Lenza Popotino

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MIRKO MONTINI

L E N Z A P OP O T I N O MAMMA CQC

ARPEGGIO LIBERO


LA MIA MAMMA GUIDA I PULLMAN. «È impossibile – diceva Ale – le mamme non guidano i pullman». «Perché?» chiedevo io. «Perché non ho mai visto una mamma che guida un pullman» rispondeva Alice. E Chiara aggiungeva: «Guidare i pullman non è un lavoro da mamme». «Gli uomini guidano i pullman. Le donne sono spiegava Mattia. Le mamme dei miei amici non guidano i pullman e mai si sognerebbero di farlo. LE LORO NO, ma la mia mamma SÌ. «I sogni non sono tutti uguali e un giorno ve lo dimostrerò!» giurai arrabbiato.

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La mamma di Ale fa l’estetista, la mamma di Alice lavora in un negozio di vestiti, la mamma di Chiara è una prof di matematica, la mamma di Mattia è il capo di una fabbrica di profumi. Poi c’è la mamma di Andrea che fa l’avvocato, quella di Sara lavora in banca e quella di Mohamed fa la casalinga.

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Una mamma è architetto, l’altra maestra, l’altra segretaria. Una è vigile, un’altra infermiera e un’altra ancora cucina nei ristoranti. TUTTI LAVORI CHE FANNO LE ALTRE MAMME, che a loro piacciono, ma la mia NO. La mia mamma guida i pullman e ha sempre sognato di farlo. Fin da bambina. Quando qualcuno le chiedeva: «Renza, cosa vuoi fare da grande?», lei non aveva dubbi: «Autista dei pullman!». Mentre tutte le bambine sognavano di fare la principessa, la ballerina, la maestra, la cuoca, la scrittrice, la disegnatrice, RENZA SOGNAVA DI GUIDARE I PULLMAN. E dopo un po’, molto molto dopo, aggiunse un altro sogno: diventare mamma. Così non è troppo diversa dalle altre. Alle superiori, in classe con la mia mamma, c’era la sua migliore amica Luisa che voleva giocare in una squadra di calcio. Ma i suoi genitori non volevano, e lei si accontentò di suonare il pianoforte ai concerti.

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In mezzo alle altre mamme, MAMMA RENZA È COME MANGIARE IL SUSHI. A molti piace, ad altri NO. Io lo adoro. Renza è una mamma che nessuno, o quasi, si aspetta di vedere. Chissà perché quando si pensa a una mamma, dobbiamo avere tutti la stessa idea. La mia ha i capelli cortissimi, camicia di fuori, pantaloni larghi e scarpe da ginnastica, se non ha la divisa del lavoro. Niente trucco, niente gonne, niente calze da donne, niente tacchi. Non gliene importa nulla. «Mamma, perché non ti vesti come le altre mamme?» «Ognuno si veste come vuole. – risponde lei – Non esiste una divisa per fare la mamma».

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Un giorno, mentre aspettavamo di entrare a scuola, una voce disse: «ECCO IL MAMMO!». Io mi arrabbiai moltissimo: «È la miAAA mammAAA!». «Tranquillo! – mamma mi pregò di smetterla – Quella signora è abituata a parlare male degli altri. Non perdiamo tempo». Prima le brutte voci mi davano fastidio, adesso non più. Alcune mamme vogliono essere talmente belle che diventano ridicole. Gian continuava a chiamare la mia mamma Renzo, e io piangevo sempre come un disperato. Poi la mia mamma mi fece vedere la mamma di Gian, e insieme ci spanciammo dalle risate. Più che una mamma, sembrava una bambolina di plastica. Io non vorrei mai quella mamma. 12


La mia mamma non perde mai la pazienza. Adesso. Ma da piccola un po’ SÌ. Non sopportava i giochi del principe e della principessa, del marito e della moglie, della mamma e dei bambini. Le sue amiche giocavano solo a quello. LEI VOLEVA ANDARE IN BICI TUTTO IL GIORNO E FAR FINTA DI GUIDARE IL PULLMAN. 13


ma i maschi non le permettevano mai di fare L’UOMO RAGNO, il suo preferito, che noi conosciamo come SPIDERMAN. Allora si accontentava di essere una specie di donna-ragno a bordo di un pullman lancia-ragnatele. Con le femmine era piĂš complicato, però si era inventata una parte per stare bene anche con loro: guidava la carrozza che portava la principessa al castello.


