Dicembre 2021 gennaio 2022

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distribuzione gratuita presso gli esercizi commerciali a: Campalto - Favaro Veneto - Tessera - Dese

http://issuu.com/lapaginadicampalto lapaginadicampalto@gmail.com DICEMBRE 2021- GENNAIO 2022 Anno XVIII N°206

MENSILE A SFONDO SOCIALE DI PUBBLICA UTILITÀ

NATALE Nel mondo ebraico antico, i pastori occupavano il gradino più basso della scala sociale. Ma è proprio a loro che Gesù scelse di manifestarsi. Il vero significato del Natale sta proprio nel riscoprire il mondo dei poveri, dei diseredati, di chi è stato costretto ad abbandonare la terra nativa; ma anche nel combattere chi sta distruggendo il nostro pianeta con comportamenti più consapevoli e scelte più responsabili e coraggiose.

In questo numero: BUONE FESTE_VENEZIA E GLI EBREI_STORIA DI UN UOMO GIUSTO_LE STANZE DEL VETRO_CAMPALTO NO_IL LIBRO DEL MESE_LA PAGINA DELL’ARCHEOLOGIA_ DAL MONDO DELLA SCUOLA_UN ARCOBALENO A CAMPALTO Nell’immagine di copertina: l’adorazione dei pastori Jacopo Bassano - Galleria Corsini, Roma


LA PAGINA DI CAMPALTO

Buone feste e grazie La redazione de “La Pagina di Campalto”, nell’augurare buone feste ai suoi lettori, intende ringraziare tutte le persone che, a vario titolo, ne rendono possibile la pubblicazione. In primo luogo Auser “Il Gabbiano” che ogni mese dedica tempo e risorse alla stampa dell’edizione cartacea in distribuzione nei vari esercizi commerciali. A seguire, gli inserzionisti che, con il loro prezioso contributo economico, coprono le spese di produzione. Infine, e non me ne vogliano se sono in coda alla lista..., gli amici che ogni mese scrivono gli articoli che pubblichiamo con l’augurio che siano sempre graditi ai lettori. Ci teniamo inoltre a sottolineare che la collaborazione di tutti avviene a titolo completamente gratuito. Il volontariato è alla base di questa e altre realtà che cercano di tenere in vita questo nostro territorio, tanto ricco di bellezza, di storia e di cultura, quanto troppo spesso trascurato e dimenticato. Ci ritroveremo con il numero di febbraio (anche noi ci prendiamo un po’ di vacanza) e cogliamo l’occasione per invitare i nostri concittadini a inviare le loro impressioni e collaborare così alla realizzazione de “La Pagina di Campalto”.

Buon Natale e buon 2022

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VENEZIA E GLI EBREI

Tra le tante religioni e culture che trovarono in Venezia un proprio luogo elettivo, complice la natura aperta e cosmopolita della città, un posto particolare spetta senza dubbio alla comunità ebraica. Se un tempo era consolidata l’idea che i primi insediamenti ebraici, a cavallo dell’anno mille, fossero localizzati nell’isola di Spinalonga, più nota come Giudecca (tanto che taluni ne deriverebbero il nome appunto da iudaica), oggi pare acclarato che i primi nuclei di ebrei fossero insediati in terraferma, presso Mestre, da dove si recavano oggi giorno presso la città lagunare per svolgere le propria attività di traffici e di prestito di denaro, attività di cui Venezia, fondata sul commercio, non poteva fare a meno. La “condotta” del 1385 costituì a tutti gli effetti la premessa per la formazione di una colonia stabile in città, cui fece seguito la concessione al Lido di un terreno per la

edificazione di un cimitero. La condotta non venne rinnovata nel 1397, preferendo concedere agli ebrei il permesso di soggiornare in città per periodi limitati. Data da quel periodo anche l’obbligo di portare da parte degli ebrei segni identificativi sulle proprie vesti: un cerchio giallo sul mantello, poi sostituito da un berretto, prima di colore giallo, poi rosso. Nel 1509, la rovinosa sconfitta patita da Venezia nella battaglia di Agnadello contro la lega di Cambrai spinse moltissimi ebrei fino ad allora dimoranti nelle diverse cittadine venete a cercare rifugio e riparo nella città lagunare, ponendo pertanto il problema al Senato di ordinare la permanenza di gruppi sempre più numerosi. Il 29 marzo 1516 viene quindi decretato di concentrare circa 700 ebrei di origine tedesca (gli Askenaziti) e italiana in un’area isolata, compresa tra le carceri e il convento di san Girolamo. Nell’area erano presenti alcune fonderie, dette in veneziano getti: nasceva così il ghetto, la cui tipologia urbana venne successivamente adottata dalle principali città in cui esistevano comunità ebraiche. Nel 1541, nell’area contigua al primo ghetto, si stabilì l’ulteriore insediamento di un cospicuo gruppo di ebrei levantini, composti in prevalenza da mercanti dell’impero Ottomano, e da ebrei italiani, inglobando

