie, la maggior parte, infatti, proviene da regioni rurali. In questi casi, hanno bisogno di aiuto sopratutto durante lo studio, in particolare quando ci s’imbatte nella lingua spagnola, che non è la loro madrelingua. Per questo esiste la casa vocazionale. Prima dell’inizio del percorso di studio, i ragazzi hanno l’occasione di vivere in comunità, sei-otto mesi, e di chiarirsi le idee riguardo la vocazione. Che idea si è fatto delle motivazioni missionarie dei giovani aspiranti alla vita oblata? La motivazione missionaria è ciò che spinge i ragazzi a scegliere la nostra congregazione. L’impulso di spendersi per coloro che non vengono raggiunti dalla chiesa li spinge alla scelta. Quando chiedevamo ai ragazzi le motivazioni che li muovevano verso la nostra realtà ci dicevano di voler vivere in comunità, o di voler approfondire la fede. Altre volte queste motivazioni erano legate alla possibilità di studiare e di allontanarsi dall’ambiente di campagna. Queste motivazioni devono essere ben analizzate, in modo da dare il giusto valore. Anche l’ascesa sociale, che consiste nel diventare sacerdote, può influenzare la scelta di vita dei ragazzi; sarebbe da ingenui non tenerne conto. Dato che la nostra è una comunità di missionari, i giovani sono consapevoli del fatto che probabilmente non andranno a finire in una parrocchia ricca; al contrario, potrebbero essere mandati in zone dove le persone vivono molto lontane fra di loro e dove la chiesa e la comunità parrocchiale devono essere ancora costruite. La nomina di papa Francesco l’ha raggiunta nel pieno della sua attività di formatore e missionario. A qual-

Francesco visita il Paraguay Dal 6 al 12 luglio papa Francesco ha visitato Ecuador, Bolivia e Paraguay. I giorni in Paraguay si sono aperti il 10 luglio con una visita di cortesia al presidente della Repubblica Horacio Cartes. L’11 luglio la messa sul piazzale del Santuario mariano di Caacupé. L’indomani la visita alla popolazione del Bañado Norte (Cappella di San Juan Bautista) e, nel pomeriggio, l’incontro con i giovani sul lungofiume “Costanera”, Il prossimo anno il papa dovrebbe visitare Argentina, Cile e Uruguay.

che tempo di distanza, come il neovescovo rivive quei momenti? Mi ha completamente sorpreso la destinazione alla diocesi di Ciudad del Este. È la seconda o la terza città del Paese, non c’è una presenza oblata, è una diocesi con molte vocazioni, circa 80 seminaristi al seminario maggiore. Mi sono chiesto perché scegliere un religioso, in più straniero e oblato, missionario dei più abbandonati? Mi sono dato una risposta. Credo mi abbiano scelto per questa diocesi proprio perché vengo da fuori, non sono diocesano e non ho avuto alcun ruolo nella storia che ha portato alla rimozione del mio predecessore. Tuttavia i problemi interni alla chiesa locale non sono la cosa che risalta maggiormente qui. Ciò che emerge è soprattutto la vitalità della chiesa di Ciudad del Este. Immaginate: solo nel movimento della Le-

gione di Maria ci sono 500 gruppi! E fioriscono molti altri movimenti. Sono stato ben accolto e sostenuto. La sfida è l’unità, da raggiungere in un contesto con così tanta varietà di espressioni della fede. Dopo la nomina ha incontrato il Pontefice a Roma. Quali sono le sue impressioni di quell’incontro. Mi ha molto impressionato la semplicità e la cordiale accoglienza del papa. Ho vissuto venti minuti di incontro tra fratelli - così mi sentivo. Abbiamo parlato della diocesi, dell’imminente visita in Paraguay, della mia nomina... Mi sono commosso quando alla fine il papa mi ha detto: “preghi per me, io prego per lei”. Ho immaginato il peso della chiesa che grava sulle sue spalle e ho potuto vedere come lui porti questo peso con molta pace. n

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Una famiglia chiamata

alla missione

Cosa significa per una famiglia con dei figli essere in missione “ad gentes”? La testimonianza di una famiglia italiana in nord Europa di Angelica Ciccone angelica.ciccone@gmail.com

A

volte la chiamata alla vita missionaria non si concretizza solo attraverso la testimonianza quotidiana, ma richiede di lasciare tutto e partire, fisicamente, verso luoghi dove l’annuncio è più urgente, imprescindibile. Questa chiamata è per tutti, anche per i laici, per le famiglie. Pino e Pina Dei Campielisi sono una famiglia missionaria. Lui di origine calabrese, lei della provincia di Frosinone, entrambi medici, si sono sposati nel 1995 e hanno 7 figli. Da tanti anni fanno parte di una comunità del Cammino Neocatecume-

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e Due momenti della “Missione in piazza”. In apertura l’intera famiglia di Pino e Pina

nale di Roma e dal 2005 sono missionari a Göteborg, la seconda città della Svezia. Dall’incontro con la fede alla testimonianza missionaria: attraverso quali tappe della vostra vita, Dio si è fatto presente in questa storia? Pino: Il fidanzamento è coinciso con l’inizio di un cammino di riscoperta del battesimo dove abbiamo potuto sperimentare l’amore di Dio per mezzo di un costante rapporto con la parola, l’eucarestia e la comunione con i fratelli di comunità. Scoprire di essere amati gratuitamente e non per i propri meriti o capacità. Anche se nato in una famiglia cristiana, ho frequentato la parrocchia a partire dall’adolescenza. Da giovane universitario ho fatto esperienza dell’inganno dell’ideologia comunista. Il fallimento, sia di questa che dei progetti universitari, mi mise davanti al non senso della vita che facevo e della solitudine esistenziale

nella quale si può precipitare quando muore la speranza. Chi può amare un uomo che non può nulla? Come può vivere un uomo senza sentirsi amato? È qui che Dio si è fatto presente con una parola forte: “Io ti amo così come sei, fallito e senza speranza”. Dio ha fatto in modo che mi fidassi di questa parola e mi ha dato una comunità di fratelli e dei catechisti che mi hanno portato alla fede adulta ed al rinnovo delle promesse battesimali. Pina: Anch’io provengo da una famiglia cristiana partecipe delle attività parrocchiali, ma questo non riempiva il vuoto che sentivo, un vuoto che provavo a colmare con le relazioni affettive, cercando qualcuno che potesse amarmi e così dare un senso alla mia vita. Ho fatto, però, esperienza che l’uomo non è capace di colmare i vuoti dell’anima, ho soltanto raccolto delusioni dalle relazioni che ho avuto, perché ho cercato di avere quello che nessun uomo può dare: amare senza

condizioni. Così mi sono sentita amata da Dio per mezzo di suo figlio Gesù Cristo, in modo speciale, preziosa agli occhi di Dio. Il matrimonio cristiano, vissuto all’interno di un itinerario di fede nella chiesa, è stato, fin dal principio, come il naturale strumento che Dio ha messo nelle nostre mani affinché fosse per noi stessi e per chi ci circonda il luogo della manifestazione, della shekhinah (presenza) di Dio. Dio ci ha fatto delle promesse e le ha mantenute, anzi ha “scandalosamente” abbondato. Noi abbiamo detto un piccolo sì e lui ci ha ricolmato di grazie. Ci ha dato un fidanzamento casto, la fedeltà nel matrimonio, il desiderio dell’unione, il perdono e la riconciliazione, l’accoglienza dei figli come dono, la provvidenza nei momenti difficili, la missione. Cosa significa essere una famiglia in missione? E in particolare cosa significa esserlo in una nazione appa-

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Missio ad gentes con il vescovo di Stoccolma, Anders Arborelius OCD. Sotto, ragazzi che pregano quotidianamente il rosario per la missio ad gentes di Göteborg

rentemente sviluppata e progredita come la Svezia? Ogni famiglia cristiana ha la sua missione, è missionaria perché annunciatrice dell’amore di Dio per sua stessa costituzione. La nostra risposta alla chiamata alla missionarietà in una forma un po’ più “radicale” è la rispo-

sta di chi non poteva fare altrimenti. Ammirando l’opera di Dio non puoi non dire: “eccomi”. La nostra missione come famiglia è parte di un opera che lo Spirito Santo ha suscitato nella chiesa attraverso il Cammino Neocatecumenale ed i suoi iniziatori Kiko Arguello e Carmen Hernandez. Siamo stati inviati in Svezia nella città di Göteborg da papa Benedetto XVI nel 2005 e su richiesta del vescovo della diocesi di Stoccolma (unica diocesi per tutto il territorio svedese). Per alcuni anni siamo stati di sostegno ad una piccola comunità neocatecume-

nale nella parrocchia di Kristus Konung (Cristo Re). Dal 2010, per volere del vescovo Anders Arborelius, siamo una delle quattro famiglie che insieme ai loro figli, ad un presbitero, a due sorelle laiche ed un fratello laico, costituiscono la missio ad gentes. Questa è una comunità cristiana guidata da un presbitero che riceve l’incarico ed è direttamente sottoposto al vescovo. Quando comunicai ai miei colleghi di Roma la partenza in missione in Svezia, uno di loro mi disse: ma non si va in missione nei paesi poveri e bisognosi di aiuto? La mia risposta fu:

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lasciar uscire

Papa Francesco, il 6 marzo 2014, durante l’udienza alle famiglie neocatecumenali inviate in missione ad gentes, ebbe modo di affermare: “Sono particolarmente contento che questa vostra missione si svolga grazie a famiglie cristiane che, riunite in una comunità, hanno la missione di dare i segni della fede che attirano gli uomini alla bellezza del Vangelo. Prima ancora che con la parola, è con la vostra testimonianza di vita che manifestate il cuore della rivelazione di Cristo: che Dio ama l’uomo… Di questo grande messaggio il mondo di oggi ha estremo bisogno. Quanta solitudine, quanta sofferenza, quanta lontananza da Dio in tante periferie dell’Europa e dell’America e in tante città dell’Asia! Quanto bisogno ha l’uomo di oggi, in ogni latitudine,

