Habitat, Territorio, Ecologia. Vol. 1

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06 paesaggio e ambiente

a cura di Alessandra Capuano

Habitat, Territorio, Ecologia

La nascita di una cultura del paesaggio in Italia tra difesa e progetto

VOL. 1

paesaggio e ambiente

Direttore della collana

Alessandra Capuano

Comitato Scientifico

Jordi Bellmunt

Gianni Celestini

Philippe Poullaouec-Gonidec

Luca Reale

Giuseppe Scarascia Mugnozza

Fabrizio Toppetti

Redazione

Viola Corbari

Federico Di Cosmo

Daniele Frediani

Progetto grafico

Viola Corbari

La collana adotta un sistema di valutazione dei testi basato sulla doppia revisione paritaria e anonima (double blind peer-review ). I criteri di valutazione adottati riguardano: l’originalità e la significatività del tema proposto; la coerenza teorica e la pertinenza dei riferimenti rispetto agli ambiti tematici propri della collana; l’assetto metodologico e il rigore scientifico degli strumenti utilizzati; la chiarezza dell’esposizione e la compiutezza dell’analisi.

Indice

Introduzione

Capuano

• IL PAESAGGIO TRA ESTETICA, CONSERVAZIONE E PRODUZIONE

Manlio Rossi-Doria: spigolature fra paesaggio e ambiente

Anna Carbone

Legarsi al paesaggio: Lai, Rossi-Doria e i saperi del territorio

Roberta Manno

Il metodo multidisciplinare di Emilio Sereni. Paesaggio come integrazione di saperi

Rita Biasi

Note su Rosario Assunto. Sentimenti del paesaggio

Stefano Catucci

Eugenio Battisti: eretico, erudito, entusiasta Elisabetta Cristallini

Contemplazione e artificio: il giardino secondo Assunto e Battisti

Elisa Monaci

La tutela come trasformazione: Eugenio Battisti e Marco Dezzi Bardeschi

Federico Desideri

10 20 36 46 58 70 82 90

•• STORIA, TERRITORIO E PROGETTO

Ludovico Quaroni: quattro paesaggi

Fabrizio Toppetti

Ernesto Nathan Rogers: l’idea di paesaggio tra pensiero e progetto

Isotta Cortesi

Vittoria Calzolari: la ricerca sul paesaggio

Lucina Caravaggi

Cultura, geografia, progetto, nel pensiero di Sereni, Gambi e Calzolari

Liliana Impellizzeri Laino

Vittorio Gregotti: la dimensione antropogeografica dell’architettura

Federica Morgia

Dalla forma del territorio al disegno del paesaggio: due editoriali di Gregotti

Giulia Marino

Roberto Gambino: paesaggio, parchi e territorio storico

Claudia Cassatella

Bernardo Secchi: la prassi del progetto di paesaggio di un urbanista

Daniela De Leo

102 118 134 148 156 168 178 196

••• ARCHITETTURA E NATURA

Marcello Piacentini e le figure del paesaggio a Roma Benedetta di Donato

Luigi Figini e Gino Pollini: natura e architettura oltre la tradizione moderna Sara Protasoni

Il muro e l’albero. Il verde di Figini e l’abitare di Ponti

Marco Sorrentino

La costruzione di spazi aperti nei quartieri Harar e QT8 a Milano

Frediani

Edoardo Gellner: un architetto nel paesaggio

Celestini

Esplorazioni in alta quota. Il paesaggio montano nell’opera di Gellner e Mollino

Elisa Donini

Marcello D’Olivo: il linguaggio del mondo vegetale e il rapporto con la natura

Alessandra Capuano

Paesaggi di pineta.