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nelle isole urbane ebraiche altre porzioni di territorio. Nel 1589 giunse infine la nazione ponentina, composta da sefarditi (spagnoli) e marrani (ebrei convertiti) dando al ghetto la configurazione che ancora oggi lo contraddistingue. Alla stratificazione per nazionalità corrispondeva anche una distinzione sociale ed economica: se gli Askenaziti erano dediti alle attività di prestito di denaro, strazzeria, e all’arte medica, i levantini erano invece rivolti al commercio. Il ghetto ebraico di Venezia, per come si è costituito storicamente, è un conglomerato di culture e tradizioni diverse interne all’ebraismo, tanto che ciascuna nazione realizzò le proprie sinagoghe, che ne prendono il nome. Urbanisticamente, il ghetto è una straordinaria esperienza di adattamento dell’edificato alle ristrettezze degli spazi (non dobbiamo dimenticare che in ogni caso si trattava di un confinamento, tanto che le porte del ghetto venivano sbarrate la notte e durante alcune festività cristiane): attorno al grande spazio del campo, centro della comunità, si elevano vere e proprie case-torre. La comunità ebraica di Venezia, che giunse a contare 5.000 residenti, subì le vicende sia della città che del nostro paese: il dominio napoleonico e il successivo regime austriaco posero fine alla segregazione e all’obbligo di dimora. Nel 1848 autorevoli membri della 4

comunità parteciparono all’effimera esperienza della Repubblica di Daniele Manin. Nel 1866, con l’ingresso di Venezia nel Regno d’Italia, molti ebrei vivevano fuori dal ghetto, che rimaneva comunque il centro della vita spirituale e culturale. Il periodo più nero e cupo per la comunità fu quello che seguì le leggi razziali del 1938 e la dominazione tedesca dopo l’8 settembre 1943: oltre 200 tra donne, uomini e bambini furono deportati nei lager. Tra essi anche il rabbino capo Adolfo Ottolenghi, alla cui memoria è intitolato oggi il bosco tra Favaro e Dese.

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Gabriele Scaramuzza


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STORIA DI UN UOMO GIUSTO Per le giovani generazioni, Bartali è il personaggio di una canzone di Paolo Conte dal contenuto un po’ ermetico; per le persone più anziane invece è il protagonista di memorabili imprese sulle strade del Giro e del Tour in competizione, verso la fine della carriera, con Fausto Coppi. Ginettaccio, come sarebbe poi stato soprannominato per la verve polemica associata alla sua “toscanità” verace, nasce nel 1914 vicino a Firenze. Ben presto le sue potenzialità atletiche si manifestano e una ventina di anni dopo è già un ciclista affermato. Sarà la guerra a interrompere momentaneamente la sua attività sportiva giunta all’apice. Nel 1948 tornò in sella sulle strade del Tour de France. Fu una vera e propria impresa su cui nessuno avrebbe scommesso: era avanti con gli anni sportivamente parlando; in più la squadra con cui partecipava non era delle migliori. Ciò nonostante si rese protagonista di una serie di fughe sulle Alpi rimaste nella leggenda vestendo la maglia gialla fino a Parigi. Quella vittoria coinvolse così tanto gli italiani che fu fondamentale per distogliere l'attenzione dalle tensioni politiche di quel periodo causate dell’attentato a Palmiro Togliatti, esponente del PCI, sventando i rischi di una nuova guerra civile. Si dice che, per raffreddare gli animi, i vertici del governo di allora avessero sentito

