in bilico

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aldo presta

scritti silvia vizzardelli

di.segni allarmati

ISBN 978-88-6242-933-7

Prima edizione marzo 2024

© LetteraVentidue Edizioni

© Aldo Presta

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Progetto grafico: Aldo Presta

LetteraVentidue Edizioni Srl

Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa, Italia

www.letteraventidue.com

disegni aldo presta

scritti silvia vizzardelli

di.segni allarmati

Origine, 9

Declassamento, 39

Nostalgia, 61

Sottrazione, 83

Paralisi, 105

Dissoluzione, 131 in bilico, 155

Origine

Dell’origine è bene tacere. Quante disavventure ha prodotto il tentativo di inchiodare l’umano e il vivente a un punto di benedizione o di maledizione all’inizio della storia e della vita. Quanto male ha prodotto pensare che ci sia, nel movimento della vita, un luogo, un tempo privilegiati e calamitanti, capaci di suggerire al futuro una direzione perentoria. Eppure, origine è una bellissima parola. Dice che si nasce da dove non siamo, che la vita non è solo se stessa, ma proviene da altro, che il vivente è un aggetto, un continuo spostamento, un differimento. Dice che non siamo altro di ciò che, di volta in volta, diveniamo, eppure ogni forma, ogni configurazione porta con sé l’alone della sua nascita, del suo venire alla vita. Ed è bene che questo alone si faccia sentire, si faccia vedere, parli, produca effetti. Un alone, direte, è un quasi-niente; come fa a mostrarsi, ad assumere una forma? Il mistero fecondo sta tutto in quel “quasi”. È in gioco una consistenza umbratile, un po’ più di zero, un po’ meno di uno, che accompagna tutti i nostri vissuti per sussurrarci che non coincidiamo pienamente con ciò che di volta in volta siamo. Abbiamo provato, nella storia del pensiero, a dare dei nomi a questo alone: sentimento del mondo, cura, trascendentale, possibile. Ognu-

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no di questi cerca di ricordarci che la contingenza di ciò che siamo e incarniamo non è propriamente una contingenza. Il suo alone le dona un carattere di necessità. L’importante è non dare a quella provenienza una consistenza sclerotizzata. È bene che resti appunto più una indicazione che una sostanza, più un sentore che un sentimento, più una risonanza che una nostalgia.

I nostri tempi non fanno altro che sottolineare come la politica sia morente o addirittura già morta. Più di un elemento sembra andare nella direzione di una perdita di incisività del discorso pubblico, delle implicazioni sociali, della partecipazione al bene comune. Di qui la diagnosi: la politica è morta. Si dà per morto, ciò che invece difetta per eccesso di vita. La politica è viva come non lo è mai stata, ma questa sua vitalità nasconde il tarlo di una perversione. A mancare è ciò che resiste alla politica. Come insegna Derrida, solo ciò che resiste alla politicizzazione ha la forza di rigenerare la politica. È importante acutizzare il senso del segreto che accompagna le nostre parole, le nostre azioni, i nostri gesti. Non coincidere coi nostri atti, avvertire un disordine, una cicatrice, un’inadeguatezza: questo significa offrire una chance all’origine. S. V.

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Velocità di pensiero

Elements

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Relazioni
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34 Conserve
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pubbliche
Opinioni
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Declassamento

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Immaginiamo un dizionario che non ci dia il significato delle parole, ma che provi a suggerire ciò che le parole fanno. È stato il progetto eccentrico, folle, di Georges Bataille in “Documents”. Prendiamo la parola “Informe”. Non chiediamoci tanto cosa essa significhi, ma interroghiamoci sugli effetti che essa produce ogni volta che la pronunciamo. Un senso di gravitazione, di svenimento, di perdita che Bataille indica col termine declassamento.

La redingote matematica con cui il discorso sostenuto riveste la forma comincia a perdere di forza, di potenza, sente la vertigine del risucchio nella pura materia. E questo risucchio, questo magnetismo verso il basso non è, beninteso, il contrario della forma, la sua negazione, ma ciò che mostra il

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rovescio della forma stessa. Non abbiamo bisogno di cedere al minimalismo, al nichilismo, al culto della distruzione. È sufficiente saper guardare diplopicamente la forma stessa, lasciarci contagiare dalle sue linee, per sentirne la precipitazione, l’abbandono, il cedimento.

I disegni di A. non scappano dalla forma, dal figurale. Eppure se ne sente la lacerazione, il supplizio. Sono linee che si disegnano topologicamente, forme che si avvitano su se stesse, senza modificare le loro proprietà e tuttavia dando vita a nuove configurazioni. È dalla figura stessa che nascono le opportunità di una trasgressione. Come ha scritto Michel Foucault, “il limite e la trasgressione devono l’uno all’altra la densità del loro essere”. S. V.

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Design e Ricerca

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Nostalgia

Il desiderio, misto a dolore, di tornare a casa, di recuperare un luogo lontano, mitico, che identifichiamo con l’oggetto d’amore e che, tuttavia, sentiamo definitivamente perduto. Se questa è la nostalgia, così è stata descritta da una sconfinata letteratura, è forse opportuno disturbarla un po’. Provare a scavare nella sua umbratile materia, sfruttando le sue pieghe, le sue faglie.

La prima mossa è togliere sostanza a quell’origine mitica e provare a pensare la nostalgia come la latenza di ogni nostra azione, di ogni parola pronunciata. Siamo nella parola piena, quando, paradossalmente, non siamo lì dove parliamo, siamo nell’atto, nella verità di un gesto, quando c’è un atto, un gesto, una parola più vecchi di me che, tuttavia, non abitano in un passato mitico, ma che insistono in ogni mio dire. Ecco l’imminenza della nostalgia. La nostalgia è l’affetto di un’imminenza inscritta in ogni attualità. Ho usato la parola imminenza: strana parola parlando di nostalgia.

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L’imminenza ci spinge in avanti, ci fa presentire qualcosa che sta per accadere, è rivolta al futuro.

La nostalgia sembra invece tutta girata verso il passato, verso ciò che è stato ed è irrimediabilmente perduto. E se, invece, la nostalgia fosse nostalgia del futuro? Sentore di una non coincidenza con ciò che si è nel presente e dunque eterna apertura alla generazione?

“Non ricordo più molto bene quando, ma vi sono dei momenti in cui passeggio, non mi si vede parlare e si sente la mia voce.

C’è una parola più antica di me, più vecchia di quel momento, che continua a parlare, che mi precede, ed è questo corpo che corre dietro alla sua parola o la parola che corre dietro a questo corpo che dà la sensazione, in effetti, del segreto, dell’interruzione che interdice (interdit), che infine intradice (entredit)” (Derrida, 2002).

La nostalgia ci interrompe lì dove siamo. Segreto, partizione, partitura dell’esistente. S. V.

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Wunderkammer
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Stagionalità
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Pensieri in forma di disegno – schizzi, scarabocchi, che stentano a fermarsi, in bianco e nero o a volte con un pallido colore che appare appena, o con qualche accennata geometria – e in forma di parole, si aggregano e raccontano di chi vive con infinito disagio il proprio presente. Un glorioso esercito di disertori, obiettori, viaggiatori da fermo, ostinati nullafacenti, irriducibili poeti della rinuncia. O visionari e ottimisti del possibile mondo nuovo. Ma tutti in continuo disaccordo con il proprio presente. Perennemente in bilico, tra darsi e sottrarsi, esserci e non esserci, vivere e nascondersi.

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