Contributo alla teoria del bacio

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«QUADERNETTI»

Contributo alla teoria del

BACIO


Alexandre Lacroix

Contributo alla teoria del

BACIO Edizione italiana a cura di Chiara Pastorini

Gremese


Titolo originale: Contribution à la théorie du baiser © 2011 by les Éditions Autrement Crediti: In copertina, La dolce vita (1960) di Federico Fellini, Collezione Christophel. La traduzione del sonetto di pag 41 è tratta dal volume Amori a cura di Cesare Greppi, Mondadori, 1990. Coordinamento editoriale dell’edizione originale: Anne-Charlotte Sangam Traduzione dal francese: Rosalita Leghissa e Chiara Pastorini Stampa: Grafiche del Liri – Isola del Liri (FR) Copyright dell’edizione italiana: 2013 © GREMESE New Books s.r.l. – Roma www.gremese.com Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualunque modo e con qualunque mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore. ISBN 978-88-8440-773-3


INDICE

Prefazione 9 I. Il battesimo del fuoco 11 II. Un regalo a sorpresa del papa 25 III. Giacché l’anima mi sfuggirebbe dalla bocca… 31 IV. Gusto naturale 45 V. Come gelo sulle tue labbra 59 VI. La faccia nascosta del visibile 67 VII. I fiori di Parigi 75 VIII. Psicopatologia del bacio 85 IX. Bambinate 97 X. Una curiosa difficoltà di linguaggio 103 XI. Cinema, cinema! 111 XII. Baciami fino alla fine del mondo 123 Conclusioni 135


A tutti i teneri innamorati


«In passato ho frequentato abbastanza a lungo la confraternita dei fidanzati e bisogna che riesca a trarne qualche vantaggio. Pertanto ho pensato di raccogliere le mie considerazioni in un’opera intitolata Contributo alla teoria del bacio, dedicata a tutti i teneri innamorati. Del resto è curioso che non esista un solo trattato sull’argomento. Se mai riuscirò a portare a termine questo studio, colmerò una lacuna da tempo avvertita in letteratura. Dipenderà dal fatto che i filosofi trascurano l’argomento o che non ne hanno la minima idea?». Søren Kierkegaard, Diario del seduttore


Prefazione Una sera di dicembre mia moglie mi si avvicinò e mi rimproverò come già aveva fatto molte volte: «Tu non mi baci abbastanza!» mi disse. «Sei arido. Ma perché non provi mai a prendermi fra le braccia, solo per baciarmi?». Come al solito, anche quella volta mi limitai ad alzare le spalle. Un po’ più tardi, quella stessa sera, dopo che lei se n’era andata a dormire e io passavo qualche ora al computer, ho buttato giù una serie di riflessioni sul bacio che formano il primo capitolo di questo libro. In effetti desideravo fare il punto sull’argomento – e, quando una questione non è chiara, non c’è cosa migliore da fare che scriverne. Qual era il mio rapporto col bacio? Cosa c’era in questo gesto così semplice da farmelo sembrare inutile o difficile? Il giorno dopo, rileggendo quelle parole, ho sentito che avevo toccato un argomento più profondo di quanto non mi sembrasse all’inizio; in effetti, avevo in testa molte più domande che risposte. Nei mesi seguenti, per cercare di squarciare il mistero, ho passato molte ore, di notte, a studiare questo tema, a rileggere tutti i passaggi che scrittori ed eruditi avevano dedicato al bacio o anche a esaminare su internet quadri, sequenze di film e foto di innamorati che si baciano. 9