Gesù

può l’uomo vivere di solo pane? Ecco il punto, i paesi del nord Europa e soprattutto quelli scandinavi hanno totalmente abbandonato la dimensione spirituale dell’uomo e di questo abbandono noi ne vediamo ogni giorno gli effetti devastanti nelle relazioni familiari, affettive, sociali. La solitudine è una delle “malattie” più diffuse e la conseguenza è un alta percentuale di persone con patologia psichiatrica e di suicidi, specialmente tra i giovani e gli anziani. La diffusione dell’ideologia gender ha creato una confusione di identità sessuale diffusa tra i giovani, che è un colpo mortale alla già fragile famiglia. Il sostegno sociale diffuso ha creato un popolo incapace di soffrire e molto sensibile anche al minimo stress (lo stress è motivo valido per lunghe assenze dal lavoro per malattia). Una società multirazziale con alta percentuale di immigrati dai paesi islamici (a Malmö, terza città della Svezia per numero di abitanti, un terzo di questi sono di origine straniera a maggioranza musulmana), molti dei quali con estrema incapacità ad integrarsi. Essi vivono in enclavi dai quali sono partiti molti giovani per arruolarsi nelle file dell’Isis (Stato islamico).

di sentire che Dio lo ama e che l’amore è possibile! Queste comunità cristiane, grazie a voi famiglie missionarie, hanno il compito essenziale di rendere visibile questo messaggio. E qual è il messaggio? “Cristo è risorto, Cristo vive! Cristo è vivo tra noi!”. Voi avete ricevuto la forza di lasciare tutto e di partire per terre lontane grazie a un cammino di iniziazione cristiana, vissuto in piccole comunità, dove avete riscoperto le immense ricchezze del vostro Battesimo. In diverse occasioni ho insistito sulla necessità che la Chiesa ha di passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria. Quante volte, nella Chiesa, abbiamo Gesù dentro e non lo lasciamo uscire… Quante volte! Questa è la cosa più importante da fare se non vogliamo che le acque ristagnino nella Chiesa”.

Quali sono state le difficoltà maggiori in questi anni e cosa vi ha spinto a superarle? A parte le normali e comuni difficoltà legate all’essere stranieri, come la lingua e la diversità culturale, anche l’essere visti con sospetto perché cattolici, missionari e quindi legati al papa e a Roma. Come missionari l’ostacolo principale che si incontra è la difficoltà che questo popolo ha di ascoltare ed aprire non solo l’orecchio ma anche il cuore alla parola annunciata, all’eternità, al cielo. Si è davanti ad un muro di gomma. In questo non è di aiuto la pastorale conservativa della minoritaria chiesa cattolica svedese (2% i cattolici, ma ancora meno sono praticanti) frammentata in tante realtà etniche e linguistiche. La spinta a superare queste difficoltà viene dal quotidiano contatto con la parola di Dio, dall’eucarestia celebrata in comunità dopo i primi vespri della domenica, dalle lodi in famiglia la domenica mattina dove si trasmette la fede ai figli insegnando loro a leggere la propria personale storia sotto la luce della parola di Dio. Dall’esperienza di un Dio che provvede ai bisogni anche più elementari ed interviene nella storia con fatti concreti, che consola davanti ai

fallimenti, che è padre per noi e per i nostri figli. In altre parole la spinta viene dalla fede. A quale testimonianza sono chiamate le famiglie cristiane oggi? Nel mondo di oggi ormai totalmente scristianizzato, le famiglie cristiane rimangono il basamento su cui costruire una chiesa missionaria, “in uscita” come dice papa Francesco. Questa “uscita” è la luce che una famiglia cristiana diffonde intorno a lei; non è propria luce, ma luce riflessa di Gesù Cristo. Nella famiglia cristiana, con tutte le sue umane difficoltà, che sono pur sempre necessarie per mostrare che è opera di Dio e non di uomini capaci, si rende visibile l’Amore nel dono reciproco, nell’apertura alla vita, nel “morire all’altro” e questo è possibile perché ogni famiglia cristiana riceve in dono lo Spirito Santo. Allora la famiglia cristiana emana un profumo che attrae ad ogni latitudine, rompe ogni barriera di lingua, cultura, nazione. San Giovanni Paolo II incontrando le famiglie del cammino neocatecumenale in partenza per i luoghi di missione disse: “famiglia in missione: Trinità in missione”. n

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Asia il futuro del cristianesimo si gioca qui!

di Alberto Gnemmi OMI e Adriano Titone OMI

Un diario di viaggio tra i Missionari Oblati di Maria Immacolata italiani in Thailandia, Indonesia, Corea del Sud e Cina 14 MISSIONI OMI 路 08/09_2015

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thilandia

indonesia

corea del sud

cina

Il 2015 è un «Anno Santo» per commemorare i 350 anni dal primo Sinodo di Ayutthaya (antica capitale del paese), tenutosi nel 1664.

Non è più obbligatorio indicare la religione sulla carta di identità. È un passo avanti in nome della libertà religiosa. Promotore Basuki Tjahaja Purnama, politico cristiano.

La Giornata per la pace e la riconciliazione si celebra la domenica prima del 25 giugno, anniversario della guerra. Il 2015 è il 70° anniversario della divisione.

Numerose le ordinazioni sacerdotali negli ultimi mesi. La diocesi di Xian Xian (oggi Cang Zhou), l’11 giugno ha ordinato sei sacerdoti.

Prima tappa: Thailandia, 17 dicembre 2014 La visita agli Oblati italiani della Thailandia è iniziata il 17 dicembre con il volo per Bangkok, dove ad attenderci c’era p. Domenico Rodighiero. È lui ad introdurci nel mondo oblato della Thailandia e a raccontarci della chiesa cattolica e del cristianesimo in questo paese. Qui gli Oblati costituiscono una delegazione della provincia delle Filippine. 16 i membri, tra cui i nostri tre italiani: p. Claudio Bertuccio, p. Domenico Rodighiero e p. Paolo Miceli. I cattolici in Thailandia sono circa 300mila su una popolazione che sfiora

i 70 milioni. Pur essendo una minoranza, in un contesto religioso segnato dal buddismo, la chiesa cattolica gode di una posizione di grande considerazione nella società. P. Domenico Rodighiero, vicentino, 50enne, ordinato sacerdote nel 1997, è approdato in Thailandia nel 2000. Fino al 2003 ha lavorato presso la parrocchia di St. Michael, nella zona di Bangkok chiamata Saphan Mai. Da tre anni è nuovamente a St. Michael nella veste di parroco, dopo alcuni anni trascorsi come responsabile del prenoviziato nella comunità di Sampran. P. Domenico e p. Juin si occupano della

ACCANTO ALLA GENTE IN CONTESTI D LA PAROLA AD ALCUNI DEGLI OBLATI ITALIANI MISSIONARI IN ASIA. IMPEGNO PASTORALE, ATTESE, GIOIE E DIFFICOLTÀ...

RODIGHIERO. FAR EMERGERE LA DIFFERENZA CRISTIANA È importante lavorare per costruire la comunità ecclesiale. Si tratta di vivere con la gente, di incontrare le famiglie, di

creare rapporti, di far crescere il senso di appartenenza dei diversi gruppi alla comunità ecclesiale. Ci sono realtà con la loro specifica identità, ma non sempre capaci di percepirsi come parte di un’unica famiglia, di sentirsi parte del corpo ecclesiale che ha diversi carismi. Essere missionari in Thailandia significa dare testimonianza con la coerenza della vita e l’apostolato della carità evangelica, in un contesto prevalentemente buddista che da più di due millenni forma la coscienza religiosa e spirituale di questo grande popolo. Come Oblati, si tratta di vivere

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cura pastorale di alcune minoranze etniche presenti nel paese. Con lui, il 19 dicembre, celebriamo in lingua curda l’eucarestia di Natale: una cinquantina di persone, soprattutto famiglie giovani con tanti bambini, vivacizzano la preghiera, marcata da canti prolungati con melodie commoventi. Facciamo anche l’esperienza della “preghiera di Natale”: un gruppo di famiglie cristiane della stessa zona si ritrovano presso un’abitazione privata per condividere la festa del Natale con canti tradizionali e alcune preghiere per poi condividere un pasto comunitario. Nei giorni 20 e 21 dicembre, ci spostiamo al nord per incontrare p. Paolo Miceli. È lui ad accoglierci all’aeroporto di Loei. P. Paolo Miceli è nato nel 1944 in provincia di Lecce. Sacerdote dal 1969, nel 1992 ha ricevuto l’obbedienza per la Thailandia. Da maggio 2014, è parroco della parrocchia di “Cristo Re” a Loei. Con p. Miceli abbiamo vissuto l’emozione di raggiungere il confine con il Laos, evidenziato dal grande fiume Mekong, e poter così contemplare il paese, quasi toccarne il suolo, scrutan-

do con occhi commossi la regione dove hanno svolto la missione i nostri Oblati del vicariato apostolico di Luang-Prabang. Lasciamo la Thailandia, pensando a p. Claudio Bertuccio che in questo periodo si trova in Italia.

