i 100 personaggi dell'odonomastica di Brindisi che attraversano tutta la storia della città

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i 100 PERSONAGGI DELL’ODONOMASTICA DI BRINDISI CHE ATTRAVERSANO TUTTA LA STORIA DELLA CITTÀ Gianfranco Perri & Marco Martinese

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"… I nomi antichi delle strade sono come tanti capitoli della storia della città e vanno mantenuti e rispettati, quali monumenti storici del passato" Ferdinand Gregorovius

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i 100 PERSONAGGI DELL’ODONOMASTICA DI BRINDISI CHE ATTRAVERSANO TUTTA LA STORIA DELLA CITTÀ Personaggi illustri nati a Brindisi, o che a Brindisi hanno vissuto e operato significativamente, o che con Brindisi hanno avuto una speciale relazione

Gianfranco Perri & Marco Martinese

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i 100 PERSONAGGI DI BRINDISI… IN ORDINE CRONOLOGICO

Ho fatto quello che farà ogni brindisino verace con in mano questo libro, per prima cosa: andare all’indice alfabetico e cercare la pagina della strada o piazza dov’è nato. La “mia” è la 78, Via Raffaele Rubini, insigne matematico e accademico delle migliori istituzioni vissuto negli anni a cavallo fra il Regno di Napoli e l’Unità d’Italia. La casa che abitavamo, in affitto, era in cima alla strada, proprio sotto la Torre dell’Orologio; salendo due rampe di scale interne, si accedeva ad un’amplissima terrazza in una sezione della quale si appoggiava, letteralmente, imponente e maestoso, uno dei due quadranti della Torre, proprio a un paio di metri da mia madre che stendeva il bucato e da noi, mio fratello Italo ed io, che d’estate andavamo su per giocare. E spesso restavamo a guardare il movimento delle lance (chiamarle lancette non me la sono mai sentita) verdi, forse di bronzo, che era ben percettibile proprio in ragione della struttura gigantesca. Il quadrante era di vetro bianco avorio e le cifre delle ore, romane non arabe, erano incise nel vetro stesso: attraverso VII e VIII riuscivamo a intravvedere piccole parti del meccanismo interno, che ai nostri occhi sembrava il motore del Nautilus, in bacino di carenaggio sulla terrazza di casa nostra! Son rimasto molto tempo davanti alla pagina 78. Il testo, eloquente ed esaustivo di un personaggio che ha veramente illustrato la nostra Brindisi, erano ormai semplici righe indistinguibili, il volto di Raffaele Rubino un’immagine anonima e insignificante. Perché la mia mente era andata a cercare un cassetto remotissimo, lo aveva aperto ed aveva iniziato a rovistare a fatica, per recuperare ricordi imprecisi, emozioni ormai sfumate come certi oggetti che una volta profumavano di qualcosa e tu, inutilmente annusandoli, ti ostini a ricordare un aroma che invece è svanito. Confesso che ho chiesto a Giancarlo Cafiero, che considero uno dei più autentici cultori della brindisinità, insieme agli autori di questo volume, a Giacomo Carito, Antonio Caputo, Angelo De Castro, Nazareno Valente e pochi altri, la dicitura esatta della Torre “di casa mia”. Ebbene, Giancarlo mi ha risposto così: “I brindisini lo hanno sempre chiamato Lu Tirloci, anche perché quasi nessuno possedeva un orologio, per cui questa era un’eccellenza alla portata di tutti”. Ed era anche puntuale, aggiungo io, Lu Tirloci di Brindisi. Poi il senso dell’impegno preso con Gianfranco Perri mi ha dato la sveglia, ed ho iniziato a scorrere il manoscritto come faccio quando mi imbatto per la prima volta in un magazine: saltando alcune pagine velocemente, soffermandomi pochi istanti con curiosità su altre che richiamano l’attenzione, rimanendo il tempo di leggerle fino in fondo altre ancora, immediatamente interessanti. Ecco via Filomeno Consiglio, un’altra strada “di famiglia” perché vi era domiciliata l’agenzia marittima dei Musciacco, bisnonno e nonno di mia moglie Flavia, i quali erano anche agenti della famosa “Valigia delle Indie”.