Densità e rarefazione nei progetti turistici di Quaroni e D’Olivo

Viola Corbari

211 220 230 240 252 264 272 288

•••• ARTE DEI GIARDINI

Raffaele de Vico e il giardino come opera d’arte Luca Catalano

Due opere pubbliche: il Parco Centrale dell’EUR a Roma e il Parco Amendola a Modena Daniele Stefàno

Maria Teresa Parpagliolo: il giardino tra arte e scienza Cristina Imbroglini

Carlo Scarpa per il paesaggio Fabio Di Carlo

Camera con vista. Memoria e innovazione nell’opera di Pietro Porcinai Franco Panzini

Lidia Soprani: leggere la forma di ciò che ci circonda Donatella Scatena

302 312 322 334 346 358

Manlio Rossi-Doria: spigolature fra paesaggio e ambiente

• • •
Università degli Studi della Tuscia

Non ho mai conosciuto Manlio Rossi-Doria di persona in quanto è venuto a mancare nel 1988, l’anno in cui mi sono laureata. Tuttavia, avendo completato i miei studi presso il Centro di Specializzazione di Portici, fondato dallo stesso Rossi-Doria nel 1959, ho studiato prima, e poi collaborato a lungo, con molti suoi allievi diretti, primo fra tutti Michele De Benedictis che per molti anni ha poi insegnato Economia e Politica Agraria proprio alla Sapienza. Questo giusto per dire chi sono e per spiegare il motivo per cui sono qui oggi a parlare di Manlio Rossi-Doria. Manlio Rossi-Doria è stato un antifascista, un meridionalista, agronomo ed economista, studioso accademico ma anche politico italiano.

Il numero elevato di appellativi ed aggettivi che lo inquadrano e lo definiscono rende forse chiara in prima battuta la ragione per la quale è importante parlare di Rossi-Doria a studenti di questo dottorato.

Ragione che si può anche declinare nei termini della poliedricità della sua figura, delle sue competenze e dei suoi interessi; una poliedricità in qualche modo affine a quella che si richiede a chi è chiamato a progettare e gestire il territorio e più in generale l’ambiente. Temi dei quali, peraltro, Rossi-Doria si è ampiamente occupato dalla sua prospettiva di agronomo ed economista con una forte sensibilità in qualche misura anticipatrice ai temi sociali ed ambientali.

In effetti, come studioso Rossi-Doria ha abbracciato in prima persona un ventaglio di temi amplissimo e anche con l’esperienza del Centro ha dato testimonianza concreta e forte dell’importanza che attribuiva alla multidisciplinarietà. Al Centro si studiavano l’economia, le materie quantitative, ma anche la sociologia, la pianificazione del territorio e molto altro ancora. Inoltre, alla solida preparazione teorica e metodologica si affiancava il piano dell’esperienza concreta e fattiva. Anche in questo Rossi-Doria è stato decisamente un anticipatore. • • •

La vita tra interessi culturali e ideali politici

La vita di Rossi-Doria (1905-1988) è una di quelle che vale la pena raccontare, seppure per sommissimi capi1. Nasce a Roma da una famiglia borghese. Nel 1924 si iscrive al corso di Scienze Agrarie all’Istituto di Portici (Napoli) che in seguito diventerà Facoltà di Agraria della Federico II. È una scelta al tempo stesso mossa da interessi culturali e da ideali politici che lo spingono a volersi occupare di Mezzogiorno e di Agricoltura: sarebbe a dire della povertà; perché a quel tempo la povertà era concentrata nel settore primario (oggi non è più così) e al Sud (ancora oggi è in gran parte così, almeno in termini

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Anna Carbone

Un bottom-up artistico

La Barbagia è l’“osso” della Sardegna. Probabilmente è così che RossiDoria definirebbe la vasta zona montuosa di cui fa parte l’Ogliastra.

Con questa celebre metafora, in cui l’“osso” si contrappone alla “polpa”, Rossi Doria intendeva descrivere la condizione di disparità tra la costa e l’entroterra, nelle regioni meridionali6. Nello specifico, le profonde disuguaglianze territoriali che hanno segnato la regione sarda sono da ricercare negli eterogenei processi di trasformazione che quest’area ha vissuto. Infatti, se da una parte si è investito sullo sviluppo delle zone costiere con un incremento dei processi di urbanizzazione, dall’altra si è assistito a una flessione delle aree interne con conseguenti fenomeni di abbandono e isolamento.

