Barocco, Alla scoperta di alcuni capolavori in territorio ticinese

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Prefazione di Tita Carloni

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Chi volesse andare alla ricerca di complessi significativi di stucchi nella regione dei laghi di Lugano e di Como deve visitare soprattutto alcune chiese delle parrocchie maggiori e alcuni santuari od oratori distribuiti nel territorio secondo una geografia particolare. Nelle chiese parrocchiali incontrerebbe soprattutto cappelle laterali e presbiteri rifatti completamente alla fine del Cinquecento e nel Seicento durante le grandi campagne costruttive legate alla Controriforma borromaica e alle sue prolungate ripercussioni nelle terre prealpine. Questa ricchezza di opere va naturalmente messa in relazione anche con l’accumulazione di mezzi finanziari da parte delle maestranze migranti che vennero a trovarsi spesso nelle condizioni di poter conferire alle chiese del loro paese d’origine donazioni, legati, offerte, elargizioni. Quelle maestranze qualificate fornivano dunque, oltre al proprio lavoro, anche parte dei capitali indispensabili per i grandi rinnovamenti architettonici e decorativi nel luogo di provenienza. Questi processi continuarono anche nel Settecento, secondo modalità che si ripetevano in modo molto simile di villaggio in villaggio, di gruppo familiare in gruppo familiare. Altri luoghi deputati a ricevere grandi lavori di stucco furono i santuari e gli oratori dedicati alla Madonna o a Santi onorati da grandi devozioni popolari. Gli itinerari, oggi spesso desueti, sui quali si svolgevano gli scambi tra i vari villaggi e dove si snodavano i grandi percorsi delle maestranze migranti (che il più delle volte avvenivano a piedi) erano costellati sin dal Medioevo di edicole e cappelle dove i passanti sostavano, riposavano, pregavano e, in qualche misura, misuravano i tempi dei loro lunghi viaggi. Questi piccoli manufatti spesso dedicati (e non saprei perché) alla Madonna del latte accompagnata da santi e angeli, o alla Santissima Trinità, erano oggetto di grande venerazione popolare e meta di ricorrenti processioni. Sempre nell’ambito delle grandi campagne religiose post-tridentine fu spesso deciso di trasformare le antiche edicole in veri e propri santuari di campagna. Spesso leggende e storie di miracoli precedevano o accompagnavano quelle iniziative con intensa partecipazione popolare. Di regola la sacra immagine, venerata da tempi remoti, veniva conservata in loco e il nuovo e più ampio edificio votivo le veniva costruito attorno, con grande attenzione e rispetto. Affreschi trecenteschi e quattrocenteschi venivano integrati in nuove incorniciature di stucco di forma barocca, con abbondanza di ovali, volute, girali, nuvole, festoni e architetture fantastiche. Il rispetto dell’antica effigie giungeva talora sino al punto di condizionare la posizione stessa del nuovo edificio nel terreno, esigendo scavi di una certa importanza, spianamenti di terreno, addirittura spostamenti di strade e di viottoli. La geografia generale dei Santuari seicenteschi e settecenteschi non è dunque qualcosa di casuale. Essa corrisponde a una sorta di disegno radicato profondamente nella storia della regione. Studi che mettessero in relazione gli spostamenti regolari delle maestranze migranti (reti, modalità e tempi dei percorsi) dal Medioevo fino a tutto il XVIII secolo, con la diffusione di determinate forme di devozione popolare e di organizzazione religiosa (e relativi siti) ci svelerebbero sicuramente una struttura complessiva di organizzazione del territorio che oggi, pur sussistendo qua e là per piccole parti, è sostanzialmente sommersa o alterata dai grandi interventi ottocenteschi (strade e ferrovie) e soprattutto novecenteschi (ancora grandi strade ed edilizia diffusa ben al di fuori dei limiti degli abitati tradizionali). Gli stucchi sono sovente gioielli nascosti in quegli scrigni architettonici, spesso sfuggenti, oggi, al nostro abituale spostarsi sul territorio. Ma al territorio non è legata soltanto la posizione e la distribuzione dei monumenti che contengono i grandi complessi plastici. Dal territorio provengono direttamente, quasi come una naturale emanazione, anche i materiali, specialmente la calce, detta volgarmente calcina, che sono alla base della fabbricazione degli stucchi. Tutto il massiccio montuoso che sta tra il lago Ceresio e il Lario è una specie di enorme deposito sedimentario di carbonato di calcio, il calcare più o meno selcioso definito oggi ufficialmente come calcare di Moltrasio. Da quel minerale, con un sapiente processo di cottura alla temperatura di 800-900 gradi si estraevano le zolle di


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