Seconda tappa: Indonesia, 22 dicembre 2014 Il 22 dicembre, abbiamo lasciato Bangkok alla volta dell’Indonesia con destinazione Balikpapan, dove abbiamo incontrato i padri Rebussi e Bertolini nella nuova e accogliente casa della comunità oblata. Gli Oblati italiani sono giunti in 7 nel Kalimantan Orientale nell’aprile del 1977. Al momento dell’arrivo degli italiani, in Indonesia vi erano già alcuni Oblati francesi nel Kalimantan Occidentale e australiani a Giava. Nel 1994 le tre delegazioni si sono unite per formare l’attuale provincia d’Indonesia che attualmente conta 29 membri. P. Giuseppe Rebussi, bergamasco, classe 1940, ordinato sacerdote nel 1966, dal 1977 è inviato nella diocesi di Samarinda in Indonesia. È stato il pri-

mo superiore della delegazione (19771983). Dal 1995, è a Balikpapan, dove attualmente è responsabile di una delle due stazioni missionarie della parrocchia con circa mille fedeli. Qui ha da poco terminato di costruire la grande chiesa. La stazione missionaria, che ha la sua autonomia amministrativa e pastorale rispetto alla parrocchia, anche se rimane da quest’ultima canonicamente dipendente, è costituita da sette

TI DISTANTI DAL CRISTIANESIMO l’esperienza della comunità e l’amore per i poveri nella tensione per l’evangelizzazione, per fare emergere la “differenza cristiana”. MICELI. I GIOVANI, L’ECUMENISMO, GLI ULTIMI Potrei riassumere brevemente in tre direzioni i campi di azione che hanno caratterizzato il mio servizio missionario in questa ventina di anni di Thailandia. Oltre al servizio pastorale, liturgico, catechetico di ogni parrocchia, la missione era rivolta verso i giovani. L’altro tentativo è stato percorrere la via dell’ecumenismo con le varie comunità protestanti. Terzo aspetto: la

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comunità di base, ognuna formata da alcune decine di famiglie, dalle trenta alle cinquanta, con attività di catechesi, liturgia e servizi socio-caritativi. P. Carlo Bertolini vive nella comunità di Balikpapan con p. Rebussi e altri due padri oblati indonesiani. Nato nel 1937 a Domodossola (Verbania), sacerdote dal 1963, ha raggiunto l’Indonesia nel 1978. Dal 2010 lavora presso la parrocchia di San Pietro e Paolo e come responsabile della “Stazione Km 45, Vieni Spirito Santo”, dove si reca ogni fine settimana per le attività apostoliche e le celebrazioni domenicali. P. Natalino Belingheri, nato nel 1943, bergamasco, diventato prete nel 1969, nel 1977 ha iniziato la sua avventura indonesiana. Nel 1988 diventa parroco a Palau Sapi, nella zona superiore del fiume Malinau, svolgendo a tutt’oggi il suo ministero in tanti villaggi che raggiunge in molti casi con la piroga. I pochi i giorni trascorsi in Indonesia ci hanno permesso di intuire il grande sforzo di evangelizzazione realizzato dai nostri confratelli. Guardiamo a loro con ammirazione, anche con-

vicinanza agli ultimi e ai più poveri. Mi ha sempre animato il desiderio di far sentire che la parrocchia è la fontana del villaggio, come diceva S. Giovanni XXIII, dove tutti possono e devono sentirsi a proprio agio. REBUSSI. COMUNITÀ DI BASE APERTE La missione oblata ha saputo sviluppare molti centri missionari, che, nel tempo, si sono evoluti in centri parrocchiali ben organizzati, con una significativa presenza di laici impegnati nell’evangelizzazione. È necessario che le comunità di base, che costituiscono la realtà delle “stazioni missionarie”, salvaguardino un atteggiamento pastorale aperto, che sa “guardare oltre” il proprio orticello, per non correre il rischio di chiudersi,

ripiegate sulla loro vita interna, attente a chi già c’è, ma poco interessate a coloro che stanno fuori e che potrebbero ricevere l’annuncio cristiano. Insomma, dopo gli anni dello slancio, si corre il rischio di diventare una chiesa sedentaria, ripiegata sugli allori, anche influente dal punto di vista ecclesiale, ma povera di spirito missionario. BERTOLINI. UMILTÀ E FIDUCIA NELLA PROVVIDENZA La missione altro non è che la continuazione della presenza di Gesù in mezzo all’umanità, che si trova, cosciente o no, in una situazione di attesa. Missione è lavorare per il Regno, sapendo che questo è più grande di noi, appartiene all’intelligenza di Dio e al suo progetto d’amore sull’umanità. La missione che noi svolgiamo non

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statando che, nonostante qualche acciacco legato all’età, continuano a spendersi per la chiesa e il Vangelo, in un paese dove i cattolici sono circa 10 milioni su una popolazione di oltre 240 milioni.

Terza tappa: Corea del Sud, 27 dicembre 2014 Abbiamo trascorso quattro giorni, gli ultimi dell’anno 2014, in Corea. Dai 33 gradi, zeppi di umidità, dell’Indonesia, passiamo ai -8 di Seoul, che consolidano la neve caduta lungo le ampie vie di comunicazione della capitale. All’aeroporto ci preleva p. Maurizio Giorgianni. A guardarlo bene, per quei suoi occhi un po’ a mandorla, sembra che sia nato qui. Ci porta nel quartiere di Gwangju, nella città di Suwon per trascorrere una domenica con la comunità cattolica filippina, qui numerosa per motivi di lavoro. L’eucarestia in inglese, con preghiere e canti in tagalog, la dice lunga sulla realtà multietnica di questo paese che, fino a trent’anni fa sottosviluppato, oggi è tra le maggiori economie del mondo, nonché all’avan-

guardia nella tecnologia e telematica. La missione di Corea ha a che fare nelle sue origini con la nostra provincia religiosa. I primi a giungervi furono i padri Vincenzo Bordo e Mauro Concardi. Nel settembre 1991, si aggiunge p. Giovanni Zevola e, nel gennaio 1993, arriva p. Maurizio Giorgianni. Due le comunità: una nella periferia di Seoul, dove vivono i nostri due italiani, p. Giorgianni e p. Bordo, e una nella città di Suwon, che funge da casa

di formazione, dove vivono tre Oblati, due coreani e un srilankese, uno scolastico, due prenovizi e un giovane in discernimento vocazionale. L’incontro con i due Oblati italiani ci permette di assaporare la ricchezza carismatica della loro attività apostolica e di intuire qualcosa della realtà ecclesiale di questo lembo d’Asia, dove i cattolici sono il 10% della popolazione e dove la chiesa gode di grande considerazione tra la popolazione, rafforzata anche

può che essere condotta in un orizzonte di umiltà e di fiducia nella provvidenza divina. BELINGHERI. STARE CON LA GENTE Per me la missione si compie stando con la gente, entrando in contatto con i loro costumi, i loro modi di pensare la vita e il mondo. La missione è annuncio della buona notizia a partire dallo sforzo del missionario di inculturarsi, di stimare la storia e i luoghi del popolo che serve, cogliendo i semi del Verbo già presenti e proponendo altri semi di verità per contribuire alla crescita umana, religiosa della gente nella logica evangelica. Questo lo noto stando a contatto con la mia gente: mi piace chiacchierare con gli anziani del villaggio, cogliere la loro sapienza e poi scoprire che questa è premessa per accogliere quella del Vangelo, che nulla toglie alla ricchezza originaria, ma fa crescere le persone nella verità.

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dalla visita apostolica di papa Francesco dello scorso agosto. P. Maurizio Giorgianni, nato a Messina nel 1963, sacerdote dal 1991, giunto in Corea nel 1993 è dal 2011 il superiore della missione. Dal 2005 si occupa maggiormente della pastorale dei migranti nella diocesi di Suwon. L’altro Oblato italiano è p. Vincenzo Bordo: viterbese, 58 anni ben portati, prete dal 1987 e in Corea dal 1990. In questi anni realizza una serie di fondazioni, la più significativa è “La Casa di Anna” che si occupa in prevalenza dell’accoglienza dei ragazzi di strada e di una mensa per anziani e poveri che ogni giorno offre un pasto caldo a più di 500 persone. P. Bordo ha ricevuto una serie infinita di riconoscimenti da parte delle autorità civili. Con lui trascorriamo la giornata del 30 dicembre, visitando tre delle quattro residenze che accolgono ragazzi e giovani di strada per essere sostenuti nell’inserimento scolastico e, così, nella società. Il pomeriggio lo trascorriamo alla mensa per i poveri, unendoci ai volontari nella preparazione dei pasti. In-

dossati i grandi grembiuli da cucina, ci mettiamo a pelare patate, sgranare fagiolini, mescolare in grandi pentoloni il soffritto per un saporoso piatto di carne, mentre restiamo stupiti nel vedere l’ordine con il quale si svolge il lavoro in cucina.

Quarta tappa: Cina, 1 gennaio 2015 Lasciamo la Corea del sud per la Cina, raggiungendo l’aeroporto di Seoul alle cinque del mattino del 1° gennaio 2015. L’aereo atterra all’aeroporto di Pechino: impressionante la struttura. All’uscita scorgiamo p. Giovanni Zevola, sorridente alla cinese nel darci il benvenuto, ma su una sedia a rotelle a seguito di una complessa operazione alla tibia e perone, fratturatisi per una caduta in bicicletta. Siamo nella grande Cina, dove tutto impressiona a partire dai numeri: estensione 9.706.961 kmq, quasi trentadue volte l’Italia; abitanti poco meno di 1.400.000.000, più di un quinto della popolazione mondiale. In Cina i cattolici “dovrebbero essere” circa 12 mi-

GIORGIANNI. CON LA CHIESA PER I POVERI Per noi Oblati si tratta di condividere il nostro carisma missionario con la chiesa, collaborando con il clero diocesano e lavorando per la formazione dei laici. Ma soprattutto, alla luce del carisma, si tratta di continuare a lavorare con i poveri, con le categorie che sono al margine della società come gli emigrati e i malati. D’altra parte, la missione fin dal suo nascere si è caratterizzata per l’apostolato verso i poveri, soprattutto sul piano caritativo. Credo che siamo chiamati, come religiosi, ad una convinta testimonianza della vita comunitaria nel segno di una comunione evangelica che racconti la dimensione profetica della vita religiosa e oblata.

lioni (mancano statistiche ufficiali). I preti sono quasi 3.000 e più di 5.000 le suore; difficile stabilire il numero dei religiosi presenti, non potendo questi dichiararsi pubblicamente. Mentre in Cina, negli anni ’60 del secolo scorso, iniziava la “rivoluzione culturale”, che metteva sotto scacco ogni espressione religiosa ed impediva agli stranieri di entrare nel paese, gli Oblati della provincia delle Filippine arrivarono ad Hong Kong nel 1966. Nel 2008, si dette il via ad una comunità. Per sviluppare un’appropriata forma di presenza missionaria, si avviò un’attività sociale per