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Queste ricerche, o piuttosto queste scorribande notturne sui testi e nel web, si sono rivelate più lunghe del previsto e anche più faticose a causa della vastità dell’argomento, tuttavia mi hanno portato a due conclusioni (in realtà, solo la seconda è di qualche utilità per la mia coppia). La prima è che è possibile e anche legittimo parlare di una «teoria del bacio». Ogni epoca della storia occidentale è stata dominata da un tipo di rappresentazione del bacio coerente, articolata, anche se si presenta dispersa su diversi supporti ed è necessario compiere un paziente lavoro di ricostruzione per coglierne il significato complessivo. Si può così rintracciare l’evoluzione della teoria del bacio e cercare di arricchirla con sviluppi contemporanei. Seconda conclusione della ricerca: ci sono mille ragioni per baciarsi, ma in ogni caso non si tratta di smancerie sentimentali. Per finire, ho molto esitato sul modo di presentare i risultati della mia ricerca. La quantità di materiale raccolta era notevole, avrei potuto decidere di scrivere un saggio erudito o, al contrario, di lasciar da parte i riferimenti bibliografici e proporre solo un racconto soggettivo e personale sul bacio. Ho preferito fare entrambe le cose, vale a dire alternare i ricordi intimi alle riflessioni più documentate. Lo scopo ultimo del tentativo resta comunque paradossale, poiché si tratta di aggiungere un po’ di scienza alla vita amorosa. Per arricchirla.

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I Il battesimo del fuoco

Ecco una bocca. I molari con le otturazioni, la lingua con le papille violacee o biancastre, la saliva che la bagna, la pelle tesa delle labbra che ricordano due pigri lumaconi. Eppure, se soltanto vi avvicinate per baciarla, avviene una trasfigurazione. Il poco appetitoso spettacolo della carne scompare. La bocca adesso è il punto in cui si concentra l’espressività del volto, come un’eco discreta del turbamento che invade gli occhi, anche se più fremente, più soave. Questa è la magia del bacio. Non è necessario essere una fanciulla o un santo, non c’è bisogno di invocare la trascendenza per sentire che, in questo semplice atto, lo spirito invade la carne. Per tutta la durata di quest’attimo sospeso, la vita organica è come messa fra parentesi, le emozioni affiorano sotto la pelle, l’animale diventa Dio. Se fossi cristiano paragonerei questo stato all’Eucarestia o al mistero dell’Incarnazione. Ma queste indicazioni sono superflue e rischiano in questa fase di distogliere l’attenzione. Miracoloso, il bacio è anche del tutto banale. È meno intenso e meno sofisticato dell’abbraccio; si è contenti di baciare, ma se ne può anche fare a meno per un po’ di 11


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tempo senza, per questo, avvertirne intensamente la mancanza. Ci sono baci noiosi e non riusciti, e si può vivere senza problemi con qualcuno che bacia male. Il bacio trasporta, ma mai troppo lontano dall’ordinario. La sua magia è modesta, democratica, pudica, rassicurante – e questo lo rende ancora più ambiguo. Filosofi e psicologi hanno speso tesori d’intelligenza per spiegare cosa fosse implicato nel rapporto sessuale, ma hanno avuto la tendenza a trascurare il bacio, come un parente povero. Ammirevoli mi sembrano, sotto questo aspetto, gli istanti che precedono il contatto fra le labbra. Il volto si prepara al bacio: si trasforma a vista d’occhio. Si potrebbe dire che si apre. Ma non è tutto. Nel corso di questo breve lasso di tempo, due o tre secondi al massimo, si manifesta anche un certo disordine. Le proporzioni fra le sopracciglia, la punta del naso, le fossette, il mento non sono più così ben definite. L’armonia prestabilita vacilla. Si deforma. Come una palla di neve da cui si staccano i fiocchi quando la si scuote, il volto deve ricomporsi. Ed è nella serenità del bacio che avrà luogo questa rimessa in ordine, generalmente con le palpebre socchiuse. Mentre le labbra e le lingue si toccano, l’espressione s’immobilizza come in una statua. Un istante svanito, polverizzato, l’identità si ricompone di nuovo. Anche prima dell’atto sessuale il volto si modifica, ma in modo differente. Quali possano essere la fiducia o il piacere che legano i partner, gli sguardi sono sempre attraversati da una sorta di timore, di avidità, di agitazione. C’è tensione, concentrazione delle forze antagoniste appena prima della penetrazione. In quel momento l’amore e la seduzione indossano i colori di guerra. Nel coito sono presenti il gusto della caccia e un surrettizio istinto predatorio. Il bacio non implica 12