L’asprezza e la povertà tipiche di queste località hanno dato vita ad aree principalmente rurali, periferiche, a bassa densità abitativa7 .

Non a caso i dati demografici descrivono nell’Ogliastra un calo della popolazione del 13,9% tra il 1971 e il 20118. In un contesto di disattenzione politica e di occasioni perse per il rilancio delle aree interne, non è difficile immaginare quanto fosse urgente per piccole amministrazioni cercare soluzioni a tutela di queste realtà in affanno. Si può ipotizzare che proprio per queste ragioni, dinnanzi al progressivo immiserimento del paese alla fine degli anni Settanta, il comune di Ulassai contatta l’artista e concittadina Maria Lai. Il sindaco di allora Antioco Podda, nel tentativo di individuare nuovi strumenti per la rinascita del paese, le propone di realizzare un memoriale ai caduti di guerra. La secca replica di Lai è ormai nota:

Se volete un monumento ai caduti, chiamate un altro artista, perché io non sono disposta a fare un torto al mio paese. Ma se quello che volete è essere nella storia chiamatemi e cercheremo di fare qualcosa che non sia mai stato fatto da nessuna parte nel mondo9

Dopo un anno e mezzo di riflessione, l’amministrazione si accorda con l’artista. Viene immaginato – come lo definì Lai – il “monumento ai vivi” al posto del “monumento ai morti” richiesto inizialmente. Così, dopo anni di lontananza Maria Lai torna a Ulassai e inizia a riannodare il legame con la comunità e il territorio. Sarà proprio la rete di relazioni interpersonali e con l’ambiente a definire la materia con cui comporrà l’opera. Lai coinvolge l’intero paese che si organizza, discute, prende le misure e decide infine di legare con un filo azzurro le case del comune le une alle altre per poi connettere l’intero sistema urbano alla

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• • •
Ulassai nell’Ogliastra (foto di P. B. Gardin, Courtesy © Archivio Maria Lai © Piero Berengo Gardin).

Eugenio Battisti: eretico, erudito, entusiasta

• • •
Elisabetta Cristallini Sapienza Università di Roma

Eugenio Battisti è stato un pioniere in Italia negli studi sul paesaggio, naturale e industriale. Studioso dalla personalità poliedrica ed estrosa, ha una formazione che già indica la trasversalità degli interessi che caratterizzano l’intero suo percorso. Nato a Torino nel 1924, studia presso la Facoltà di Lettere dell’università, ma poi si laurea in filosofia con Luigi Pareyson1. Contemporaneamente scrive articoli di attualità, poesie, racconti, testi radiofonici2 e si occupa di musica, teatro e danza, passioni che, insieme a quella per la fotografia, non lo abbandoneranno mai. Nel 1950 è a Roma dove frequenta la specializzazione in Archeologia e Storia dell’arte3, per poi diventare assistente volontario per un decennio di Lionello Venturi. Sono gli anni in cui è anche pubblicista de Il Mondo di Pannunzio, fa trasmissioni culturali per il terzo programma radiofonico della RAI, lavora all’Enciclopedia Universale dell’Arteal seguito di Giulio Carlo Argan, avvia un progetto per una Storia delle idee estetiche (in dodici volumi) insieme a Paolo Portoghesi e Rosario Assunto e progetta una Enciclopedia delle arti figurative, imperniata su un metodo iconologico, inteso come strumento interpretativo per studiare la storia e le metamorfosi delle immagini. Il suo metodo di ricerca è stato definito da lui stesso “anarchico”, poiché impone di mettere sempre in discussione tutto cambiando idea fino ad essere contraddittorio, di essere autocritici, di osservare gli oggetti e le idee da molteplici punti di vista4. Un metodo dove le arti visive e la letteratura si incrociano con l’antropologia, la sociologia, l’epistemologia, la semiologia, le scienze naturali, le tecniche della coltivazione, l’organizzazione sociale, l’ecologia, con continui rimandi dall’antico al contemporaneo.