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Ecco via Marco Pacuvio, grande poeta latino il cui mentore, scopro dal libro di Perri e Martinese, fu lo zio di Quinto Ennio, leccese. La toponomastica della nostra città ha giustamente esaltato il legame di Brundisium con Roma imperiale, il cui emblema più solenne è la Colonna Terminale della Via Appia: Cicerone, Virgilio, Lenio Flacco, Marco Valerio, e gli imperatori Traiano e Augusto. E benissimo hanno fatto gli autori a elencare i cento personaggi scelti non solo con la modalità classica dell’ordine alfabetico, ma anche seguendo il criterio cronologico. Sicché se il lettore desidera conoscere i brindisini illustri dei secoli rinascimentali, dell’epopea risorgimentale, degli anni in cui si combatterono le due Guerre mondiali (e non mancano autentici eroi nati in questa città in entrambe), gli basta dare un’occhiata veloce alle pagine 11-12-13 ed è accontentato. Questo volume ha anche una funzione puramente didattica, almeno per chi, come me, è sempre affascinato dagli aspetti poco noti della nostra città. Innumerevoli le informazioni ed i dettagli su personalità brindisine, titolari di vie e piazze, che conoscevo appena. Come Carlo De Marco che ignoravo fosse stato un potentissimo ministro del Regno borbonico di Napoli o dell’ammiraglio Thaon de Revel che diresse da Brindisi tutte le operazioni di guerra nel primo conflitto mondiale. Ed è nientemeno che il futuro Papa Giovanni che racconta l’aneddoto di quando trovò ospitalità per una notte a casa di don Augusto Pizzigallo, in una Brindisi affollatissima e praticamente sold out. “Una casa signorile, dove passo benissimo la notte e al mattino posso anche celebrare, perché ivi nulla manca”, conclude monsignor Roncalli. Era il 14 settembre 1936. E Aldo Spagnolo e Vincenzo Gigante, due giovani valorosi che si trovarono su fronti ideologici opposti. Spagnolo, camicia nera e volontario, morì da eroe due mesi dopo il suo arrivo sul sanguinoso fronte greco. Gigante, comunista e partigiano, fece dell’antifascismo la sua ragion di vita, attraversando l’Europa e conoscendo carceri e confino, infine incontrando la morte, probabilmente in un campo di sterminio. Entrambi figli generosi e purissimi di Brindisi, insigniti di Medaglia d’Oro al Valor militare alla memoria. Sì, leggere i “100 Personaggi” che Perri e Martinese, girando con il naso all’insù, hanno scelto per confezionare questa bell’opera ci aiuta a convincerci sempre di più che Brindisi è fonte d’orgoglio per chi ci è nato. Anche da operazioni culturali come questa a mio parere i brindisini possono recuperare autostima.

