Giugno 2021

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distribuzione gratuita presso gli esercizi commerciali a: Campalto - Favaro Veneto - Tessera - Dese

http://issuu.com/lapaginadicampalto lapaginadicampalto@gmail.com GIUGNO 2021 Anno XVIII N°201

MENSILE A SFONDO SOCIALE DI PUBBLICA UTILITÀ

LA LUCE DI GIUGNO Nel mese di giugno si verifica il solstizio d’estate, il giorno dell’anno in cui maggiore è il numero di ore di luce. La tradizione popolare, fin dall’antichità, ha dato a questa ricorrenza significati particolari, talvolta magici, certamente di buon auspicio. Sembrerebbe che questa tradizione si ripeta oggi: dopo mesi di pandemia la luce dovrebbe essere vicina e la vita, seppur lentamente e con le debite precauzioni, possa tornare alla normalità.

In questo numero: L’EMIGRAZIONE ITALIANA IN ROMANIA TRA FINE ‘800 E ‘900_ LA PAGINA DELL’ARCHEOLOGIA_PILLOLE DI MODA_OPUS CAMPANELLI: ASTRATTISMO E REALTÀ_CORO SERENISSIMA_ DAL MONDO DELLA SCUOLA_IL LIBRO DEL MESE_LUNGO I FIUMI DI RISORGIVA_CAMPALTO NO. Nell’immagine di copertina: “Verano (estate)” del pittore spagnolo di fine ‘800 Joaquin Sorolla


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L’EMIGRAZIONE ITALIANA IN ROMANIA FRA ’800 E ‘900

Tra la metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, molti italiani sono emigrati in Romania. La Romania nacque il 24 gennaio 1859, quando la Moldova occidentale e la Valacchia si unirono. La Romania di allora era un paese ricco di risorse, anche del sottosuolo, ma soprattutto era poco popolato e desideroso di sfruttare al massimo le sue potenzialità economiche. Il mestiere più diffuso era quello di muratore, poi boscaioli (i menàus in friulano), i tagliapietra, i pittori, operai di fabbrica, lavoratori edili, minatori. L’emigrazione in Romania all’inizio nacque come spostamento lavorativo stagionale, dalla primavera al tardo autunno, salvo poi trasformarsi in trasferimento definitivo. Questo pendolarismo stagionale era curiosamente soprannominato “la rondine”. Tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima guerra 2

mondiale, 130.000 italiani andarono in Romania, per lo più friulani, veneti e trentini, che lavoravano la pietra e il legno. Le prime partenze erano dirette per lo più in Transilvania. Ancora prima, nel 1821 i primi emigranti italiani, alcune famiglie della Val di Fassa e della Val di Fiemme furono condotti nei monti Apuseni a lavorare come tagliaboschi e lavoratori del legno. Alcuni impresari italiani riuscirono ad aggiudicarsi commesse per la costruzione della ferroviera transiberiana e già nel 1845 erano italiani 23 dei 116 ingegneri occupati nella Compagnia ferroviaria romena. C’era una canzonetta che si sentiva frequentemente fra i lavoratori emigrati: Andiamo in Transilvania, a menar la carioleta, che l’Italia povereta no’ l’ha bezzi da pagar È difficile da credere oggi quando la madrepatria

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italiana non aveva abbastanza soldi (i bezzi) per pagare gli stipendi e il sogno americano era costituito nientemeno che dalla Transilvania, in Romania! Scrive Tiziana Tomat ne “L’emigrazione friulana in Romania nel XIX e XX secolo”: la regione che sostenne maggiormente questo flusso migratorio fu il Veneto, che allora comprendeva anche il Friuli. Nel 1892, ad esempio, il ministro italiano a Bucarest, Francesco Curtopassi, scriveva che “le località di Frisono, Forgaria, Castelnuovo del Friuli, Forni di Sotto fornivano alla Romania un numero talmente grande di operai che si sarebbe potuto credere rimanessero disabitate”. Si è calcolato che alla fine del ‘800 circa il 10-15% degli emigranti partiti dal Veneto si sia diretto in Romania per lavorare nell’edilizia, nella costruzione delle ferrovie, in attività del bosco o nelle miniere. Il numero di emigranti italiani in Romania è quasi decuplicato nell’arco di tre decenni. L’emigrazione continuò tra le due guerre mondiali e alcune stime hanno calcolato la presenza in Romania di circa 60.000 italiani, ma si esaurisce negli anni Quaranta. Rimasero nelle città rumene quegli emigranti che rinunciarono alla cittadinanza italiana. L’integrazione è stata favorita da una grande somiglianza tra le due culture e gli italiani vivevano in completa armonia nella società che li aveva ospitati, accolti, integrati. La loro presenza si sente ancora oggi a Bucarest,

