Interni 646 - November 2014

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THe MaGazInE OF INTeRIors AND coNTeMPoraRY DesIGN

N° 11 NovemBre NOVEmber 2014

Mensile/monthly italia/italy € 10

Aut € 19,50 – BE € 18,50 – Canada Cad 30 CH CT Chf 22 – F € 18 – D € 23 – PTE Cont € 17 UK £ 14,50 – E € 17 – CH Chf 22 – USA $ 30

Poste Italiane SpA - Sped. in A.P.D.L. 353/03 art.1, comma1, DCB Verona

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INTerIors&arcHITecTure

sPazI reInvenTaTI

INcenTer

Le Corbusier e i 50 anni della Collezione LC

INTodaY

neuroestetica

INProJect

I cInque sensI DeL DesIGn

INProDucTIon

I coLorI DeLL’aBITare

wITH comPLeTe english TexTs

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INTerIors&arcHITecTure

sPazI reInvenTaTI

INcenTer

Le Corbusier e i 50 anni della Collezione LC

INTodaY

neuroestetica

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I cInque sensI DeL DesIGn

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INdice/contents novemBre/november 2014

INterNIews 19

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In copertina: la poltrona LC2, disegnata nel 1928 da Le Corbusier, Pierre Jeanneret, Charlotte Perriand, prodotta da Cassina dal 1965. Qui è protagonista di un’installazione che l’azienda di Meda ha ideato per celebrare il cinquantenario dell’accordo, siglato nel 1964, che ha dato inizio alla produzione della celebre Collezione LC. On the cover: the LC2 armchair designed in 1928 by Le Corbusier, Pierre Jeanneret and Charlotte Perriand, produced by Cassina since 1965. Here it is the protagonist of an installation the company based in Meda has created to celebrate the 50th anniversary of the contract signed in 1964, which marked the beginning of the production of the famous LC Collection.

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produzione production cabinets evolution tra natura e tecnologia/Nature and technology nuovo con continuitÀ/New, with continuity brevi/short takes project

wow, che casa!/WHAT A HOUSE! Unicredit pavilion Design hotel con vista sul porto/with port view i nomi sono conseguenze/Names are consequences specialisti della fuga/Seam specialists siamo tutti pescatarians/We are all pescatarians eventi events design e stili di vita/Design and lifestyles tornano le pieghevoli di gio ponti THe folding chairs of GIo PonTI are BacK concorsi competitions la machine Á habiter

showroom

italy coast to coast giovani designer young designers emozioni ragionate/Reasonable emotions mostre Exhibitions doppio anniversario alla serralves Double annIVersarY aT THe SerraLves Alvar aalto: second nature brevi/short takes tendenze Trends com’è trendy/The trendy spirit of ZÜrICH-WesT!

food design

a nicolaz davouze il bocuse d’or NIcoLas Davouze wins the Bocuse D’Or 2014

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INdice/CONTENTS II 68 70

in libreria in bookstores sound design tutta un’altra musica/A different tune

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phone design

Oltre il futuro/Beyond the future INservice 75 81

traduzioni translations indirizzi firms directorY

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INtopics 1

editoriale editorial di/by gilda bojardi INteriors&architecture

spazi reinventati/reinvented spaces a cura di/edited by antonella boisi 2

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san pietroburgo, il mercato di quarenghi

Saint Petersburg, Quarenghi’s market progetto di/design by william sawaya - studio architettura sawaya & moroni foto di/photos by scf - testo di/text by matteo vercelloni

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parigi, i nuovi padiglioni ‘obliqui’ della tour eiffel

Paris, the new ‘oblique’ pavilions of the Tour Eiffel progetto di/design by moatti-rivière architecture scénographie foto di/photos by michel denancé testo di/text by matteo vercelloni 16

shanghai, il flagship store design republic commune the Design Republic Commune flagship store progetto di/design by neri & hu design and research office foto di/photos by pedro pegenaute testo di/text by antonella boisi

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verona, la nuova filiale unicredit

Verona, the new Unicredit branch progetto di/design by matteo thun & partners foto courtesy di/photos by matteo thun & partners testo di/text by antonella boisi

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treviso, una villa-quadro sul paesaggio

A painting on the landscape progetto di/design by studio architettura massimo benetton foto di/photos by marco zanta - testo di/text by antonella boisi 32

olanda, bridge house progetto di/design by paul de ruiter architects foto di/photos by jeroen musch testo di/text by laura ragazzola

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spagna, lo spazio della luce/The space of light (and joy) progetto di/design by JosÉ MARIA SANCHEZ foto di/photos by PEDRO PEGENAUTE testo di/text by laura ragazzola

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INdice/CONTENTS III

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austria, tra le rocce di una cava romana

Amidst the stones of a Roman quarry progetto di/design by alleswirdgut architektur zt gmbh foto di/photos by herta hurnaus testo di/text by matteo vercelloni

INsight INarts 44

wade guyton di/by germano celant

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INscape 50

luoghi e mostre/Places and exhibitions a cura di/edited by olivia cremascoli

INdesign INcenter 54

textile material di/by nadia lionello foto di/photos by paolo veclani

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colour value di/by nadia lionello foto di/photos by simone barberis

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maestri di ieri, innovatori di oggi

Masters of the past, innovators of the present di/by Maddalena Padovani

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INpeople 74

le intelligenze nascoste/Hidden intelligence a cura di/edited by Maddalena Padovani INtoday

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neurodesign di/by Alessandro Villa INview

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silenzio, è design/Silence is designed di/by Valentina Croci

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sense & sensibility di/by Stefano Caggiano

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INproject

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notte e dintorni/Night and vicinity di/by Maddalena Padovani INproduction

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colori simultanei/SImuLTaneous CoLors di/by katrin cosseta foto di/photos by enrico suÀ ummarino

INservice

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traduzioni translations

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indirizzi firms directorY di/by adalisa uboldi

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INtopics / 1

EDiToriaLe

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iqualificazione è la parola-chiave, che collega, come un fil rouge, le architetture presentate in questo numero. Nelle sue molteplici declinazioni, noi lo circoscriviamo al significato di recuperare, riconvertire e reinventare. Spesso anche con una ridefinizione tipologica, nello specifico, una cava romana o manufatti architettonici di memoria storica, quali l’iconica Tour Eiffel a Parigi, il mercato–landmark progettato da Giacomo Quarenghi nel 1790 a San Pietroburgo o ancora il Police Headquarters nel Jing’an district di Shanghai costruito dagli inglesi agli inizi del Novecento. Abbiamo così riscoperto nuove figure d’interni che, nutrite dalla vena sperimentale e innovativa degli interventi firmati da progettisti internazionali, riportano il passato alla dimensione della contemporaneità. Cambiando registro, analizziamo due tendenze molto attuali nel settore della produzione di design. Una si focalizza sulla neuroestetica, nuovo ambito di studi che mettono in relazione i processi sensoriali con la percezione del bello. Ne parliamo facendo riferimento ai progetti di Nendo, all’anagrafe Oki Sato, che forse prima di altri designer, ha compreso le potenzialità di questo approccio. L’altra riguarda la ‘traduzione’ in termini estetici del rapporto tra oggetti e corporeità. Scendendo alla scala del prodotto industriale, ci concentriamo invece sul senso dell’udito, prendendo in rassegna una serie di oggetti disegnati per la casa (lampade, pannelli divisori, arredi) che, alla loro tradizionale funzione d’uso, uniscono quella della fonoassorbenza. E per finire, l’interpretazione dei colori-trend individuati al recente Salone del mobile di Milano. Un tripudio di blu, verdi, gialli e un gioioso patchwork multi-materico-cromatico, A Parigi, la Tour Eiffel e i padiglioni del primo livello, riformati su progetto ad alto grado di sollecitazione visiva. Gilda Bojardi di Moatti- Rivière. Foto di Michel Denancé

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Uno scorcio prospettico dei nuovi oblò interni che richiamano figure navali legate alla flotta di trasporto della Sovcomflot Group.

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INteriors&architecture / 3

In Russia, a San Pietroburgo, il recupero e la trasformazione dello storico mercato progettato da Giacomo Quarenghi nel 1790. Un landmark affacciato sul fiume Moyka convertito con attenzione e invenzione compositiva in headquarters e centrale operativa della Sovcomflot Group (SCF)

Nel mercato di Quarenghi progetto di William Sawaya – Studio Architettura Sawaya & Moroni con D. Santoro, N. Alos-Palop, R. Lusciov local architect Sergei Padalko foto courtesy of SCF testo di Matteo Vercelloni

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Sopra, a sinistra, un’immagine del mercato progettato da Giacomo Quarenghi nel 1790 restaurato, oggi sede della SCF. Una foto aerea storica che sottolinea il ruolo di cerniera urbana dell’edificio e pianta del piano terreno di progetto. Nella pagina a fianco, due nuovi elementi portanti metallici impiegati nei fronti interni affacciati verso la corte coperta. I due pilastri incorniciano l’ingresso al bagno maschile con il mosaico Sicis che riproduce il Discobolo di Mirone. Pavimento in quarzite grigia, luci a incasso Bega, porta acciaio e vetro Forster.

Q

uando nel 1780 il trentaseienne Giacomo Quarenghi, pittore e architetto bergamasco, arrivò a San Pietroburgo chiamato dall’Imperatrice Caterina che chiedeva ai suoi consiglieri di trovarle “deux bons architects italiens de nation et habiles de profession... car tous mes architects sont devenus ou trop vieux ou trop aveugles ou trop lents ou trop paresseux”, la presenza di architetti stranieri in città era già radicata, ma la richiesta dell’Imperatrice rivelava un desiderio di innovazione per l’architettura dell’urbe. Quarenghi, quale architetto di corte, porta in Russia con sagacia e convinzione quasi ‘militante’ una forse troppo rigida interpretazione palladiana del neoclassicismo e promuove la totale conversione della zarina a tale linguaggio.

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Il procedimento del Quarenghi si basa su una metodologia compositiva di abile collage, di assemblaggio dei momenti eloquenti e simbolici della grammatica propria dell’architettura classica (i pronai, le lesene e le colonne, il timpano, le testate emergenti, l’impiego dell’ordine gigante) distribuiti sulla superficie ‘connettiva’ dell’edificio, che diventa sobrio sfondo che accoglie l’unità preconcetta e schematica di parti interdipendenti. Il risultato è così un’architettura che gioca con le sue parti figurative e simboliche e rinuncia sostanzialmente all’invenzione tipologica, diventando autoreferenziale e impermeabile all’idea di considerare il fatto architettonico come momento fondativo della costruzione della nuova città neoclassica.

Ma ogni storia è fatta di eccezioni e l’opera che presentiamo in queste pagine, il mercato pubblico sulla Moyka del 1790, opera considerata ‘minore’, ma che aveva un tempo botteghe di delicatessen frequentate anche dai cuochi di corte, sfugge a tale percorso, proponendosi anzitutto come felice cerniera urbana. La sua pianta triangolare dagli angoli arrotondati segna infatti lo spazio delle strade, risolvendo l’affaccio verso il fiume e offrendo una sinfonia unitaria delle sue parti; con i fronti continui privi di gerarchia, scanditi dalla successione degli archi regolari e con la piazza protetta, organizzata all’interno del perimetro architettonico. A tale vocazione di architettura della e per la città si riconduce l’intervento a cura di William Sawaya che, nel riconnettere tra passato e presente il percorso del progetto italiano dell’edificio, di fronte ad un’opera abbandonata, segnata dal tempo e dalle superfetazioni, all’attento restauro conservativo dei fronti, riportati alla figura originaria, ha unito con invenzione nuove figure d’interni, trasformando anzitutto lo spazio centrale in corte vetrata coperta.

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Vista della corte interna coperta, dall’arco di mattoni d’ingresso. Panche O’S in acciao inox di William Sawaya, produzione Sawaya&Moroni; reception su disegno di acciaio inox, parete retrostante rivestita con maglia di acciaio inox GKD; pavimentazione e cornici dei portali in quarzite grigia; struttura di acciaio della copertura su disegno, luci Zumtobel.

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Sopra, una delle sale riunioni. Tende Dedar, tavolo su disegno, lampadari Supernova di Delta Light , luci perimetrali lampadari LQ e luci indirette Zumtobel; parete cieca rivestita con tende in maglia di acciaio inox GKD; parquet di rovere Nordholz. Sotto, l’arco di mattoni faccia a vista preesistente valorizzato dal nuovo intervento.

La nuova sede della SCF – la compagnia di trasporto marittimo che con le sue immense navi rompighiaccio lunghe 350 metri percorre ogni giorno la Northern Sea Route, la rotta navale di circumnavigazione continentale definita dalla Russia e alternativa a quella a sud dell’emisfero legata al passaggio dal Canale di Suez – è stata inaugurata la scorsa estate, alla presenza del Presidente della Duma Sergey Naryshkin, del Presidente della Federazione Russa Valentina Matvienko, del Governatore della città Georgy Poltavchenko e del Presidente e CEO della Sovcomflot Sergey Ottovich Frank. Da segnalare è anche la procedura di concessione dell’edificio di proprietà pubblica, che è dato in gestione alla SCF per 50 anni, per poi tornare in uso all’Amministrazione della città e alle Belle Arti. Il progetto, riservando un angolo dell’edificio a cafeteria pubblica, accessibile anche dall’esterno in modo indipendente, distribuisce su

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quattro livelli gli uffici e la centrale operativa della SCF. Diverse soluzioni di spazi di lavoro sono organizzate, evitando sia la tipologia dell’open space, sia il tradizionale corridoio distributivo impersonale, creando ambienti calibrati, avvolgenti e ricchi di attenzione al particolare e all’accurata palette materico-cromatica. Uffici che hanno saputo sfruttare al meglio le ampie aperture di facciate, reinventando quelle interne, rivolte sulla nuova corte coperta. È qui che è stata organizzata la reception, un elemento architettonico compiuto emergente dallo spazio che lo accoglie, raggiungibile dopo avere superato l’ingresso, dove è stato conservato e valorizzato l’arco in mattoni faccia a vista. La nuova copertura vetrata è scandita da un sistema modulare metallico a maglia triangolare che ben si rapporta alla forma della corte. I fronti sono stati aperti e ridisegnati con dei severi portali a doppia altezza che accolgono all’interno due

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A sinistra, scorcio di una zona di passaggio con il mosaico originale di un brano di pavimentazione riportato in luce e protetto da una lastra di cristallo. A destra, la reception della zona operativa su disegno rivestita di acciaio inox; sedia Maxima Up di William Sawaya, produzione Sawaya&Moroni. Sotto, uno scorcio della biblioteca con libreria a tutt’altezza su disegno di rovere e acciaio inox. Una vista di una delle nuove scale con corrimano led, parapetto di vetro e incastellatura dell’ascensore su disegno; ascensore panoramico Domus Lift. Pareti rivestite con tavole di rovere velato, parquet di rovere massello Nordholz.

nuovi elementi portanti metallici: pilastri ad “H” borchiati, ed esposti come forti elementi figurativi che ricordano, come i grandi oblò distribuiti negli spazi di connessione, il mondo navale della SCF. Dalla corte interna si sviluppano le scale pensate come leggere strutture metalliche inserite in modo evidente, come nuovi segni contemporanei nell’edificio storico, illuminati con diverse tonalità di colore rispetto alle stagioni dell’anno. Sempre dalla corte interna si accede ai bagni esposti in modo scenografico, invece che essere celati, come nei consueti edifici per il terziario. Qui Sawaya ha voluto ricondursi alla sua idea di classicità, in omaggio a quella palladiana del Quarenghi; l’ingresso ai bagni è anticipato da due grandi pareti a mosaico che raffigurano, rispettivamente per i bagni femminili e maschili, la Nike di Samotracia e il Discobolo di Mirone, icone di riferimento e memoria di ogni cultura classica.

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A Parigi, la riforma generale dei padiglioni e del primo piano della Tour Eiffel. Un progetto di architettura che innestandosi e confrontandosi con attenzione e nell’intricata obliqua geometria della Torre ne vuole sottolineare anche il valore simbolico tramandatosi nel tempo

Architettura Obliqua

progetto di Moatti-Rivière architecture et scénographie

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foto di Michel Denancé testo di Matteo Vercelloni

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Vista del primo livello della Torre con il padiglione Ferrié frontale e il padiglione Gustave Eiffel sul lato destro. Il nuovo intervento sottolinea nell’andamento geometrico dei nuovi volumi l’architettura obliqua della struttura monumentale di Eiffel. Nella pagina a fianco: un’immagine dell’interno della Tour Eiffel dalla quota stradale verso l’alto; si nota la nuova fascia perimetrale con pavimentazione di vetro trasparente.

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Una vista della sala congressi ospitata nel padiglione Gustave Eiffel; sedia “nouvelle chaise Tour Eiffel” su disegno di Alain Moatti per Coedition. Sotto un’assonometria dell’intervento. Nella pagina a fianco, il fronte inclinato del padiglione Ferrié sottolinea la filosofia di riferimento dell’intero progetto e l’assimilazione della geometria di riferimento della Torre.

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oland Barthes nel suo scritto La Tour Eiffel (Parigi, 1964) accanto alla lettura semiologica e simbolica della Signora di Ferro, sottolinea un carattere figurativo di riferimento dell’intera struttura; osserva Barthes a proposito dell’innesto a terra “l’inserimento esageratamente obliquo dei piloni metallici nella massa minerale; un’obliquità curiosa, nella misura in cui deve dare vita a una forma diritta, di una verticalità tale da assumere su di sé tutto il senso simbolico; quest’oggetto, definito dal suo essere perfettamente diritto, nasce dunque da forme «di traverso»”. Nota ancora Barthes come durante il percorso ascensionale il visitatore si sorprenda nel “vedere come questa forma interamente diritta, vista da ogni angolo di Parigi come una linea pura, sia composta di innumerevoli segmenti, incrociati, accavallati, divergenti: operazione di riduzione di un’apparenza (la linea diritta) alla sua realtà contraria (un intrico di materiali spezzati), sorta di demistificazione consentita dal semplice ingrandimento del livello di percezione”. A questo carattere compositivo del simbolo di Parigi, icona della Francia per il mondo intero, inaugurata nell’aprile del 1889 per celebrare il centenario della Rivoluzione francese e allo stesso tempo le magnifiche sorti e progressive della coeva Esposizione Universale, aspramente criticata da

alcuni artisti e letterati del tempo, si riconduce il felice intervento al primo livello condotto con sensibilità contemporanea e ascolto della storia dallo studio Moatti-Rivière, risultato vincitore del concorso di progettazione accanto ai finalisti Rudy Ricciotti e Finn Geipel. Edificio simbolico per definizione “monumento inutile e insostituibile”, come evidenzia Barthes nella sua magistrale lettura, la torre stabilisce “un rapporto sottile tra l’orizzontale e il verticale: anziché creare uno «sbarramento» le linee trasversali, per la maggior parte oblique o arrotondate, disposte ad arabesco, sembrano dare slancio all’elevazione; divorato dall’altezza, l’orizzontale non si appesantisce mai; le stesse piattaforme sono solo tappe per riposare; tutto si innalza nella Torre, sino alla guglia sottile che si perde nel cielo”. È a tale tensione che occorre ricondursi per comprendere ragioni e figure definite dal progetto che presentiamo in queste pagine. Al primo piano, o appunto ‘piattaforma di sosta’, i tre padiglioni sospesi si sono avvicendati nel tempo con diverse soluzioni; da quelli originari fusi nella grammatica dell’arabesco di Eiffel a quelli del 1937 Art Decò di André Granet, sino a quelli di François Dhôtel rivestiti a specchio del 1981. Si rendeva necessario tuttavia un aggiornamento anche di tipo funzionale per trasformare in una nuova esperienza la visita della

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In questa pagina in senso orario; vista di una delle nuove capsule architettoniche che contengono gli sbarchi degli ascensori; uno scorcio della galerie pèriferique; particolare del padiglione Ferrié; la sezione trasversale del padiglione Ferrié evidenzia l’andamento obliquo della nuova costruzione ‘sovrapposta’ alla sagoma del pilastro della Torre, generando una figura romboidale. Nella pagina a fianco: il Padiglione Gustave Eiffel ripreso dalla nuova balconata interna raccordata alla pavimentazione di vetro che funge da cornice scenografica al vuoto centrale.

Torre che proprio a questo primo livello, secondo Alain Moatti, “offre la vista migliore della città ad un’altezza di 57 metri dal suolo. Da questa quota si possono apprezzare tutti i monumenti parigini. Infatti il primo piano appartiene alla città, il secondo e il terzo fanno parte del cielo”. Il progetto si basa sul rifacimento integrale di due dei tre padiglioni e della conservazione del terzo, interessato dal recente progetto del ristorante 58 Tour Eiffel, conservato, ma rivestito esternamente seguendo le soluzioni compositive e le scelte materiche di quelli ex-novo, in modo da ottenere un progetto unitario e fortemente sinergico. I padiglioni, interamente di struttura metallica con rivestimento esterno in alluminio anodizzato di colore rosso scuro (la tinta originaria della Tour Eiffel) con vetrate scandite da nuovi reticoli strutturali che ben si rapportano alla grammatica storica del monumento, sono collocati come i precedenti tra i grandi pilastri reticolari che

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disegnano la Torre. Ai padiglioni si aggiunge il nuovo disegno degli sbarchi degli ascensori, inglobati in riuscite capsule architettoniche sempre di metallo e vetro, e la sistemazione della galerie pèriferique a fini museali espositivi. Ma, a differenza dei precedenti, i nuovi elementi del primo piano più che proporsi come piccole architetture compiute e sospese, ricercano con la Torre un legame di tipo nuovo; ne seguono l’andamento obliquo su tutti i lati, assecondando il movimento complessivo, l’andamento fluido e il ‘dinamismo stabile’ della massa statica che li accoglie. Architetture oblique che si fondono con la geometria di Eiffel, i nuovi padiglioni Ferrié e Gustave Eiffel ospitano il primo funzioni commerciali, spazi di animazione e cafeteria, contenuti da brani museali tradotti in pareti-collage che riportano una selezione di oggetti legati al mito della Torre; il secondo accoglie invece una nuova e ambita sala congressi per cui è stata disegnata l’apposita sedia

“nouvelle chaise Tour Eiffel”, di alluminio e impilabile, prodotta da Coedition. L’andamento inclinato dei fronti interni che dalla base si piega in avanti, costruendo in sezione una forma romboidale, sottolineano anche il vuoto centrale incorniciato però da una nuova fascia di pavimentazione di vetro trasparente che offre al pubblico la sensazione di camminare tra le nuvole, in una dimensione ‘altra’. “Sguardo oggetto, simbolo, la Torre è tutto quello che l’uomo pone in essa, e questo tutto è infinito. Spettacolo guardato e guardante, edificio inutile e insostituibile, mondo familiare e simbolo eroico, testimone di un secolo e monumento sempre nuovo, oggetto inimitabile e incessantemente riprodotto, essa è il segno puro, aperto a tutti i tempi, a tutte le immagini e a tutti i sensi, metafora senza freno; attraverso la Torre, l’uomo esercita la grande funzione dell’immaginario, che è la propria libertà, poiché nessuna storia, per quanto oscura, ha mai potuto sottrargliela” (R.Barthes).

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Il respiro spaziale di una zona di passaggio all’interno dello store, è sottolineato dalla palette materica (mattoni a vista e legno riciclato) adottata che rispetta il genius-loci, armonizzando con i nuovi innesti in vetro trasparente, metallo grezzo e pittura bianca. In primo piano, lampada da terra Double Shade di Marcel Wanders per Moooi. Nella pagina a fianco, l’immagine contemporanea del fronte su strada restaurato attualizza la memoria storica del luogo con l’integrazione di un volume perimetrale vetrato scandito da una leggera ed elegante struttura di ferro grezzo. Il volume ‘in grigio’ accoglie lo spazio-caffetteria che correda lo store, aprendosi sul cortile interno.

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Spazi reinventati

A Shanghai, il flagship store Design Republic Commune: insieme negozio, centro espositivo e di eventi, luogo di ristorazione e di sosta. NonchĂŠ palcoscenico privilegiato per le collezioni di Neri&Hu che ne hanno curato il progetto complessivo. In chiave di esperienza emozionale integrata per aree tematiche, di incontro tra East e West, di confronto con la memoria storica del luogo progetto di Neri&Hu Design and Research Office partners-in-charge Lyndon Neri & Rossana Hu - associate-in-charge Cai Chun Yan foto di Pedro Pegenaute - testo di Antonella Boisi

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La calibrata regia della messa in scena rivela la sincerità strutturale originaria degli spazi che denotano una grande chiarezza tra ciò che è vecchio e ciò che è nuovo. Nel disegno: la planimetria del piano terra.

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a Cina è molto vicina all’Italia e a Milano, capitale del design, della moda e del food, per Lyndon Neri e Rossana Hu, architettidesigner di base a Shanghai, con lo studio Neri&Hu riconosciuto – anche con numerosi premi – come uno dei più interessanti nel panorama internazionale. Di loro parlano gli arredi disegnati per aziende italiane di primo piano, ma anche le collezioni artigianali di arredi tradizionali cinesi reinterpretati e, a differente scala, intensi interventi di ristrutturazione in città quali il Waterhouse Hotel, ricavato in un’ex caserma degli anni Trenta o il ristorante di cucina italiana Mercato lungo il Bund. Da anni poi all’attività di progettisti affiancano quella accademica, spiegando la necessità che gli architetti cinesi sviluppino un proprio autonomo manifesto di design e sostengano il valore della conservazione e del riuso, non proprio così scontato in Oriente. Con questo intervento sono riusciti a fare di più: realizzare in chiave propositiva la ‘quadratura del cerchio’. Hanno ristrutturato e recuperato uno storico edificio coloniale, dalle severe facciate in mattoni rossi, costruito dagli inglesi agli inizi del secolo scorso, nel 1910, come Police Headquarters nel Jing’an district, restituendo il fascino di un’architettura di riferimento della loro storia riportata a nuova vita. L’hanno concepito come un hub di design che si confronta con la memoria dell’edificio, reinventandone gli spazi con una radicale trasformazione funzionale e con l’idea di tradurre in chiave architettonica d’interni l’incontro tra East e West. Nei 2400 mq del battezzato Design Republic Design Commune (già il

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nome, un programma) si riuniscono infatti uno store di design di altagamma (presenti molti brand italiani, da Alessi a Flos, a Matteograssi), una design gallery che accoglie come vetrina privilegiata le collezioni del marchio Design Republic by Neri&Hu, uno spazio-eventi, la caffetteria, il ristorante dello chef Jason Atherton (stellato Michelin) e una piccola guest-house con una stanza. Una sommatoria di segni, oggetti e atmosfere chiamati, insieme alle scelte materiche e dell’impianto, a definire con una regia corale

l’immagine contemporanea del luogo.“Su questo palcoscenico ‘recitano’ mobili, accessori, libri, pezzi-fashion, luci e fiori che riportano dai nostri viaggi il senso della scoperta delle differenze, della sperimentazione, della cura degli spazi che passa per i materiali, i dettagli, i profumi e le letture” hanno raccontato Neri & Hu. L’intento? “Mostrare ciò che il mondo del design può offrire alla Cina, informare ed educare i progettisti locali e i consumatori a vedere con uno sguardo diverso, oltre i luoghi comuni del mercato. E,

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Nella scenografia spaziale, la cascata di vetro di 28.28 Suspension Lamp by Bocci (design Omer Arbel) incontra i grafismi in bianco degli sgabelli Stool One di Konstantin Grcic per Magis. Vista dello spazio caffetteria integrato nello store.

altresì, confidiamo un giorno, mostrare quanto la Cina può offrire al mondo”. La proposta di una shopping experience filtrata e integrata per aree tematiche ha riconosciuto la forza della tradizione e lo stile di cui il luogo è stato testimone. Le ancora vibranti facciate rosse in laterizio a vista dell’architettura originaria (vincolata come bene storico-monumentale) sono state ripulite e alleggerite nell’immagine dall’innesto sul fronte strada di una fascia perimetrale vetrata scandita da una elegante struttura di ferro grezzo, una nuova appendiceprotesi volumetrica che attiva l’edificio a mettere in scena nuove funzioni di accoglienza. Negli interni, invece, dopo un delicato ‘intervento chirurgico’ che ha liberato l’involucro dalle superfetazioni accumulatesi nel corso del tempo, compreso qualche piano di calpestio e soletta non più idonei all’esigenza di massimo respiro, lo spazio si è rivelato nella sua sincerità strutturale originaria con i soffitti in tavole di legno e le travi incrociate recuperate; le superfici in mattoni a vista e quelle in gesso intonacato e rinfrescato di bianco. Un carattere costruttivo ‘crudo’ che armonizza con il pavimento ora in legno invecchiato, ora in terrazzo o cemento, gli arredi, le lampade di vetro che scendono dal soffitto grezzo. E soprattutto con le nuove essenziali partizioni di vetro trasparente che propongono scorci e relazioni continue tra le parti, in un gioco di aperture ritmiche che consentono alla luce di effondersi copiosamente in ogni angolo dei tre livelli dell’edificio. Alla ricerca di nuovi equilibri tra vecchio e nuovo, storie e presenze di ieri, di oggi e di domani.

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Coming home

progetto di interior e lighting design AVerona, la filiale UniCredit del futuro Matteo Thun & Partners si propone secondo il nuovo concept di interior arch. Matteo Thun, Luca Colombo, Massimo Colagrande, Laura Parolin progetto degli arredi Matteo Thun e Antonio Rodriguez, Massimo Gattel foto courtesy by Matteo Thun & Partners testo di Antonella Boisi

design messo a punto da Matteo Thun: perché andare in banca sia come coming home

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pertura, in primis. La bibbia del ‘nuovo corso’ richiedeva proprio apertura, trasparenza e permeabilità degli spazi. “Comunica positività e benessere, vicinanza e fiducia” con le parole di Matteo Thun, il progettista altoatesino di adozione milanese che, insieme a Luca Colombo e a un team di architetti dello studio, ha messo a punto il concept innovativo per l’immagine delle filiali italiane di UniCredit. Obiettivo: immaginare una Glasnost in grado di coniugare “il mondo dell’office e delle sofisticate strumentazioni hi-tech contemporanee, con quello del living di sapore tradizionale, trasmettendo una sensazione di comfort e affidabilità, percepibile già nel dialogo esterno/ interno”. Alias, in uno slogan, andare in banca come coming home. Non è da poco, in un’epoca di online banking, ma anche di ansiogena recessione e

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spending review, contare su un luogo che restituisca nei suoi ambienti una percezione di simpatia, accoglienza e informalità democratizzata. Risulta fidelizzante e rassicurante sul piano psicologico. E chi meglio di Thun avrebbe potuto nell’impresa? La sua architettura e interior design da tempo corroborano i principi della sostenibilità, del valore estetico ed evergreen dei manufatti, della pulizia di forme e materiali, del rispetto del genius-loci. Di questo approccio, restituito nella formula Tre Zeri (Zero km, Zero CO2, Zero rifiuti), ha fatto una scuola di pensiero e una chiave di riconoscibilità a livello internazionale, nonché anche in questo intervento, parametri di riferimento privilegiati. È stata una seconda volta. Per la centralissima filiale di piazza Bra a Verona, 400 mq integrati nell’aulica cornice di Palazzo Ottolini Vaccari, architettura fine Settecento su

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La scansione visivamente aperta degli spazi è sottolineata dai profili marmorei Giallo Siena degli archi a tutto tondo recuperati che inanellano, come un cannocchiale prospettico, la mise en scene giocata con arredi e materiali tra office e living. Luci a sospensione di Flos. Nella pagina a fianco, scorcio di Palazzo Ottolini Vaccari, opera fine Settecento di Michelangelo Castellazzi che chiude la serie degli edifici sul lato occidentale di piazza Bra a Verona. Le ampie vetrate perimetrali consentono una panoramica delle attività della filiale già dall’esterno. Si nota l’infilata degli archi che ritornano negli spazi interni, incorniciati dai marmi originali in Giallo Siena, come quelli dei portali o del pavimento in marmo Palissandro. Legno e bianco sono protagonisti nei dettagli strutturali degli arredi, su disegno. Sedie girevoli di Interstuhl, scrivanie di Roversi.