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gli stessi affetti. Più leggero, è privo di quel velo d’odio che oscura lo sguardo sessuale. Dio ha inventato il gatto affinché l’uomo possa accarezzare la tigre, dice il proverbio. Analogamente, il bacio consente di avvicinarsi senza pericolo al desiderio. Eppure, che paura le prime volte! Mi ricorderò sempre quel corridoio del collegio Jacques-Decour, quel vecchio angolo di parquet grigiastro che puzzava di topo morto, nel sottotetto, dove a tredici anni mi sono pisciato addosso dalla paura prima di un appuntamento con una ragazza che, ne ero certo, mi avrebbe baciato per la prima volta. Lei voleva uscire con me, questo era assodato. Le sue compagne me lo avevano confermato. I miei amici ci prendevano già in giro. Ma ancora non era successo nulla. Io avevo lo stomaco sottosopra, una nausea tremenda, ero terrorizzato come non mai. Sembra che io scherzi raccontando questa scena. Ma ero in pieno dramma passionale. Uscendo da una lezione, durante una pausa, ho cercato un corridoio tranquillo, quello delle aule di fisica, per soddisfare un bisogno così urgente da non poter aspettare di raggiungere i bagni al piano di sotto. Mi ricordo che una pozza d’urina si era formata in mezzo alle mie scarpe da ginnastica. Quella ragazza si sarebbe impadronita di me, mi avrebbe succhiato il sangue come un vampiro, e io, forse, avrei esalato l’ultimo respiro – chi poteva saperlo? Paralizzato dalla vergogna e dal terrore, poco più tardi mi sono trovato di fronte a lei nel cortile. Aveva i seni grossi, al punto che sembravano gonfiati come dei palloncini sotto il piumino. Quel seno costituiva un’autentica tortura per un adolescente eccitabile come me. La frangia bionda, i capelli lunghi, un naso a trombetta – pardon, all’insù. Mi impressionava. Ahimé, penso di aver farfugliato qualcosa dando di me un’immagine 13


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pietosa e ridicola. E non mi ha messo la lingua in bocca quel giorno. Né mai. Mi ero pisciato addosso per niente. Cosa avrò mai detto per dispiacerle? Non mi ha più rivolto la parola e ho dovuto passare ancora molto tempo, un anno, a schiacciare i foruncoli della mia acne guardandomi malinconicamente nello specchio del bagno, prima di avere un’altra occasione. È stato su un ferry-boat fra Calais e Dover che, finalmente, ho avuto la mia prima esperienza. Questa volta, colto di sorpresa, non ho avuto il tempo di farmi prendere dal panico. Facevo parte di un gruppo di adolescenti in partenza per un soggiorno linguistico presso delle famiglie inglesi. Si trattava del mio primo viaggio al di fuori della tutela genitoriale. Sulla nave c’era una discoteca. Si ballava su una piccola pista, sotto un globo sfaccettato di specchietti, fra le macchinette mangiasoldi e il bar. Una ragazza, un po’ più grande di me, con i capelli a carré molto scuri e gli occhi verdi, mi è venuta incontro con aria decisa. Mi ha sparato un: «I want a kiss». Io ho fatto finta di non capire, lei si è arrabbiata. Le lentiggini del suo viso hanno preso un colore più acceso: «Give me a kiss…a long one». Ho obbedito. Ci guardavano tutti. Non avevo alcuna conoscenza pratica, ma, siccome volevo mostrarmi all’altezza della sfida, l’ho baciata a lungo, molto a lungo. Le nostre lingue giravano una attorno all’altra. Era bello. In quei momenti potevo far scivolare una mano sotto la sua camicetta setosa, palpare le pieghe del suo ventre, la peluria lungo la colonna vertebrale, i gancetti del reggiseno; lei si lasciava fare. I nostri respiri, a forza di restare incollati l’uno all’altra, avevano bagnato la parte bassa dei nostri volti. Eravamo in un bagno di sudore, ma tenevamo sempre il ritmo. La cerchia degli spettatori si allargava progressivamente. 14


