Filo d’Ombra - Battaglia in mensa

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Mirko Montini

BATTAGLIA IN MENSA

Illustrazioni di Bruno Testa


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Battaglia in mensa

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lamentele e RIBELLIONE

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a mensa era ancora deserta, i tavoli già apparecchiati, le sedie in ordine, la luce soffusa. Solo la cucina dava segni di vita: dalla fessura di una porta socchiusa sgattaiolavano il profumo di cibo e il suono attutito delle pentole. Alle 12:30, la campanella trasformava in pochi minuti il deserto in giungla, il silenzio in baccano e l’ordine in disordine. I centoventi alunni della scuola primaria G. Rodari – i grandi davanti e i piccoli dietro – si lanciavano in mensa come pirati all’arrembaggio, occupando i loro posti ai tavoli. Le inservienti spalancavano la porta della cucina, afferravano i carrelli e servivano il cibo. Un minuto di silenzio. «Non mi piace!»

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«Questo non lo mangio!» «Che schifo!». Erano le frasi che si levavano in coro da ogni angolo del salone. E dopo i lamenti, riprendeva la battaglia che durava dall’inizio dell’anno scolastico, quando il dirigente decise che nella nuova scuola i ragazzi non avrebbero più pranzato a casa. Una ribellione. Una vendetta. Alle 13:30, tornato il silenzio, i tavoli erano invasi da piatti carichi di avanzi, le posate in terra, il pavimento coperto da una poltiglia biancastra, il cibo ovunque, persino sui muri. Una scena che si ripeteva identica ogni giorno in mensa, senza cambiare di una virgola: prima le lamentele dei grandi, poi i rifiuti dei più piccoli, i rimproveri degli insegnanti e, al colmo del baccano, la sfida a colpi di pane, pasta, carne, patate, acqua e… chi più ne ha, più ne metta. Da settembre a dicembre, furono sostituiti ben quattro cuochi, considerati dai genitori «Non all’altezza del loro importante lavoro». Ma quel mercoledì di gennaio, rientrati dalle vacanze natalizie, qualcosa faceva la differenza, una presenza misteriosa mai vista. Non era esattamente in mensa, la cosa svolazzava sopra di essa, non dentro, fuori, sul tetto. La si intravedeva dalle finestre traslucide e 5


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verdognole del soffitto. La cosa andava e veniva, sbirciava e scappava via. Solo tre alunni se ne accorsero, e gli altri‌ nulla. A Simone, al fratellino Matteo e ad Alessia quella cosa non passò inosservata.

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nuova sc PRANZO IN MENSA

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a scuola primaria G. Rodari si trovava accanto al parco del paese. Era un nuovissimo edificio, inaugurato a fine agosto, che prese il p o s t o della vecchia scuola appiccicata al municipio. Un nuovo anno scolastico, dunque, in una nuova scuola molto più spaziosa, a norma di legge, con palestra attrezzata e ampio refettorio per la mensa. Le classi erano soltanto cinque, ma non mancava il posto per la doppia sezione e i laboratori. La vecchia scuola era troppo stretta, fatiscente, le classi su un unico corridoio, i banchi ammassati uno addosso all’altro, ginnastica all’aperto solo con il bel tempo. E il pranzo a casa. Alle 12:30 suonava la campanella, tutti fuori. Alle 14:10 risuonava, tutti dentro. Ma le classi non erano mai al completo: chi arrivava cinque minuti dopo, chi dieci, chi mezz’ora.

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Ormai un’abitudine. Ognuno aveva la propria scusa, scritta sul diario da un parente. Persino gli insegnanti non erano puntuali, tanto che il dirigente, al limite della pazienza, trovò la soluzione: «Care famiglie, l’istituto è ormai vecchio. Impossibile l’ampliamento, troppo costosa la ristrutturazione. Il sindaco chiederà i finanziamenti per una nuova scuola. E avremo anche la mensa interna!». Tre anni dopo, la nuova scuola G. Rodari, prefabbricata, antisismica, rosso mattone a righe verdi, si ergeva accanto ai giardini. Nessun problema per l’organizzazione delle attività, tutto restava come prima. Tutto, eccetto un particolare: il pranzo. «Per cinque volte la settimana, gli alunni mangeranno in mensa. – comunicò il dirigente nella riunione di presentazione del nuovo anno scolastico – Offriremo loro un cibo sano, nutriente e controllato.» Le famiglie non fecero obiezioni, anche perché risultava più comodo non preparare il pranzo ogni giorno ai loro figli. Stabiliti i costi, trovata una cuoca specializzata e un gruppo di inservienti, il primo giorno di mensa accolse i ragazzi. 9


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NON MI PIACE!

