Cose così 1 - Non so che dire

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Massimo Pozzato

Cose Così scritte dal 2006 al 2021 in “Non so che dire” e riportate in ordine cronologico.. Il libro può essere letto anche qua e là e pertanto qualche ripetizione è necessaria.

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1. Non so che dire 2007 Imposte e Tasse Si sa che le tasse vanno pagate per godere di uno specifico servizio mentre le imposte sono dovute indipendentemente da una effettiva fruizione. Teoricamente le tasse sono in qualche modo volontarie, le “imposte” sono imposte. Quanto più l’imposizione è collegabile e congrua ai servizi forniti in cambio tanto più è capita e accettata. Anche se mai si abbisognasse di forza pubblica, giustizia, sanità, scuola, politica, eccetera, sapere che all’occorrenza questi servizi verrebbero forniti efficientemente rende del tutto giustificato il pagamento di giuste imposte, per la possibilità di averli. In caso contrario l’imposizione è percepita come un sopruso. Per norma costituzionale il tributo è progressivo, cioè se il reddito di A è il doppio di quello di B, A paga più del doppio di imposta. Lo strano è che più imposte uno paga meno ha diritto ai servizi che sono forniti grazie ad esse. Alla progressività dell’imposte si aggiunge quella delle tasse e chi evade le prime viene premiato con una riduzione delle seconde. Sarebbe più semplice, meno iniquo e meno costoso se, una volta fatte pagare adeguatamente le imposte, i servizi fossero offerti a tutti i cittadini alle stesse condizioni, anche


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a chi mai avrà occasione di utilizzarli grazie al suo reddito. Le risorse disperse per gestire tassazioni e esenzioni potrebbero concentrarsi sulle imposte: più semplice e pratico, ma meno demagogico. L’apparato statale L’apparato statale per una parte degli italiani è una vacca da nutrire, per un’altra parte è una vacca da mungere, una terza parte è la vacca. Chi la nutre pensa che potrebbe mangiare di meno o non esserci, chi la munge pretende che sia ben nutrita e la vacca è d’accordo con i mungitori. Lavoratori dipendenti. Si dice che sono gli unici contribuenti onesti. In realtà chi lavora “in nero”, volente o meno, evade le imposte. Del lavoratore cui viene trattenuta regolarmente l’IRPEF si dice che è un contribuente onesto, se invece questo non avviene è il datore di lavoro che evade il fisco. Capita però che qualche lavoratore accetti di fare straordinario solo a condizione che non sia gravato d’imposta, capita che sia il lavoratore a richiedere di lavorare in nero. Non saranno grandi evasori, ma, nel loro piccolo sono evasori: forse vittime, forse colpevoli, forse complici. Non è detto poi che chi lavora in aziende serie che mai acconsentirebbero a non effettuare le regolari ritenute sia del tutto onesto. Ci saranno senz’altro lavoratori dipendenti che mai hanno comprato qualcosa da venditori illegali, mai hanno dato soldi a qualcuno senza regolare fattura o scontrino, mai hanno ricevuto somme senza assoggettarle a imposta; ma ce ne sono altri che così non si sono


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comportati, magari in buona fede, magari perché non è sempre facile osservare norme complicate, contraddittorie, ambigue, magari perché non se la sentono di inimicarsi il fornitore, magari andando a “lucciole”. Negozianti Godono fama di essere capaci evasori, cittadini disonesti. In realtà non sempre rilasciano lo scontrino ma se fossero gli unici disonesti, se gli onesti rifiutassero di servirsi da chi non dà lo scontrino, finirebbero per vendersi le merci fra di loro. Il problema non è che tutti i commercianti evadono le imposte, ma che non tutti le pagano nella misura dovuta, il che finisce per favorire i più disonesti. Se non fosse per rispetto del principio che le norme devono valere per tutti, che la legalità deve essere fatta rispettare da tutti, è pressoché indifferente che tutti i negozianti paghino le imposte o che non le paghi nessuno; alla fine a pagare effettivamente è solo chi non può rivalersi dei maggiori costi. Valga quale esempio quanto è accaduto con l’introduzione dell’euro, quando i nuovi importi si sono ottenuti dividendo gli stipendi per 1936,27 e i prezzi di molte merci per circa 1000: in pratica tutti hanno aumentato il prezzo e il cliente l’ha accettato. Chi aveva concordato il cambio ufficiale sostiene che è tutta colpa del governo seguente non avere impedito ai disonesti di approfittarne: giudizio che sembra conservare una residua mentalità non liberista e ignorare che anche le Coop amiche praticano prezzi non molto diversi da quelli dei concorrenti. Se tutti i negozianti pagassero le imposte, senza la concorrenza


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sleale di chi non le paga non rinuncerebbero a scaricarne il costo sui clienti, i quali pagherebbero forse meno imposte ma sicuramente di più per gli acquisti. Il contrario succederebbe se tutti non pagassero le imposte, con fattori invertiti e totale invariato ma con evidente danno per l’immagine di equità e legalità. Credo che, escludendo i venditori immigrati abusivi, almeno dove vivo siano pochi coloro che non pagano le tasse per servizi o diritti e che siano molti di più quelli che non rilasciano scontrino, ma ignoro se siano tutti tenuti a farlo o se vi siano categorie esentate. In ogni caso non mi pare una via percorribile richiedere ai clienti di boicottare gli evasori: anche se l’ignoranza suddetta fosse solo mia, anche se l’onestà fiscale fosse di tutti i clienti, credo che chi non ha cambiato fornitore per evitare aumenti di prezzo che lo colpivano direttamente non lo farebbe per senso civico e ipotetica maggiore equità. Imporre ai cittadini di richiedere la ricevuta sotto pena di sanzioni mi sembra ingiusto e vessatorio; sanzionare, com’è successo, chi non emette scontrino per una caramella regalata a un bimbo o fa una vendemmia con gli amici rende odioso e ridicolo il sistema e alimenta il sospetto che esso si occupi di piccole cose trascurando quelle importanti, sia forte con i deboli e magari corruttibile con i forti. Invece di usare solo bastone e minacce, potrebbe essere anche opportuno rendere in qualche modo conveniente l’onesta denuncia del reddito: se invece di far pagare più tasse a chi più ha già pagato d’imposta si concedessero più benefici (facilitazione di accesso ai mutui, concessione di licenze o


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qualsiasi altra cosa gli esperti possano suggerire) sarebbe meno conveniente la falsa denuncia. Liberi professionisti Sono i più accreditati fra gli evasori, salvo per la parte assimilabile a lavoro dipendente. Penso sia capitato a chiunque di sentirsi dire che la prestazione costa 100 e 120 con IVA, con facoltà di scelta più o meno esplicita. La risposta sarebbe ovvia se la spesa fosse detraibile dal reddito: pago 120 invece di 100, ma avrò meno IRPEF per 20. Io sono onesto, il fisco ci guadagna l’ IVA e sicuramente più di 20 di IRPEF dal professionista che considerando le imposte nel calcolo di 100 non ci rimette niente, non ci sarà evasione fiscale e vivremmo in un Paese come altri in cui solo delinquenti non pagano le imposte dovute. Per motivi che ignoro, ma che forse potrei immaginare, così non è e il cliente si trova a scegliere. Se è assolutamente onesto e disposto a pagare di più di tanti altri sceglierà 120. Se la sua onestà è pari a quella del professionista vorrà partecipare ai suoi vantaggi e chiederà di pagare meno di 100. Se fondamentalmente è corretto e onesto ma sa che così non è il fisco con lui, avrà qualche dubbio e qualche rimorso comunque faccia. Sportivi, artisti, aziende Naturalmente, potendolo fare, si stabiliscono dove meglio credono nel vasto mondo. Vasto e piccolo. Con gli attuali mezzi di comunicazione si può essere ovunque contemporaneamente in modo immateriale e nello spazio di


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poche ore di persona. Non vi è quindi motivo di non stabilire la propria residenza dove il clima è migliore, le spiagge più belle, il sole più caldo, la neve più soffice o il fisco meno esoso. Compete ai governi valutare il giusto appetibile equilibrio tra quello che si può avere e quello che si deve dare nel loro Stato, sapendo che “chi troppo vuole, nulla stringe”. La Legge Non ne capisco bene il perché, ma sembra che ogni anno alle spese dell’anno prima si aggiungano nuove spese e conseguentemente si debbano aggiungere nuove entrate, anche se queste aumentano con l’inflazione e il PIL. E così ogni anno alle norme esistenti si aggiungono nuove norme, ogni anno per cercare di fare correttamente la denuncia dei redditi si devono leggere fascicoli sempre più voluminosi, aumenta la possibilità di sbagliare e subire sanzioni, mentre i caratteri di stampa del modulo diventano sempre più piccoli per far stare in una pagina quello che ne richiederebbe due (lo definiscono semplificare). Ma ci sono anche norme che rimangono immutate per decenni, come quelle che stabiliscono i limiti di reddito superati i quali si hanno meno benefici o maggiori aggravi o fissano importi a favore del contribuente, che di fatto diviene più povero e più tassato. Spesso non è previsto alcun criterio di gradualità, per cui se, esemplificando, con reddito 100 si paga 20 e con reddito 99 zero, chi ha lavorato e guadagnato di meno finisce con l’avere più soldi. Con quale criterio siano fissati questi limiti per me è un mistero e a volte penso che siano pensati considerando la mia


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situazione personale per danneggiarmi o forse quella di qualche parente di legislatori, per favorirlo. In questo caso potrei sperare che prima o poi saranno rivisti. Per legge, il cittadino è tenuto a conoscere la legge. Cosa piuttosto complicata se non impossibile anche a chi di legge vive: probabilmente nessuno conosce TUTTE le leggi italiane. Io mi limitavo a leggere attentamente le istruzioni e cercare di applicarle. Per esempio le istruzioni del mod. 730 sembrerebbero indirizzate a persone non particolarmente esperte di diritto e prive di adeguata biblioteca fiscale. Non è così e se uno crede di capirle come capisce un testo in italiano corrente (pur usando un vocabolario inglese-italiano per quelle parole che non hanno saputo rendere nella nostra lingua) incorre in gravi errori. Per questo motivo esistono appositi enti e studi che provvedono alla compilazione anche di un semplice mod. 730. Anche le istruzioni che accompagnano le cartelle esattoriali indicano procedure del tutto diverse da quelle reali e si è quindi costretti a ricorrere all’aiuto di professionisti. A volte mi sorge il dubbio che le leggi siano fatte apposta per giustificare l’esistenza di questi enti e il loro foraggiamento e rendere indispensabile rivolgersi ai professionisti di cui sopra. Non ci si può meravigliare poi se chi va con il lupo impara a ululare. Agenzia delle Entrate Sembra che fra i doveri dei cittadini non ci sia solo l’obbligo di pagare imposte e tasse, ma anche quello di


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farlo nel modo meno semplice. L’Agenzia delle entrate, o chi per essa, trova del tutto normale emettere cartelle esattoriali errate: per male che vada i cittadini contesteranno l’errore, produrranno documenti, faranno code, protesteranno; ma se va bene pagheranno più del dovuto, sanzioni comprese. Naturalmente chi ha grossi interessi si premunisce con prove e documenti, si rivolge a fiscalisti esperti; ma il povero cristo che ritiene in tutta buonafede di non dovere al fisco qualche centinaio di euro non ha scampo. Opporsi al fisco gli costa più di quanto possa beneficiare, deve perdere mezze giornate negli uffici che talvolta trova chiusi per sciopero o assemblea, riceve informazioni incomplete, magari solo perché chi è uso a trattare una materia pensa che gli altri abbiano la stessa famigliarità. Più il tempo passa e più è difficile rimediare a eventuali errori, il tempo gli è contro e la lentezza burocratica torna a vantaggio della burocrazia. In ogni caso sembra che se il cittadino sbaglia paga, se sbaglia il burocrate paga il cittadino e che sia più facile accanirsi contro piccoli evasori ingenui che contro grandi evasori agguerriti. 2008 Imposte o tasse? Ho sentito dire: “non voglio la riduzione delle ‘tasse’ perché dovrò pagare di più per visite mediche specialistiche, università dei figli, ecc”. Forse non sarebbe male chiamare le cose col loro nome, come usava un


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tempo: imposte le imposte e tasse le tasse, magari precisando se statali o locali. Ora quasi tutti usano sempre e solo la parola ‘tasse’, per semplificare, per adeguarsi, per pigrizia. La frase di cui sopra letteralmente significa “non voglio la riduzione delle tasse perché dovrò pagare più tasse”, un non senso. Se nel caso che con ‘tasse’ si intenda invece la tassazione nel suo complesso, diminuire le imposte non deve comportare aumento delle tasse né la minore pressione statale l’aumento di quella locale. Riabituarsi a chiamare le cose con il loro nome italiano forse gioverebbe alla chiarezza, sempre che questo si voglia. Altri tempi Mi è venuta in mente mia nonna. Aveva un laboratorio di sartoria al pianterreno, con grande porta-finestra e grande finestra sulla piazza del piccolo paese. L’unica piazza, dove prima o poi passavano tutti i paesani e molti passando si soffermavano sulla porta per un breve saluto, una qualche notizia, qualche scambio di opinioni; specialmente le paesane. E se qualcuno non si fermava, non per questo non era fonte di notizie, generosamente fornite sul suo conto dalle ragazze che vi lavoravano(un occhio sul lavoro e uno sulla piazza) o da qualche cliente o dalla negoziante che, in attesa dei compratori, si sistemava nella sala e da lì controllava il suo negozio di scarpe di fronte. Tempo e tecnica Siamo entusiasti del PC. Una cosa meravigliosa che ci permette di scrivere, sbagliare, correggere, aggiungere,


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togliere, usare mille caratteri, farne di tutti i colori. Con il programma che sto usando posso preparare l’inserto (Post) per il mio personale quaderno elettronico (Blog) anche senza essere collegato in rete, vedermelo bel bello con comodo, cambiarlo, completarlo con foto, collegamenti, tabelle, mappe, etichette (Tag), video. Posso mettere in un cassetto incorporeo centinaia di pagine senza usare un solo foglio di carta e quando voglio posso riprendere una di quelle pagine e renderla accessibile all’intero mondo. Magnifico! Ma mentre sono giunte fino a noi notizie scritte alcune migliaia di anni fa su tavolette d’argilla che un sumero potrebbe leggere usando solo i suoi occhi, come fa chi ne conosce la scrittura, le molte troppe cose che scriviamo oggi lasciandole in rete o nel PC non possono essere lette che con i mezzi appropriati. Per fortuna, forse. Anche pergamene e incunaboli scritti secoli addietro e scampati a incendi e altre sciagure si possono leggere con al massimo l’aiuto di una lente, come fra qualche secolo, se ben conservate, si potranno pure leggere i libri odierni, i manoscritti, i dattiloscritti e qualsiasi altra cosa che dal computer trasferiamo su carta col semplice comando stampa. Forse quello che giace in rete si potrà vedere fra qualche tempo a condizione che si abbia uno strumento adeguatamente aggiornato, capace di leggere quello che vi si trova. Potrebbe bastare un aggiornamento on line del software del vecchio PC o più verosimilmente l’acquisto di nuovo hardware che sostituisca quello obsoleto comprato


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qualche mese prima. Tutto il resto potrebbe diventare invisibile. Cinquant’anni fa si usavano le schede perforate e i nastri magnetici che tuttora potrebbero sussistere e nessuno saprebbe leggere; ma allora si stampava tutto, anche perché la memoria del cervellone (come chiamavamo il grosso calcolatore, il centro elettronico che occupava una superficie enorme) era limitata e preziosa. Poi i nastri magnetici vennero sostituiti da grossi dischi, continuando a usare le schede perforate per immettere i dati. Si avevano migliori prestazioni con macchinario meno ingombrante, ma tuttavia voluminoso: non più come una stanza ma come una lavatrice. La memoria era più facilmente accessibile ma sempre da usare con parsimonia e si continuava a stampare tutto quello che si doveva leggere. Dopo fu la volta dei primi Personal Computer, i PC. Non c’era più la necessità di stampare tutto ma solo di salvare i testi (e tutto quanto) su supporti magnetici, principalmente su floppy di 5¼” (133 mm) di diametro e 360 KB di memoria, mentre nel computer restava solo il minimo che serviva a farlo partire e tutto il resto spariva con il suo spegnimento. Successivamente il PC ebbe il disco fisso e nella sua memoria qualcosa poteva restare, i floppy passarono a 3½” (88 mm) e 1,44 MB e si stampava l’indispensabile. Ora la memoria del PC è enorme e quella in rete infinita o quasi, girano programmi che difficilmente avrebbero potuto girare nei grossi calcolatori di un tempo e non potevano nemmeno entrare nei primi PC, i CD sono di 650 MB, i DVD 4,7 GB e vi si può lasciare praticamente tutto. (1)


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Considerando un byte equivalente a una carattere dell’alfabeto 1 KB sono 1000 caratteri, 1 MB sono 1000 KB, un milione di caratteri, 1 GB sono 1000 MB, un miliardo di caratteri. Per rendere l’ idea, un DVD equivale a oltre 13000 floppy da 5,25″. Oggi è molto difficile, se non impossibile, poter leggere un floppy; in futuro potrebbe essere altrettanto difficile leggere un CD o un DVD. Per conservare i dati non cartacei si dovrebbe ad ogni progresso tecnologico provvedere, finché si può, a trasferire sui nuovi supporti i dati esistenti su quelli superati, ma non sempre si fa. Io sto pensando di trasferire i vecchi filmati VHS in DVD: ma forse aspetterò le nuove tecnologie ….. e non li vedrò più. (1) 21 luglio 2013 – Riletto dopo un lustro, sembra storia antica. Ora sono usuali chiavette da 32 GB, tablet, lettori di e-ebook, telefonini tuttofare: fra cinque anni magari saranno antichità da museo Vivere in centro Il bello di abitare in centro città è di avere tutto o quasi a portata di mano. Diciamo meglio: a portata di piede. A non più di qualche centinaio di metri da casa trovo pane, latte, carne, pesce, frutta e verdura, formaggio, scarpe, vestiti, chiesa, comune, pinacoteca, spiaggia, porto, ferramenta, telefonini, elettrodomestici, meccanico, elettrauto, banca, bar, ristorante, gelateria, mercato e mercatini, medico, avvocato, tribunale e altro ancora, compreso il Comando della Forestale. L’ideale per anziani. E’ vero che arrivare al Comando dei Vigili Urbani è quasi impossibile a piedi ed è


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dura in bici, che per andare alla Biblioteca Civica converrebbe avere fiato e gambe d’altra età, che per l’Ospedale sarebbe lo stesso se non ci fosse l’autobus, che a usare l’auto poi non si sa più dove posteggiarla: ma non si può avere tutto. Civici rossi e blu Per uno come me (foresto e con qualche problema cromatico) era complicato. Cercavo un indirizzo: via e numero. Vedo un 11, poi 25, 27, 29, 13 e non mi raccapezzo. Penso: stanno rifacendo la numerazione, ma non è ancora completata. Come dicevo, ho qualche problema con i colori; alcuni non li distinguo, molti non li ricordo, a tutti ci bado poco e così non avevo notato che alcuni erano rossi e altri blu, come poi mi hanno detto. Dalla pubblicità radiofonica avevo sentito di indirizzi tipo Via Taldeitali, 5 rosso – Genova o visto scritto Via Taldeitali, 5r, ma pensavo si trattasse di un 5a o qualcosa del genere, un numero inserito tra il 5 e il 7. Ho chiesto chiarimenti a un vigile che, evidentemente, non poteva capire la domanda essendo per lui del tutto naturale quello che per me invece non era. Così finalmente ho capito: i civici blu segnavano i portoni, i civici rossi i negozi. Ossia i numeri rossi non si riferiscono ad abitazioni e con civici s’intende numeri civici e non mercati, guardie, biblioteche, musei o altri civici, preferendo l’aggettivo al sostantivo come Vittorio Veneto


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abbreviato in V. Veneto (ma non C. Ligure, F. Ligure, P. Ligure per Celle Ligure, Finale Ligure, Pietra Ligure). Io non direi al civico 15 ma al numero 15 e abbrevierei piuttosto Vittorio V. Finale L. Celle L. Pietra L., ma sono foresto. Numeri rossi, semafori rossi-gialli-verdi. Non una r (come negli indirizzi) vicino al numero, non un segno distintivo sulle luci dei semafori e i daltonici si arrangino (al semaforo alto=rosso, centro=giallo, basso=verde o anche sinistra=rosso, centro=giallo, destra=verde). E il tempo passa Il tempo passa, vorrei scrivere qualche cosa ma mi accorgo che non so che fare, non so che dire. Non so che fare. Vedo che per tutti Internet è una specie di salotto dove incontrano amici, parlano del più e del meno sorseggiando il tè ognuno a casa sua: contemporaneamente (messaggistica) o in tempi differiti (e-mai). Sanno giustamente curare le amicizie, dedicarvi tempo , leggere i post e aggiungervi commenti possibilmente carini, mettere belle foto, commentare avvenimenti. E intanto si impratichiscono del mezzo e fanno opere sempre più pregevoli. Io invece non so che fare. Sono rimasto ai tempi in cui tutto era più semplice, meno elegante ma pratico e invidio coloro che in queste cose ci sguazzano. Forse, semplicemente, sono un orso. Non so che dire. Sono un gran brontolone e in questo clima natalizio non trovo o non voglio trovare niente da criticare: le strade sono illuminate, la gente passa


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infreddolita da un negozio all’altro forse per comprare, forse per scaldarsi. Ci sarà anche la crisi, ma ci penseremo il prossimo anno se possiamo permettercelo. Di là, il mare Pensando alla Liguria pensavo al mare. Ora il mare dal mio balcone lo vedo in fondo alla strada, stretto fra le case, dietro una palma: ma basta una passeggiata di qualche centinaio di metri per gustare tutta la sua ampiezza, tutta la sua calma, tutta la sua furia. Quando il sole basso proietta su tutte le vie cittadine l’ombra delle case, illuminando per breve tempo solo strade orientate a mezzogiorno e qualche tratto di piazza, anche d’inverno nelle giornate serene posso, in breve tempo godermi il sole e vedere il mare: un vero piacere, se il vento non è troppo forte. Ma se guardo dall’altra parte, da casa o dal lungomare, vedo verdi colline. È bello nei mesi caldi lasciare la spiaggia affollata e assolata (troppo, a volte) e salire lassù. Faticando un poco, lentamente salgo in bici per qualche valle e mi ritrovo infine in uno strano mondo silenzioso, agreste, solitario. Mi chiedo se la gente che colà abita, sa che con qualche migliaio di passi verso il sole può vedere il mare, che laggiù c’è il mare. So che lo sanno, ma mi piace pensare che si potrebbe non sapere, che un tempo ai più anziani non interessava saperlo: la loro vita era nella valle e il mondo al di là del valico, della Colla, era una cosa estranea, un altro mondo.