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Una smart waiting area. Tappeto Supertuft, tavolini Abaco di Pianca, poltroncine grigie e rosse Serie50 di Antonio Rodriguez per La Cividina. Lampade da terra, da tavolo e a sospensione Arba, con paraluce in legno, design Matteo Thun e Antonio Rodriguez per Belux. Le luci a sospensione bianca sono invece di Flos. Si nota il curioso orologio a parete in mosaico fatto restaurare, una presenza storica del luogo.

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Vista dei box vetrati con cornici lignee che disegnano salette riunioni e di consulenza privata all’interno della filiale.

disegno di Michelangelo Castellazzi ispirata ai modelli sanmicheliani, iniziata nel 1784 e ultimata nel 1814, non distante dall’Arena, dall’Adige e da Porta Borsari, Thun ha applicato senza forzature le linee guida del primo progetto-pilota, il flagship store realizzato all’interno della tecnologica e recente UniCredit Tower disegnata dall’architetto argentino Cesar Pelli, in piazza Gae Aulenti, nel cuore dell’area di Porta Nuova, nuovo centro direzionale della Milano che sale. Un modello pronto ad essere replicato con modalità differenti in altre situazioni. “Il nostro concept di fluidità e flessibilità degli spazi ci ha aiutato” riconosce.”Infatti, in un’ottica di fusione tra elementi stilistici eterogenei, abbiamo integrato molti arredi iconici e freestanding, adattandoci alle esigenze di un contenitore, dalla planimetria complessa e irregolare: tante stanzette, nicchie, passaggi e angoli spesso non retti, ampie vetrate su due lati, molte finestre sul terzo e poi maestosi archi e portali con cornici in marmo Giallo Siena, che restano segni ed eredità storica del luogo; come il pavimento in marmo Palissandro e il curioso orologio a parete in mosaico fatto restaurare, ma purtroppo oggi non più funzionante”. Nello specifico, poi, perché l’immagine di una banca friendly e ibrida “ufficio e negozio nello stesso tempo” si restituisse al meglio agli occhi di un cliente capace di orientarsi senza “segnali corporate” tra “smart waiting areas” ed express banking” con “facilità di accesso ai servizi”, Thun ha nuovamente, per la seconda volta, ‘acceso’ il rosso della corporate identity con sapienti contrappunti dinamici orchestrati dagli elementi verticali e

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orizzontali che definiscono la composizione. Il calore dei materiali naturali adottati, domestici e formali/da ufficio, ha dato l’imprimatur. Gli arredi (sedie, poltrone, desk, tavoli, lampade) e le pareti divisorie, già testati nella sede di Milano, hanno scelto ancora legno di rovere accostato al bianco, quel bianco neutrale che, qui adottato anche come finitura unitaria delle pareti, controbilancia il protagonismo dei marmi preesistenti recuperati. “L’elevata altezza dei soffitti ci ha inoltre permesso” continua Thun “di installare facilmente le pareti divisorie di vetro, sorrette con telai di legno, che definiscono salette riunioni con maggiore privacy e sale individuali di consulenza che integrano la video-conferenza. Senza rinunciare a un ampio respiro”. Particolare attenzione è stata dedicata infine alla privacy acustica e visiva, per attenuare al massimo l’effetto “spazio di lavoro”. Lo spazio suggerisce infatti una sensorialità che diventa sostenibilità: “Vedere: con percezione daylight; toccare: con materiali materici; sentire: con un’acustica migliorata dalla presenza del legno e dal soffitto fonoassorbente”. E ancora con tende, tessuti, rivestimenti morbidi, tappeti. La coerenza della messa in scena è sottolineata proprio dall’uso della tela di cotone, a volte tenda, a volte velario, che si è prestata a ricercare in ciascuna zona una similitudine con gli appartati salotti da conversazione delle abitazioni tradizionali, dove le sedute sono spesso poltroncine imbottite, tavoli e tavolini interpretano le linee di pezzi classici del design italiano. E i riflessi dorati di lampade e lampadari coronano il mood di un ambiente ovattato e silenzioso, mai algido, né sopra le righe.

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Sul lato sud, l’architettura del fronte rende protagonista le nuove ampie pareti vetrate, con serramenti di Panto, che consentono un dialogo continuo tra interno ed esterno, integrando la terrazza organizzata a zona relax. Durante l’intervento di ristrutturazione è stato realizzato un cappotto esterno per l’isolamento termico dell’edificio che risale agli anni Settanta. Nella pagina a fianco, il fronte d’ingresso alla casa con il camminamento a gradoni di Pietra Basalto e la vasca d’acqua ornamentale che formano lo scenografico passaggio pedonale, ritagliato nel parterre erboso del parco. Le scandole in zinco-titanio del tetto sono state fornite da Tegola Canadese.

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Un’esclusiva villa nella campagna tra Treviso e Venezia, frutto della sensibile ristrutturazione di un manufatto architettonico anni Settanta, sintetizza in un’opera di alta qualità spaziale il rapporto con il contesto. Nel segno della perfezione esecutiva

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Un quadro sul paesaggio progetto di studio di architettura Massimo Benetton foto di Marco Zanta testo di Antonella Boisi

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L’ area living è diventata uno spazio aperto e continuo, la cui fluidità è sottolineata dalla pavimentazione uniforme in listoni di teak (fornito e posato da Panto), reso molto luminoso dalle pareti interamente vetrate concepite come un belvedere sulla natura e, nello specifico, sulla collinetta di ortensie. Si nota la figura centrale del volume cilindrico che racchiude la scala a chiocciola, una presenza preesistente reinterpretata lasciando emergere la sua struttura in cemento armato a vista. Chaise longue Eli Fly di Désirée e tavolini in legno Eco di Riva 1920.

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ra una villa fine anni Settanta nella campagna, a pochi passi dalla città di Treviso, uno spazio generoso, di oltre 1000 mq, immerso in uno splendido parco, punteggiato di alberi di querce, ciliegi, salici, ortensie e piante di corbezzolo tipiche del landscape veneto. È diventata una casa dal segno incisivo, nella sua pulizia ed essenzialità, che emerge, per unitaria sintesi compositiva, nel paesaggio, anch’esso riordinato, trovando nel costante dialogo tra natura e architettura e interno ed esterno l’asset fondamentale della filosofia progettuale. Un corpo di sviluppo lineare e longitudinale, relazionato al parterre erboso del parco, la terrazza con l’area relax sul lato posteriore

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1 INGRESSO 2 SALA DA PRANZO 3 SOGGIORNO 4 DISIMPEGNO 5 CUCINA 6 ANTIBAGNO 7 WC 8 STUDIO 9 BAGNO 10 GUARDAROBA 11 CAMERA SINGOLA 12 DISIMPEGNO 13 CAMERA PADRONALE 14 BAGNO PADRONALE 15 PISCINA 16 PALESTRA 17 ZONA BENESSERE 18 APPARTAMENTO OSPITI 19 TERRAZZO AREA RELAX 20 PARCHEGGIO

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La zona pranzo, scandita da una quinta in mattoni facciaavista ridipinta di bianco, è stata risolta con un tavolo a sbalzo in Corten, su disegno del progettista, che si accompagna alle luci Furin a sospensione di Rotaliana. L’area pranzo organizzata all’esterno, sotto un pergolato realizzato artigianalmente ad hoc in putrelle di ferro e legno, comunica direttamente con il caminetto preesistente per le grigliate. Nel disegno: la planimetria del piano terra.

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interno e la zona d’ingresso sul fronte strada. Quello pedonale, al centro, incorniciato da una vasca d’acqua ornamentale e da una serie di gradoni; quello carraio, in posizione laterale, disimpegnato da una rampa digradante che entra direttamente in casa. Poi, sequenze rigorose e fluide di volumi e spazi, sottolineate dalla qualità delle materie adottate e dal trattamento bianco di ogni superficie esterna. Un tetto a doppia o singola falda spiovente rivestito in scandole di zinco-titanio che ricorda nel profilo le costruzioni agricole della zona, attualizzato dall’innesto di una fascia di coronamento-camminamento. In estrema sintesi, tra linea del terreno e orizzonte, vive di questo la ristrutturazione, messa a punto a fasi progressive, dall’architetto Massimo Benetton,

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che è riuscito in quella mission percepita quasi impossible agli inizi del cantiere: dissimulare lo sforzo progettuale e costruttivo che sta dietro all’opera, intervenendo più di bisturi che di matita; talvolta limitandosi a suggerire scelte, come la fotovoltaica fatta a posteriori dal committente. “L’intento è stato comunque sempre ben chiaro: riportare luce, verde e acqua, gli elementi fondamentali della vita umana al centro dell’attenzione e della riflessione spaziale, senza lasciare nulla al caso, e facendo poi della ricerca tecnica della perfezione nei dettagli, il quid dello scarto creativo” ha spiegato, precisando: “Da qualsiasi luogo dell’abitazione si aprono oggi viste sul parco, delle ampie vetrate lo incorniciano come un quadro, il paesaggio esterno è diventato parte integrante della vita

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interna”. E se il sensibile ascolto del contesto e dello scorrere delle stagioni è una cifra che contraddistingue molti lavori rappresentatativi del professionista trevisano, cognome orgoglioso ma impegnativo in tutto il mondo, una laurea allo IUAV di Venezia, un apprendistato siglato da importanti collaborazioni prima con gli architetti Afra e Tobia Scarpa e poi, in Giappone, con Tadao Ando, anche questa realizzazione rende onore al merito. Il preesistente è stato rispettato, nel suo impianto di massima, interrato e fuori terra, il primo destinato a garage, locali tecnici e cantina, il secondo agli spazi abitativi collettivi e privati integrati da una zona dedicata al benessere che riunisce piscina, palestra e, in due blocchi prefabbricati, rivestiti unitariamente in marmo bianco, sauna e bagno

turco. Racconta Benetton: “La planimetria non è stata snaturata, è stato mantenuto lo schema funzionale preesistente. Le murature in mattoni facciaavista sono state conservate e ritinteggiate di bianco per creare un ordine cromatico. I rivestimenti parietali interni ed esterni del cilindro che racchiude la scala a chiocciola nel living sono stati cancellati in modo che la sua nuda struttura in cemento armato diventasse l’elemento centrale dello spazio. Il volume del camino nel salotto, anch’esso già presente, che risultava una figura piuttosto invadente in rapporto all’insieme, è stato reinterpretato come un semplice foro dalla cornice in Corten e poi integrato in una parete strutturale, realizzata in cemento, come la scala a chiocciola”. Pochi gesti, dunque, misurati da una serie di contrappunti e

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Il camino preesistente si è trasformato in un essenziale foro in ferro Corten integrato in una parete strutturale, realizzata in cemento facciaavista, come la scala a chiocciola. Una presenza protagonista del salotto, arredato con imbottiti angolari di Baxter. La libreria doubleface in Corten, su disegno del progettista, da un lato accoglie lo schermo TV e dall’altro funge da filtro tra le zone. La nuova scala in ferro sagomato autoportante che collega il piano terra con il primo livello (dove è stata organizzata una zona ospiti), si propone come una figura leggera e minimale nel paesaggio domestico. Accanto, una zona di sosta con poltrone vintage di recupero. Vista della cucina total white realizzata su disegno del progettista dall’azienda Sumysura. Le piastrelle sono in Corian DuPont.

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La master-room che vive di bianco, legno e scansioni che definiscono cannocchiali ottici progressivi. Nel disegno: prospetto laterale del lato ovest.

confronti continui tra materiali puristi –cemento, ferro ossidato e vetro – di austera eleganza, su un palcoscenico pavimentato ovunque in listoni di teak, e Massimo Benetton è riuscito a valorizzare il rapporto con la storia del luogo, ricucendone la trama con un ordito privo di concessioni a segni superflui. Una capacità di controllo che diventa visione scenografica quando, oltre la quinta

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teatrale di cemento, si incontrano nuove intere pareti vetrate trasparenti che consentono al verde di essere protagonista degli interni; poi percorsi in sequenza visiva concepiti come cannocchiali ottici e quadri sul paesaggio; e infine la leggerezza figurativa di una scala in ferro piegata come un foglio che, con i suoi fili metallici di sostegno, sembra volare nello spazio fino ad ancorarsi alla

soletta del piano superiore, dove è stata articolata una zona dedicata agli ospiti. Le scelte arredative privilegiano lo stesso approccio di rigore, con pezzi realizzati appositamente: dal lungo tavolo da pranzo a sbalzo in Corten, un corredo minimale nel paesaggio aperto del living, alla cucina total white interamente su disegno fino alla soluzione del letto a isola nella master room. Il progetto luce, silenzioso ma attentamente calibrato, completa la messa in scena. Caricandosi di tensione poetica soprattutto all’imbrunire, quando è chiamato ad ‘accendere’ anche le suggestioni del verde del parco.

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Il bagno padronale, un involucro rivestito in marmo bianco Sivec, concepito come un quadro aperto sul paesaggio. Vasca idromassaggio Opalia di Jacuzzi e rubinetteria di Hansgrohe Axor. Uno scorcio della zona benessere, con la piscina, il bagno turco e la sauna, due volumi prefabbricati rivestiti in pietra Perla Maia che li avvolge unitariamente.

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Bridge House È costruita come un ponte che si allunga per 40 metri sopra uno specchio d’acqua nella campagna olandese: la casa, nata da un piÙ ampio progetto di riqualificazione del paesaggio agricolo, diventa essa stessa simbolo di sostenibilità e innovazione architettonica

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progetto di Paul de Ruiter Architects foto di Jeroen Musch testo di Laura Ragazzola

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illa Kogelhof colpisce già dal nome. In olandese, infatti, ‘kogel’ significa proiettile e ‘hof’ cortile (si racconta che durante gli scavi di cantiere siano stati trovati vecchi proiettili di piombo perché alla fine del Settecento, proprio qui, in questo lembo di terra della campagna olandese si combattè un’aspra battaglia fra Olanda e Francia). Ma Villa Kogelhof ha colpito anche la giuria composta dai 200 architetti del prestigioso premio americano ‘The Architizer A+ 2014’ dove si è aggiudicata il primo posto in ben due categorie (sostenibilità e residenza unifamiliare), ottenendo anche il favore delle ‘giuria’ popolare che ha votato su una piattaforma web, unico progetto a mettere

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d’accordo il ‘popolo delle rete’ e i giurati-architetti. E, infine, ha colpito il proprietario della casa, Ton Zwijnenburg, imprenditore ortofrutticolo olandese, che inaspetttamente si è visto consegnare insieme al progettista, l’architetto Paul de Ruiter, il Premio Internazionale Dedalo Minosse, un riconoscimento unico nel suo genere che pone l’accento sulla commitenza: il suo obiettivo, infatti, è mostrare come un’architettura di qualità può nascere solo da un esemplare connubbio tra chi la promuove e chi la progetta. Proprio come è accaduto con Villa Kogenhof: ce lo racconta il suo architetto, Paul de Ruiter, progettista olandese che opera su scala internazionale dal suo (eco) studio di Amsterdam.

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Ampie vetrate corrono lungo l’intero perimetro della casa, sviluppandosi da pavimento a soffitto (nelle pagine precedenti). All’interno (sopra), pannelli scorrevoli e tende ritagliano ‘isole’ più intime, a seconda della necessità, lasciando però che sia sempre il paesaggio l’indiscusso protagonista.

Archittetto, si è trovato così bene con il suo committente? Assolutamente. È stato un rapporto vincente: con Ton abbiamo fatto un lavoro di squadra eccezionale. Eravamo sulla stessa lunghezza d’onda: abbiamo condiviso coraggio, determinazione e anche un premio! Come è nata l’idea di una casa-ponte sul paesaggio? L’obiettivo del cliente era creare una forma astratta, pulita che non ‘disturbasse’ la natura. Per questo ho pensato a un box di vetro, neutro, trasparente, che si sovrappone ortogonalmente a una base di cemento che contiene un lago. Il risultato formale sono due parallelepipedi: uno

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sotterraneo, l’altro galleggiante, sostenuto da due ‘gambe’, un pilastro a ‘V’ in acciaio e il modulo-scale che regala l’accesso all’interno. In che modo la casa dialoga con l’ambiente circostante? La villa ‘appartiene’ al paesaggio in modo totale. La sfida è stata quella d’inserire l’edificio nell’ambito di un più ampio progetto governativo di riqualificazione del territorio: mi riferisco all’area della Zelanda (provincia dell’Olanda Sud-Occidentale, ndr), a cui Ton, il proprietario, ha attivamente partecipato, piantumando ben 70 mila alberi e creando un lago diventato nel tempo un habitat importantissimo per gli animali selvatici. In cambio ha ottenuto il permesso di costruire la propria casa... …che naturalmente doveva presentare caratteristiche formali e costruttive particolari. Certo. La scelta del vetro rende leggero il volume, regalando una completa trasparenza alla luce e al paesaggio. Affaccia poi la casa sulla natura, con grandi vetrate da pavimento a soffitto, offrendo dall’interno suggestive vedute sulla campagna. Ma Villa Kogelhof rispetta la natura non solo dal punto di vista formale: è infatti una costruzione sostenibile a 360 gradi perché produce la propria energia, riscalda la propria acqua e ricicla i propri rifiuti. Insomma il suo impatto sull’ambiente è pressoché nullo.

Qui sopra, la pianta del primo livello della casa, che accoglie l’area residenziale studiata per quattro persone. Ortogonalmente si allunga uno specchio d’acqua, inserito in un bacino di cemento armato. A sinistra, una veduta a volo d’uccello dell’area agricola dove la casa è stata costruita: si riconosce l’ampio specchio d’acqua a ‘elle’ trasformato dal padrone di casa in una riserva naturale accessibile al pubblico.

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L’unico volume in muratura dell’edificio è il blocco-scala che regola l’accesso al primo livello. È anche un elemento strutturale perché, insieme a un pilastro in acciaio, solleva di 4 metri l’edificio sullo specchio d’acqua.

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Nell’Estremadura, in Spagna,un serbatoio d’acqua, interrato (e dimenticato) sotto una collina, si trasforma inaspettatamente in uno spazio multisciplinare pieno di vita, interamente dedicato ai giovani. La mossa vincente? Aprire dei buchi

Lo spazio della luce (e della gioia) progetto di José maria Sanchez foto di Pedro Pegenaute testo di Laura Ragazzola

L’ex serbatoio d’acqua accoglie oggi un ampio spazio imbiancato a calce e ritmato da colonnati dal profilo arrotondato. Sul soffitto, una serie di oblò ritagliati nella volta a botte, creano suggestivi coni luminosi.

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Qui a fianco, le piante di progetto e, sotto, dello stato di fatto. Dal confronto si nota che le due cisterne, originariamente divise, sono state messe in collegamento da più aperture che, all’occorrenza, possono essere chiuse da pannelli scorrevoli (se ne scorge uno qui a sinistra, sullo sfondo). La torre ottagonale è stata parcellizzata in più ambienti dedicati a laboratori musicali e fotografici.

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uando abbiamo realizzato il primo foro nello spesso soffitto a botte della cisterna ci siamo stupiti e meravigliati, quasi come gli adolescenti a cui quello spazio sarebbe stato dedicato. Perché davanti ai nostri occhi si materializzò un luogo bellissimo, segreto, ermetico, pieno di fascino e di mistero. Perfetto per quello che dovevamo realizzare: un’area ricreativa destinata ai più giovani. Infatti, non appena la luce illuminò l’interno del grande serbatoio d’acqua, ormai vuoto, noi vedemmo materializzarsi… un luogo per fare cinema e teatro, per suonare e imparare musica; un luogo per lavorare la ceramica e dipingere, per allestire mostre e organizzare spettacoli; un luogo per insegnare ma soprattutto per imparare con gioia e piacere”. Parla con passione (e un pizzico d’emozione) José Maria Sanchez Garcia progettista dello ‘Space of Young Creation’, commissione pubblica ricevuta dalla città di Villanueva de la Serena, florido centro agricolo e commerciale, immerso fra gli orti rigogliosi dell’Estremadura spagnola.

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L’architetto Sanchez Garcia, pluripremiato nonostante i suoi trentanove anni (l’ultimo riconoscimento in ordine di tempo è stato il BSI Swiss Architectural Award ricevuto lo scorso settembre all’Accademia di Architettura di Mendrisio dalle mani di Mario Botta) ci accoglie per un’intervista nel suo piccolo ma luminosissimo studio, affacciato sui tetti di Madrid con un suggestivo fronte interamente vetrato. “In una ventina di cittadine dell’Estremadura”, ci spiega Sanchez, “la municipalità aveva deciso di realizzare dei centri multidisciplinari da dedicare ai giovani. Il mio studio era stato chiamato dalla città di Villanueva de la Serena: il progetto riguardava un’area di 500 metri quadri, abbandonata da anni, da riqualificare con un budget piuttosto contenuto. Quando ci siamo recati per fare il sopralluogo del sito abbiamo scoperto l’esistenza del vecchio serbatoio d’acqua semi interrato: una costruzione bellissima, dalla struttura ordinata e ben conservata di quasi 1.600 metri quadri di superficie: ben tre volte superiore rispetto a quella stabilita per il progetto. Il comune non ebbe nulla in contrario che l’area d’intervento venisse ampliata, inglobando anche la vecchia cisterna, ma il budget non poteva aumentare.

Moduli in policarbonato con struttura in acciaio punteggiano le grandi sale della cisterna (in questa pagina), ritagliando al loro interno delle ‘stanze’ più intime e private da dedicare ad attività individuali o a piccoli gruppi.

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Noi accettammo”. La strategia d’intervento è stata quella di ripulire la struttura senza alterarne le caratteristiche morfologiche, come ci spiega lo stesso architetto: “La vecchia cisterna era composta da due ampi depositi, completati da una torre ottagonale che sporgeva oltre il volume interrato dei serbatoi. Abbiamo pensato di unire le due ‘stanze’, realizzando dei passaggi a forma circolare, e contemporaneamente abbiamo aperto degli oblò nella volta a botte della cisterna per creare degli spot luminosi”. Il risultato è una sorta di grande piazza coperta, imbiancata a calce, dove il ritmo geometrico dei portici e il gioco degli oblò con il cielo azzurrissimo che occhieggia dal soffitto, creano uno spazio scenografico, inaspettato, pieno di magia: qui si svolgono tutte

le attività collettive dei giovani mentre moduli circolari in policarbonato ritagliano spazi più intimi per lezioni individuali o a piccoli gruppi. Infine”, conclude Sanchez Garcia, “lo spazio compatto e cilindrico della torre è stato trasformato in un’area insonorizzata dedicata all’uso degli strumenti musicali, affiancata da laboratori fotografici”. La vitalità del progetto riunisce in un solo gesto, semplice ma potente, caratteristiche funzionali vincenti e qualità formali di grande impatto: questo ‘matrimonio’ riassume bene la cifra stilistica del giovane progettista spagnolo, capace di grande slancio e sensibilità nell’interpretare (e riqualificare) il contesto paesaggistico e ambientale.

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Il collage fotografico di questa pagina mostra la trasformazione della grande cisterna da spazio buio e angusto a una sorta di grande piazza ipogea, piena di luce e di vita. Qui sopra, alcune fasi del cantiere con la realizzazione dell’impiantistica, degli oblò sul soffitto e delle aperture, sempre circolari, di collegamento fra i due ambienti principali. In basso, invece, momenti ludici di attivitĂ dei giovani, che animano il nuovo centro con spettacoli, concerti, mostre e incontri.

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Vista della cava e dei percorsi architettonici sospesi dall’accesso pedonale in sommità .

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A St.Margarethen, in Austria, la conversione di una cava di pietra in teatro en plein air per l’opera lirica. Il riuso e la riqualificazione di un brano di paesaggio sfruttato dall’uomo offerto all’arte della musica

Tra le rocce di una Cava Romana

progetto di AllesWirdGut Architektur ZT GmbH foto di Herta Hurnaus testo di Matteo Vercelloni

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Uno scorcio della platea con le pareti verticali di roccia e il pecorso in Corten sospeso sullo sfondo. L’edificio d’ingresso con parte della facciata rivestita in Corten.

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l progetto di landarchitecture che presentiamo in queste pagine si lega al vasto panorama di eventi musicali della regione (il Burgeland, angolo dell’antica Pannonia, che diede i natali a due grandi musicisti europei: Franz Liszt e Franz Joseph Haydn) tra cui spicca il Festival dell’Opera di St. Margarethen (www.ofs.at) organizzato ogni anno nel mese di agosto all’interno di un’antica cava di pietra di epoca romana, convertita in una sorta di complesso teatro en plein air, dallo studio di architettura AllesWirdGut. L’intervento di conversione della cava, con le pareti verticali di pietra scolpite da secoli di sfruttamento, in spazio per l’Opera Lirica ha assunto il luogo e le sue caratteristiche morfologiche e storiche quali elementi ‘monumentali’ con cui instaurare un aperto confronto. Un atteggiamento di riuso, rivitalizzazione e rilancio culturale di un paesaggio come quello di una cava in genere considerato ‘sfregio’ irrimediabile dal punto di vista naturalistico. Un processo progettuale che appare qui come possibile metodologia da seguire per operare, con le dovute attenzioni, nell’ambito di una non ancora ben delineata disciplina di ‘restauro paesaggistico’. La cava, in negativo rispetto alla quota di campagna dell’intorno, si prestava all’uso concertistico in quanto spazio concluso e delimitato dalle pareti di roccia in grado di non disperdere le onde sonore. Il progetto, conservando orografia e natura del sito, si è posto il problema dell’accessibilità, dello ‘scendere’ dall’alto, creando un nuovo paesaggio di percorsi, tradotti in una sommatoria di episodi architettonici legati per parti che, nel rifiuto di ogni mimetizzazione, emerge con calibrata regia dallo scenario naturalistico che

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l’accoglie. Dal parcheggio, in posizione elevata, dipartono due percorsi di riferimento, sulla destra quello degli attori e dei musicisti che si inoltra in uno stretto canyon che abbraccia l’edificio lineare del backstage con una facciata di persiane lignee scorrevoli sovrapposte e un corpo rivestito in pannelli di fibracemento chiaro, materiale di rivestimento impiegato anche per altre costruzioni del complesso, in sintonia con il colore della cava. Sulla destra dopo il corpo d’ingresso, diparte il percorso zig-zagante sospeso di discesa all’alveo sottostante. Un sistema di passerelle marcate da una doppia balaustra in Corten dall’interno ligneo, che si configura come un nastro percorribile, un forte segno paesaggistico che evidenzia il salto di livello, offrendosi come soluzione compositiva di richiamo e contrappunto rispetto alle quinte rocciose che gli fanno da sfondo. Una volta raggiunta la quota del fondo della cava gli edifici di servizio, quali caffetteria e bagni per il pubblico, insieme ai palcoscenici, si miscelano in una sinergia architettonica parte del nuovo paesaggio della cava che, senza debolezze, unisce alla sua storia la dimensione della contemporaneità.

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austria, da una cava un teatro / 43

Il canyon con il percorso di accesso all’edifico del backstage; facciata di persiane lignee scorrevoli sovrapposte e rivestimento in pannelli di fibracemento chiaro.

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Installation view of Wade Guyton OS (Whitney Museum of American Art, New York, 4 ottobre 2012 – 13 gennaio 2014). Photograph by Ron Amstutz.

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Wade Guyton di Germano Celant

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Wade Guyton, Untitled, 2006. Wade Guyton, Untitled, 2002.

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opo la veemenza espressiva e materica dovuta alla profusione di una gestualità libera e di personalità, legata all’Action painting americano e all’Informel europeo, la generazione del secondo dopoguerra tende a decantare le manifestazioni soggettive ed eroiche dell’arte. Il tentativo è di superare l’esuberanza del protagonismo individuale, da Jackson Pollock a Lucio Fontana, per garantire un’oggettualità artistica in cui la cosa prodotta attesta un’indifferenza e un distacco dalla partecipazione corporale dell’artista. Di fatto, si spezza il cordone ombelicale tra opera e operatore allo scopo di cercare una reciproca autonomia, che porta a una spettacolarizzazione del gesto tramite l’happening, quanto ad un auto-costruirsi e auto-manifestarsi dell’oggetto, dall’Achrome di Piero Manzoni alle costruzioni cinetiche e ottiche dell’arte programmata. Alla grande rappresentazione ‘senza forma’ dell’espressività dell’essere umano succede una ‘messa in forma’ della sua assenza, in modo che l’arte potesse essere costruita senza la sua partecipazione manuale. L’artista inizia quindi ad astenersi dalle sue proiezioni personali e corporali per affidarsi sempre più ad un ‘progetto’ o a una ‘ideazione’ che possa essere tradotta in cosa da altri, entità esecutive umane o industriali.