Risale al 1962 il suo libro fondamentale: L’antirinascimento (che segue i volumi su Rinascimento e Barocco e su Giotto)5, basato sull’ipotesi eretica e innovativa dell’esistenza di un altro Rinascimento contrario a quello comunemente descritto sui libri, un Rinascimento magico, stravagante, riuscendo così per primo a spiegare la convivenza del culto della divina proporzione con quello dell’anamorfosi6. Diventato docente di Storia dell’arte all’Università di Genova, Battisti è anche pioniere di una nuova didattica. Con le opere donate da amici artisti e galleristi, fonda infatti il primo nucleo del Museo sperimentale di arte contemporanea, inteso come strumento didattico interagente con il dibattito culturale contemporaneo, accompagnando la presentazione delle opere agli studenti con conferenze e incontri con critici e artisti d’avanguardia, aprendo dunque l’università alla vita culturale della città7. Negli anni genovesi, lo sconfinamento in vari campi disciplinari, caratteristica del suo metodo di ricerca, e la sua militanza

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Elisabetta Cristallini

In alto: Ludovico Quaroni con S. Dierna, R.C Ferrari, F. Karrer, A. Renzulli, Progetto per il Campus universitario di Lecce, 1973, prospettiva a volo d’uccello.

In basso: Ludovico Quaroni con S. Dierna, Progetto per il Campus universitario della Somalia a Mogadiscio, 1973, prospettiva a volo d’uccello.

In alto: Ludovico Quaroni con S. Dierna R.C Ferrari, F. Karrer, P.L. Spadolini, soc. Condotte, Progetto di concorso per l’Università della Calabria,1973, prospettiva a volo d’uccello

In basso: Ludovico Quaroni con S. Dierna, Progetto per una Città giardino a Margherita di Savoia, 1974, prospettiva a volo d’uccello.

nel parco della V Triennale (1933). Questo confronto è presente sia nell’impianto circolare soggiorno-interno/terrazza-esterno sia nella sezione/prospetto che rivela nella scala circolare la relazione tra architettura costruita e paesaggio, scala che, nel raggiungere il tetto giardino, si sviluppa come estrusione del soggiorno nella terrazza. Questo “portare dentro – il paesaggio e i suoi elementi – mentre il volume resta fuori” è una costante che ritorna ancora venticinque anni dopo nel Padiglione del Canada 2 in modo analogo sia per il dualismo interno/esterno nella composizione planimetrica – evidente nella disconnessione moltiplicata delle vetrate centrali, dove l’esterno si protende, in una scansione ripetuta di segmenti, verso l’interno moltiplicando le forme dello spazio architettonico – sia nell’inclusione dell’albero, che struttura lo spazio interno, pur restando al di fuori sotto il cielo. Così è anche nella realizzazione anteguerra della Colonia Elioterapica (1937-38) nel parco del bosco dei Ronchi di Legnano, dove la costruzione di un dialogo diretto con il paesaggio risulta evidente nel confronto con la parallela realizzazione del Dispensario Antitubercolare di Ignazio Gardella (1934-38). Mentre questi è tutto teso a costruire in forte autonomia, un’originale sintassi razionalista, il lavoro dei BBPR sceglie di caratterizzarsi tipologicamente proprio a partire dall’estroflessione del solarium passerella sospeso e proiettato nello spazio aperto.

Il Monumento ai Caduti nei Campi di Sterminio (1946) nel Cimitero Monumentale3 rafforza ancora un’altra relazione col paesaggio dando forma a quella “dimensione di attraversamento” che pur designando il parametro geometrico per la definizione della forma, lascia che lo spazio aperto entri da ogni direzione per divenire parte integrante dell’opera che, pur restando integra e riconoscibile, non può più prescindere dalla relazione con lo spazio attorno che la avvolge.