personalmente Bartali implorandolo di fare l'impresa, perché il suo successo sportivo avrebbe sicuramente distratto gli italiani. E in effetti così andò. Ma l’aspetto forse meno noto di questa grande persona è emerso solo di recente. Bartali, durante la seconda guerra mondiale, si rese protagonista di una serie di rischiose attività in favore di ebrei perseguitati a Firenze, collaborando con il rabbino e con l'arcivescovo della città. In particolare, tra il 1943 e il 1944, fece da corriere tra Firenze e il convento francescano di Assisi: trasportò, tenendoli nascosti all'interno del telaio della sua bicicletta, i documenti necessari per fornire una nuova identità ai perseguitati e consentire loro di espatriare. Per sfuggire ai nazisti diceva che si stava allenando. Per questo suo impegno ricevette numerose onorificenze, fino alla Medaglia d'oro al merito civile, nel 2005, conferitagli postuma dall'allora presidente della Repubblica italiana, Carlo Azeglio Ciampi. Nel 2013 arrivò infine il riconoscimento di Giusto tra le Nazioni, conferito dallo Stato d'Israele. Nel maggio del 2018, in occasione della partenza del giro d'Italia da Gerusalemme, ricevette anche la cittadinanza onoraria di Israele.

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Gianfranco Albertini 5


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LE STANZE DEL VETRO fino al 13 marzo

Tapio Wirkkala Toni Zuccheri alla Venini fondazione cini isola di san giorgio venezia

la doppia mostra autunnale curata da Marino Barovier è dedicata alla produzione di due artisti e designer che furono presenti alla Venini dagli anni Sessanta. Ognuno di loro, con la sua forte personalità, contribuì a caratterizzare la produzione della vetreria che, in quegli anni di grande trasformazione, non solo seppe proporre nuovi modelli senza rinunciare all’uso del colore, ma riuscì anche a rispondere alle nuove esigenze di essenzialità provenienti dal mondo del design. Il primo aspetto venne sviluppato in particolare con il lavoro di Toni Zuccheri, a cui si deve la straordinaria serie di volatili e animali da cortile, a cui presto si affiancarono vasi dalle intense colorazioni e dalla linea organica, ispirata al mondo vegetale. Dal 1966, la fornace si avvalse inoltre della collaborazione del finlandese Tapio Wirkkala che, forte di un’esperienza nel mondo del vetro nordico alla manifattura Iittala, portò un nuovo approccio in laguna cercando di coniugare la sua cultura 6

con le lavorazioni muranesi, raggiungendo risultati significativi. Il progetto culturale pluriennale le stanze del vetro è destinato a ospitare, con cadenza annuale, una serie di mostre monografiche e collettive dedicate ad artisti che hanno utilizzato il vetro, nell’arco della loro carriera, come strumento originale di espressione e mezzo di ricerca di una propria personale poetica. L’obiettivo è di mostrare le innumerevoli potenzialità di questa materia e di riportare il vetro al centro del dibattito della scena artistica internazionale.

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LE

Da quando è stata chiusa la sede CaRiVe di via Gobbi, è affisso sulla porta un cartello di cui riportiamo il testo. Sono ormai passate diverse settimane ma la situazione non è cambiata. Così, nel giro di poco tempo, Campalto si trova senza banche e, soprattutto, senza Bancomat. Questo disagio non fa che aggiungersi al progressivo degrado che il nostro paese sta vivendo. Le attività commerciali non godono certamente di ottima salute e nessun market ha sostituito la Coop di via Passo, chiusa da tempo immemore. E di fronte a questo crescente stato di difficoltà cosa ha fatto o intende fare l’amministrazione locale? Per quanto se ne sa, non sono state prese iniziative per affrontare questa problematica e ridare nuova linfa a Campalto. Speriamo che il prossimo anno ci porti qualche gradita sorpresa

