L’estrattivismo urbano a Roma

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Quaderni del Dottorato di ricerca in Ingegneria

dell’Architettura e dell’Urbanistica. Sapienza Università di Roma

L’estrattivismo urbano a Roma

Il quartiere di Centocelle tra gentrificazione e rendita

Indice

Biopolitica della rendita, in pratica

Barbara Pizzo

Introduzione: contraddizioni e paradossi nella città contemporanea

Tra gentrificazione e rendita: l’estrattivismo urbano

Ri-urbanizzazione selettiva e gentrificazione

L’estrattivismo urbano contemporaneo

La rendita urbana

Centocelle: una frontiera interna della città contemporanea

Le radici contadine, la Resistenza e la territorializzazione migrante

Il retaggio operaio e popolare

L’innovazione sociale e le controculture

Centocelle: una periferia storica e un quartiere semi-centrale

«La primavera di Centocelle»?

L’euforia commerciale e una nuova narrazione dominante

Il quartiere sotto attacco: le mire criminali e le resistenze contemporanee

La trasformazione alla prova del Rent Gap

Centocelle tra gentrificazione ed estrattivismo urbano

La forma pulviscolare dell’estrattivismo a Centocelle

Un quartiere (e un paese) di proprietari

La casa di proprietà: un’ideologia dominante

Stratificazioni sociali e strategie di adattamento

L’estrazione per l’accumulazione

Centocelle e il modello di sviluppo urbano di Roma

Le gentrificazioni romane

La contraddizione del non-intervento

Il ruolo strutturale della rendita nel modello romano

Ripensare la “rigenerazione”: pratiche e politiche per uno scenario alternativo

Conclusioni Bibliografia 06 10 14 18 19 23 25 28 29 30 31 32 34 35 39 41 48 54 55 56 59 64 70 71 73 77 81 84 86

Biopolitica della rendita, in pratica

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La rendita non è stata certamente un punto di partenza nel percorso di ricerca di Luca Brignone, di cui questo libro, che la nomina già nel titolo, rappresenta un risultato importante dopo la tesi di dottorato. Il punto di partenza è stato un quartiere, e precisamente un quartiere popolare della periferia storica del quadrante est di Roma, le cui vicende sono intrecciate ai momenti decisivi nella storia della città: Centocelle. Centocelle è strettamente legato alla storia partigiana e antifascista, è un luogo in cui almeno fino a tutto il secolo scorso si poteva far esperienza di quella cultura e quella “apertura” popolare che fa (faceva?) di Roma una città ancora vivibile, perché nonostante i suoi innumerevoli problemi strutturali, questi sono in molti casi sopravanzati da una umanità spesso esuberante, ma anche generosa1. Tale carattere è ancora in parte riconoscibile oggi, ma è indubbio che ad un certo momento qualcosa inizia a cambiare: Luca Brignone osserva e si interroga sul cambiamento e le sue ragioni. Ricordo che uno tra i primi fenomeni ad essere indagato è stato l’orientamento, almeno apparentemente in controtendenza rispetto ad altre periferie, verso l’integrazione di popolazione extra-europea all’interno del quartiere, che però ha poi rivelato forme di accettazione selettiva su base etnica, le cui spiegazioni non hanno tardato ad arrivare. Tale propensione era primariamente dei proprietari di immobili commerciali, ma anche residenziali. In estrema sintesi, emergeva una disponibilità ad accogliere chi, in un modo o nell’altro, contribuiva al consolidamento di una certa immagine del quartiere, il quale intanto iniziava ad essere inserito dentro discorsi sulla gentrificazione a Roma2. Abbiamo rifiutato l’idea di adottare acriticamente un concetto che sembrava piuttosto distante dalla realtà che conoscevamo. Era necessario verificare empiricamente quella che allora poteva essere solo un’ipotesi interpretativa. L’approccio qualitativo si è combinato con analisi quantitative, a partire da dati socio-economici letti insieme a quelli sulle proprietà e sul mercato immobiliare, e l’attenzione si è focalizzata sulle sempre più numerose e varie forme di estrazione di valore dallo spazio urbano – valore che, nel caso in oggetto, era prodotto principalmente dalle relazioni sociali, dall’attivismo civico, dalla cittadinanza attiva, cioè dai comportamenti degli attori sociali che animano i luoghi e che si trovavano così, loro malgrado, inseriti dentro il meccanismo di valorizzazione orientato alla produzione e alla cattura privata di rendita.