Con gli artisti Saul Steinberg e Alexander Calder, Ernesto Nathan Rogers realizza il Labirinto dei Ragazzi (1954)4: la dimensione paesaggistica dell’opera si rivela nella struttura del percorso che si fa narrativo, mentre svela l’itinerario con i graffiti e la scultura sospesa al centro della geometria, nell’intreccio delle spirali. L’estetica del Pittoresco si manifesta attraverso il movimento dell’osservatore, la scoperta di spazi e di temi del progetto porta in primo piano il “valore esperienziale” nel movimento e la “dimensione ludica” dell’inaspettato e della conoscenza che si afferma integrata tra arte, architettura e paesaggio.

In un altro monumento, la Tomba di Rocco Scotellaro 5 a Tricarico (1957), il paesaggio, lo sfondo, è parte integrante del progetto che ha le pareti lapidee protese in un evocativo abbraccio. In questo luogo

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Ernesto Nathan Rogers: l’idea di paesaggio tra pensiero e progetto

In alto a sinistra: BBPR, Monumento funebre a Rocco Scotellaro, Tricarico, 1957.

In alto a destra: BBPR e Piero Portaluppi, La Casa del Sabato per gli Sposi, V Triennale di Milano, 1933.

In basso: BBPR, Joseph Calder e Saul Steinberg, Il Labirinto dei Ragazzi, X Triennale di Milano, 1954.

Vittoria Calzolari, sezione tipo del corso di un fiume o torrente, elaborata per il corso di Morfologia del territorio, Facoltà di Architettura (pubblicata in: Vittoria Calzolari, edizione a cura di A. Alvarez Mora, Paesistica | Paisaje, Instituto Universitario de Urbanistica de la Universidad de Valladolid, Valladolid, 2012, p. 246).

dopoguerra era stato portato avanti dalla scuola dei geografi francesi15 , ma anche con una forte connotazione culturale, inscindibile dalla dimensione dello sguardo che si rivolge al paesaggio ricercandone percezioni estetiche ben definite.

Secondo Vittoria Calzolari il concetto di struttura – che in base alla definizione di Claude Levi-Strauss è un “sistema retto da coesione interna”16 comprensibile solo comparando fenomeni diversi tra loro e riducendoli allo stesso sistema di relazioni – diventa “fondamentale e unificante in discipline riguardanti fenomeni apparentemente lontani: linguistica, antropologia, scienze biologiche e fisico-matematiche, espressioni artistiche”17 .

“Una grande conseguenza dell’integrazione tra discipline naturalistiche e umane” afferma Vittoria Calzolari “è l’introduzione nelle prime del parametro storico”18

La geografia, soprattutto per merito della scuola dei geografi francesi, si evolve dalla descrizione di fatti fisici del territorio all’interpretazione del rapporto tra strutture ambientali e trasformazioni antropiche, e assume il paesaggio come oggetto centrale di studio. La geografia si trasforma in ricerca della caratterizzazione del territorio per aree distinte e omogenee in rapporto a fattori morfologici (forme, colori), biofisici (vegetazione, fauna, geologia, pedologia, idrologia), climatici (altitudine, orientamento, ecc.) visti nella loro correlazione come componenti di un sistema ecologico: di questo sistema fa parte anche l’uomo e, poiché l’uomo ha lasciato la sua impronta quasi in ogni punto della terra, la geografia è essenzialmente antropo-geografia (costruzione storica dell’ambiente).

Ma parallelamente alle riflessioni antropo-geografiche, Calzolari evidenzia un aspetto radicalmente “culturale” del paesaggio legato alle interpretazioni provenienti dai movimenti artistici del Novecento, con particolare riferimento a Klee, Moholy-Nagy, e all’innesto dei fondatori del Bauhaus nella cultura americana:

Questi nuovi modi di guardare il paesaggio attraverso la pittura, il disegno, la fotografia, il cinema, non negano l’accezione oggettiva data dai geografi, di cui si è detto prima, ma la integrano mettendo in evidenza il momento in cui, indipendentemente da ogni scopo pratico o ricerca di contenuto, indagine e comunicazione si identificano e l’oggetto osservato assume valore di immagine e diviene fatto estetico19 .