BORDO. LE PERIFERIE DELLA SOCIETÀ Nel 1990 il Padre Generale, Marcello Zago ci invitava a far dono del nostro carisma alla chiesa locale e a fare attenzione in modo particolare all’evangelizzazione dei poveri. Così, attraverso un lungo processo di discernimento, ci siamo resi conto che il Corpo di Cristo è comunione di carismi e che la chiesa coreana, pur essendo ricca di apostoli, vescovi, pastori, sacerdoti diocesani, dottori, mancava di evangelisti, missionari, profeti, consacrati. Ci siamo messi in cammino in questa direzione e abbiamo scoperto le “nuove povertà” e le “nuove periferie” della società: gli immigrati illegali, la gente di strada, i ragazzi abbandonati, gli anziani soli, gli ammalati. Con coraggio e

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bambini diversamente abili e abbandonati in collaborazione con l’Associazione China Little Flower. In questo contesto non facile, ma in rapida evoluzione, nel 2011 si è inserito p. Giovanni Zevola, classe 1962, avellinese di Zungoli, prete dal 1990. Vive in un appartamento a trenta chilometri dal centro storico di Pechino. Dopo lo studio impegnativo della lingua, si è inserito nel lavoro pastorale con gli orfani abbandonati e in alcune iniziative tese a promuovere ciò che si potrebbe chiamare “scambio interculturale”, ben visto dalle autorità governative,

attraverso l’insegnamento della lingua inglese. Quest’ultima realtà è stata possibile grazie alla costituzione dell’associazione De Mazenod, approvata dal governo, per l’insegnamento della lingua inglese a bambini e ragazzi dai 5 ai 15 anni. In questa linea, gli Oblati si sono inseriti in una scuola pubblica con 900 allievi (70% degli studenti provenienti da famiglie povere, figli di immigrati cinesi provenienti dalle zone interne e meno sviluppate del paese). Nel villaggio di Gucheng, lo scorso anno, affittando una modesta abitazione, ha aperto un piccolo centro per

fare un doposcuola per bambini delle elementari e medie. Da qualche mese la stessa proposta è stata rivolta alle mamme dei partecipanti con un buon successo. «Il prossimo passo - ci dice p. Giovanni - è organizzare delle attività ludiche e ricreative per le persone anziane del quartiere». Un momento intenso, che lascia il segno nel nostro animo, è la messa in cattedrale, domenica 4 gennaio. La chiesa è gremita, l’assemblea è multietnica. Si prega in inglese, si canta in latino. Il prete che presiede l’eucarestia, un giovane cinese, accoglie tutti con un gran sorriso. Il giorno dell’Epifania, il nostro viaggio si conclude con quasi sedici ore di volo per Roma. La missione nel grande continente asiatico è appena iniziata. Se il prossimo millennio sarà sotto l’egida asiatica, lo dicono fin d’ora i numeri che raccontano lo stato demografico ed economico di questo continente. Forse anche per il cristianesimo si apre un tempo nuovo, caratterizzato dallo spostamento dei processi di evangelizzazione ad Oriente e non più solo verso il Sud del globo, n

fantasia abbiamo iniziato dei nuovi apostolati di cui la chiesa e la società coreana non ne percepivano la consistenza. A distanza di 25 anni, la presenza degli Oblati in Corea è stimata dalla chiesa locale e dalle autorità civili. ZEVOLA. FIDUCIOSO PER IL FUTURO La missioni in Cina è diversa da qualsiasi altra. Siamo in un paese che sta vivendo una grande trasformazione con ripercussioni sul mondo intero, ma c’è ancora il passato che pesa soprattutto in relazione alle questioni religiose. Siamo nel paese come operatori sociali. Il vescovo di Pechino non conosce il numero dei religiosi che sono nella sua diocesi. Ci sono tante congregazioni, ma non ci conosciamo, ognuno si muove nell’ambito dei servizi sociali o nel mondo accademico. La grande difficoltà è sentirsi chiesa, sentirsi parte di un corpo. Ma sono ottimista, guardando al futuro: dobbiamo costruirlo lavorando sui rapporti, incontrando la gente, facendo amicizia con chi è cristiano. Imparare a riconoscerci e a condividere il nostro cammino umano e spirituale.

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Notizie in diretta dal mondo oblato

messaggi Laos e notizie Il Papa riconosce il martirio di 17 cristiani dalle missioni

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ono 17 i martiri del Laos. Il loro numero è cresciuto il 5 giugno scorso, quando papa Francesco ha autorizzato la beatificazione di un gruppo di cui fanno parte altri 5 oblati: p. Louis Leroy, p. Michel Coquelet, p. Vincent L’Hénoret, p. Jean Wauthier e p. Joseph Boissel. Cinque sono anche gli altri missionari appartenenti alla Società delle Missioni Estere di Parigi (MEP) e quattro i laici laoziani anch’essi uccisi ingiustamente. In cima alla lista, in ordine cronologico, c’è don Giuseppe ThaoTien, un sacerdote laoziano ucciso nel 1954. Dopo di lui, fino al 1970, si sono succedute le altre vittime dei guerriglieri comunisti Pathet Lao. I martiri del Laos, appartenenti per la maggior parte al vicariato di Luang Prabang sono morti in circostanze diverse, ma hanno in comune il fatto di essere stati uccisi a causa della loro fede e dell’impegno pastorale a favore delle comunità cristiane locali. La richiesta di avviare il processo di beatificazione presentata dai vescovi del Laos, è stata accolta nel 2004 dalla Congregazione per le cause dei santi accettando di promuovere la Causa “dei Martiri del Laos” seguita da p.

a cura di Elio Filardo OMI eliofilardo@omimissio.net

Spagna La festa del Corpus Domini a San Martin de Tesorillo

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a gente di San Martin de Tesorillo nel pomeriggio di sabato 6 giugno ha addobbato le strade che avrebbe percorso la processione e, naturalmente, si è poi ritrovata per la celebrazione eucaristica presieduta dal parroco p. Alberto Costa OMI. Il canti del coro Rociero, dell’associazione femminile “Las Palmeras” hanno accompagnato la processione del Santissimo Sacramento alla quale hanno partecipato anche i bambini che quest’anno hanno ricevuto la prima comunione. Durante il tragitto sono state fatte varie fermate nei luoghi dove erano stati predisposti degli altari. (fonte: nosotrosomi.blogspot.com)

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NAMIBIA

LA CHIESA AL FIANCO DEGLI OPPRESSI

Roland Jaques OMI in qualità di postulatore. Nella diocesi di Nantes, in cui era nato p. Jean-Baptiste Malo, membro della Società delle Missioni Estere, si è svolta la prima fase del processo che ha portato al riconoscimento del martirio di questo gruppo che si avvia alla beatificazione. Sulla stessa strada si trovano anche p. Mario Borzaga e il catechista Paolo Thoj Xyooj per i quali, proprio un mese prima, il 7 maggio 2015, il Santo Padre aveva autorizzato un altro decreto.

Il 24 aprile papa Francesco ha ricevuto i vescovi della Conferenza episcopale di Namibia e Lesotho per la visita ad limina. A questo piccolo gruppo formato da sette vescovi, di cui sei sono Oblati di Maria Immacolata, sono affidati due Paesi dell’Africa australe, entrambi a maggioranza cristiana: in Namibia sono in prevalenza evangelici, in Lesotho cattolici. Tanti i problemi economici e sociali che questi due Paesi devono affrontare. Molte anche le sfide sul piano religioso. Delle priorità della chiesa in Namibia, ha parlato mons. Liborius Nashenda OMI, arcivescovo di Windhoek e presidente della Conferenza episcopale del Paese, ai microfoni Radio Vaticana: «La nostra principale priorità - ha esordito il presule - è rendere la chiesa autosufficiente, far sì che i fedeli si sentano protagonisti della loro chiesa». Quali sono le sfide che dovete affrontare come chiesa? La prima sfida è quella delle vocazioni che sono in calo. La nostra chiesa è stata fondata dai missionari e adesso questi stanno diminuendo. Ne deriva che la chiesa deve mobilitare i fedeli e pregare per avere più vocazioni locali così da potere raggiungere un giorno l’autosufficienza. La seconda sfida è preparare coloro che decidono di intraprendere il sacerdozio o la vita consacrata così che possano diventare efficaci agenti evangelizzatori. E questa è la sfida dei seminari e dei centri di formazione. Un’altra sfida importante è la formazione permanente del clero, compresi i diaconi, i religiosi e i laici. La presenza dei laici sta crescendo insieme alla consapevolezza che la chiesa appartiene anche a loro. Una volta si sentivano esclusi, ma adesso stiamo cercando di far loro comprendere che facciamo tutti parte della chiesa come una squadra e che solo lavorando insieme possiamo dirci chiesa locale, perché un vescovo, un sacerdote, un laico, un religioso da soli non possono fare nulla, mentre insieme possiamo portare avanti l’opera di Cristo. Ha parlato dei missionari che hanno portato

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Incontro dei rettori degli istituti oblati di insegnamento superiore e universitario

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lavori dell’ottavo incontro annuale dei rettori degli istituti oblati di insegnamento superiore e universitario si è tenuto a Kinshasa dal 25 al 29 maggio. I partecipanti provenienti da Canada, Stati Uniti, Italia, Filippine e Sud Africa sono stati accolti da p. Anaclet Dupart, rettore dell’Istituto Saint Eugène de Mazenod di Kinshasa. Durante la sessione di apertura, svoltasi allo scolasticato di Kinshasa-Kintambo, il superiore provinciale del Congo, p. Abel Nsolo, ha ricordato la necessità di collaborare per garantire una maggiore efficienza e soprattutto per rafforzare la comune identità. Gli studenti dell’Istituto Saint Eugène de Mazenod hanno eseguito il loro inno che elenca le virtù del patrono, un “santo per i nostri tempi”. P. Fabio Ciardi, direttore del Servizio degli Studi Oblati, ha presentato una ricerca scientifica sulla vera data di fondazione della congregazione oblata che nel 2016 festeggia i suoi primi 200 anni di esistenza. Sulla base degli archivi storici sarebbe più attendibile l’ottobre 1815 rispetto al gennaio del 1816 indicato ufficialmente da un superiore generale successore di Eugenio de Mazenod. La prima giornata dell’incontro dei rettori si è conclusa con una piacevole coreografia proposta dai Ballet Pende. (fonte: pretredanslarue.blogspot.com)