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Quanto è durata la nostra performance? Una mezz’ora? Ci siamo fermati solo quando abbiamo sentito le sirene che annunciavano l’arrivo in porto. Dopo essermi staccato da quella straniera, di cui non ricordo il nome (Carol?) e con la quale, dopotutto, non ho scambiato una sola parola, mi trovavo in uno stato di sonnambulismo. Mi aveva dato un bacio da far resuscitare i morti o piuttosto – ma è lo stesso – da stendere i vivi. È vero, c’era stato qualche bacetto durante la ricreazione, qualche fidanzatina in passato, ai tempi delle elementari. Ma quello non conta. Se l’inizio della sessualità segna l’ingresso nell’età adulta, il primo vero bacio, consapevolmente erotico, con intreccio di lingue, resta un rito di passaggio fondamentale, che le brutte copie infantili non intaccano. Esso segna la soglia dell’adolescenza. Dopo, gli affari di cuore saranno il problema principale nella vita. Il primo french kiss inaugura la vita sentimentale e spezza il felice solipsismo dell’infanzia. Prima c’è la fase dello specchio, poi, con questo evento ulteriore si passa dall’altra parte dello specchio. Non ci si accontenta più di un’immagine riflessa, c’è bisogno ormai dello sguardo dell’altro per riconoscersi e amarsi. Si entra nel mondo dell’attrazione e dell’ipocrisia. Se l’atto sessuale è un punto, il bacio è una virgola. Un respiro nella frase. Ma quanto tempo far durare questo respiro? La durata di un atto sessuale riuscito è definita in modo abbastanza rigoroso. Del resto, non è tanto una questione di cronometro, quanto di progressione drammatica. Se è troppo breve, è un fallimento. Se è troppo lungo è come fare sport, cercando di superare se stessi, il che è divertente di tanto in tanto, va bene, ma è incompatibile con la dolcezza della perfezione. C’è il rischio che uno dei partner si stanchi prima dell’altro, introducendo 15


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uno iato nell’accoppiamento, fonte di goffaggini e simulazioni… Quanto alla durata del bacio, basti dire che è indefinibile. La carezza delle labbra è avvolta in una sorta di bruma temporale. Il bacio è un momento senza contorni. Una volta finito, può essere subito ripreso tutte le volte che lo si desidera, come in una sorta di dissolvenza incrociata. Poche altre attività sono avvolte da una tale indeterminatezza. Forse la scrittura? O la pittura? Quanto tempo ci vuole per mettere una frase sulla carta o per stendere una pennellata sulla tela? Ma questi paragoni artistici appartengono a un registro troppo elevato che impedisce di cogliere il nocciolo della questione. Quanti minuti ci vogliono, di notte, perché un sogno prenda forma nel nostro cervello? La durata del bacio è inafferrabile quanto quella del sogno. Solo in una circostanza il bacio sembra troppo lungo: quando si sospetta che l’altro lo faccia durare solo per evitare un contatto sessuale di cui non ha voglia. All’opposto, se è molto breve, ridotto al minimo, il bacio diventa utilitaristico: serve a dire arrivederci al mattino prima di andare in ufficio, o a segnalare il ritorno a casa dopo una giornata di lavoro. Ma allora è come timbrare il cartellino. Così, la durata ideale del bacio si colloca da qualche parte fra la codardia e l’educazione, fra un processo dilatorio e la pura convenzione. Ci si bacia solo per il tempo in cui si è capaci di donarsi. Forse è perché sono privi di contorni temporali che i baci sono per natura volatili e non si imprimono nella memoria. Per quello che mi riguarda (ma si tratta forse di una distorsione personale?) ci sono pochi baci di cui serbo 16


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un ricordo preciso, un’immagine chiara che non si sovrappone alle altre. Sotto le scalinate che collegano il porto alla città di Fira, nell’isola di Santorini in Grecia, a quindici anni ho scambiato un lungo bacio con la mia ragazza, un’euroasiatica dalle ampie palpebre voluttuose. Se quel bacio è ancora presente nei miei ricordi, intatto, è soprattutto perché, all’inizio di quel mese di agosto, verso mezzogiorno, faceva un caldo tremendo. Ci tenevamo stretti l’uno all’altra in pieno sole. La roccia vulcanica della scogliera e dei gradini era rovente. Non c’era anima viva che si arrischiasse in quel luogo senza ombra, in tarda mattinata. A quel tempo, il turismo di massa non aveva ancora raggiunto le dimensioni attuali e non esistevano ancora le navi di lusso che in alta stagione vomitano ogni giorno migliaia di crocieristi sull’isola. Eravamo quindi soli. Ci eravamo spinti fino al mare per caso. La città bianca danzava lontano sopra di noi nei miraggi della fornace. E noi facevamo durare indefinitamente il vortice delle nostre lingue. Formalisti in questo campo, come tutti gli adolescenti, eravamo convinti che per baciare fosse necessario seguire una regola. Bisognava quindi che ci fosse un certo ritmo, un certo avvicendamento nell’azione, in cui noi ci impegnavamo febbrilmente. Non eravamo innamorati. Non avevamo una particolare considerazione l’uno dell’altra. La superficie del mare era come una lastra di metallo sbiancato. Il cielo senza nubi offriva uno spazio illimitato ai raggi del sole. A stento si facevano strada fino a noi un vapore salmastro e i rumori discreti dello sciabordio. Quel che ci piaceva allora era sopportare l’immobilità, fino ai limiti del possibile, dentro quel forno. Dello stesso periodo (l’inverno precedente o il suc17