Purtroppo queste sperimentazioni non avranno esito neanche negli stati Uniti, fatta eccezione per la ricerca portata avanti da Gyorgy Kepes e Kevin Lynch The image of city (1960) presso il MIT, per

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Lucina Caravaggi

con il paesaggio, inteso come ambito di dominio della natura sul quale la cultura proietta i suoi costrutti (forme, immagini e memorie) e l’architettura riconosce e definisce strutture, tecniche e materiali per l’organizzazione dello spazio8 .

• • •

L’Elemento verde e l’abitazione. Natura diaframmata

L’attenzione per il costituirsi dell’esperienza della natura e del paesaggio in relazione alle rappresentazioni iconografiche che attraversano la cultura internazionale del paesaggio e del giardino costituisce probabilmente uno degli aspetti più originali dell’approccio di Figini e Pollini. L’elemento verde e l’architettura (di recente riportato alle stampe a cura di Ornella Selvafolta)9 può essere letto come il manifesto di un’idea di architettura che riformula in chiave moderna il rapporto con la natura. Pensato come repertorio di riferimenti e soluzioni tecniche in una collana che si colloca in un filone riconducibile alla manualistica per la settorialità dei temi proposti (singole tipologie di arredi: tavoli; librerie; sedie, divani e poltrone; la cucina: le tende …), L’elemento verde e l’abitazione raccoglie esempi dell’architettura moderna e soluzioni tecniche, ordinate per tipologie tecnologiche. Sono messe a fuoco tre categorie di spazi ed elementi: cortili, patii e portici; terrazzo-giardino; interni. Le problematiche per le quali sono proposte soluzioni esemplari riguardano aspetti costruttivi, formali, funzionali e biologici. Nei diversi esempi proposti, l’inserimento della vegetazione è analizzato e descritto non solo per quanto riguarda gli aspetti formali (spaziali e compositivi) ma anche con attenzione per tutte le azioni necessarie per garantire il benessere delle piante. Nelle carte dei due architetti conservate presso il Mart si ritrovano non solo elenchi di varie specie (erbacee, arbustive ed arboree) con indicazione delle possibilità e dei vincoli per il loro utilizzo, ma anche carteggi con botanici e vivaisti interpellati per le diverse occasioni di progetto10. Scrive Figini:

“dopo il razionalismo […] pittura e poesia del nostro tempo riecheggiano il duplice motivo di questa invasione del verde esterno nell’interno della casa dell’uomo, di questa evasione degli “interni” nel “mezzo” vegetale esterno /verde nelle case – case nel verde). Mai come oggi l’uomo si è sentito arido e solo, prigioniero del carcere che si è murato con le proprie mani (questo carcere si chiama casa, questo carcere si chiama città). E mai come oggi l’uomo ha sentito forte quest’ansia di evadere verso il regno degli alberi, oggi che un mondo vegetale perduto, con dolce violenza, rientra a far parte degli elementi domestici della sua vita quotidiana11

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Luigi Figini e Gino Pollini: natura e architettura oltre la tradizione moderna Luigi Figini, menabò in scala 1:20 del volume Il verde nella casa dell’uomo, ante 1946 (fonte: Archivio Architetto Figini – AAF Milano, foto di Alessandro Figini).

Sebbene le megastrutture di Ecotown – che trovano un precedente tanto nell’idea di Le Corbusier per Fort L’Empereur ad Algeri, come nell’architettura brutalista che negli anni Sessanta si era affermata in Inghilterra e in Giappone – possano sembrare a noi oggi degli indelicati fuori scala, l’intento fondamentale di D’Olivo e Mainardis era quello di ragionare su modalità insediative che contenessero il consumo di suolo e non turbassero, anzi conservassero, il paesaggio.

