QTI, Didier Ruef

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Didier Ruef

Tascabili di fotografia nella Svizzera Italiana

05 Bestiarium





Didier Ruef Bestiarium

Tascabili di fotografia nella Svizzera Italiana


00. Didier Ruef: autoritratto, Massagno, 2003



Didier Ruef, di Adriano Heitmann Vita dura per un appassionato. Didier Ruef, professione reporter, professione in via d’istinzione. Sta sparendo il fotografo che considera immagine ciò che vede in macchina. Ci vuole presenza di spirito, rapidità, occhio, intuizione. E’ adesso o mai più. Ignorare photoshop, non per capriccio ma per disciplina. Didier è d’un pezzo solo: lui e la sua macchina fotografica. Nella vita del reporter ci sono delle stazioni, che si snocciolano lungo un percorso, come quello di una via crucis. Africa, Contadini di montagna, pattume platetario. Tre temi, tre libri, due dei quali pubblicati in Ticino. Didier Ruef è ginevrino e ticinese d’adozione. Vive qui da noi dal 1994. Lui è un uomo appassionato, ossessionato. Rimprovera ai nostri tempi la noia delle scelte editoriali. Editori che non si espongono, politicamente parlando. Editori che vogliono solo libri dal successo garantito. E poi, soldi, soldi, soldi. Non c’è spazio per la fotografia scomoda, socialmente parlando. Chi vuole ancora sentir parlare di Chernobyl? Dopo tutto si cerca oggi di tappare le fughe di radioattività a Fukushima. Nella editoria contemporanea è tempo di reciclaggio. Si va a scavare negli archivi: Bruce Davidson, Kudelka, Robert Frank, Eugene Smith e via dicendo. C’è poco spazio per il reportage contemporaneo, quello vero, quello della scuola Magnum per intenderci. Il digitale – dice Didier Ruef – ha reso il mondo soft, nella luce, nei contenuti.


La fotografia ha perso la sua innocenza. L’uomo nella strada è pressoché sparito grazie ai diritti alla privacy che ne impediscono la pubblicazione. Sovente quando c’è troviamo una silouette inespressiva atta a dare unicamente la dimensione degli oggetti. La post produzione ha sostituito il hic et nunc del fotoreporter. Sento la vicinanza tra Didier Ruef e i suoi soggetti, sento il suo sguardo a volte feroce, a tratti violento. Sento il suo invito alla riflessione, sento la sua compassione per un mondo ferito. Sento le sue ferite. La sua fotografia è forse un atto catartico? Il suo lavoro ha corpo nei suoi splendidi libri, unica maniera per lasciar traccia. Mi raccontava una volta sorridendo: sono un africano, penso come un africano. La mia infanzia mi ha portato a considerare la mia famiglia una grande tribù e oggi ancora vivo quasi senza domicilio, cittadino del mondo, girovago, reporter contento di essere svizzero ma non troppo svizzero. Cartier Bresson diceva che i fotografi sono come dei velieri: solcano i mari in solitudine e ogni tanto approdano in un porto e ripartono... Un’immagina poetica che mi piace ricordare. Didier Ruef mi ha proposto di pubblicare il tema bestiarium che ci permette di assaporare il carattere ironico dell’autore, una specie di sorriso sul mondo; ma anche, non potrebbe essere altrimenti, un messaggio melanconico dove l’animale è assoggettato al uomo, rilegato a peluche nel migliore dei casi.



Le opere


01. Italia. Roma. 1991



02. Russia. Krasnodar. 1993



03. USA. New York. 1986



04. Olanda. Amsterdam. 1995



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