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cessivo) ho anche qualche ricordo di baci in un gran freddo. Per esempio, su una spiaggia, in un bunker abbandonato, ho baciato una ragazza affetta da spasmofilia, una cabila dalla pelle di latte, gli occhi azzurri, e di una bellezza impressionante. Le nostre dita erano ghiacciate come stalattiti, le carezze intirizzite e dolenti per l’inizio del congelamento. Il suo corpo era magro, diafano, vibrante d’intensità. Il suo respiro faticava nell’aria gelida, minacciava di interrompersi ad ogni ripresa. Era un bacio di vetro, lontano, molto lontano dal fuoco di Santorini. Ci fu anche, poco dopo, una Jeanne con cui avevo degli appuntamenti in un parco. Ci nascondevamo sotto i rami di un albero basso e dal fogliame denso. Passavamo lunghi minuti sulla terra indurita, rannicchiati l’uno contro l’altra, a baciarci senza sosta per dimenticare il freddo che ci attanagliava le gambe, il ventre, le orecchie. In sostanza, estate greca o notte di febbraio, è soprattutto il clima di quei baci che io ricordo, così come il profumo di clandestinità che si diffondeva nell’aria attorno alle passioncelle di quell’età. Che sapore avevano i baci in sé? Non saprei dirlo. Il bacio è il ladro perfetto che non lascia tracce dietro di sé. Nel ricordo resta soltanto un luogo segnato da effrazione. Il gesto, quello, svanisce. Se ci ripenso, l’ansia dell’adolescente per gli aspetti tecnici del bacio è straordinaria. Si chiede consiglio agli amici, ci si fanno ripetere infinite volte certi dettagli dai più grandi, i fortunati esperti. L’attenzione del baciatore in erba si concentra sulla dimensione materiale del problema, come il ciclista che controlla in modo ossessivo la pressione delle gomme, la posizione della sella, lo stato dei pignoni e del cambio prima della corsa. Se bisognasse fornire dei chiarimenti su questo punto, direi che ci sono principalmente quattro metodi a 18


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disposizione. Gli adolescenti tendono a privilegiare la tecnica del tamburo, vale a dire a ruotare energicamente le loro lingue una attorno all’altra. I più coscienziosi compiono questo movimento sempre nello stesso modo; quelli più fantasiosi cambiano ogni tanto il senso della rotazione. Perché questo approccio al bacio si addice ai principianti? Forse perché presenta un aspetto dimostrativo. O forse perché, grazie a questa modalità, i ruoli non sono definiti: nessuno dei due prevale, l’elemento maschile e quello femminile obbediscono alla medesima regola, senza alcun rovesciamento. L’adolescenza stessa è una specie di centrifuga, una fase dell’esistenza in cui i sentimenti turbinano e non si arrestano mai; questo tipo di bacio ne fornisce conferma. Detto ciò, abbandonarsi da adulti a un bel bacio vigoroso come in passato, produce un effetto comico: imitare l’impegno dei principianti crea un effetto di estraniazione teatrale, baciare risulta solo un gioco. Secondo la mia classificazione, più matura e più sofisticata è la tecnica del pennello, in cui le lingue si muovono senza sistematicità, compiendo incursioni leggere, pressioni impreviste, sfioramenti capricciosi qua e là. Questo metodo presenta il vantaggio di dare l’impressione di una totale assenza di metodo, e quindi di un’immediatezza e una spontaneità piacevoli nella ricerca del contatto. C’è però anche un aspetto furtivo, parziale, esitante che può stancare – il suo stile è puntinista, mentre il tamburo si rifà al genere pompier. Praticando l’approccio a pennello l’adulto rivela anche quella diffidenza che gli deriva dall’esperienza: certo, è disposto a lasciarsi scivolare nell’altro, ma teme di cadere in trappola. Per questo motivo ricorre a precauzioni e prudenza, a leggeri tocchi che non impegnano, come un topolino che cerca di sganciare il pezzetto di formaggio dalla molla della trappola, senza farsi cattu19