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Qualcosa d’impersonale e inespressivo che escluda l’esaltazione e l’emozionalità del protagonista a favore dell’immagine visiva e della costruzione plastica. È un passaggio pienamente marcato dalla pienezza delle proposte di ‘registrazione’ delle icone quotidiane, condotte attraverso un processo di registrazione, dalla proiezione alla serigrafia, da Roy Lichtenstein ad Andy Warhol, e di realizzazione progettuale, dove l’artista commissiona il lavoro ad altri, da Donald Judd a Dan Flavin. Un processo che si estremizza sempre più con l’avvento, negli anni Settanta, della fotografia, del video-registratore e della macchina da presa, per cui sempre più il racconto per immagini si confonde con lo strumento linguistico, da Jeff Wall a Bill Viola. L’ultima tappa di questa affermazione di un ‘distacco’, che si affida sempre più alle nuove ‘protesi’ del comunicare, si deve alla piattezza, che è una diversa pienezza, dei nuovi strumenti digitali ed elettronici , quali computer e stampanti. Un successivo passaggio che è evolutivo e maturo: qualcosa che facilita il superamento dell’ultima ‘inconsistenza’ o immaterialità del processo artistico, quanto un’altra fase della dissoluzione e della messa in discussione dell’abbondanza espressiva e del ripiegamento su di sé, professati nel periodo tra gli anni cinquanta e novanta, dall’espressionismo astratto alla pittura neoespressionista e al figurativismo socioromantico. È anche l’occasione per rinnovare la domanda se la visione delle cose, condotta dagli artisti, si debba affidare alle preoccupazione e all’attaccamento alle ideologie, o piuttosto riflettere l’essenziale di una situazione in atto. Far coincidere la cosa artistica con una reazione agli stimoli che

provengono dall’esterno e che mettono in movimento il mondo, oppure uscire da questo punto di vista particolare e ‘registrare’ e ‘comunicare’ quanto sta succedendo, non riducendo le possibilità del dire e dell’enunciare, al contrario radicandoli. Un dispiegare, senza intervenire e senza compiacersi, come fa Christopher Wool, l’ornato retorico e le costanti basilari del guardare e del narrare. Tale procedere sta spingendo la virtuosità tecnica all’estremo, quasi l’arte tendesse a raggiungere la perfezione non per i suoi effetti visivi, ma per le sue analogie con le nuove tecnologie. Al tempo stesso si potrebbe dire che la pratica attuale sempre alla massima semplicità del fare arte, quasi l’intento fosse la massima concentrazione non sulle materie ma sulla decisione di affidarsi ad un sistema di ‘tracce’ che rinuncia a qualsiasi aureola, calligrafia, vaghezza e solitudine. È il distacco dimostrato da Wade Guyton quando già dal 1998-1999, in occasione della sua prima personale, occupa lo spazio della Times Square Gallery con un grande box ricoperto di linoleum. È la prima dichiarazione di un’occupazione visuale e volumetrica che passa attraverso un’immagine ‘piena’, quella del pavimento, ma ‘vuota’ in senso espressivo, in quanto già prodotta da altri o da un’altra macchina. È un muoversi che si realizza con la ‘cancellazione’ della centralità dell’artista creatore, al fine di valorizzare il ‘vuoto’ di un immaginario industriale. L’azione è rivolta a concentrarsi sulla qualità di un senso comune e quasi insensibile, nel senso di mettersi alla ricerca di un’assenza di segni o di situazioni, quasi a sospendere l’attenzione al nuovo e al creativo: qualcosa di piatto e di insignificante che si trova nel prodotto industriale.

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Wade Guyton, Untitled, 2010.

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Wade Guyton, Untitled, 2004.

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Wade Guyton, Untitled, 2008.

Disegnare l’occupazione di uno spazio o di una superficie per svilupparne l’identità intrinseca, come quello di sostituire nel territorio espositivo 1 Project Space Andrew Kremps gallery, nel 1999, i mobili dell’ufficio in oggetti ‘mostrabili’ e usare il back office per una scultura in plexiglass, una partizione in black plywood e una fotografia che documenta un ingresso di un corporate building. Piccoli fatti che riguardano la realtà assoluta, senza qualità, di materiali e di luoghi. Un insieme ordinario e banale che è dispiegato, con notevole controllo, per attirare l’attenzione su una insignificanza. È un modo di rovesciare i valori allo scopo di evocare il potere dell’essenziale, freddo ed impersonale, trasparente e corporativo, che riguarda il presente e i suoi strumenti di comunicazione, di produzione e di visualizzazione. Guyton si sofferma su questa sorgente inesauribile d’immagini e di processi affidandosi prima all’impersonalità dei materiali come plexiglass, legno, plywood, non più utilizzati e trasformati formalmente, come era successo con gli artisti minimal, ma accatastati come materie inerti di un’anonima qualità visiva. Il suo è un opporsi quindi all’invito a modificarli, così da ‘produrre senza produrre’, da fare arte senza farla al fine di evitare un’individualità unica e esclusiva, lasciando che la cosa si generi da sola. Lo stesso succede con i ritagli fotografici dedotti dalle riviste che diventano una sorgente inesauribile di immagini su cui lavorare. Un paesaggio limitato ma attuale che può essere trasformato senza agire. Come? Estremizzando il distacco dalla manualità e dall’artefatto, l’artista ‘scopre’ nel 2002, il potere di affrancamento che

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derivava dal suo del sistema Microsoft Word. Stampando sulle immagini scelte una X in un carattere tipografico scelto, in questo caso Blair ITC medium, lo stadio d’indifferenziazione dell’immagine subiva una mutazione e un cambiamento, seppur minimo e indiretto. Era la scoperta di un modo di ‘disegnare’ che evitava la sua partecipazione, se non nel ridotto gesto di impostare la stampante e di premere il tasto di stampa, e l’arte si sviluppava da sé. Il non creare, non produrre e non agire, era ridotto all’essenziale e solo la scelta dei tempi e del carattere, degli errori tecnici o dell’inchiostro poteva dare risultati di cui Guyton si sarebbe dichiarato soddisfatto o meno. È quasi una scoperta, se non una rivelazione, per cui il senso dell’arte è progettato solo all’interno del suo farsi, che affonda le sue radici in uno strumento digitale: una pienezza che è coerente con il linguaggio tecnologico attuale. Da questo momento la pittura abbandona ogni ipotesi di pennello, trementina, tubetto, cavalletto, acquarello, olio, impasto, cornice, telaio e barattolo di colore e sia affida a macchine e strumenti che non appartengono alla tradizione dell’arte come computer, stampante e OS (operating system). La propensione è nel senso di un risultato estremo ottenuto con la massima semplicità e leggerezza, senza impegno fisico né concettuale, se non quelli implicati nella scelta dell’immagine da inserire nello scanner, nella programmazione e nella selezione del risultato. Qualcosa che si dispiega dinanzi allo sguardo, traspare e si evidenzia nell’impregnazione di un’immagine da schermo o da rivista che è l’effetto di ‘denotazione’ digitale.

Wade Guyton, Untitled (CAT. 4 CAT. 7), 2006.

Dal 2006, in occasione della mostra alla Friedrich Petzel gallery di New York, la scoperta della stampante Epson Stylus Pro 11880 favorisce il salto di scala e la creazione di nuove ‘immagini’, verticali ed orizzontali, singole o accoppiate, che si generano da sole attraverso il nuovo strumento. Sono ‘dipinti’, spesso su lino, che accolgono diversi repertori iconografici, dal fuoco alle strisce, dalle lettere ai poster, eseguiti in Photoshop, che comunicano un ‘passaggio’ di ‘pittura’ cioè d’inchiostro. Una transizione e un’accelerazione del processo visuale che rivela, come documenta anche la sua antologica al Whitney Museum of American Art, New York, nel 2012, la ‘velocità’ del produrre e del pensare, il vero valore autentico del presente. In contemporanea tale procedere rivela l’aspirazione a evidenziare l’assenza del protagonismo e dell’individualismo, la neutralità e l’inespressività di un’inevitabile esistenza dell’arte contemporanea. È un tratto dominante del nostro sviluppo creativo, che si affida sempre più alle tecnologie, che vanno intese e viste nella loro piattezza, quanto nella loro potenzialità. Sono entità che non offrono qualcosa di rimarchevole, se non l’espressione di una ‘non espressività’ decantata e meccanica, pulita e limpida, di cui Guyton pone l’accento sul possibile apprezzamento e sul potente orientamento estetico. 1 Scott Rothkopf, Operating System, in Scott Rothkopf, Wade Guyton OS, catalogo della mostra (Whitney Museum of American Art, New York, 4 Ottobre 2012 - 13 Gennaio 2013), Yale University Press, New York 2012, pp 9-47. Il percorso teorico e informativo di questo saggio è alla base delle citazioni e delle descrizioni di questo breve intervento.

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Luoghi e mostre

Fino al 25 gennaio prossimo, il Musée des Arts Décoratifs et du Design di Bordeaux presenta Pleased to meet you, prima mostra monografica dedicata ad Andrea Branzi (classe 1938). L’esposizione mette in evidenza il valore dell’opera dell’architetto e del designer, e, parallelamente, anche il ruolo di teorico che ha assunto tra la seconda metà del XX e l’inizio del XXI secolo Intervista ad Andrea Branzi a cura di Olivia Cremascoli

In questa pagina, da sinistra a destra: la tesi di laurea (1968) di Andrea Branzi: un luna-park in un centro commerciale a Prato; poltrona Animali Domestici, 1985, Edizioni Zabro; dalla collezione Sugheri, 2005, Vaso 03, Galleria Clio Calvi Rudy Volpi Milano; Vaso dalla collezione Iceberg, 2013, Edizioni Metea.

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Andrea Branzi, libreria Collection Wall, 2014, Friedman Benda Gallery, New York.

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leased to meeet you raccoglie e presenta, in maniera del tutto inedita, l’insieme del lavoro di Branzi, una selezione di 150 pezzi, provenienti da istituzioni e collezioni nazionali e internazionali (Italia, Francia, Belgio, Portogallo, Germania, Stati Uniti) e, ovviamente, dallo studio milanese del progettista. In ragione della sua importanza, la mostra non è stata organizzata in seno al Musée des Arts Décoratifs et du Design di Bordeaux, ma extra-muros, in

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primis in quel magnifico spazio che è l’ex-chiesa di Saint-Rémi, edificata tra l’XI e il XV secolo, il cui allestimento espositivo è stato curato personalmente da Branzi. Colpito in particolare dai monumentali volumi dell’ex-chiesa di Saint-Rémi, trasformata dal 1998 in spazio culturale, Andrea Branzi l’ha suddivisa in differenti spazi, riuscendo così a impartire dei ritmi diversi alle diversificate presentazioni dei pezzi in mostra. Peraltro, il Musée des Arts Décoratifs et du Design ha invitato diverse istituzioni di Bordeaux a partecipare a questo evento culturale che si dipana intorno ad Andrea

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In questa pagina, da sinistra a destra: Labrador, 1982, salsiera, Memphis (foto Lysiane Gauthier); dalla collezione Wireless, WL 06, 1997, lampada da terra in marmo, bambù e carta di riso (foto di Elio Basso) e WP 02, 1997, lampada portatile in acciao inox e carta di riso (foto Ruy Teixeira), Design Gallery Milano; dalla collezione Blister, LX 1103, vaso luminoso, 2004, Design Gallery Milano (foto Riccardo Bianchi).

Branzi: perciò, il centro d’architettura Arc-enrêve ha invitato Branzi a raccontare No-Stop City, 1969 (progetto teorico di sistema metropolitano diffuso), mentre l’Ecole des Beaux-arts mostra il lavoro realizzato dai suoi studenti sul modo di leggere e capire i testi teorici del progettista stesso. Infine, la maison Eco-citoyenne, in collaborazione con il Creac (Centre régional d’eco-énergétique d’Aquitaine), anima degli atelier per scolari sui materiali per l’architettura. In occasione della sua mostra, abbiamo intervistato Andrea Branzi. Il Musée des Arts Décoratives et du Design di Bordeaux ha organizzato, su due diverse sedi – la chiesa di Saint-Rémi e la Gallerie Blanche – la prima mostra antologica del suo lavoro, a partire dal 1966, anno della sua laurea, fino a oggi. Constance Rubini,

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direttrice del museo e curatrice della mostra, è riuscita a riunire 150 progetti di oggetti e di territori: si sarà trattato di un lavoro complesso e difficile… “Certamente. La ricerca che è alla base della mostra è durata un anno, rintracciando presso musei, gallerie, collezionisti e mercanti, progetti che io stesso avevo dimenticato o di cui ignoravo i luoghi in cui rintracciarli. Sono curioso di vedere un panorama così completo del mio lavoro attraverso cinquant’anni: un percorso lungo, caratterizzato da una continua ricerca e sperimentazione”. Come mai mostre di questo genere vengono organizzate all’estero e non in Italia? “Credo che questo dipenda dal fatto che in Italia il dibattito sulla cultura del progetto è rimasto bloccato ed è quindi impermeabile a questo tipo di mostre e al mio modo di lavorare.

All’estero, l’interesse verso il movimento Radical italiano è cresciuto enormemente negli ultimi dieci anni, perché la riflessione sul progetto è divenuta urgente nell’epoca della globalizzazione E il volume che accompagna la mostra –edito da Gallimard – raccoglie contributi importanti: Constance Rubini, Catherine David, Frédéric Migayrou e Michel Jaque, che dibattono sui miei progetti confrontandoli con lo scenario attuale”. Come mai questa mostra è a Bordeaux e non, per esempio, a Parigi? “Ho esposto molto volte a Parigi, anche alla Fondation Cartier pour l’art contemporain e presso importanti gallerie d’arte, ma a Bordeaux il Musée des Arts Décoratives et du Design, che organizza la mostra, appartiene al Comune e ciò ha favorito quest’iniziativa e la direttrice, Constance Rubini, ha potuto muoversi con

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Dall’alto: dalla collezione Grandi Legni, 2010, GL 07, Design Gallery Milano (foto Ruy Teixera); libreria Collection Tree, 2010, Friedman Benda Gallery, New York (foto Erik e Petra Hesmerg).

maggiore autonomia: senza la sua energia e determinazione tutto ciò sarebbe stato impossibile. A Parigi i luoghi istituzionali sono diventati degli organismi molto complessi e anche di difficile accesso”. Questo risveglio d’interesse verso il suo lavoro, quale sentimento le suscita? “Si tratta di un fenomeno che mi onora molto: la Harvard University di Cambridge (Boston) sta organizzando, per il debutto del 2015, una mostra diffusa sul mio lavoro, che verrà simultaneamente ospitata dalla Columbia University di New York, dall’University of California–Berkeley, dalla Cornell University di Ithaca, dal Canadian Center for Architecture, dalla Princeton University e dalla Graham Fondation di Chicago. È raro che il lavoro di un architetto come me – che praticamente non ha

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costruito niente, ma ha scritto e sperimentato molto – sia oggetto di tanta attenzione da parte delle grandi istituzioni internazionali”. In questo senso, in Italia non si muove niente? “Vedo che da parte degli studenti e dei dottorandi, si stanno cercando informazioni e testimonianze sugli anni Sessanta e Settanta, sui Radical, su Alchymia e Memphis, sulla Domus Academy e su quella Generazione esagerata su cui ho di recente scritto un libro (Dai radical italiani alla crisi della globalizzazione, Baldini & Castoldi, 2014, n.d.r.), per spiegarne i meriti e i limiti, le motivazioni e la contraddizioni. Non si tratta di un’apologia, al contrario di un’analisi storica di una generazione – la mia – che ha scelto di interrompere i limiti e la lentezza del Paese attraverso segni e messaggi fuori dimensione. Forse è ciò che manca oggi”.

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Textile material di Nadia Lionello - foto di Paolo Veclani

Pattern e colori in continua trasformazione per il pi첫 antico dei manufatti. Maestria produttiva e design per le pi첫 recenti collezioni e anteprime 2014-2015 per vestire e arredare la casa. E per il contract

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Sullo sfondo, Tweed couleurs, tessuto jacquard in in 50%cotone 50% poliestere, disponibile in 18 varianti colore e nell’altezza di cm 145, adatto per sedie e imbottiti e Velorus tresse velluto di cotone trapuntato gomma piuma, ovatta e taffetas di cotone, disponibile in sei varianti colore e nell’altezza di cm 140 adatto per sedute, disegnati da Paola Navone per Dominique Kieffer by Rubelli. Nella pagina accanto: dalla collezione Creative concept di Nya Nordiska, da sinistra, Wasabi cs, tessuto in popeline di Trevira CS disponibile in 17 varianti colore, nell’altezza di cm 150, adatto per decorazione, tendaggi, cuscini, tavola e copriletti; Batumi, tessuto stampato trasparente in Trevira CS grezza, disponibile in quattro varianti colore, nell’altezza di cm 150, adatto per decorazione, tendaggi e tavola; Scalia, tessuto in popeline di Trevira CS, disponibile in sette varianti colore, nell’altezza di cm 145, adatto per decorazione, tendaggi, cuscini, tavola e copriletti. Fluobar, lampade fluorescenti al neon disponuibili nei colori fucsia, giallo rosso e verde, di Seletti.

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Nadir, tessuto tricot in 100% poliestere FR, ignifugo, disponibile in nove gamme cromatiche nell’altezza di cm 170 adatto per imbottiti e contract; sotto, Galaxy tessuto tricot in 100% poliestere FR, ignifugo, disponibile in 12 gamme cromatiche nell’altezza di cm 175, adatto per contract. Fanno parte nella nuova collezione disegnata da Alfredo Häberli per Kvadrat. Enamel paint, vassoio rotondo in acciaio colorato con resina epossidica a effetto smalto. Design di Claudia Raimondo per Alessi.

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Liquid Coffee, fa parte di una collezione di tavolini con piano in legno decorato con differenti patterns realizzati a mano con resine spalmate. Gambe in legno. Design di Draga&Aurel per Baxter. Funky stripes, tessuto di raso con motivo geometrico in 69%, poliestere 20% seta e 11% acrilico, disponibile in sette varianti colore e nell’altezza di cm 136, adatto per tendaggio e Pon-pon, a destra, tessuto bouclÊ in 31% poliestere, 30% lana, 24% acrilico, 13% cotone e 2% nylon, disponibile in tre varianti colore e nell’altezza di cm 140 adatto per sedute. Sono prodotti da Dedar.

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Dalla collezione Uni/vers i tendaggi Feather (sullo sfondo) in Trevira CS con stampa digitale, disponibile in tre colori e nell’altezza di cm 149 e Champ in puro cotone, in tre varianti colore e nell’altezza di cm 150.Sono prodotti da Kinnasand.

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Manolete, tessuto della collezione Donghia in 56% lino e 34% viscosa, 10% poliestere in cinque varianti colore e nell’altezza di cm 140, adatto per uso medio, sedie, tende e poltroncine. A destra, Venier, lampasso tratto da un disegno originale degli archivi Rubelli, in 40% cotone, 26% cupro, 15% viscosa, 13% acetato, 3% poliammide, 3% metallo, disponibile in 20 varianti colore nell’altezza di cm 140, adatto per uso leggero, tende, cuscini e poltroncine. Ziggy, pouf con struttura in tondino di ferro con intrecciate cime in poliestere HT tinto in pasta. Design di Emilio Nanni per Saba Italia.

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Dalla collezione Cathay weaves di Nina Campbell velluto Lizong in 51% viscosa, 30% cotone e 19% poliestere, disponibile in 10 varianti colore e nell’altezza di cm 140 adatti per tendaggi, rivestimenti e contract. Nelle varianti color avorio e giallo, Shimmer di Matthew Williamson tessuto ottoman per tendaggio in 70% viscosa e 30% poliestere, disponibile in 25 varianti colore e nell’altezza di cm 140. Sono distribuiti da Osborne & Little.

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TEXTILE MATERIAL / 61 A sinistra Cycle tessuto jacqaurd per imbottiti della collezione Soleil blu in 100% poliestere, disponibile in cinque varianti colore e nell’altezza di cm 140; a destra, Criss Cross, tessuto per tende e cuscini in 100% poliestere con applicazione in 100% poliuretano, disponibile in due varianti di colore e nell’altezza di cm 140. Sono prodotti da Jab. Sotto, Kaos, tavolini con base in acciaio verniciato goffrato graphite o bianco e piano, tondo, quadrato o ellittico, in acero serigrafato con differenti motivi geometrici. Design di Alessio Bassan per Cattelan.

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Scegliere il linguaggio del colore, nelle sfumature del blu, del verde e del giallo, per dare un segno personale, che caratterizza un particolare modo di esprimersi di Nadia Lionello - foto di Simone Barberis

Add, sistema componibile per uso contract e residenziale: si compone di una base a telaio in estruso di alluminio con piedini pressofusi, sulla quale si possono montare piani, sedili e schienali imbottiti e rivestiti in tessuto; è accessoriabile con vaschette, portariviste o side table e prese di alimentazione. Design di Francesco Rota per Lapalma. Brands, sedia in faggio in nove finiture con seduta e schienale imbottiti rivestiti in tessuto, pelle o ecopelle oppre nella versione in legno. Design di Monica Graffeo per Varaschin. Nella pagina accanto: Tabu, sedia composta da elementi in massello di frassino naturale, tinto rovere scuro o noce o laccato in 12 colori; gli elementi sono lavorati a controllo numerico e innestati tra loro; schienale in metacrilato. Design di Eugeni Quitllet per Alias. Sharky, sedia con scocca in poliuretano in sette colori e gambe massello di faggio o rovere europeo oppure laccate coordinate alla scocca. Design di Neuland Paster & Geldmacher per Kristalia. Laja wings, poltroncine per contract con struttura in acciaio, imbottitura in poliuretano e rivestimento monocromatico o bicromatico in tessuto o eco-pelle. Design di Alessandro Busana per Pedrali.

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Gerla, poltroncina in frassino laccato, naturale o tinto con schienale a nido d’ape formato da elementi in multistrato uniti con giunzioni a pettine; seduta imbottita rivestita in tessuto o pelle. Design di Lucidi&Pevere per Very Wood. Brick 233, sedia in noce canaletto verniciato naturale o rovere laccato bianco, grigio, avio o nero con sedile e schienale imbottiti e rivestiti in tessuto fisso. Design Paola Navone per Gervasoni. Nella pagina accanto: Daniela, poltrona con struttura in multistarto di faggio curvato impiallacciato rovere naturale o tinto bianco oppure rovere seppia, rivestita in tessuto fisso Phoenix. Di Missoni Home. Roll, poltroncina per esterno con struttura in alluminio, seduta e schienale a rulli imbottiti removibili rivestiti in tessuto. Design di Patricia Urquiola per Kettal. N=N05 bridges for islands, sistema modulare di imbottiti componibile, per contract e residenziale, con struttura in metallo verniciato, seduta e schienale imbottiti rivestiti in tessuto. Design Nichetto+Nendo per Casamania.

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Riga, sedia impilabile in polipropilene caricato con fibra di vetro, stampata con tecnologia air moulding, adatta anche per uso esterno, qui nella versione colore Random (prototipo). Design di Pocci e Dondoli per Desalto. Troy, sedia con braccioli, impilabile, con struttura in tondino di acciaio verniciato poliestere, scocca e braccioli in polipropilene, imbottitura in poliuretano rivestita in tessuto. Design Marcel Wanders per Magis. Nella pagina accanto: Grace, sedia con struttura in tubi elettrosaldati, seduta e schienale in alluminio pressofuso e tavolo con piano ribaltabile in alluminio, laccati in diversi colori. Design di Samuel Wilkinson per Emu. Family, contenitore con struttura in legno naturale contenente quattro materassi singoli pieghevoli utilizzabili all’occorrenza come letti d’emergenza oppure trasformabili in sedute informali, rivestiti in panno trapuntato. Design di Lorenzo Damiani per Campeggi.

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Cleo, poltrona con struttura telaio in acciaio con cinghie elastiche, imbottitura in schiumato a freddo ignifugo, rivestimento in tessuto con cuscino sfoderabile, piedini in frassino verniciato naturale o tinto. Design di Archirivolto per Rossin. My frame, poltrona lounge con struttura in legno di faggio naturale o laccato, seduta e schienale imbottiti e rivestiti in tessuto. Design Pio&Tito Toso per Segis.

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Colina, poltrona nella versione a pozzetto disponibile nelle misure piccola, media e grande, con rivestimento in pelle o tessuto; la versione media è disponibile anche con base cantilever, a slitta o con quattro gambe in legno. Design di Lievore Altherr Molina per Arper. Weave, poltrona con struttura in tondino di metallo laccato con scocca imbottita e rivestita in tessuto cucito con punto cavallo, con cuscini seduta e schienale rimovibili. Design Carlo Colombo per San Patrignano.

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Maestri di ieri, innovatori di oggi di Maddalena Padovani

Dall’alto a sinistra in senso orario: Cesare Cassina, Adele Cassina, Umberto Cassina e Franco Cassina seduti sui primi modelli della Collezione LC prodotta dall’azienda di famiglia a partire dal 1965. Sotto, uno schizzo della LC4. (courtesy: Charlotte Perriand Archives e Fondation Le Corbusier)

Disegnati nel 1928, gli arredi della Collezione LC, firmati Le Corbusier, Jeanneret e Perriand, hanno conquistato una notorietà planetaria solo dopo l’accordo siglato dagli autori con Cassina nel 1964. Una storia che compie 50 anni e che continua a rinnovarsi nel segno dell’autenticità

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La poltrona LC2, l’arredo piÚ venduto della storia del design, al centro degli espositori che Cassina ha realizzato per celebrare la Collezione LC, che riprendono i materiali e i dettagli costruttivi dei prodotti.

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Accanto, la chaise-longue LC4 protagonista dell’allestimento progettato da Mario Bellini per l’apertura dello showroom Cassina di via Durini a Milano nel 1968. (foto Maria Mulas) Sotto, la poltroncina LC1 con struttura in acciaio cromato trivalente lucido o verniciato nero. In basso, la poltrona LC2, a cui si affianca il divano a due o tre posti e il pouf. La struttura è disponibile anche in una palette aggiornata di colori: grigio, azzurro, verde, marrone, fango, avorio e nero.

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n “patrimonio attuale” di cui di cui possiamo fare “uso pratico e quotidiana consumazione intellettuale”. Così Ernesto Nathan Rogers presentava nel 1965 i primi elementi di arredo di Le Corbusier realizzati da Cassina. Scomparso da soli due mesi, il progettista di origini svizzere aveva già conquistato un ruolo di primo piano sulla scena architettonica internazionale, ma la sua attività di designer non godeva ancora di grande notorietà, nonostante le sue rivoluzionarie idee sull’‘équipement de la maison’, come lui chiamava i mobili per la casa, fossero una naturale declinazione della sua visione del progetto. Bisognerà aspettare che Cassina acquisisca nel 1964 i diritti per produrre i modelli da lui firmati assieme a Pierre Jeanneret e Charlotte Perriand, presentandoli ufficialmente l’anno successivo, perché i suoi arredi in tubolare metallico diventino quello che Le Corbusier aveva sempre desiderato: strumenti idonei ad abitare in modo corretto, prodotti industrialmente per essere a disposizione di tutti. Destinati, in realtà, a entrare nell’immaginario collettivo come icone assolute del pensiero moderno del vivere e dell’abitare. La storia inizia ben prima, nel 1929. In accordo con il pensiero funzionalista sviluppato dal Bauhaus e ispirato dalla sedia cantilever di Mart Stam, Le Corbusier decide di sperimentare la realizzazione di arredi che siano espressione

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concreta della loro stessa funzione e, assieme a Pierre Jeanneret e Charlotte Perriand, presenta al Salon d’Automne di Parigi una serie di mobili che adottano il tubo metallico come supporto primario – struttura di contenimento o sistema di appoggio – di tutti i componenti dell’oggetto. La serie comprende già alcuni pezzi ‘cult’, come la chaise longue LC4 e la poltroncina squadrata LC2, che proprio in virtù della loro incredibile portata innovativa ricevono però una tiepida risposta da parte del pubblico. I progettisti non si perdono d’animo e attraverso vari accordi cercano di portare i loro arredi nelle case della vita reale. Il primo contratto viene siglato con Thonet nel 1930, ma ha poco seguito a causa della guerra e di molteplici condizioni avverse. Nel 1959 i diritti passano nelle mani di Heidi Weber, gallerista svizzera amica di Le Corbusier, che però non ha la forza produttiva e commerciale per dare vita a una vera e propria collezione di arredi industriali. Finché, nel 1964, avviene l’incontro con Cassina: interpellata assieme ad altre realtà, l’azienda di Meda viene scelta da Le Corbusier per la sua capacità industriale e la qualità dei suoi prodotti. Viene così firmato il primo contratto di licenza esclusiva dei diritti di edizione dei primi quattro modelli di mobili, che finalmente giungono nel 1965 a un processo produttivo di scala industriale grazie alle innovazioni tecniche messe a punto da Cassina, come il processo di piegatura della struttura tubolare in acciaio cromato e l’introduzione

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50° anniversario della collezione LC cassina / 73

Accanto, uno scorcio dell’allestimento realizzato lo scorso settembre nello showroom Cassina di Milano per inaugurare le celebrazioni della Collezione LC. Cinque progetti di architettura ‘brutaliste’ di Le Corbusier, realizzati in cemento armato, fanno da sfondo scenografico alle pedane espositive. Sotto, il tavolo LC15 e i tabouret LC14 disegnati da Le Corbusier nel periodo della sua maturità artistica e per questo pensati in legno. Sono stati introdotti nella Collezione LC nel 2010. A sinistra, il divano LC5 disegnato da Le Corbusier, Jeanneret, Perriand nel 1934 in una delle nuove varianti cromatiche. In basso, lo sgabello LC9 disegnato da Charlotte Perriand, rieditato quest’anno nella versione originaria del 1927 con seduta in canna d’India intrecciata.

dell’imbottitura in poliuretano espanso. È anche grazie alla progressiva internazionalizzazione dell’azienda e alla sua capacità di distribuzione nel mondo che gli arredi della Collezione LC conquistano una popolarità planetaria. La poltroncina LC2, che Cassina ha scelto quest’anno come icona della serie per festeggiarne il cinquantesimo anniversario, è l’oggetto più venduto della storia del design, oltre a essere il best seller del marchio. Ancora oggi – e fino al 2069, 70mo anno dalla morte dell’ultimo dei tre autori – l’azienda di Meda è l’unica autorizzata a produrre i disegni di Le Corbusier, Jeanneret e Perriand. Un diritto, ma anche un impegno culturale, che la porta a un costante lavoro di studio, ricerca e sviluppo svolto in stretta collaborazione con la Fondazione Le Corbusier e gli eredi dei co-autori. Grazie a questo lavoro, che si è avvalso della supervisione della stessa Charlotte Perriand dagli anni ’70 fino alla morte della designer, Cassina ha progressivamente introdotto nuovi elementi d’arredo, sia a firma dei tre soci progettisti che del solo Le Corbusier. Ha inoltre messo a punto una serie di innovazioni di prodotto che via via hanno arricchito i contenuti industriali degli arredi e

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segnato una linea netta di differenziazione tra gli originali firmati Cassina e le innumerevoli copie sorte in questi ultimi anni. L’ultima innovazione, che il marchio presenta per inaugurare le celebrazioni delle nozze d’oro della Collezione LC, rappresenta la svolta ‘green’ degli storici arredi. Anticipando un cambio di rotta che altri settori industriali hanno dovuto affrontare per obbligo, Cassina ha deciso di sostituire l’utilizzo del cromo esavalente con quello trivalente nel processo di produzione delle strutture metalliche in tubolare. Una scelta che garantisce una tossicità notevolmente più bassa dei prodotti chimici utilizzati, ma anche meno emissioni nell’aria e, di conseguenza, meno rifiuti tossici. Non solo. Anche le pelli utilizzate diventeranno totalmente organiche e sarà inoltre introdotto un tessuto in microfibre che, a livello di produzione, ha un impatto minore sull’ambiente. Infine, nuovi colori e nuovi dettagli aggiorneranno la collezione sul piano prettamente estetico. L’intensa ricerca storica

svolta da Cassina con la Fondazione Le Corbusier e gli eredi dei co-autori ha infatti identificato una nuova palette cromatica per le strutture degli arredi che aggiornerà le nuance originariamente stabilite da Charlotte Perriand nel 1978. Le nuove tonalità sono state scoperte durante l’analisi dei modelli degli archivi e dei musei; la novità del cinturino del poggiatesta, caratterizzato da una lavorazione artigianale di selleria, deriva invece da una precedente edizione della LC4 realizzata con Louis Vuitton e consentirà di impreziosire la chaise-longue che rappresenta uno dei pezzi più celebri della collezione. Ma le sorprese non si esauriscono qui. L’azienda di Meda sarà protagonista di altre iniziative che animeranno la celebrazione dell’anniversario da qui al 2015, cinquantenario della scomparsa di Le Corbusier. Per raccontare un capitolo fondamentale del design contemporaneo e per sottolineare il valore di autenticità di una storia che, senza Cassina, avrebbe preso strade tutte diverse.