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Fantasie: trafficavano con gli abitanti del litorale anche quando ci andavano a piedi; ora è a mezz’ora di strada, quasi in fondo all’orto. Ma quando arrivo in bicicletta da quelle parti provo strane sensazioni: più fresco, più freddo, più verde, più silenzio, più natura; vedo o penso gente tranquillamente impegnata nell’orto, con gli animali, con la frutta, col tempo lento e mi meraviglia sapere al di là del colle infinite collane metalliche, ferme o in movimento, gente nel confuso traffico cittadino o stupidamente oziosa seminuda al sole in attesa di tornare a vita frenetica. Vedo o penso gente stranamente felice di vivere in quei posti, gente che forse fino a qualche anno, qualche giorno, qualche ora o minuto prima era invece in un’auto o su una moto e andava o tornava da una fabbrica, da un negozio, da un lavoro nell’altro mondo. Solstizi Solstizio d’ estate, solstizio d’inverno; giugno e dicembre (o viceversa per gli australi). Mesi di santi famosi e di festività cristiane oggi, di festività pagane un tempo e per molti ritornate tali: non voglio indagare; per approfondire l’argomento si cerchi altrove. Giugno è mese di sagre, balli, fuochi, tavolate, feste patronali all’aperto: Sant'Antonio da Padova, San Giovanni Battista, San Pietro Apostolo (13, 24 e 29 con San Paolo), particolarmente venerati in molti posti d’ Italia e del mondo. Dicembre è mese di regali: nei miei ricordi c'è San Nicolaus per i bimbi di Brunico, Santa Lucia per quelli


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di Verona e c’è ora il Santo Natale per tutti (6, 13,25). Ma so che questi sono giorni particolari e importanti per molta gente, in molti altri luoghi. A dicembre si attende con impazienza che il giorno cessi di accorciarsi e la notte di allungarsi, che il sole salga sull’orizzonte e non ci abbagli in auto, fastidioso e quasi inutile, quando c’è: l’ inverno appena incominciato si fa meno buio, preannunciando così la sua fine. Il freddo si farà più intenso, ma poi finirà e si è ottimisti. A giugno è tutto il contrario, l’ estate è appena cominciata ma i giorni si accorceranno: verrà il gran caldo, ma i giorni sempre più corti preannunciano la fine della bella stagione e all’improvviso, con il ritorno dell’ora solare sarà subito buio. Ma intanto si resta ottimisti e non ci si pensa. Televisione: una proposta Nonostante tutto (canone nuovo, programmi vecchi) alla sera guardiamo la TV. Da un bel pezzo non siamo più giovani, pur considerando che oggi vengono definiti giovani ragazzini di 45 anni. D’altro canto io continuo a considerare anziano solo chi ha una decina d’anni più di me, sempre. Guardiamo … si fa per dire. Ad una cert’ora mia moglie deve dormire. Così, con la pubblicità che ogni ventina di minuti interrompe i programmi anche nei canali RAI, un programma che dovrebbe iniziare alle 21, inizia alle 21.15 e termina quasi a mezzanotte non riesce a vederlo tutto: o dormicchia durante o va a letto prima che finisca.


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Dalle 21 a mezzanotte, questa è “prima serata” per loro: e pensare che alle 17 è già nominalmente tarde, per gli spagnoli. Aiutati dalla moderna tecnologia cerchiamo di porvi rimedio: abbiamo due videoregistratori, registriamo sul secondo mentre guardiamo sul primo la registrazione del giorno precedente facendo scorrere velocemente i suggerimenti commerciali. Questo per risparmiare sul costo dei supporti, altrimenti basterebbe registrare tutte le serate di un anno e riprodurle negli anni successivi, come fanno le emittenti. Ma anche così può capitare che non abbiamo niente di registrato (una volta visto, cancelliamo) e allora guardiamo in diretta: telecomando in mano, quando comincia la pubblicità (cosa mai potremmo comprare?) passiamo ad altro canale. Quando va bene vediamo a rate un programma con trama e tanti pezzetti di programmi episodici (calcio, varietà,ecc.), ma il più delle volte quando in un canale fanno pubblicità la fanno in tutti, magari leggermente sfasata per cui cambiando canale vediamo sempre la stessa auto o la stessa bibita, che poi occupa mezzo schermo anche durante il film. A mia moglie è venuta un’idea che proporrei al Ministero della salute: aumentare le pause pubblicitarie, la durata della réclame, dei consigli per acquisti. Se invece di durare sui cinque minuti ne durassero una ventina, uno potrebbe farsi un pisolino, risvegliarsi e vedere a rate ma per intero il programma TV: intervalli magari meno frequenti ma più lunghi, con dolce sveglia finale.


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Se non proprio tutte le sere e in tutte le reti, almeno nel servizio pubblico pagato col canone obbligatorio qualche sera potrebbero mettere la scritta “Riservato a un pubblico di soli anziani”. 2009 Davanti alla TV Se nelle lunghe serate invernali, quando fuori fa freddo e buio e non si ha voglia di uscire, quando si trova piacevole sistemarsi sul divano e coprirsi con un plaid, al caldo della sala, davanti ad un televisore acceso, se dopo tutte le piacevoli notizie del TG farebbe piacere vedere un bel programma televisivo, se è capitato di non riuscire a vederlo interamente perché comincia tardi e dura un’infinità infarcito com’è di consigli per gli acquisti (consigli dei quali non si sa che farsene), se capita ad un certo punto di svegliarsi all’improvviso e accorgersi che è tardissimo, che qualche scena si è persa ma che non fa niente perché quel film si era già visto o che se non si va a letto ci si addormenta sulla poltrona e più che guardare la televisione si è guardati dal televisore, forse allora può interessare la precedente proposta. Blogger Non ricordo bene: devo avere iniziato con un clic dove dovevo farlo per creare uno spazio in Internet, mi è stato chiesto un nome ed ho scritto gerobocia, ossia ero ragazzo (lo ero molto tempo fa), per titolo del blog ho messo


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nonsochefare e nella descrizione nonsochedire, perché non sapevo né cosa dovevo fare per confezionare il blog né cosa scriverci: non sapevo niente di niente, nemmeno cosa fosse un blog. Da allora forse qualcosa ho imparato, forse mi ci sono perso. Un tempo probabilmente non erano moltissimi a leggere ma erano sicuramente meno quelli che scrivevano per essere letti: scrittori e giornalisti, ma non tutti pubblicavano e non tutti avevano lettori. Fra i lettori qualcuno scriveva agli amici, ai giornali, alla mamma, al moroso, alla morosa; qualcun altro magari teneva un diario, che non faceva leggere a nessuno. Ma gran parte di quello che poteva essere letto, da qualcuno veniva letto. Oggi, penso, quasi tutti coloro che hanno un computer scrivono qualcosa in Internet: forse scrivono più di quanto leggano; gli scritti si susseguono minuto per minuto, in poco tempo invecchiano, si perdono nel gran mare; nessuno più li legge – riesce a leggerli – limitandosi a quelli più vicini alla superficie, ai più recenti. Così qualcuno non è letto che dal suo autore, che non riesce emergere fra i tanti altri anche se è bravo. Qualcuno però oltre a essere bravo è anche abile. Invidio benevolmente quelle persone che creano un blog e lo allevano con amore, con sapienza e bravura; li ammiro per quanto sono bravi a scrivere i loro testi, a rispondere ai commenti altrui, a curare la loro creatura e gli amici della rete che a loro volta li stimano e incoraggiano. Il blog richiede dedizione e tempo,da me destinati ad altro, specialmente d’estate, con il sole e le lunghe giornate. Il blog può essere viziato ed esigente come un figlio unico, i suoi lettori, i suoi estimatori possono esserlo. E un figlio


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unico è unico. Io invece dopo il primo blog sono incappato in un altro che mi pareva più adatto alle mie possibilità ed ho trascurato il primo per il secondo. Dopo il secondo è venuto un terzo e un quarto: ma erano tutti figli miei, tutti amati e tutti un po’ trascurati all’arrivo di un nuovo nato, come in una famiglia numerosa. E ora mi ritrovo (tento di fare il conto) con cinque blog in cui scrivo (in uno metto anche foto), altri tre o quattro dove ho messo album di foto, tre gruppi nei quali ogni tanto faccio interventi, tre chat con lo stesso .com finale ma con es., de., it. iniziali, almeno sei diversi nomi dopo @ negli indirizzi di posta di cui qualcuno con due nomi diversi davanti; sono registrato in due giornali e ho quattro PC (in due città diverse) che cerco di tenere omogenei in documenti, foto, indirizzi e altro. Probabilmente non sono un’ eccezione, ma a me sembra di avere esagerato e mi propongo di semplificare, di unificare, di eliminare doppioni, di mettere tutto in un sito accessibile da ovunque, ora che potrei farlo. Non so se lo farò, se ne avrò cuore; non butto via quasi niente pensando che prima o poi mi servirà: talvolta succede. Ventuno tocchi alle 18 Chi casualmente per la prima volta si trova in Piazza Mameli a Savona alle 18 non capisce cosa succeda: si sente un rintocco e subito tutta la piazza si ferma: auto, bici, pedoni. Le auto sono fermate dai vigili urbani, più che altro perché non tutti sono savonesi e non tutti gli automobilisti savonesi possono sentire la campana in una piazza molto trafficata.


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Le persone sedute sulle panchine attorno al monumento si erano già alzate al rumore degli ingranaggi che precedono il rintocco, chi camminava sotto i portici già aveva rallentato guardando l’orologio e ora tutti se ne stanno fermi in piedi, in rispettoso silenzio. Chi non si è mai trovato in quella piazza a quell’ora non può capire. Chi vi si è trovato mille volte – da sempre – capisce, ma forse non riesce a provare l’emozione che io ho provato la prima volta, ma solo quella pur grande che provo ancora quando ci capito. Da moltissimi anni la campana del monumento suona a quell’ora in ricordo dei caduti, da moltissimi anni i savonesi li ricordano immobili in silenzio, una targa lì davanti ricorda a chi vuole sapere il quando, il come, il perché di quel monumento, di quei rintocchi Nel silenzio della piazza ventuno volte suona la campana: poi il traffico riprende intenso e rumoroso. Ritorni Torna marzo, torna la primavera, tornano le rondini (forse), torna l’ ora legale, torno a cambiare l’ora negli orologi e apparecchi di casa, tornano a dirci che risparmieremo un sacco di energia e un sacco di soldi, torno a chiedermi come. Torno a dirmi – vedendo nei miei orologi l’ora solare – che sono cambiati tutti gli orari; torno a pensare quanto ho già scritto.


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S.S. n. 1 “Aurelia” Fine febbraio, in una delle finora poche giornate di sole torno piacevolmente a casa da Est, in bicicletta sull’Aurelia litoranea. Attraverso cinque paesi: poco traffico, quasi nessuna auto posteggiata sulla strada lungo il mare, una temperatura gradevole che non richiedeva le bardature antigelo del biellese. Pensavo di scrivere qualcosa su questa beatitudine, su quanto d’ inverno fosse bello girare qui in bici e amabile questa costa. Ma poi, in altri due paesi, l’intasamento invernale ha poco da invidiare a quello estivo: due lunghe file di veicoli quasi fermi che si incrociano dall’inizio del primo alla fine del secondo, da superare sempre temendo di finire contro qualche moto che faccia lo stesso in senso opposto, nell’incerta terra di nessuno ai limiti della linea centrale. A ovest, a 15 Km già ora una frana impedisce di costeggiare il mare, poi verrà la bella stagione e sarà comunque arduo e pericoloso avventurarmi in bici sull’Aurelia ristretta dalle auto posteggiate, percorsa da vetture, furgoni, camper, pullman, moto e attraversata da pedoni. Dovrò percorrere strade dell’interno, tutte in salita (garanzia di successiva discesa) e non so se potrò già o ancora farcela. Speriamo. Inquinamento Dicono che la terra si sta riscaldando, che è colpa dell’uomo, che le auto inquinano. Siamo quasi a maggio ed ho tuttora il maglione, ma può essere tutto vero. Le auto


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inquinano e i nostri bravi amministratori per ridurre al minimo questo inquinamento invitano a non usarle, arrivando a vietarne la circolazione in certe domeniche. In compenso costringono a girare inutilmente per mezz’ore in cerca di un parcheggio e ripetere spesso l’operazione. L’ auto ferma in regolare parcheggio è vista di malocchio: non inquina abbastanza, non provoca incidenti, non intasa il traffico e va multata. Così di tanto in tanto, se il tempo è brutto e la gente non ha voglia di andare a controllare, piazzano un cartello di divieto di sosta dove non c’ era. Qualche giorno dopo se sei sfortunato non vedi ne cartello né auto, se sei fortunato non vedi il cartello ma solo il verbale di contravvenzione. Nel primo caso ti allarmi, cerchi la vettura, ti rivolgi ai vigili che ti dicono che è stata prelevata da loro, portata al deposito e devi pagare carro attrezzi, deposito e multa; nel secondo caso paghi solo la multa . In questa città con l’auto non c’è scampo; non ci si può muovere e nemmeno stare fermi; se non metti l’auto dove c’è il divieto ti mettono il divieto dove c’è l’auto, nelle strade o nei parcheggi, per traslochi o per manifestazioni, motoristiche o ecologiche, in ogni posto e occasione. Non dovresti inquinare, ma guai a non farlo: negli ultimi 50 anni ho preso due sole multe, entrambe qui e recentemente, entrambe perché dov’era la mia auto hanno messo un “divieto di sosta” che non ho avuto possibilità di vedere né prima né dopo, un chiaro invito ad usarla di più


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Veneti Ieri ho preso la macchina fotografica ed fatto un giro in bicicletta. Sono salito a Boissano, un paesino di meno di 2500 abitanti sparsi nella varie contrade, un centinaio di metri sopra Loano. Girando per una storica contrada a due passi dalla chiesa ho trovato questa vecchia cappella, evidentemente risistemata. Mentre stavo lì è passata una signora che gentilmente si è rivolta a me, per parlarmi di quel manufatto. Così parlando, vedendo la mia bicicletta mi chiese di dove venissi. Le risposi che venivo da Savona, un po’ meravigliandola. Dopo qualche altra chiacchiera mi richiese “ma .. di dove viene?”. Capii allora che – come sempre succede – aveva notato il mio accento non proprio ligure e così confermai di venire da Savona ma di essere di Vicenza. Le brillarono gli occhi e felice mi disse di essere anche lei vicentina, da Cismon del Grappa, l’ultimo paese vicentino del Canal di Brenta, prima della Valsugana trentina. E così ha, abbiamo cominciato a parlare nella nostra lingua con reciproco piacere. Beh non proprio come fossimo in Veneto: io in casa la parlo sempre, ma c’è soltanto mia moglie, i figli sono altrove e con tutti gli altri ormai da 35 anni cerco di parlare italiano, salvo rari incontri. E quella gentile signora mi disse che non parla in veneto dal 1961, da quando è morta sua madre se non nelle gradite occasioni che viene a trovarla suo figlio alpino, accompagnato da alpini veneti. È venuta ad Albenga quando aveva sette anni perché suo padre aveva chiesto ed ottenuto di fare il suo lavoro di


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falegname (o carpentiere?) nella costruzione della caserma: non ho chiesto quanti anni avesse, ma mi sembrava qualcosa più vecchia di me, pensionato non più tanto giovane. Ha detto “faegname”, con la tipica nostra pronuncia che “mangia” la elle, ma mi sarei aspettato sentirmi dire che faceva “el marangon”: ma dopo tanti anni qualcosa si perde. Solo qualcosa, perché pare sia impensabile per un veneto dimenticare la sua parlata: non ci tiene a farlo e ogni occasione è buona per fare “do ciàcoe” in dialetto. Questo capita a me e a tutti i veneti che ho conosciuto, con la sola eccezione di un mio cugino ritornato dall’internamento in Germania dove forse aveva fatto voto di parlare italiano. E così chiacchierando con quella signora non ho preso nota e mi sono completamente dimenticato il nome della contrada (Ca’ del Pozzo?), il santo cui è dedicata la cappella, l’anno in cui fu costruita (16..), cosa esattamente c’era in quel posto (un qualche presidio sanitario). Forse vi tornerò, già invitato a prendere un caffé da lei, che ora abita lì – presso un suo figlio – a Boissano, che si scrive quasi come Bassano, sulla Brenta. A naso in su Mi incanta girare per la città vecchia guardando in alto nelle strette vie che a volte si aprono in spazi più o meno larghi. La prima scoperta l’ho fatta nel cortile di casa: alzando gli occhi ho visto un’incredibile intreccio di corde che passavano da un muro ad un altro, da una proprietà ad un’altra, tese tra due carrucole per stendervi ad asciugare panni, abiti, lenzuola. Ogni corda passa per la carrucola


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lontana, torna, passa per la carrucola vicina:ben tesa ed i due capi sono annodati, col risultato di due corde che scorrono parallele una sotto l’altra in senso opposto e i panni si avvicinano o si allontanano tirando sotto o sopra. La stessa cosa si vede ovunque. Se il vicolo è stretto raramente le carrucole sono fissate l’una di fronte all’altra, più spesso tagliano in diagonale, allungando il tragitto della corda. Se dalla finestra accanto o opposta può partire un’altra corda che finisce più o meno discosta dalla precedente, dalle finestre sottostanti possono andare in qualunque direzione: quasi mai una corda è tesa sotto a quelle dei piani superiori, spesso le incrocia. Questa marinaresca abbondanza di funi non è solo nei vicoli e nei cavedi dove il sole arriva raramente ma anche nei cortili, negli slarghi, nelle piazzette lunghe funi si accompagnano o si incrociano a varie altezze: un’infinità di carrucole, chilometri di funi, un’affascinante mondo aereo che può riempirsi di panni stesi ad asciugare, specialmente dopo giorni di pioggia o di maltempo. A chi credere? La Strada del Maghetto era una stradina di curve e stretti ponti: uno all’inizio e poi due o tre sui quali si passava o in un senso o nell’altro, con precedenza a chi arrivava per primo. Ora della vecchia strada non rimangono che pochi tratti senza più i ponti e la strada del Maghetto è diventata la via indicata per andare a B da M. Sulla strada del Maghetto, venendo da M dopo qualche Km c’è un cartello che indica "B Km 3", un centinaio di


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metri più avanti ce n’è un altro che indica "B Km 7". A me non interessava, non dovevo andare a B. Quelli di B non lo vedono neppure, conoscono la strada; ma a un povero forestiero che guarda i cartelli per sapere la via e si trova che più avanza più si allontana dalla meta qualche dubbio di essere fuori strada gli viene e non sa se deve credere al primo o al secondo cartello o a nessuno. Se è un italiano sa che non deve contare troppo sulle indicazioni stradali nel nostro Bel Paese, ma se è uno straniero rischia di impazzire. Pecore Siamo alla fine della prima decade del terzo millennio e si pensa che il passato sia ormai passato. Ma – con piacere – si può constatare che certe antiche abitudini continuano ad esistere. Nella campagna, nella pianura a sud di Biella si possono ancora vedere greggi di pecore che in ottobre – scendendo dai monti – brucano quel poco che possono trovare fra le stoppie del mais. Per me un gregge come quello che ho visto sembra enorme, guidato da un unico pastore con un paio di cani: sono passato in bici, l’ho visto entrare nel campo e l’ho fotografato. In poco tempo moltissime pecore si sono sparse tra le stoppie, con qualche breve ordine del pastore e qualche corsa dei cani. Quanto vi si siano fermate e dove siano poi andate, non lo so: non le ho più viste. Vox populi Arrivando a piedi al Centro Commerciale da centro città


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si deve attraversare un’ampia strada con aiuola spartitraffico centrale. I progettisti – che certamente non vanno mai a piedi – avevano previsto strisce pedonali che finivano sul marciapiede attorno all’aiuola e riprendevano, oltre quella, esattamente davanti a dove erano arrivate. Fin da subito i pedoni si sono rifiutati di fare quel giro inutile e attraversavano diritti creando nell’aiuola un antiestetico, disagevole, fangoso passaggio di fatto. Alla fine chi di dovere si è arreso alla volontà popolare ed il passaggio di fatto è diventato un agevole pavimentato passaggio di diritto. Ogni volta che penso alla democrazia penso a quel paio di metri di marciapiede, ogni volta che passo su quel brevissimo sentiero penso alla democrazia, al popolo sovrano. La manina Tantissimi anni fa, a Vicenza, non capitava e in casa era ritenuta una cosa assolutamente da non fare, oltre che vietata dalle norme comunali. Molti tempo dopo e per una quindicina di anni dall’Ufficio potevo vederlo fare e nessuno si scandalizzava. Ora, seduto sul mio divano, vedo dalla finestra della casa di fronte sporgere una manina che stringe un panno e lo sbatte per far cadere la polvere, farla cadere su un marciapiedi del centro e su eventuali ignari passanti. Ignoro cosa ne pensi qui la gente, non so se lo trovi del tutto normale, non so a chi appartenga quella manina femminile che sporge sotto la parte rialzata di una persiana