Brasov, Falticeni, Roman, Tulcea, Iasi, Ploiesti, Arad, Calafat, Sulina, Turnu Severin, Bacau, Neamt, Cluj, Bistrita, Suceava ecc. Dopo la caduta del comunismo, il governo rumeno ha riconosciuto alle piccole comunità lo status di minoranza linguistica e il diritto di essere rappresentati alla Camera dei Deputati da un proprio parlamentare. Anche nei nostri giorni c’è l’emigrazione italiana verso la Romania, ma questa è diversa: si tratta di imprenditori del Nord-Est che delocalizzano le loro attività produttive in città come Timisoara, non a caso ribattezzata “Trevisoara”. Questa storia “sconosciuta e dimenticata” è meglio spiegata in un volume sulle migrazioni rumene curato dalla Caritas (Caritas, Immigrazioni e lavoro in Italia. Statistiche, problemi e prospettive, IDOS, Roma, 2008).

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Lionello Pellizzer

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LA PAGINA DELL’ARCHEOLOGIA Le Sacche lagunari: una miniera per l’archeologia

Ernesto Canal

Con il termine sacca si intende un’area della Laguna Veneta usata come deposito del materiale di scavo proveniente da rii o canali nonché di tutti quei detriti provenienti dalla demolizione degli edifici lagunari. Con il conseguente, successivo, interramento di un bacino acqueo. Con il tempo, molte sacche si sono sempre più allargate, sia in estensione che in altezza, dando origine a delle vere e proprie isole artificiali. Ne sono degli esempi Sacca Sessola, realizzata nel 1870 con i materiali provenienti dallo scavo del porto di Santa Marta; Sacca Fisola, collegata con un ponte alla Giudecca e costituita negli anni ’60 del Novecento con l’interramento di una precedente barena; Sacca San Biagio, 4

collegata a sua volta a Sacca Fisola con un ponte e realizzata, fra gli anni Trenta e Cinquanta del secolo scorso, grazie all’accumulo di una discarica di immondizie, tanto da essere nota anche come “Ixola dee scoase”. Proprio il loro essere frutto di depositi provenienti da materiale di scarto, le porta ad essere delle vere e proprie “miniere” per l’archeologo. È lo stesso discorso che abbiamo affrontato nei precedenti articoli dedicati a Fusina, ai suoi reperti e ai loro primi scopritori. È il caso qui di Ernesto Canal, figura di primo piano per l’archeologia lagunare, che a partire dal 1970 e fino al 1988, in località Sacca le Case (detta anca Sacca dei Ciossi o Palude del Monte), a ridosso delle aree aeroportuali di Tessera, rinvenne del materiale di origine romana. Per la precisione, un grande edificio a pianta rettangolare, molto probabilmente un magazzino, dotato di un porticato a pilastri e due piccole strutture rettangolari per le quali egli propose l’identificazione con due torrette daziarie, ovvero di controllo del traffico commerciale tra terraferma e laguna, poste ai lati delle sponde di un canale o fiume che sfociava in laguna proprio in quella zona. I materiali recuperati rivelano quindi una frequentazione tra II secolo e VI secolo d.C. come

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comprova anche un camminamento, formato da frammenti di laterizi e direttamente connesso con la strutture sopra descritte. Sempre Canal, nel 1973, nei pressi della Sacca di San Mattia, nella parte nord-est dell’isola di Murano, dove sorgono gli impianti sportivi, aveva individuato una motta (un rialzo di terra) costituita da materiale di risulta fra il quale si trovavano numerose altinelle (piccoli mattoni della lunghezza di 17-18 centimetri) e frammenti ceramici di epoca alto-medievale. E, infine, sempre Canal, nel 1992, presso l’ormai famosa Sacca di Fusina, della quale si era parlato nel primo e anche nel penultimo articolo de “La pagina dell’Archeologia” su questo giornale, in prossimità del lato destro della foce del Naviglio del Brenta, alla profondità di circa 30 cm., aveva localizzato un piccolo edificio all’interno del quale vi era la canna di un pozzo d’età medievale al centro di una vasca in argilla riempita con sabbia. All’interno del pozzo rinvenne numerosi oggetti: pentole in ceramica grezza, frammenti di piatti e scodelle in ceramica ingobbiata (ovvero rivestita di un impasto argilloso) e graffita, vetri, una zeppa di botte di vino, un frammento di suola di scarpa e ramaglie. Reperti tutti databili tutti alla metà del XVIII secolo. Per non parlare poi della sponda di età medievale, individuata sempre da Canal, di fronte a Fusina, lungo il canale Malamocco - Marghera, il cui posizionamento è