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Già nelle precedenti sue esperienze di scrittura Claudio Pietrobon aveva dichiarato il proprio legame il paese in cui da sempre ha vissuto, Campalto. Lo ha fatto nel 2010 con Quadri per una storia di paese, ricostruendo la vita quotidiana campaltina tra gli anni ’50 e i nostri giorni; lo ha fatto nel 2020 nella narrazione storico distopica di Venezia ultimo sospiro. Per questo non stupisce che Campalto lungo la storia, la più recente opera di Pietrobon, sia fondamentalmente un grande atto d’amore per Campalto, perché la minuziosa e tenace ricostruzione delle vicende storiche del territorio e delle 8

comunità campaltine lungo un arco di tempo che vale 1600 anni e che dall’epoca proto storica giunge ai margini della nostra contemporaneità non può essere altrimenti che una grande dichiarazione d’affetto per questa terra. Una dichiarazione, è bene precisarlo subito, che tiene insieme una indubbia capacità di scrittura con un altrettanto indubbio rigore dell’indagine storica. Campalto lungo la storia è organizzato, con sapienza, come una sorta di grande diario che, dalla preistoria e dal X secolo a.c. arriva fino alla metà del ‘900. Correttamente l’autore ordina le vicende seguendo la linea del tempo, cosicché ogni capitolo prende in esame un determinato periodo storico o secolo. Ogni capitolo inizia con una breve quanto mai opportuna descrizione dei principali fatti storici che interessarono quel periodo, perché la capacità di Pietrobon è quella di mettere sempre in relazione gli accadimenti e i fatti che interessano quella piccola porzione di terra che è Campalto con i grandi eventi della storia, perché nessuna comunità umana è un’isola, e si vive costantemente influenzati da ciò che accade all’intorno di noi. I primi capitoli, più sintetici, dedicati alla storia antica e fino all’età moderna, colpiscono per la vividezza della narrazione, che ne fanno dei veri e propri quadri, da cui emergono tre tratti distintivi di Campalto:

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l’unicità del suo territorio, composto di un alternarsi di terre umide e terre emerse (fino agli inizi del XVI secolo infatti non avremo la netta linea di divisione tra terra e barene costituita dal taglio dell’Osellino); il suo essere luogo di transito lungo una delle principali direttrici della latinità, la via Annia, poi Augusta Altinate; il suo sorgere nelle immediate vicinanze e in connessione con quella straordinaria esperienza geopolitica, culturale e sociale che sarà la Repubblica di Venezia (della quale, peraltro, sono ricostruite in maniera tanto esemplare quanto affascinante le origini). Mano a mano che dall’epoca moderna ci si avvicina alla contemporaneità Pietrobon attinge al prezioso e insostituibile deposito degli archivi, tanto quelli parrocchiali quanto quelli comunali e militari. Pubblicando ampi stralci della documentazione archivistica l’autore ricostruisce e restituisce la storia dei luoghi principali attraverso i quali ancora oggi Campalto si riconosce, come la chiesa di san Martino (sempre ricordando che per molti anni il toponimo di san Martino in strata concorse con quello di Campalto), il passo di Campalto, oppure di luoghi che oggi non esistono più, come il cantiere dirigibili negli anni del primo conflitto mondiale. Si giungono così anche a (ri)scoprire personalità che hanno segnato la vita del paese, perché la storia è sempre intreccio di fatti e vite

personali, come quella di Raganello Angelo e della sua famiglia, che condusse per molti anni il passo di Campalto; oppure quella di Zecchinato Angelo, che fu arrestato dagli austriaci durante i moti del 1948-49 per collusione con la Repubblica di Daniele Manin. E oltre alle biografie singolari, Pietrobon ricorda quelle collettive, su tutte quella delle latariole che rifornivano la città di Venezia attraverso Campalto di un alimento essenziale come il latte, oppure – ritornando all’indietro – del grande mercato che per secoli costituì uno dei principali luoghi di traffici dell’interno nord Italia.

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Gabriele Scaramuzza

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LA PAGINA DELL’ARCHEOLOGIA LA “VAMPIRA” DI VENEZIA Un ritrovamento archeologico “particolare”

Venezia: Isola del Lazzaretto Nuovo. Tra il 2006 e il 2008, un’equipe di archeologi, guidata da Matteo Borrini, archeologo e antropologo forense dell’Università di Venezia, nell’ambito di un progetto, promosso dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto, è alle prese con un’indagine su alcune fosse comuni di vittime delle epidemie di peste dei secoli XVI e XVII. L’isola, infatti, dal 1468, ospita installazioni per la quarantena di merci ed equipaggi prima che entrino in città. Gli scavi hanno restituito, fra 10