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chiusa: so solo che succede, credo quotidianamente, e non mi par proprio che quella signora guardi almeno se sta passando qualcuno. Da tempo vado dicendo che in questa città i pedoni sono un po’ bistrattati: tracciati pedonali con passaggi che allungano il percorso o che finiscono su una strada trafficata, semafori che obbligano ad aspettare due o tre volte il verde, mine sparse di escrementi canini, volatili bombardieri. A dire il vero le cacche di cane sono ora molto meno frequenti di un tempo, quasi assenti e finora non mi è mai successo di essere colpito da quelle aviarie, come invece a Venezia mentre attendevo gli sposi davanti al municipio. A questi inconvenienti vanno aggiunte le polveri sottili emesse dalle auto e, a quanto pare, quelle meno sottili che cadono dalle finestre. Veicolo a quattro zampe motrici in Autostrada dei Fiori Mercoledì 16 dicembre verso mezzogiorno, dalle parti di Arenzano (GE), nell’Autostrada A10 c’era una mucca che rallentava un po’ il traffico. Doveva essere una bestia abbastanza intelligente: stava a destra e correva – veloce quanto poteva – nella direzione di marcia, verso Genova. Senza limiti minimi di velocità era in regola, tranne il fatto che viaggiava non su quattro ruote ma su quattro zampe e non aveva quella di scorta. Notoriamente l’Autostrada dei Fiori è quasi tutta viadotti e gallerie, non ha vaste campagne che la


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fiancheggiano: da dove arrivava quella vacca? Era scesa da un camion? Era piovuta dal cielo? Era entrata al casello? Non sono riuscito ad avere notizie in merito, ma spero sia almeno uscita a Genova Voltri. 2010 Fumatori Non ho niente contro chi fuma, ma mal sopporto il maleducato che fumata una sigaretta butta la cicca dove capita capita. Se fa così a casa sua non m’interessa, faccia quel che vuole tanto non ci vado; ma nei luoghi pubblici che posso frequentare e frequento dovrebbe avere un comportamento più civile. Se invece in casa sua non butta le cicche in giro non capisco perché fuori casa lo faccia. Dal numero di mozziconi che vedo in spiaggia temo che non siano una minoranza i fumatori incivili. Quasi tutti gli uomini usano abiti con almeno un paio di tasche e quasi nessuna donna – abbia o no tasche – gira senza borsetta. Fumatori e fumatrici non hanno quindi difficoltà a portare con sé due pacchetti, due contenitori di sigarette: uno per le sigarette da fumare e uno per quelle fumate. Chi fuma dove non ci sono posacenere può così prendere una sigaretta da un pacchetto, accenderla dove è permesso, fumarsela beatamente, spegnerla opportunamente, riporre il mozzicone nell’altro e quando torna a casa vuotarlo dove meglio crede: per terra, sulla tavola, nel cesso. Quando compra un pacchetto nuovo, tiene il vecchio e getta quello con le cicche in un contenitore di


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rifiuti. Ci sono cicche su strade e piazze (i "più educati" le spengono con la scarpa) e la spiaggia libera non è libera dai mozziconi (i "più educati" li infilano sotto la sabbia, ma non tanto da poterci restare). Sulle strade di questa città, con le buone o con le cattive, sono sempre meno gli escrementi canini e spero anche le carte gettate e le gomme masticate: forse un giorno non ci saranno più cicche in giro e fumatore non sarà più quasi sinonimo di incivile. Naturalmente ci sono anche moltissimi fumatori e fumatrici che si comportano bene: non lasciano traccia, non mi accorgo e non parlo di loro. Mezzi civici Sarà perché sono all’antica ma a me sentire parlare di “mezzi” o di “civici” senza altra specificazione sembra qualcosa di incompleto se non proprio di incomprensibile. Pare che tutti gli italiani, me escluso, sentendo “mezzi” capiscano subito che si parla di mezzi del servizio pubblico di trasporto. Io invece aspetto che si precisi di quali mezzi si parla. Escludo quasi subito che siano mezzi termini o mezzi litri o mezzi marinai, escludo pure che siano mezzi di comunicazione (direbbero “media” o “midia”) o di mezzi di sussistenza e penso che verosimilmente siano mezzi di trasporto, confortato dal dizionario che dice essere questi i “mezzi” per antonomasia. Ma anche limitandomi ai “mezzi di trasporto”, se non ho ben seguito tutto il discorso e non so come la pensi chi parla, resto in attesa di sapere se sono


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mezzi terrestri o mezzi navali o mezzi aerei o mezzi anfibi, mezzi di soccorso o mezzi d’assalto, mezzi corazzati o mezzi articolati, mezzi pubblici o privati o entrambi, mezzi civili o militari, a due o quattro ruote o genericamente un mezzo di trasporto qualsiasi disponibile. Dicono che dovrei capire senza dubbi che si tratta dei mezzi pubblici di trasporto quali tram (tramvai), bus (filobus, autobus), metro (metropolitana); di quei mezzi a disposizione di tutti per l’uso dei quali molti – non tutti – pagano un biglietto, un ticket, una tassa insomma, un contributo per le spese sostenute dalla comunità per fornire il servizio. Io, invece, se mi dicono “mezzi” fatico a capire “mezzi pubblici” come faticherei a capire “alle ore 12” se mi dicessero “alle ore” e basta. Chissà poi se dicendo “mezzo doppio” si deve capire autobus a due piani o con rimorchio e non invece un intero, due volte mezzo. Parimenti, se mi chiedono il “civico” non afferro subito che si tratta del “numero civico” e la richiesta mi sembra incompleta, monca di qualcosa che precisi di quale “civico” si parla: potrebbe essere il “museo civico”, il “teatro civico”, il “senso civico”, il “dovere civico”, il messo comunale (“messo civico”), il macello, il mercato, l’acquario e tante altre cose comunali. Magari dal contesto si può anche capire che è il numero civico, ma, se proprio non si sta per spirare o non si è senza fiato per una lunga salita, non dovrebbe essere molto gravoso specificare ed essere sicuramente compresi. Vedo indicazioni con scritto “ai civ.”: siccome poi seguono delle cifre è ovvio che si tratta di numeri, ma se fosse scritto “ai n.” sarebbe altrettanto chiaro che sono


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numeri identificativi, come quelli civici; se scrivo “Via Nonsoquale, 18” tutti capiscono che 18 è un numero civico senza nessuna necessità di scrivere “numero civico 18” o una sua abbreviazione. Un “numero” mi fa di solito pensare a qualcosa di ordinato e progressivo, solo eccezionalmente a astrazioni matematiche o ai “numeri del lotto”; “civico” mi fa invece pensare ad un’infinità di attinenze municipali e penso che sia più importante il sostantivo dell’aggettivo. Se però si sostiene che basta dire “civico” perché dal contesto si capisce “numero”, per coerenza nel caso dei trasporti si dovrebbe dire “pubblici” perché dal contesto si capisce “mezzi” (di trasporto). In ogni caso non è risparmiando una parola che si è meno pedanti o meno prolissi, che si economizza il discorso: ben altre, molte altre, sono le parole inutili, volgari e indecenti che potrebbero essere non dette. Nostalgia A torto o a ragione, quando penso a “Cattedrale” o alla catalana “Seu” penso a sedia, “cadrega”, seggio, sede del vescovo. Giusto quindi trovare nella Cattedrale di Savona un bel maestoso sedile intarsiato, una cattedra vescovile. Fino a qualche tempo fa faceva la sua bella figura alla base della colonna diametralmente opposta al pulpito cinquecentesco, sulla destra del presbiterio, poco più indietro dell’altare odierno. Ora è sistemato sopra i gradini che portano a quello che un tempo era l’altare maggiore, del 1765 e sormontato da un ciborio ottagonale opera del


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Grassi. Pensavo che tale sistemazione fosse dovuta all’ambizione dell’attuale vescovo di essere al centro della scena; mi sbagliavo. Trovo che dopo il Concilio Vaticano II (1962-1965) la sistemazione del presbiterio mostra l’altare al centro, la “sede” dietro l’altare, il tabernacolo sulla destra (dei fedeli) e l’ambone sulla sinistra. Se questo è previsto, questo sia. Le nuove chiese dovranno sicuramente rispettare i nuovi canoni, ma la cattedrale di Savona – come la stragrande maggioranza delle chiese esistenti – è nata molto prima del Concilio Vaticano II e forse un qualche riguardo meritano anche i fedeli che ci hanno preceduti e che tanto si sono sacrificati per costruire le chiese nei secoli passati. Sono anche passati molti anni dal 1965: considerato che fino a qualche mese fa la sede (cattedra, seggio) vescovile si trovava altrove penso che sia possibile rimetterla dov’era e rivedere l’ altare maggiore come l’hanno voluto nel 1765: ho nostalgia del tempio passato. Se il Concilio Vaticano II ha deciso che il celebrante si rivolga ai fedeli, e non sia il primo dei fedeli rivolto all’altare o a Dio, sarà senz’altro cosa buona e giusta; che per far questo nelle chiese sia stato aggiunto il nuovo altare è ovvia conseguenza; ma forse non si va contro il Concilio se si concilia la nuova esigenza liturgica con le vecchia esistenza architettonica, se non si mettono nuovi altari in piccolissime chiese sacrificando lo spazio dei fedeli o del celebrante o se si lascia la “sede” un po’ decentrata.


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Bike sharing Un grande manifesto "Bicincittà" informava che anche in quella città c’era "bike sharing". Penso che in Italia la lingua ufficiale sia tuttora l’italiano, ma sicuramente mi sbaglio. Letto e riletto, più o meno ho capito di cosa si trattava ma non mi era chiaro come esattamente funzionasse la cosa. Non so se chi fa i manifesti – anche a nostre spese visto che c’entra la pubblica amministrazione – non sa esprimersi in italiano o non vuole farsi capire da chi come me è vissuto in tempi in cui la bicicletta si chiamava bicicletta (e solo più tardi, per brevità, bici); ma ho compreso che doveva trattarsi di qualcosa come condivisione, comunanza, prestito, noleggio, servizio biciclette ovvero bici condivisa, comune, in prestito, a noleggio, di servizio o qualcosa di simile, qualcosa cui c’entravano Comune, biciclette, viabilità, spostamenti. Ma non ero riuscito a capire dove, come, quando. Casualmente poco tempo fa sono finito nei pressi di un parcheggio ed ho visto bici e pala verticale d’istruzioni per l’uso. Ora so cos’è e come funziona, in Internet ho trovato anche quanto costa; ho individuato altre due postazioni e magari in futuro cercherò anche le rimanenti, se mi resterà la curiosità. Quasi sicuramente continuerò ad usare le mie di biciclette, ma non si sa mai. La cosa potrebbe essere interessante: meno auto e più biciclette. Normalmente mi muovo in bici, ma ho qualche difficoltà a girare in città; per spostarmi da qui a lì, diciamo dalla porta di casa al negozio sotto la finestra sull’altra


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strada, devo: fermarmi al semaforo, arrivare a quello successivo, girare a sinistra e fermarmi al semaforo, girare a sinistra, prendermi gli insulti degli automobilisti se non mi metto nella corsia riservata agli autobus o dai conducenti di questi se lo faccio, fermarmi al semaforo, girare a sinistra e fermarmi al negozio; poi devo fermarmi al semaforo, procedere diritto fino al prossimo, girare a destra, poi ancora a destra, dare la precedenza alle auto sulla via di casa, girare a destra e fermarmi a casa. L’altra possibilità è di prendere la via più breve viaggiando sul marciapiedi, contromano: ovviamente preferisco andare a piedi. Ottima cosa quindi incentivare l’uso della bici, ma forse prima bisognerebbe permettere anche a chi userebbe volentieri la sua di potere circolare facilmente, senza fare lunghi giri o infastidire i pedoni, che hanno tutto il diritto di usare in esclusiva i marciapiedi, senza l’incubo di auto e moto: sembra che altrove usino "piste ciclabili". Ritengo che il servizio "bicincittà" si rivolga principalmente a chi viene da fuori: se io che qui vivo ho qualche difficoltà a muovermi in centro e non poche a salire le ripide vie verso le colline, forse per loro non va molto meglio. Compleanno Di chi compie 50 anni si dice che festeggia il suo cinquantesimo compleanno. In realtà festeggia la fine del suo cinquantesimo anno di vita e l’inizio del cinquantunesimo come nella prossima notte di San Silvestro si festeggerà la fine del 2010 e l’inizio del 2011.


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Noi diciamo compleanno e mi pare evidente che significhi il completamento di un altro anno di vita. La traduzione di compleanno in tedesco è “Geburtstag” e in inglese “birthday” che potrebbero significare “giorno di nascita” o “giorno natale” o magari “genetliaco”. Non ho dubbi che chi compie 50 anni festeggi il 50mo compleanno, ma non mi meraviglierei se si dicesse che festeggia il 51mo Geburtstag o birthday. Mi dicono che in Germania festeggerebbe il 50mo Geburtstag e in Inghilterra il 50mo birthday. Sarà come dicono però … Di uno nato il 2 marzo 2010 potrei dire che quello è il suo “giorno natale”. Il 2 marzo 2011 potrei dire che compie un anno, che è il suo primo compleanno, che ha un anno, che è la prima ricorrenza del suo “giorno di nascita”, che è il suo genetliaco e compie un anno, che è il suo “giorno natale” ed ha un anno ma non potrei dire che è il suo primo 2 marzo o il suo primo “giorno natale” perché è il secondo. Non so cosa dicono tedeschi e inglesi, ma qualsiasi cosa convenzionalmente dicano è cosa giusta e chiara nella loro lingua. Pensionati Dopo un bel po’ di tempo riprendo a scrivere. Non lo faccio da un po' sia perché non so cosa dire sia perché non ho molto tempo per farlo. Di questo volevo parlare, del tempo a disposizione di noi pensionati. Fatico a capire, anzi non le capisco per niente, quelle persone che temono il momento di andare in pensione perché pensano che poi si troveranno smarrite, senza niente da fare.


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A parte il fatto che è bello anche starsene senza fare niente, per me – almeno finora – non è capitato spesso. Non mi spaventa il fatto di non dovere più andare in ufficio, di non avere più ansie per quello che mi diranno i capi o per quello che dirò ai sottoposti, di non dovermi più alzare col freddo o di tornare a casa col caldo: anzi mi chiedo dove trovavo il tempo per fare tutte quelle cose, tralasciando mille altre (esagero) molto più piacevoli. Ma dovevo pur vivere, dovevamo pur vivere la mia famiglia ed io e quando faccio qualcosa per amore o per forza cerco di farla come si deve. Dicevo che non ho mai tempo a sufficienza, anche perché quello che un tempo facevo in un’ora ora lo faccio si e no in un giorno: non più di un problema alla volta, e affrontata una questione in un giorno per quel giorno mi pare avere già dedicato troppo tempo a cose gravi, che se non ci fossero sarebbe meglio. Non devo lavorare, ma non mi devo preoccupare di come passare il tempo, anzi. Un giorno sì e uno no faccio il casalingo. Beh, ancora esagero. Non è che prima non facessi niente in casa: se c’era qualcosa da riparare in materiale che non fosse stoffa (di questo si occupava mia moglie) l’ho sempre fatto, quando c’era da tagliare cipolla o affettare qualcosa spettava a me; risotto, “fugasse”, strudel, krapfen, tartine, marmellata di castagne e cose così erano affar mio. Qualche volta potevo anche cucinare altre cose, ma mia moglie era felice se non lo facevo perché quasi sempre era lei a pulire le molte stoviglie che usavo. Da quando non ho più impegni di lavoro, da quando mia moglie ed io siamo


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entrambi pensionati, siamo entrambi casalinghi, a giorni alterni. A dire il vero io un po’- parecchio – meno. Quando è il proprio turno ognuno provvede a preparare da mangiare e a lavare le stoviglie, ma di fare i letti e le pulizie non sono richiesto (credo perché mi ritiene imbranato), la spesa sotto casa la fa mia moglie ed io quella con la bici ma sono quasi certo che le piace così, come le piace andare al mercato: magari non compra nulla ma il suo giro di un paio d’ore lo fa tutti i lunedì, se proprio non piove e tira vento e le bancherelle restano nei furgoni. Poi la bicicletta. Se il tempo è bello, se non fa troppo caldo o troppo freddo pedalo. Magari quest’anno meno dell’anno scorso e il prossimo meno di questo, ma spero comunque di continuare a muovermi in bici. Ho girato per tutto il savonese, non di corsa: “cianin cianin” come dicono da quelle parti. Mi sono fatto tanta Aurelia ma anche all’interno, un po’ di salita (ogni anno meno) sempre confidando nella successiva discesa. Diciamo che ogni volta pedalo per due o tre ore, qualche volta di più ma stanca. E da quando ho avuto una fotocamera digitale documentavo i giri in bici. Non so se era una scusa per fermarmi e prendere fiato o per andare in posti in cui non ero stato prima. La fotocamera digitale! Bella invenzione! Non più la mia vecchia pesante Zeiss che ho molto amato ma meno di quanto volessi: per via del costo delle fotografie ci pensavo tre volte prima di scattarne una e quando mi è capitato di sbagliare tutto un rullo per non avere opportunamente tarato l’apparecchio non ne ho più voluto sapere. Sono passato alla videocamera, una delle


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prime, da usare con una mano ma enormemente grossa e pesante se confrontata alle attuali o ai telefonini. Un’esperienza comunque bellissima: riprendevo con qualsiasi luce, il soggetto era sempre a fuoco, lo zoom una magnificenza e non solo immagine ma anche suoni e rumori, non solo una parte ma tutta una scena! L’ho usata per una decina d’anni, ho ripreso i primi progressi dei nipoti: è un reperto archeologico, se funziona magari tornerò ad usarla. Per un po’ l’ho usata qualche volta nei miei giri in bici, ma era quasi impossibile, troppo pesante e ingombrante. Quando ho avuto fra le mani quella piccola meraviglia di fotocamera digitale l’ho subito adottata e messa nella bottiglia di plastica sistemata nel portaborracce della bici. E via pedalando. Quella mia prima fotocamera l’avevo avuta assieme a un PC partecipando a un corso d’informatica, e così passiamo ad un altro mangiatempo. Più o meno ho sempre avuto a che fare con computer per lavoro. Sono passato dalle schede perforate e i nastri magnetici, ai dischi, rigidi e flessibili. Quando ho smesso di lavorare le memorie erano minime, gli ingombri massimi , Internet era forse appena nata, chiavette, blog e tutto quello che oggi conosce un bimbo di quattro anni mi erano sconosciuti. Poi sono arrivati ed ho cominciato a servirmene ed ho sentito la necessità di conoscerli un po’ meglio. E così … ho preso il contagio. Lo sapevo che sarebbe finita così, vivevo più o meno sei mesi in una casa con collegamento Internet


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limitato a poche ore settimanali e altrettanti in una dove non avevo nemmeno Internet e mi collegavo dalla biblioteca comunale, un’oretta a settimana. E mi dicevo che così andava benissimo, che non mi sarei malato di Internetite, che avrei vissuto all’aria aperta, naturalmente. Ma si sa com’è: l’appetito vien mangiando e l’influenza si prende frequentando influenzati. Così dalle poche ore settimanali, dal collegamento a tempo a casa o quello ancor più breve in biblioteca sono passato al tempo pieno. Non credo esagerare, ma dall’uso quasi esclusivo di email sono passato a un blog, a un secondo a un terzo; dalle foto fatte per me solo a quelle pubblicate in rete; un breve passaggio per chat, la lettura dei quotidiani in linea, un paio di gruppi, le ricerche più varie e occasionali dalla ricetta di cucina per mia moglie che – beata lei – si ostina a non voler toccare computer, ai giri ciclistici, alla biografia di qualcuno che appare in TV, ai libri disponibili presso la biblioteca comunale, praticamente a tutto. Il guaio è che non mi limito a mettere un articolo o una foto ma ogni poco tempo controllo chi o quanti hanno visto o commentato quell’articolo o quella foto: non lo faccio più per me stesso ma per gli altri. E questo sinceramente non mi piace, dovrò guarirne. Poi ci sono i libri. La biblioteca è a un paio di chilometri da casa: usando l’auto dovrei poi perdere un’ora per trovare dove lasciarla, perciò vado a piedi o quasi sempre in bici e fatico non poco a fare la salita finale. Ho cominciato ad andarci per mezz’ora di Internet e ora continuo ad andarci per prendere libri in prestito, finché ce la farò.