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Giulio Iacchetti intervista Franco Clivio. Per parlare di bici, di giunti, di scuole, di italianità e ‘svizzeritudine’. Ma soprattutto di oggetti comuni, anonimi eppure perfetti nella loro essenzialità. Come quelli da poco presentati in Triennale nella mostra No name design

Le intelligenze nascoste a cura di Maddalena Padovani

Sopra: Franco Clivio (a sinistra) e Giulio Iacchetti ritratti alla Triennale di Milano dove, dal 19 giugno all’11 settembre scorsi, si è tenuta la mostra No name design, a cura di Franco Clivio e Hans Hansen. (foto Sergio Anelli) Nella pagina accanto: alcuni degli oggetti protagonisti della mostra. Da decenni Franco Clivio raccoglie oggetti di uso comune solitamente considerati anonimi, che racchiudono però grandi qualità tecniche ed estetiche.

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riennale di Milano, 11 settembre 2014. È arrivato il momento per Franco Clivio di smontare la mostra No name design che per tre mesi ha presentato la sua collezione di oggetti anonimi: circa mille pezzi, per lo più vecchi utensili di uso comune, che il progettista svizzero ricerca, colleziona e classifica da decenni. Mentre delicatamente li solleva per riporli nelle loro confezioni, li osserva, li tocca, li mette in azione, svelando meccanismi inaspettati e intelligenze nascoste che ne fanno oggetti meravigliosamente perfetti nella loro semplicità. C’è la protocalcolatrice meccanica e lo strumento che gli orologiai svizzeri usavano per misurare i centesimi di millimetro prima dell’avvento dell’elettronica, ma anche viti, bulloni, molle, martelli, coltelli, giunti di finissaggio, libri tecnici, manifesti sulla storia della matematica o

sull’arte della macchina. Quanto di più lontano ci può essere dalle classiche tipologie dei prodotti glamourous che oggi associamo all’idea di design. Accanto a Franco Clivio, Giulio Iacchetti osserva e si lascia trasportare dalle storie che ogni oggetto riserva come tesori nascosti. Non è la prima volta che i due designer si incontrano. Da sempre interessato agli oggetti quotidiani che la cultura del design considera solitamente marginali, Giulio aveva trovato il modo, già qualche anno fa, di conoscere l’autore di alcuni prodotti che aveva sempre apprezzato nella loro semplice compiutezza progettuale, come gli utensili da giardinaggio Gardena e la penna Pico per Lamy. L’occasione si era presentata allo Iuav di Treviso, dove Clivio aveva un incarico di docenza.

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Giulio Iacchetti: “È stato il comune amico Marco Zito a presentarci. Quando Franco ha visto che mi portavo appresso una bici pieghevole Brompton, è nata subito una discussione di design, perché lui sosteneva che la sua Moulton fosse migliore della mia. La discussione è proseguita la sera al di fuori dell’università, in un piccolo tour cicloenogastronomico per Treviso che non ha portato alla risoluzione della questione ma ha notevolmente alzato i nostri tassi alcolici”. Franco Clivio: “Tu continui a sostenere che la tua bici si smonta e si piega più facilmente, ma la mia è risolta meglio per quanto riguarda i giunti, che non si vedono. I giunti rappresentano una questione essenziale del design, ovvero il modo in

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cui le componenti degli oggetti si raccordano tra loro. Se si osservano i prodotti da questo punto di vista ci accorgiamo che si possono individuare tanti approcci progettuali diversi. Generalmente, dove si trova un giunto intelligente c’è anche un prodotto intelligente”. G.I. Ma tu come hai fatto a trovare una connessione intelligente tra la tua metà svizzera e l’altra metà italiana? Perché io penso che questa tua identità ‘di confine’ incida molto nell’esercizio della professione... F.C. “Sono nato in Italia ma a soli nove anni mi sono trasferito in Svizzera. La mia formazione è stata dunque svizzera e ha fatto sì che io assumessi una forma mentis per cui tutto deve essere preciso e funzionante fino al minimo dettaglio. Io non mi

considero un designer: ci sono professionisti, come i prestinai e i parrucchieri, che sono molto più designer di quanto lo sono io. Io non disegno mai oggetti di moda. A me interessa l’idea nel prodotto”. G.I. Però sei riuscito a intercettare il gusto delle persone. Per esempio, hai disegnato per Lamy la penna Pico che ha dimensioni tascabili ma grazie a un esclusivo meccanismo a pulsante raggiunge la lunghezza di una tradizionale penna a sfera. F.C. “Le sfide che ho affrontato con questo progetto sono diverse e non è stato facile raggiungere il risultato che mi ero posto. La mia idea era che la penna potesse essere estratta, allungata e utilizzata con una sola mano. Sulla

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Altre immagini di Franco Clivio con i suoi oggetti anonimi. Il progettista ha studiato alla Hochschule für Gestaltung di Ulm e ha insegnato presso la Zürcher Hochschule der Künste di Zurigo. (in questa pagina, foto di Sergio Anelli)

sua superficie perfettamente cilindrica si trova una piccolo elemento sporgente che le consente di non rotolare quando è appoggiata su un piano. Un giorno un mio amico mi telefona e mi dice che preferisce eliminarlo. Gli rispondo che avrebbe avuto delle sorprese. Il giorno dopo mi richiama e mi comunica che la penna si è completamente aperta: non aveva capito che quell’inserto era la chiave di tenuta di tutti gli elementi interni dell’oggetto”. G.I. Gli oggetti da te proposti nella mostra “No name design” sembrano mettere in evidenza una tua predilezione per la miniaturizzazione. Pensi che questa passione ti venga dalla formazione svizzera? F.C. “Io, più che svizzero o italiano, mi considero soprattutto un uomo di Ulm! La mia fortuna è stata quella di avere studiato alla Hoschschule für Gestaltung di Ulm con Thomas Maldonado, con cui sono ancora in contatto. Per me non ci sono differenze tra il progetto di un oggetto piccolo e quello di un oggetto grande: l’approccio è sempre lo stesso, così come l’attenzione per i dettagli, i materiali, l’ergonomia, l’estetica”. G.I. Da ex studente della Scuola di Ulm, cosa pensi delle scuole di design di oggi? Ovvero, come pensi che debba avvenire la formazione di un designer? F.C. “Se avessi trent’anni di meno aprirei una scuola. Il problema sarebbe, in realtà, che non verrebbe nessuno. La mia formazione ideale è composta da tre o quattro anni di corsi in cui non si sviluppano progetti ma si acquisiscono i

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fondamenti della professione. Per esempio, per sei mesi farei lavorare sui giunti, per altri sei sui materiali, poi sulle proporzioni e così via. Oggi i giovani designer sembrano studenti di medicina che, dopo solo tre mesi di scuola, pretendono di eseguire operazioni a cuore aperto”. G.I. Raccontaci della collezione di oggetti che hai presentato in Triennale. F.C. “È nata quasi per caso. A Zurigo, accanto all’università dove insegnavo, si trovava uno di quei luoghi dove gli svizzeri sono soliti lasciare gli oggetti di cui vogliono disfarsi, devolvendone la vendita in beneficenza. Lo visitavo nei momenti di pausa perché si potevano trovare cose strane ma anche oggetti d’eccezione, come un tavolo di George Nelson che ho comperato per soli 50 franchi. Tuttavia, gli oggetti che ho iniziato a collezionare non sono quelli che la gente acquista normalmente ai mercatini di brocantage”. G.I. Secondo me, un progettista che visita la tua mostra prova quasi una frustrazione a vedere oggetti che, sebbene realizzati molti anni fa, presentano un’intelligenza difficilmente replicabile. Al di là del gusto della scoperta e della sorpresa, cosa hai voluto comunicare al visitatore della tua mostra? F.C. “Il mio è stato ,un invito a ‘vedere’. Io penso che gli occhi siano lo strumento più importante che un designer possiede. Quando ero sedicenne avevo un insegnante che sosteneva che per vedere un quadro occorrevano almeno venti minuti. Così, un giorno mi sono messo

davanti a un quadro di Paul Klee e, minuto dopo minuto, ho iniziato a vedere cose che prima non vedevo. Si tratta di educare l’occhio, in modo da imparare anche a giudicare”. G.I. Visitando la mostra si aveva la percezione che rimane ben poco da disegnare ex-novo… F.C. “Tutto, in realtà, è già stato fatto. In modo particolare, in Italia ogni settimana nasce una sedia o una lampada nuova”. G.I. E tu non hai intenzione di disegnare una sedia o una lampada? F.C. “Assolutamente no. Anche quando ho progettato per Erco, il mio interesse non era per la lampada ma per la luce”. G.I. La passione per gli oggetti anonimi, intelligenti, apparteneva anche ad Achille Castiglioni. C’è mai stato un contatto tra voi? F.C. “Certo che sì. Agli inizi degli anni ’80 Castiglioni venne a Zurigo per tenere una conferenza. Quel giorno avevo in macchina due seghetti pieghevoli che avevo comperato in Germania per fare alcuni lavori. Quando vidi che Castiglioni parlava mostrando la sua celebre collezione di oggetti, corsi all’auto, presi uno dei due attrezzi e glielo portai in regalo subito dopo la conferenza. Da allora siamo diventati amici”. G.I. Un’altra cosa divertente della tua mostra è stato che gli oggetti erano volutamente presentati senza didascalie. In certi casi è frustrante, perché alcune cose risultano davvero misteriose e imperscrutabili… Io credo che da questa esposizione si possa trarre una lezione, cioè che è importante rieducare i nostri occhi a vedere le cose. Noi designer ci sentiamo sempre dire che un oggetto deve essere immediatamente comprensibile; ma questo atteggiamento induce cecità. I tuoi oggetti non solo ci osservano, ma ci interrogano: interpellano la nostra capacità di comprensione della loro complessità e sono memori dell’intelligenza di chi li ha creati con il solo fine di risolvere, in modo geniale, questioni di ordine tecnico, pratico e scientifico. Direi che il tuo desiderio di fondare una scuola si è già in parte avverato, in quanto una visita alla tua mostra valeva quanto un corso d’esame di progettazione!

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In questa e nelle pagine seguenti, alcuni schizzi di Nendo che spiegano la sua idea di design: vedere con gli occhi, selezionare con il cervello, comprendere con il cuore. Ma il processo può funzionare anche all’inverso: dalle emozioni può essere attinta l’energia per risolvere il progetto.

Neurodesign di Alessandro Villa

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Quali processi sensoriali determinano la percezione del bello? A rivelarlo è la neuroestetica, un nuovo ambito di studi che promette interessanti applicazioni nel mondo del progetto. Come dimostra il lavoro di Nendo

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I ‘profili di Rubin’ sono una serie di figure ambigue che consentono due soluzioni non percepibili simultaneamente. A queste si è ispirato Nendo per il disegno della lampada Eigroub che ribalta la silhouette della lampada Bourgie di Kartell per celebrarne i dieci anni.

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osa succede alla mente quando ci troviamo di fronte a qualcosa che stimola la nostra sensibilità estetica? Quali meccanismi cerebrali si mettono in moto? A queste domande il neurobiologo Semir Zeki cerca una risposta con il supporto delle tecniche di imaging cerebrale che oggi permettono di localizzare con precisione le singole aree del cervello attive nell’esperienza del bello. Negli ultimi anni le conoscenze hanno fatto grandi passi, benché i processi mentali siano ancora un mistero che anima un acceso dibattito scientifico e filosofico. La neuroestetica – come è stata definita da Zeki – è un nuovo ambito di studi che combina scienza ed estetica. L’obiettivo è di dimostrare che ogni configurazione artistica interagisce con un

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sostrato sensibile che deriva dal possesso di un comune patrimonio genetico. In altre parole, la percezione della bellezza è possibile grazie alla ricettività del sistema nervoso che sarebbe predisposto a questo tipo di esperienza e che è sostanzialmente identico per ogni essere umano. Determinate qualità estetiche attivano sensazioni piacevoli comuni a molti di noi perché il nostro cervello – a un preciso livello che la scienza si prefigge di scoprire – è organizzato secondo strutture molto simili. Ad oggi le tecniche di scansione cerebrale non sono state impiegate per uno studio sistematico sui rapporti tra biologia e progettazione sebbene l’argomento sia di grande interesse soprattutto per il design. I recenti progetti di Oki Sato, alias Nendo, giocano sulla

complessità della percezione e sulla molteplicità dei significati, talvolta su quello che il cervello ‘crede’ di vedere, altre su configurazioni da interpretare e completare mentalmente . Le opere di Nendo propongono figure illusorie, trasparenze apparenti, schermi invisibili, tricks che sprigionano nell’osservatore il piacere di scoprirli. L’aspetto più interessante è che questi progetti attivano meccanismi mentali universali, a prescindere dalla cultura, dalla provenienza, dalle caratteristiche dell’osservatore, perché si basano su fenomeni percettivi comuni all’esperienza di ognuno. In queste pagine mostriamo alcuni progetti che non nascono da complicati ragionamenti intellettuali, bensì suggeriscono una percezione meno scontata della realtà.

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Accanto, un elastico realizzato da Nendo a forma di cubo: è facile da afferrare ma inganna la vista e rivela la consistenza solo quando lo si usa. Sotto, un allestimento realizzato dal designer giapponese per Cos in occasione del FuoriSalone 2014 di Milano: una serie di display creano l’illusione di solidi intersecati e interposti tra schermi colorati.

Non si tratta solo di trucchi intelligenti e illusioni ottiche ma di un’acuta introspezione psicologica dei fenomeni della percezione. Sebbene oggi molte idee della Gestalt siano state smentite per via sperimentale e la ricerca abbia preso nuove strade, le potenzialità di uno studio sul rapporto tra i sensi e la mente sono evidenti per ogni campo della progettazione. A Lione è stata da poco aperta Confluence, una scuola di architettura che include la neurologia tra le materie di studio fondamentali. Ne è promotrice l’architetto francese Odile Decq che sostiene la necessità di un metodo di insegnamento transdisciplinare aperto alla biologia, alla medicina, alla matematica. Non si vuole mettere in contrapposizione il sapere umanistico e scientifico ma si cerca di integrarli. In architettura e nel design la fruizione dello spazio o dell’oggetto non è mai passiva ma è passibile di molte interpretazioni sollecitate dal contenuto estetico e sensoriale dell’opera, benché il progetto – a differenza della pura espressione artistica – produca di solito letture molto meno ambigue. In genere siamo portati a pensare che le convinzioni culturali siano sempre prevalenti rispetto ai precetti, per esempio, quando associamo i materiali ad un preciso aspetto, colore e texture. Ma oggi le tecniche di riproduzione di ogni tipo di superficie hanno creato una frattura tra il piano percettivo e quello culturale. Tant’è che i materiali imitativi hanno un enorme successo e un numero sempre maggiore di persone, anche progettisti, li scelgono in sostituzione di quelli da cui prendono l’aspetto. Tra tutti, la riproduzione del legno sui laminati e nella ceramica, ormai del tutto indistinguibile dal vero sia nel colore che nella texture, che spesso è sufficiente per soddisfare il bisogno di circondarsi di un materiale naturale ad un livello puramente percettivo. Le neuroscienze ci potrebbero aiutare a comprendere se l’obiettivo

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Accanto, un righello trasparente pensato da Nendo per essere usato in contrasto cromatico su ogni tipo di sfondo (sopra, uno schizzo del designer che esprime l’idea del progetto). Sotto, la famosa figura di Kanisza che mostra due triangoli sovrapposti anche se non sono effettivamente disegnati. La mente tende a percepire le figure in relazione allo sfondo.

a cui tendiamo sia la ‘verità’ delle superfici o la semplice soddisfazione di aspettative formali che ancora non riusciamo a comprendere a fondo. Oggi i ricercatori lavorano sull’idea di un cervello biologicamente predisposto ad una determinata esperienza, piuttosto che – come sostengono i critici della neuroestetica – assegnare al cervello un ruolo di puro supporto dell’esperienza. Se, come sostiene Zeki, tutti i dati sensoriali sono sottoposti a processi di adeguamento ad un concetto sintetico ideale, i materiali imitativi allora potrebbero soddisfare un principio primitivo del cervello, un risultato dell’adattamento plurimillenario all’ambiente, o

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solo un modo per riconoscere ciò di cui abbiamo bisogno. Forse il legno, la pietra e tutti i materiali naturali sono già dentro di noi e oggi la loro imitazione, così esatta da non distinguere il vero neppure al tatto, li rende ugualmente autentici per il cervello. Se così fosse potremmo pensare che anche progettare sia un processo di adattamento a concetti definiti dalla biologia, mentre l’architettura e il design sarebbero un modo evoluto di dare corpo e forma a questi ‘modelli’. Anche Oki Sato sostiene che le esperienze immagazzinate dal cervello vanno a costruire una libreria di archetipi. Un progetto di design deve essere riconosciuto sul piano intellettuale, ma deve soprattutto attivare uno

sguardo inedito della realtà, deve emozionare, anche creando scompiglio nella libreria delle idee acquisite. Solo se supera questo filtro, allora può raggiungere il cuore. Progettare è un attività che mette a confronto il cervello del designer e del fruitore perché sono possibili molte soluzioni tutte diverse e tutte allo stesso modo efficaci sul piano funzionale. Esiste una moltitudine di manufatti, edifici, sedie, tavoli e utensili, tutti egualmente ben progettati, ma non tutti emozionanti. La qualità che li differenzia è allora da individuare nell’efficacia degli stimoli sensoriali e intellettivi. Questa qualità è l’essenza della poetica di Nendo.

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silenzio, è design Lampade, pannelli divisori e prodotti industriali uniscono alla funzione la capacità di assorbire il rumore. Per rendere più confortevoli e a misura d’uomo i grandi spazi

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onsumiamo gli oggetti con la vista e ci lasciamo affascinare da forme e colori, ma il design assolve a più funzioni, non soltanto estetiche e prestazionali ma anche relative al generale comfort dell’utente. Come nel caso del controllo del rumore in un ambiente pubblico o nella progettazione di uno schermo acustico in un ufficio a pianta aperta, dove spesso è difficile mantenere la concentrazione. La capacità fonoassorbente di alcuni prodotti di design, come lampade o schermi, risulta cruciale soprattutto nel settore del contract in cui, oltre al rispondere a precise normative di sicurezza, i prodotti diventano parte integrante nella progettazione sia

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degli interni sia del benessere ambientale. Già pluripremiata alle fiere statunitensi CES e NeoCon nel 2014 e insignita del Trophée de l’Innovation 2014, la tecnologia Snowsound, sviluppata e brevettata da Caimi Brevetti, è capace di ridurre il riverbero acustico coniugando funzione con forme originali. L’azienda si è affidata ai designer Michele de Lucchi, Alberto e Francesco Meda, Lorenzo Palmeri e Marc Sadler per realizzare prodotti finiti, facilmente assemblabili e disassemblabili, che potessero essere montati in più contesti d’uso. Non si tratta quindi di componenti semilavorate da integrare

di Valentina Croci

nella costruzione architettonica. L’ultimo nato, Baffle di Marc Sadler, è una cascata apparentemente casuale di pannelli fonoassorbenti sospesi a soffitto in vari colori, fissabili ad altezza variabile. Privi di cornice, i pannelli sono leggeri e poco ingombranti. E un sistema di giunto cilindrico a scomparsa li assicura ai cavi. Snowsound contribuisce alla riduzione di echi e riverberi provocati da superfici quali cemento, marmo o vetro che, nel caso di spazi ampi e aperti, possono essere molto fastidiosi e determinare una pessima acustica nell’ambiente. I pannelli sono in tessuto di poliestere Trevira CS, monomaterici a densità differenziata e con una componente interna di materiale riciclato pari al 30%. Anche Luca Nichetto sviluppa per la svedese Offecct un sistema di pannelli fonoassorbenti in feltro riciclato che non devono essere fissati a parete.

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Träullit è un sistema di pannelli acustici fonoassorbenti, progettati da Form Us With Love per Baux. Basati su sei forme geometriche e un’ampia palette di colori, le singole unità possono essere posate a parete come delle piastrelle in ceramica, per inediti effetti decorativi.

Nella pagina accanto, dall’alto: disegnata da Iskos-Berlin, The Birth of Marylin è una grande lampada (da 30 a 96cm di diametro) con una campana in due strati di Pet riciclato, accoppiati senza resine né colle; nuovo marchio danese del settore acustico, Vifa propone casse ad alta fedeltà rivestite in tessuto Kvadrat; di Freyja Sewell il cocoon Hush, prodotto in Durham da Ness Furniture e realizzato con 10mm di feltro industriale in un unico foglio.

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Baffle di Marc Sadler per Caimi Brevetti è una cascata di pannelli sospesi dall’alto tramite sottili cavi, ancorati di testa ai pannelli. Crea una barriera che assorbe i suoni con un’apparente casualità. E applica la tecnologia brevettata Snowsound. Notes di Luca Nichetto per Offecct è un sistema di pannelli fonoassorbenti in feltro che possono essere spostati lungo la struttura portante. Per partizioni temporanee dell’ambiente ufficio.

Notes è composto da una serie di cinque elementi di dimensioni e tessuti diversi appesi a una struttura freestanding portante che ricorda, come sottolinea lo stesso designer, i panni del bucato stesi sui fili tra le case. E infatti quando i bambini giocano a calcio in strada, i panni attutiscono il rumore dei rimbalzi della palla e le urla dei giocatori. I pannelli possono essere spostati lateralmente, riorganizzando lo spazio. Notes è un divisorio che ben si adatta alle piante aperte degli uffici contemporanei dove c’è sempre più esigenza di flessibilità e di sistemi leggeri e temporanei per suddividere l’ambiente. In questo caso assorbendone anche i rumori. La fonoassorbenza può essere anche la caratteristica di una lampada. È il caso di

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Silenzio, a muro o a sospensione, realizzata da Luceplan in partnership con Kvadrat su progetto di Monica Armani. Lampade a tutti gli effetti uniscono la possibilità di personalizzazione offerta dall’ampia gamma di tessuti dell’azienda danese. La designer racconta che l’idea è nata proprio da un’esigenza: un progetto per un corridoio aziendale lungo un chilometro con evidenti problemi di riverbero sonoro. Lo ha dunque arredato con pannelli a parete e lampade a sospensione che andavano anche a ritmare l’interminabile lunghezza. Non sono poche, infatti, le situazioni in cui sono necessari dispositivi di tal genere: si pensi alle hall di uffici e di alberghi o anche ai tavoli di lavoro o di un ristorante, in cui la conversazione è spesso

difficile a causa del rumore di fondo. E la possibilità di giocare con i colori del tessuto, rende Silenzio ideale per il contract. Lo spazio pubblico e le grandi aree di attesa sono di frequente ambienti inospitali. Alcuni progetti uniscono il tema della fonoassorbenza con il concetto di ‘cocooning’, ovvero di avvolgenza, isolamento e protezione. È il caso di Hush, disegnato dalla britannica Freyja Sewell, una sorta di guscio in feltro accessoriato con seduta e cuscini, in cui ritirarsi e sfuggire dal caos dell’ambiente esterno. Oppure di The Birth of Marylin del duo Iskos-Berlin: una grande campana, con lampada all’interno, caratterizzata dal profilo morbido come una gonna sollevata dal vento, sotto la quale ripararsi dal rumore.

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Silenzio è una lampada con caratteristiche fonoassorbenti realizzata da Monica Armani per Luceplan. È disponibile in versione sospesa e pannelli retrolluminati e utilizza la collezione Remix 2 di Kvadrat, disegnata da Giulio Ridolfo. Il tessuto ha un aspetto ‘grisaglia’ e una texture dalla mano materica.

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Virgina (Gigi) Barker, dello studio 9191, posa accanto ai suoi conturbanti imbottiti rivestiti in pelle della serie Body of Skin, impregnati con dopobarba e feromoni per trasmettere la sensazione di contatto con un vero corpo umano.

Gli oggetti sono vive estensioni della nostra corporeitĂ . Sentono attraverso di noi come noi sentiamo attraverso di loro. Una duplicitĂ fenomenologica che il design traduce in progetti ed estetica

Sense & Sensibility testo di Stefano Caggiano

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I gioielli della serie The Living Points Structure di Ewa Sliwinska sono elementi flessibili realizzati con sottili cilindri d’acciaio montati su un filo di nylon, progettati per emulare il movimento del corpo mentre cammina, corre, salta.

Sotto: la seduta Flesh (‘carne’) di Nanna Kiil, realizzata in gommapiuma a memoria di forma, esplora l’equilibrio antitetico tra l’aspetto ‘respingente’ di curve voluminose ispirate a rotoli di grasso e la loro avvolgente comodità.

I

l senso degli oggetti è strettamente intrecciato al senso del corpo. Per questo il design, se da un lato non può prescindere dal farsi carico del corpo dell’oggetto, dall’altro non può nemmeno esimersi dal trascenderlo in forme che vadano oltre il loro mero riscontro materiale. Questa duplicità fenomenologica dell’oggetto d’uso, immanente e trascendente al tempo stesso, rispecchia la duplicità fenomenologica del corpo umano. Anche il nostro corpo è infatti sia ‘cosa’,

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pezzo di materia cieca soggetta a inerzia e gravità, che dispositivo senziente aperto al mondo. La distinzione tra queste due dimensioni della corporeità è così importante che in tedesco esistono due termini diversi per riferirsi al corpo: il primo, Körper, indica il corpo inteso come cosa fisica; il secondo, Leib (dall’antico tedesco “leiben”, “vivere”), indica il corpo inteso come dispositivo senso-motorio. Gli oggetti d’uso, allora, pur non facendo parte del Körper (non sono ‘fusi’ con la nostra anatomia), nel momento del loro utilizzo diventano tutt’uno con il Leib dal punto di vista motorio-funzionale, esattamente come gambe e braccia.

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The Body di Kirsi Enkovaara incoraggia l’utente a cercare posizioni di seduta alternative rispetto a quelle trasmesse dalle convenzioni culturali, favorendo la riconfigurazione in linea continua del corpo dell’oggetto e della dislocazione anatomica dell’utente. Sotto: il divano M.A.S.S.A.S. di Patricia Urquiola per Moroso è caratterizzato da evidenti cuciture in rilievo che, come imbastiture, ne percorrono il perimetro fino a destrutturarne la linearità anatomica. (foto: Alessandro Paderni)

Ecco allora che una serie di nuovi progetti – tutti realizzati, forse non per caso, da designer donne – esplorano il ‘chiasmo’ costitutivo tra corpo e parco oggetti, a cominciare dall’ambiguo Anomaly del trio svedese Front per Moroso. Se quest’ultimo si configura come presenza domestica sospesa tra la manipolazione visionaria di un ceppo corporeo e la trasmutazione organica di una creatura aliena, ancor più perturbante appare il progetto dell’angloamericana Gigi Barker (studio 9191), la quale ha impregnato la pelle che riveste gli

Vera e propria ‘anomalia’ domestica, Anomaly di Front per Moroso è una creatura dall’identità delicatamente inquietante, un animale transgenico in grado di scatenare imprevedibili riverberi emotivi che vanno dall’affetto alla repulsione. (foto: Alessandro Paderni)

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elementi imbottiti Body of Skin con del dopobarba e dei feromoni, in modo da riprodurre il senso del tocco di un corpo umano in forme che rimandano a brani anatomici non ulteriormente specificati. Meno estremi, ma sempre sulla linea del prodotto ‘corporeo’, sono la seduta Flesh avvolta in ‘morbidosi rotoli di grasso’ della danese Nanna Kiil e il divano M.A.S.S.A.S. di Patricia Urquiola per Moroso, elegante oggettoFrankenstein ottenuto dalla giustapposizione di membra con le cuciture a vista. Anche The Body della finlandese Kirsi Enkovaara si presenta come flessuoso brano tissulare dal colore incarnato (caratteristica comune alla maggior parte dei progetti qui presentati) pensato per ripiegarsi e mescolarsi al corpo dell’utente secondo le più diverse configurazioni. Quest’ultimo progetto, in particolare, che annoda letteralmente brani di corpo-oggetto a brani di corpo-utente, illustra plasticamente

quanto dicevamo all’inizio, e cioè che la sostanziale continuità tra parco oggetti e Leib è costitutiva per il senso stesso dell’oggetto, al punto che il primo deve essere considerato articolazione senso-motoria del secondo, il quale a sua volta non va pensato come ‘cosa’ ma come campo sensoriale che si estende fino al limite elastico delle sue emanazioni oggettuali. L’esperimento della mano gomma è, da questo punto di vista, rivelatorio. Adoperato negli esperimenti di psicologia cognitiva e fisiologia della percezione, prevede che un tester sieda con un mano sopra a un tavolo e l’altra sotto, con una mano di gomma posizionata sul tavolo in corrispondenza di quella nascosta. Durante l’esperimento la mano sotto al tavolo viene sollecitata con una piuma e lievi pizzicotti, mentre lo stesso tipo di sollecitazioni viene praticata, simultaneamente, alla mano di gomma. Succede che, dopo un certo periodo, il tester comincia a sentire nitidamente ‘dalla’ mano di gomma, avverte cioè distintamente le sollecitazioni applicate alla sua mano vera, ma nascosta, come se se esse fossero applicate alla mano finta, ben visibile sul tavolo di fronte a sé. Ciò dimostra come sia possibile provare sensazioni su un oggetto che di fatto è staccato dal Körper, ma che fa tutt’uno col Leib dal punto di vista senso-motorio. Ecco perché la jewellery designer polacca Ewa Sliwinska ha concepito il progetto The Living Points Structure come una serie di ornamenti che amplificano la cinetica del corpo. Questi gioielli filiformi visualizzano cioè la proiezione senso-motoria del Leib, come le onde circolari irraggiate da un sasso gettato in uno stagno. Mentre la fashion designer e illustratrice israeliana Noa Raviv nella collezione Hard Copy mescola con poesia visionaria la sostanza reale del corpo con la sostanza fantasmatica delle sue estensioni oggettuali nell’era digitale.