ora incerto visti gli sconvolgimenti che l’area ha subito, e che ha restituto del materiale sporadico. Sempre la zona di Fusina, tra il canale Bondante di sotto e Cà Moranzan, ha rivelato due tratti pavimentali, uno a mattoni quadrati e l’altro a mosaico (rinvenuti a circa 1,20 m. dal piano di campagna) e delle tombe ad incinerazione con ricchi corredi: balsamari in vetro, ceramica grigia a pareti sottili, patere e sigillata nord italica, lucerne e grossi embrici. Tutto materiale risalente al I secolo d.C. e recuperato a 57 cm. s.l.m., asportato e messo in sicurezza a cura della Soprintendenza Archeologica.

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Daniele Rampazzo

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PILLOLE DI MODA: LA FESTA DELLE MARIE CELEBRAZIONE DELLA CITTÀ DI VENEZIA di Monica Zennaro

La festa delle Marie, ripescata dal baule dei secoli e precisamente dal IX secolo, era una celebrazione tipica della città di Venezia. Soppressa nel 1379, ma tornata in auge in anni recenti come una bellissima rievocazione storica. Le origini dicono che nel IX secolo era attestata a Venezia l'usanza di benedire nel secondo giorno di febbraio, festa della purificazione di Maria, tutte le coppie che si sarebbero sposate entro l'anno. Questo avveniva nella chiesa di San Pietro di Castello, le spose partivano in corteo acqueo dall'Arsenale lungo il rio detto appunto “delle Vergini” per raggiungere i promessi mariti che le attendevano con gli invitati nella chiesa. Le giovani ingioiellate con tutti i loro corredi e le loro doti, tutti oggetti prestati dalle principali chiese della città dato che 6

erano state scelte le dodici ragazze tra le più belle e povere, il 31 Gennaio del 973, durante una di queste celebrazioni, Venezia subì un assalto piratesco, e le spose vennero rapite insieme ai loro gioielli. La popolazione insorse e riuscì a salvare le fanciulle e i pirati vennero trucidati. Le spose allora furono riportate in città il 2 febbraio e fu stabilito che ogni anno 12 fanciulle fossero tra le più belle e virtuose (battezzate come le Marie) e venissero fornite di dote. Ogni anno andavano a San Pietro di Castello, dove il vescovo veniva a benedirle per poi scortarle fino a San Marco per incontrare il Doge nella Basilica. Da lì il corteo saliva sul Bucintoro e si avviava verso Rialto attraverso il Canal Grande. Il corteo si concludeva a Santa Maria Formosa.

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Purtroppo, con il tempo la festa degenerò perché portava diverso scompiglio: succedeva spesso che le ragazze in procinto di sposarsi venissero corteggiate, e nel peggiore dei casi violentate, dagli uomini provenienti anche da altri paesi per vederle con feste danzanti, banchetti e altri gozzovigli ed era una festa gioiosa per gli occhi del pubblico maschile ai quali erano riservati molti giorni di feste e lussurie. Fu così che la Serenissima corse ai ripari: dapprima ridusse il numero delle ragazze a quattro (nel 1272) poi a tre sole. Alla fine fece fare dodici figure di legno per sostituirle, chiamate Marione o Marie de Tola (Marie di Legno), però con questa impostazione la festa perse molto del suo senso originario e insieme ad esso il favore dei veneziani e solo trent’anni dopo fu definitivamente soppressa. Rievocazione storica: in anni recenti Bruno Tosi ha restituito la festa delle Marie all'interno del carnevale di Venezia; si tratta di una rievocazione della festa originale. Dodici fanciulle veneziane sfilano in abiti medievali e rinascimentali in Piazza San Marco e al termine della sfilata, la più bella tra esse riceve il titolo di Maria dell'anno. Una curiosità in tutto questo è che pare che il termine attuale “Marionetta” derivi proprio delle “Marione” e a Venezia è tutt'oggi consuetudine chiamare “Maria de Tola” una donna scialba, inespressiva e freddina.

