La responsabilità sociale

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Abstract È possibile parlare di Etica d’impresa in un momento di crisi economica? Dibattito sul tema Corporate Social Responsability con Beppe Robiati, Amministratore Delegato e socio fondatore di EBBF e Marta Brioschi imprenditrice e HR manager in FANDIS.

La responsabilità sociale d’impresa tra Etica e Spiritualità Dibattito fra manager e imprenditori a Borgo Ticino di Luciana Zanon Pubblicato in 7th floor.it 2009 “Un’azienda è come un figlio: non puoi amarlo avendo in mente il risultato che vuoi raggiungere con lui. Se lo ami in modo incondizionato, facendo tutto il meglio per lui, sicuramente arriveranno dei buoni risultati, non necessariamente quelli che avevi in mente tu.” Comincia così l’incontro con Marta Brioschi, imprenditrice e HR manager in Fandis, un’azienda tutta italiana (e che vuole continuare a esserlo), specializzata nel settore della ricerca, progettazione e realizzazione di soluzioni tecnologiche. “Come imprenditrice do per scontato che devo creare profitto: un’azienda senza profitto, come un bambino senza cibo, non può né sopravvivere né crescere. Ma quello che non è così scontato, e che fa la differenza, è il modo con cui


raggiungo questo profitto. Noi ci preoccupiamo di fare le cose bene, dando il meglio di noi stessi e rispettando tutte le persone: io sono certa che questo porterà dei buoni risultati anche e soprattutto, in questo difficile momento di mercato”. Marta, dopo aver letto qualche tempo fa su 7th floor l’intervista a Beppe Robiati, Impresa e Spiritualità, lo contatta per invitarlo come relatore al ciclo di conferenze di Fandis conference (http://fandisconference.blogspot.com) e organizza un incontro aperto a imprenditori, manager e alla comunità locale per parlare di responsabiltà sociale d’impresa il 9 luglio. Ovviamente ci vado anch’io e lei mi accoglie nella bella sede di Fandis a Borgo Ticino, con queste parole, una traduzione pratica del concetto di Corporate Social Responsability di cui parlerà Beppe durante l’incontro.

Beppe: la definizione classica di impresa ancora oggi contempla come suo scopo principale il profitto. E chiaro che gli imprenditori nati con questa impostazione usano il mercato in modo predatorio, esclusivamente come canale per fare profitto. Fino a ieri nessuno, al riparo da questo concetto, metteva in discussione che solo una piccola parte dell’umanità gestisse la maggioranza delle risorse del pianeta. Questo ha reso possibile la creazione di una grande ricchezza, purtroppo però condivisa solo da pochi. Ha permesso, e ancora continua a permettere, che bambini venissero utilizzati nelle fabbriche, anche al di sotto dei 14 anni. E che quando si rompevano, esattamente come dei pezzi di ricambio, fossero sostituiti. M. “Per me parlare di etica a chi ha sempre concepito l’azienda solo come strumento di monetizzazione è molto difficile, ed è molto difficile anche far capire che l’etica sul lungo periodo paga. D’altro canto a me è impossibile capire la logica del solo profitto: fin da bambina in casa mia sentivo da mio nonno, che era un collaboratore di Olivetti, e da mio padre che prima di fondare la sua impresa ha avuto come mentore Mattei, i racconti di questi grandi uomini. È chiaro che per me etica e impresa sono due parole inscindibili.”

B. Da alcuni anni tuttavia alcuni imprenditori ed economisti, si stanno chiedendo qual è l’influenza dell’impresa nel contesto sociale e nell’ambiente. La definizione si sta trasformando e lo scopo dell’impresa sta diventando molteplice: non è più il solo profitto, ma anche l’attenzione all’ambiente, ai dipendenti, ai clienti, ai fornitori, alla società civile. Insomma le persone hanno le stessa importanza del profitto. M.“La nostra forza, anche in questo difficile momento, è la qualità delle relazioni e la sinergia che abbiamo costruito con le persone con cui lavoriamo. Ad esempio i nostri clienti e fornitori: se un nostro cliente sta passando un momento difficile e non ci può pagare, possiamo sostenerlo e a nostra volta contare sulla dilazione che ci concederà il nostro fornitore. La fiducia e il sostegno reciproco che si sono creati con anni di relazioni rispettose sono realmente una forza su cui poter contare.