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Per realizzare la collezione Hard Copy, Noa Raviv è partita dall’ideale di bellezza della scultura greca, copiata e riprodotta migliaia di volte nel corso della storia e qui rielaborata con immagini digitali ‘difettose’, generate da un comando che il software 3D non è in grado di eseguire. (foto: Ron Kedmi)

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Progettato da Antonio Citterio per B&B Italia, Backstage è un sistema di armadi/cabine armadio che ripensa il tema del contenimento, della distribuzione degli spazi interni e del rapporto camera da letto/closet. L’elemento innovativo è l’anta rototraslante di grande dimensione che consente un ingombro ridotto e maggiore accessibilità ai vani interni. In questa soluzione Backstage, in versione armadio, è utilizzato come divisorio attrezzato.

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Notte e dintorni testo di Maddalena Padovani

La camera da letto diventa sempre piÚ un mini-appartamento. Questa l’idea alla base di Backstage, il sistema realizzato da B&B Italia su progetto di Antonio Citterio, che grazie a un meccanismo innovativo dilata lo spazio del contenere e diventa un elemento dell’architettura

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i voleva qualcosa di diverso e di veramente speciale che giustificasse la presentazione di un nuovo armadio da parte di un marchio come B&B Italia storicamente legato al mondo dell’imbottito. Non che l’azienda di Novedrate fosse digiuna di progetti e innovazioni nell’ambito dei sistemi. Risale al 1983 il Sisamo di Studio Kairos, il primo armadio complanare che era valso a B&B Italia il premio Compasso d’Oro. A questo progetto ne erano seguiti altri, come il Velante del 1992 che introduceva l’apertura totale delle ante. Poi era stata la volta del Door, con cui Antonio Citterio, nel 2002, declinava in termini d’arredo la sua visione sistemica dell’architettura. Con Backstage, il sistema presentato quest’anno dopo due anni di ricerca, Citterio aggiorna e mette a fuoco le sue riflessioni sull’evoluzione dell’abitare, proponendo una soluzione tecnica ed estetica che prima non c’era: l’anta rototraslante di grande dimensione. Il progetto nasce da una considerazione: la camera da letto oggi è un luogo che destiniamo non solo a dormire, ma anche a leggere, scrivere, lavorare. In altre parole, sta diventando una stanza di dimensioni e funzioni più allargate che la rendono sempre più simile alla junior suite di un hotel. Da qui l’idea di ripensare il tradizionale sistema di contenimento e di divisione spaziale per razionalizzare la distribuzione di queste attività sempre più differenziate, soprattutto per consentire comunicazioni più ampie e continue tra gli spazi a queste dedicati. Il principio base è che l’anta rappresenta una superficie a tutt’altezza che scompare nella parete che la ospita, senza costituire un ostacolo fisico e visivo ai vari ambienti che devono raccordarsi tra loro con fluidità e omogeneità compositiva. L’anta di Backstage si apre infatti con un movimento simultaneo di rotazione e traslazione che la fa parzialmente rientrare (25 cm su 72,5, 85 o 97,5 cm di larghezza); l’armadio diventa così completamente accessibile e l’impressione che ne deriva è che si ‘entri’ al suo interno come se fosse una cabina armadio, anche quando è collocato in spazi non eccessivamente profondi. La nuova scansione della facciata fa sì che, con l’apertura di due sole ante, si ottenga l’apertura e la visibilità che solitamente è possibile ottenere aprendo più ante, come succede nel caso di un armadio largo 154, 170 o 195 cm. Anche lo spazio interno presenta innovative soluzioni che permettono di razionalizzarne l’organizzazione e lo sfruttamento funzionale, oltre a conferire a Backstage l’immagine di sistema destinato a una

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In questa versione, Backstage diventa una doppia cabina armadio (una per lei e una per lui) concepita come una boiserie continua in legno sucupira. In facciata, il pannello centrale può ospitare la tv. In alternativa, le ante possono essere laccate in 16 colori con finitura semilucida effetto gommalacca oppure satinata.

clientela esigente. Sofisticato è l’impianto di illuminazione a led a basso consumo, che si accende con l’apertura delle ante. Posizionato alla base, sui ripiani e sul cielino, garantisce la visibilità di tutte le zone attrezzate ed enfatizza il senso di continuità del pavimento ottenuto con la disposizione sospesa delle cassettiere, che a sua volta accentua l’effetto di ‘penetrazione’ all’interno dell’armadio. In corrispondenza dei ripiani, la luce si diffonde morbidamente dal fondo degli schienali senza rivelare fili, dispositivi o attacchi tecnici; le fonti luminose sono infatti disposte dietro un’alzatina e alimentate da una cremagliera elettrificata che consente di spostare facilmente sia il ripiano che la luce senza fare nuovi fori passacavi. Le attrezzature interne prevedono ripiani, barre porta abiti, cassettiere e vani portacamicie. A queste si aggiungono gli accessori posizionati sulle ante: vasche portatutto, specchio orientabile,

portacinture e portagioielli. Tutti questi elementi sono realizzati con grande cura del dettaglio e materiali ricercati – come la pelle con impunture da sellaio – che esprimono i contenuti di alta artigianalità su cui Backstage punta per distinguersi nel panorama dei sistemi esistenti sul mercato. Anche nella versione laccata, le ante sono proposte con una verniciatura a effetto gomma lacca che prevede uno speciale procedimento semindustriale. Il sistema è proposto in due profondità: 66 cm e 85 cm. Sono possibili anche soluzioni su misura, grazie a una serie di adeguamenti che rendono il prodotto sartoriale. Tutte le caratteristiche e le attrezzature degli armadi Backstage sono trasferibili nella progettazione di cabine armadio concepite come vere e proprie suite di lusso, che possono essere dotate al loro interno di un volume completamente chiuso per la custodia dei capi fuoristagione.

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Sopra: l’interno di una cabina armadio dotata di un volume completamente chiuso per riporre i capi fuoristagione. Sotto: le maniglie rappresentano un dettaglio importante di Backstage. Poste sul bordo delle ante, in modo da combaciare tra loro, sono proposte in due varianti: una sporgente, l’altra rientrante, entrambe con inserti in pelle (testa di moro o coloniale) o nickelato bronzato. Sempre in pelle, impreziosita da impunture da sellaio, il vano porta-oggetti e i divisori interni dei cassetti.

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Quando il colore è Multiplo e sinergico diventa modulo, ritmo, energia. Il design privilegia, più che la singola tonalità, l’accostamento inatteso, l’effetto quasi psichedelico da stampa digitale, il patchwork multimaterico, la stratificazione cromatica di Katrin Cosseta foto di Enrico Suà Ummarino

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A sinistra: President, di Philippe Nigro per Caimi Brevetti, sistema di pannelli fonoassorbenti modulari, sovrapponibili e implementabili, fissati a profili in legno massello. La tecnologia brevettata Snowsound consente di ottenere una correzione acustica selettiva in modo semplice e rapido. Al centro: 36e8 Side Storage di Daniele Lago per Lago, sistema componibile a parete (il nome deriva dalla misura del modulo base) che, per il suo decennale, viene proposto con i fianchi laccati in vari colori. A destra: Multibox di Silvano Pierdonà per Capo d’Opera, sistema di elementi modulari pensili a giorno, fissabili direttamente a parete o con un sistema a spalla portante. Disponibile in 11 varianti di legno e in 47 colori laccati.

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Di Missoni Home, lampada a sospensione con diffusore a sfera in lana a trame geometriche.

Tolò, di Vittorio Prato per Noctis, letto con struttura in legno nella finitura natural o laccato bianco e testata sfoderabile in tessuto rigato multicolor.

Boing, di Karim Rashid per Gufram, sedia impilabile indoor/outdoor con struttura in tubolare metallico verniciato a polveri e seduta in polimero reticolato espanso con coloratura di processo.

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Color Fall, di Garth Roberts per Casamania, mensola a parete e libreria con struttura in frassino naturale, ripiani in mdf laccato e interni decorati da una stampa digitale multicolor.

Mirage, di Matteo Ragni per Tonelli, tavolino con piano in vetro quadrato o rettangolare e base in vetro impiallacciato in tranciato Alpi Arcobaleno.

Layers Cloud Chair di Richard Hutten per Kvadrat, poltrona composta da 545 strati di tessuto Divina di 100 diversi colori.

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CH445 Wing Chair di Carl Hansen & Søn, limited edition celebrativa per i 100 anni dalla nascita del designer Hans J. Wegner, con rivestimento in tessuto Stripes by Paul Smith di Maharam.

Shanty, di Doshi Levien per B.D Barcelona Design, madia in mdf laccato e gambe in alluminio estruso, connotata da ante ondulate con colori e sistemi di apertura diversi.

Rumba di Calia Italia, poltrona con poggiatesta regolabile tramite meccanismo, imbottita in poliuretano espanso e rivestita da un patchwork di tessuto, pelle o microfibra.

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Planophore, disegnato da Edward Barber & Jay Osgerby per Vitra, elemento d’arredo con doppia funzione di divisorio degli spazi e di libreria bifacciale. I pannelli verticali in alluminio verniciato, in composizione monocroma o multicolor, possono essere ruotati a seconda delle esigenze.

Longwave di Diesel Living, bergère realizzata in espanso schiumato a freddo con struttura interna in acciaio e piedi in frassino verniciati nero o grigio. Rivestimento in pelle o tessuto.

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A destra: Brit Patchwork, disegnata e prodotta da Airnova, sedia rivestita da un mix di elementi in pelle cuciti con bordo in rilievo. Sotto: Sonia, di Elena Cutolo per Altreforme, Collezione festa mobile Parigi anni venti, poltroncina in alluminio verniciato.

Plumage, di Vanessa Vivian per Axo Light, lampada da terra o sospensione con struttura in metallo verniciato bianco e diffusori in tessuto Trevira.

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Piccoli Palazzi, di Alessandro Mendini per Driade, sistema di contenitori accostabili in mdf laccato lucido decorati a mano. Disponibili anche composizioni fisse che uniscono tre elementi. In basso: Shimmer, di Patricia Urquiola per Glas Italia,tavolino in cristallo con finitura multicromatica cangiante.

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EnGLIsH TexT INtopics

INteriors&architecture

editorial pag. 1

In Quarenghi’s market pag. 2

Redevelopment is the key word that connects the works of architecture featured in this issue. In its multiple senses, we can limit the field to salvaging, converting, transforming, reinventing. Often also with a typological shift. A Roman quarry or architectural artifacts from history, like the iconic Tour Eiffel in Paris, the market–landmark designed by Giacomo Quarenghi in 1790 in St. Petersburg, or the Police Headquarters of the Jing’an district in Shanghai built by the English in the early 1900s, allow us to discover new figures of interiors that feed on the experimental, innovative energies of international designers, bringing the past back into the contemporary world. Shifting gears, we also analyze two very timely trends in the design production sector. One is that of neuroaesthetics, a new field of study that connects sensorial processes with perception of beauty. This is discussed with reference to the projects of Nendo, a/k/a Oki Sato, who perhaps more than other designers has understood the potential of this approach. The other is the ‘translation’ in aesthetic terms of the relationship between objects and the body. Moving down to the scale of the industrial product, on the other hand, we concentrate on the sense of hearing, reviewing a series of objects designed for the home (lamps, divider panels, furnishings) that add the function of soundabsorption to their tradition purposes. Finally, we offer an interpretation of the color trends seen at the latest Salone del Mobile in Milan. A festival of blues, greens and yellows, a joyful multi-materic patchwork for a high level of chromatic and visual stimulation. Gilda Bojardi In Paris, the Tour Eiffel and the pavilions on the first level, renovated in the project by Moatti- Rivière. Photo Michel Denancé

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project WILLIAM SAWAYA – STUDIO ARCHITETTURA SAWAYA & MORONI with D. Santoro, N. Alos-Palop, R. Lusciov local architect Sergei Padalko photos courtesy of SCF - text Matteo Vercelloni

In Saint Petersburg, Russia, the renovation and transformation of the historic market designed by GIACOMO QUARENGHI in 1790. A landmark facing the Moyka River, carefully converted with compositional inventions into a headquarters for the Sovcomflot Group (SCF) When Giacomo Quarenghi, at the age of 36, a painter and architect from Bergamo, reached Saint Petersburg in 1780, called there by the Empress Catherine, who asked her advisors to find her “deux bons architects italiens de nation et habiles de profession... car tous mes architects sont devenus ou trop vieux ou trop aveugles ou trop lents ou trop paresseux,” foreign architects had already become a customary presence in the city. But the Empress’s request revealed a desire for innovation. Quarenghi, as court architect, brought to Russia – with almost ‘militant’ wisdom and conviction – what was perhaps a rather rigid Palladian interpretation of neo-classicism, encouraging the total conversion of the Tsaritsa to that language. Quarenghi’s procedure was based on a compositional method of skillful collage, assembling eloquent and symbolic moments of the grammar of classical architecture (pronaoi, pilaster strips and columns, tympana, emerging ends, the use of the giant order) distributed on the ‘connective’ surface of the building, which becomes the sober backdrop that gathers the preconceived, schematic unity of independent parts. The result is an architecture that plays with its figurative and symbolic parts, substantially eschewing typological invention, becoming self-referential and impermeable to the idea of seeing the architectural artifact as a founding moment in the construction of the new neoclassical city. But every story has its exceptions, and the work we see on these pages, the public market on the Moyka from 1790, considered a ‘minor’ creation, but one that once contained delicatessens also frequented by the chefs of the court, eludes these rules and appears first of all as an effective urban connection. The triangular plan with rounded corners marks off the space of the streets, resolving the relationship with the river and offering a symphony of unified parts, facades without hierarchy, a sequence of regular arches and a protected plaza, organized inside the architectural perimeter. This approach of architecture of and for the city is picked up in the project by William Sawaya, which reconnects past and present, approaching an abandoned work marked by time and subsequent interventions. Sawaya has carefully restored the facades, taking them back to their original beauty, inventively combining them with new interior figures, and transforming the central space into a courtyard sheltered by a glass roof. The new headquarters of SCF – the maritime transport company whose immense ice cutters, 350 meters long, ply the Northern Sea Route on a daily basis, the alternative to the southern route of the hemisphere connected to the passage through the Suez Canal – was opened this summer, under the gaze of the President of the Duma Sergey Naryshkin, the President of the Russian Federation Valentina Matvienko, the Governor of the city Georgy Poltavchenko and the President and CEO of Sovcomflot Sergey Ottovich Frank. The building is public property, ceded to SCF for a period of 50 years, after which it returns to the city and its office of Fine Arts. The project sets

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Interni novembre 2014 aside one corner of the building for a public cafe, with independent access, and organizes four levels for offices and operations of SCF. Different workspace solutions are applied, avoiding the open-plan typology and the traditional, impersonal corridors, creating balanced, welcoming spaces full of details and a precise materic-chromatic palette. The offices take advantage of the large windows of the facades, while reinventing the internal facades on the covered courtyard. The reception area is located here, a complete architectural feature that stands out from the host space, reached after the entrance, where an arch in exposed brick has been conserved. The new glass roof is paced by a modular metal system of triangles that establish a dialogue with the form of the courtyard. The fronts have been opened and redesigned with severe two-story portals that contain two new metal load-bearing members: studded H-shaped pillars, displayed as strong figurative elements that are reminders, like the large portholes along the connection spaces, of the naval world of SCF. From the inner courtyard stairs ascend with light metal structures clearly inserted as contemporary presences in the historical building, and lit with different colors to reflect the seasons of the year. From the internal court one also reaches the restrooms, displayed in a theatrical way instead of concealing them as usually happens in office buildings. Here Sawaya references his own idea of classicism, in a tribute to Quarenghi’s Palladian approach; the entrance to the restrooms is introduced by two large mosaic walls that respectively, for the women’s and men’s, depict the Nike of Samothrace and Myron’s Discobolus, icons of reference and memory of any classical culture. - pag. 2 Perspective view of the new portholes that evoke naval images connected with the transport fleet of Sovcomflot Group. - pag. 4 Above, left, image of the market designed by Giacomo Quarenghi in 1790, now restored as the SCF headquarters. An old aerial photograph underlines the role as an urban hinge of the building; plan of the ground floor. On the facing page, two new load-bearing metal members used in the internal facades on the covered courtyard. The two pillars frame the entrance to the men’s restroom with a mosaic by Sicis depicting Myron’s Discobolus. Floor in gray quartzite, Bega built-in lighting fixtures, steel and glass door by Forster. - pag. 6 View of the covered inner court, from the brick arch at the entrance. O’S benches in stainless steel by William Sawaya, produced by Sawaya&Moroni; custom reception counter in stainless steel, back wall covered in GKD stainless steel mesh; floor and portal frames in gray quartzite; custom steel roofing structure, lights by Zumtobel. - pag. 8 Above, one of the meeting rooms. Dedar drapes, custom table, Supernova chandeliers by Delta Light, LQ perimeter lamps and indirect lighting by Zumtobel; solid wall covered with drapes in GKD stainless steel mesh; oak flooring by Nordholz. Below, the existing exposed brick arch, enhanced by the new project. - pag. 9 Left, view of a zone of passage with the original mosaic of a floor portion uncovered and protected by a pane of glass. Right, the reception area of the operative zone, custom-designed, covered in stainless steel; Maxima Up chair by William Sawaya, produced by Sawaya&Moroni. Below, view of the library with full-height custom bookcase in oak and stainless steel. View of one of the new staircases with LED railing, glass parapet and custom elevator gantry; panoramic Domus Lift. Walls covered in planks of veiled oak, solid oak flooring by Nordholz.

Oblique architecture pag. 10 project MOATTI-RIVIÈRE ARCHITECTURE ET SCÉNOGRAPHIE

INservice TRAnslations / 103 pavilions, in order to obtain a unified, synergic project. The pavilions, with structures entirely in metal and external cladding in dark red anodized aluminium (the original color of the Tour Eiffel), with glazings paced by new structural grids that blend well with the historical grammar of the monument, are located like their predecessors between the large reticular pillars of the tower. They are joined by the new design of the landings of the elevators, incorporated in striking architectural capsules, again in metal and glass, and the organization of the galerie pèriferique for exhibition spaces. Unlike the previous pavilions, the new firstlevel elements appear to be less like complete small works of architecture, than like parts that try to establish a new type of relationship with the tower; they follow its oblique shape on all sides, blending into its overall movement, the fluidity and ‘stable dynamism’ of the static mass that hosts them. Oblique architecture that jibe with the geometry of Eiffel, the new Ferrié pavilion contains commercial and entertainment functions and a cafe, with museum segments translated into collage walls featuring a selection of objects connected with the legend of the tower; while the Gustave Eiffel pavilion offers a new convention hall, for which the “nouvelle chaise Tour Eiffel,” a stackable aluminium chair, has been designed, produced by Coedition. The slope of the inner facades bending forward from the base, forming a rhomboid section, underlines the central void that is framed, however, by a new flooring segment in transparent glass, granting visitors the sensation of walking in the clouds, in ‘another’ dimension. “Look, object, symbol, the Tower is all that man puts in it, and this all is infinite. A spectacle looked at and looking, a useless and irreplaceable building, a familiar world and heroic symbol, the witness to a century and an always new monument, an inimitable and endlessly reproduced object, it is the pure sign, open to all times, all images and all senses: the unbridled metaphor; through the Tower, men exercise this great faculty of the imagination, which is their freedom; since no history, however dark it may be, has ever been able to take theirs away” (R. Barthes). - pag. 11 View of the first level of the tower with the frontal Ferrié pavilion and the Gustave Eiffel pavilion on the right side. The new project underlines the geometric shape of the new volumes of the oblique architecture of the monumental structure by Eiffel. On the facing page: image of the interior of the Tour Eiffel from street level looking upward; note the new perimeter segment with transparent glass flooring. - pag. 12 View of the convention hall contained in the Gustave Eiffel pavilion; “nouvelle chaise Tour Eiffel” designed by Alain Moatti for Coedition. Below, isometric of the project. On the facing page, the inclined front of the Ferrié pavilion emphasizes the philosophy of reference of the entire project and its assimilation of the geometric design of the tower. - pag. 15 Clockwise, on this page: view of one of the new architectural capsules containing the landings of the elevators; view of the galerie pèriferique; detail of the Ferrié pavilion; cross-section of the Ferrié pavilion, showing the oblique shape of the new construction ‘overlaid’ on the profile of the pillar of the tower, generating a rhomboid figure. On the facing page: the Gustave Eiffel pavilion seen from the new internal balcony connected to the glass floor that functions as a striking frame for the central space.

Reinvented spaces pag. 16

project NERI&HU DESIGN AND RESEARCH OFFICE partners-in-charge Lyndon Neri & Rossana Hu - associate-in-charge Cai Chun Yan photos Pedro Pegenaute - text Antonella Boisi

In PARIS, the overall renovation of the pavilions and the first floor of the TOUR EIFFEL. An architectural project carefully grafted into the intricate oblique geometry of the tower, also underlining its symbolic value

In SHANGHAI, DESIGN REPUBLIC COMMUNE: a flagship store, a center for exhibitions and events, a place to relax, eat and drink. And a perfect stage for the collections of Neri&Hu, who have done the overall design. Emotional experience in thematic areas, the encounter between East and West, and the historical memory of the place

Roland Barthes, in his essay La Tour Eiffel (Paris, 1964), alongside a semiotic and symbolic interpretation, underlines the tower’s figurative character, observing that in its connection to the ground “the exaggeratedly oblique insertion of the metal pillars in the mineral mass; this obliquity is curious insofar as it gives birth to an upright form, whose very verticality absorbs its departure in slanting forms, and here there is a kind of agreeable challenge for the visitor.” Barthes points out that during the ascent the visitor sees how this “rectilinear form, consumed in every corner of Paris as a pure line, is composed of countless segments, interlinked, crossed, divergent: an operation of reducing an appearance (the straight line) to its contrary reality (a lacework of broken substances), a kind of demystification provided by simple enlargement of the level of perception.” This compositional character of the symbol of Paris, icon of France for the entire world, opened in April 1889 to celebrate the centennial of the French Revolution and, at the same time, the magnificent, progressive destiny of the Universal Exposition, and bitterly criticized by certain artists and writers of the day, is the focus of the successful intervention on the first level done with contemporary sensibility and sensitivity to history by the studio Moatti-Rivière, winner of the design competition, alongside the finalists Rudy Ricciotti and Finn Geipel. The symbolic building, “useless and irreplaceable” monument par excellence, as Barthes points out, establishes “a subtle concurrence between the horizontal and the vertical: rather than creating a «barricade» the crosswise lines, most of them oblique or rounded, arranged in an arabesque, seem to give thrust to the elevation; devoured by the height, the horizontal never takes on weight; the very platforms are simply stages for rest; everything rises in the Tower, up to the slender spire that pierces the sky.” This is the tension we should keep in mind to understand the reasons and figures of the project shown on these pages. At the first level, on the platform, the three raised pavilions have had different solutions over time; from the original spindles in the grammar of the arabesque of Eiffel to those of the 1937 Art Deco by André Granet, all the way to the ones by François Dhôtel covered with mirrors in 1981. Nevertheless, a functional update was also needed, to transform the visit to the tower into a new experience, which precisely at this first level, according to Alain Moatti, “offers the best view of the city, at a height of 57 meters from the ground. From this level it is possible to appreciate all the monuments of Paris. In fact, the first floor belongs to the city, while the second and third are part of the sky.” The project is based on the complete reconstruction of two of the three pavilions, and the conservation of the third, involved in the recent project of the 58 Tour Eiffel restaurant, conserved but covered on the outside in keeping with the compositional solutions and materials of the new

China is very close to Italy and Milan, the capital of design, fashion and food, at least in the minds of Lyndon Neri and Rossana Hu, architect-designers based in Shanghai. The studio Neri&Hu is known as one of the most interesting on the international scene, as is proven by many prizes and honors, and by the furnishings they have designed for leading Italian companies, as well as crafted collections of traditional Chinese furnishings, reinterpreted in an original way. The studio has also done outstanding renovation projects, such as the Waterhouse Hotel created in a former military building from the 1930s, or the Mercato Italian restaurant on the Bund. For years, the two have combined design work with teaching. They explain that Chinese architects need to develop their own independent manifesto of design, and they emphasize the value of conservation and reuse, not to be taken for granted in the Orient. In the project shown here they have managed to do something more, ‘squaring the circle’ to offer a new proposition. They have restructured a historic colonial building with severe red brick facades built by the English at the start of the 20th century, in 1910, as the Police Headquarters of the Jing’an district, restoring its charm and granting it a new life. It is conceived as a design hub that comes to terms with the memory of edifice, reinventing its spaces in a radical functional transformation, with the idea of translating the encounter of East and West into interior design. In the 2400 m2 known as the Design Republic Design Commune (the name is already a program) high-end design stores are gathered (including many Italian brands, from Alessi to Flos to Matteograssi), along with a design gallery to display the collections of the brand Design Republic by Neri&Hu, an event space, a cafe, a restaurant run by the chef Jason Atherton (Michelin star) and a small guesthouse with one room. A sum of signs, objects and atmospheres organized, together with the choices of the materials and the layout, in a choral approach to the contemporary image of the place. “On this stage the furniture, accessories, books, fashion pieces, lights and flowers are the actors, conveying the sense of the discovery of differences, experimentation, care for spaces based on materials, details, aromas and readings,” Neri & Hu explain. The goal? “To demonstrate what the world of design can offer to China, to inform and educate local designers and consumers, helping them see things from a different perspective, beyond the clichés of the market. And also, one day, we hope this place can display what China can offer to the world.” The proposal of a shopping experience filtered and integrated in theme areas takes the force of tradition and the style of the place into full consideration. The still vibrant red brick facades of the original architecture (protected by heritage regulations) have been cleaned and given a lighter images towards the street thanks to a glass perimeter paced by an elegant structure in raw iron, a new

photos Michel Denancé - text Matteo Vercelloni

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104 / INservice translations volumetric appendix-prosthesis that activates the building, staging its new functions. In the interiors, after a delicate ‘surgical operation’ that frees the enclosure from elements added over the course of the years, including some floors and slabs no longer needed in a situation of greater openness, the space reveals its original structure, with wooden boards for the ceilings and crossed salvaged beams, exposed brick and whitewashed plaster surfaces. A ‘crude’ constructive character that blends nicely with the floors in seasoned wood, terrazzo or cement, the furnishings and the glass lamps that hang from the rugged ceiling. And above all with the new, essential transparent glass partitions that offer glimpses and ongoing relationships between the parts, in a rhythmical play of openings that allow light to enter from every angle on the three levels of the building. In pursuit of new balances between old and new, stories and presences from yesterday, today and tomorrow. - pag. 16 The spatial breadth of a zone of passage inside the store is underlined by the materic palette (exposed brick and recycled wood) that respects the genius loci, harmonizing with the new grafts in transparent glass, raw metal and white paint. In the foreground, Double Shade floor lamp by Marcel Wanders for Moooi. On the facing page, the contemporary image of the restored street facade updates the historical memory of the place by integrating a glass perimeter paced by a light, elegant raw iron structure. The volume ‘in gray’ contains the cafe space of the store, opening to the internal courtyard. - pag. 18 The balanced orchestration of the stagin reveals the original structural character of the spaces, with clear indication of the old and new parts. In the drawing: ground floor plan. - pag. 19 In the spatial setting the glass cascade of the 28.28 Suspension Lamp by Bocci (design Omer Arbel) meets the white graphic effects of the Stool One by Konstantin Grcic for Magis. View of the cafe space inside the store.

ComInG Home pag. 20

interior and lighting design MATTEO THUN & PARTNERS Arch. Matteo Thun, Luca Colombo, Massimo Colagrande, Laura Parolin furnishings designed by Matteo Thun and Antonio Rodriguez, Massimo Gattel photos courtesy of Matteo Thun & Partners - text Antonella Boisi In Verona, the UNICREDIT branch of the future reflects a new interior design concept developed by Matteo Thun: to make going to the bank a bit like coming home First of all, openness. The bible of the new approach called for openings, transparency, permeability of spaces. “It communicates a positive sense of wellbeing, proximity and trust,” says Matteo Thun, the designer from Alto Adige residing in Milan, who together with Luca Colombo and a team of architects from his studio has developed the innovative concept for the image of the branch offices of UniCredit. The goal: to imagine a sort of ‘Glasnost’ capable of combining “the world of the office and sophisticated contemporary high-tech tools with the world of the traditional living space, transmitting a sensation of comfort and reliability, already perceptible in the outdoor-indoor dialogue.” In other words, as in a slogan: going to the bank is like ‘coming home.’ No small feat in the era of online banking, but also an era of anxiety and austerity. Customers can count on a place that transmits a sensation of sympathy, welcome and democratic informality. To build loyalty and to reassure people on a psychological plane. Thun was the right man for the job. His architecture and interior design have always focused on principles of sustainability, the aesthetic and long lasting value of things, clean forms and materials, respect for the spirit of the place. This approach, summed up in the formula of the Three Zeroes (Zero km, Zero CO2, Zero waste), has become a school of thought and a key of recognition on an international level. This project was a second attempt. For the very central branch on Piazza Bra in Verona, 400 m2 in the courtly setting of Palazzo Ottolini Vaccari, a work of architecture from the late 1700s designed by Michelangelo Castellazzi and inspired by Sanmichelian models, begun in 1784 and completed in 1814, not far from the Arena, the Adige and Porta Borsari, Thun has applied the guidelines of the first pilot project, the flagship unit created inside the recent high-tech UniCredit Tower by the Argentine architect Cesar Pelli, at Piazza Gae Aulenti in the heart of the Porta Nuova area in Milan. A model ready for replication in different ways, to adapt to other situations. “Our concept of fluidity and flexibility of spaces has helped us here,” Thun says. “In fact, in a perspective of fusion of heterogeneous stylistic elements, we have included many iconic freestanding furnishings, adapting to the needs of the container, with its complex irregular layout: lots of little rooms, niches, passages and often eccentric angles, large glazings on two sides, lots of windows on a third side and then majestic arches and portals with frames in Giallo Siena marble, historic heritage of the place; like the floor in Palissandro marble and the curious mosaic wall clock, which has been restored but unfortunately is no longer working.” Specifically, for the image of a friendly bank, a hybrid between an “office and a shop” to reach clients capable of getting their bearings without “corporate signals” amidst “smart waiting areas” and express banking zones, with “easy access to services,” Thun has once again turned on the red of the corporate identity with skillful dynamic counterpoint, orchestrated with vertical and horizontal elements that define the composition. The warmth of the natural materials, be they domestic or office-like, sets the tone. The furnishings (chairs, armchairs, desks, tables, lamps) and the partitions, already tested in the Milan facility, again feature oak combined with white surfaces, that neutral white that is also used as a uniform finish of the walls, balancing out the force of the existing salvaged marble. “The height of the ceilings also allowed us,” Thun continues, “to easily install the divider partitions in glass, supported by wooden frames, that organize small meeting rooms with greater privacy, and individual consulting rooms that include video conferencing. All with a sense of ample space.” Particular attention has gone into the factors of acoustic and visual privacy, to soften the “workspace” effect as much as possible. The space suggests a sensory condition that becomes sustainability: “To see: with daylight perception; to touch: with materic substances; to hear: with acoustics improved by wood and a sound-absorbing ceiling.” Along with curtains, fabrics, soft coverings, carpets. The coherent staging is underlined by the use of cotton canvas, for curtains and drapes, giving each zone the image of a discreet salon for conversation, a parlor, as in traditional homes, where the seats are often upholstered pieces, and the tables reflect the lines of classic pieces of Italian design. The golden glow of lamps and chandeliers produces a quiet, soft mood, never institutional, never forbidding.