Il Gabbiano Circolo Ricreativo Culturale Campalto - Villagio Laguna I NOSTRI SERVIZI Consulenza legale gratuita per i soci AUSER - si riceve solo su appuntamento Spesa a domicilio: il ns. Circolo ha il servizio per la consegna gratuita della spesa a domicilio per persone anziane, non autosufficenti, portatori di handicap o con problemi motori temporanei che non possono recarsi personalmnte presso i negozi. I NOSTRI CORSI Corso di nformatica Attività di lavori a maglia, uncinetto, taglio e cucito Ripetizioni scolastiche per alunni di scuola media e superiore LA BIBLIOTECA “LINO SOFFIATO” La possibilità di avere in prestito libri E inoltre: Scuola di Canto Sportello Ludopatia aperto mercoledì h. 15.00/18.00 Per informazioni e appuntamenti: dal lunedì al giovedì dalle 10,00 alle 12,30 il venerdì dalle 16,00 alle 18,00 tel. 041.903525 bibliotecalinosoffiato@gmail.com Circolo Ricreativo Culturale AUSER “Il Gabbiano” Piazzale Zendrini - Villaggio Laguna Venezia - Campalto

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OPUS CAMPANELLI: ASTRATTISMO E BELTÀ

L'Astrattismo è un movimento artistico nato nei primi anni del XX secolo, essenzialmente in Germania dove però si sviluppa senza comunione di intenti, manifesti programmatici o coesione tra i vari artisti che si cimentano. Le opere pittoriche che vengono inquadrate, per così dire, in questo stile non rappresentano oggetti reali, ma possono essere interpretate secondo molteplici punti di vista. Forme, colori e linee sono indipendenti e libere da un disegno precostituito o da canoni formali. Un bel passo avanti se si pensa che tutta l’arte italiana ha tratto ispirazione dai canoni greci di Fidia, indicatori di equilibrio e perfezione. Il disegno preparatorio, poi, l’ha sempre fatta da padrone. Tutta l'arte occidentale è stata, dal Rinascimento fino al XIX secolo, segnata dalla logica della prospettiva e dal tentativo di 8

riprodurre un'illusione della realtà visibile, ma proporzionata in ogni suo aspetto. Gli artisti volevano con la loro espressione artistica attuare cambiamenti radicali, criticare la società che li circondava, essere i testimoni visivi dei cambiamenti fondamentali che stavano avvenendo nella tecnologia, nelle scienze e nella filosofia. Quanto appena detto lo si percepisce nelle opere di Vito Campanelli che ho avuto il piacere di conoscere un paio d’anni fa. Vidi qualche sua opera online, quando ancora non esisteva quella immensa fucina di idee e colori che conosciamo sotto il titolo di Opus Campanelli su instagram e Facebook. Vito è un pittore straordinariamente dotato, proteiforme, geniale, un grande appassionato di musica, un eccelso curatore e organizzatore di mostre sia in Italia sia all’estero. Ma che tipo di percorso ha intrapreso questo artista? La sua è una vita di privazioni in ambito familiare. Provvisorietà e continui spostamenti lo conducono a ricercare una realtà tutta sua e a coltivare la pittura sin dalla tenera età di undici anni. L’arte si manifesta a lui prima con i materiali della Giotto e poi col disegno scolastico a scuola. Vito sarebbe diventato un pittore senza alcun dubbio perché spinto da forti passioni ed emozioni. La sua prima personale all’età di diciassette anni la organizza a