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Congo

la fede in Namibia. Quali sono in particolare le congregazioni presenti oggi nel Paese? La congregazione che ha fondato questa chiesa nel 1896 è quella dei Missionari Oblati di Maria Immacolata alla quale appartengo anch’io. Vorrei anche parlare del ruolo svolto dalla chiesa prima dell’indipendenza. Abbiamo vissuto un momento difficile durante la guerra di liberazione, durata 25 anni. In quel periodo la chiesa si era mobilitata, non per fare politica, ma per incoraggiare la popolazione a lottare per la giustizia, in difesa degli oppressi, degli emarginati e contro la violazione dei diritti umani perpetrata dal regime in vigore fino al 1989, quando è iniziato il processo di democratizzazione che ha portato all’indipendenza nel 1990. La chiesa ha continuato a svolgere il suo ruolo anche dopo, partecipando all’accoglienza dei rimpatriati che erano stati esiliati in Angola, Zambia e Zimbabwe e in altri paesi. La chiesa può essere orgogliosa di questo e di quello che ha fatto dopo l’indipendenza per aiutare lo sviluppo del popolo namibiano, contro la povertà e contro tutti i mali che affliggono il nostro Paese. Siete ascoltati dai leader politici namibiani? Anche se non ci ascoltassero, diremmo quello che pensiamo lo stesso, senza paura. Il fatto di essere una minoranza non è importante. Diciamo la nostra sui temi che riguardano il Paese in diversi modi: attraverso i vari media, le nostre lettere pastorali e anche attraverso organismi ecumenici nonostante le differenze dottrinali che esistono tra le chiese cristiane. (fonte: radiovaticana.va)

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LA VITA CHE CIRCOLA L’aggiornamento nel Movimento giovanile Costruire oggi Dopo vari anni, e per la prima volta da quando il gruppo è così composto, abbiamo vissuto un incontro dei referenti nazionali di MGC News, noi che ci occupiamo ogni mese di dar vita a queste pagine su Missioni OMI e che al contempo cerchiamo di mantenere acceso lo scambio della vita di ogni zona, tramite sito e social network. Il 23 e il 24 maggio, la casa provincializia OMI di Vermicino (Roma) ci ha ospitati per il nostro incontro. L’iniziativa è nata da noi, da un’esperienza di servizio che ci ha fatti confrontare e ha creato il desiderio di incontrarci, per capire come rendere le nostre capacità una risorsa. Negli ultimi anni il gruppo è cambiato e lavorare a distanza, nonostante l’aiuto delle tecnologie, non è sempre facile. Così è nata la necessità di incontrarci per confrontarci sui problemi e dar luce a nuove idee. Eravamo sette: Andrea Cuminatto e Giovanni Mugelli di Firenze, Luisa Miletta di Roma, Raffaele

Laneve di Taranto, Lino Sicilia e Irene Benedetto di Cosenza, Domenico Pellegrino di Messina. Dopo un momento di comunione, siamo partiti con un incontro tecnico riguardante i contenuti di questa pagina della rivista e gli aggiornamenti online. Ci siamo resi conto che pochi di voi, lettori di queste righe, siete parte dell’MGC, per cui crediamo che l’aggiornamento delle nostre attività debba essere integrato con argomenti di interesse più ampio visti dagli occhi di noi giovani. E mentre p. Pasquale Castrilli ci ha dato via Skype alcuni consigli tecnici, p. Fabio Bastoni ci ha aiutati a comprendere meglio la dimensione dell’aggiornamento nella spiritualità oblata e, quindi, del movimento. “Il fondatore degli OMI - ci ha detto - esigeva aggiornamenti costanti dai suoi missionari”. La comunicazione all’interno del movimento, partendo dal carisma di sant’Eugenio, è fondamentale per vivere l’amore reciproco anche con coloro con cui non abbiamo rapporti quotidiani, ma che condividono lo stesso ideale. Lasciamo raccontare proprio dai referenti ciò che hanno vissuto e come portano avanti questo servizio. Andrea Cuminatto

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Irene Da molto tempo sono impegnata nell’aggiornamento di MGC News per la Calabria e da qualche anno coordino questo aspetto a livello nazionale. Fare questo servizio per il movimento ha sempre richiesto un impegno non indifferente, ma soprattutto una grande passione e la voglia di far circolare la vita tra le zone. Far parte di questo gruppo significa per me anzitutto partire e garantire la comunione tra noi - e a questo proposito il weekend a Vermicino è stato fondamentale - , e poi significa contribuire alla vita dell’MGC, ricordandomi quanto questo aspetto è stato importante per sant’Eugenio e quanto rappresenta un punto cardine del movimento, sin dalle sue origini. L’aggiornamento non è più solo informazione, ma diventa soprattutto il motore che mette in circolo l’Amore. Andrea Da giornalista vedo l’informazione come una necessità per una società che impari, giorno per giorno, a crescere, apprendendo dagli avvenimenti che si susseguono. La passione di sant’Eugenio per l’aggiornamento la sento mia, e credo nell’importanza di questa équipe, che aiuta il movimento a conoscersi e a migliorarsi donandosi esperienze ed esempi. Siamo nell’MGC, e di conseguenza nella società, i rappresentanti di quel diritto all’informazione che è specchio del pensiero di ognuno di noi. Luisa Nella comunione c’è un vuoto, una “distanza che chiede di essere

colmata”. Queste parole di p. Fabio sono la chiave di lettura di questi due giorni. E’ stato importante ripartire da noi, ognuno con la propria vita, gli impegni e il lavoro quotidiano, ognuno con tante storie da raccontare e la voglia di dare voce alla vita vissuta nelle proprie comunità, per condividere ciò che di più prezioso abbiamo: l’unità in Cristo. Ciò che porto dentro è proprio questo: la nostra unità. Da subito si è creata una forte armonia tra noi che per due anni abbiamo sempre collaborato da dietro uno schermo del computer senza mai poterci parlare di persona. Le idee che generalmente ci scambiamo via telefono o via mail stavolta ce le siamo scambiate tramite lo stringerci le mani, un abbraccio, un sorriso, uno sguardo d’intesa, perché la comunicazione è fatta sicuramente di parole, quelle che scriviamo ogni mese su queste pagine, ma anche e soprattutto di persone che concretizzano l’amore per l’altro mettendo a disposizione il proprio talento, per dar voce ad una vita che scorre nelle varie zone MGC, per costruire insieme, perché Gesù sia in mezzo a distanza tra le righe di questa rivista! Lino Avevo messo in agenda questo incontro e lo aspettavo con curiosità. Devo dire che è andato oltre le mie aspettative, perché ho scoperto, anzi riscoperto, l’importanza dell’aggiornamento all’interno di una zona e fra le zone, come vero e proprio modo di vivere un aspetto del carisma oblato. Riscoperto principalmente per due motivi: il primo, perché l’ho visto sotto una luce nuova, non come dovere

di cronaca, ma come “dovere” di condivisione della vita. Un po’ come sant’Eugenio, che non si stancava mai di scrivere le sue lettere. Riscoperto inoltre, perché storicamente il movimento ha sempre utilizzato qualche strumento di condivisione, quindi

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“Questo servizio per il movimento ha sempre richiesto una grande passione e la voglia di far circolare la vita tra le zone”

è stato un ritrovare qualcosa di profondamente radicato in esso. Raffaele Essere referente significa per me alimentare e curare due dei miei interessi: la scrittura e l’aggiornamento. Grazie a questo

servizio, quest’ultimo interesse ha avuto modo di maturare, tanto da comprenderne e apprezzarne veramente il senso, ovvero l’amore per il prossimo. Questo mi ha legato in modo particolare alla mia zona e, allo stesso tempo, mi ha “proiettato” per

la prima volta nella dimensione nazionale dell’MGC, e ciò mi ha insegnato ad apprezzare maggiormente lo scambio fra le zone. Questo servizio mi permette di confrontarmi con me stesso grazie alla stesura dei pezzi e di unire in un certo senso l’utile al dilettevole, ovvero lo scrivere per il movimento, cercando di far in modo che ogni notizia, esperienza scritta e condivisa, possa esprimere la sua autenticità e originalità. Domenico Scrivere per MGC News per me è stata ed è una scoperta. So bene che questa non è esattamente la parola che ci si aspetterebbe di trovare affiancata a tale esperienza, che col tempo è diventata servizio. Ho iniziato a scrivere su queste pagine circa due anni fa e, guardandomi indietro, non posso non notare con gioia quanta vita ho raccontato e quante esperienze sono state messe in comunione con il movimento. Durante l’incontro dei referenti è stato più volte sottolineato proprio come questo aggiornamento costante tra le diverse zone sia fondamentale, imprescindibile, perché chi vive e fa vivere il movimento, rimanga legato e continui ad esserne lievito. È vita che circola. E proprio in questo sta la ‘scoperta’ di cui parlavo: prima non conoscevo queste pagine. Ho scoperto tanti altri contesti e l’aggiornamento mi permette di farne parte. Ogni volta mi scopro nuovamente piccola parte di una grande comunità, che per vivere insieme, anche se distante, ha bisogno che le notizie circolino. E noi siamo qui per questo!

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una foto per pensare

foto di Giovanni Chimirri, gio.chimirri@gmail.com testo di Luisa Miletta, luli89@libero.it

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Cosa ci impedisce di prendere il largo? Forse il timore di incorrere in una tempesta, forse qualche delusione che rallenta la vita e la voglia di riscatto, forse la paura di fidarsi, di mettersi in gioco, di correre il rischio. Oppure le comodità di una vita semplice, i legami affettivi, le relazioni che come delle catene ci tengono ancorati a riva e ci impediscono di raggiungere il mare, affrontare le onde e andare. Come fare per decidere se sciogliere le catene o restare a riva? Non c’è una risposta giusta; c’è solo il nostro cuore che batte verso una direzione e c’è Dio che ci stringe la mano e ci conduce dove le nostre paure ci frenano.