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rare. Tanto il bacio dell’adolescente è sbrigativo e risoluto, quanto quello dell’adulto è schivo. A volte la lingua può anche diventare più feroce, più dura e muscolosa nella sua ostinazione a penetrare nella bocca dell’altro. Si tratta di quella tecnica che definirei del bastone. Lo scopo è di introdurre una durezza, un simulacro di penetrazione nell’umida dolcezza del bacio. Anche in questo caso non siamo troppo distanti dalla parodia e dall’effetto di estraniazione. Ma si tratta di un modo grazioso per far passare il messaggio. Il bastone segnala che il bacio non può essere fine a se stesso, ma è l’anticipazione o l’abbozzo di un futuro rapporto sessuale. È anche un test. A seconda del modo in cui l’altro lo accoglie, si può prevedere il seguito degli avvenimenti. Meno finalizzata e meno sensuale è infine la tecnica dell’endoscopio, che consiste nell’esplorare con una meticolosità quasi scientifica la bocca dell’altro. Per inciso, la sua applicazione consente di scoprire le parti trascurate dal bacio classico: le piccole increspature del palato, il morbido rigonfiamento delle gengive, l’imponente falesia dei molari, il frenulo della lingua e la polpa delle gote. È come se, nell’atto di baciarsi, si volesse giocare al dottore. La curiosità trova qui la sua soddisfazione, per non parlare dello strano piacere che si prova a essere noi stessi oggetto di ispezione. Ciascuna di queste tecniche può evidentemente essere accompagnata da morsi e morsetti, ma questi ultimi sono piuttosto da paragonare alle spezie, di cui bisogna controllare il dosaggio. Del resto, non tutti usano i denti durante il bacio, anzi, è un fatto piuttosto raro. Eccone, forse una spiegazione: il bacio è già di per sé una tecnica di neutralizzazione dell’istinto che porterebbe l’animale a divorare e a smembrare. Tutto il gu20


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sto di quest’atto deriva dal fatto che esso sublima un primitivo slancio carnivoro. Per definizione, il bacio ha senso proprio come morso trattenuto. A insistere troppo sulla tecnica del bacio si rischierebbe però di ridurlo a una questione di abilità. In realtà, in questo ambito, così come in tutti gli altri campi di attività umana, l’intesa non si realizza tanto a seguito di un perfetto svolgimento delle operazioni, ma perlopiù come risultato di incidenti, di imprevisti e di arresti improvvisi che sopraggiungono durante la sua realizzazione. Da parte di un robot ci si potrebbe aspettare a buon diritto un’efficacia impavida, un rigore automatico nell’attivazione dei diversi muscoli della mucosa orale. Ma sareste disposti a offrire la vostra bocca a una macchina programmata per gratificarvi con un bacio medio ideale, quello che una prova statistica avesse dimostrato essere il più gradito alla maggioranza delle persone? Conoscete senz’altro quell’equivoco che si verifica spesso per strada: due passanti cercando di evitarsi si spostano dalla stessa parte, ora a destra, ora a sinistra e finiscono per sorridersi prima di incrociarsi, tanto la situazione assomiglia a una scena del cinema muto. Analogamente accade che le bocche si manchino più volte. Oppure che uno degli amanti metta fine al bacio mentre l’altro vorrebbe continuare, e la sua bocca resta per un istante come sospesa, cercando ancora, con la lingua palpitante come un amo nel vuoto. C’è la tosse incontenibile d’inverno, il riso o la saliva che cola sul mento e che bisogna asciugare subito dopo. In ogni caso, ciò che nel bacio ci emoziona è soprattutto la vulnerabilità dell’altro, l’impegno sincero col quale supera le difficoltà tecniche, piuttosto che la perfezione dell’atto 21