Adolfo Maffei

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i 100 PERSONAGGI DELL’ODONOMASTICA DI BRINDISI CHE ATTRAVERSANO TUTTA LA STORIA DELLA CITTÀ Lo stradario di Brindisi conta più di mille, tra vie, piazze, vicoli, larghi, parchi, etc. Ebbene di quelle più di mille intitolazioni, poco più di cento sono dedicate a personaggi illustri di Brindisi: personaggi nati a Brindisi, o che a Brindisi hanno vissuto e operato significativamente, o che con Brindisi hanno avuto una qualche speciale relazione. Poche o molte, non è qui importante stabilirlo, ma certo è che quelle cento intitolazioni dello stradario cittadino, nonostante le molte ed importanti assenze, costituiscono in una qualche misura “uno specchio” della plurimillenaria ed avvincente storia della nostra città: dalla mitologia e dai gloriosi tempi della repubblica e dell'impero di Roma, alle due guerre mondiali del Novecento, e fin dentro questo Ventunesimo secolo, dopo aver percorso i secoli dell'Alto e del Basso Medioevo e quindi della Modernità e della Contemporaneità. Si tratta, di fatto, di proprio tutte le epoche della storia dell'umanità, una storia che ha avuto Brindisi sempre presente e molto spesso protagonista di rilievo. In effetti, lo scrisse già Ferdinand Gregorovius a fine ’800, " I nomi antichi delle strade sono come tanti capitoli della storia della città e vanno mantenuti e rispettati, quali monumenti storici del passato". Purtroppo, non sempre gli antichi toponimi brindisini sono stati mantenuti e rispettati, giacché, citando Alberto Del Sordo, " Sentimentali a fior di pelle come siamo, facili agli entusiasmi e per nulla freddi nel considerare le cose, abbiamo accolto, attraverso i secoli, le ventate di novità, come ci giungevano, e siamo incorsi, anche in materia di onomastica stradale, in errori, che si sarebbero potuti evitare. Ed è così che l'antico degno di essere mantenuto e rispettato, semmai valorizzato, sia stato travolto dall'irruenza del nuovo, non sempre bello e valido. Intendiamo dire che spesso, senza giustificato motivo, si è tagliato corto con ciò che era anima del passato per far posto al presente, sotto l'etichetta di una maggiore rispondenza a discutibili esigenze culturali e spirituali e di cervellotici aggiornamenti, quando invece presente e passato potevano convivere, dal momento che il presente s'aggancia ineluttabilmente al passato”. In effetti, quella di Brindisi, e ce lo ha commentato di recente anche Giacomo Carito, è stata ed è tuttora, una toponomastica molto sofferta. D’altra parte, l'idea di raccogliere in un volume i personaggi illustri di Brindisi, in generale o presenti nello stradario cittadino in particolare, non è certo stata una nostra idea originale, visto che nello stesso proposito ci hanno preceduto importanti autori, come Alberto Del Sordo che nel 1983 pubblicò “Ritratti brindisini” e nel 1988 "Toponomastica brindisina del centro storico", o come Don Pasquale Camassa che nel 1897 pubblicò “Guida di Brindisi” e nel 1909 "Brindisini illustri". Noi, con questo nostro contributo, infatti, solo ci siamo proposti di integrare e complementare il lavoro di quegli illustri autori, cercando di seguire una sistematicità rigorosa, sforzandoci cioè di includere proprio tutti i personaggi dello stradario cittadino legati a Brindisi e non solo quella metà di loro costituita dai più famosi e dai più conosciuti e celebrati.

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Non è stato sempre facile: in alcuni casi, a partire dalla stessa individuazione di tutti i personaggi da selezionare e poi, in alcuni altri casi, nel proseguire col reperimento delle relative informazioni biografiche e bibliografiche. Le difficoltà, inoltre, sono state frequentemente e notevolmente accresciute dall'insolita quanto riprovevole pratica di utilizzare molto spesso, per la targa stradale, unicamente il cognome del personaggio, tralasciando il nome proprio e non accennando affatto alla professione o alle date dello stesso. L’intenso lavoro di ricerca, comunque facilitato dalle citate pubblicazioni che hanno preceduto la nostra e dalla potenza e universalità del web, ci ha finalmente molto gratificato, specialmente quando ci ha consentito di scoprire personaggi e avvenimenti che ci erano del tutto sconosciuti, o quando ci ha obbligato alla ricerca diretta, anche orale, scomodando, molte volte con successo, amici esperti della storia di Brindisi, o parenti e conoscenti un po' più avanti di noi con l'età. Va inoltre segnalato, che lo stradario brindisino conta anche con varie decine di intitolazioni relative non a singoli personaggi, ma a famiglie e casati brindisini, all’incirca una sessantina, le cui storie sarebbe certo interessante raccogliere e raccontare. Il lavoro di ricerca sarebbe però per tutte quelle storie certamente molto più complesso ed articolato e magari potrebbe costituire l’oggetto di una nuova fatica editoriale, nostra o di altri, tra i tanti nostri amici brindisini, volenterosi ed appassionati della storia della nostra città. E sì, perché innanzitutto di passione si tratta, di quella stessa passione per Brindisi e per la sua storia che in primis ci ha spinto a produrre questo modesto contributo, che ci auguriamo possa essere gradito a molti, rivolto principalmente ai giovani e a quei tanti, troppi, brindisini che poco conoscono della propria storia cittadina: una storia ricchissima, di una città antichissima, crocevia di popoli, spedizioni e imprese, che meriterebbe, a partir dai propri stessi abitanti, ben altra considerazione e rivalutazione. Quando poi, alla fine del lavoro, si è trattato di deciderne la presentazione, quell'idea dello "specchio della storia cittadina" ci ha indotto a preferire l’impaginazione in ordine cronologico e non alfabetico: per chi, infatti, scegliesse di scorrere sistematicamente tutte le cento pagine del libro, potrebbe essere un po' come, con una certa dose di fantasia, scorrere le pagine della storia della nostra città. E proprio partendo da quella stessa idea, e per meglio risaltarla, abbiamo costruito il titolo di questo volume, riferendolo ai: “…personaggi…che attraversano la storia della città”. Per chi, invece, volesse solo rintracciare uno specifico personaggio o una specifica via o piazza, abbiamo comunque pensato bene di includere, in coda, un indice alfabetico sulla base del cognome di ogni intitolazione. E per concludere, esterniamo la speranza e l’auspicio che piaccia a molti, questo contributo alla conservazione e alla diffusione della "memoria storica" della nostra Brindisi. Buona lettura! Gianfranco Perri & Marco Martinese Brindisi, 28 settembre 2017