gli altri, il corpo, mutilo, di donna, dall’età stimata, grazie alla dentatura, di 61 anni cui è stato attribuito il codice identificativo ID 6. C’è però una particolarità: il cranio ha un mattone in bocca. Conficcato con tale forza da frantumare tutti i denti della malcapitata. Si tratta di un’usanza, risalente al Medioevo, indotta dalla superstizione che, nella categoria degli untori di manzoniana memoria, ovvero di coloro che erano accusati di diffondere il contagio, si aggirassero dei “non morti”. Dei vampiri, insomma. Chiamati anche nachzehrer o “quasi morti” o “masticatori di sudario”. E quindi, dato che chi moriva per la peste emetteva, nel momento fatale, un rivolo di sangue dalla bocca, questi “non morti”, sepolti a fianco dei cadaveri degli altri appestati, si sarebbero nutriti del sangue di questi ultimi per poi tornare in vita contagiando altre persone. E così, gli addetti alla sepoltura, di fronte a dei sospetti vampiri, conficcavano loro in bocca un palo o un mattone in modo che non potessero “succhiare” il sangue altrui. Come capire chi era un vampiro e chi no? Andando a riesumare periodicamente le fosse comuni per far spazio ad altri corpi, quei cadaveri che non fossero risultati decomposti interamente,

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ovvero ridotti a scheletro, e il cui sudario presentasse macchie di sangue o di altri liquidi corporei, ecco allora il o la nachzehrer. Per cui, si rendeva necessaria una nuova sepoltura ma con la macabra “tecnica” descritta in precedenza, per renderlo inoffensivo. Un’operazione questa rintracciata anche in altri individui in vari siti molto distanti e

diversi fra loro. Infatti, il nachzehrer è una figura tipica del folklore di Boemia e Moravia, attestata fin dal Trecento. Non è quindi strano che superstizioni del genere fossero diffuse anche in una città così cosmopolita ed aperta ad altre culture come Venezia. Daniele Ranpazzo

DAL MONDO DELLA SCUOLA Il Dipartimento delle politiche europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in collaborazione con l’Ufficio scolastico di informazione in Italia del Parlamento Europeo, con la Rappresentanza della Commissione Europea in Italia e con il Consiglio d’Europa, organizza ogni anno, dal 2017, dei percorsi per l’implementazione delle competenze trasversali degli studenti e per il loro orientamento. La sessione plenaria autunnale del Club di Venezia, ente promotore della comunicazione internazionale fra gli Stati Membri, si terrà nei giorni 2 e 3 dicembre 2021 a Venezia e vedrà la partecipazione, anche quest’anno, di un gruppo di studenti meritevoli delle classi 5°B, 5°C, 5°E, 5°F, 5°G, 5°A/AFM dell’istituto A. Gritti di Mestre. Essi saranno impegnati in qualità di assistenti congressuali presso Palazzo Cavalli-Franchetti. Sono previste tavole rotonde a cui parteciperanno relatori di fama internazionale, meeting, conferenze e sessioni plenarie su tematiche di rilevanza fondamentale a livello socio-economico quali la sostenibilità, la cooperazione fra gli Stati Membri e la prevenzione dalla pandemia di covid-19. L’importanza politico-sociale di tali appuntamenti risiede nel fatto che gli studenti siano protagonisti e attori di scambi culturali e linguistici. Sì, proprio loro, i cittadini europei del domani. Cristina Pappalardo

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UN ARCOBALENO A CAMPALTO

BREVE STORIA DELL'ASSOCIAZIONE CANOISTICA ARCOBALENO Comincerei col dire che in via Delle Barene 50, a Campalto, in una ex fonderia artistica, sono stipati, tra kayak, canoe e sit-on top, un centinaio di imbarcazioni di "nautica naturale". Un furgone cassonato è parcheggiato, fuori dal cancello, sulla stessa via Delle Barene, pronto a trasportare all'imbarco quei mezzi "acquei", quando e dove ci chiedono i kayaker, molto spesso al vicino porticciolo del Passo. Colà l'ex Magistrato alle acque ci ha assegnato una "concessione di specchio d'acqua". Vi abbiamo posizionato una "topa" ed il nostro imbarcadero galleggiante per scendere e pagaiare in laguna, Ma, a fronte di tante esperienze entusiasmanti di un tempo, sportive e relazionali, ora 12

l'associazione non riesce ad esprimere un direttivo e degli incaricati "ufficiali" alle tante e gravi mansioni che comporta la gestione di tanti mezzi e soprattutto di centinaia e centinai a di appassionati di kayak. Questi si rivolgono a me o ad alcuni volontari che sono rimasti per essere supportati nelle escursioni, su acque vicine e lontane, soprattutto del Triveneto, che essi stessi programmano. Nella mia agendina 2021 posso contare 3.300 persone che sono scese in acqua con i mezzi dell'Arcobaleno. Si può dire che è rimasto un associazionismo "pagaiatorio" che non ha confini geografici ed un punto di riferimento per continue collaborazioni con privati ed aggregazioni quanto mai varie:

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scout, centri estivi, parrocchie, diocesi, scuole, amici/che, famiglie, clan, ecc. L'attività kayakistica che sto cercando dipresentare è partita proprio da Campalto nel 1980 e da una richiesta a me rivolta da parte di un operatore sociale del comune di Venezia, certo Lorenzo De Facci. Cosa cercava questo operatore? Un'idea per coinvolgere gli adolescenti dei nuovi quartieri popolari del CEP e di via Bagaron in un'attività interessante e formativa. Ero rimasto affascinato dalle uscite in laguna con dei kayak che un paio di signori dell'ex CEP, certi Renato Friselle e Pietro Tamai si erano costruiti. Così mi azzardai a suggerire, come idea affascinante per quegli adolescenti, ed ovviamente per me e per i miei figli, la costruzione prima e l'utilizzo poi di kayak in vetro-resina. Ci venne concesso dal comune un modesto finanziamento con cui comperammo dalla ditta De Pieri & Mardegan un kayak doppio, uno stampo per kayak alquanto obsoleto in quanto ad idrodinamica e del materiale per costruire dei kayak in vetro-resina, coinvolgendo nella costruzione gli stessi adolescenti destinatari del progetto. Ne costruimmo una quindicina e il conseguente spasso pagaiando in laguna e discendendo i fiumi del Triveneto solo i protagonisti di allora potrebbero descriverlo completamente. Io poi non riuscii, privatamente, a fermarmi a quella quindicina di kayak

quando i miei sette figli e i loro amici scout cominciarono a chiedere sempre più spesso il supporto per le loro avventure, cioè kayak ed ancora kayak! Così, col passa parola, il desiderio di "essere felici nella natura e su uno specchio d'acqua" divennta "virale" e in seguito la numerosa presenza di kayaker, dell'Arcobaleno o meno, al Passo, a volte indispone gli "indigeni" e i vecchi utenti della sua darsena. Anche noi a volte siamo in croce perchè fatichiamo per presentarci con servizi adeguati... non siamo infatti riusciti a trovare un posto "nostro, né da privati, né' dal Comune, magari in affitto o in comodato d'uso, per alloggiare i nostri mezzi e l'acqua presso un'ex-fonderia abusiva la chiediamo a dei rumeni pagandola ad un costo triplo (per dire, nell'ultimo bimestre dello scorso anno, con il conguaglio, più di 500 €) e fra due mesi dobbiamo pagare per la concessione di specchio d'acqua 930 € al Provveditorato alle Opere Pubbliche del Triveneto. Non voglio qui mendicare compassione, voglio solo ribadire che Campalto, coi suoi 10 km di gronda lagunare merita e deve avere un imbarco di "nautica naturale" (almeno a pagaia e a remi, se a vela è troppo chiedere) lontano o comunque separato dal traffico della nautica motorizzata. Amen.

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La Pagina di Campalto è curata dal Circolo Ricreativo Culturale AUSER “Il Gabbiano” Piazzale Zendrini 22 Campalto (VE) Tel/fax : 041.903525 - bibliotecalinosoffiato@gmail.com Editore: Circolo Auser “Il Gabbiano” - Direttore responsabile: Giorgio Marcoleoni. Redazione a cura di: Blog Territori e Paradossi - Associazione Culturale. E-mail: info.blogterritorieparadossi@gmail.com Stampato in proprio - Registrazione presso il Tribunale di Venezia n° 1461 del 24 settembre 2003 “La pagina di Campalto” è consultabile online all’indirizzo: http://issuu.com/lapaginadicampalto È possibile rilasciare commenti e domande, segnalare iniziative, suggerire approfondimenti a questo indirizzo e-mail: lapaginadicampalto@gmail.com o visitando la nostra pagina facebook.


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