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fatti

Le maratone di

padre Andy

La storia di un Oblato americano che da anni corre sulle lunghe distanze di Pasquale Castrilli OMI pax1902@gmail.com

“D

opo una maratona mi prendo sempre una settimana di riposo e poi ricomincio gli allenamenti. Per me vale sempre la regola di ascoltare il proprio corpo”. A parlare come un maratoneta navigato è p. Andrew Sensenig, missionario Oblato di Maria Immacolata statunitense. Classe 1961, Andy, come lo chiamano gli amici, è la dimostrazione che la corsa fa bene ad ogni età e soprattutto che correre è un’esperienza che investe tutta la persona.

Cominciamo con una domanda a bruciapelo: perché corri? La ragione è semplice. È l’unico modo in cui si possa volare senza avere le ali! Gli angeli hanno le ali, come gli insetti, gli uccelli e gli aeroplani, ma non le abbiamo noi umani. La differenza tra camminare e correre è che quando cammini c’è sempre almeno un piede sul suolo, mentre quando corri c’è un momento nel quale entrambi i piedi non sono a contatto con la terra. In un certo senso possiamo dire che in quel momento si sta volando… Faccio l’esperienza sulla terra di cosa significa

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A sinistra, Andy Sensenig il 9 marzo 2014 alla LA Marathon con fratel Craig Bonham OMI. Qui, padre Andy alla LA Marathon il 15 marzo 2015

42 chilometri e

195 metri

La maratona di Los Angeles 2014 è stata corsa da PADRE ANDY SENSENIG IN 5.38’54’’ mentre a Fargo ha corso sotto le cinque ore. La maratona misura 42.195 metri ed è, secondo la tradizione, la distanza percorsa da Filippide nel 490 a.C., dalla città greca di Maratona all’Acropoli di Atene per annunciare la vittoria sui persiani. In Italia

avere ali di angelo! Così quando corro sperimento una gioia pura! Che tipo di esperienza si fa quando si corre e, in particolare, quando ci si misura su una maratona o su un’ultramaratona? La mia esperienza della corsa, specialmente nelle maratone, ma anche nelle cinque e dieci chilometri, è sempre la comunità. C’è un grande gruppo di podisti, alcuni molto seri, altri nervosi, alcuni pieni di speranza, altri divertenti e buffi. Mi ricorda sempre cosa

abbiamo una lunga tradizione di maratoneti. Nomi come quelli Gelindo Bordin, campione olimpico a Seoul nel 1988 o Stefano Baldini medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atene 2004 sono molto conosciuti. Il record del mondo della maratona è attualmente del keniano Dennis Kimetto in 2.02’57’’. Alla maratona di Treviso, corsa il 1 marzo 2015, DON VINCENZO PUCCIO, sacerdote siciliano ha corso con il brillante crono di 2’29’10’’.

devono essere i cancelli del paradiso. Siamo un vasto assortimento di persone, tutti con uno stesso scopo, tutti per stare insieme, tutti che vogliono il meglio da se stessi e per ciascuno degli altri. È questo il motivo per il quale mi piace andare alle gare su strada, perché stai con la gente che vuole sperimentare l’entusiasmo della corsa che ho anch’io. È una comunità gioiosa, esattamente come quella che sperimento quando ho il piacere di presiedere la messa, in particolare nelle grandi chiese. Ci sono tante persone che arrivano

per fare l’esperienza della gioia di Cristo. Sia nelle corse che nel servizio in chiesa, siamo radunati per uno stesso scopo: sperimentare la gioia. Ci racconti qualcosa di te? Di quale parte degli Stati Uniti sei originario, quando sei entrato nella congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata…. Sono nato nella parte occidentale degli Stati Uniti, nello stato dello Iowa, ma sono cresciuto nello stato del Maine. Sono entrato tra gli Oblati nel 1989.

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Anne Morris, Barbara Webb, p. Andy, Barbara Delong, Joe Robidou e Deb Riva. Nella foto di destra, Andy “corre” con Anne Morris

Provengo da una famiglia protestante, entrata nella chiesa cattolica romana grazie a Thomas, il mio fratello minore. Come accade a molte famiglie negli Stati Uniti, i miei genitori hanno divorziato e quando i genitori si dividono la tendenza è di non frequentare più la tua chiesa. Avevo 12 anni quando i miei genitori divorziarono e mio fratello più piccolo 8. Quando avevo vent’anni, Thomas mi disse che voleva entrare nella chiesa cattolica. Tutta la mia famiglia cercò di dissuaderlo, ma mio fratello diceva che aveva trovato la pace proprio nella chiesa cattolica. Ci invitò il giorno della sua cresima. Thomas si era mantenuto sempre gentile e tranquillo, anche quando il resto della famiglia lo prendeva in giro. Questo mi impressionò molto. È stato alla cresima di Thomas che mi resi conto della pace profonda di mio fratello. Era veramente il tipo di pace che io desideravo sin dal periodo in cui i miei genitori divorziarono. Fu così che mi iscrissi al corso di cresima successivo. La mia

vita cambiò decisamente in meglio. Volevo condividere quella pace che provavo con il resto del mondo. È stata una fortuna e sicuramente la guida del Signore a farmi trovare un gruppo di uomini che a loro volta desideravano condividere quella stessa pace della Buona Notizia che viene da Cristo. Erano i Missionari Oblati di Maria Immacolata. Sono stato ordinato sacerdote a Lowell, Massachusetts, nel 1997. Sono stato parroco in solido con altri due Oblati i padri John Cox e Walter Butor in Minnesota: una missione a servizio della gente di una vasta area rurale e alla comunità dei nativi. Ma torniamo alla tua grande passione per il “running” Quante maratone hai corso fin’ora. Quando hai cominciato a correre sulle lunghe distanze? Ho cominciato a correre le maratone quando i Missionari OMI mi hanno inviato a Los Angeles. Avevo iniziato a correre quando ero in noviziato,

ispirato dal mio maestro dei novizi, p. Bill Sheehan. Correre per me era un modo economico per tenermi in forma. Sei solamente tu, le tue scarpe e la strada. Non hai bisogno di spendere tanti soldi per iscriverti ad una palestra o nell’attrezzatura. Mi sembra che la corsa si armonizzi bene anche con il nostro voto di povertà. Fu a Los Angeles che divenni amico di uno dei nostri parrocchiani che fa il poliziotto. Lui notò che io correvo mentre lui era in servizio sulle strade e un giorno, a messa, mi domandò se volevo correre una corsa di cinque chilometri. Mi piacque molto e successivamente mi iscrissi alla maratona. Era il 1999. Da quella data corsi e completai cinque maratone, dopodiché smisi di correre senza un preciso motivo. Ho ricominciato a correre quando fui inviato in Alaska. E stato bello correre con neve e freddo per festeggiare il mio ritorno al running. Corsi una mezzamaratona ad Anchorage, Alaska. Era bello tornare a correre. Successivamente corsi

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fatti

la maratona di Los Angeles il 9 marzo 2014 e la maratona di Fargo il 10 maggio successivo. Mi piacerebbe corrree una ultramaratona. Cosa dice la gente quando viene a sapere che sei un prete podista? La gente normale, quella che non corre, dice che quelli che corrono lo fanno perché è alla moda. Ma quando la gente vede come la corsa mi aiuta a controllare il peso e come essa sviluppa il mio amore alla vita… Essere obesi o comunque sovrappeso è una condizione dilagante negli Stati Uniti ed è un peccato, perché è una delle condizioni maggiormente prevenibili. Tutto quello che c’è da fare è moderare la quantità di cibo assunto, mangiare cibo buono e fare esercizio fisico. Cerco semplicemente di concretizzare quello che significa vivere uno stile di vita salutare. La lettera ai Galati dice che uno dei frutti dello Spirito è il controllo di sé (Gal. 5,22-23). Non si può predicare questo frutto se non lo vivi per primo.

Dopo aver visto come la corsa mi aiuti, alcune persone si sentono ispirate a porre dei cambiamenti nella propria vita. È qualcosa di molto simile alla ‘predica’ che mi fece a suo tempio mio fratello, Thomas, quando lo presi in giro perché stava entrando nella chiesa cattolica romana. Non gridò, né reagì, ma fu solamente un riflesso dell’amore e della gioia e questo mi ispirò a cambiare il mio stile di vita verso il bene. Inoltre mostrandomi alle altre persone che corrono le gare con me come “prete runner” , questo le può ispirare a frequentare la chiesa. Ci sono tante persone che hanno abbandonato la comunità e la fede negli Stati Uniti e così bisogna stare dove loro vivono. Istintivamente le persone che hanno abbandonato la chiesa conoscono cosa significa seguire Cristo, per questo si prendono cura del loro fisico e della loro persona. Mi sembra che correre con queste persone, podisti che hanno lasciato la chiesa, dia loro da pensare

Dopo aver visto come la corsa mi aiuti, alcune persone si sentono ispirate a porre dei cambiamenti nella propria vita che forse possono fare un nuovo tentativo verso la chiesa, dal momento che c’è un prete che è interessato alla stessa

cosa di cui sono interessati loro. In fondo quello che cerco di fare è prendere come modello mio fratello Thomas. Trasmettere gioia, incoraggiamento e pace è forse la vera missione di ogni credente. Ho dei buoni maestri: mio fratello e i Missionari Oblati di Maria Immacolata. Qual è il tuo ministero? Come fai ad inserire la corsa nei tuoi impegni pastorali e di comunità? Attualmente sono a Sitka in Alaska, Di recente sono stato un anno in Minnesota dove ero parroco associato. Era un lavoro che richiedeva molto tempo in macchina per coprire i molti chilometri di una vasta area rurale. Lì come Oblati siamo a servizio dei contadini e della comunità nativa dal momento che White Earth è una riserva indiana. Ho trovato la possibilità di allenarmi anche grazie alla generosità di miei due confratelli. Attualmente non sono parroco e i confratelli vedono la mia pratica della corsa come parte della missione. La cosa importante di questa missione è imparare come “formarsi” alle cose buone invece di dire alla gente di “fare” buone azioni. Prendere la corsa come modello è una modo per ispirare le persone e i confratelli a prendersi meglio cura di sé stessi. C’è anche stato un inizio di un gruppo podistico con i Missionari OMI. Abbiamo corso e pregato per un Oblato che combatteva con un tumore, Jim Erving. Abbiamo creato dei braccialetti di gomma gialla con la scritta “4Jim”. Giallo è il colore della speranza! Eravamo in quattro a correre per Jim: Jason Rossignol, uno scolastico oblato in Brownsville (Texas), Victoria Barrientes-Luna, a San Antonio, Texas. Becky May in Missouri ed il sottoscritto. Si può correre e pregare! Correre per me è pura gioia; non ti sembra che la preghiera in fondo sia proprio questo? n