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in sé. Il fallimento è molto più tollerato in materia di baci che nell’atto sessuale: e ciò perché non ci si aspetta tanto una prestazione quanto una manifestazione di sentimenti. E poi c’è la respirazione. Non se ne parla mai. Con tutta evidenza il coito è la grande opera lirica del respiro. Le respirazioni dei partner vi si amplificano progressivamente sino a occupare tutto lo spazio sonoro. Diventano lamento, invocazione, gemito, risposta, esibizione delle corde vocali, esplosione delle casse toraciche, parata polmonare. È impossibile condurre l’altro fino al piacere, trovare il ritmo adeguato se non si è attenti all’alternarsi delle sue inspirazioni ed espirazioni, se non ci si è accordati alle modulazioni del suo diaframma. Al confronto, il bacio sta al respiro coitale come una piccola musica da camera, un genere minore, un’arte del soffocamento. Durante il bacio si respira solo col naso, a fatica. Si è quasi in apnea. Il filo d’aria che si fa entrare nei polmoni è minimo, impone al corpo una quasi immobilità, un languido rilassamento. Se il limite del sesso è l’affanno, l’orizzonte del bacio è l’asfissia. Mi ci sarebbe voluto poi molto tempo – anni, a dire il vero – prima di scoprire che si può tuttavia contravvenire alla regola inspirando violentemente attraverso la bocca dell’altro, andando a cercare l’aria, per così dire, nel suo naso, con una specie di effetto pompa. È una strana esperienza di sostituzione: all’improvviso abbiamo l’impressione di essere stati connessi a un altro apparecchio respiratorio, il nostro corpo diventa il prolungamento di un altro viso. Poi entrambi aspiriamo l’aria attraverso la testa dell’altro e diventiamo gemelli siamesi. Questa volta non somigliamo a dei 22


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cantanti che, in un duetto appassionato, si danno il cambio; piuttosto è come se ci fossimo scambiati le voci. L’atto sessuale mette due respiri in competizione, il bacio consente talvolta di scambiarli… Anche se, riconosciamolo, quella è una variante un po’ sofisticata che può avere solo valore di sperimentazione o di fantasia occasionale. Capita anche che una ciocca di capelli si muova a proteggere dagli sguardi indiscreti. La penombra della capigliatura, in cui filtra una luce mutevole, ricrea attorno agli amanti dei mondi in miniatura. Veicola aromi, tabacco, shampoo, profumo e, in sottofondo, l’odore muschiato della cute, dell’intimità. Naturalmente la forma e la consistenza delle labbra svolgono un ruolo nel baciare, a seconda che siano sottili, sporgenti, o spesse come piumini d’oca. E così pure la forma e l’agilità della lingua. Ma fra i dati fisici più favorevoli alla voluttà del bocca a bocca ci sono l’abbondanza, il peso e le sfumature olfattive dei capelli, al di sotto dei quali gli amanti si ritrovano alla fine soli e al riparo da ogni disturbo, come in una camera. Sottolineiamo ancora questa fatto, e non è un dettaglio, che nella bocca ci sono dei denti. Il sesso della donna è costituito da carne, umidità e meandri, è un antro tiepido che dura tutta la vita, malleabile e fluttuante come lei. In ogni caso avvizzisce e si deteriora rapidamente dopo la morte. I denti no. I denti appartengono al corpo immortale, alla struttura imputrescibile che portiamo dentro di noi, come lo scheletro. Il bacio pertanto non è solo un’epifania della carne, è anche una presa di contatto con il cranio dell’essere amato. Unisce due futuri cadaveri, provvisoriamente inguainati di pelle. Ecco cosa spiega la curiosa reticenza che si prova a lasciarsi andare a carezzare i denti con la punta della 23


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lingua mentre si bacia. Si preferisce dimenticarli, lasciarli da parte. Quando gli incisivi si urtano, questo fatto è interpretato sempre come un errore grossolano, che si accompagna a un sorriso di imbarazzo. Evocazione del gelo e della durezza della morte nell’intimità calda dell’essere vivente, i denti conferiscono al bacio un sapore d’oltretomba.

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