1. Walter Tocci ama sottolineare questo carattere, sebbene lui stesso abbia una visione più complessa di cosa è “popolo” – cf. Tocci 2020.

2. Per un’articolazione della gentrificazione a Roma si veda Annunziata S. (2022 [2014]). “Gentrificazione e politiche pubbliche in Italia”. In: Oltre la gentrification. Letture di urbanistica critica tra desiderio e resistenze urbane. Firenze: EditPress.

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Tra gentrificazione e rendita: l’estrattivismo urbano

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Ri-urbanizzazione selettiva e gentrificazione

Un numero sempre maggiore di quartieri centrali e semi-centrali delle grandi città ha avuto una traiettoria evolutiva di riurbanizzazione selettiva ascritta in letteratura al fenomeno urbano della gentrificazione (Semi, 2015; Graziano, 2013). Da un momento iniziale di “abbandono”, contrazione demografica, degrado fisico e disagio sociale, i bassi valori immobiliari e la localizzazione “centrale” di un quartiere favoriscono l’insediamento di nuove popolazioni, prevalentemente a reddito medio e basso, come migranti o giovani artisti, che avviano dei processi di riurbanizzazione. Questi processi possono determinare inizialmente un miglioramento delle condizioni materiali e immateriali dell’abitare: conferiscono allo spazio urbano nuove stratificazioni identitarie e simboliche, nascono nuovi usi, aumentano le pratiche di socialità e con esse la qualità delle relazioni umane. A questi processi si aggiungono spesso gli interventi pubblici di rigenerazione fisica degli spazi e degli immobili, nel tentativo di dare una risposta all’incuria provocata dalla fase di abbandono da cui questi quartieri provengono. Quando questo accade gli interessi di attori economici si mettono in moto, avviando azioni di cattura del valore che può essere estratto da questo processo nella forma della rendita urbana.

Questa riqualificazione materiale e immateriale può produrre come conseguenza diretta un aumento della desiderabilità (Annunziata, 2008b) di abitare, frequentare e “consumare” quel quartiere, la quale a sua volta si traduce in un aumento della domanda e dei valori immobiliari. In particolare, nella società contemporanea le pratiche urbane immateriali di produzione artistica e culturale, di socialità e aggregazione, oltre ad essere dei motori della valorizzazione economica, sono anche degli agenti della trasformazione urbana (Postiglione, 2011), posti in un rapporto di interdipendenza con le trasformazioni materiali che innescano e dalle quali sono a loro volta influenzati. L’aumento dei valori immobiliari che si genera, in assenza di politiche pubbliche attente a questi effetti, innesca il processo di espulsione degli abitanti a reddito medio basso che riguarderà tanto gli abitanti storici, quanto gli stessi pionieri della trasformazione, ovvero coloro che nella prima fase hanno avviato la riurbanizzazione. Al loro posto subentrano progressivamente, in maniera più o meno rapida a seconda del contesto, nuove categorie di popolazione con maggiori disponibilità economiche. Questa sostituzione sociale che disegna le geografie delle città contemporanee, polarizzandole socialmente e spazialmente, è il segno del processo di estrazione di valore a vantaggio di pochi soggetti e a discapito dei ceti più vulnerabili. L’ultimo stadio di queste trasformazioni è infine la distruzione

19 Tra gentrificazione e rendita: l’estrattivismo urbano
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1. Attività commerciali di somministrazione cibo e bevande, 2019. Fonte: elaborazione dell’autore