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Venezia dove si presenta con due tele astratto informali. Il genio in lui si manifesta mescolando regole, improvvisazione, armonie cromatiche ed equilibri strutturali. I suoi dipinti sono istinto, vita che si traduce in atto. Caos calmo e trasformazione continua alla ricerca di tranquillità sono tipiche della sua produzione. Durante la sua formazione Vito è rimasto affascinato dall’archeologia e dall’antropologia tanto da ideare tutto un lavoro di scavi e incisioni rupestri intitolato “tracce”. Tra il 1995 e il 1999 rende tutto incolore, tutto legato all’ambiente della terra. Coaguli di materia e forme non finite la fanno da padrone. Una tela per Vito è come un foglio bianco ove tutto si può manifestare e da cui ci si guarda bene dall’avere schemi precostituiti. Libertà nel tracciare linee e forme sembra essere il punto di partenza di questo eclettico pittore per cui la materia è memoria del passato e specchio del futuro. Tutto si anima poi nell’anno 2000 con l’uso dei colori primari, ma prima deve sedimentare e subire la metamorfosi. Ciò che all’inizio sembra casuale,

col passare di ore o addirittura giorni prende corpo, si anima, si rivela e muta in qualcosa di più controllato. La dicotomia armonica dei colori suscita una moltitudine di sensazioni. L’estasi materica deriva tanto dal segno quanto dalla stratificazione del colore. Le opere ben si prestano a diverse interpretazioni dello spettatore. Invero, il Rosso e il Blu sono i colori Campanelli. Il primo rappresenta l’audacia e la passionalità. Il rosso è il tracciato di un battito che alimenta la vita stessa. Il secondo rappresenta una sfida continua per l’artista, una pulsione entropica che deve trasporre sulla tela. Dopo quarant’anni di carriera artistica lo spettatore non ha più dubbi, non può più fare a meno di Opus Campanelli. Molti hanno tentato durante la loro vita di contemplare, ricercandola senza sosta, la bellezza pura, quella essenziale, che ti nutre e ti soddisfa. Non serve spingersi tanto oltre. Basta osservare una delle opere di Vito. Attendiamo con impazienza la sua prossima personale nel veneziano. Cristina Pappalardo

via Gobbi 259 - Campalto da martedì a sabato orario 8.15 - 17.30 per appuntamento: 3927242100

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CORO SERENISSIMA

Con il mese di maggio il Coro Serenissima ha ricominciato la sua attività. La prima prova si è svolta all’insegna della gioia per esserci di nuovo trovati assieme, è stato facile rimettersi a cantare e suonare per godere delle gioie che solo la musica può dare e due ore sono letteralmente volate. Purtroppo alcuni coristi ci hanno lasciati per limiti d’età e anche per il timore che il covid-19 ha lasciato negli animi, ma li sentivamo comunque presenti vicino a noi. A malincuore abbiamo terminato le prove, stavolta con la consapevolezza che ci saremo presto ritrovati. Infatti, abbiamo ripreso i nostri appuntamenti, facendo attenzione ai parametri anti contagio (pulizia sede, misurazione temperatura, distanziamento e mascherine). È stata una sorpresa così scoprire che 10

anche con la mascherina si può cantare e che il distanziamento può trasformarsi in risorsa per i musicisti. Siamo consapevoli che diverse realtà corali hanno chiuso in questo anno e mezzo e anche per il Coro Serenissima non è stato facile tenere duro. Nel panorama corale della provincia di Venezia il coro Serenissima è l’unica realtà corale/strumentale che ha in repertorio esclusivamente canti veneziani ed eravamo consapevoli che dovevamo rimanere in attesa di tempi migliori, senza arrenderci. Speriamo con tutto il cuore che questo periodo buio cessi definitivamente e sarà per noi fonte di gioia se qualche corista rimasto ora senza coro desiderasse unirsi a noi. Per questo motivo il giovedì dedicheremo un’ora al repertorio solistico e all’inserimento dei nuovi coristi. Ci sono progetti interessanti in cantiere e, dopo tanto riposo forzato, ora abbiamo voglia di lavorare e migliorarci. Se desiderate venire a conoscerci siete pregati di telefonare, vi daremo le informazioni riguardanti orari e luogo delle prove: Presidente del coro, Maneo Giovanni 320 5562594 Direttrice del coro, Santi Lucia 320 3277210