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fatti

La pausa estiva come occasione per curare corpo e spirito

Il senso c

delle va

di Osvaldo Rinaldi, Zenit

L’

estate è un tempo di riposo in cui normalmente si rallentano o si abbandonano del tutto quelle attività che ci hanno accompagnato nel corso dell’intero anno. Il riposo spesso diventa sinonimo di ozietà e di accidia. La nostra società ci ha abituato a seguire ritmi frenetici alternati a momenti di assoluto lassismo nei tempi di vacanza. È proficuo domandarsi qual è il senso cristiano del riposo. Questa domanda, apparentemente banale e scontata, rivela la verità del nostro spirito. Infatti, concepire il riposo come assenza totale di impegni, come rifiuto di pensare ai vari problemi della vita, è una maniera poco rilassante di concepire la pausa estiva. Anche se gli sforzi della propria professione vengono accantonati, restano gli impegni della vita familiare. La famiglia non va mai in

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abitare la

speranza

Si svolge dal 27 al 29 agosto a Pontmain in Francia l’Université d’été organizzata dai Missionari Oblati di Maria Immacolata. Il tema OSER HABITER L’ESPÉRANCE! verrà affrontato con alcuni contributi dottrinali ed artistici. Tra i relatori Luc Tardif OMI dell’Università di Ottawa, Laurence Garcin, pianista e professore al conservatorio di Grenoble, Anne Clief, pittrice e docente a Aix en Provence, Rousset e Marsiglia. Quattro gli

assi portanti di questa prima Université d’été. I contributi intellettuali sotto forma di conferenze e condivisioni, l’espressione del tema con il linguaggio dell’arte con atelier creativi e rappresentazioni, spazi di fraternità e conoscenza reciproca, un tempo di pausa spirituale alla scoperta del messaggio del santuario di Pontmain. In programma anche un pellegrinaggio a Mont St-Michel.e la celebrazione eucaristica all’alba. Gli organizzatori sono tre oblati: Bertrand Evelin, Dominique Dessolin e Eric Audo.

o cristiano

e vacanze e del riposo vacanza: essere madre e padre è un mestiere che non conosce tramonto. Del resto Gesù, durante la sua vita terrena, non si prendeva periodi di vacanze dai suoi discepoli e nemmeno dalle persone che accorrevano a Lui per essere guarite o rincuorate. Gli unici momenti di vero riposo per Gesù erano quelli della preghiera, dove trovava ristoro della propria anima nell’ascolto e nel dialogo con il Padre. Questo tempo che Lui dedicava alla preghiera costituiva per Gesù un attingere quella forza spirituale per essere sempre pronto al servizio del prossimo e poter così adempiere la sua missione affidatagli dal Padre.

Tre elementi L’esempio di Gesù è di grande insegnamento per tutti noi. Il vero riposo cristiano nasce da tre elementi; ave-

l’ES PÉ RAN CE ! re momenti di intimità con il Signore, offrire il servizio della carità al prossimo, vivere la speranza come compimento della promessa di Dio. L’intimità con il Padre è opera dello

Spirito Santo che vuole condurre la nostra anima dall’arsura del deserto del mondo all’oasi di pace dell’orazione a Dio, perché vuole dissetare le nostre inquietudini con la brezza della sua ispirazione e della sua consolazione. Come il corpo cerca refrigerio durante questa calura estiva, così l’anima arde trovare una brezza di consiglio divino per essere guidata nelle proprie decisioni e confermata nelle proprie intenzioni. La relazione con Dio porta ad aprirsi verso il prossimo. Quante volte durante l’anno non si è avuto un tempo adeguato per parlare tra moglie e marito, per raccontarsi i propri stati d’animo; quante volte non è stato possibile condividere le preoccupazioni su alcuni comportamenti dei figli, quante volte si è tralasciato di comunicare quelle vicende che hanno lasciato una ferita nelle relazioni familiari; quante volte

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fatti

In riva al mare

Nell’ambito della poesia italiana il mare costituisce spesso una metafora, una rappresentazione allegorica dell’esistenza umana, con i suoi turbamenti, i suoi dubbi, la sua ricerca di verità che si riflette nel libro della natura. Una poesia del 1922 del poeta triestino Umberto Saba (1883-1957) ce ne dà una dimostrazione.

si è persa l’occasione di ascoltare silenziosamente i figli senza stare sempre ad esasperarli con tante richieste. L’altro senso cristiano del riposo è il servizio della carità. Normalmente si pensa che dedicare le proprie energie, spendersi totalmente per l’altro, produce stanchezze che non ripagano gli sforzi fatti. Chi ha avuto la fede e il coraggio di rimanere vicino ad un familiare malato, essere vicino ad un figlio colpito da grave discapacità motoria o psichica, sopportare con amore le inquietudini di un figlio ribelle, ha sperimentato le parole del Signore Gesù riportate dall’apostolo Paolo: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20, 35). In un mondo che spende tutta una vita per accumulare sempre più ricchezze, accrescere il potere lavorativo, politico e finanziario, il Vangelo di Gesù ridimensiona queste ambizioni mondane e richiama all’umiltà della carità verso il prossimo. Ed infine vi è l’ultimo elemento del riposo cristiano: vivere la speranza come compimento della promessa di Dio. La speranza è il motore del riposo cristiano. La stanchezza spirituale nasce spesso dalla sfiducia e della scoraggiamento che derivano dalle vicende della propria vita. La precarietà del posto di lavoro, una malattia silente che può aggravarsi con rapidità, l’in-

Eran le sei del pomeriggio, un giorno chiaro festivo. Dietro al Faro, in quelle parti ove s’ode beatamente il suono d’una squilla, la voce d’un fanciullo che gioca in pace intorno alle carcasse di vecchie navi, presso all’ampio mare solo seduto; io giunsi, se non erro, a un culmine del mio dolore umano. Tra i sassi che prendevo per lanciare nell’onda (ed una galleggiante trave era il bersaglio) un coccio ho rinvenuto, utile forma nella cucinetta, con le finestre aperte al sole e al verde della collina. E fino a questo un uomo può assomigliarsi, angosciosamente. Passò una barca con la vela gialla, che di giallo tingeva il mare sotto; e il silenzio era estremo. lo della morte non desiderio provai, ma vergogna di non averla ancora unica eletta, d’amare più di lei io qualche cosa che sulla superficie della terra si muove, e illude col soave viso.

quietudine per le sorti del matrimonio di parenti o amici, sono preoccupazioni che affliggono il cuore dell’uomo portando un senso di affaticamento spirituale. Confidare nella speranza di un Dio che vuole compiere la sua promessa di salvezza attraverso la nostra storia personale, dona grande pace al cuore, perché ripone le proprie agitazioni e le proprie aspirazioni tra le braccia amorose di Dio. Per concludere, il senso cristiano del riposo sorpassa il significato di assenza di lavoro o del rilassamento fisico e

mentale. Il vero riposo abbraccia l’anima e il corpo nella relazione con Dio, nel servizio al prossimo e nella speranza della realizzazione delle promesse di Dio che vuole donare una pace che supera i travagli di questa vita. Per questo il riposo cristiano trova il suo compimento nella vita eterna, dove nutriamo la speranza di essere invitati al banchetto celeste per essere serviti (Lc 12, 37) e vivere il riposo di stare per sempre con Dio ed intercedere a favore di coloro che sono pellegrini sulla terra. n

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lettere dai missionari

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Visita del cardinale Prefetto della Vita consacrata Il 14 maggio abbiamo vissuto una giornata intensa con il cardinal João Braz de Avis. C’è stato un incontro generale con tutti i religiosi e le religiose della Guinea Bissau, a Bra, una parrocchia francescana di Bissau. Tutti sono rimasti colpiti dal parlare semplice, franco e sincero del cardinale. Fra l’altro il cardinale ha parlato dell’esperienza di Fontem, in Camerun (senza nominarla esplicitamente). Quando gli ho detto che avevo passato 25 anni là, è rimasto alquanto sorpreso. Siamo andati poi tutti (circa 200) a pranzo nel palazzo presidenziale, invitati dal Presidente della Repubblica. È stata veramente una sorpresa: pochi, tra noi erano mai entrati in quegli ambienti. Dopo il pranzo

le suore hanno dato inizio a una danza che ha colpito sia il cardinale che il presidente. Il cardinale nel suo discorso ha detto che era a causa dell’accoglienza gentile del presidente che le suore avevano fatto quella danza. Il presidente, mi ha detto poi il nostro vescovo, era commosso. Nella sua risposta, diceva in continuazione che il palazzo presidenziale non è suo, ma del popolo, e che i religiosi e le religiose dovevano sentirsi a casa. Diceva poi che sarebbe andato a Roma e, con l’aiuto del cardinale, avrebbe incontrato il papa e l’avrebbe invitato in Guinea Bissau. Ha voluto poi fare una foto ricordo davanti al palazzo (nella foto il presidente è alla sinistra del cardinale). Erano presenti anche il nunzio apostolico

da Dakar e i nostri tre vescovi. Dopo la messa in cattedrale, il cardinale, il nunzio, i vescovi e altri, sono venuti a cena nella nostra comunità di Antula. Celso Corbioli OMI Bissau, Guinea Bissau celsocorbioli@omimissio.net