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i 100 PERSONAGGI DELL’ODONOMASTICA DI BRINDISI CHE ATTRAVERSANO TUTTA LA STORIA DELLA CITTÀ Data di nascita – Data di morte

Nome

Ercole Brindisino

(Tebe, XII Secolo a.C.) 15 (Roma, 250 a.C. circa – Roma, 200 a.C.) 16

Marco Valerio

(Brindisi, 220 a.C. – Taranto, 130 a.C.) 17

Marco Pacuvio Lucio Ramnio

(Brindisi, II Secolo a.C.) 18 (Brindisi, II Secolo a.C. – I Secolo a.C.) 19

Lenio Flacco

(Arpino, 3 gennaio 106 a.C. – Formia, 7 dicembre 43 a.C.) 20

Cicerone

(Mantova, 15 ottobre 70 a.C. – Brindisi, 21 settembre 19 a.C.) 21

Virgilio

(Brindisi, I Secolo a.C. – I Secolo d.C.) 22

Lenio Strabone

(Roma, 23 settembre 63 a.C. – Nola, 19 agosto 14 d.C.) 23

Augusto Imperatore Traiano

Pagina

(Italica, 18 settembre 53 d.C. – Selinus Cilicia, 8 agosto 117 d.C.) 25 (Cilicia o Armenia, III Secolo – Amasea, 17 febbraio 306) 26

San Teodoro d’Amasea

(Alessandria d’Egitto, IV Secolo – Brindisi, V Secolo) 27

San Leucio Lupo Protospata

(X Secolo) 28 (Châtillon sur Marne, 28 luglio 1040 – Roma, 29 luglio 1099) 29

Urbano II

(Brindisi, 1130 – Treviri, 1200 circa) 30

Margarito Da Brindisi Tancredi d’Altavilla

(Lecce, 1139 – Palermo, 1194) 31 (Brindisi, XII Secolo – XIII Secolo) 32

Domenico da Brindisi

Federico II di Svevia (Jesi, 26 dicembre 1194 – Fiorentino di Puglia,13 dicembre 1250) 33 (Brindisi, 1200 circa – Arsenga,1240) 34

Guglielmo da Brindisi Aroldo Ripalta

(Brindisi, XIII Secolo) 35 (Brindisi, 1230 – Napoli, 1284) 36

Tommaso Rischinieri

(Brindisi, 1265 circa – Napoli, 1326) 37

Jacopo Pipino

(Brindisi, 1267 – Adrianopoli, 30 aprile 1305) 38

Ruggero Flores

(Brindisi, XIII Secolo – Lecce, XIV Secolo) 39

Giovanni Castromediano

(Brindisi, 1300 circa – Brindisi, 1346) 40

Enrico Cavalerio Marco Antonio Cavalerio

(Brindisi, XV Secolo) 41

Pompeo Azzolino

(Brindisi, XV Secolo) 42 (Brindisi, 1450 circa – Castro, 1529) 43

Bernardino Scolmafora Paolo IV

(Sant’Angelo a Scala, 28 giugno 1476 – Roma, 18 agosto 1559) 44

Gerolamo Aleandro

(Motta di Livenza, 13 febbraio 1480 – Roma, 1 febbraio 1542) 45

Giambattista Casimiro

(Brindisi, XVI Secolo) 46

Jacopo De Vanis

(Brindisi, XVI Secolo) 47

Giovanni Carlo Bovio Ferrante Fornari

(Brindisi, 5 gennaio 1522 – Ostuni, settembre 1570) 48 (Brindisi, 1 gennaio 1533 – Napoli, 5 marzo 1603) 49 10