• •

Il paesaggio del turismo di massa

L’attenzione al rapporto tra costruito e luogo e il colloquio con l’ambiente si erano infatti andati affermando già nel secondo Dopoguerra, quando in Italia si impone il tema della ricostruzione e nasce il turismo di massa. Proprio nell’ambito di questa vicenda dedicata alla villeggiatura si progettano e si realizzano numerosi interventi in località montane e soprattutto balneari. Marcello D’Olivo fu tra i primi a cimentarsi con il tema, sviluppando un singolare intervento nella pineta di Lignano, che sorge nel paesaggio lagunare tra il fiume Tagliamento e il mare Adriatico. Una pineta equiparabile ad una giungla, come aveva notato Leonardo Sinisgalli, il poeta-ingegnere lucano che fondò la rivista di Finmeccanica Civiltà delle Macchine, nata per creare un dialogo tra conoscenza tecnica e arte. Sinisgalli era affascinato da D’Olivo, che come lui sapeva coniugare cultura umanistica e scientifica.

Chiamato dai soci della Lignano Pineta spa. fondata nel 1952 a fare una proposta capace di valorizzare il bosco e di studiare “il tema della circolazione delle auto, fattore primario per assicurare il successo dell’iniziativa”12 D’Olivo propone un progetto insolito e innovativo, che si basa sulla realizzazione di una strada a forma di grande spirale, da cui partono vie secondarie che conducono al mare. L’adozione di questa soluzione curvilinea consente interessanti effetti di carattere estetico-percettivo (percorrendo la strada, la prospettiva sulla pineta che sorge su un terreno ondulato cambia continuamente), funzionale (ogni lotto ha diretto accesso alla carreggiata così si eliminano servitù di passaggio e la circolazione stradale è fluida; inoltre mancando gli incroci vengono evitati gli attraversamenti dei lotti con condutture e impianti) e infine di carattere ambientale (le case vacanza sono opportunamente inserite nel bosco)13. La circolazione svolge un ruolo centrale nel progetto dell’architetto, tanto che Francesco Tentori lo definisce “il primo paesaggio dell’automobile”14 capace di rivelarsi compiutamente all’uomo in movimento: un guidatore che

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Marcello D’Olivo: il linguaggio del mondo vegetale e il rapporto con la natura

In alto: Marcello D’Olivo (al centro) nel suo studio con il progetto della “chiocciola” di Lignano Pineta, 1954.

In basso: foto aerea della spirale di Lignano Pineta appena tracciata sul terreno, 1954.

Gli italiani vedono nel paesaggio una delle poche ragioni per sentirsi una nazione, malgrado il paese si sia modernizzato in assenza di un’attenta pianificazione che ne regolasse la crescita. Nei primi anni di formazione della Repubblica non sono mancate però importanti iniziative che considerassero il contesto paesaggistico come orizzonte significativo del progetto, impegnando intellettuali italiani di diversa formazione nello studio e nella difesa dei luoghi. La cultura architettonica moderna si è dedicata ai temi dei centri storici, delle preesistenze ambientali, della città-regione, della grande dimensione, del town design anche per interagire con il territorio, l’habitat e l’ambiente e, nonostante siano rimasti confinati in un ambito più marginale del dibattito, si sono affermate alcune figure di paesaggisti, progettisti e studiosi che hanno guardato con intelligenza e curiosità anche oltre il recinto della propria disciplina e che possono essere considerate pioniere di una scuola italiana del paesaggio.

Due libri della collana di ET raccolgono un iniziale ragionamento sulla nascita di una cultura del paesaggio in Italia.

In questo primo volume saggi su: Assunto, Battisti, Bottoni, Calzolari, De Vico, Dezzi Bardeschi, D’Olivo, Figini e Pollini, Gambi, Gambino, Gellner, Gregotti, Lai, Leonardi e Stagi, Mollino, Parpagliolo, Piacentini, Porcinai, Quaroni, Rogers, Rossi-Doria, Scarpa, Secchi, Sereni, Soprani.

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