B. E le persone sono anime. Oltre al corpo e all’intelletto (le due parti che maggiormente interessano le imprese orientate al profitto) le persone possiedono emozioni, volontà e talenti. Vuol dire che le persone portano al lavoro le loro preoccupazioni, le paure per il futuro, i loro dolori familiari. Ma anche la creatività, i desideri e le speranze e il loro modo di intendere il mondo. Se l’impresa non considera l’individuo nella sua totalità creerà soltanto persone frustrate, che non vedono l’ora di timbrare il cartellino e andarsene a casa, lasciando in azienda il minimo indispensabile delle loro capacità.


In un mondo che diventa sempre più globale è indispensabile sviluppare la capacità di sintonizzarsi sui diversi bisogni. Nella nostra azienda, soprattutto in nord Italia, gli operai arrivano da tutte le parti del mondo, il rischio di conflitti fra culture diverse è molto elevato. Ma da noi ogni cultura deve essere rispettata e così, ad esempio, con la consultazione di tutti, abbiamo organizzato la mensa multietnica, dove le donne indù hanno portato le loro ricette vegetariane, i mussulmani ci hanno informati delle loro regole e così via. E ognuno, stranieri ed italiani, trovano un pezzetto della loro cultura anche in mensa. Oppure, su richiesta degli operai mussulmani, abbiamo costruito una sala di preghiera che, con una piccola variazione organizzativa, permette loro di rispettare i precetti della religione islamica.

M. “In questo momento di crisi, le persone sono preoccupate e hanno bisogno di sapere quali sono i progetti dell’azienda per il futuro, che cosa intendiamo fare. Il messaggio che cerchiamo di trasmettere è di speranza: noi non possiamo controllare gli eventi esterni, ma possiamo continuare, così come abbiamo sempre fatto, a prepararci e, con l’aiuto di tutti, a fare del nostro meglio. Il mondo ha davanti anni difficili, ma noi non avremo paura, perché Fandis si sta preparando per quelli che verranno poi.”.

B. E soprattutto nessuno può vivere senza amare e senza essere amato. Così come ognuno ha la necessità di sentirsi parte di un’unità. Questo è valido nella vita privata, ma è altrettanto valido anche al lavoro. M. Il mio intento, come imprenditrice e HR manager, è quello di trasformare l’azienda da luogo di lavoro dove si contrappongono interessi divergenti, in una comunità con delle finalità e un sistema valoriale condivisi, dove il profitto sia considerato un mezzo e non un fine e le persone si sentano realmente partecipi di un progetto in cui riconoscersi. Dopo il dibattito molte domande, molte richieste, molte speranze, a volte anche un pò di pessimismo che fa chiedere - ma quanto tempo ci vorrà per vedere realizzati i principi del Corporate Social Responsability? -

Beppe: ci vuole fiducia, tempo, pazienza, coraggio e soprattutto l’impegno di tutti, come imprenditori, come manager e come collaboratori. Non avere paura se ancora siamo in pochi, continuare a lavorare perché questa è l’unica strada che va verso il futuro. Beppe Robiati nato ad Asmara, ha trascorso la sua gioventù in Etiopia. Vive a Milano con la moglie persiana. E’ padre di due figli che vivono in Namibia e Congo. Ingegnere, A.D. di un gruppo industriale. www.bepperobiati.it . Socio fondatore di EBBF forum internazionale di manager e imprenditori convinti dell'importanza di applicare forti principi morali alle attività imprenditoriali e commerciali www.ebbf.org/italia Marta Brioschi, imprenditrice e manager, madre di tre bambini di 11, 7 e 3 anni. Vive a Borgo Ticino e lavora insieme al marito nell’azienda di famiglia. Di Persone e Imprese parla nel suo blog http://tribalskills.blogspot.com.

www.lucianazanon.it


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