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DAL MONDO DELLA SCUOLA L’Istituto A. Gritti di Venezia Mestre raccoglie il guanto di sfida e vince con il Project Work “Idee al lavoro Junior Hackaton” L’iniziativa dei docenti, la creatività degli studenti e la disponibilità delle imprese del territorio veneto sono oggi la chiave per reagire a questo periodo di crisi, per trovare nuove possibilità di sviluppo e di cooperazione, per tracciare possibili buone prassi innovative che rilancino il settore economico-turistico nella nostra regione. Si è concluso con le premiazioni del 28 maggio il percorso di ampio respiro che ha coinvolto aziende e studenti dell’ultimo anno dell’Istituto A. Gritti di Mestre, indirizzi Turistico e Relazioni internazionali per il marketing. L’iniziativa “Idee al lavoro - Junior Hackathon”, organizzata con il supporto dell’associazione Innovation Future School e della Treviso Creativity Week, ha visto scuola e imprese collaborare per realizzare dei progetti creativi, innovativi che potessero creare un ponte sinergico tra mondo del lavoro e didattica. Sostenibilità e valorizzazione in chiave social sono due degli elementi fondamentali del percorso. 150 studentesse e studenti hanno collaborato in team per due settimane non stop per trovare delle soluzioni reali e pragmatiche ai problemi enucleati da più di 40 imprenditori, manager e tutor laureati e specializzati nel

settore turistico e del marketing. In effetti, questo progetto pilota è stato concepito per sperimentare i tirocini in un’ottica nuova, per delineare buone pratiche, attraverso attività laboratoriali, con una valenza formativa e professionalizzante, nonostante la necessità di lavorare a distanza. Così è stato, dato il coinvolgimento degli studenti nel mettere a punto i progetti con entusiasmo ed energia. Busforfun, Boscolo Tours, AJA Associazione Jesolana Albergatori e Maarmo le aziende coinvolte nel progetto. I ragazzi hanno ideato dei percorsi green per valorizzare e promuovere l’entroterra, elaborato “manifesti” per un tour operator sostenibile, proposto azioni di marketing per lo sviluppo di imprese venete che puntano su innovazione e sostenibilità. Ecco come l’istituto A. Gritti di Mestre con i suoi ragazzi ha raccolto il guanto di sfida lanciato dalle imprese e ha vinto attraverso il loro coraggioso coinvolgimento. Sono loro i reali protagonisti a scuola ed è fondamentale offrire opportunità di sviluppo delle competenze per esserlo anche nel mondo del lavoro.

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Cristina Pappalardo 11


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Il volto e la voce di Antonella Viola, in questi tempi di pandemia, sono diventati molto noti al grande pubblico. Ricercatrice presso l’università di Padova, riesce con parole semplici a spiegare cose complesse, quado parla dal vivo e nelle pagine di questo libro. Ogni giorno il nostro sistema immunitario ascolta i segnali provenienti dal nostro corpo e dall’ambiente in cui viviamo per difenderci dagli attacchi esterni. Il nostro organismo è capace di un’infinita potenzialità: è pronto ad affrontare qualsiasi nemico, codificandolo e costruendo la propria memoria. La stessa memoria che noi abbiamo imparato a generare con i vaccini. Oggi il mondo 12

è colpito da una calamità feroce. Non eravamo completamente ignari quando è arrivata, ma ci siamo fatti trovare impreparati. Di certo, sappiamo che questa pandemia non sarà l’ultima. Di fronte a questa trasformazione epocale le risposte della politica sono spesso dettate dalla paura e dallo sgomento. È difficile per tutti rinunciare non solo alle vecchie abitudini, ma anche allo stile di vita che avevamo prima. Ma come possiamo cambiare la postura nei confronti del mondo, che ormai è già cambiato sotto i nostri occhi? Antonella Viola costruisce una mappa per abitare questa rivoluzione e comincia con l’invito a rivolgere lo sguardo dentro noi stessi, per capire la razionalità del nostro organismo, che è un meraviglioso sistema di comunicazione. Ciascuna parte collabora con l’altra, inviando segnali e traducendoli costantemente. Senza sosta si misura con l’ignoto che viene da fuori e lo affronta. Dobbiamo ricordarci che nessuno di noi può prescindere dagli altri e dall’ambiente in cui vive. Abbiamo la responsabilità di imparare questa lezione, perché non possiamo più fingere di non vedere le contraddizioni di un mondo globalizzato che trascura la catastrofe del clima e non si occupa delle disuguaglianze sociali. Per fortuna ad aiutarci c’è la scienza, che da secoli si misura con la realtà e le rivoluzioni non con la lotta, ma con la cautela e la leggerezza.