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- pag. 21 The visual openness of the spaces is underlined by the Giallo Siena marble profiles of the round arches that form a perspective channel for the setting, filled with furnishings and materials that alternate between office and living decor. Suspension lamps by Flos. On the facing page, view of Palazzo Ottolini Vaccari, a work from the late 1700s by Michelangelo Castellazzi, which concludes the series of buildings on the western side of Piazza Bra in Verona. The large perimeter glazings offer an overview of the activities of the branch office from the outside. Note the series of arches that return in the internal spaces, framed by the original Giallo Siena marble, with portals and floors in Palissandro marble. Wood and white are the protagonists of the structural details of the custom furnishings. Swivel chairs by Interstuhl, desks by Roversi. - pag. 22 A smart waiting area. Supertuft carpet, Abaco tables by Pianca, gray and red Serie50 armchairs by Antonio Rodriguez for La Cividina. Arba floor, table and suspension lamps with wooden shades, designed by Matteo Thun and Antonio Rodriguez for Belux. The white suspension lamps are by Flos. Note the intriguing mosaic wall clock that has been restored, a historic presence in the place. - pag. 23 View of the glass boxes with wooden frames that form the meeting and consulting rooms inside the bank branch.

A painting on the landscape pag. 24 project studio di architettura MASSIMO BENETTON photos Marco Zanta - text Antonella Boisi An exclusive country villa between Treviso and Venice, the result of sensitive restructuring of a work of architecture from the 1970s, sums up the relationship with the context in a work of great spatial quality. With an accent on perfect execution It was a villa from the late 1970s in the country, not far from the city of Treviso. A large space, over 1000 m2, immersed in a splendid park dotted with oak, cherry and willow trees, hydrangeas and strawberry trees, typical plants of the Veneto. It has become a house with an incisive, clean, essential image, that stands out in the reorganized landscape in a setting of compositional unity, making the constant dialogue between nature and architecture into the fundamental asset of its design philosophy. A linear, longitudinal body, in relation to the grassy parterre of the park, the terrace with a relaxation area at the back, and the entrance zone towards the street. The pedestrian entrance, at the center, is framed by an ornamental pond and a series of steps; the vehicle drive, to the side, leads to a sloping ramp that directly enters the house. Then come rigorous and fluid sequences of volumes and spaces, underlined by the quality of the materials utilized and the white treatment of every external surface. A double or single pitched roof covered with zinc-titanium shingles echoes the profile of the rural constructions of the zone, updated by the grafting of an upper walkway. In short, this renovation focuses on the line between terrain and horizon, developed in phases by the architect Massimo Benetton, who has managed to succeed in a mission that seemed almost impossible at the start of the worksite: to disguise the design and constructive effort behind the work, intervening more with a scalpel than with a pencil; at times simply suggesting choices, like the photovoltaic system installed a posteriori by the client. “The aim, in any case, was always very clear: to bring light, greenery and water, the fundamental elements of human life, to the center of attention and spatial thinking, leaving nothing to chance, and then making the technical perfection of the details into the true channel of creative input,” he explains: “From any part of the house one has views of the park, today, with large windows that frame it like a painting. The external landscape has become an integral part of the life inside.” While sensitive listening to the context and the passage of the seasons is a characteristic of many of the works of this Treviso-based architect, a graduate of the IUAV University of Venice with a proud surname that can also be a challenge all over the world, and experience working with outstanding architects like Afra and Tobia Scarpa, and then Tadao Ando in Japan, this project is clear evidence of his talent. The existing features of the context have been respected, in the general layout, below and above ground. The basement level contains the garage, technical spaces and a wine cellar, while the upper spaces host collective and private zones, combined with a wellness area that includes a swimming pool, a fitness zone, and a sauna and Turkish bath in two prefabricated blocks clad in white marble. Benetton goes on: “The layout has not been altered, and the existing functional scheme has been maintained. The exposed brick masonry has been conserved, painted white to create chromatic order. The internal and external walls of the cylinder that contains the spiral staircase in the living area have been eliminated, so its nude reinforced concrete structure becomes the central feature of the space. The volume of the fireplace in the living room, which was also already there, was a rather invasive feature in relation to the whole, so it has been reinterpreted as a simple opening framed in Cor-ten and then integrated with a structural wall, in concrete, like the staircase.” A few gestures, then, gauged by a series of contrapuntal features and continuous face-offs between purist materials –concrete, oxidized iron and glass – of austere elegance, on a stage with teak floors, allow Massimo Benetton to bring out the relationship with the history of the place, restoring its patterns in an order free of license and superfluous signs. A talent for control that becomes theatrical vision when beyond the concrete wing new entirely glazed transparent walls appear, making the greenery the protagonist of the interiors; then visual sequences that are conceived as optical orientations, paintings that frame the landscape; and, finally, the figurative lightness of an iron staircase, bent like a sheet of paper, which with its metal support lines seems to float in space and then attach to the slab of the upper floor, which contains a zone for guests. The furnishings display the same rigorous approach, with a number of custom pieces: from the long Cor-ten dining table, a minimal addition to the open landscape of the living are, to the total white kitchen, completely customized, all the way to the solution of the island bed in the master bedroom. The lighting design, unobtrusive and carefully balanced, completes the performance. The place is charged with poetic tension, especially at dusk, when the lights enhance the imagery of the park. - pag. 24 On the southern side, the architecture of the facade makes big new windows the leading feature, with frames by Panto that permit a continuous indoor-outdoor dialogue, including the terrace organized as a lounge area. During the reconstruction an outer insulation coating was made for the building, which dates back to the 1970s. On the facing page, the entrance facade of the house with the stepped basalt walkway and the ornamental pool that form the theatrical pedestrian route, created on the grassy parterre of the park. The zinc-titanium shingles of the roof were supplied by Tegola Canadese. - pag. 26 The living area has become an open, continuous

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Interni novembre 2014 space whose fluidity is underlined by the uniform teak flooring (supplied and installed by Panto). The space is luminous thanks to the entirely glazed walls, for a panoramic view of the natural setting, particularly the hydrangea hill. Note the central figure of the cylindrical volume that encloses the spiral staircase, an existing presence reinterpreted by allowing its reinforced concrete structure to emerge. Eli Fly chaise longue by Désirée and Eco wooden tables by Riva 1920. - pag. 27 The dining area, featuring a partition of exposed brick painted white, contains a cantilevered table in Cor-ten, designed by the architect, accompanied by the Furin suspension lamps by Rotaliana. The dining area organized outside, under a pergola made by hand using iron girders and wood, communicates directly with the existing fireplace for cooking. In the drawing: ground floor plan. - pag. 29 The existing fireplace has been transformed into an essential opening in Cor-ten, set into a structural wall, made in exposed concrete, like the spiral staircase. An outstanding presence in the living room, with corner upholstered furnishings by Baxter. The double-face Cor-ten bookcase, designed by the architect, contains the TV screen on one side and functions as a filter between zones. The new freestanding shaped iron staircase connecting the ground and first floors (with a guest area on the latter), becomes a light, minimal figure in the domestic landscape. To the side, a lounge area with vintage armchairs. View of the total white custom kitchen, designed by the architect, produced by Sumysura. The tiles are in DuPont Corian. - pag. 30 The master bedroom is in white, with wood, and features openings for selected views. In the drawing: elevation of the western side. - pag. 31 The master bath, an enclosure clad in white Sivec marble, conceived like a painting formed by the landscape. Opalia hydromassage tub by Jacuzzi, faucets by Hansgrohe Axor. View of the wellness area with the swimming pool, the Turkish bath and the sauna, two prefabricated volumes clad in Perla Maia stone.

BrIDGe House pag. 32

project PAUL DE RUITER ARCHITECTS photos Jeroen Musch - text Laura Ragazzola Built like a bridge that extends for 40 meters over a body of water in the Dutch countryside: the house, part of a wider-ranging project of renewal of the rural landscape, becomes a system of sustainability and architectural innovation in its own right The name of Villa Kogelhof is already striking. In Dutch, in fact, ‘kogel’ means bullet and ‘hof’ means courtyard (it is said that during the excavation old lead bullets were found, because at the end of the 1700s this patch of land in the Dutch countryside was the site of a bitter battle between Holland and France). But Villa Kogelhof has also struck the jury composed of 200 architects of the prestigious American Architizer A+ awards for 2014, taking first place in two categories (sustainability and single-family homes), also gaining praise from by popular acclaim through votes on the web platform, thus becoming the only project on which the views of the ‘web audience’ and the jury of architects coincided. The owner of the house, Ton Zwijnenburg, a Dutch produce magnate, was also surprised when together with the architect Paul de Ruiter he won the Dedalo Minosse International Prize, a unique honor that puts the accent on the client: the goal of the prize, in fact, is to demonstrate that quality architecture can happen only through an exemplary client-designer relationship. This is just what has happened with Villa Kogenhof, as narrated by its architect, Paul de Ruiter, the Dutch designer who operates on an international scale from his (eco) studio in Amsterdam. Did you get along well with this client? Absolutely. It was a fertile relationship: with Ton we worked as an exceptional team. We were on the same wavelength: we shared courage, determination and also the honors! How did the idea of a house like a bridge over the landscape come about? The client’s objective was to create an abstract, clean form that would not ‘disturb’ the nature. This is why I thought about a transparent, neutral glass box, placed orthogonally on a concrete base that contains a lake. The formal result produces two parallelepipeds: one below ground, the other floating, supported by two ‘legs,’ a V-shaped pillar and the staircase module that offers access to the interior. How does the house establish a dialogue with the surroundings? The villa totally ‘belongs’ to the landscape. The challenge was to insert the building in the context of a wider-ranging project of territorial renewal: I am talking about the Zeeland area (a province of southwestern Holland). Ton, the owner, had played an active role in this project, planting as many as 70,000 trees and creating a lake that has become the habitat of many wild animals. In exchange for this, he was granted a permit to build his own home... And of course the house had to have particular formal and constructive characteristics… Naturally. The choice of glass makes the volume light, granting complete transparency for light and landscape. The house looks out onto nature, with large floor-to-ceiling glazings, for great views of the countryside. But Villa Kogelhof respects nature in other ways as well: it is a 360-degree sustainable construction because it produces its own energy, heats its own water and recycles its own waste. In short, it has almost no environmental impact. - pag. 34 Large glazings run along the entire perimeter of the house, extending from floor to ceiling (on the previous pages). Inside (above), sliding panels and drapes create more intimate ‘islands’ depending on needs, while leaving the landscape in full view at all times. Above, plan of the first level of the house, containing the residential zones designed for four persons. The house extends over a pool of water inside a basin in reinforced concrete. Left, bird’s-eye view of the agricultural area where the house has been built: not the large L-shaped lake transformed into a nature reserve open to the public. - pag. 35 The only masonry volume of the building is the stairwell for access to the first level. This is also a structural member, because together with a steel pillar it raises the building to a height of four meters above the water.

The space of light (and joy) pag. 36 project JOSÉ MARIA SANCHEZ

photos Pedro Pegenaute - text Laura Ragazzola In the Estremadura of Spain, an underground (and forgotten) water tank, below a hill, is unexpectedly transformed into

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a multidisciplinary space full of life, entirely for young people. The winning move? Making holes “When we made the first hole in the thick vaulted ceiling of the cistern we were amazed, almost as much as the teenagers for whom the space was made. Because before our eyes a very beautiful, secret place full of charm and mystery appeared. It was perfect for what we wanted to do: to make a recreation area for kids. As soon as the light entered the big empty water tank we saw things take form: a place to do film and theater, to play and learn music, a place to work with clay and to paint, to set up exhibitions and organize performances, a place to teach and above all to learn, with joy and pleasure.” Passionate words spoken by José Maria Sanchez Garcia, designer of the ‘Space of Young Creation’ thanks to a public commission received from the city of Villanueva de la Serena, a flourishing agricultural and commercial center in amidst the gardens of the Spanish Estremadura. The architect, who has won many prizes in spite of his youth (at age 39, his latest honor is the BSI Swiss Architectural Award, received in September at the Architecture Academy of Mendrisio, from the hands of Mario Botta), welcomes us for an interview in his small but very luminous studio overlooking the rooftops of Madrid with a large entirely glazed facade. “In about twenty towns of the Estremadura,” Sanchez explains, “the municipal governments had decided to make multidisciplinary centers for young people. My studio was called in by the city of Villanueva de la Serena: the project covered an area of 500 sq meters, abandoned for many years, to redevelop on a rather tight budget. When we visited the site we discovered the existence of an old water tank, partially below ground: a very beautiful construction, with an orderly and wellconserved structure, and space of almost 1600 sq meters: three times larger than what the project required. The city authorities had nothing against making the project bigger, incorporating the old tank, as long as the budget remained the same. And we agreed.” The strategy of the project was to clean up the structure without altering its forms, as the architect explains: “The old cistern was composed of two large zones, completed by an octagonal tower that protruded beyond the underground volume of the tanks. We decided to join the two ‘rooms’ with circular passages, opening portholes in the vaulted roof of the cistern to create luminous spots.” The result is a sort of large covered plaza, whitewashed, where the geometric rhythm of the porticoes and the play of the portholes with the blue sky create great theatrical impact, an unexpected space, full of magic: this is the area for all the collective activities of the young people, while circular polycarbonate modules provide more secluded spaces for individual lessons and small groups. “Finally,” Sanchez Garcia concludes, “the compact, cylindrical space of the tower has been transformed into a soundproofed area for the use of musical instruments, next to workshops for photography.” The vitality of the project lies in a single, simple but powerful gesture, successful functional characteristics and formal quality of great impact: this ‘formula’ sums up the stylistic approach of the young Spanish architect, capable of great verve and sensitivity in the interpretation (and renovation) of the environmental context. - pag. 36 The former water tank now contains a large whitewashed space with rounded columns. On the ceiling, a series of portholes cut into the vaulted ceiling create evocative cones of light. - pag. 37 To the side, the plans of the project and, below, the present state. Note the two cisterns, originally divided, connected by multiple openings that can be closed by sliding panels (one can be seen to the left, in the background). The octagonal tower has been broken up into multiple spaces for music and photography workshops. - pag. 38 Polycarbonate modules with a steel structure punctuate the large spaces of the cistern (on this page), creating more intimate and private ‘rooms’ for individual lessons and small groups. - pag. 39 The photographic collage on this page shows the transformation of the large cistern from a dark, cramped space to a sort of underground plaza full of life and light. Above, worksite phases with the installation of the physical plant systems, the portholes in the ceiling and the circular openings connecting to the two main zones. Below, moments of activity in the new center, featuring performances, concerts, exhibitions and encounters.

Amidst the stones of a Roman quarry pag. 40

project ALLESWIRDGUT ARCHITEKTUR ZT GMBH photos Herta Hurnaus - text Matteo Vercelloni In St. Margarethen, Austria, the conversion of a stone quarry into an outdoor opera house. The reuse and renewal of a portion of landscape exploited by man, now offered to the art of music The project of land architecture shown here is connected to the vast panorama of musical events of the region (Burgeland, a corner of historic Pannonia, birthplace of two great European musicians: Franz Liszt and Franz Joseph Haydn), including the Opera Festival of St. Margarethen (www.ofs.at) organized every year in August in an old Roman stone quarry converted to make an outdoor theater complex by the architecture studio AllesWirdGut. The project of conversion of the quarry, with vertical walls of stone sculpted by centuries of cutting, into a space for opera takes the place and its morphological and historical characteristics as ‘monumental’ elements with which to establish an open relationship. An approach of reuse and cultural revitalization of a landscape often considered an irremediable scar. A design process that offers a possible methodology to follow in order to operate, with appropriate care, in the context of a still imprecisely defined discipline, that of ‘landscape restoration.’ The quarry, recessed with respect to the level of the surrounding land, lends itself to use as a concert facility because it is enclosed and bordered by walls of rock that reflect and capture sound waves. The project conserves the orographic nature of the site, addressing issues of access, of the ‘descent’ from above, creating a new landscape of routes, translated into architectural episodes connected by parts, which rejecting any attempts at mimesis stand out from the natural setting. From the parking area above, two paths of reference lead downward, with that of the actors and musicians to the right, leading into a narrow canyon that skirts the linear building of the backstage areas with a facade of sliding wooden shutters, and a body clad in panels of pale fiber cement, a facing material also used for other constructions in the complex, in tune with the color of the quarry. To the right after the entrance volume a zigzag raised path of descent leads to the space below. A system of walkways with a double balustrade in Cor-ten and wood on the inside, like a ribbon, provide a

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106 / INservice translations strong landscape image that emphasizes the shift of levels, a striking compositional solution that stands out against the rocky surfaces of the backdrop. On the lower level the service buildings like the cafe and the restrooms for the public, together with the stages, mingle in an architectural synergy as parts of a new quarry landscape that firmly combines history with the contemporary dimension. - pag. 40 View of the quarry and the suspended architectural walkways from the pedestrian access at the top. - pag. 42 View of the seating with the vertical rock walls and the Cor-ten walkway suspended against the background. The entrance building with part of the facade covered in Cor-ten. - pag. 43 The canyon with the path of access to the building containing the backstage facilities; the facade has overlapping sliding wooden shutters, and cladding in pale fiber cement.

INsight/ INarts

WaDe GuYTon pag. 44 by Germano Celant

After the expressive and materic vehemence caused by the spread of freedom of gesture and personality connected with American Action Painting and the European Informal, the generation after World War II tends to distill the subjective and heroic manifestations of art. The attempt is to get beyond the exuberance of individual assertion, from Jackson Pollock to Lucio Fontana, to guarantee an artistic object, a thing produced that bears witness to an indifference, a detachment from the bodily action of the artist. The umbilical cord is broken between work and operator, to seek a mutual autonomy that leads to spectacularization of the gesture through Happenings, and to the self-construction and self-display of the object, from the Achromes of Piero Manzoni to the kinetic and op constructions of programmed art. The great ‘formless’ representation of the expressive power of the human being is replaced by a ‘putting into form’ of its absence, so that art can be constructed without his manual participation. The artist starts to abstain from personal and bodily projections, relying more on a ‘project’ or an ‘ideation’ that can be translated into something by others, be they human or industrial makers. Something impersonal and inexpressive that excludes the indulgence and emotions of the protagonist in favor of the visual image and plastic construction. It is a passage fully marked in the fullness of the proposals of ‘recording’ of everyday icons, conducted through a process of recording, from projection to screen printing, from Roy Lichtenstein to Andy Warhol, and of project construction, where the artist assigns the work to others, from Donald Judd to Dan Flavin. A process that gets more extreme with the advent, in the 1970s, of the use of photography, video and film, making the narrative in images increasingly mingle with the linguistic instrument, from Jeff Wall to Bill Viola. The latest phase of this assertion of ‘detachment’ that relies even more on the new ‘prostheses’ of communication is the result of the flatness, which is a different fullness, of the new digital and electronic tools, including computers and printers. A successive passage that is one of mature evolution: something that helps to get beyond the ultimate ‘inconsistency’ or immateriality of the artistic process, and another phase of the dissolving and challenging of expressive abundance and the reliance on the self professed in the period from the 1950s to the 1990s, from Abstract Expressionism to Neo-Expressionist painting and socio-romantic figurative art. It is also a chance to get back to the question about whether the vision of things, conducted by artists, has to rely on the concern with or attachment to ideologies, or rather reflect the essential of a situation in progress. To make the artistic thing coincide with a reaction to the stimuli that come from outside and set the world in motion, or to get away from a particular viewpoint and to ‘record’ and ‘communicate’ what is happening, not reducing the possibilities of saying and expressing, but rooting them instead. A deployment, without intervening and without self-indulgence, like that of Christopher Wool, the ornate rhetoric and basic constants of looking and telling. This procedure is taking technical virtuosity to an extreme, as if art were attempting to reach perfection not for its visual effects, but for the similarities with new technologies. At the same time, we might say that the present practice strives for maximum simplicity in making art, as if the goal were maximum concentration not on materials but on the decision to rely on a system of ‘traces’ that renounces any aura, calligraphy, dreaminess, solitude. This is the detachment demonstrated by Wade Guyton when already in 1998-1999, at time of his first solo show, he occupies the space of the Times Square Gallery with a large box covered with linoleum. This is the first statement of a visual and volumetric concern that passes through a ‘full’ image, that of the floor, but one that is ‘empty’ in terms of expression, since it has already been produced by others, or by another machine. It is a movement done through the ‘canceling’ of the centrality of the artist creator, in order to exploit the ‘void’ of an industrial imaginary. The action is aimed at concentrating on the quality of a common and almost insensible sense, as in pursuit of an absence of signs or situations, almost as if to suspend the attention to the new and the creative: something flat and insignificant that is found in the industrial product. To design the occupation of a space or of a surface to develop its intrinsic identity, like that of replacing, in the exhibit territory of the project space of the Andrew Kreps Gallery1, in 1999, office furnishings with ‘exhibit-able’ objects, and using the backoffice for a plexiglass sculpture, a partition in black plywood and a photograph that documents an entrance to a corporate building. Small facts that have to do with the absolute reality, without qualities, of materials and places. An ordinary and banal set that is deployed, with great control, to draw attention to something insignificant. It is a way of overturning values for the purpose of evoking the power of the essential, the cold and impersonal, transparent and corporate, that has to do with the present and its tools of communication, production and visualization. Guyton lingers over this endless source of images and processes, relying first on the impersonal nature of materials like plexiglass, wood, plywood, no longer utilized and transformed, as happened with the Minimal artists, but piled up like the inert stuff of an anonymous visual quality. So what he does is to reject the invitation to modify them, in order to ‘produce without producing,’ to make art without making it, to avoid a unique, exclusive individuality, letting things generate themselves. The same thing happens with the photo clippings taken from magazines that become an endless source of images on which to work. A limited yet timely landscape that can be transformed without acting. How? By taking the distance from manual intervention and the artifact to an extreme, the artist ‘discovers’ in 2002 the liberat-

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ing power derived on its own from the program Microsoft Word. Printing an X in a selected font on the images, in this case Blair ITC medium, the stage of non-differentiation of the image underwent a mutation, though a minimal, indirect one. This was the discovery of a way of ‘drawing’ free of his participation, if not in the minimum gesture of setting up the printer and pushing the print button. The art took care of itself. The not creating, not producing and not acting had been reduced to its essence, and only the choice of times and font, of technical errors and ink could lead to results with which Guyton could say he was satisfied or not. It is almost a discovery, if not a revelation, for which the sense of art is projected only inside its making, which has its roots in a digital tool: a fullness that is coherent with today’s technical language. From this moment on painting abandons any hypothesis of the brush, the thinner, the tubes of paint, the easel, watercolors, oils, frames, stretchers, cans, and trusts in machines and tools that do not belong to the tradition of art, like the computer, the printer and the operating system. The propensity is towards an extreme result obtained with maximum simplicity and lightness, without physical or intellectual effort, other than those involved in the choice of the image to insert in the scanner, in the programming and selection of the result. Something unfolds before our eyes, shines through and emerges in the impregnation of an image from a screen or a magazine that is the effect of digital ‘denotation.’ Starting in 2006, with the exhibition at the Friedrich Petzel Gallery in New York, the discovery of the Epson Stylus Pro 11880 printer leads to a leap of scale and the creation of new vertical and horizontal ‘images,’ single or in pairs, that generate themselves through the new tool. They are ‘paintings,’ often on linen, that gather various iconographic repertoires, from fire to stripes, letters to posters, done in Photoshop, that communicate a ‘passage’ of ‘painting’ i.e. of ink. A transition and an acceleration of the visual process that reveals, as also documented by his retrospective at the Whitney Museum of American Art, New York, in 2012, the ‘speed’ of production and thought, the true authentic value of the present. At the same time, this procedure reveals the aspiration to underline the absence of the protagonist, of individualism, the neutrality and inexpressive quality of an inevitable existence of contemporary art. It is a dominant feature of our creative development, that relies more and more on technologies, which are understood and viewed in their flatness, as well as their potential. Entities that do not offer something remarkable, if not the expression of a distilled, mechanical, clean and lucid ‘non-expressiveness’ in which Guyton puts the accent on its possible appreciation and powerful aesthetic orientation. 1 Scott Rothkopf, Operating System, in Scott Rothkopf, Wade Guyton OS, exhibition catalogue (Whitney Museum of American Art, New York, 4 October 2012 - 13 January 2013), Yale University Press, New York 2012, pp 9-47. The theoretical and informative path of this essay is based on excerpts and descriptions of this short contribution. - pag. 44 Installation view of Wade Guyton OS (Whitney Museum of American Art, New York, 4 October 2012 – 13 January 2014). Photograph by Ron Amstutz. - pag. 46 Wade Guyton, Untitled, 2006. Wade Guyton, Untitled, 2002. - pag. 47 Wade Guyton, Untitled, 2010. - pag. 48 Wade Guyton, Untitled, 2004. - pag. 49 Wade Guyton, Untitled, 2008. Wade Guyton, Untitled (CAT. 4 CAT. 7), 2006.

INsight/ INscape

Places and exhibitions pag. 50 Interview with Andrea Branzi by Olivia Cremascoli

Until 25 January, the MUSÉE DES ARTS DÉCORATIFS ET DU DESIGN OF BORDEAUX presents PLEASED TO MEET YOU, the first solo retrospective by ANDREA BRANZI (born in 1938). The exhibition sheds light on the value of the work of this architect and designer, along with the theoretical role he has played in the second half of the 20th century and the start of the 21st “Pleased to meet you” gathers and presents, in a very original way, from all the work of Andrea Branzi, a selection of 150 pieces from national and international institutions (Italy, France, Belgium, Portugal, Germany, the United States) and, obviously, from the designer’s Milan studio. Due to its importance the exhibition has not been organized in the Musée des Arts Décoratifs et du Design of Bordeaux, but extra-muros, first of all in that magnificent space that is the former church of Saint-Rémi, built from the 11th to the 15th century, with exhibit design by Branzi himself. Struck in particular by the monumental volumes of the former church that was transformed into a cultural space in 1998, Andrea Branzi has subdivided it into different zones, thus managing to give different rhythms to the various exhibits. The Musée des Arts Décoratifs et du Design has also invited different institutions in Bordeaux to take part in this cultural event focusing on Branzi: therefore, the Arc-en-Rêve architecture center has invited Branzi to narrate No-Stop City, 1969 (the theoretical project of a diffused metropolitan system), while the Ecole des Beaux-Arts is showing work done by his students, to better understand the theoretical writings of the designer. Finally, the Maison Eco-citoyenne, in collaboration with CREAC (Centre régional d’eco-énergétique d’Aquitaine), proposes ateliers on architecture materials for students. We talked the situation over with Andrea Branzi. The Musée des Arts Décoratives et du Design of Bordeaux has organized, in two different locations – the church of Saint-Rémi and Galerie Blanche – the first retrospective exhibition of your work, starting from 1966, the year of your graduation, until today. Constance Rubini, director of the museum and curator of the show, has managed to put together 150 projects, for objects and territories: this must have been a complex, difficult task… “Of course. The research behind the show took one year, getting in touch with museums, galleries, collectors and dealers, to find projects I myself had forgotten, and had no idea where to find. I am curious to see such a complete panorama of my work across fifty years: a long path, marked by continuous research and experimentation.” Why do exhibitions like this one get organized abroad and not in Italy? “I believe that depends on the fact that in Italy the debate on design culture has gotten stuck, so it is immune to this type of exhibition and to my way of working. In other countries the interest in the Italian Radical movement has grown enormously over the last ten years, because the reflection on design has become more urgent in the era of globalization. The book

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Interni novembre 2014 that goes together with the exhibition – published by Gallimard – gathers important contributions: Constance Rubini, Catherine David, Frédéric Migayrou and Michel Jacques, who discuss my projects, comparing them to the present scenario.” Why is this show in Bordeaux and not, for example, in Paris? “I have shown many times in Paris, also at Fondation Cartier pour l’art contemporain and in important art galleries, but in Bordeaux the Musée des Arts Décoratives et du Design, which has organized the exhibition, belongs to the city and this has favored the initiative, and the director Constance Rubini has been able to operate with more independence: without her energy and determination all this would have been impossible. In Paris the institutional places have become very complex organisms that are also hard to access.” How do you feel about this reawakening of interest in your work? “It is a great honor: Harvard University in Cambridge (Boston) is organizing a diffused exhibition of my work for the start of 2015, simultaneously held at Columbia University in New York, the University of California at Berkeley, Cornell University in Ithaca, the Canadian Center for Architecture, Princeton University and the Graham Foundation in Chicago. It is rare that the work of an architect like me – one who has built practically nothing, but has written and experimented extensively – becomes the focus of such attention on the part of major international institutions.” Is anything happening in Italy, in this direction? “I see that students and doctoral candidates are seeking information on the 1960s and 1970s, on Radical Design, Alchymia and Memphis, Domus Academy and that ‘exaggerated generation’ I have recently written a book about (Dai radical italiani alla crisi della globalizzazione, Baldini & Castoldi, 2014, ed.), to explain the merits and the limits, the motivations and contradictions. This is not an apologia, but a historical analysis of a generation – my generation – that chose to break down the limitations and slowness of our country, through oversized, exaggerated signs and messages. Maybe that is what is missing today.” - pag. 50 On this page, left to right: the degree thesis (1968) of Andrea Branzi: an amusement park in a shopping center in Prato; Animali Domestici chair, 1985, Edizioni Zabro; from the Sugheri collection, 2005, Vaso 03, Galleria Clio Calvi Rudy Volpi Milano; vase from the Iceberg collection, 2013, Edizioni Metea. - pag. 51 Andrea Branzi, Collection Wall bookcase, 2014, Friedman Benda Gallery, New York. - pag. 52 On this page, left to right: Labrador, 1982, gravy boat, Memphis (photo Lysiane Gauthier); from the Wireless collection, WL 06, 1997, floor lamp in marble, bamboo and rice paper (photo Elio Basso) and WP 02, 1997, portable lamp in stainless steel and rice paper (photo Ruy Teixeira), Design Gallery Milano; from the Blister collection, LX 1103, luminous vase, 2004, Design Gallery Milano (photo Riccardo Bianchi). - pag. 53 From top: from the Grandi Legni collection, 2010, GL 07, Design Gallery Milano (photo Ruy Teixera); Collection Tree bookcase, 2010, Friedman Benda Gallery, New York (photo Erik and Petra Hesmerg).