2. Titoli di giornali che rappresentano Centocelle come luogo del “gusto” e della “movida”. Fonti: – https://www.lastampa.it/roma/2019/03/21/news/pigneto-centocelle-e-alessandrino-i-quartieri-piucool-della-capitale- 1.33689548;

– http://www.romatoday.it/eventi/de-magna-e-beve/centocelle-nuove-aperture-locali.html;

– https://roma.fanpage.it/roma-i-consigli-del-new-york-times-uscite-al-pigneto-e-mangiateacentocelle/http://roma.fanpage.it;

– http://www.romatoday.it/eventi/de-magna-e-beve/primo-ristorante-gelato-centocelle.html;

– https://centocelle.romatoday.it/centocelle/primavera-centocelle.html.

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degli anni ’80 e gli anni ’90 diversi studi e indagini di mercato assegnavano al quartiere dei valori molto bassi delle quotazioni immobiliari rispetto alle medie cittadine e municipali (Mudu, 2006). Inoltre, nel 1996 il municipio risultava quello con il maggior tasso di inutilizzazione delle abitazioni (Comune di Roma 1996) e con il tasso netto di proprietà di persone fisiche diverse dagli occupanti degli alloggi pari al 23%, secondo nella città dopo il municipio I (25,6%). Questo è un possibile indicatore di una posizione di debolezza del mercato immobiliare da parte dei residenti, indicando «la quota di mercato in cui fanno affari i proprietari che affittano per brevi periodi con canoni non certo sociali, per cui si ha una potenziale condizione di disagio ed un maggiore rischio di sfratto» (Mudu, 2006:56). Non a caso è a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 che si registra un boom di sfratti nel quartiere (Abitare A Centocelle-Prenestino, 19874). Il fatto che i valori immobiliari siano rimasti relativamente bassi indica che con molta probabilità la pressione abitativa ha riguardato in quegli anni principalmente gli abitanti appartenenti alle fasce più deboli della popolazione. D’altronde era ancora lontana la “primavera”.

A partire dal 1987, popolazioni immigrate provenienti dal Nordafrica prima ed est Europa poi, iniziarono ad insediarsi negli interstizi della città svalutati e in via di abbandono da parte delle popolazioni autoctone, dando il via alla terza fase immobiliare del quartiere. Questi processi insediativi hanno avuto potenzialmente un impatto negativo sui valori immobiliari contribuendo alla svalutazione, continuata fino a metà degli anni ’90 (Mudu, 2006). Inoltre, la coabitazione etnica ha consentito ai proprietari di immobili in affitto di continuare ad estrarre profitti considerevoli (cfr. Pompeo, 2011; Priori, 2012; Portelli et al., 2007; De Angelis, 2006). Questo processo è in qualche modo accostabile alle fasi di declino che il geografo Neil Smith chiama blockbusting e redlining, facenti parte del più ampio processo di filtering5 (Smith, 1979).

Se a metà degli anni ’90 si è verificata la condizione più acuta di svalutazione immobiliare, dalla fine di quel decennio alcuni fattori hanno mutato parzialmente lo scenario. Tra questi ci sono sicuramente gli interventi pubblici infrastrutturali e la legge n. 431 del 1998 che di fatto aboliva l’equo canone. Il quartiere tornò ad essere appetibile sul mercato e le case iniziarono a venire affittate non solo agli stranieri, ma anche agli studenti a

4. In Martire Luciani, 2019

5. Nella teoria di Smith queste fasi sono intenzionali e guidate dagli attori del mercato immobiliare. Questi avrebbero avuto in questi processi la funzione di convincere le famiglie bianche a vendere gli immobili perché spaventate dall’arrivo degli afroamericani. In questo caso è impossibile dire con certezza che ci sia stata tale intenzionalità, ma gli effetti sulla trasformazione del quartiere sono simili.