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a cuoca Giovanna preparava il cibo a regola d’arte, aveva lavorato in un ristorante a tre stelle di Milano Marittima, poi preferì dedicarsi alla famiglia e lasciò il lavoro. Ma non soffocò la grande passione per la cucina, infatti in paese era molto conosciuta per le speciali pastasciutte. Gliene facevano preparare a palate durante la sagra. Quando i genitori seppero che Giovanna sarebbe stata la cuoca della scuola, ogni loro dubbio sulla qualità del cibo nelle mense si dissolse. «Siamo tranquilli, i bimbi non prenderanno la salmonella.» Purtroppo i figli non si comportarono allo stesso modo. Già all’ingresso del refettorio si vedevano facce disgustate, nasi tappati, e il massimo del rifiuto accadde nel momento in cui le inservienti servirono i piatti.

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I ragazzi non assaggiarono, annusarono soltanto, spingendo il piatto avanti a sé. «Non mi piace, bleah» recitò Antonio di quinta. E dopo di lui, i compagni gli andarono dietro. Una baraonda che rimbombava nel refettorio come rulli di tamburi. Gli insegnanti urlarono come pazzi per sedare il baccano, ma la rivolta si fece più potente. Dai tavoli della quinta partirono cannonate di risotto giallo che attraversarono la mensa in direzione dei tavoli al lato opposto. I piccoli contrattaccavano con fionde di mollica di pane mischiate al rollè di tacchino, e frisbee di finocchi con missili di pomodorini. Cibo dappertutto. «Basta!» tuonò Giovanna. E la rivolta si placò. Solo per quel giorno. Ma Antonio di quinta continuò a infuocare gli animi: «Non basta, ancora di più, raga!». A nulla servirono il rimprovero del dirigente e l’intervallo saltato, i ragazzi avevano trovato la scusa giusta da propinare ai genitori: «Il cibo non sa di niente, non è buono, annega nell’olio, è mezzo crudo». La bravura di Giovanna fu subito messa in dubbio: «Forse ha perso l’abitudine, i bambini di oggi sono esigenti, non siamo in ospedale o in una casa di riposo». I genitori minacciarono il dirigente di trasferire i figli in un’altra scuola, se non avesse preso seri provvedimenti contro la cuoca. 11


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La classe quinta avrebbe lottato fino allo stremo delle forze pur di riportare il pranzo a casa. Antonio lavorava per costruire un grande esercito di contestatori. 12


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se lo dice LA QUINTA…

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a mensa era dunque gestita dai ragazzi di quinta che, per tradizione, rappresentavano il comando supremo. Il capo: Antonio, occhio destro strabico che guardava sempre verso il naso; il più alto della classe, magro da far paura, gambe e braccia lunghissime, polemico e leader per natura. Ora, nella nuova scuola, il problema era la mensa; gli anni scorsi furono il freddo in classe, la ginnastica ogni tanto, gli intervalli troppo corti, i compiti troppo lunghi e molto molto altro. Le classi seconda, terza e quarta seguivano con i paraocchi, senza farsi tante domande: «Se lo dice la quinta di Antonio, va bene». Era la regola condivisa. Come ogni anno, però, c’erano i primini da indottrinare e bisognava farlo presto, il primo giorno di scuola a settembre. Tre giorni a disposizione prima del tempo pieno, prima della mensa.

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Mercoledì all’intervallo delle 10:30. La classe quinta andò in prima a salutare i bambini. I maschi dai maschi e le femmine dalle femmine. Un piccolo saluto, un semplice scambio di nomi e la promessa di tornare il giorno dopo a giocare insieme. Giovedì all’intervallo delle 10:30. Promessa mantenuta. La classe quinta tornò dai primini. I maschi giocavano con i maschi, le femmine con le femmine. E ogni tanto Antonio lanciava messaggi del tipo: «Noi siamo i più grandi. Se vi disturba qualcuno delle altre classi, noi vi difendiamo. Noi giochiamo con voi, ma voi dovete fare quello che facciamo noi». Venerdì all’intervallo delle 10:30. La quinta aveva la prima in pugno. Si parlò della mensa, del cibo cattivo, della cuoca incapace, dell’opportunità di tornare a casa a mangiare. E quest’ultimo aspetto raccolse il consenso dei piccoli. «Potrete tornare a casa e mangiare quello che vi piace con la mamma o il papà o i nonni o la tata. Non è bellissimo? Se ci aiutate, potrete giocare sempre con noi» confermò Antonio. Ventidue bambini di prima, al terzo giorno di scuola, non ancora ben inseriti, non poterono far altro che sostenere le idee dei loro nuovi amici di quinta e del loro capo. E difatti, il lunedì successivo, la scuola al completo era schierata contro la cuoca Giovanna e tutto il suo staff. 14


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Questo era l’ordine da rispettare: un minuto di silenzio davanti al piatto, finché dalla quinta non saltava come un grillo il primo “Non mi piace”, e così iniziava il coro delle lamentele e subito dopo la battaglia. Giovanna durò soltanto una settimana.

GIOVANNA

professione:

CUOCA

pratica n.1

ARCHIVIATA

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