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D’inverno le giornate finiscono presto e guardiamo la TV, d’estate non finiscono mai ma c’è il sonnellino pomeridiano, qualche ora in spiaggia, la passeggiata serale, concerti se ci sono. Ora siamo pensionati, abbiamo tutto il tempo che vogliamo – dicono – ma in realtà da anni non facciamo più scorribande turistiche: forse perché non ne abbiamo il tempo o forse perché siamo diventati pigri. Per amor di quei 5 Un po’ per ordinare le idee e spiegarmi quello che penso, un po’ perché mi va mi metto al computer e scrivo. Concellature, ripensamenti, correzioni tutto è semplice con questo mezzo: non si vedono tracce di gomma o di matita, non si gettano fogli nel cestino, se una frase ti piace ma è avulsa dal contesto si può salvare per riprenderla e inserirla più opportunamente. Credo di farlo per me, ma non ne sono del tutto sicuro. Probabilmente lo farei anche se non ci fosse Internet, ma invece c’è e quello che scrivo può essere anche letto da tutti, basta metterlo in rete. E lo faccio e, anche se non vorrei ammetterlo, sono felice pensare che a qualcuno può interessare quello che scrivo, che qualcuno lo legge, magari ha piacere a farlo, magari concorda con me, condivide le mie idee. Lo so: è un’illusione, una speranza. perché qualcuno trovi piacere a leggere qualcosa questa dev’essere interessante e ben scritta o almeno una delle due. Forse quello che scrivo è interessante per me, posso anche essere


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soddisfatto di come lo scrivo; ma non basta: interessante e gradevolmente scritta lo deve essere per chi legge. Supponendo che quello che uno scrive possa interessare e piacere a chi legge, che renda bene idee, concetti, problemi, desideri da lui condivisi o avversati, potrebbe succedere che nessuno se ne accorga e nessuno legga quello scritto: nel web i lettori sono moltissimi ma moltissimi sono anche quelli che vi scrivono. Naturalmente uno di bravo prima o poi riesce a farsi comunque notare ed avere lettori affezionati, specialmente se oltre ad avere idee e saperle ben esporre sa anche come pubblicizzarle: capita spesso anche in altri campi che non basta fare un buon prodotto, bisogna anche farlo conoscere e saperlo vendere. Io qualche idea, magari qualche fissazione, in testa credo di averla e forse riesco anche esporla in modo non del tutto indecente ma sicuramente non mi ritengo un bravo prosatore, cerco solo di difendere meglio che posso le mie idee sperando di trovare qualcuno che le condivida e magari sia più bravo di me a farle valere. Se scrivessi solo per me stesso non metterei gli articoli nel “Social news”; invece li metto, li “posto” e mi fa piacere che qualcuno mi “voti”. Sembra che possa contare su una quindicina di lettori, qualche volta di più, quasi mai meno: sono nulla a confronto di molti altri, ma a me bastano e li ringrazio; mi consolano, mi spronano a continuare e lo farei credo anche se fossero solo dieci o solo cinque. ———-


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(GEN. 18, 22-33) “Disse allora il Signore: “Hai ragione, se troverò a Sòdoma 50 … Ed Abramo ancora: “Non arrabbiarti Signore, se parlo di nuovo: e se ci fossero solo 30 … Signore se insisto: e se di uomini giusti ne trovassi 20?….forse ce ne potrebbero essere 10”.E il Signore rispose: “Per amor di quei 10 non la distruggerò”. Lingua generazionale I miei genitori solitamente parlavano dialetto e raramente italiano, ma scrivevano in questa lingua. Io in famiglia o nella mia regione d’origine parlo dialetto, altrimenti parlo e scrivo in italiano. I miei figli solitamente parlano e scrivono in italiano, solo con noi genitori usano il dialetto. I miei nipoti non parlano alcun dialetto e non parlano italiano ma una strano minestrone linguistico pieno di spezie straniere e per me spesso incomprensibile. 2011 La Legge non è uguale per tutti Arrivato in bici, ho visto un’entrata al “Parco Botanico”: incuriosito, sono sceso dalla bici e sono entrato, bici alla mano. Il sentiero era in piano, pavimentato, bagnato e attraversato da un tubo di gomma che finiva tra le mani di un signore intento ad innaffiare il prato. Ho proseguito su quel sentiero costeggiato da panchine in pietra fino a


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giungere a un piccolo slargo, con una serie semicircolare di pietre poste a mo’ di sedili sotto l’immagine di San Francesco e una fontanella di acqua potabile. Ho posato la bici e esplorando il posto sono salito a una piazzola più grande, sempre munita di sedili in pietra. Ridisceso e presa la bici in una mano e la fotocamera nell’altra sono ritornato verso l’entrata, ossia verso l’uscita lontana una cinquantina di metri. Pensando di poggiare la bici per fare qualche foto ero giunto dov’era l’innaffiatore; questi indicando la bici mi dice che è vietata. Gli faccio notare che la bici la tenevo per mano e lui insiste che è vietato. Gli dico che non ho visto nessun divieto e lui a insistere che il divieto c’è. Incredulo, poggio la bici, esco e non vedo alcun segnale di divieto, glielo dico e lui conferma che “è scritto”. Guardo meglio e in basso a sinistra vedo un cartello, una sorta di vietalogo con indicate tutte le cose non permesse nel “Parco”, compreso un “vietato introdurre biciclette”: è vero, ha ragione.Irritato e borbottando riprendo la bici, esco, salgo in sella e scendo al piano. Pedalando ripenso al fatto, mi chiedo perché mai non me l’ha detto quando mi ha visto entrare con la bici per mano (sono certo che mi ha visto); poi mi ricordo che quando ho poggiato la bici nello slargo di San Francesco l’ho messa a un paio di metri da una bicicletta, presso la quale c’erano degli attrezzi da giardiniere e mi rammarico di non essermene ricordato prima, quando parlavo con l’innaffiatore. Evidentemente i casi sono due: o la bicicletta era di


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un’altra persona cui l’innaffiatore ha permesso quello che a me vietava o – più probabilmente, visto che non c’era nessun altro nei paraggi – era dello stesso innaffiatore. Il divieto non prevedeva eccezioni, ma la Legge non è uguale per tutti, pure in quel paese. Madonna degli Angeli È da quando abito a Savona che la vedo lassù a mezza costa della collina. Qualcuno deve avermi detto che quella è la chiesetta della Madonna degli Angeli: a me pare di averlo sempre saputo. È da quando la vedo che volevo andarci: non mi pareva molto lontana e se tutti la conoscono tutti ci sono stati – pensavo – e se tutti ci sono stati ci deve essere una strada che ci arriva. Così nei miei giri in bici percorrevo la strada ai piedi di quella collina cercando una via che portasse lassù. Quando ho visto “Via Madonna degli Angeli” ero certo che fosse quella giusta, essendo normale che le vie abbiano il nome della destinazione. Così sono salito per quella via, non solo quella e altre volte, sempre senza arrivare all’agognata Madonna degli Angeli: o non ce la facevo a salire, o arrivavo alla fine della strada senza trovare indicazione alcuna, o non trovavo qualcuno cui chiederla o non osavo farlo. Casualmente – non so più cosa cercando – ho imboccato Via Bernardo Forte: non avrei dovuto farlo perché era in senso vietato, ma considerato che non c’era assolutamente traffico mi sono concesso una licenza ciclistica. Alla fine della breve stradina a destra c’è l’ancor più breve Via Pietro


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Scotti, che arriva da Corso Ricci, mentre a sinistra sale una vecchia scalinata che mi ricordava più la scaletta ai “Ferrovieri” per superare la ferrovia che la scalinata a Porta Monte per Monte Berico, a Vicenza. All’inizio della scaletta una targa su un palo segnala “Madonna degli Angeli” e continua (cito a memoria) “Si inizia da Via Scotti, l’ultima traversa di Corso Ricci prima della Centrale del Latte. Proseguendo per una vecchia scalinata, che diventa cavalcavia sulla linea ferroviaria, si arriva a una sterrata, dopo 30-40 metri si giunge ad una strada asfaltata, si prende a sinistra fino a due grossi pini marittimi ….”, una vera pignoleria. Finalmente avevo trovato la via, ma quel giorno non avevo la catena per assicurare la bici e non potevo abbandonarla così per salire alla chiesetta. Quel giorno proprio non potevo, ma prima o poi l’avrei fatto. Tornato a Savona, passato l’inverno, finite le brutte giornate, tornata primavera vera ho deciso di vedere finalmente la chiesetta. Sistemata la bici presso la scala, non ho nemmeno guardato il cartello, sono salito, ho superato la ferrovia, sono giunto ad una strada asfaltata: ho girato a destra, un breve tratto e la strada finiva in una casa dove un uomo curava l’orto; sono tornato alla scala e ho preso a sinistra, una camminata più lunga e la strada finiva davanti un cancello. Solo allora mi ricordo del cartello e delle sue “pignole” ma preziose indicazioni, assolutamente dimenticate: dovevo scendere per rileggerlo, sperando però che ci fosse ancora quel signore nell’orto per chiedere a lui la via, evitandomi di scendere e – specialmente – di risalire la scaletta.


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L’uomo c’era, ho chiesto e cortesemente m’ha risposto. M’ha indicato due grossi pini dicendomi che lì avrei trovato segnato il sentiero che portava alla chiesa; la moglie – nel frattempo venuta nell’orto – ha aggiunto che sì il sentiero c’era ma era piuttosto brutto. Sono arrivato ai pini, ho trovato un segno, una pista segnata “25”, all’inizio un po’ ripida: io mi aspettavo invece una stradina come quelle usuali nel biellese alle basse quote. Mi rassicurava vedere il segnale, quel “25” che cercavo e trovavo, fino a che … fino a che non mi sono visto davanti un pilone dell’alta tensione: forse quel sentiero serviva solo ad arrivare a quello, non sarei mai giunto alla chiesetta. Invece proseguiva ed io ero quasi certo di essere sulla giusta strada della mia meta. Dopo poco, infatti l’ho vista, fra piante e fiori, stagliarsi contro il cielo. Ancora un po’ di salita e c’ero: uno spiazzo, una chiesa un po’ mal ridotta con inferriate alle finestre e alle porte, con il tetto di “ciappe” privo di sporgenza per un tratto sopra la facciata e un bel piccolo spiazzo erboso sul retro e sull’altro lato della chiesetta. Sulla destra Savona e il mare, sulla sinistra le colline dell’altro versante della valle. Ho scattato alcune foto; il sentiero proseguiva (poi avrei trovato in Wikipedia che sale a un vecchio forte), io sono tornato. Arrivato alla strada asfaltata rieccomi nella modernità: sotto di me autostrada, treni, il Centro Commerciale, il traffico di Corso Ricci e tanto rumore. Ancora i gradini da scendere ed eccomi di nuovo alla bici, lì che mi aspettava – come speravo – vicino al cartello che avrei dovuto leggere prima per sapere e che ho letto invece dopo, per confermare.


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Bulli Non sanno leggere o non sanno capire, forse sono stranieri o magari solo bulli arroganti, stupidi e egocentrici che non hanno rispetto per il prossimo. Ce l’ho con quelli che vanno in spiaggia (o in montagna o in città) e lasciano cartacce, bottiglie e bicchieri di plastica, cicche e pacchetti vuoti di sigarette a testimonianza dello loro esistenza. Ci sono cartelli che invitano, ci sono contenitori capaci e comodi: basta un minimo di creanza e un po’ di buona volontà, ma molti ne sono carenti. E non sono solo giovani bulli smaniosi di mostrare il loro bullismo, ma anche genitori con bimbi che imparano e un giorno tramanderanno l’arte del menefreghismo. Magari non pagano le tasse ma si lamentano se la spiaggia o la città non è pulita e pretendono che il Comune provveda: ognuno di loro vorrebbe una persona al seguito per raccogliere quanto loro (e il loro cane) lasciano nei luoghi pubblici, naturalmente a spese pubbliche. Forse non pretendono tanto, forse vivono come porci anche a casa loro; di sicuro se ne fregano se chi viene dopo di loro non trova la spiaggia, la strada o il bosco com’era prima del loro arrivo, dell’arrivo del primo di loro. Comuni e Province Sembra che alcune province e alcuni Comuni spariranno. Non tutte le province ma solo quelle con meno di 300 mila abitanti e meno di 3 mila Kmq di superficie e i Comuni con meno di 1000 abitanti.


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Non so cosa fanno le province come non so di cosa si occupano le circoscrizioni comunali e le Comunità Montane. Forse, con i mezzi di comunicazione attuali, non è indispensabile pagare sindaco e assessori per ogni singolo piccolo Comune e non per una comunità più vasta, forse basterebbe non pagarli o farlo solo in ragione del tempo effettivamente dedicato al bene del Paese. Dal punto di vista amministrativo – si pensa – i piccoli Comuni e le province, magari non tutte, sono enti inutili le cui funzioni possono convenientemente essere svolte da altri enti. Ma dal punto di vista sentimentale o affettivo è tutta un’altra cosa. Non vorrei che l’Altopiano di Asiago, da sempre conosciuto come Altopiano dei Sette Comuni dovesse diventare l’Altopiano dei Sei Comuni o – chissà un giorno – l’Altopiano Senza Comuni. Già non mi piace molto che più nessuno risulti nato nei piccoli centri solo perché la madre non partorisce in casa e si reca all’ospedale che in paese non c’è mai stato o non c’è più: un bimbo concepito, “gestito” e cresciuto a Alfa risulta essere di Beta perché lì è stato partorito ed è rimasto qualche giorno. Se gli chiederanno dove vive non potrà più dire a Alfa perché sarà assorbito in Bravo magari diventato Bravo–Alfa–Charlie oppure Nonloso con Frazioni Alfa, Bravo, Charlie. Non sono certo che succederà questo: a Valdagno quelli di Novale dicevano “sono di Novale (Valdagno)” e a Savona quelli di Lègino dicono “sono di Lègino (Savona)” e forse si dirà sono del Territorio di Savona, precisando a richiesta “provincia di Genova, Liguria” anche se qualcuno


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preferirà dire “della ex provincia di Savona” come dice “ex Stazione” o “ex Ospedale”. Io spero che abolite le Province (l’Ente Amministrativo Provincia) rimarranno le Province come identificazione geografica, magari chiamandosi Territorio. Spero poter dire Vado, Territorio di Savona, Provincia di Genova se così sarà. Le sigle delle province sono sparite da un bel po’ dalle targhe delle auto, ma sono molti che continuano a inserirle facoltativamente, per identità personale. Non vorrei invece che prendesse piede l’abitudine frequente in alcuni TG di dire “Paese vicino a Città” invece di “Paese in Provincia di Città”: se la Liguria diventa tutta Provincia di Genova direbbero “Ventimiglia vicino a Genova”? In fin dei conti distano solo più di 150 Km. Unità d’Italia. La Repubblica, una e indivisibile, è divisa in una ventina di Regioni, alcune grandi alcune piccole, con molte o una sola provincia (Aosta), con una provincia diventata due (Molise), con province linguisticamente di altra regione (Trentino-AltoAdige, Friuli-VeneziaGiulia). Per conservare l’unità, alcune sono più Regioni delle altre: sono a statuto speciale altrimenti Val d’Aosta finiva in Francia, Alto Adige in Austria e magari Friuli in Jugoslavia, Sardegna in Spagna, Sicilia in Tunisia o da quelle parti. Ora che le frontiere più non ci sono in Europa e i neo-europei le considerano tutte inesistenti non mi pare abbia più senso conservare privilegi ingiustificati. Non sono solo quelle regioni a pretendere solidarietà in


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nome dell’unità, senza però darla: è normale far pagare sempre ai soliti solventi, siano cittadini o regioni. Un privilegio è diritto acquisito, chi ha dato continui a dare, chi ha avuto continui ad avere. Chissà se mai verrà parità: tutti con pari diritti e doveri, fra ittadini e fra regioni. Si celebra l’unità divisa in Province, prefetture, ASL, USL, Tribunali, circoli didattici, comunità montane, Comuni, circoscrizioni e non so che altro ancora. Ora stanno per abolire alcune province, in base al numero di abitanti e alla superficie del territorio. L’ideale sarebbe un democratico “o tutte o nessuna“, ma potrebbe anche essere in base all’anzianità: più sono storicamente antiche e più hanno diritto di sopravvivere, sparirebbero così quelle province nate recentemente solo per accontentare qualche politico. Oppure potrebbe essere il contrario: largo alle province giovani, che quelle vecchie hanno fatto il loro tempo. Se fossimo ancora cristiani ci sarebbe una soluzione: abolire tutti gli enti provincia passando ad altri le loro competenze e adottare la vecchia suddivisione cristiana del territorio in diocesi e parrocchie. Anche se non ci saranno più vescovi e parroci, dal punto di vista storico e territoriale gli ambiti potrebbero essere validi: sono della diocesi di Savona-Noli, parrocchia San Bernardo in Valle. Non più province ma diocesi, comuni e altro come aggregazione di parrocchie. Da ragazzo non capivo come mai Asiago e frazioni di Bassano del Grappa, comuni della provincia di Vicenza, fossero della diocesi di Padova: questo non accadrebbe più. Pratico e semplice: forse non è una buona idea, anzi sicuramente non lo è e proprio per


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questo potrebbe essere presa in considerazione. Il gentil sesso Ieri sera è successo di nuovo. Era un bel po’ di tempo che non accadeva e pensavo che non dovesse più accadere. Ero già a letto quando ho sentito un gran botto: due moto si erano scontrate sotto casa mia, una era a terra girata all’incontrario su una via e una era ferma sull'altra via, appena dopo l’incrocio. Accanto alla prima giaceva il conducente, accanto alla seconda – in piedi – la conducente urlava bestemmie. Il passaggio all’incrocio é regolato da semaforo e il semaforo funzionava: di qua verde e cinque secondi di giallo e di là rosso e viceversa. Evidentemente qualcuno è passato col rosso: la donna in piedi diceva “non l’ho visto” e si disperava e urlava bestemmie, una, due, tre volte e sempre più urlate. Dalla voce mi pareva una giovane. Cosa non abbia visto non lo so, forse è stata lei a passare col rosso, forse aveva ragione a disperarsi per quello che aveva combinato: quello che non capisco è perché urlasse bestemmie. Sentirle mi da fastidio, ma purtroppo molti italiani si sentono più uomini se usano turpiloquio e bestemmiano. Un tempo le donne non ci tenevano a sentirsi più uomini ed erano considerate gentil sesso: oggi non è più così e l’aggettivo è abolito. Non per tutte, spero. Ritorno in spiaggia Non abbiamo impegni di lavoro e disponiamo di tutto il tempo che vogliamo. Nei fine settimana e nel mese


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d’agosto lasciamo la spiaggia ai foresti: oggi, dopo un mese, siamo tornati in riva al mare, come sempre in spiaggia libera. Era come me l’aspettavo a fine agosto: niente ressa, pochi ombrelloni, niente bivacchi, pochi foresti, tranquilla, quasi settembrina. Le cicche sono un’enormità. Viva i sigari, abbasso le sigarette col filtro. Nessun mozzicone di sigaro, ma un’infinità di filtri di sigaretta. I sigari sono foglia di tabacco e col tempo spariscono, i filtri di sigaretta no. Sono indistruttibili. Io penso che i frequentatori d’agosto educatamente, secondo loro, infilavano la cicca nella sabbia come fosse un unico enorme posacenere. Stupidamente o maleducatamente, secondo me. A meno di sotterrarli per più di mezzo metro, poi riaffiorano al primo venticello, alla prima acqua e sono ovunque. P.S. – Perché approfittando della crisi non hanno portato a 20 euro il prezzo del pacchetto di sigarette? Un euro l’una, 20 al giorno, 600 al mese ; ma li avrebbero trovati o magari avrebbero smesso di fumare. Come si multano i proprietari di cane senza contenitore per le cacche si multino i proprietari di sigarette senza contenitore per le cicche. In città Anche in centro città un tempo le strade servivano principalmente per il transito da un luogo all’altro di veicoli a due o quattro ruote mossi da uomini o animali e di qualche mezzo a motore; i marciapiedi erano per i pedoni,


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per la marcia-a-piedi appunto. Oggi le strade in centro servono principalmente per la sosta dei veicoli a motore e il transito di quelli che l’hanno terminata o cercano di farla: gli altri solitamente evitano di passare per il centro. Ci passa anche qualche ciclista, a suo rischio e pericolo: i marciapiedi per i pedoni ci sono , le piste ciclabili quasi mai. Mi immagino come poteva essere il piccolo centro ottocentesco della città, con belle strade trafficate e larghe. Ora sono ristrette dalle auto posteggiate e i veicoli possono ancora andare da qui a lì, ma non viceversa per via dei divieti e dei sensi unici. È una piccola città sul mare; il suo centro storico è in piano ma è cresciuta in piano solo lungo le rive del fiume e del mare, in ripida collina altrove: Ospedale, Comando Vigili Urbani, Biblioteca sono su cucuzzoli. Nel comune è da qualche tempo attivo Bicincittà, un servizio di bici-a-nolo dagli italiani detto “bike sharing”: mi piacerebbe proprio conoscere quale successo ha avuto. Se non vado a piedi uso la bici, quasi mai l’auto: a piedi in centro, in bici in periferia e provincia, in auto altrove. Non so se chi ha voluto il Bicincittà ha provato a usarla, la bici: lo vorrei vedere salire alla Villetta, al Polisportivo o a uno di quei posti in collina. Ma vorrei anche vedere come se la cava in pianura. Uno rispettoso delle regole non dovrebbe viaggiare in senso vietato o sui marciapiedi e così o passa all’illegalità o per andare da un posto a uno lontano 100 metri ne fa almeno 300. I marciapiedi dovrebbero essere riservati ai pedoni, ma


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sono spesso usati anche da ciclisti; viceversa le pseudo piste ciclabili sono altrettanto spesso usate dai pedoni. Pericolosità delle strade e sensi vietati invogliano i ciclisti a diventare pedoni su due ruote e usare i marciapiedi, che dai bottegai del centro vengono anche usati come spazio espositivo, vetrina. Ovunque ci sono cassette della frutta messe sul marciapiedi durante l’orario di apertura del negozio: in una via c’è perfino una struttura metallica porta-cassette fissata al muro, sul marciapiede sempre, giorno e notte, tutti giorni, festivi compresi. Se i marciapiedi sono sufficientemente larghi tutto può andar bene; ma se non lo sono e scenderne non si può perché ci sono le auto posteggiate e la gente predilige far capannello nei punti più stretti: dove c’è un palo di segnaletica, o una pianta in vaso o un cestino rifiuti o in prossimità di semafori l’ingorgo avviene anche lì. Chissà se un giorno in questa città potranno circolare automobilisti, ciclisti e pedoni tutti felici e contenti, ciascuno su un percorso apposito intelligentemente tracciato per ottenere il massimo risultato col minimo sforzo e arrivare dove si vuole per la via più breve e nel minor tempo. P.S. Allora non c'erano i monopattini elettrici. Censimento 2011 Qualche settimana a.C. Giuseppe e Maria dovettero mettersi in viaggio per compiere il loro dovere di sudditi e rispondere al Censimento. Oggi gli italiani devono adempiere allo stesso dovere e rispondere al questionario


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sul Censimento 2011. Chi pensa che nel frattempo le cose siano del tutto cambiate deve ricredersi: il questionario ti arriva a casa, puoi rispondere alle domande con una crocetta, puoi magari compilarlo al computer, via Internet, ma sempre sudditi siamo e al solito i governanti sembrano divertirsi nel complicare il più possibile la vita ai cittadini e se non lo fanno almeno un po’ ne soffrono e non si sentono all’altezza di pubbliche autorità. Secondo istruzioni la consegna delle risposte può essere fatta via Internet, agli Uffici Postali, presso gli appositi sportelli del Comune. Sento dire che il servizio via Internet è andato in tilt, che gli Uffici Postali rischiano la paralisi e così per consegnare il modulo compilato mi reco in Comune, che oltretutto è più vicino. Forse era troppo laborioso per loro e troppo poco per il suddito se dicevano dove esattamente andavano consegnati i moduli, magari mettendo un semplice promemoria nella busta inviataci. L’indirizzo del Comune che compare sulla busta di ritorno – dopo avere accuratamente inserito il modulo secondo le istruzioni, facendo combaciare le freccine – è preciso. Ma a quell’indirizzo vedo varie targhe ma nessuna con "Comune". Cosi vado all'isolato del municipio, e gli giro attorno. Ha entrate su tre lati: nella prima non vedo nessun avviso, nella seconda nemmeno, finalmente alla terza ci sono due cartelli con scritto CENSIMENTO 2011 in grande, in meno grande sportello n.9 e più piccolo altro che non leggo.