INdesign/ INcenter

TexTILe maTerIaL pag. 54 by Nadia Lionello - photos Paolo Veclani

Patterns and colors in constant transformation for the oldest of all artifacts. Great productive skill and design for the latest collections and previews of 2014-2015 to dress up and furnish the home, and for contract applications - pag. 55 In the background, Tweed Couleurs, Jacquard fabric in 50% cotton 50% polyester, available in 18 color variants, with a height of 145 cm, suitable for chairs and upholstered furniture, and Velorus Tresse cotton velvet quilted on foam rubber, cotton batting and taffeta, available in six colors, with a height of 140 cm, ideal for seating, designed by Paola Navone for Dominique Kieffer by Rubelli. On the facing page, the Creative Concept collection by Nya Nordiska, from left: Wasabi CS fabric, in Trevira CS poplin, available in 17 colors, height 150 cm, for decoration, drapes, cushions, tables and bedspreads; Batumi transparent printed fabric in raw Trevira CS, available in four colors, height 150 cm, for decoration, drapes and the table; Scalia Trevira CS poplin fabric in seven color variants, height 145 cm, for decoration, drapes, cushions, tables and bedspreads. Fluobar fluorescent lamps, available in fuchsia, yellow, red and green, by Seletti. - pag. 56 Nadir tricot fabric in 100% FR polyester, flameproof, available in nine color ranges, height 170 cm, suitable for upholstered furnishings and contract; below, Galaxy tricot fabric in 100% FR polyester, flameproof, available in 12 color ranges, height 175 cm, designed for contract. Part of the new collection designed by Alfredo Häberli for Kvadrat. Enamel Paint, round tray in steel colored with epoxy resin with enamel effect. Designed by Claudia Raimondo for Alessi. - pag. 57 Liquid Coffee, part of a collection of small tables with wooden tops decorated in different patterns made by hand with resins. Wooden legs. Design Draga&Aurel for Baxter. Funky Stripes satin fabric with geometric motif in 69% polyester, 20% silk and 11% acrylic, available in seven colors, height 136 cm, suitable for drapes, and Pon-Pon, right, bouclé fabric in 31% polyester, 30% wool, 24% acrylic, 13% cotton and 2% nylon, in three colors, height 140 cm, for seating. Produced by Dedar. - pag. 58 From the Uni/vers collection, the Feather curtains (in the background) in Trevira CS with digital priting, available in three colors, height 149 cm, and Champ, in pure cotton, with three colors, height 150 cm. Produced by Kinnasand. - pag. 59 Manolete fabric from the Donghia collection in 56% linen, 34% viscose, 10% polyester, five colors, height 140 cm, for chairs and curtains. Right, Venier lampas fabric based on an original design from the Rubelli archives, in 40% cotton, 26% cupro, 15% viscose, 13% acetate, 3% polyamide, 3% metal, available in 20 color variants, height 140 cm, suitable for light use, curtains, cushions and armchairs. Ziggy hassock with iron rod structure and batch-dyed HT polyester weave. Design Emilio Nanni for Saba Italia. - pag. 60 From the Cathay Weaves collection by Nina Campbell, Lizong velvet in 51% viscose, 30% cotton and 19% polyester, available in 10 colors, height 140 cm, ideal for drapes, coverings and contract. In ivory or yellow, Shimmer by Matthew Williamson is an ottoman fabric for drapes made of 70% viscose and 30% polyester, available in 25 color variants, height 140 cm. Distributed by Osborne & Little. - pag. 61 Left, Cycle Jacquard fabric for upholstery, from the Soleil Blu collection in 100% polyester, available in five colors, height 140 cm; right, Criss Cross fabric for curtains and cushions, 100% polyester with 100% polyurethane application, in two colors, height 140 cm. Produced by Jab. Below, Kaos tables with embossed steel base painted in graphite or white, screen-printed round, square or elliptical top with different geometric motifs. Design Alessio Bassan for Cattelan.

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CoLor VaLue pag. 62

by Nadia Lionello - photos Simone Barberis To choose the language of color, in shades of blue, green and yellow. To add a personal touch that reflects a particular mode of expression - pag. 63 Add component system for contract and residential use: composed of a base frame in extruded aluminium with die-cast feet, on which to attach tops, seats and backs, padded and covered with fabric; it can be outfitted with trays, magazine racks or side tables, and electrical sockets. Design by Francesco Rota for Lapalma. Brands chair in beech, in nine finishes, with padded seat and back covered in fabric, leather or eco-leather, or in the wooden version. Design by Monica Graffeo for Varaschin. On the facing page: Tabu chair made with parts in solid ash, with natural, oak or walnut stained finish, or painted in 12 colors; the parts are shaped by numerically controlled machines and interlocked; back in methacrylate. Design by Eugeni Quitllet for Alias. Sharky chair with polyurethane chassis in seven colors, legs in solid beech or oak, or painted in coordinated colors. Designed by Neuland Paster & Geldmacher for Kristalia. Laja Wings, armchairs for contract with steel structure, polyurethane filler and monochrome or two-tone cover in fabric or eco-leather. Designed by Alessandro Busana for Pedrali. - pag. 65 Gerla armchair in painted, natural or stained ash, with honeycomb back formed by plywood parts with special joints; padded seat, covered in fabric or leather. Designed by Lucidi&Pevere for Very Wood. Brick 233 chair in Canaletto walnut, with natural varnish, or oak painted in white, gray, air force blue or black, padded seat and back with fixed fabric cover. Designed by Paola Navone for Gervasoni. On the facing page: Daniela armchair with structure in curved beech plywood, oak veneer in natural, white or sepia stained oak, fixed Phoenix fabric cover. From Missoni Home. Roll outdoor chair with aluminium structure, seat and back with padded rolls covered with removable fabric. Designed by Patricia Urquiola for Kettal. N=N05 Bridges for Islands, modular upholstered furniture system for contract and residential use, with structure in painted metal, padded seat and back covered in fabric. Designed by Nichetto+Nendo for Casamania. - pag. 66 Riga stackable chair in polypropylene laden with fiberglass, made with air moulding technology, suitable for outdoor use, seen here in the Random color version (prototype). Designed by Pocci & Dondoli for Desalto. Troy stackable chair with armrests; structure in polyester-coated steel rod, chassis and armrests in polypropylene, polyurethane filler covered with fabric. Designed by Marcel Wanders for Magis. On the facing page: Grace chair with structure of electrowelded tubes, seat and back in die-cast aluminium, folding aluminium table, painted in a range of colors. Designed by Samuel Wilkinson for Emu. Family container with natural wood structure and four folding single mattresses to use as emergency beds or to transform into informal seating, covered in quilted cloth. Designed by Lorenzo Damiani for Campeggi. - pag. 68 Cleo armchair with steel frame structure and elastic belting, flameproof cold-process foam padding, covered in fabric with removable cushion covers, feet in natural varnished or stained ash. Designed by Archirivolto for Rossin. My Frame lounge chair with structure in natural or painted beech, padded seat and back covered in fabric. Designed by Pio&Tito Toso for Segis. - pag. 69 Colina chair in the bucket version, available in small, medium and large sizes, covered in leather or fabric; the medium version is also available with a cantilevered base, on runners or with four wooden legs. Designed by Lievore Altherr Molina for Arper. Weave armchair with structure in painted metal rod, padded chassis covered in blanket-stitched fabric, removable seat and back cushions. Designed by Carlo Colombo for San Patrignano.

Masters of the past, innovators of the present pag. 70 by Maddalena Padovani

Designed in 1928, the furnishings of the LC Collection by LE CORBUSIER, JEANNERET and PERRIAND gained worldwide fame only after the agreement signed by the designers with CASSINA IN 1964. A story that began 50 years ago and continues with renewed energy, under the sign of authenticity “A timely legacy of which we can make practical and daily intellectual use,” Ernesto Nathan Rogers said in 1965, when he introduced the first furnishing elements by Le Corbusier produced by Cassina, just two months after the death of the great architect of Swiss origin. In spite of his place on the international architecture scene, in spite of his revolutionary ideas on the “Èquipement de la maison,” Le Corbusier was not very well known for his product design. It was not until Cassina acquired the rights, in 1964, to produce the models he had created together with Pierre Jeanneret and Charlotte Perriand, with an official presentation one year later, that the metal tubing furniture of Le Corbusier actually become what he had always hoped: ideal tools for living in a correct way, industrially produced and available to all. Destined to enter the collective imaginary as absolute icons of modern thought. But the tale actually begins much earlier, in 1929. In accord with the functionalist thought developed at the Bauhaus and inspired by the cantilever chair by Mart Stam, Le Corbusier decides to experiment with the making of furnishings that would be a concrete expression of their functions and, together with Pierre Jeanneret and Charlotte Perriand, he brings a series of furnishings to Paris, at the Salon d’Automne, whose main supports are in metal tubing. The series already includes certain ‘cult’ objects like the LC4 chaise longue LC4 and the LC2 square armchair. Precisely because of their innovative character, the response on the part of the public is far from enthusiastic. The designers were not discouraged, though, and through various agreements they tried to get their furniture into homes in real life. The first contract was with Thonet in 1930, but the results were slim, also due to the war and a number of hampering conditions. In 1959 the rights passed into the hands of Heidi Weber, a Swiss dealer and friend of Le Corbusier, who did not have the productive and commercial resources to make a true collection of industrial furnishings. Then, in 1964, came the encounter with Cassina: contacted along with other companies, the Meda-based firm was chosen by Le Corbusier due to its industrial capacity and the quality of its products. This led to the first exclusive licensing contract for the first four models, which finally met with an industrial-scale production process in 1965, thanks to technical innovations developed by Cassina, such as the process of bending of the tubular structure in chromium-plated steel, and the introduction of expanded

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108 / INservice translations polyurethane filler. Also thanks to the progressive internationalization of the company and its worldwide distribution, the furnishings of the LC Collection achieved planetary popularity. The LC2 armchair, which Cassina has chosen this year as the icon of the series, to celebrate its 50th anniversary, is the object sold most in the history of design, as well as one of the bestsellers of the brand. Even today – and until 2069, the 70th year after the death of the last of the three designers – the company from Meda is the only one authorized to produce the designs of Le Corbusier, Jeanneret and Perriand. A right that is also a cultural responsibility, involving constant study, research and development done in close collaboration with Fondation Le Corbusier and the heirs of the designers. Thanks to this effort, which involved supervision by Charlotte Perriand herself in the 1970s, Cassina has gradually introduced new pieces by the trio and by Le Corbusier on his own. The company has also made a series of product innovations that have gradually enhanced the industrial content of the furnishings, in a clear process of differentiation between the originals produced by Cassina and the endless copies that have appeared in recent years. The latest innovation, which the brand presents to kick off the celebration of the 50th anniversary of the LC Collection, represents a ‘green’ breakthrough. Out ahead of a change of direction other industrial sectors have been obliged to make, Cassina has decided to replace the use of hexavalent chromium with trivalent chromium in the production process of the tubular metal structures. A choice that guarantees a much lower level of toxicity of the chemical products utilized, as well as fewer emissions in the air and less toxic waste. Furthermore, the leathers have become totally organic, and a microfiber fabric will also be introduced, for lower environmental impact on the level of production. Finally, new colors and new details update the collection on a purely aesthetic plane. The intense historical research conducted by Cassina with Fondation Le Corbusier and the heirs of the designers has led to identification of a new chromatic palette, updating the original hues indicated by Charlotte Perriand in 1978. The new tones were discovered during analysis of the models found in archives and museums; the novelty of the headrest belt, crafted with saddlery techniques, comes instead from an earlier edition of the LC4 done with Louis Vuitton, making it possible to enhance the chaise longue, which is one of the most famous pieces in the collection. But the surprises don’t stop there. The Meda-based company will be the protagonist of other initiatives during the celebration of the anniversary, into 2015, the 50th anniversary of the death of Le Corbusier. To narrate a fundamental chapter of the history of contemporary design and to underline the value of authenticity of a story that – without Cassina – could have taken completely different paths. - pag. 70 Clockwise from upper left: Cesare Cassina, Adele Cassina, Umberto Cassina and Franco Cassina sitting on the first models of the LC Collection produced by the family company starting in 1965. Below, sketch of the LC4 (courtesy: Charlotte Perriand Archives and Fondation Le Corbusier). - pag. 71 The LC2 armchair, the piece of furniture that has sold the most in the history of design, at the center of the displays Cassina has created to celebrate the LC Collection, featuring the materials and constructive details of the products. - pag. 72 To the side, the LC4 chaise longue is the protagonist of the display designed by Mario Bellini for the opening of the Cassina showroom on Via Durini in Milan in 1968 (photo Maria Mulas). Below, the LC1 armchair with structure in trivalent chromium-plated steel, polished or painted black. Below, the LC2 armchair, joined by the two or three-seat sofa and the pouf. The structure also comes in an updated range of colors: gray, blue, green, brown, mud, ivory and black. - pag. 73 To the side, view of the installation done in September at the Cassina showroom in Milan to usher in the celebrations of the LC Collection. Five projects of ‘brutalist’ architecture by Le Corbusier, made in reinforced concrete, form the backdrop for the display platforms. Below, the LC15 table and the tabouret LC14 designed by Le Corbusier in the later part of his career, and therefore in wood. These items were inserted in the LC Collection in 2010. Left, the LC5 sofa designed by Le Corbusier, Jeanneret and Perriand in 1934, in one of the new colors. Below, the LC9 stool designed by Charlotte Perriand, reissued this year in the original version from 1927, with woven cane seat.

INdesign/ INpeople

Hidden intelligence pag. 74 by Maddalena Padovani

GIULIO IACCHETTI interviews FRANCO CLIVIO. To talk about bicycles, joints, schools, Italian and Swiss character. But above all, about everyday, anonymous yet perfect objects. Like the ones shown at the Triennale in the exhibition NO NAME DESIGN Milan Triennale, 11 September 2014. The time has come for Franco Clivio to dismantle the exhibition No Name Design that has been up for three months, displaying his collection of anonymous objects: about 1000 of them, mostly old utensils, which the Swiss designer has been finding, collecting and classifying for decades. As he delicately places them in their cases he observes them, touches them, reveals their unexpected mechanisms, the intelligence hidden inside objects that are marvelously perfect in their simplicity. There’s the mechanical protocalculator and the tool Swiss watchmakers used to measure hundredths of millimeters before the advent of electronics, but also nuts and bolts, hammers, knives, finishing joints, technical books, posters on the history of mathematics, or the art of the machine. A far cry from the classic types of glamorous products we now associate with the idea of design. Next to Franco Clivio, Giulio Iacchetti observes and listens to the stories each object contains, like hidden treasure. This isn’t the first time the two designers have met. Always interested in everyday objects considered marginal by design culture, Giulio had already managed, several years ago, to get to know the maker of certain products he had always appreciated for their simple, apt design, like the Gardena gardening tools and the Pico pen for Lamy. The opportunity arose at the IUAV in Treviso, where Clivio was a professor. Giulio Iacchetti: “We were introduced by our mutual friend Marco Zito. When Franco saw that I was carrying a Brompton folding bicycle, a discussion on design got started, because he thought his Moulton was better. The discussion continued in the evening, away from the university, on a little gastronomic cycling tour of Treviso that did not solve the issues, but definitely involved plenty of wine.” Franco Clivio: “You insist that your bicycle can be folded up more easily, but mine is resolved better in terms of the joints, which cannot be seen. The joints represent an essential question in design, i.e. the way the parts of objects are connected to each other. If we observe products from this viewpoint, we notice that we can identify many different design approaches. Gener-

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ally, when you find an intelligent joint you also find an intelligent product.” G.I. “But how did you find an intelligent joint between your Swiss and Italian halves? Because I think this ‘borderline’ identity of yours has an impact on the way your practice the profession...” F.C. “I was born in Italy but at the age of nine I moved to Switzerland. My training was Swiss, then, and it gave me a forma mentis for which everything has to be precise and functional, down to the smallest details. I don’t think of myself as a designer: there are professionals, like bakers and hairdressers, who are much more designers than I am. I never design fashion objects. I am interested in the idea of the product.” G.I. “But you have managed to understand people’s taste. For example, for Lamy you designed the Pico pen, which is pocket-size, but thanks to an exclusive button mechanism takes on the length of a regular ballpoint pen.” F.C. “The challenges I approached in that project were different, and it was not easy to achieve the goal I had set. My idea was that the pen could be extracted, lengthened and used with one hand only. On its perfectly cylindrical surface a small protruding element keeps it from rolling if it is set down on the top of a table. One day a friend of mine called me and said he wanted to eliminate that part. I told him he was in for a surprise. The next day he called me and said that the pen had completely come apart: he hadn’t understood that that insert was the key that holds all the inner parts of the object together.” G.I. “The objects you have shown in the No Name Design exhibition seem to underline your taste for miniaturization. Do you think this passion comes from your Swiss background?” F.C. “More than Swiss or Italian, I think of myself as a man from Ulm! I had the good fortune to study at the Hochschule für Gestaltung in Ulm, with Tomas Maldonado, with whom I am still in contact. For me, there are no differences between the design of a small object and that of a large one: the approach is always the same, along with the focus on details, materials, ergonomics, aesthetics.” G.I. “As an Ulm alumnus, what do you think about today’s design schools? Or, how do you think the training of a designer should take place?” F.C. “If I were thirty years younger I would open a school. The problem, actually, is that no one would come. My ideal training would be composed of three or four years of courses in which you do not make projects, but you acquire the fundamentals of the profession. For example, I would make people work for six months on joints, for six months on materials, then on proportions, and so on. Today young designers seem like medical students who after just three months of school think they are ready to perform open-heart surgery.” G.I. “Tell us about the collection of objects you showed at the Triennale.” F.C. “It began almost by chance. In Zurich, next to the university where I was teaching, there was one of those places where the Swiss leave the objects they want to discard, where the sale of the objects goes to charity. I would go there in my spare time, because you could find strange things, but also exceptional objects, like a table by George Nelson I bought for just 50 francs. The objects I began to collect were not those normally purchased by people at flea markets.” G.I. “I think a designer who visits your show might almost feel frustrated, seeing objects that although they were made many years ago, seem to have an intelligence that would be hard to replicate today. Apart from the taste for discovery and surprise, what did you want to communicate to the visitors?” F.C. “I wanted to invite them to ‘see.’ I think the eyes are the designer’s most important tool. When I was sixteen I had a teacher who said that to see a painting takes at least twenty minutes. So one day I stood in front of a painting by Paul Klee and, minute by minute, I started to see things I hadn’t seen there before. It’s a matter of educating the eye, so you can also learn to judge things.” G.I. “Visiting the exhibition, one had the perception that very little remains to be designed anew.” F.C. “Everything, of course, has already been done. Especially in Italy, every week a new chair, a new lamp makes its appearance.” G.I. “And you do not intend to design a chair or a lamp?” F.C. “Absolutely not. Even when I designed for Erco, my interest was not in the lamp, but in the light.” G.I. “The passion for anonymous, intelligent objects was also nurtured by Achille Castiglioni. Did you two ever get into contact?” F.C. “Of course. In the early 1980s Castiglioni came to Zurich to give a lecture. That day I had two folding saws in my car, which I had bought in Germany to do some work. When I saw Castiglioni’s talk, in which he showed some of his famous collection of objects, I ran to the car, took one of the two saws and gave it to him. We became friends.” G.I. “Another fun thing about your show was that the objects were intentionally presented without captions. In some cases that was frustrating, because certain things seemed very mysterious or hard to decipher. I believe one can learn a lesson from the show, i.e. that it is important to retrain our eyes to see things. We designers are always told that an object should be immediately comprehensible; but this attitude leads to blindness. Your objects not only observe us, they also question us: they call on our ability to understand their complexity, and they are memories of the intelligence of those who created them with the sole objective of solving, in a brilliant way, questions of a technical, practical and scientific order. I would say that your desire to start a school has already come true, to some extent, since a visit to your show was better than any design course!” - pag. 74 Above: Franco Clivio (left) and Giulio Iacchetti at the Milan Triennale, where from 19 June to 11 September visitors could enjoy the exhibition No Name Design, curated by Franco Clivio and Hans Hansen (photo Sergio Anelli). On the facing page: some of the objects in the show. For decades Franco Clivio has collected common useful objects usually considered ‘anonymous,’ which contain outstanding technical and aesthetic qualities. - pag. 77 Other images of Franco Clivio with his anonymous objects. The designer studied at the Hochschule für Gestaltung in Ulm and has taught at the Zürcher Hochschule der Künste in Zurich. (On this page, photos by Sergio Anelli.)

INdesign/ INtoday

NeuroDesIGn pag. 78 by Alessandro Villa

Which sensorial processes determine our perception of beauty? This is the field of neuroaesthetics, a new area of study that promises interesting applications in the world of design. As proven by the work of NENDO

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What happens in the mind when we are faced by something that stimulates our aesthetic sensibilities? Which brain mechanisms are set in play? These are the questions the neurobiologist Semir Zeki tries to answer with the help of cerebral imaging techniques that now make it possible to precisely locate the individual zones of the brain that are activated by the experience of beauty. In recent years this science has made great strides, though mental processes are still a mystery debated by scientists and philosophers. Neuroaesthetics – as Zeki defines it – is a new field of study, combining science and aesthetics. The goal is to demonstrate that every artistic configuration interacts with a sensitive substrate derived from possession of a shared genetic heritage. In other words, the perception of beauty is possible thanks to the receptive nature of the nervous system, which is wired to have this type of experience, and is substantially identical in every human being. Certain aesthetic qualities activate pleasing sensations in many of us because our brain – at a precise level science has set out to discover – is organized according to very similar structures. For the moment, brain scanning techniques have not been used for a systematic study of the relationships between biology and design, though this topic would be of great interest. Recent projects by Oki Sato, alias Nendo, play with the complexity of perception and multiplicity of meanings, at times working on what the brain ‘believes’ it sees, or on configurations to mentally interpret and complete. The works of Nendo present illusory figures, apparent transparencies, invisible screens, tricks that unleash the pleasure of discovery in the observer. The most interesting aspect is that these projects seem to activate universal mental mechanisms, regardless of culture, origin or characteristics of the observer, because they are based on perceptive phenomena shared in the experience of all. On these pages we show certain projects that do not arise from complicated intellectual reasoning, but suggest a less customary perception of reality. Not just intelligent tricks and optical illusions, but acute psychological introspection on phenomena of perception. While today many ideas of Gestalt psychology have been challenged in an experimental context, and research has set off along other paths, the potential of study on the relationship between the senses and the mind is clear in every creative field. In Lyon, Confluence, a school of architecture that includes neurology in its curriculum, was recently opened. One of the people behind it is the French architect Odile Decq, who believes in the need for a transdisciplinary teaching method open to biology, medicine and mathematics. The idea is not to create a face-off between the humanities and the sciences, but to try to make them interact. In architecture and design the use of space or of an object is never passive, but it does pass through many interpretations prompted by the aesthetic and sensorial content of the work, although design – unlike pure artistic expression, for instance – usually produces much less ambiguous readings. Generally, we are led to imagine that the cultural convictions are always prevalent with respect to percepts, for example, when we associate materials with a precise image, color and texture. But today the techniques of reproduction of all types of surfaces have created a break between the perceptive plane and the cultural plane. So much so that imitative materials have enormous success, and more and more people, including designers, are choosing them to replace those whose image they have borrowed. One example will suffice: the reproduction of wood on laminates and ceramics, impossible to distinguish from the real thing in terms of color and texture, can often be sufficient to satisfy the need to surround ourselves with natural material, at a purely perceptive level. The neurosciences can help us to understand if the goal we want to achieve is the ‘truth’ of surfaces or simply satisfaction of formal expectations we can still not completely understand. Today, researchers are working on the idea of a brain biologically prepared for a given experience, instead of assigning – as the critics of neuroaesthetics would have it – a role of pure support for experience to the brain. If, as Zeki asserts, all sensory data are subjected to processes of adjustment to an ideal synthetic concept, imitative materials could satisfy a primitive principle of the brain, a result of our millennia of adaptation to our environment, or just a way of recognizing what it is we need. Maybe wood, stone and other natural materials are already inside us, so today their imitation, which is so precise as to create perfect substitutes, can produce an impressive of equal authenticity for the brain. Were this the case, we could also think about designing a process of adaptation to concepts defined by biology, while architecture and design would become an evolved way of giving body and form to these ‘models.’ Oki Sato also believes that experiences stored in the brain are used to construct a library of archetypes. A design project has to be recognized on an intellectual plane, but above all it has to activate an unusual look at reality, to bring emotions, even disrupting the library of acquired ideas. Only if it gets past this filter can it reach the heart. To design is an activity that puts the designer’s brain and the user’s brain into a relationship, because there are many possible solutions, all different, all equally effective on a functional plane. A multitude of artifacts exists, chairs, tables, utensils, all equally well designed, but not all thrilling. So the quality that sets them apart can be identified as the efficacy of the sensorial and intellective stimuli. This quality is the essence of the poetics of Nendo.

We consume objects with the gaze and let ourselves be charmed by forms and colors. But design has more functions, not just aesthetic, not just performance, but related to general comfort of the user. As in the case of noise control in a public space, or in the design of an acoustic screen in an open-plan office, where concentration is often a problem. The capacity of certain design products like lamps or screens to absorb sound is crucial, especially in the contract sector where besides complying with specific security and safety standards, products have to become an integral part of interior design, and therefore the design of environmental wellbeing. Multiple prize winner at the US fairs CES and NeoCon in 2014, and with the Trophée de l’Innovation 2014, the Snowsound technology developed and patented by Caimi Brevetti cuts down on sound reverberation, combining high performance with original forms. The company has turned to designers Michele De Lucchi, Alberto & Francesco Meda, Lorenzo Palmeri and Marc Sadler to make the finished products, easy to assemble and knock down, for use in multiple contexts. These are not semi-finished components to build into architecture. The latest interpretation, Baffle by Marc Sadler, is an apparently random cascade of sound absorbing panels hung from the ceiling, in different colors, set at variable heights. Without frames, the panels are light and not very bulky. A vanishing cylindrical joint system attaches them to the cables. Snowsound reduces echo and reverb caused by surfaces in cement, marble or glass, in large or open spaces, solving problems of bad acoustics. The panels are in Trevira CS polyester fabric, monomateric with differentiated density and an internal component in 30% recycled material. Luca Nichetto, for the Swedish company Offecct, has also developed a system of sound absorbing panels in recycled felt, that do not have to be attached to the wall. Notes is composed of a series of five elements of different sizes and fabrics, hung from a freestanding structure that evokes the image, as the designer himself says, of laundry hanging on lines strung between houses. In fact, when children play in the street, laundry hanging out to dry does soften the noise of a football, the shouts of the players. The panels can be laterally shifted to reorganize the space. Notes is a divider that adapts to contemporary open-plan offices where there is more need today for flexibility and for light, temporary space organization systems. In this case, the system also helps to absorb noise.Sound absorbing properties can also be built into lamps. Just consider Silenzio, the wall or suspension lamp produced by Luceplan in partnership with Kvadrat, and designed by Monica Armani. The lamps offer the possibility of personalization, thanks to the wide range of fabrics by the Danish firm. The designer says the idea came from a concrete need: a project for a corporate corridor one kilometer in length, with serious problems of sound reverberation. Armani installed wall panels and hanging lamps to add rhythm to the interminable length. She realized that there are many situations in which such devices are a must: just consider the halls of office buildings and hotels, the long tables in offices and restaurants, where conversation is difficult because of the background noise. The possibility of playing with fabrics and their colors makes Silenzio ideal for the contract market. Public spaces and large waiting areas are often inhospitable environments. Some projects combine the theme of absorbing sound with the concept of ‘cocooning,’ insulation, protection. This is the case of Hush, by the British designer Freyja Sewell, a sort of felt shell with a seat and cushions in which to escape from the chaos of the outside world. Or of The Birth of Marilyn by the duo Iskos-Berlin: a big bell with a lamp inside, with a soft profile like a skirt raised by the wind, as a shelter from the din.