Ma un giorno la sua pazienza scoppiò. Tutte le bambine spalle. E la nonna Gianna convinse Mamma Renza a tenere i capelli lunghi, così sembrava una bambina come le altre: «Hai dei capelli neri meravigliosi. Una pelle bianca come la neve». Niente gonne, niente camicette con il pizzo, niente color rosa confetto, MA I CAPELLI FINO ALLE SPALLE SÌ! Nonna Gianna, accontentata. Con il broncio.

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La mamma mi raccontò che le sue amiche giocavano spesso a BARBIE-CAPELLI-AL-VENTO. Davanti a uno specchio con le lucine, si pettinavano, si lisciavano la chioma, creavano acconciature. Invece Renza si faceva sempre la coda con l’elastico, da sola,

LE DAVANO TROPPO FASTIDIO QUEI LUNGHI CAPELLI. Come avrebbe potuto vedere bene la strada in sella alla bici-pullman? Un pomeriggio, si unì al gioco Christian, che da grande voleva fare il parrucchiere. «Chri – disse la mamma – fai il parrucchiere sul serio e non da gioco!» Christian non ci pensò due volte e, con le forbici di Serena, tagliò la coda a Renza.

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Tutte le bambine erano sconvolte, invece mamma rideva dalla gioia. Era l’ultima volta che vide i suoi capelli

«RENZA-BIANCANEVE… STECCHITA!» sospirò soddisfatta. Renza regalò la coda a una parrucchiera vera, la mamma di una sua compagna, in cambio di un biglietto di andata e ritorno sul pullman. Senza dirlo alla nonna. Ed è convinta che i suoi capelli siano ancora in giro sotto forma di parrucca.

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«Te la immagini sulla testa della mamma di Gian? Ah ah ah» Che matta, Renza! Ogni volta che lo ricordiamo, ci sbudelliamo dalle risate. Almeno ogni mese e mezzo, quando è il momento della tinta. La mamma non vuole i capelli lunghi e tantomeno grigi, quindi la aiuto a pitturarli – come dico io – di nero. Ci divertiamo un sacco, ma non sempre il risultato ci piace. A volte sembra che alla mamma sia caduta una latta di vernice sulla testa. «Non importa – dice lei ridendo – SONO ESPERIMENTI, MIGLIOREREMO!» Ma quando ripenso ai suoi lunghi capelli e alla coda tagliata, mi viene in mente il mio papà. Mamma lo ha sempre chiamato RAPERONZOLO, anche se di capelli ne aveva pochi. 19


Le mamme dei miei amici chiamano il loro marito: «Amore, Amo, Tesoro, Gioia» o per nome. Mamma Renza chiamava il suo: «Raperonzolo». MAMMA E PAPÀ SI INCONTRARONO SU UN PULLMAN VENTI ANNI FA. Papà lavorava allo sportello di una banca e un giorno la macchina lo lasciò a piedi. Il nonno non poteva andare a prenderlo, così papà decise di tornare a casa in pullman. E salì proprio sul pullman che guidava la mia mamma. Papà trovò un posto davanti per non vomitare, lui soffre i pullman. Durante il viaggio, guardava la mia mamma dallo specchietto. In continuazione. «Ha paura di una donna che guida un pullman?» disse la mia mamma.

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Il mio papà diventò tutto rosso: «No, no… è solo che… è la prima volta che ne vedo una». «Magari non sarà neppure l’ultima» fece l’occhiolino Renza. Dopo quel viaggio, mio papà continuò a prendere il pullman e si innamorò dell’autista. Anche l’autista si innamorò, MA LA STORIA D’AMORE FU MOLTO DIFFICILE.

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