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Entro. Ci sono tre sportelli numero 9: su quello a destra c’è il cartello con “prenotazioni per chiarimenti”, quello grande centrale ha davanti una saracinesca abbassata a metà, su quello a sinistra c’è lo stesso cartello di quello a destra e in più uno con “consegna moduli compilati” e altro. Ovviamente vado a sinistra e aspetto il mio turno: quando arriva mi sento dire che non è giornata e mi fanno notare che quello in piccolo che non avevo letto diceva i giorni e l’orario in cui vanno consegnati i moduli compilati. Tornando a casa ho visto altri due vecchierelli come me con in mano la busta Censimento 2011: se proprio in Comune non ce la fanno a raccogliere le buste tutti i giorni, sia pure nel limitato orario d’Ufficio, non potevano proprio informarne i devoti e solerti sudditi con quel promemoria che dicevo? Ma sarebbe stato troppo semplice per noi e forse per loro poco divertente. Aspettando lo switch off Liguria: dal 10 ottobre 2011 al 4 novembre 2011 si passa dal sistema analogico al sistema digitale. Già da molto tempo ho sostituito il vecchio televisore con uno nuovo predisposto alla ricezione del segnale numerale terrestre e da molto tempo digitando opportunamente sul telecomando ricevevo oltre ai canali analogici i canali numerali terrestri di Mediaset, La7 e altri, senz’altro visivamente migliori. RA1, RA2, RAI3 invece solo analogici. Aspettavo fiducioso che anche questi fossero visibili con la nuova tecnologia e invece da qualche tempo non


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vedo più nemmeno i canali Mediaset. Voglio sperare che quando ci sarà il famoso switch off – che altro non sarebbe che il passaggio al nuovo con chiusura del vecchio, ma detto così lo capirebbero tutti e perderebbe tutto il suo fascino di mistero – si possa vedere qualcosa in più di quello che vedevo fino a qualche tempo fa e non invece un bel niente del tutto. La Rai mi fa pagare due canoni, uno per vedere la TV in Liguria e uno per vederla nel biellese. Ora mi trovo quassù e, analogici esclusi, vedo magnificamente un sacco di canali: spero di poterli vedere anche quando tornerò laggiù. Automobili Cosa non si fa pur di far vendere automobili! Finiti i soldi, finiti gli incentivi alla rottamazione. Ma per fortuna sono rimasti smog e polveri sottili. Magari ...con l’alta pressione, la nebbia, il freddo e gli impianti di riscaldamento accesi, fermare la circolazione delle auto solo di domenica non serve molto per migliorare la qualità dell’aria e serve ancor meno ad incrementare la vendita di auto. Allora meglio consentire la circolazione solo alle auto EuroX e quando gran parte degli automobilisti sono passati alla EuroX consentire la circolazione alle sole EuroX+1. Conosco qualcuno ricco che, per poter circolare quelle quattro volte all'anno in cui ha necessità di farlo, a ogni aumento di X cambia l’auto, anche con meno di 2500 km percorsi.


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Ma non basta, molto meglio passare alla circolazione a targhe alterne: oggi quelle con numero pari, domani quelle con numero dispari. La scusa è quella di dimezzare il numero di auto circolanti ma l’obiettivo è di vendere un’auto con targa pari a chi ne ha già una con targa dispari. Se poi lo smog persiste e le vendite di auto non sono quelle sperate si passerà alla circolazione di solo un terzo delle auto immatricolate: oggi quelle con il numero di targa esattamente divisibile per tre senza resto, domani quelle con resto di uno, dopodomani quelle con resto di due. Chiunque necessiti di auto per poter lavorare avrà tre auto e possibilmente tutte EuroXXX. E così potrà viaggiare tutti i giorni, salvo qualche domenica, e magari pagare qualche multa per avere superato i 30 km/h in un tratto di strada dove qualcuno ha lasciato il cartello di limite a lavori finiti, pericolo passato, cantiere chiuso o mai aperto. 2012 Risparmi In tempo di crisi necessita risparmiare. I cittadini comuni non hanno problemi: volenti o nolenti limiteranno le loro spese avendo già provveduto i governanti a limitare le loro possibilità con imposte e balzelli. “Se no gh’in xe, no se gh’in dopera”, diceva mia nonna. Forse cominceranno a risparmiare anche i Comuni. Girando in città mi par di capire che già da un po’ si pensa a non sprecare. Vedo infatti spazzini usare miniscope che hanno sì il manico normale ma la parte per spazzare è


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larga forse una spanna. Io credo che in questo modo la Società incaricata della pulizia delle strade e quindi il Comune spenda molto meno in scope. Non può essere che quelle scope – inadatte al volo della Befana – siano così minuscole solo per consentire di spazzare (succede?) tra le ruote delle macchine posteggiate e i marciapiedi: la stessa cosa si può fare con una scopa di dimensioni normali, basta usarla di taglio anziché di piatto. Sicuramente così ridotte costeranno invece meno di quelle normali ed essendo più leggere affaticano meno le persone che le devono usare. Vanno anche benissimo per evitare talvolta di raccogliere materiale forse non contrattualmente previsto o non desiderato passandoci abilmente di lato e sono comunque adattissime ad una raccolta di precisione: che sia questo che s’intende per raccolta differenziata? Forse ci sono altri validi motivi per usare questi attrezzi e io non li conosco; forse si vedono in tutte le città e io non lo so, ma se così non fosse in tempi di crisi non vale la pena comprare una scopa quando ne basta benissimo mezza, pare. Diversità Io non abito in Valsusa e non so come stanno davvero le cose, non so se il problema è il buco nel monte o il timore che un treno veloce possa spaventare le tranquille mucche valligiane, se ci sono. La Valsusa non è molto lontana dalla Liguria, vengano a vedere: è tutta traforata da Nord a Sud da Est a Ovest e più buchi fanno più i liguri mi


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sembrano rallegrarsene. Già tra il 1860 e il 1872 da queste parti vennero fatte parecchie gallerie per far passare la ferrovia GenovaVentimiglia, poi altre ne vennero per l’autostrada dei fiori e altre ancora quando la ferrovia da litoranea (bucava solo i promontori) fu spostata all’interno e dovette bucare le colline con gallerie più lunghe rese necessarie e possibili dal progresso. Ci saranno state lamentele, proteste ma ora mi sembrano tutti felici che le gallerie ci siano, che i treni vi transitino, che auto e camion passino lontano dalla SS1 Aurelia, lassù tra viadotti e gallerie. Se il problema è il buco non capisco perché terrorizzi i valligiani mentre qui mi pare siano lieti di quello che hanno fatto non molto tempo fa per arrivare a Porto Vado. Forse qui sono diversi gli interessi o diverse le persone o sono io a non accorgermi che invece odiano i buchi e che vorrebbero vivere felici aperti solo verso il mare. E forse sono diversi anche quelli subito a Ovest della valle, visto che da quelle parti i lavori procedono pacificamente. Io non ne so molto e ammiro quelle persone di Trieste o Roma o Lecce che invece sanno tutto e sanno il giusto e vengono in Valsusa e vanno in tutta Italia a fermare treni, auto, persone, lavoratori, pensionati e se la prendono con polizia e carabinieri che, a torto, vorrebbero permettere a tutti di fare pacificamente quel che preferiscono, senza essere ostacolati o di ostacolo agli altri. Sanno tutto dei problemi della TAV in Valle di Susa come sapevano tutto dei problemi del Dal Molin a Vicenza, molto più dei valsusini e dei vicentini.


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Non so se i vantaggi dell’Italia non valgano i disagi o danni per la Valsusa, ma, se li valgono, volere impedire il passaggio del TAV nella valle sarebbe come volere impedire il passaggio della Dora Riparia fuori della valle. Cosa direbbero i valligiani se alla Sacra di San Michele facessero un’alta diga per impedire alle acque del loro fiume di attraversare il restante Piemonte? Se invece il motivo della rivolta non è il buco ma il disturbo alle mucche non saprei che dire: di mucche proprio non me ne intendo, so solo che un paio d’anni fa me ne sono trovata una davanti in autostrada tra Savona e Genova e ancora non capisco come abbia fatto ad esserci. Paese natale Non so se Leonardo oggi nascerebbe a Vinci o se quel comune è come i tanti piccoli paesi in cui non nasce più nessuno o quasi perché non c’è ospedale: niente ospedale, niente clinica privata, niente reparto maternità, niente nascite. Ospedali nei comuni più piccoli non ci sono mai stati, in quelli meno piccoli non ci sono o non ci saranno più e – se le cose stanno come credo – quasi nessun nasce più in questi paesi. Un tempo alle donne capitava anche di partorire in casa, non sempre assistite da un medico: c’erano le levatrici che facevano nascere i bimbi anche nei più remoti casolari e comune di nascita e di residenza della madre coincidevano. Non necessariamente si nasceva in casa perché non c’erano ospedali: dei miei fratelli minori, uno è nato in un


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piccolo paese nell’ospedale che non c’è più e l’altro in casa in una città dove l’ospedale c’era e c’è. Ora di regola si nasce in ospedale o clinica, magari in giorni programmati; i primi vicini del neonato non sono fratelli e consanguinei ma estranei multicolori; talvolta il padre è un codice a barre. I miei genitori sono nati in un paese in cui non si nasce più: i bimbi di qualche giorno nati nell’ospedale della vicina città vi immigrano da quel comune. Capisco che alla maggioranza dei neonati non importerà niente risultare nati nel paesello dove abitava la madre, forse non sapranno mai il nome di quel paese e diranno solo di essere nati in Europa o in Italia, sapranno dov’era l’ospedale in cui sono nati perché sarà scritto in qualche posto, un nome di cui i loro nonni forse mai sapranno molto. Ma chi è nato in quel paese, chi ha avuto antenati lì venuti al mondo, vissuti e sepolti magari non gradisce che i suoi figli e nipoti risultino nati nel paese tradizionalmente avverso e compaesani di persone di paesi “lontani”. Visto che, quando è noto, la denuncia di nascita arriva comunque al Comune di residenza della madre, troverei più giusto indicare quello nei documenti ufficiali. Es. Nati all’ospedale di Vicenza: Luigi Rossi da Caldogno (VI) nato il 20.11.2011 [Vicenza] cf = RSS LGU 11S20 B403N Giovanna Bianchi da Vicenza nato il 21.01.1012 [Vicenza] cf = BNC GNN 12A61 L840X


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In quel comune il neonato era prima e subito dopo la nascita. Che poi il parto sia avvenuto nel comune dove si trova l’ospedale o in quello dove la madre si trovava mentre vi si recava sono accidenti casuali. Di fatto là era la sua casa, là sono le sue radici: si può sempre indicare anche il comune dov’è avvenuto il parto, se proprio serve. P.S. – Se non si nasce nel comune dov’è l’ospedale solo perché è più comodo fare lì la denuncia di nascita, se il nuovo ospedale di Biella è a Ponderano quasi tutti i biellesi nasceranno in quel piccolo comune. Cattedrale Durante una passeggiata su al Priamàr in uno di questi giorni, ho visto S.E. il Vescovo di Savona nel piazzale della cittadella. Era davanti ai cartelli che illustrano l’antica cattedrale, quella che stava lassù e che ora non c’è più, distrutta da Genova per far posto alla fortezza. L’ho visto attentissimo ad osservare quei disegni e ad ascoltare quanto gli illustrava il signore che lo accompagnava. Quando gli sono passato abbastanza vicino ha continuato ad osservare e ad interrogare e ascoltare il suo accompagnatore: non ho badato a quello che dicevano, non si è distratto, non l’ho potuto salutare. Non lontano c’erano altre persone, all’apparenza intente a studiare il luogo e discutere sul cosa fare. Sembrava strano che solo ora, dopo anni che è a Savona, si fosse interessato in loco alla storia della sua chiesa. Mi è sorto un dubbio: non è che S.E. stia pensando di riportare la Cattedrale sul Priamar? Spero di no, sarebbe


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piuttosto scomoda. Volevo chiederglielo, ma come ho detto non s’è distratto e io non ho osato. Opere Pubbliche Chissà se hanno capito cosa davvero significa “spending review” o se al solito usano l’inglese solo perché é di moda, è “in” , come dicono. Molti anni fa tutti i giorni lavorativi dovevo passare per un paese, per una via dove c’erano sempre lavori in corso: prima per uno scavo dove poggiare i cavi del telefono, poi per coprirli con la terra, poi per asfaltare dov’era stato lo scavo, poi di nuovo scavo per poggiare i tubi del gas, di nuovo copertura e di nuovo asfalto, quindi ancora scavo per i tubi dell’acqua e poi magari si riprendeva il giro per risistemare la rete del telefono, del gas e dell’acqua. Mia madre diceva “fare e disfare è tutto un lavorare”, è anche tutto uno sprecare ma per alcuni è pur sempre un buon affare e i soldi sprecati più d’uno fanno ingrassare. Ora mi chiedo se, coi tempi che corrono, per evitare spese i nostri amministratori non si decideranno a pensare bene quando fanno fare un lavoro in modo che quello che viene fatto non debba essere rifatto altrimenti, magari dopo poco tempo e per risolvere un problema già presente prima di inizio lavori o se faranno e disfaranno addebitandoci le spese. Alla mia età il tempo scorre più velocemente e magari sono decenni e non pochi anni che in città è stato sistemato lo spiazzo dove ha felicemente trovato posto il bronzo del marinaio con lanterna, un tempo negletto dall’altra parte


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della strada e ora immortalato da moltissimi fotografi in crociera. Ora è nuovamente sottosopra, credo per consentire un diverso passaggio ai turisti dal Porto crociere. Molto verosimilmente è una cosa utilissima e intelligente, ma non potevano pensarci prima? Io resto del parere che qualsiasi cosa venga fatta qualcuno sicuramente ci guadagna: portroppo qualcun altro ci rimette. 2013 Segnaletica Non so se sono io a non capire, se sono gli altri a sbagliare o se lo fanno apposta. Non giro più molto e non so dire se queste cose succedono solo qui o in tutta Italia: all’estero non ricordo d’averle notate. Visto oggi in breve giro in bici. Si arriva a una rotonda dove sono ben indicate molte destinazioni e su tutte la freccia indica a destra: peccato che invece si debba andare diritti, ma lo sanno tutti e chi non lo sa s’arrangi. Prima del castello a sinistra c’è una breve pista ciclabile: inizia col cartello pista-ciclabile, poi ogni 15-20 metri un cartello fine-pista-ciclabile e qualche metro dopo uno pista-ciclabile. Stessa cosa su altra strada: ogni cartello fine-pista ciclabile ha dall’altra parte del palo il cartello pista-ciclabile e viceversa, ad ogni accesso alle case sono 4 cartelli e le case si susseguono una dopo l’altra. Forse i cartelli sono messi non per agevolare i viaggiatori – quasi tutti in auto hanno ormai il navigatore e i


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ciclisti girano quasi tutti solo per sport e non importa per dove si passa ma quanti km si fanno – ma semplicemente per dare lavoro a chi li fa e li mette. Andar per Ricetti e Baragge Nella mia ignoranza, prima di venire in Piemonte dal Veneto non sapevo dell’esistenza dei termini Ricetto e Baraggia. E non conoscevo nemmeno cavedio prima di conoscere la mia consuocera. Poi a Candelo ho trovato ricetto e baraggia e a Savona ho visto il cavedio e civici rossi: localmente tutti hanno sempre saputo e sanno cosa sono, tutti fin da piccoli li hanno visti e chiamati così. Ora con Tv e internet credo che più nessuno ignori il significato di quei termini, ma per quei quattro che ancora non lo sapessero lo riporto . •Il termine ricetto … definisce una struttura fortificata in uso nel Medioevo…destinato, prevalentemente, alla custodia dei “preziosi” della comunità agricola: prodotti agricoli, bestiame e strumenti di lavoro…serviva [anche] a fornire una protezione alla popolazione da eventuali nemici esterni. •Baraggia [ba-ràg-gia] s.f. (pl. -ge) sett. Terreno incolto e arido‖ SIN. Landa. Arrivato nel Biellese ho conosciuto e frequentato il ricetto e la baraggia di Candelo-Cossato, ho visto il ricetto di Magnano (poca cosa) e la baraggia di Masserano: non mi sono nemmeno posto il problema se esistessero altrove altri ricetti e altre baragge. Trovandomi nuovamente da queste parti ho pensato di


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fare un giretto nelle zone limitrofe, paesi attraversati molte volte, visti tante volte. Questa volta volevo guardarli meglio. Il giro prevedeva Rovasenda, Carpignano, Fara, Briona, Ghemme, Romagnano, Gattinara: un 100 Km in tutto, in auto. Carpignano credevo conoscerlo, ci passavo spesso ma non sapevo che avesse un ricetto. Non come quello di Candelo: più piccolo ma più abitato e con tutte le case almeno in parte costruite con ciottoli elegantemente posti a lisca di pesce. Evidentemente il paese si chiama Carpignano Sesia perché la Sesia passa di lì ed è piena di ciottoli: non meraviglia che fossero il principale se non unico materiale da costruzione. E così ho visto quello che passando in auto non potevo vedere e fermandomi nel paese non avevo cercato. Anche per Fara passavo (recandomi a Bellinzago o da quelle parti): ricordavo una strettoia, un semaforo e pensavo che il paese fosse tutto lì. Ora so che per il paese non passavo, lo sfioravo. A Briona non sono andato: m’ero scordato che non è tra Fara e Ghemme, ma qualche Km dall’altra parte, una deviazione. Tra Fara e Ghemme c’è Sizzano ma non l’avevo preventivato e così sono arrivato a Ghemme e anche lì come a Carpignano ho scoperto il ricetto, il castello-ricetto: vedendolo ho pensato che anche Ghemme è prossimo ai ciottoli della Sesia. Romagnano è sulla strada per il Verbano, il lago è al di là della Sesia, la Sesia si può passare solo su due ponti (escludendo quello autostradale), uno tra Ghislarengo (VC)


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e Carpignano (NO), l’altro tra Gattinra (VC) e Romagnano (NO): per Romagnano si deve passare, sono passato molte volte e fermato alcune. Ero un po’ stanco di camminare, ho fatto solo un breve giro. Informandomi in rete ho scoperto che per quasi tutto il viaggio ero in qualche baraggia (biellese, vercellese, novarese), anche quando non vedevo altro che verdi distese di riso. A Gattinara ero ancora più stanco e ci sono stato più volte: mi sono fermato solo a casa. Migliorie In questa epoca frenetica sempre più spesso ci sono cambiamenti e quello che fino ieri era il meglio oggi è obsoleto, superato. Ma in questa frenesia di novità, in cui i giovani che non devono scartare e dimenticare il vecchio per sostituirlo col nuovo si trovano perfettamente a loro agio e in grado di apprendere facilmente, i meno giovani che prima devono rimuovere il vecchio hanno qualche difficoltà ad apprendere il nuovo, anche perché alla loro età il cervello come il corpo è un po’ meno pronto. Costruire ex novo è quasi sempre meno complicato che ristrutturare il vecchio. Ma può anche succedere che vengano apportate quelle che io chiamo migliorie peggiorative che danno ragione al proverbio “el tacòn xe pexo del sbrego“. L’intento magari è quello di migliorare l’esistente, ma il risultato no. Può capitare in tutti i campi. Ci si lamenta che in Italia non si fanno le riforme legislative, ma le riforme fatte in passato


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per molti sono state migliorie peggiorative. Si sa, alle persone anziane capita di avere nostalgia del passato e di considerare migliori le cose dei loro tempi migliori. Ma non è detto che abbiano sempre torto. Quando mia nonna mi mandava a prendere ‘na gamba de sedano in fondo all’orto io tornavo con un piccolo ortaggio striminzito che però profumava benissimo una gran pentola di brodo. A quei tempi “gamba de sedano” era sinonimo di magrezza. Ora un sedano è enorme ma a me pare che il gusto, il sapore totale di quel gigante sia si e no pari a quello della gambetta striminzita d’un tempo: ha guadagnato in volume, peso, tenerezza e bellezza ma non in sapore. Anche prezzemolo, fragole, mirtilli non erano così grandi e belli come oggi, però … Credo siano ben pochi quelli che pensano che la riforma del Titolo V della Costituzione non sia stata una miglioria peggiorativa e molti pensano la stessa cosa di ogni riforma fatta, rifatta o tentata: diciamo che nel migliore dei casi i cambiamenti sono vantaggiosi, a volte migliorano qualcosa e peggiorano altro, a volte sono inutili e lasciano le cose com’erano, nel peggiore dei casi il vecchio era meglio del nuovo. Capita che, dopo aver faticato per apprendere come utilizzare qualche applicazione di Google, Flickr, Msn o altro, quando credi di avere capito come funziona e quali accorgimenti usare per ottenere di più con meno fatica, arriva la miglioria che rende inutili tutti i tuoi trucchi, devi dimenticare tutto quanto hai imparato e studiare nuove procedure che quando finalmente le saprai un po’ padroneggiare saranno sostituite da altre che per chi verrà


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dopo o impara prima saranno senz’altro migliorie, mentre per te che non riesci o riesci appena ad aggiornarti in tempo ti sembrano migliorie peggiorative e pensi che era meglio quand’era peggio: magari ti davano meno possibilità ma le sapevi meglio usare. 2014 Carrefour giratoire “Il legislatore nonostante sia intervenuto con una importante revisione del Codice della Strada nell’estate del 2010, quando cioè le strade del nostro Paese erano già molto attrezzate di rotonde, sia urbane che extraurbane, si è “dimenticato” di aggiungere un articolo di legge, che facesse chiarezza sulle corrette modalità di circolazione su questo tipo di intersezioni stradali, causando così una grande confusione e comportamenti quando non pericolosi, certamente idonei ad intralciare o rallentare la circolazione." “Quando si giunge nei pressi di una rotatoria, in fase di entrata, occorre rallentare, verificare la presenza di veicoli che già impegnano la rotonda, fornire la precedenza agli stessi e poi immettersi conseguentemente senza bisogno di segnalare questa manovra a coloro che ci seguono.” “È il caso di precisare che l’ingresso nella rotatoria soggiace alle regole di attraversamento di una intersezione stradale, indicate nell’art.145 del codice della strada, ovvero occorre dare precedenza a destra; questo imporrebbe


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a chi procede all’interno della rotatoria di dare precedenza ai veicoli entranti. Per rendere efficace, però, l’utilizzo delle rotatorie, gli enti proprietari della strada appongono generalmente la segnaletica di <dare la precedenza> all’ingresso della rotatoria, cosicché i veicoli ivi circolanti hanno la precedenza rispetto ai veicoli che vi accedono.” Questo è quanto ho trovato in merito alla circolazione nelle rotonde. Nella rotatoria alla francese chi vi si trova ha diritto di precedenza rispetto a chi deve entrarci e chi vi arriva deve fermarsi per far passare le vetture che già sono nella rotatoria. Ritengo che lo scopo del carrefour giratoire sia di consentire un flusso continuo delle vetture che vi si immettono nel movimento rotatorio e ne escono. Essenziale perché questo avvenga è che la circolazione nell’anello sia a velocità tanto più moderata quanto più piccolo è il raggio della rotonda. Se questo avviene chi arriva non ha difficoltà a immettersi senza intralciare la circolazione. Naturalmente nel caso di circolazione a destra le vetture dentro all’anello circolatorio non possono che venire da sinistra, ma questo non significa come pare siano convinti certi automobilisti che in quell’incrocio si debba dare la precedenza a sinistra, ma solo che chi si trova nella rotonda è in una strada con diritto di precedenza rispetto a tutte quelle che vi si immettono. Ne consegue che un’auto che si trova sulla strada a sinistra ma non nella rotatoria NON ha la precedenza, ma se il conducente non rallenta costringe chi si trova alla sua destra a fermarsi e magari si convince e convince che è un suo diritto e non una sua prepotenza.