- pag. 78 On this page and the following pages, sketches by Nendo that explain his idea of design: to see with the eyes, select with the brain, understand with the heart. But the process can also work in the opposite direction: from emotions, one can draw the energy to resolve a project. - pag. 79 Rubin profiles are ambiguous figures that have two solutions that cannot be simultaneously perceived. Nendo takes them as inspiration to design the Eigroub lamp, which overturns the silhouette of the Bourgie lamp by Kartell to celebrate its tenth anniversary. - pag. 80 To the side, an elastic made by Nendo in the form of a cube: it is easy to grasp but fools our sense of sight, revealing its consistency only when it is used. Below, an installation by the Japanese designer for Cos during the FuoriSalone 2014 in Milan: a series of displays created the illusion of intersecting solids placed between colored screens. - pag. 81 To the side, a transparent ruler designed by Nendo to be used in chromatic contrast with any type of background (above, sketch by the designer expressing the idea of the project). Below, the famous figure of Kanisza that displays two triangles even if they have not effectively been drawn. The mind tends to perceive figures in relation to the background.

text Stefano Caggiano

INdesign/ INview

Silence is designed pag. 82 by Valentina Croci

Lamps, divider panels, industrial products combine their regular functions with a capacity to absorb noise. To make big spaces more comfortable and human

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- pag. 83 Träullit is a system of sound-absorbing panels designed by Form Us With Love for Baux. Based on six geometric forms and a wide range of colors, the units can be placed on the wall like tiles, to create unusual decorative effects. On the facing page, from top: designed by Iskos-Berlin, The Birth of Marilyn is a large lamp (from 30 to 96 cm in diameter) with a bell made of two layers of recycled PET, bonded without resins or glues; a new Danish brand in the acoustics sector, Vifa offers hi-fi speakers covered in Kvadrat fabric; by Freyja Sewell, the Hush cocoon produced in Durham by Ness Furniture is made with 10mm industrial felt, in a single sheet. - pag. 84 Baffle by Marc Sadler for Caimi Brevetti is a cascade of panels suspended by slender cables. It creates a barrier that absorbs sounds in an apparently random configuration. Using the patented Snowsound technology. Notes by Luca Nichetto for Offecct is a system of sound-absorbing panels in felt that can be moved along the load-bearing structure. For temporary partitions in the office. - pag. 85 Silenzio is a lamp with sound-absorbing characteristics designed by Monica Armani for Luceplan. It comes in a suspension version and with backlit panels, and uses the Remix 2 collection by Kvadrat, designed by Giulio Ridolfo. The fabric has a ‘grisaille’ look and a texture that is pleasing to the touch.

Sense & SensIBILITY pag. 86 Objects are living extensions of our bodies. They feel things through us, just as we feel things through them. A phenomenological dualism translated by design into aesthetic form The meaning of objects is closely connected to our sense of the body. This is why design, while on the one hand it cannot help but take charge of the body of the object, on the other cannot avoid transcending it in forms that go beyond their mere material evidence. This phenomenological dualism of the useful object, simultaneously immanent and transcendent, reflects the phenomenological dualism of the human body. Our body, too, is both a ‘thing,’ a piece of material subject to inertia and gravity, and a sentient device, open to the world. The distinction between these two dimensions of bodily existence is so important that in German there are two different words to refer to the body: the first, Körper, means the body as a physical thing; the second, Leib (from the old German “leiben,” “to live”), indicates the body as a sensory-motor device. Useful objects, then, though they are not part of the Körper (they are not ‘fused’ with our anatomy), in the moment of use become a whole with the Leib from a motor-functional viewpoint, just like legs or arms. A series of new projects – all by women designers, by the way – explore the constituent ‘chiasm’ between body and object, starting with the ambiguous Anomaly by the Swedish trio Front for Moroso. While this design is like a domestic presence suspended between visionary manipulation of a bodily strain and the organic transmutation of an alien creature, the creation of the Anglo-American designer Gigi Barker (Studio 9191) is even more disturbing, based on impregnation of the leather that covers the Body of Skin upholstered pieces

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110 / INservice translations with after shave lotion and pheromones, to reproduce the sense of touching a human body in forms that remind us of not very well defined anatomical parts. Less extreme but still along the lines of the ‘bodily’ product, the Flesh seat wrapped in ‘soft rolls of fat’ by Danish designer Nanna Kiil, and the M.A.S.S.A.S. sofa by Patricia Urquiola for Moroso, an elegant Franken-object obtained by juxtaposing limbs with exposed stitching. The Body by Finnish designer Kirsi Enkovaara seems like a supple segment of fleshy tissue (flesh tones are shared by all the projects in this survey) conceived to yield and mingle with the body of the user, in a wide range of different configurations. The latter, in particular, which literally ties together segments of the body-object and segments of the body-user, sculpturally illustrates what we were saying at the beginning, i.e. that the substantial continuity between objects and Leib is constituent to the very meaning of the object, so much so that the first has to be seen as a senso-motor limb of the second, which in turn cannot be thought of as a ‘thing’ but as a sensorial field that extends as far as the elastic boundaries of its objectual emanations. The rubber hand experiment, from this standpoint, is a revealing experience. Used in the field of cognitive psychology and physiology of perception, it calls for the subject to sit with one hand resting on a table and the other hand below the top, with a rubber hand positioned where the hidden hand would normally have been. The hand under the table is stimulated with a feather or light pinches, while the same stimuli are simultaneously applied to the rubber hand. After a few minutes the subject starts to clearly feel the sensations as being positioned ‘inside’ the rubber hand, which the brain has ‘adopted.’ This demonstrates that it is possible to feel sensations on an object that is actually detached from the Körper, but which becomes one with the Leib from a senso-motor perspective. This is why the Polish jewelry designer Ewa Sliwinska has created the Living Points Structure as a series of ornaments that amplify the kinetics of the body. These slender pieces visually convey the senso-motor projection of the Leib, like the rings that spread out on a pond when a stone has been tossed into it. While the Israeli fashion designer and illustrator Noa Raviv, in the Hard Copy collection, mixes the real substance of the body with the phantom-like substance of its objectual extensions in the digital era, in a very poetic vision. - pag. 86 Virgina (Gigi) Barker, of Studio 9191, poses next to her disturbing upholstered furnishings covered in leather from the Body of Skin series, impregnated in after-shave lotion and pheromones to transmit the sensation of contact with a real human body. - pag. 87 The jewelry of the Living Points Structure series by Ewa Sliwinska has flexible elements made with slender steel cylinders mounted on nylon thread, designed to emulate the movements of the body as it walks, runs or jumps. Below: the Flesh seat by Nanna Kiil, made in memory foam, explores the antithetical balance between the ‘repelling’ aspect of voluminous curves that imitate rolls of fat and their enveloping sense of comfort. - pag. 88 The Body by Kirsi Enkovaara encourages the user to seek alternative sitting positions, as opposed to those of our cultural conventions, prompting reconfiguration of the body of the object in a continuous line, and the anatomical repositioning of the user. Below: the M.A.S.S.A.S. sofa by Patricia Urquiola for Moroso features visible stitching, like basting along the perimeter, breaking up anatomical lines. (photo: Alessandro Paderni). Anomaly by Front for Moroso is a creature with a delicately jarring identity, a transgenic animal capable of triggering unpredictable emotional repercussions, from affection to repulsion. (photo: Alessandro Paderni). - pag. 89 To make the Hard Copy collection, Noa Raviv started with the ideal of beauty of Greek sculpture, copied and multiplied thousands of times over the course of history, and reworked here with ‘defective’ digital images generated by 3D software glitches. (photo: Ron Kedmi).

INdesign/ INproject

Night and vicinity pag. 90 text Maddalena Padovani

The bedroom becomes more like a mini-apartment. This is the basic idea behind BACKSTAGE, the system produced by B&B ITALIA and designed by ANTONIO CITTERIO, which thanks to an innovative mechanism dilates storage space and becomes an architectural feature Something different and really special was needed to justify the presentation of a new wardrobe by a brand like B&B Italia, historically linked to the world of upholstered furniture. Not that the company from Novedrate has never come up with innovations in the area of systems. Back in 1983 the Sisamo model by Studio Kairos, the first coplanar wardrobe, gained B&B Italia a Compasso d’Oro award. This project was followed by others, like the Velante in 1992, which introduced total opening of the doors. Then along came Door, with which Antonio Citterio, in 2002, interpreted his systemic vision of architecture in terms of furnishings. With Backstage, the system presented this year after two years of research, Citterio updates and refines his reflections on the evolution of living space, providing a technical and aesthetic solution that previously did not exist: the large rotating door. The project is based on a consideration: the bedroom today is a place used not just for sleeping, but also for reading, writing, working. In other words, it is becoming a place of wider-ranging functions, making it more like the junior suite of a hotel. Hence the idea of rethinking the traditional system of storage and spatial division, to rationalize the layout of these different activities, and above all to permit more continuous communication between dedicated spaces. The basic principle is that the door is a full-height surface that vanishes into the host wall, without forming a physical and visual obstacle for the various spaces that have to connect in a fluid, homogeneous composition. The door of Backstage opens with a simultaneous movement of rotation and sliding that makes it partially recessed (25 cm out of 72.5, 85 or 97.5 cm of width); the wardrobe thus becomes completely accessible, and one has the impression of ‘entering’ its interior, as if it were a closet, even when it is located in not very deep spaces. The new arrangement of the facade means that by opening just two panels, one obtains the openness and visibility that would usually be possible only by opening more of them, as happens in the case of a wardrobe with a width of 154, 170 or 195 cm. The internal space also has innovative solutions that permit rational-

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ized organization and use of space, while giving Backstage the image of a system for very demanding clients. The low-consumption LED lighting system is very sophisticated, and turns on when the door is opened. Installed at the base, on the shelves and the ceiling, it guarantees visibility of all the accessorized zones and emphasizes the sense of continuity of the floor, obtained through the suspended position of the drawer units, and accentuating the effect of ‘penetration’ inside the wardrobe. Near the shelves, the light spreads softly from the back, without showing wires and other technical gear; the light sources are set into a small riser and powered by an electrified rack to make it easy to move the shelves and the lights without rerouting the wiring. The internal accessories include shelves, rods, drawers and shirt compartments. There are also accessories positioned on the doors: caddies, mirrors, belt racks, jewelry containers. All these parts are made with great attention to detail, in refined materials – like saddle-stitched leather – to reflect the high level of craftsmanship of Backstage, setting it apart from the systems presently found on the market. Also in the lacquer version, the doors come with a shellac-effect paint finish based on a special semi-industrial procedure. The system comes in two depths: 66 cm and 85 cm. Custom solutions are also available, thanks to a series of adaptations that make this a tailor-made product. All the characteristics and features of the Backstage wardrobes can be applied in the design of closets, conceived as true luxury suites, including a completely closed volume inside to store off-season garments. - pag. 90 Designed by Antonio Citterio for B&B Italia, Backstage is a wardrobe/closet system based on rethinking of the theme of storage, layout of internal spaces and the relationship between the bedroom and the closet. The innovative feature is the large rotating door for less bulk and easier access. In this solution Backstage, in the wardrobe version, is used as an accessorized divider. - pag. 92 In this version Backstage becomes a double closet space (his and hers) conceived as a continuous boiserie in sucupira wood. On the facade, the central panel can contain a TV screen. Otherwise, the doors can be painted in 16 colors with a semi-gloss shellac-effect finish, or a satin finish. - pag. 93 Above: interior of a closet equipped with a completely closed zone for off-season garment storage. Below: the handles represent an important detail of Backstage. Placed on the edge of the doors, in order to meet, they come in two versions: one protruding, the other recessed, both with leather inserts (dark brown or colonial), or with nickel-bronze finish. Also in leather, with precious saddle stitching, the object compartment and the internal dividers of the drawers.

INdesign/ INproduction

SImuLTaneous CoLors pag. 94 by Katrin Cosseta - photos Enrico Suà Ummarino

When color is multiple and synergic it becomes module, rhythm, energy. Design focuses not on single tones but on unexpected combinations, the nearly psychedelic effects of digital printing, the multimateric patchwork, and chromatic stratification - pag. 95 Left: President by Philippe Nigro for Caimi Brevetti, a modular system of soundabsorbing panels that can be overlapped and implemented, attached to solid wood sections. The patented Snowsound technology permits simple and rapid selective acoustic correction. Center: 36e8 Side Storage by Daniele Lago for Lago, a wall-mounted component system (the name comes from the measurements of the basic module) that for its tenth anniversary is available with sides painted in a range of colors. Right: Multibox by Silvano Pierdonà for Capo d’Opera, a system of open modular hanging cabinets directly attached to the wall or with a system of load-bearing posts. Available in 11 types of wood and 47 lacquer colors. - pag. 96 From Missoni Home, suspension lamp with spherical diffuser in wool, with geometric patterns. Tolò by Vittorio Prato for Noctis, bed with wooden structure in natural or white paint finish, headboard with removable cover in multicolor striped fabric. Boing by Karim Rashid for Gufram, stackable indoor/outdoor chair with structure in powder-coated metal tubing, seat in reticular expanded polymer with process coloring. - pag. 97 Color Fall by Garth Roberts for Casamania, wall shelf and bookcase with structure in natural ash, shelves in painted MDF and inner surfaces decorated with multicolor digital printing. Mirage by Matteo Ragni for Tonelli, table with square or rectangular glass top and base in glass, veneered with sheared Alpi Arcobaleno. Layers Cloud Chair by Richard Hutten for Kvadrat, armchair composed of 545 layers of Divina fabric in 100 different colors. - pag. 98 CH445 Wing Chair by Carl Hansen & Søn, limited edition to celebrate the 100th anniversary of the birth of the designer Hans J. Wegner, covered in Stripes fabric by Paul Smith for Maharam. Shanty by Doshi Levien for B.D. Barcelona Design, cupboard in painted MDF, legs in extruded aluminium, featuring corrugated doors with different colors and opening systems. Rumba by Calia Italia, chair with adjustable headrest mechanism, upholstered in expanded polyurethane and covered with patchwork of fabric, leather or microfiber. - pag. 99 Planophore, designed by Edward Barber & Jay Osgerby for Vitra, furnishing element with a double function, as space divider and double-face bookcase. The vertical panels in painted aluminium, in the monochrome or multicolor versions, can be rotated to meet different needs. Longwave by Diesel Living, a bergère made in cold-process foam with internal steel structure, feet in black or gray painted ash. Covered in leather or fabric. - pag. 100 Right: Brit Patchwork, designed and produced by Airnova, chair covered with a mixture of pieces in leather, stitched with raised borders. Below: Sonia by Elena Cutolo for Altreforme, Festa Mobile Parigi Anni Venti collection, armchair in painted aluminium.Plumage by Vanessa Vivian for Axo Light, floor lamp or suspension lamp with structure in white painted metal, diffusers in Trevira fabric. - pag. 101 Piccoli Palazzi by Alessandro Mendini for Driade, system of containers for combinations in glossy painted hand-decorated MDF. Also available in fixed compositions that combine three elements. Below: Shimmer by Patricia Urquiola for Glas Italia, glass table with iridescent multicolor finish.

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Interni novembre 2014 AIRNOVA LEADER srl Via G. 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Statale 10 km 24,400, 14019 VILLANOVA D’ASTI AT Tel. 0141931111, Fax 0141946594, www.hansgrohe.it, info@hansgrohe.it B&B ITALIA Spa Strada Provinciale 32, n.15, 22060 NOVEDRATE CO Tel. 031795111, Fax 031791592, www.bebitalia.com, info@bebitalia.com BAUX AB St Eriksg 106, SE 113 31 Stockholm, Tel. +46735188150 www.baux.se, info@baux.se BAXTER srl Via Costone 8, 22040 LURAGO D’ERBA CO Tel. 03135999, Fax 0313599999, www.baxter.it, info@baxter.it BD BARCELONA DESIGN Pujades 63, E 08005 BARCELONA, Tel. +34 93 4570052 Fax +34 93 2073697, www.bdbarcelona.com, export@bdbarcelona.com BEGA GMBH & CO. 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Tassoni 66, 10144 TORINO Tel. 0114376666, Fax 0114376941, www.donatispa.com, info@donatispa.com PANTO FINESTRE srl Via Prati 1, 31048 San Biagio di Callalta TV Tel. 0422897511, www.panto.it, info.pantofinestre@panto.it PEDRALI SPA Strada Provinciale 122, 24050 MORNICO AL SERIO BG Tel. 03583588, Fax 0358558888, www.pedrali.it, info@pedrali.it PIANCA spa Via dei Cappellari 20, 31018 GAIARINE TV Tel. 0434756911, Fax 043475330, www.pianca.com, info@pianca.com RIVA 1920 INDUSTRIA MOBILI spa Via Milano 137, 22063 CANTÙ CO Tel. 031733094, Fax 031733413, www.riva1920.it, riva1920@riva1920.it ROSSIN Via Nazionale 2/2, 39044 Egna-Laghetti BZ Tel. 0471881488, Fax 0471881489, www.rossin.it, info@rossin.it ROTALIANA srl Via della Rupe 35, 38017 MEZZOLOMBARDO TN Tel. 0461602376, Fax 0461602539, www.rotaliana.it, info@rotaliana.it ROVERSI ARREDAMENTI srl Via IV Novembre 26/28, 46024 MOGLIA MN Tel. 0376598153, Fax 0376598823, www.roversi.it, info@roversi.it RUBELLI spa Via della Pila 47, 30124 VENEZIA - MARGHERA, Tel. 0412584411 Fax 0412584401, www.rubelli.com, info@rubelli.com SABA ITALIA srl Via dell’Industria 17, 35018 SAN MARTINO DI LUPARI PD Tel. 0499462227, Fax 0499462219, www.sabaitalia.it, infosaba@sabaitalia.it SAN PATRIGNANO San Patrignano 53, 47853 CORIANO RN, Tel. 0541362362 Fax 0541756718, www.sanpatrignano.org, dsimonazzi@sanpatrignano.org SAWAYA & MORONI spa Via Andegari 18, 20121 MILANO, Tel. 0286395212 Fax 0286464831, www.sawayamoroni.com, info@sawayamoroni.com SEGIS spa Via Umbria 14 - Loc. 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N. 646 novembre 2014 November 2014 rivista fondata nel 1954 review founded in 1954

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Nell’immagine: il nuovo terminal dell’Heydar Aliyev International Airport in Azerbaijan, interior design di Autoban. In the image: the new terminal of the Heydar Aliyev International Airport in Azerbaijan, interior design by Autoban. (foto di/photo by Kerem Sanliman)

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InteRNI60 in allegato il volume Interni 60th Anniversary 450 pagine di design dal 1954 a oggi INTERNI60 supplement Interni Sixtieth Anniversary 450 pages of design from 1954 to now

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redazione/editorial staff MADDALENA PADOVANI mpadovan@mondadori.it (vice caporedattore/vice-editor-in-chief) OLIVIA CREMASCOLI cremasc@mondadori.it (caposervizio/senior editor) LAURA RAGAZZOLA laura.ragazzola@mondadori.it (caposervizio/senior editor ad personam) DANILO SIGNORELLO signorel@mondadori.it (caposervizio/senior editor ad personam) ANTONELLA BOISI boisi@mondadori.it (vice caposervizio architetture/ architectural vice-editor) KATRIN COSSETA internik@mondadori.it produzione e news/production and news NADIA LIONELLO internin@mondadori.it produzione e sala posa production and photo studio rubriche/features VIRGINIO BRIATORE giovani designer/young designers GERMANO CELANT arte/art CRISTINA MOROZZI fashion ANDREA PIRRUCCIO produzione e/production and news DANILO PREMOLI hi-tech e/and contract MATTEO VERCELLONI in libreria/in bookstores TRANSITING@MAC.COM traduzioni/translations grafica/layout MAURA SOLIMAN soliman@mondadori.it SIMONE CASTAGNINI simonec@mondadori.it STEFANIA MONTECCHI stefania.montecchi@consulenti.mondadori.it segreteria di redazione editorial secretariat ALESSANDRA FOSSATI alessandra.fossati@mondadori.it responsabile/head ADALISA UBOLDI adalisa.uboldi@mondadori.it assistente del direttore assistant to the editor FEDERICA BERETTA internir@mondadori.it contributi di/contributors ALESSANDRO BINI STEFANO CAGGIANO VALENTINA CROCI ELISA MUSSO ALESSANDRO VILLA fotografi/photographs SERGIO ANELLI SIMONE BARBERIS HERTA HURNAUS JEROEN MUSCH PEDRO PEGENAUTE DANIELE TENCONI ENRICO SUÀ UMMARINO PAOLO VECLANI MARCO ZANTA progetti speciali ed eventi special projects and events CRISTINA BONINI MICHELANGELO GIOMBINI

corrispondenti/correspondents Francia: Olivier Reneau olivier.reneau@gmail.com Germania: LUCA IACONELLI radlberlin@t-online.de Giappone: SERGIO PIRRONE utopirro@sergiopirrone.com Gran Bretagna: DAVIDE GIORDANO davide.giordano@zaha-hadid.com Portogallo: MARCO SOUSA SANTOS protodesign@mail.telepac.pt Spagna: LUCIA PANOZZO luciapanozzo@yahoo.com Taiwan: CHENG CHUNG YAO yao@autotools.com.tw USA: Dror Benshetrit studio@studiodror.com

ARNOLDO MONDADORI EDITORE 20090 SEGRATE - MILANO INTERNI The magazine of interiors and contemporary design via Mondadori 1 - Cascina Tregarezzo 20090 Segrate MI Tel. +39 02 75421 - Fax +39 02 75423900 interni@mondadori.it Pubblicazione mensile/monthly review. Registrata al Tribunale di Milano al n° 5 del 10 gennaio1967. PREZZO DI COPERTINA/COVER PRICE INTERNI + ANNUAL contract + ANNUAL cucina € 10,00 in Italy

PUBBLICITÀ/ADVERTISING MEDIAMOND S.P.A. via Mondadori 1 - 20090 Segrate Divisione Living Vice Direttore Generale: Flora Ribera Responsabile commerciale: Alessandro Mari Coordinamento: Silvia Bianchi Agenti: Margherita Bottazzi, Alessandra Capponi, Ornella Forte, Mauro Zanella Tel. 02/75422675 - Fax 02/75423641 e-mail: direzione.living@mondadori.it www.mondadoripubblicita.com Sedi Esterne/External Offices: LAZIO/CAMPANIA CD-Media - Carla Dall’Oglio Corso Francia, 165 - 00191 Roma Tel. 06/3340615 - Fax 06/3336383 mprm01@mondadori.it LIGURIA Alessandro Coari Piazza San Giovanni Bono, 33 int. 11 16036 - Recco (GE) - Tel. 0185/739011 alessandro.coari@mondadori.it PIEMONTE/VALLE D’AOSTA Luigi D’Angelo Via Bruno Buozzi, 10 - 10123 Torino Cell. 346/2400037 luigi.dangelo@mondadori.it EMILIA ROMAGNA/SAN MARINO/TOSCANA Irene Mase’ Dari / Gianni Pierattoni Via Pasquale Muratori, 7 - 40134 Bologna Tel. 051/4391201 - Fax 051/4399156 irene.masedari@mondadori.it TRIVENETO (tutti i settori, escluso settore living) Full Time srl Via Dogana 3 - 37121 Verona Tel. 045/915399 - Fax 045/8352612 info@fulltimesrl.com TRIVENETO (solo settore Living) Paola Zuin - Cell. 335/6218012 paola.zuin@mondadori.it; Daniela Boscaro - Cell. 335/8415857 daniela.boscaro@mondadori.it ABRUZZO/MOLISE Luigi Gorgoglione Via Ignazio Rozzi, 8 - 64100 Teramo Tel. 0861/243234 - Fax 0861/254938 monpubte@mondadori.it PUGLIA/BASILICATA Media Time - Carlo Martino Via Diomede Fresa, 2 - 70125 Bari Tel. 080/5461169 - Fax 080/5461122 monpubba@mondadori.it CALABRIA/SICILIA/SARDEGNA GAP Srl - Giuseppe Amato Via Riccardo Wagner, 5 - 90139 Palermo Tel. 091/6121416 - Fax 091/584688 email: monpubpa@mondadori.it MARCHE Annalisa Masi, Valeriano Sudati Via Virgilio, 27 - 61100 Pesaro Cell. 348/8747452 - Fax 0721/638990 amasi@mondadori.it valeriano.sudati@mondadori.it

ABBONAMENTI/SUBSCRIPTIONS Italia annuale/Italy, one year: 10 numeri/issues + 3 Annual + Design Index € 64,80 (prezzo comprensivo del contributo per le spese di spedizione). Inviare l’importo tramite c/c postale n. 77003101 a: Press-Di srl – Ufficio Abbonamenti. È possibile pagare con carta di credito o paypal sul sito: www.abbonamenti.it Worldwide subscriptions, one year: 10 issues + 3 Annual + Design Index € 59,90 + shipping rates. For more information on region-specific shipping rates visit: www.abbonamenti.it/internisubscription. Payment may be made in Italy through any Post Office, order account no. 77003101, addressed to: Press-Di srl – Ufficio Abbonamenti. You may also pay with credit card or paypal through the website: www.abbonamenti.it/casabellasubscription Tel. +39 041 5099049, Fax +39 030 7772387 Per comunicazioni, indirizzare a: Inquiries should be addressed to: Press-Di srl – Ufficio Abbonamenti c/o CMP Brescia – 25126 Brescia (BS) Dall’Italia/from Italy Tel. 199 111 999, costo massimo della chiamata da tutta Italia per telefoni fissi: 0,12 € + iva al minuto senza scatto alla risposta. Per i cellulari costo in funzione dell’operatore. Dall’estero/from abroad Tel. + 39 041 5099049, Fax + 39 030 7772387. e-mail: abbonamenti@mondadori.it www.abbonamenti.it/interni14 L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi dell’art. 7 del D.L. 196/2003 scrivendo a/The publisher guarantees maximum discretion regarding information supplied by subscribers. For modifications or cancellation please write to: Servizio Abbonamenti - c/o Koinè Via Val D’Avio 9, 25132 Brescia (BS), oppure/ or to: privacy.pressdi@pressdi.it NUMERI ARRETRATI/BACK ISSUES Interni € 10, Interni + Design Index € 14 Interni + Annual € 14. Pagamento: c/c postale n. 77270387 intestato a Press-Di srl “Collezionisti” (Tel. 199 162 171). Indicare indirizzo e numeri richiesti inviando l’ordine via fax (+39 0295970342) o via e-mail (collez@mondadori.it). Per spedizioni all’estero, maggiorare l’importo di un contributo fisso di € 5,70 per spese postali. La disponibilità di copie arretrate è limitata, salvo esauriti, agli ultimi 18 mesi. Non si accettano spedizioni in contrassegno. Please send payment to Press-Di srl “Collezionisti” (tel. + 39 02 95970334), postal money order acct. no. 77270387, indicating your address and the back issues requested. Send the order by fax (+ 39 0295970342) or e-mail (collez@mondadori.it). For foreign deliveries, add a fixed payment of € 5,70 for postage and handling. Availability of back issues is limited, while supplies last, to the last 18 months. No COD orders are accepted. DISTRIBUZIONE/DISTRIBUTION per l’Italia e per l’estero/for Italy and abroad Distribuzione a cura di Press-Di srl L’editore non accetta pubblicità in sede redazionale. I nomi e le aziende pubblicati sono citati senza responsabilità. The publisher cannot directly process advertising orders at the editorial offices and assumes no responsibility for the names and companies mentioned. Stampato da/printed by ELCOGRAF S.p.A. Via Mondadori, 15 – Verona Stabilimento di Verona nel mese di ottobre/in October 2014

Questo periodico è iscritto alla FIEG This magazine is member of FIEG Federazione Italiana Editori Giornali © Copyright 2014 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. – Milano. Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Manoscritti e foto anche se non pubblicati non si restituiscono.

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N. 646 novembre 2014 November 2014 rivista fondata nel 1954 review founded in 1954

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direttore responsabile/editor GILDA BOJARDI bojardi@mondadori.it art director CHRISTOPH RADL caporedattore centrale central editor-in-chief SIMONETTA FIORIO simonetta.fiorio@mondadori.it consulenti editoriali/editorial consultants ANDREA BRANZI ANTONIO CITTERIO MICHELE DE LUCCHI MATTEO VERCELLONI

Nell’immagine: il nuovo terminal dell’Heydar Aliyev International Airport in Azerbaijan, interior design di Autoban. In the image: the new terminal of the Heydar Aliyev International Airport in Azerbaijan, interior design by Autoban. (foto di/photo by Kerem Sanliman)

Nel prossimo numero 647 in the next issue

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InteRNI60 in allegato il volume Interni 60th Anniversary 450 pagine di design dal 1954 a oggi INTERNI60 supplement Interni Sixtieth Anniversary 450 pages of design from 1954 to now

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redazione/editorial staff MADDALENA PADOVANI mpadovan@mondadori.it (vice caporedattore/vice-editor-in-chief) OLIVIA CREMASCOLI cremasc@mondadori.it (caposervizio/senior editor) LAURA RAGAZZOLA laura.ragazzola@mondadori.it (caposervizio/senior editor ad personam) DANILO SIGNORELLO signorel@mondadori.it (caposervizio/senior editor ad personam) ANTONELLA BOISI boisi@mondadori.it (vice caposervizio architetture/ architectural vice-editor) KATRIN COSSETA internik@mondadori.it produzione e news/production and news NADIA LIONELLO internin@mondadori.it produzione e sala posa production and photo studio rubriche/features VIRGINIO BRIATORE giovani designer/young designers GERMANO CELANT arte/art CRISTINA MOROZZI fashion ANDREA PIRRUCCIO produzione e/production and news DANILO PREMOLI hi-tech e/and contract MATTEO VERCELLONI in libreria/in bookstores TRANSITING@MAC.COM traduzioni/translations grafica/layout MAURA SOLIMAN soliman@mondadori.it SIMONE CASTAGNINI simonec@mondadori.it STEFANIA MONTECCHI stefania.montecchi@consulenti.mondadori.it segreteria di redazione editorial secretariat ALESSANDRA FOSSATI alessandra.fossati@mondadori.it responsabile/head ADALISA UBOLDI adalisa.uboldi@mondadori.it assistente del direttore assistant to the editor FEDERICA BERETTA internir@mondadori.it contributi di/contributors ALESSANDRO BINI STEFANO CAGGIANO VALENTINA CROCI ELISA MUSSO ALESSANDRO VILLA fotografi/photographs SERGIO ANELLI SIMONE BARBERIS HERTA HURNAUS JEROEN MUSCH PEDRO PEGENAUTE DANIELE TENCONI ENRICO SUÀ UMMARINO PAOLO VECLANI MARCO ZANTA progetti speciali ed eventi special projects and events CRISTINA BONINI MICHELANGELO GIOMBINI

corrispondenti/correspondents Francia: Olivier Reneau olivier.reneau@gmail.com Germania: LUCA IACONELLI radlberlin@t-online.de Giappone: SERGIO PIRRONE utopirro@sergiopirrone.com Gran Bretagna: DAVIDE GIORDANO davide.giordano@zaha-hadid.com Portogallo: MARCO SOUSA SANTOS protodesign@mail.telepac.pt Spagna: LUCIA PANOZZO luciapanozzo@yahoo.com Taiwan: CHENG CHUNG YAO yao@autotools.com.tw USA: Dror Benshetrit studio@studiodror.com

ARNOLDO MONDADORI EDITORE 20090 SEGRATE - MILANO INTERNI The magazine of interiors and contemporary design via Mondadori 1 - Cascina Tregarezzo 20090 Segrate MI Tel. +39 02 75421 - Fax +39 02 75423900 interni@mondadori.it Pubblicazione mensile/monthly review. Registrata al Tribunale di Milano al n° 5 del 10 gennaio1967. PREZZO DI COPERTINA/COVER PRICE INTERNI + ANNUAL contract + ANNUAL cucina € 10,00 in Italy

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