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3. Zone OMI utilizzate nell’analisi comparative del mercato immobiliare recente a Centocelle. Fonte: elaborazione GIS su dati OMI

primavera di Centocelle»?

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«La

5. Stato di conservazione degli edifici al 2011.

Fonte: elaborazione su dati censimento Istat 2011

Centocelle tra gentrificazione ed estrattivismo urbano

Oltre all’analisi economica del quartiere è interessante guardare ad altre dimensioni della trasformazione. In letteratura la gentrificazione è associata ad una riqualificazione fisica degli immobili e dello spazio pubblico, ad un ricambio di popolazione che favorisce ceti più abbienti, dotati di capitali culturali oltreché economici e alle parallele espulsioni dei ceti popolari. Guardare attraverso un approccio quali-quantitativo a queste dimensioni è utile per inquadrare le forme attraverso cui questi processi si manifestano nei contesti specifici ed in particolare nella città di Roma. In accordo con le teorie della gentrificazione, gli edifici di un quartiere che la subisce vengono lasciati in stato di decadenza e abbandono fino al momento dell’arrivo delle politiche che incentivano la riqualificazione dello spazio fisico, compresi gli interventi di ristrutturazione degli immobili privati. Attraverso un’analisi comparata tra diversi contesti e livelli territoriali, Centocelle, Pigneto, Municipio e Comune di Roma, è possibile trarre qualche riflessione interessante. A Centocelle la percentuale di edifici in stato di conservazione ottimo è allineata ai valori medi cittadini e municipali, mentre gli edifici con stato

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6. Classi di età della popolazione al 2011.

Fonte: elaborazione su dati censimento Istat 2011

di conservazione mediocre risultano leggermente superiori e quelli in stato buono inferiori. Questi dati potrebbero indicare che una parte del parco immobiliare del quartiere era pronta, nel 2011, a subire interventi di ristrutturazione per essere poi rivenduta o riaffittata a prezzi più elevati a categorie sociali disposte a spendere di più per un alloggio di maggiore qualità.

Diversi proprietari hanno iniziato ad effettuare delle ristrutturazioni con l’obiettivo di affittare il proprio immobile ad una popolazione studentesca in aumento nel quartiere. Ad ogni modo, parliamo di una porzione di immobili minoritaria rispetto all’intero stock immobiliare. Inoltre, occorre rilevare come complessivamente gli scarti percentuali siano piuttosto modesti. Peraltro, le attività immobiliari di demolizione e ricostruzione hanno riguardato abitazioni con giardini di pregio, demolite per far sorgere palazzi di minor valore estetico.

In presenza di fenomeni di gentrificazione il quartiere investito dal fenomeno dovrebbe ringiovanirsi, aumentare i livelli di scolarizzazione e di occupazione dei suoi abitanti. I dati comparati ci dicono che nonostante sia riscontrabile una lieve tendenza all’aumento della popolazione attiva e una

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La forma pulviscolare dell’estrattivismo a Centocelle

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Un quartiere (e un paese) di proprietari

La presunta diffusione della proprietà immobiliare italiana induce molto spesso a pensare che in realtà dietro alle valorizzazioni immobiliari non ci siano dei processi di accumulazione, quanto di redistribuzione in favore di tanti piccoli proprietari.

La proprietà a Centocelle, inizialmente concentrata nelle poche mani di chi nel secondo dopoguerra ci aveva investito, ha seguito una progressiva distribuzione nel tempo assecondando le dinamiche cittadine (e nazionali).

Fino agli anni ’80 le abitazioni in proprietà a Roma facevano registrare percentuali minori rispetto a quelle in affitto: il 46,7% contro il 48,6%1. «Nel 1991 […] lo scenario appare radicalmente mutato: il 60% delle abitazioni è in proprietà, contro il 35% di patrimonio in affitto» (Cresme, 1995:54).