Il missionario parte Queste riflessioni sono sui nostri tre sacerdoti oblati recentemente partiti per le missioni. Sono segno che nella nostra provincia religiosa mediterranea l’ansia missionaria è viva. “Se manca il coraggio e la gioia di partire non si può avere uno spirito missionario che realmente arrivi a tutti e c’è il rischio di una mancanza di vita nuova e di autentico spirito

evangelico che ci porta a vivere senza fedeltà alla Chiesa e alla propria vocazione”, ha detto papa Francesco. S. Eugenio de Mazenod ai nostri tre missionari rivolge queste parole: “Voi siete usciti dal mio cuore per volare alla conquista delle anime, e possiamo ben dirlo delle anime più abbandonate perché dove si potrebbero trovarne di più bisognose di quelle dei poveri che non conoscono Dio che ci ha chiamato a evangelizzare con un privilegio inapprezzabile? Siete strumenti della misericordia di Dio per questi poveri”. Un grazie sentito va ai tre missionari che hanno accolto l’invito del Signore a partire e mi auguro che il loro esempio rinnovi nel cuore di tutti “l’ambizione

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P. Sante Ronchi (a destra nella foto) con mons. Ramiro in Venezuela. Nella foto accanto p. Giuseppe Calderone in Uruguay

di abbracciare, nei santi desideri, l’immensa distesa della terra intera”(S. Eugenio). Ringrazio p. Sante Ronchi destinato alla missione del Venezuela. E’ un montanaro bellunese dal cuore d’oro che ha lavorato nella formazione, nella missione della Romania e che ha il coraggio di rispondere a questo nuovo invito. Ringrazio p. Roberto Gallina, bresciano mite e gentile che insieme a un confratello senegalese inizia nella povertà più estrema una nuova missione in Guinea Bissau. Ringrazio

p. Giuseppe Calderone di Oppido Mamertina (Rc) che con l’entusiasmo della sua giovinezza, la mitezza e la fierezza del suo carattere e della sua terra calabra ha raggiunto i suoi confratelli in Uruguay. Il missionario parte perché non può farne a meno. Parte perché “l’attività missionaria è intimamente congiunta con la natura umana e con le sue aspirazioni” (Ad gentes 8). Il missionario parte, perché è stato raggiunto da una chiamata, e non era soltanto uno squillo

di cellulare. Parte perché “gli uomini di oggi, troppo presi da interessi scientifici e tecnologici, non perdano il contatto con le realtà divine” (Ad gentes 11). Parte perché è amato e ama. Parte perché crede. Il missionario parte dalla propria vita di prima, che non era brutta, ma non bastava. Parte dai propri affetti che restano e si approfondiscono nell’amore per tutti. Parte dalle sue convinzioni e dai suoi pregiudizi. Il missionario parte verso paesi stranieri, ma anche verso gli stranieri che giungono nel suo paese.

Parte verso i lontani che non sanno ancora di essere amati da Dio, ma anche verso i vicini che lo hanno dimenticato. Parte verso la sofferenza manifesta, mascherata o rifuggita. Il missionario parte per “rivelare e comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini e a tutti i popoli” (Ad gentes 10). Parte per imitare Gesù che “penetrò nel cuore degli uomini per portarli attraverso un contatto veramente umano alla luce divina” (Ad gentes 11). Il missionario parte perché è cristiano e “i cristiani, avendo dei doni differenti, devono collaborare alla causa del vangelo, ciascuno secondo le sue possibilità, i suoi mezzi, il suo carisma e il suo ministero. Tutti, dunque, coloro che seminano e coloro che mietono, coloro che piantano e coloro che irrigano, devono formare una cosa sola, sicché «tendendo tutti in maniera libera e ordinata allo stesso scopo», indirizzino in piena unanimità le loro forze all’edificazione della Chiesa” (Ad gentes 28a). Il missionario parte addirittura restando, ma con occhi e cuore attenti alla realtà che lo circonda. Dino Tessari OMI

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lettere dai missionari

Qui Uruguay di Antonio Messeri OMI antoniomesseri@omimissio.net

Un collegio missionario Quest’anno sono 240 i bambini iscritti al Collegio San José del Cerro, dalla materna di tre anni fino al sesto anno delle elementari. È il numero più alto degli ultimi anni. Molte famiglie ci conoscono e decidono porsi in questa “avventura”.

MISSIONI La proposta è essere un collegio missionario, non potrebbe essere altrimenti. Mi ricordo che il precedente vescovo di Montevideo quando venne in visita pastorale, quasi dieci anni fa, domandava ai bambini cosa volevano essere da grandi. La risposta era sempre la stessa: missionari! Stupito, mi diceva: “Non può essere, dicono sempre missionari!”. Quando uno cade in un bidone di vernice azzurra, tutto quello che tocca si colora di azzurro. La missione sta stimolando da alcuni anni tutta l’America latina ed il papa ce lo sta dicendo continuamente: andare incontro all’altro, fare il primo passo, contagiare la gioia della nostra fede. I bambini lo capiscono al volo, i grandi un po’ meno. Quando ho chiesto ai bambini di fare un disegno di come vedono la loro scuola sono rimasto sbalordito da quello che provano ad essere alunni del San José OMI. Viva la Missione!

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Qui Thailandia di Domenico Rodighiero OMI rodighiero.domenico@gmail.com

Dare speranza ai rifugiati Una sfida per noi sono i rifugiati. La parrocchia dà un aiuto a queste persone e ogni mese distribuiamo circa 170 pacchi viveri a famiglie in difficoltà. Ma questa gente non ha bisogno solo di cibo. I pakistani arrivano in Thailandia, perché sono una minoranza cristiana perseguitata. Un amico di Karachi, papà con

quattro figli, mi ha invitato a benedire la sua casa. Quando ho visto le foto di suo padre, cristiano, che era stato accoltellato dal suo vicino per invidia, ma con la scusa di aver detto cose contro il ‘profeta’, ho toccato con mano la follia umana. Chi vive situazioni del genere ha bisogno di cibo, ma anche di speranza ed è per questo che ho deciso di visitare le comunità pakistane a Bangkok e celebrare la messa con loro, regolarmente. Vorrei che sentissero che il Dio del perdono, il Dio dell’amore che non conosce limiti è con loro e che la comunità cristiana non li lascia soli. Celebro la messa in stanze piccole, chiuse e senza aria, la gente che partecipa è di solito povera e senza lavoro. Le nostre messe sono solenni: nelle terrazze dei condomini sotto la volta della più bella cattedrale che Dio ci ha dato.

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200 anni

In cammino verso i 200 anni dalla nascita dei

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La relazione tra la comunità apostolica e la missione Siamo una comunità apostolica in missione, responsabile del messaggio di Gesù Cristo che trasforma e dà la vita: «Dobbiamo osare tutto per il Vangelo» Sant’Eugenio de Mazenod

Costituzioni e regole oblate Noi compiamo la nostra missione nella comunità a cui apparteniamo e mediante essa. Le nostre comunità hanno dunque un carattere apostolico. Nella misura in cui cresce tra loro la comunione di spirito e di cuore, gli Oblati testimoniano davanti agli uomini che Gesù vive in mezzo ad essi e fa la loro unità per mandarli ad annunciare il suo Regno. (Costituzione 37)

Una visione condivisa Come Eugenio de Mazenod, ci riuniamo attorno alla persona di Gesù Cristo

CONDIVISIONE Abbiamo sempre dimostrato di essere stati «riuniti» in questo modo? La gente lo nota? SI, mostriamo chi siamo. Le persone spesso commentano positivamente il nostro spirito di famiglia accogliente. Il nostro legame fraterno è forte. NO, non è evidente Ci sono situazioni in cui la vita piena di comunità, al di là di alcuni momenti, in realtà non esiste.

IMPEGNO Scelgo di vivere in comunità come mezzo per essere costantemente evangelizzato e testimoniare il Regno di Dio nella nostra storia.

200 ANNI Missionari Oblati

LA PAROLA DI DIO

Gesù chiama i dodici apostoli.

di Maria Immacolata

1816-2016

Marco 3, 13-19 per formare un cuore solo. Riconoscendo che ciò che sogniamo da soli rimarrà sempre un sogno, ma ciò che sogniamo con gli altri può diventare una realtà, riconosciamo i limiti del singolo e il valore della comunità. La visione è reale solo quando è condivisa: questo è ciò che Eugenio de Mazenod ha scoperto durante la sua vita. La comunità è una visione condivisa! • Ci riuniamo perché abbiamo visto il Signore. I membri di questa famiglia stanno insieme perché, come Eugenio, si sono lasciati toccare dallo sguardo d’amore del Salvatore.. • Ci riuniamo come famiglia che invita gli altri a venire a vedere con noi lo stesso Signore: La missione ci invita ad andare verso i più abbandonati, a stare con loro e ad entrare in un processo di arricchimento reciproco con l’ascolto e condividendo la nostra esperienza. • Ci riuniamo perché riconosciamo il volto del Salvatore in coloro che sono abbandonati: La nostra identità è essenzialmente legata alla comunità. Se dovessimo perdere il senso della comunità, non saremmo più Oblati. Ciò che ci rende diversi, ci rende Oblati,

non è la chiamata che abbiamo sentito individualmente, ma il fatto che siamo stati «riuniti», dalla «chiamata di Gesù Cristo» (C 1). La comunità apostolica è per noi una questione importante, una realtà non negoziabile da cui dipende il nostro futuro. Wilhelm Steckling OMI.

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Cicuéndez J. M., Perera A., Eugenio de Mazenod. Cuore di fuoco. Volume a fumetti. Versione italiana a cura della Procura delle Missioni Estere Editrice Missionari OMI, p. 64, 5 euro Un fumetto sulla vita di S. Eugenio de Mazenod, fondatore dei Missionari Oblati di Maria Immacolata. Presentazione di p. Louis Lougen, superiore generale OMI. “Il racconto si articola intorno a un viaggio nel tempo e nello spazio, dove il protagonista , fra sogni ed evocazioni del passato, ci narra i principali capitoli del percorso della sua vita”, scrive nell’introduzione Maria del Pilar del Amo, storiografa e critica d’arte. Per acquistare il fumetto telefonare al numero 06.9408.777 (ore ufficio) o scrivere a editrice.missionari.omi@omi.it

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