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LUNGO I FIUMI DI RISORGIVA

I fiumi di risorgiva sono una caratteristica dell’ambiente compreso tra l’entroterra veneziano e il trevisano. Marzenego, Dese, Zero e Sile sono nomi a noi ben noti ma spesso dimentichiamo che hanno contribuito a creare la storia e le ricchezze di questo territorio. Innumerevoli erano i mulini che ne sfruttavano le correnti e la facile navigabilità permetteva un trasporto merci sicuro tra la terraferma e Venezia. Oggi costituiscono un importante polmone verde e i loro argini si stanno trasformando in percorsi ciclo pedonali degni dei tanto decantati paesi nordeuropei. A Scorzè, per esempio, tra coltivi e zone alberate, un bell’itinerario costeggia le anse del Dese per congiungersi poco dopo con la “Treviso Ostiglia”, un

sedime ferroviario abbandonato, convertito in una pista ciclabile di quasi 200 Km frequentata ogni anno da svariate centinaia di migliaia di appassionati “nostrani” e in larga parte stranieri. Gli argini del Sile sono interamente percorribili fino alla sua foce al Cavallino mentre si sta lavorando per realizzare il Parco Fluviale del Marzenego - Osellino che interessa in maniera importante il nostro territorio. È presente sui social un interessante documento filmato che percorre a volo d’uccello l’intero tratto del fiume tra le porte di Mestre e Martellago. Un discorso a parte merita purtroppo lo Zero. La sua parte finale, Da Quarto ad Altino, era percorsa da un suggestivo itinerario naturalistico, “il Percorso della Memoria”, oggi ormai reso inagibile dall’incuria e dalla totale mancanza di manutenzione. Una piccola passerella lignea permettava di valicare un corso d’acqua e raggiungere il nuovo museo archeologico, ma oggi l’abbandono è totale. Da pochi mesi Altino è stato inserito nei “luoghi del cuore” FAI e non possiamo che sperare in una rinata sensibilità da parte di chi amministra questo territorio affinché si possa tornare a godere delle sue bellezze naturalistiche e possano essere meglio conosciute le sue risorse archeologiche.

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Gianfranco Albertini 13


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CAMPALTO NO A fine maggio si è tenuto in Municipalità un incontro tra i rappresentanti del Comune di Venezia e di ANAS con all’ordine del giorno il ripristino del tratto di via Gobbi interessato dal sottopasso del Bypass. A tutt’oggi non sono state date comunicazioni ufficiali (ma ormai ci stiamo abituando alla carenza di informazioni) e quel che si sa lo si attinge dalla stampa locale. Sembrerebbe che, oltre ad appianare la gobba sulla strada, si debba intervenire in maniera importante sui sottoservizi. I lavori, che dovrebbero iniziare a luglio, potrebbero durare anche un paio di mesi. La strada verrebbe totalmente chiusa

al traffico, sia privato che pubblico, obbligando i residenti e i mezzi pubblici a lunghe peregrinazioni su una viabilità alternativa ancora da verificare e definire, nella speranza che non vengano coinvolti nella chiusura anche pedoni e ciclisti. Dopo anni di disagi, che nessuno ha mai riconosciuto con interventi di compensazione, non ci resta che sperare che la situazione venga risolta in maniera definitiva. Come ben sappiamo, via Gobbi è l’unica via di comunicazione tra i centri di Campalto e Favaro e non aver mai previsto una viabilità alternativa non suona a merito delle amministrazioni che si sono succedute nel tempo

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La Pagina di Campalto è curata dal Circolo Ricreativo Culturale AUSER “Il Gabbiano” Piazzale Zendrini 22 Campalto (VE) Tel/fax : 041.903525 - bibliotecalinosoffiato@gmail.com Editore: Circolo Auser “Il Gabbiano” - Direttore responsabile: Giorgio Marcoleoni. Redazione a cura di: Blog Territori e Paradossi - Associazione Culturale. E-mail: info.blogterritorieparadossi@gmail.com Stampato in proprio - Registrazione presso il Tribunale di Venezia n° 1461 del 24 settembre 2003 “La pagina di Campalto” è consultabile online all’indirizzo: http://issuu.com/lapaginadicampalto È possibile rilasciare commenti e domande, segnalare iniziative, suggerire approfondimenti a questo indirizzo e-mail: lapaginadicampalto@gmail.com o visitando la nostra pagina facebook.


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