L’analisi recente conferma questa dinamica. Nei trent’anni che vanno dal 1991 al 2011 i trend complessivi sono circa gli stessi per tutti e 4 i livelli analizzati (come prima Centocelle, Pigneto, Municipio e Comune): circa + 10/12% di residenti che vivono in abitazioni di proprietà e -10/12% in affitto. Anche per la categoria “altro titolo” i trend sono simili tra i vari contesti analizzati: circa +2/2,5 punti percentuali ogni decade. Quest’ultima categoria contiene anche le abitazioni date in comodato d’uso dai genitori ai figli e indica, quindi, un aumento dei meccanismi ereditari sugli immobili.

Nel 2011 i dati segnano una percentuale di residenti che abitano in case di proprietà del 67,1%, valore leggermente superiore alle medie cittadine e municipali che si fermano, rispettivamente, al 64,1% e 65,5%.

Tuttavia, pensare che il dato della diffusione della proprietà immobiliare indichi un processo di valorizzazione socialmente redistributivo rischia di portare ad un grave errore di valutazione: l’implicazione di una tale tesi sarebbe quella di sostenere che i fenomeni in atto non abbiano un carattere problematico, quando evidentemente non è così, anche se non legato direttamente alle grandi espulsioni, ma piuttosto ad una ingiustizia distributiva che si riflette sulle condizioni abitative. Nonostante tale diffusione riguardi tutta la città di Roma la questione abitativa è lontana dalla sua risoluzione e riguarda oggi circa 200.000 romani: un terzo delle persone che abitano in affitto è in difficoltà, senza contare il fatto che Roma ha una presenza elevatissima di occupazioni a scopo abitativo: 10.000 persone vivono nelle circa cento occupazioni formali e informali censite (Ciccarelli, 2018).

1. Censimento Istat, 1981.

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La casa di proprietà: un’ideologia dominante

La contraddizione è solo apparente: la frammentazione della proprietà in Italia ha raggiunto già da qualche anno una soglia critica, provocando conseguenze negative dal punto di vista economico e sociale, legate anche ad una emorragia di case in affitto (Cucca, Gaeta, 2015; Gaeta, 2017).

La cultura proprietaria, che in Italia ha origini lontane e che è diventata nel tempo una vera e propria ideologia dominante (Esposito, 2022), promossa da politiche e investimenti pubblici (Peverini, 2021) ha rappresentato un supporto diretto ai crescenti processi di finanziarizzazione della casa che hanno mutato profondamente il sistema economico a partire dalla fine degli anni Ottanta (Filandri, Paulì, 2018; Gallino, 2011; Salento e Masino, 2013). La progressiva privatizzazione del sistema bancario (Barca, 2010) e il relativo abbassamento della soglia di accesso al credito ha prodotto un modello di crescita economica basato sull’indebitamento privato, con le relative fragilità a cui sono esposte le famiglie (Fama, 2017). L’idea di acquistare un immobile è considerata sempre più spesso intelligente e vantaggiosa tanto si è radicata l’ideologia proprietaria (Filandri, 2015), anche quando questa è economicamente irrazionale (Rossi, 2017).

L’accesso al credito di una fascia di popolazione meno abbiente, inoltre, implica il trasferimento di una parte delle loro risorse finanziarie alle fasce

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9. Regimi proprietari degli edifici al 2011. Fonte: elaborazione su dati censimento Istat 2011

più ricche, acuendo complessivamente le disuguaglianze (Sassen, 2014). «Si verificano effetti cumulativi di rendita per le fasce sociali più ricche» (Filandri, Paulì, 2018:7). In seguito alla crisi del 2007/08 questo processo ha subito un ulteriore peggioramento: se prima l’accesso al credito consentiva comunque di raggiungere migliori condizioni di vita per fasce di popolazione che altrimenti non avrebbero potuto permetterselo (al prezzo comunque di generare l’insostenibile indebitamento che ha generato la crisi stessa), oggi accendono un mutuo prevalentemente le persone che già hanno un immobile come forma di investimento economico (Filandri, Paulì, 2018). Per questo motivo oggi «la proprietà immobiliare diviene sempre di più un mezzo in grado di strutturare la stratificazione sociale» (Filandri, Paulì, 2018:2). In molti paesi europei dopo la crisi del 2007/08 si è registrato un “ritorno all’affitto” con un aumento di una domanda di abitare temporaneo molto differenziata, legata alla flessibilità e alla precarietà delle nuove forme del lavoro (Cognetti, 2017). In questo contesto emerge un ceto medio che per la prima volta sta sperimentando i disagi abitativi legati all’elevata incidenza del costo dell’abitare sul reddito (Ibidem).