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Una volta nella rotatoria si ha diritto di precedenza, ma trovo poco rispettoso dei diritto altrui, anche se forse non è espressamente vietato, precipitarsi prepotentemente nella rotaria a forte velocità per guadagnarsi tale diritto a danno di chi era pronto a entrare nell’anello appena fosse passato chi già vi era con diritto di precedenza. Direi anzi che, rispettando le normali regole di circolazione, se entrambi i veicoli hanno il segnale di dare la precedenza essi si trovano su strade di pari grado, come in un normale incrocio senza strade con diritto di precedenza e chi è a destra ha quindi diritto di entrare per primo. Magari qualcuno mi dimostrerà che sbaglio e che la regola è “nelle rotonde alla francese si da comunque la precedenza a chi proviene da sinistra, sia che si trovi nell’anello o sia che stia arrivando da strada con segnale di dare la precedenza ma a velocità tale da costituire pericolo per chi deve entrarci da una strada alla sua destra”, ma per ora io sono convinto di quello che penso e conseguentemente se arrivo ad una rotonda in cui sulla strada alla mia destra già qualcuno aspetta di immettersi rallento per consentirgli l’entrata. Capita però che quello sia convinto sulla base dell’esperienza locale che ormai mi sono conquistato il diritto di precedenza e tardi a immettersi e che chi mi segue strombetti protestando che “questa è una rotonda”. Appunto, e non, come pare sia per molti, un normale incrocio a regole invertite e quindi precedenza a chi viene da sinistra. Se localmente tutti sono convinti che così sia, magari non succedono molti incidenti ma si creano lunghi tempi d’attesa per chi non fa il prepotente: di questo


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comportamento andrebbero informati anche i non locali perché lo adottino ovunque se è corretto o almeno localmente se non lo è. Turisti Ben vengano i turisti, pare siano una delle poche risorse rimasteci. Però … Le chiese, molte chiese sono tesori d’arte, molte sono ammirevoli, molte meritano una visita: ma sono sempre chiese, luoghi di culto. Non sono più in molti a considerarle principalmente quello per cui sono state costruite: luogo di preghiera e di riti religiosi. Non sono molti ma ci sono e alla domenica vanno alla messa e vanno rispettati. Pochi i fedeli, pochi i preti e poche le ore in cui le chiese tornano alla loro funzione. La cattedrale dell’Assunta è il principale luogo di culto cattolico di Savona, chiesa madre della diocesi di SavonaNoli. Iniziata nel 1584, dopo che dai vincitori genovesi era stata demolita la cattedrale del IX secolo e tutto l’antico nucleo cittadino situato sulla collina del Priamar per costruirvi la fortezza, si trova nel cuore del centro storico della città, contigua alla Cappella Sistina. Sicuramente merita una visita dei turisti e i turisti arrivano o partono con le navi da crociera e le navi da crociera si fermano nel porto e anche ogni domenica una o più navi sono ferme nel porto e il porto è praticamente in centro città e nel raggio di 7-800 metri c’è tutto il centro storico: persone con cartina e fotocamera vanno curiosando per le vie cittadine e molte arrivano anche alla Cattadrale.


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Chissà se tutti quelli che vi arrivano sanno cos’è una chiesa. Magari pensano sia solo una specie di museo gratuito ma senza distributori di bibite e merendine, qualcosa come una galleria d’arte da visitare così come si è passeggiando sul lungomare, se non proprio in tenuta da spiaggia in abiti da sole e mare. Per i parrocchiani fedeli praticanti quello è il luogo dove alle 10.30 della domenica si celebra la Santa Messa festiva, la celebrazione eucaristica che rinnova e ricorda il sacrificio di Cristo: non è solo un rito, uno spettacolo, un avvenimento sportivo o culturale da assistere distrattamente, ma qualcosa che richiede raccoglimento e partecipazione. Chi entra in chiesa poco prima di quell’ora capisce subito che le persone che vede non sono lì per ascoltare messa: non hanno la modestia e il decoro dovuto, ma siamo in una città balneare e non meraviglia molto. Portano zainetto, hanno bottiglia per bere, cartina per orientarsi, cinecamera o fotocamera, girano guardando, scattando foto, parlando sottovoce: non sono sicuramente fedeli lì per la messa ma nemmeno sembrano persone maleducate, soltanto crocieristi in visita. Inizia la funzione religiosa e il dialogo di preghiera tra celebrante e fedeli. La maggior parte dei visitatori è uscita ma qualcuno si attarda e continua il suo giro. Sulla porta della navata sinistra un avviso in quattro lingue vieta le visite turistiche alla domenica mattina: forse entrano dall’altra porta che l’ ha solo in italiano, forse non sanno leggere, forse se n’infischiano del divieto ed entrano lo stesso.


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Magari in una chiesa famosa e affollata non si noterebbero nemmeno, magari faticherebbero a muoversi fra i fedeli, sarebbero confusi con loro, magari anche i fedeli sono li per pregare e guardare e magari riescono a far bene le due cose o bene una e male l’altra o entrambe male o non fare l’una o l’altra. La cattedrale è ampia, i non moltissimi fedeli occupano solo i banchi della navata centrale mentre le sgombre navate laterali restano libere e i turisti che vi transitano solitari o a piccoli gruppi si notano benissimo. Entrano, camminano, si fermano, guardano, fotografano, tornano indietro, tornano avanti, ritornano alla porta donde sono entrati, vanno all’altra lato, ripetono la loro liturgia e se ne escono dall’altra porta. Forse non hanno visto il cartello, forse sono ignoranti di cos’è la messa per i cattolici, forse sono solo maleducati. E ci sono anche quelli che usano il flash: magari mi sbaglio, ma credo che quello incorporato in una piccola fotocamera dia molto fastidio alle persone e poca luce a oggetti distanti decine di metri: navate, volte, altari lontani. E magari si infastidiscono perché quella gente li nei banchi impedisce di fare le foto come vorrebbero. Chissà se quando entrano in una sala e vi trovano con sorpresa molte persone attente ad ascoltare un concerto o a una conferenza, magari se sono interessati e non recano disturbo si fermano o altrimenti se ne escono silenziosamente. Un tempo il vice-parroco era esplicito con chi disturbava durante la messa, poi è stato trasferito. Credo che ora sia il nuovo titolare della Parrocchia, ma in chiesa l’ho visto solo quando è stato insediato dal vescovo: la messa delle 10 e 30 la celebra il nuovo viceparroco, un


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indiano mingherlino che non ha né il fisico né il carattere del suo predecessore. E i turisti disturbano indisturbati. Il multatore C’è un tale in città che gira con giubbino speciale, blocchetto e penna: un ausiliario del traffico credo si dica. È solerte, svelto e quando trova una vettura col permesso di sosta scaduto anche da un minuto sembra la persona più felice del mondo. Sorridendo soddisfatto scrive sul blocchetto il verbale, lo stacca, lo infila sotto il tergicristallo e passa a controllare la vettura soccessiva. In tutto il centro cittadino i posteggi o sono riservati ai residenti o sono a pagamento: tutte le auto posteggiate quindi devono esporre un’autorizzazione o un tagliando a tempo, tutte vanno controllate, tutte potrebbero essere sanzionabili: una pacchia per il nostro solerte tutore della legge. Da una persona così scrupolosa, così inflessibile con le mancanze altrui ci si aspetterebbe un comportamento irreprensibile. E invece … Invece anche lui, arrivato sul lato sinistro della via, si comporta come tanti altri cittadini: non aspetta – come vuole il Comune e impone la segnaletica – il semaforo verde per passare sulle strisce a destra e poi aspettare il verde per attraversare sulle strisce la strada incrociata e poi aspettare il verde per riattraversare sulle strisce e tornare sulla sinistra, ma attraversa bellamente la via incrociata dove non ci sono strisce pedonali, restando sul lato destro per proseguire il controllo delle vetture posteggiate su quel lato e


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allegramente multare quelle che trova in fallo. «Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare». Semafori In città molte sono le strade a senso unico, molti gli incroci, molti i semafori, per vetture e per pedoni. Il traffico non è continuo ma a singhiozzo, interrotto dal rosso semaforico e può capitare che pur avendo omino rosso un pedone potrebbe senza pericolo attraversare la strada, per buon tratto libera tra un semaforo e l’altro. So di un solo incrocio (con una strada a intenso traffico bidirezionale) in cui per breve tempo tutti i semafori per le vetture sono rossi e quelli dei pedoni sono verdi, in tutte le direzioni. Le strisce pedonali attraversano perpendicolarmente le quattro strade, ma i pedoni – ovviamente – tagliano anche diagonalmente l’incrocio: nel tempo concesso è infatti impossibile attraversare sulle strisce prima una via e poi l’altra e per farlo si dovrebbe aspettare un bel po’ il ritorno del verde pedonale. Non so se attraversare così l’incrocio sia esplicitamente consentito dalle norme vigenti, se non lo fosse io mi aspetterei o tempi pedonali più lunghi o tracciati di attraversamento anche diagonali, per non constatare ancora una volta che il Comune non ama i pedoni o non vuole che si abituino a pensare che anche in Italia le regole siano ben fatte per essere convintamente osservate ed ad attraversare sulle strisce rispettando i semafori . In realtà posso assicurare che quasi tutti i miei


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concittadini non hanno questo vizio: all’occasione attraversano dove non ci sono i passaggi pedonali e non rispettano i semafori e per non sentirmi strano o stupido spesso mi comporto come loro. A me pare significativo un fatto accaduto qualche giorno fa. Strada a senso unico, semaforo veicoli rosso. Un signore in moto è fermo aspettando il verde e nell’attesa parla con un pedone sul marciapiedi. Viene il verde, non c’è nessuno dietro e il motociclista s’intrattiene ancora un po’ col pedone. Naturalmente al semaforo veicolare verde da sud a nord corrisponde il pedonale rosso da est a ovest, ma un uomo e una donna a piedi, provenienti da est, passano davanti al motociclista che quindi, terminato di parlare, non può subito proseguire per la sua strada. Credo che il motociclista si sia lamentato per questo, quello che so è che il pedone, già un po’ avanti sul marciapiede verso ovest, è tornato indietro ed ha inveito contro il motociclista dicendo seccato “Lei stava parlando, ed io dovevo aspettare i suoi comodi?”. Evidentemente che il semaforo per lui fosse rosso non aveva importanza alcuna. Un piccolo paese Ieri sono andato in un piccolo paese, non molto lontano da casa mia. Un’importante strada passa a un paio di chilometri da esso; ma non l’attraversa e per arrivarci bisogna volerci andare. Molta gente passa su quella strada, sia per andare o tornare da una vicina cittadina sia per recarsi in un grande centro commerciale. Arrivati lì, a sinistra si vede il centro commerciale con


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tanti negozi e tante cose da vedere e comprare, a destra l’indicazione per il vicino paese: molti girano a sinistra, pochi a destra. Ieri sono andato a destra e sono arrivato dove il paese inizia con un antico palazzo da un lato e una scalinata che porta alla chiesa dall’altro. Il borgo era più in alto e un semaforo alternava il passaggio sulla stretta strada per arrivarvi. C’è posto per l’auto, mi fermo e mi avvio a piedi: faccio sempre così nei piccoli centri, se trovo da fermarmi mi fermo ai margini pensando difficile poterlo fare in centro. Poco più avanti, sotto un ampio passaggio coperto che porta ad un posteggio (sapendolo potevo andare lì) vedo un mobile metallico con sopra scritto in grande “ARMADIO DEI LIBRI”. Mi sto chiedendo cosa mai significasse quando arriva una signora, si ferma davanti all’armadio e lo apre: all’interno, come promesso dalla scritta, era tutto pieno di libri. Incuriosito, chiedo alla signora come funzioni la cosa e mi spiega che lì i libri sono portati da chi li ha letti e presi da chi vuole leggere: una biblioteca pubblica credo sempre aperta al pubblico. Non ho notato serrature e chiavi. Trovo interessante la cosa e mi ricordo che anni fa sentivo radio Rai3 invitare la gente lasciare un libro letto nei posti frequentati dalla gente perché qualcuno lo prendesse e facesse altrettanto. Non so se è ancora così, non ho più occasione di sentire Rai3. Continuo a salire, arrivato nella piccola piazza vedo l’indicazione turistica per **. Armadio dei libri e cartelli informativi su palazzo, chiesa, capella, indicazioni


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turistiche sono buona cosa, è bene: un paesino efficiente. Seguo l’indicazione, arrivo ad un bivio, ritrovo l’indicazione, proseguire diritto. Bene, non capita sempre. All’ingresso della via un cartello dice “traffico limitato ai residenti”. Se solo i residenti possono accedervi in auto evidentemente a ** si può giungere a piedi, e riprendo a salire. Da un po’ di tempo non riesco molto a camminare, ma sono curioso e salgo. Dopo una per me lunga salita arrivo ad un bivio, non vedo nessuna ** e la strada continua a salire sia a destra che a sinistra: rinuncio a ** e torno nella piazzetta. Rileggo i miei appunti, mi pare che ** sia interessante da vedere, torno indietro pensando di guardare meglio, ma dopo un po’ non me la sento di rifare quella lunga salita a piedi. Tornerò all’auto e con quella salirò, residente o non residente. E così faccio. Alla fine mi fermo in uno spiazzo dove arrivano diverse vie: una di queste è quella che al bivio dov’era l’indicazione saliva a sinistra, un’altra è “Via **”. Dal nome della via penso di essere sulla buona strada: se dovevo arrivare lì non era meglio farmi salire per la via non riservata ai residenti? Sono tornato in Italia! Sono alla fine del paese, penso che via ** deve portare a **, ma non so se salire a destra o scendere a sinistra. Prendo a sinistra, mi fermo ad un altro incrocio senza indicazioni, proseguo diritto e dopo alcuni chilometri alla fine giungo a **: una chiesetta molto bella. Ne valeva la pena, ma l’indicazioni stradali all’italiana non sono buona cosa, non è bene.


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New York Ho visto un film in TV, era ambientato a New York e in molte scene si vedeva dall’alto un incrocio stradale. Ecco: mi piacerebbe che il sindaco della mia città fosse come quello di quella. Ma basterebbe che l’assessore che si occupa della circolazione pedonale di questa città ragionasse come quello di quella. Dall’alto si vedeva l’incrocio di due strade entrambe con marciapiede: quello che mi ha colpito è che i passaggi pedonali erano semplicemente il proseguimento dei marciapiedi, praticamente all’interno del quadrivio. Non c’erano pedoni che li usassero, nel film: tutta la zona era bloccata dalla polizia. Ma se vi fossero stati non dovevano fare complicate manovre come capita ai pedoni della mia città. Meglio, come capiterebbe ai pedoni della mia città se osservassero le regole e i percorsi ideati dal nostro assessore o da chi per lui: in pratica quasi tutti seguono il percorso più breve come quelli di New York, ma non è quello prescritto e non badano ai semafori. Arrivati all’incrocio, capita (non sempre) che quello prescritto quando va bene imponga di allontanarsi qualche passo da esso per trovare il passaggio pedonale, quando va male di fermarsi, aspettare il semaforo verde, attraversare, fermarsi, aspettare il verde, attraversare, fermarsi, aspettare il verde, attraversare per trovarsi dove a New York (e altrove) sarebbe giunto andando sempre diritto e fermandosi eventualmente una sola volta se c’era il semaforo rosso. Almeno in quell’incrocio visto dall’alto nel film.


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Non so perché i nostri amministratori si ostinino a complicare la vita della gente più del necessario e così facendo creare la convinzione che le regole sono solitamente stupide, non sono rispettabili e non vanno rispettate. E poi ci si lamenta dell’illegalità diffusa. Se uno rispetta la legalità non ha la sensazione di essere nel giusto ma quasi sempre di essere pressochè l’unico fesso. E si adegua. 2015 Bicincittà Già ho detto e ripetuto che nella mia città i pedoni non sempre attraversano le strade sui passaggi pedonali e non sempre per attraversare aspettano il verde dei semafori. Può essere che questa sia la regola, che basti sempre solo guardare se sono prossimi i veicoli in arrivo e qualora così non fosse si passa comunque. M’è sorto anche il dubbio che – come per la numerazione delle case – anche per la circolazione pedonale qui si debbano seguire altre regole e magari ci si debba fermare quando l’omino é verde e passare solo quand’è rosso, ma ho constatato che il colore dell’omino è indifferente: si passa quando si stima che le vetture siano abbastanza lontane o non si vedono. Ho già detto e ripetuto che rispettando quelle che credo siano le regole, per andare a piedi da qui a lì si devono fare molti passi e molte fermate in più e che molto verosimilmente l’assessore che deve occuparsi di queste cose non va mai a piedi. Ma credo anche che non usi


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nemmeno la bicicletta. Ma forse anche in questo caso le regole da osservare in questa città sono diverse da quelle che io credo, magari in bici si può andare contromano e sui marciapiedi. perché se così non fosse per andare in bici da casa mia al fornaio lontano 15 metri (10 a Sud, 5 a Est) e ritorno dovrei fare: 160 m verso Sud, 50 m verso Est, 150 m verso Nord, 45 m verso Ovest e sarei davanti al fornaio e poi ancora 85 m verso Ovest, 80 m verso Nord, 80 m verso Est, 70 m verso Sud e sarei a casa: circa 720 metri invece di 30. Forse non è il caso di chiedere ai miei concittadini di andare in bicicletta o di rispettare le regole, almeno quelle che io conosco e che forse non sono quelle qui in vigore. Usi e costumi Magari qualcuno può aiutarmi a risolvere i miei dubbi. Non vivo in questa città da sempre ma “soltanto” da 15 anni e non tutto l’anno. Noto che in molte cose i concittadini sono informatissimi e non immaginano nemmeno che altri possano ignorare quello che per loro è del tutto ovvio: ex Ospedale, ex Stazione, Prolungamento, Numeri Rossi tutti i nativi sanno cosa sono e prima o poi lo impara anche il forestiero. Girando per la città vedo tutti i pedoni attraversare dove non ci sono le strisce e passare con l’omino rosso: bimbi, adulti, italiani, stranieri, giovani svelti, anziani lenti. L’unico che ho visto aspettare pazientemente il verde si è giustificato dicendomi “Io ho paura”. A questo punto mi sono sorti dei dubbi:


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•Sarà consentito passare anche col verde? •Sono l’unico ad osservare i semafori perché sono l’unico stupido o l’unico a rispettare le norme? •Non sarà che le norme che conosco non sono quelle vigenti? •Se sono vigenti, non sarà che sono superate dagli usi locali? Trovo “Nell’ordinamento italiano, l’art. 1 delle Disposizioni sulla legge in generale (approvate preliminarmente al Codice Civile con r.d. 16-03-1942, n. 262) li cita espressamente quali fonti del diritto. L’art. 8 sancisce che Nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati. L’art. 9 inoltre così recita: Gli usi pubblicati nelle raccolte ufficiali degli enti e degli organi a ciò autorizzati si presumono esistenti fino a prova contraria. Perché si possa parlare di usi e consuetudini debbono concorrere due elementi concomitanti: l’elemento materiale, cioè il comportamento osservato reiteratamente, in concreto, da una generalità di soggetti; l’elemento psicologico, cioè la convinzione, la opinio juris, che tale comportamento sia obbligatorio. Gli usi non espressamente richiamati dal Codice civile italiano si chiamano più propriamente consuetudini. Nell’ordinamento giuridico italiano, in relazione ai rapporti con il diritto positivo, si può individuare una consuetudo secundum legem quando nel rispetto della legge tende a chiarirne, a specificarne o dettagliarne ulteriormente la portata o il significato, come accade per


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l’uso interpretativo. Oppure si può avere una consuetudo praeter legem, quando concerne ambiti non disciplinati dalla legge. In astratto si può configurare una consuetudo contra legem, quando opera in senso contrario alla norma di legge, ma quest’ultima non è consentita.” Visto che quando non c’è d’aspettare molti passano col verde ne deduco che probabilmente non è vietato dagli usi oltre ad essere consentito dalla legge. Probabilmente sono l’unico a non conoscere usi locali aventi forza di legge. Oppure – ed è quello che sempre penso – le norme italiane non sono fatte per essere rispettate ma per dare agli italiani (e agli stranieri) la sensazione di essere dei furbi evitando di osservarle. Per questo ci sono limiti di velocità di 30 km/ora su strade larghe, in ottime condizioni, senza case e senza lepri o fagiani. Per questo ci sono semafori che restano rossi per lungo tempo anche quando non vi è necessità alcuna e potrebbero magari segnalare lampeggiando la possibilità di pericolo. Ma che soddisfazione darebbe rispettare una norma riconoscendola utile e necessaria? Molto meglio sentirsi a proprio agio violando regole ritenute stupide, sbagliate, inutili e vessatorie: magari a ragione. Io non aspetto il verde perché ho paura come quel signore e se è giusto adeguarsi agli usi mi adeguo ben volentieri: basta farmelo sapere. P.S. Ho cercato ed ho trovato – Codice della strada – Art. 41. Segnali luminosi. 5. Gli attraversamenti pedonali semaforizzati possono essere dotati di segnalazioni acustiche per non vedenti. Le luci delle lanterne semaforiche pedonali sono a forma di pedone colorato su fondo nero. I colori sono: a) rosso, con significato di arresto e non consente ai pedoni di effettuare


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l’attraversamento, né di impegnare la carreggiata; b) giallo, con significato di sgombero dell’attraversamento pedonale e consente ai pedoni che si trovano all’interno dello attraversamento di sgombrarlo il più rapidamente possibile e vieta a quelli che si trovano sul marciapiede di impegnare la carreggiata; c) verde, con significato di via libera e consente ai pedoni l’attraversamento della carreggiata nella sola direzione consentita dalla luce verde.

Spendin riviù Oggi è markeddei. Devo stare nel bagget, quindi faccio spendin riviù esaminando frigo, dispensa, c/c bancario (Mario così vuole). Faccio la lista della spesa, prendo il trolley e vado al market. Giro per gli stand e faccio shopping. Alle casse pago con paycard, ricevo il ticket, metto gli acquisti negli shopper, gli shopper nel trolley e me ne torno a casa: come fare jogging. Posteggi Di quanto i pedoni della mia città siano ligi al rispetto del Codice Stradale ne ho già parlato tempo fa e d’allora nulla è cambiato. Gli amministratori sono sempre convinti che i concittadini a piedi abbiano tanto tempo da perdere e tanta voglia di camminare, i cittadini invece vogliono sempre arrivare dove devono nel tempo e per la via più brevi. Così la città è ricca di tracciati e semafori pedonali che tutti ignorano perché allungano troppo il cammino i primi e troppo le fermate i secondi. E siccome nulla succede si convincono che il rispetto delle norme e dei diritti altrui sia cosa da babbei e fanno solo quello che loro più aggrada. E quando usano bus auto o moto restano quello che sono e si


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comportano conseguentemente. Così mentre da pedoni si fermano a chiacchierare occupando tutto il marciapiedi, da automobilisti spesso si fermano o sostano dove capita senza preoccuparsi delle difficoltà che creano agli altri. Lo stesso fanno da motociclisti. Sono molti in città quelli che usano la moto durante tutto l’anno grazie al clima locale e ancor più nella bella stagione. Sono molte le moto in circolazione e non mancano i posteggi a esse riservati. Ma probabilmente non bastano o non sono abbastanza comodi . Così se i marciapiedi sono sufficientemente ampi vanno benissimo per lasciarvi la dueruote, se al posto lasciato libero da una vettura si mette una più corta o se, comunque, tra le vetture si lascia lo spazio indispensabile per potere poi ripartire ma sufficiente per infilarvi uno scooter, questo succede. Quando poi l’automobilista vorrà riusare l’auto non lo potrà fare o, se gli va bene, lo potrà solo a costo di lunghe manovre, sfruttando quei pochi centimetri di spazio lasciati da chi ha messo la moto perpendicolarmente tra le auto in sosta nella fila. Disservizio postale Ero seduto al computer, sento un breve squillo di campanello, il tempo di alzarmi e fare i tre passi che mi separono dal citofono (4 secondi?), alzo il citofono e chiedo “Chi è”. Nessuna risposta: sarà qualcuno delle pubblicità al quale qualcun altro ha già aperto. Non apro e torno a sedermi.


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Meno di cinque minuti dopo torna mia moglie dalla spesa e mi mostra un lungo “scontrino”, una striscia di carta lunga e stretta trovata nella cassetta delle lettere. Sulla striscia si vedono subito due cose scritte a grandi lettere:”Poste Italiane – AVVISO DI GIACENZA”. Dalla data e ora riportate scopro così che chi ha suonato qualche minuto prima doveva essere qualcuno delle Poste Italiane. Non so se le poste si servono di persone diversamente abili, se quello che ha suonato magari era sordo e non in grado di rispondere. In ogni caso devo ancora una volta constatare che quello delle Poste Italiane non è un servizio ma un disservizio. Poiché l’addetto alla consegna non è disposto ad aspettare cinque secondi al citofono per informarmi che ha da consegnarmi una raccomandata e tantomeno a perdere qualche minuto del suo tempo lavorativo per consentirmi di ritirarla (il tempo di scendere dal 4°piano e firmare la ricevuta), per poterla avere mi obbliga a leggere un lungo “papiro” di istruzioni, ad aspettare un giorno, a recarmi all’Ufficio Postale lontano un paio di Km, a fare la fila allo sportello, a perdere almeno 20 volte il tempo da lui guadagnato limitandosi a mettere quel “papiro” stampato in pochi secondi (o prestampato) nella cassetta della posta. Se questo è il Servizio Postale offerto dalla Poste Italiane meglio che lo lascino fare a chi lo sa fare. PS – Ho poi saputo che a suonare brevemente era stato il postino usuale. Pare che il disservizio non sia stato dovuto alla fretta di un ragazzotto occasionale come pensavo, ma al mal funzionamento del citofono. Non so se non funzionava (ora va) o se il postino si è allontanato dal


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citofono: ha detto che si è anche fermato per parlare con qualcuno, ma io non potevo sapere né chi c’era né dov’era. Forse un giorno sarà messo un videocitofono, chissà: nel frattempo spero che il postino suoni più a lungo e magari due volte, come gli ho chiesto. 2016 All’italiana La “Burcina” è un parco a pochi chilometri da casa. Oggi era una bellissima giornata ed ho pensato di andarci. Non è giorno festivo, è inverno e non ci saranno moltissime persone. Ho posteggiato l’auto e mi sono avviato all’ingresso del parco: poche le auto posteggiate e nessuna persona in vista. Arrivato al cancello, aperto a metà, appeso alla metà chiusa vedo un cartello. Leggo:”VIETATO ENTRARE CADUTA RAMI” e l’intestazione dell’ente competente che l’ha posto. Resto perplesso: entro, non entro … Non c’è nessuno, ma mi azzardo ad entrare: starò attento passando sotto i rami e mal che vada mi faranno uscire. Quasi subito però comincio a incontrare o ad essere superato da giovani che corrono, meno giovani che camminano a passo spedito aiutandosi con i bastoncini, anziani che vanno come possono, ciclisti in mountain bike. Ho incontrato anche personale del parco che si limitava al saluto. Rinfrancato ho continuato a salire e ammirare la natura: sicuramente nessuno veniva cacciato via. Fatta la mia camminata e incontrate e salutate tante


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persone sono tornato al cancello d’entrata che ora era d’uscita: per essere certo di non essermi sbagliato ho riletto il cartello che era lì in evidenza e che nessuna badava. Era proprio vietato entrare. Come sempre capita quelli del posto sanno che è lì per finta, perché se per caso davvero una ramo cade l’autorità competente possa dire “avevo messo il divieto”. Gli altri possono essere di due tipi: quelli che comunque le regole non le osservano mai (i furbi) e quelli che invece di regola le osservano (i fessi) e che magari s’informano – se possono – se si tratti di una cosa seria o di uno scherzo del carnevale finito ieri. Se cadono i rami è giusto vietare l’entrata, se invece possono eventualmente cadere magari basta un avviso “ATTENZIONE Pericolo caduta rami”, altrimente la gente si convince che sono solo balle e non ci crede nemmeno quando non lo sono. La solita storia di “al lupo, al lupo”. Se le autorità competenti non fanno osservare i divieti quando servono e non li tolgono quando non servono non ci si può meravigliare che poi ognuno faccia quel che gli pare, all’italiana. Non so Non so se succede in tutta Europa, non so se succede in tutta Italia ma so che succede nei luoghi che conosco: una sovrabbondanza di divieti e obblighi, pochi che li osservano e nessuno che li fa osservare. Non so se è perché la gente tende a ignorare le norme o perché chi le emana tende a farle stupide e inutili o non ha modo di farle rispettare. E la gente si convince che non siano un obbligo da osservare ma semplicemente un invito a fare o non fare qualcosa, un


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suggerimento da seguire o no secondo venga comodo e opportuno, del tutto simile ai suggerimenti commerciali, da accettare o meno a nostra discrezione. Non so se chi arriva dall’Africa o da altrove si comporta allo stesso modo perché ignora le nostre leggi o perché ha subito imparato dai residenti a violarle (magari non limitandosi solo a piccole cose) convincendosi che nessuna delle leggi sia da rispettare e che violarle rimane senza conseguenze. Non so perché sulla passeggiata di Cogoleto (GE) e su tutti i suoi accessi ci siano innumerevoli cartelli che – stando al codice stradale – dicono “divieto di passaggio alle biciclette” e altrettanto innumerevoli siano le persone che la percorrono in sella alla bici. Io vedo il cartello e ubbidisco, vedo i ciclisti passarvi veloci e non so più se sono loro indisciplinati o io stupido. E penso che magari Cogoleto è un comune del tutto indipendente e i cartelli lì hanno un altro significato: non divieto ma invito a percorrere la passggiata lungomare in bici. Non so perché vi siano così tanti cartelli se non c’è necessità di vietare le bici e se invece ci fosse perché nessuno vieta le bici. Non so perché nella citta dove vivo nessun pedone rispetta i semafori pedonali, nessuno attende il verde se non vede una vettura a meno di 15 metri, nessuno o quasi atttraversa sulle strisce se trova più comodo non farlo o semplicemente non gli va. Non so perché qui i percorsi pedonali sono tracciati come se i cittadini avessero tanto tempo da perdere e tanta voglia di camminare. Non so se l’hanno fatto perché i pedoni gli sono antipatici ma forse è per questo che i pedoni vanno non secondo il tracciato ma


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secondo buon senso. E si convincono che le leggi sono stupide, fatte da stupidi per gli stupidi e si comportano conseguentemente. Omino rosso e zebrature Il traffico veicolare non è continuo ma interrotto dal rosso semaforico e può capitare che pur avendo omino rosso un pedone potrebbe senza pericolo attraversare la strada, per buon tratto libera tra un semaforo e l’altro. Forse non si vuole che ci si abitui a pensare che anche in Italia le regole siano motivate, ben fatte, da osservare e fatte osservare, che si deve attraversare sulle strisce e rispettare i semafori. In realtà posso assicurare che ben pochi miei concittadini lo fanno: all’occasione attraversano dove capita e ai semafori badano solo che i veicoli con precedenza non siano troppo vicini. Così fanno giovani e anziani, uomini e donne, italiani e stranieri: questi sono gli usi e i bambini imparano. Codice della Strada Art. 41 5. Gli attraversamenti pedonali semaforizzati possono essere dotati di segnalazioni acustiche per non vedenti. Le luci delle lanterne semaforiche pedonali sono a forma di pedone colorato su fondo nero. I colori sono: a) rosso, con significato di arresto e non consente ai pedoni di effettuare l’attraversamento, ne’ di impegnare la carreggiata; b) giallo, con significato di sgombero dell’attraversamento pedonale e consente ai pedoni che si trovano all’interno dello attraversamento di sgombrarlo il piu’ rapidamente possibile e vieta a quelli che si trovano sul marciapiede di impegnare la carreggiata; c) verde, con significato di via libera e consente ai pedoni l’attraversamento della carreggiata nella sola direzione consentita dalla luce verde.Art. 190. Comportamento dei pedoni 1. I pedoni devono circolare sui marciapiedi, sulle banchine, sui viali e sugli altri spazi per essi predisposti; qualora questi manchino, siano ingombri, interrotti o insufficienti, devono circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli in modo da causare il minimo intralcio possibile alla circolazione. Fuori dei centri abitati i pedoni hanno l’obbligo di circolare in senso opposto a quello di marcia dei veicoli sulle carreggiate a due sensi di marcia e sul margine


97 destro rispetto alla direzione di marcia dei veicoli quando si tratti di carreggiata a senso unico di circolazione. Da mezz’ora dopo il tramonto del sole a mezz’ora prima del suo sorgere, ai pedoni che circolano sulla carreggiata di strade esterne ai centri abitati, prive di illuminazione pubblica, e’ fatto obbligo di marciare su unica fila. 2. I pedoni, per attraversare la carreggiata, devono servirsi degli attraversamenti pedonali, dei sottopassaggi e dei soprapassaggi. Quando questi non esistono, o distano piu’ di cento metri dal punto di attraversamento, i pedoni possono attraversare la carreggiata solo in senso perpendicolare, con l’attenzione necessaria ad evitare situazioni di pericolo per se’ o per altri. 3. E’ vietato ai pedoni attraversare diagonalmente le intersezioni; e’ inoltre vietato attraversare le piazze e i larghi al di fuori degli attraversamenti pedonali, qualora esistano, anche se sono a distanza superiore a quella indicata nel comma 2. 4. E’ vietato ai pedoni sostare o indugiare sulla carreggiata, salvo i casi di necessita’; e’, altresi’, vietato, sostando in gruppo sui marciapiedi, sulle banchine o presso gli attraversamenti pedonali, causare intralcio al transito normale degli altri pedoni. 5. I pedoni che si accingono ad attraversare la carreggiata in zona sprovvista di attraversamenti pedonali devono dare la precedenza ai conducenti. 6. E’ vietato ai pedoni effettuare l’attraversamento stradale passando anteriormente agli autobus,filoveicoli e tram in sosta alle fermate.

2017 Il bigliettaio Sembra che per la gente viariamente colorata sia normale considerare il tasporto pubblico un servizio gratuito, al massimo già compreso nel prezzo pagato allo scafista. Aumentare la multa se poi non la si fa pagare è solo scena e va a finire che a pagare è solo il distratto che involontariamente per una volta non si è ricordato di “obliterare” (termnine osceno) il biglietto mentre quelli che sempre volontariamente viaggiano a spese della collettività o scenderanno un attimo prima che arrivi il controllore o prenderanno la multa ma mai la pagheranno, magari risultando nullatenenti e senza fissa dimora. Io dovrei essere il primo a preoccuparmi dell’ammontare della sanzione, considerato che tempo fa ho obliato di obliterare prima il biglietto Biella S.Paolo-


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Venezia S.Lucia e poi quello Venezia S.Lucia-Biella S.Paolo. Mi è anche capitato di arrivare di notte alla stazione di Viareggio e accorgermi di non avere con me i soldi per il bus per Torre del Lago: non me la sentivo di farla a piedi a quell’ora, ho preso il bus, ho informato l’autista che è stato comprensivo. Ma due o tre volte mi sono anche fatto qualche chilometro a piedi per tornare dall’ospedale a casa perché non avevo biglietto (arrivato in ambulanza) o era scaduta la validità (lunga attesa ambulatoriale) e non avevo soldi. Potrebbe succedere ancora e mi seccherebbe non poco aggiungere sventura a sventura. Sembra che non siano pochi quelli che viaggiano abitualmente e scientemente senza pagare, a nostre spese. Mi viene da pensare che moltissimi anni fa forse non era normale che questo succedesse, forse perché c’era più comunità e meno parassitismo e perché c’era il bigliettaio: o avevi il biglietto, o lo compravi, o scendevi alla prima fermata. Si saliva dietro e solo dopo avere pagato si poteva e si doveva andare avanti e scendere dove si voleva. Dietro il bigliettaio gridava “Avanti c’è posto”, davanti dove c’era l’autista un cartello intimava “vietato parlare al guidatore”. Sicuramente c’erano anche meno passeggeri, meno mezzi pubblici, meno tragitti serviti, meno mobilità, meno fretta e nessun profugo, migrante o clandestino ma mi chiedo se è stato davvero un vantaggio per le aziende di trasporto abolire il bigliettaio. Certamente avere da retribuire solo l’autista costa meno, ma credo che col bigliettaio oltre un posto di lavoro in più si potevano avere molti “portoghesi” in meno o nessuno se il bigliettaio era


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ben dotato di fisico e di strumenti persuasivi. Magari se fosse difficile viaggiare gratis sarebbero meno i viaggiatori o ci sarebbero più soldi per manutenzione e ammodernamento: in ogni caso ne sarebbero avantaggiati i viaggiatori onesti. Ma sicuramente le aziende di trasporto pubblico hanno fatto i loro conti: meglio far viaggiare gratis molti che dare un lavoro a pochi. Dialetto vicentino Se voglio scrivere in dialetto vicentino non so bene fare, magari a Vicenza si sa benissimo.Mi riferisco al dialetto della lingua veneta parlato a Vicenza. Non vi abito più da mezzo secolo e non so se in questo tempo è cambiato e regolamentato. So però com’era, come lo ricordo e come lo parlo quando ne ho occasione. Il parlato. La “l” intervocalica solitamente suona come “e” molto breve. Se precede o segue una “e” viene assorbita da questa e in pratica non viene pronunciata. La combinazione consonantica dell’italiano “sc” di “scena” non esiste. La “s” può essere aspra come in “sole” o dolce come in “rosa”, sia all’inizio che nel mezzo della parola. Le consonanti doppie non esistono e vengono pronunciate come semplici. La “z” diventa “s”. Lo scritto. Io penso a tre ipotesi:


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1. Usare la grafia dell’italiano dando per conosciuto e applicato quanto sopra detto. 2. Usare una grafia corripondente alla pronuncia vicentina. 3. Usare la grafia dell’italiano con segni non usuali (*) quando non corrisponde. In 1) e 2) usando “X” per “s” di “rosa” per distinguerla dalla “s” di “sole”. Per dire “Vicenza, bidone del latte, baccalà alla vicentina, braciola di maiale, asino, sasso” si scriverebbe: 1. “Vicenza, zara, baccalà alla vixentina, braxola de mas-cio, musso, sasso” 2. “Vicensa, xara, bacaĕa aĕa vixentina, braxoĕa de mascio, muso, saso”. 3. “Vicen§a, xara, baca|à a|a visentina, braso|a de ma§cio, mu§o, sa§o”. Ovviamente letto come in 2). Se con “s” si indica solo la “s” aspra non serve raddoppio o trattino: credo che nessuno pronunci “musso” come lo direbbe chi fa sentire le doppie, né “mascio” come moscio. Pare sia consigliato invece di “x” usare “z da pronunciare alla veneta”. Io ricordo che giallo era “xa|o” per me, “za|o” per mia zia, “da|o” per mio nonno. In città credo si dicesse solo “xa|o”, con “s” dolce, ma nel contado sentivo usare la “z” alla spagnola o “d” (giù = xo, zo, do; fienile = texa, teza, teda) . (*) segni non usuali: | = L veneta (po|enta, baca|à, po|astro), suona come una specie di brevissima “e” = ‘ : ” ë ł \ * _ ° / ĕ


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x = S dolce di rosa (xe, dixe, baxo, noxe, buxo) = z $ = S aspra di sole ($a$o, dol$e, $arde|a, mu$o, ma$cio, $ciopo) = S § ss Un carattere non usuale (| x $) indica che la pronuncia non è come in italiano 2019 Gero Quando è arrivato il nuovo vescovo era Calògero. Un nome non proprio frequente ma non sconosciuto. San Calogero sarebbe nato a Brescia e martirizzato ad Albenga, in provincia di Savona. Anche questo arrivato é nato a Brescia e della diocesi di Savona è stato nominato vescovo. Poi a messa ho sentito pregare per il “nostro vescovo Gèro”. Pensavo fosse una svista dovuta all’età del celebrante, ma quando un altro ha fatto la stessa preghiera mi è sorto il dubbio che non si trattasse di svista. Meno male che c’è Internet e li ho trovato notizie di visite del “vescovo Gero” alla Parrocchia X e alla Parrocchia Y. Dunque il vescovo è o si fa chiamare Gèro. Penso che potrebbe benissimo essere abbreviazione di Gèronimo o Gèrolamo ma meno di Calògero. Considerato che per i cattolici è bene avere nome di santo cerco e trovo “San Gero de Colonia, obispo.” di cui mai avevo sentito parlare. Pare così che il vescovo sia un cattolico osservante, con nome di santo e non d’arte. Trovo che il nome di battesimo é Calogero, sapevo che il papa eletto cambia nome, sapevo che frati e suore lo


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cambiano quando prendono i voti ma non sapevo che lo facessero i vescovi quando sono nominati. Lessico Ormai in tutti i testi scritti da italiani per italiani è invalsa l’abitudine di inserire vocaboli stranieri, prevalentemente inglesi. Penso che tale usanza sia dovuta a pigrizia, che sia più comodo usare termini e locuzioni come si trovano senza fare la fatica di trovare l’equivalente italiano.Se sono termini del tutto nuovi si può anche capire, ma per vocaboli già presenti nella nostra lingua (e che magari meglio rendono l’idea) se non è per pigrizia è perché è di moda o si vuole sfoggiare conoscenza dell’inglese o semplicemente perché non si sa l’italiano. Non servono esempi. Questo premesso, ritengo che se rivolgendosi agli italiani tutti possono usare termini inglesi, anche a me sia concesso, in un gruppo di vicentini, usare i termini veneti se mi vengono più spontanei. Fino a 24 anni ero a Vicenza dove vivono i miei fratelli, ma anche a Sandrigo, paese delle famiglie dei miei genitori e di mia moglie, sfollato o per visite. Dopo, per 14 anni ero a Valdagno. Li sono nati i miei figli e lì hanno imparato a parlare. Tutti e tre parlano anche in veneto, il più vecchio con parole valdagnesi, la più giovane solo in casa nostra. Non mi pare avere preso la musicalità valdagnese, ma è probabile che il mio veneto oltre che datato non sia strettamente di Vicenza ma vicentino. Per esempio: “sbiserandola” e “bisabobola” non credo averli usati a


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Vicenza. Ho anche parenti nel trevisano, nel padovano e a Venezia, ma non credo abbiano influito se non minimamente sul mio lessico. 2020 El smi§ioto Co|a scusa deła globalixa§ion e del multiculturlismo femo tuto un smi§ioto. Se i scrive in italian queo che non i sa in italian i ‘o mete in inglese, se scrivo in veneto e non me vien ła paroła veneta ła scrivo in italian, se scrivo in italian e me vien la paroła veneta ła scrivo. |=ł=ĕ=l(pensata) §=s di sole x=s di rosa Con la scusa della globalizzazione e del multiculturalismo facciamo tutto un miscuglio. Se scrivono in italiano mettono in inglese quello che non sanno in italiano, se scrivo in veneto e non mi viene la parola veneta la scrivo in italiano, se scrivo in italiano e mi viene la parola veneta scrivo quella. Plurali Non so è ancora così, ma un tempo parlando in veneto si faceva come fanno i tedeschi, cioè al plurale le parole cambiavano la vocale tonica. Come in tedesco plurale di Land è Länder (Laender) e il plurale di Bruder è Brüder (Brueder) in veneto il plurale di “toso” era “tusi” e il plurale di “fiore” era “fiuri”. Sono solo un esempio, sicuramente ce n’erano altre: chissà se si usano ancora.