Riflettendo sulle dinamiche del contesto romano, occorre considerare il ruolo e il peso che giocano i meccanismi ereditari. È verosimile pensare che le famiglie che inizialmente possedevano un discreto stock immobiliare nel quartiere lo abbiano in parte distribuito ai propri eredi.

Acciari e Morelli (2020) hanno recentemente dimostrato come negli ultimi due decenni il peso delle eredità e delle donazioni sia aumentato rispetto al reddito nazionale, dall’8,4% del 1995 al 15,1% del 2016 e come il 54% del patrimonio delle famiglie italiane sia costituito da case. Tale patrimonio, pari a circa 6 volte il valore dell’intero PIL è uno dei più alti al mondo, ma con un elemento tutt’altro che positivo: la capacità di accumulare ricchezza da soli è oggi notevolmente inferiore al passato: dal 16% del 1995 al 3,2% del 2016 (Ibidem). La ricchezza delle eredità si è progressivamente concentrata: quelle superiori al milione di euro pesavano il 18% delle eredità totali nel 1995, mentre oggi arrivano quasi al 25% (Ibidem). Le ripercussioni di questi dati macroeconomici hanno un impatto sociale non indifferente che influenza le trasformazioni sociali ed urbane. Se aumenta la precarietà economica e sociale da un lato e il peso del welfare familiare su base ereditaria dall’altro, la faglia tra coloro i quali non hanno la possibilità di sfruttare il patrimonio ereditato, e rimangono quindi esclusi dalla ricchezza emersa dalla trasformazione, e coloro che ne possono trarre un beneficio, aumenta.

57 La forma pulviscolare dell’estrattivismo a Centocelle

Una sorta di paradosso sembra minare l’efficacia delle politiche pubbliche di riqualificazione o rigenerazione urbana, in special modo nelle aree centrali e semi-centrali delle grandi città soggette a processi di marginalizzazione e periferizzazione: nella migliore delle ipotesi, gli interventi si traducono in palliativi incapaci di incidere sui problemi strutturali. Nella peggiore, producono un’espulsione degli abitanti storici e meno abbienti mediante l’innalzamento dei valori del mercato immobiliare, acuendo le ingiustizie socio-spaziali e le disuguaglianze che gli interventi stessi si proponevano di risolvere. Ogni riqualificazione, che sia prodotta dalle politiche pubbliche o dalle pratiche urbane attivate dagli abitanti, è apparentemente destinata al fallimento, in quanto attivatrice di quel fenomeno che diffusamente viene chiamato “gentrificazione”. Il libro, attraverso l’analisi quali-quantitativa della trasformazione recente del quartiere di Centocelle, nella periferia storica del quadrante Est di Roma, problematizza tale categoria, svelando la natura profonda, radicata ed insidiosa del carattere estrattivo che contraddistingue i modelli di sviluppo urbano dominanti. Non si tratta di sostituire banalmente una categoria con un’altra - dalla gentrificazione all’estrattivismo urbano - ma offrire una lettura più adeguata a restituire la complessità della città contemporanea: queste categorie non vanno concepite come dispositivi esplicativi, quanto come campi di tensione interpretativa che devono spingerci a indagare le cause e i meccanismi profondi dei fenomeni urbani, per individuare i nodi da sciogliere e superare le contraddizioni.

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