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La vela Ogni anno quando arriva il caldo caldo ci chiediamo: “Compriamo il condizionatore?”. Ormai ce l’hanno tutti o quasi ma noi no e se fa tanto caldo è tanta la voglia di fresco. Non è che mi attiri molto l’idea di starmene tappato in casa con finestre e porte chiuse; non mi piacerebbe passare da un ambiente condizionato a uno aperto, dal fresco al caldo soffocante. Ne parliamo, ma abbiamo poca voglia di andare fuori al caldo per cercare, trovare e acquistare quel coso. La tiriamo per le lunghe e intanto il gran caldo passa e passa la voglia di comprarlo. Sarà per l’anno prossimo, magari ci penseremo quest’inverno. Ma d’inverno non ci pensiamo. Intanto adottiamo i soliti accorgimenti, provvede mia moglie. La casa è su una strada che va da Nord a Sud e fino a mezzogiorno il sole batte sulla casa di fronte. Noi siamo all’ombra, possiamo tenere aperti i serramenti e accendere il ventilatore. Come dice il meteorologo non esiste la temperatura percepita: la temperatura è quella che indica il termometro opportunamente posizionato, ma il caldo o il freddo sono più o meno sopportabili a seconda della sensibilità delle persone, del grado di umidità, dell’esposizione al sole, del vento, del vestito che indossiamo e altro ancora. Il ventilatore non abbassa la temperatura ma la rende più sopportabile e questo facciamo bastare. A mezzogiorno (verso le 13 con l’ora legale) chiudiamo


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persiane, finestre e porte volte a ovest impedendo a sole e calore di entrare e solitamente usciamo di casa solo sul tardi. Quando il sole non può più entrare riapriamo tutto e in soggiorno gira il ventilatore fino a quando adiamo a dormire. Allora in camera mettiamo la “vela”, dato che la strada davanti alla finestra va da nord a sud, dai monti al mare, e di notte non manca quasi mai l’aria che va nella stessa direzione. Apriamo di 45° la persiana a valle e la fermiamo in quella posizione, una cinghia le impedisce di allontanarsi e un cuneo di avvicinarsi: come una vela intercetta la fresca aria che scende dai monti e la fa entrare nella camera. Di solito funziona tutta la notte. Barcunetti Forse è solo colpa mia che non frequento molto la gente, che sono un po’ un orso, come direbbe mia madre. O forse è anche colpa dei tempi. Mi piace sentire il suono dei dialetti ma ormai per me è una rarità. Il mio dialetto d’origine lo sento solo in casa con mia moglie e con i miei figli le rare volte che ci sono. E probabilmente è quello di quasi cinquant’anni fa. Quello altrui mi piacerebbe sentire la gente parlarlo: magari capirei una parola ogni tanto, ma mi basterebbe sentire il suono. In molti anni penso che alla fine qualcosa capirei, se la gente lo parlasse. Ma non succede, ormai non molti parlano dialetto. Abbiamo tutti imparato a parlare italiano per poterci capire fra persone di regioni diverse. Ma non si parla più neanche


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quello, Nei giornali, in tv e persino tra la gente comune ogni tre parole ce n’è una ostica, foresta. Pochi usano il dialetto, nessuno usa l’italiano ma solo l’italiese. Non c’è nessuna necessità di dire shopping quando da secoli di fa la spesa o dire shopper quello che per mia madre era saccchetto, borsa o sporta. In questi giorni ho fatto una gradita scoperta: credo d’avere scoperto i barcunetti. Dal contesto mi par di capire che sono piccole finestre, i finestrini dell’auto. Anche per me le finestre e poggioli erano balconi e a quanto pare anche qui come altrove la “l” può diventare “r”. Dalle mie parti spariva o diventava “e”. Si diceva Credo che molte frasi che si usavano un tempo siano poco o per nulla usate oggi perché italianizzate o perché non hanno più motivo di esistere. Ecco un elenco di quelle che mi sono venute in mente o sono state segnalate. x=s dolce, s=s dura, §=ss, &=e/L detta, :=L pensata ε avemaria coccinella barbastrijo pipistrello bigò&o bilancere bìgo&o spaghetto (pasta) biribò chiocciola bravare (dir su) sgridare bro&o frutteto


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broar su butiro cana ciupinara còfana corte:o cradensa cuciaro / guciaro de so posta drio man drio man el tempo ruda fare &a broa fare una schinca fassora (o farsora) finco fogara freschin fruare fuminanti go bio … gua:ivo

lavare le stoviglie burro serviva per succhiare il vino talpa vassoio coltello Credenza (mobile) cucchiaio da solo man mano man mano tuona, arriva il temporale fare il bucato fare una finta repentina padella per friggere fringuello braciere di terracotta odore di pesce consumare zolfanelli ho avuto piano


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guantiera o vantiera gucia (gu§a) gussare impiria in gaja in tel indrio culo indrioculo intrapo&are intrigare mo:ena mo&eta ni§o&o onfegà periò&o petare&o piron raboto rasentare rosegare roseghin sbandiu sbiansare

vassoio ago affilare imbuto in grembo nel indietro all’indietro stropicciare intralciare mollica arrotino lenzuolo non pulitissimo imbuto pettirosso forchetta posteriore della scarpa risciacquare rosicchiare fastidio in gola per pausa da gioco spruzzare


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sbiansaro&o sbri§iare schincare schincare el penin scoa§e seciaro sélega sexi&a sfesa sgevare sgrensare sgrexenda sgua§are i canpi sguaterare sli§egare smarìo smorbare soaxa soeta sortù spesia:e stecadenti

innaffiatoio scivolare schivare, fare uno scarto rovinare il pennino spazzatura secchiaio, lavandino passero rondine fessura sbreccare scricchiolare scheggia di legno irrorare i campi sguazzare scivolare sul ghiaccio sbiadito ripulire la bocca da un gusto cornice civetta oliera (con sale, aceto, pepe) farmacista stuzzicadenti


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stramasso striolo uare un alto e un ba§o fa un gualivo versoro

materasso storno affilare proverbio aratro

Soprannomi Fra i miei parenti con lo stesso mio cognome ricordo nonno Stivàn e zie Stivàne, cugini Scani e zia Tolda, prozio e secondi cugini Scàraba (fra cui Bao). Altri soprannomi in paese erano Ciuìna, Pociaòvi, Stocchi, Mericàn, Baldài. Alcune “mende” personali: Gnùcolo, Piero Merlo, Bèparle, Piero Serpe, Chichi Morèja, Vecio Segalìn, Uli. Numeri civici Forse mi sono finalmente reso conto di come funziona la numerazione civica, almeno a Savona. Meglio tardi, molto tardi, che mai. La numerazione inizia con 1 a sinistra e 2 a destra prosegue sempre con i numeri dispari a sinistra e i pari a destra. Quindi se il numero a destra è pari il prossimo sarà maggiore, se è dispari sarà minore; se il numero a sinistra è pari il prossimo sarà minore se è dispari sarà maggiore. Ovviamente invertendo la marcia il numero a destra passa a sinistra e viceversa. Credo che questa regola sia valida in tutta Italia, ma non


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lo so. A Savona, a Genova e non so in quale altra città, la numerazione è doppia: numeri rossi per i negozi, numeri blu per le abitazioni. Pertanto si può avere a destra 2 4 6 8 rossi, 2 blu, 10 12 14 16 rossi, 4 blu, ecc. e a sinistra 1 3 5 rossi, 1 blu, 7 9 11 13 15 rossi, 3 blu, ecc. Chi vive dove non è così e viene a Savona è informato. La manina è tornata Era un bel po’ che non la vedevo. Forse solo perché non usava più la finestra vista dal divano, forse perché lo faceva prima o dopo, forse perché non c’era. Ma stamattina ho guardato fuori ed ho visto una manina sbattere lo straccio fuori da una finestra al terzo piano. Ho guardato sotto e c’era un signore seduto fuori dal bar: proprio sotto a quella finestra. Non so se prima di farlo chi agitava lo straccio abbia guardato se c’era qualcuno sotto, ma sarebbe solo peggio. Tutte le mattine c’è un signore li seduto, chissà se tutti i giorni si prende il caffè con spolveratina. Quella bella abitudine non è passata col passare del tempo, come non è passata quella dei pedoni di attraversare la strada “alla locale”. Savajo È vero: non si finisce mai d’imparare. Mia madre mi diceva “te si un savajo” per dirmi che ero disordinato, “el xe un savaio” per dire che era una cosa da poco. E poi diceva “non insavajare” per dirmi di non mettere in disordine e “cosa sito drio savajare?” per chiedermi cosa


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stavo facendo. Per me “savajare” e “insavajare” erano sinonimi. Solo oggi, leggendo i commenti, ho capito che magari “insavajà” è il contrario di “savajà” come insalubre è il contrario di salubre, insoddisfatto di soddisfatto, insicuro di sicuro. Mai avevo pensato che “savaiàre” era mettere in ordine e “insavajàre” metter in disordine. Forse capirò Forse prima o poi capirò tutto. Vedevo i pedoni attraversare col rosso e pensavo “quanti ‘fuorilegge’ in questa città”. Vedevo molti entrare nell’autobus dalla porta dove da dentro leggevo uscita e pensavo “quanti furbetti maleducati”. Ma oggi finalmente ho capito. Ero con mia moglie davanti all’ospedale e volevamo andare a Quelpaese. Fermo alla fermata c’era un bus con la scritta FUORI SERVIZIO e fermo restava. Dopo qualche tempo ne arriva uno di doppia lunghezza con la scritta QUELPAESE: è quello che aspettavo. Segnalo di fermarsi, si ferma e mi trovo davanti un bella porta aperta con da entrambi i lati scritto USCITA. Sono piuttosto all’antica, abituato a osservare per quanto possibile le norme vigenti: non entro dalle uscite. Mi dirigo all’ora verso la coda del veicolo dove, per consuetudine, so di trovare una porta con scritto ENTRATA. Vi arrivo e trova la porta chiusa, vi batto alcuni forti colpi con la mano, la porta si apre, salgo, mi giro per vedere se sta salendo anche mia moglie e la vedo oltre i vetri della porta nuovamente chiusa che fa segni disperati. E l’autobus parte. Penso “scendo alla prossima fermata, prendo un


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autobus nell’altro senso e torno qui”. Non lo sapevo, ma per fortuna la prossima fermata non era lontana; scendo e torno a piedi. Ma così ho capito. Non è che molti qui se ne freghino delle norme, è che secondo la parlata locale le parole hanno per tutti un significato diverso di quello cui sono abituato. Il conducente non può essere uno che non rispetta le regole, quindi se gli va bene che le persone entrino dall’uscita e chiude la porta in faccia a chi vuole invece entrare dall’entrata vuol dire che se è scritto ENTRATA si legge USCITA, se è scritto BUS si legge CORRIERA, se col rosso è scritto NON ATTRAVERSARE si legge GUARDA e ATTRAVERSA. Poi vedo un signore che accosta l’orecchio al microfono del telefonino e penso che se è scritto MICROFONO si legge AURICOLARE. 2021 Licenza Quasi tutti nei testi in italiano inseriscono parole inglesi senza che nessuno più si meravigli. Allora io, che non sono di madrelingua inglese ma veneta, se come loro non so la parola italiana o mi viene meglio usare termini materni mi prenderò la licenza di usare quelli. Moltissimi anni fa mi hanno insegnato che, in Italia, a ogni fonema corrisponde un carattere e che in italiano a si scrive a, e si scrive e, o o, i i, u u, ecc. Così se in un testo in italiano riporto parole del mio dialetto non scriverò


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“polenta e baccalà” pretendendo che chi legge sappia come si pronuncia ma scriverò “poenta e bacaĕà”. Dicono che tutta la caterva dei termini inglesi ormai fa parte della lingua italiana, che sono parole italiane e quindi le scriverò come le sento dire o le leggerò come sono scritte secondo la grafia e la dizione della lingua italiana. Se è scritto Imperia nessun italiano, spero, legge Aimpiraia e non vedo perché se è scritto privacy debba leggere praìvasi. Così se per dire che a causa dell’epidemia c’è confinamento o chiusura devo dire che siamo in locdaun scriverò locdaun o leggerò lockdown, completando l’alfabeto italiano con j, k, w, x, y corrispondenti a j di Jesolo, c di Como, v di Vicenza, x di xenofobo, i di Ivrea. Magari i nomi propri li scriverò come sono scritti e li leggerò possibilmente come vanno letti, anche se non capisco perché negli Stati Uniti possano leggere in inglese il tedesco Trumpf (Trump) e io in Italia non possa leggere in italiano l’americano Biden. Il faro A poco più di 25 Km c’è una bella cittadina con un interessante borgo. Andare e tornare 50 Km, fattibili anche da chi non è un gran ciclista. La strada d’estate è piena di auto ferme e in movimento ma in altri periodi è libera e con poco traffico. Per la prima uscita andava benissimo, era la stagione giusta, pensai di andarci, presi la bici e partii. È una litoranea tutta in piano tranne che per superare due promontori, due brevi salite e relative discese. Salitelle che per molti è come non esistessero, ma per me erano due


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difficoltà da superare. Arrivai alla cittadina, visitai il borgo, iniziai il ritorno per la stessa strada dell’andata in senso contrario: dopo 5-6 Km l’ultima discesa dell’andata sarebbe stata la prima salita, dopo altri 10-11 la seconda, poi discesa, pianura e nessun’altra difficoltà. Feci l’ultima salita: “è fatta”, pensai. Poi la discesa e fu in pianura. Vidi il faro che sapevo essere a pochi km da casa. Quasi arrivato e più nessuna difficoltà. Così pensavo ma così non era. Ancora qualche pedalata e trovai un forte vento contrario che mi impediva di avanzare senza fare una gran fatica. Ma avanzai e dopo quasi un chilometro il vento non c’era più e fu agevole arrivare a casa. Moltissime altre volte feci i miei giri in bici da quella parte e molte volte trovai lì quel vento. Tutti i ciclisti prima o poi lo sanno e lui ora sapeva che gli ostacoli non finivano con l’ultima salitella ma solo dopo avere superato quel tratto di strada ventoso e tutti, pare, ricordano d’avere lottato contro il vento del faro in quella “salita” senza discesa. Galateo Trovo: “Essere in ritardo ad un appuntamento è decisamente una mancanza di rispetto nei confronti di chi attende il nostro arrivo e le scuse non hanno alcun valore. La puntualità è segno di buona educazione e non un optional.” Tobia ha sempre pensato così e se ha un appuntamento alle 9:20 cerca di giungervi un po’ prima. Un autobus arriva


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dove deve alle 9:04 e il successivo alle 9:19. Ma potrebbero non essere in orario e, comunque, arrivando alla fermata alle 9:19 sarebbe all’appuntamento sicuramente dopo le 9:20. Prende il bus per le 9:04. Non ha orologio ma crede di essere arrivato giusto in tempo per aspettare un po’. Nella sala d’attesa c’è un posto libero e si siede per aspettare il suo turno. Il Covid però ha cambiato tutto, galateo compreso. Gli si avvicina un addetto con aria interrogativa e Tobia gli dice che ha appuntamento alle 9 e 20. Quello replica con malagrazia che non doveva stare lì, che non doveva arrivare prima ma dopo l’ora fissata, che deve uscire: gli intima non di andare in altro posto dell’edificio ma di uscirne. Tobia non sa l’ora ma, stando all’orario del bus, non dovrebbero mancare più di dieci minuti all’appuntamento. Sembra però che il galateo post covid imponga di arrivare in ritardo, ma non lo convince. A malagrazia risponde con malagrazia, esce al freddo e si siede su un muretto: tornerà alle 9 e 21. Dicono di indossare la mascherina e la indossava, di osservare la distanza di un metro e la osservava, di essere vaccinati e lo era stato già tre volte, di avere il certificato vaccinale (green pass) e l’aveva: ma tutto questo non basta: si deve andare all’appuntamento maleducatamente in ritardo o aspettare nell’intemperie rischiando qualche malanno.


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Indice analitico 1. Non so che dire.........................................................................................2 2 0 0 7...........................................................................................................2 2 0 0 8...........................................................................................................9 2 0 0 9.........................................................................................................20 2 0 1 0.........................................................................................................32 2 0 1 1.........................................................................................................46 2 0 1 2.........................................................................................................62 2 0 1 3.........................................................................................................69 2 0 1 4.........................................................................................................74 2 0 1 5.........................................................................................................86 2 0 1 6.........................................................................................................93 2 0 1 7.........................................................................................................97 2 0 1 9.......................................................................................................101 2 0 2 0.......................................................................................................103 2 0 2 1.......................................................................................................113 A chi credere?.............................................................................................28 A naso in su................................................................................................27 Agenzia delle Entrate...................................................................................8 All’italiana..................................................................................................93 Altri tempi..................................................................................................10 Andar per Ricetti e Baragge.......................................................................70 Aspettando lo switch off.............................................................................60 Automobili..................................................................................................61 Barcunetti.................................................................................................105 Bicincittà....................................................................................................86 Bike sharing................................................................................................37 Blogger.......................................................................................................20 Bulli............................................................................................................51 Carrefour giratoire......................................................................................74 Cattedrale....................................................................................................67 Censimento 2011........................................................................................58 Civici rossi e blu.........................................................................................14 Compleanno................................................................................................38 Comuni e Province.....................................................................................51


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Davanti alla TV..........................................................................................20 Di là, il mare...............................................................................................16 Dialetto vicentino.......................................................................................99 Disservizio postale.....................................................................................91 Diversità.....................................................................................................63 E il tempo passa..........................................................................................15 El smi§ioto...............................................................................................103 Forse capirò..............................................................................................112 Fumatori.....................................................................................................32 Galateo......................................................................................................115 Gero..........................................................................................................101 Il bigliettaio................................................................................................97 Il faro........................................................................................................114 Il gentil sesso..............................................................................................55 Il multatore.................................................................................................80 Imposte e Tasse.............................................................................................2 Imposte o tasse?............................................................................................9 In città.........................................................................................................56 Inquinamento..............................................................................................24 L’apparato statale..........................................................................................3 La Legge.......................................................................................................7 La Legge non è uguale per tutti..................................................................46 La manina...................................................................................................30 La manina è tornata..................................................................................111 La vela......................................................................................................104 Lavoratori dipendenti...................................................................................3 Lessico......................................................................................................102 Liberi professionisti......................................................................................6 Licenza.....................................................................................................113 Lingua generazionale.................................................................................46 Madonna degli Angeli................................................................................48 Mezzi civici................................................................................................33 Migliorie.....................................................................................................72 Negozianti....................................................................................................4 New York....................................................................................................85 Non so.........................................................................................................94 Nostalgia.....................................................................................................35 Numeri civici............................................................................................110


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Omino rosso e zebrature.............................................................................96 Opere Pubbliche.........................................................................................68 Paese natale................................................................................................65 Pecore.........................................................................................................29 Pensionati...................................................................................................39 Per amor di quei 5......................................................................................44 Plurali.......................................................................................................103 Posteggi......................................................................................................90 Risparmi.....................................................................................................62 Ritorni.........................................................................................................23 Ritorno in spiaggia.....................................................................................55 S.S. n. 1 “Aurelia”......................................................................................24 Savajo.......................................................................................................111 Segnaletica..................................................................................................69 Semafori.....................................................................................................81 Si diceva...................................................................................................106 Solstizi........................................................................................................17 Soprannomi...............................................................................................110 Spendin riviù..............................................................................................90 Sportivi, artisti, aziende................................................................................6 Televisione: una proposta...........................................................................18 Tempo e tecnica..........................................................................................10 Turisti.........................................................................................................77 Un piccolo paese........................................................................................82 Unità d’Italia...............................................................................................53 Usi e costumi..............................................................................................87 Veicolo a quattro zampe motrici ................................................................31 Ventuno tocchi alle 18................................................................................22 Vivere in centro..........................................................................................13 Vox populi..................................................................................................29


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