(Brindisi, 1540 – Venezia, 1610) 50

Lucio Scarano Giovanni Maria Moricino

(Brindisi, 10 maro 1558 – Brindisi, 18 settembre 1628) 51

San Lorenzo da Brindisi

(Brindisi, 22 luglio 1559 – Lisbona, 22 luglio 1619) 52 (Brindisi, XVI Secolo – XVII Secolo) 53

Nicolò Taccone Filippo Giacomo Megliore

(Brindisi, XVII Secolo) 54 (Brindisi, 1600 circa – Capitanata, 1650 circa) 55

Giovanni Palma

(Brindisi, 1600 circa – Brindisi, 1660 circa) 56

Ferrante Glianes

(Brindisi, 1600 circa – Lecce, dicembre 1679) 57

Bernardo Selvaggi Andrea Della Monaca

(Galatina, 1600 circa – Brindisi, 14 settembre 1679) 58

Bartolomeo Passante

(Brindisi, 1618 – Napoli, 17 luglio 1648) 59

Bernardo De Rojas

(Brindisi, XVII Secolo) 60 (Brindisi, 1661 – Roma, 2 gennaio 1739) 61

Nicolò Antonio Cuggiò Nicola Scalese

(Brindisi, 1682 – Brindisi, 5 gennaio 1761) 62

Piertommaso Santabarbara

(Brindisi, 28 settembre 1697 – 1770 circa) 63 (Brindisi, 12 novembre 1711 – Napoli, 8 marzo1804) 64

Carlo De Marco

(Lecce, 18 maggio 1726 – Lecce, 18 maggio 1800) 65

Oronzo Tiso Andrea Pigonati

(Siracusa, 1734 – Siracusa, 1790) 66

Annibale De Leo

(San Vito dei Normanni, 13 giugno 1739 – Brindisi, 9 febbraio 1814) 67

Teodoro Monticelli Vito Guerrieri Giovanni Crudomonte

(Brindisi, 5 ottobre 1759 – Napoli, 5 ottobre 1845) 68 (San Pancrazio, 1783 – Brindisi, 4 luglio 1872) 69 (Brindisi, 22 gennaio 1792 – Brindisi, 10 aprile 1872) 70

Giovanni Giaconelli

(Brindisi, 1795 circa – Brindisi, 1865 circa) 71

Giustino De Jacobis

(San Fele, 9 ottobre 1800 – Eidale, 31 luglio 1860) 72

Benedetto Marzolla

(Brindisi, 14 marzo 1801 – Napoli, 10 maggio 1858) 73

Giovanni Tarantini Domenico Guadalupi Giuseppe Pisanelli Cesare Braico Raffaele Rubini Giuseppe De Roma Benigno Cellie

(Brindisi, 15 novembre 1805 – Brindisi, 9 febbraio 1889) 74 (Brindisi, 17 settembre 1811 – Salerno, 11 maggio 1878) 75 (Tricase, 23 settembre 1812 – Napoli, 5 aprile 1879) 76 (Brindisi, 24 ottobre 1816 – Roma, 25 luglio 1887) 77 (Brindisi, 19 ottobre 1817 – Brindisi, 13 aprile 1890) 78 (Brindisi, 10 marzo 1821 – Lecce, 24 ottobre 1889) 79 (Taranto, 1830 circa – Brindisi, 1910 circa) 80

Filomeno Consiglio Engelberto Dionisi

(Brindisi, XIX Secolo) 81 (Ancona, 1843 – Pistoia, 14 gennaio 1901) 82

Alessandro Favia

(Brindisi, 1840 circa – Brindisi, 1914) 83

Giovanni Bettolo

(Genova, 25 maggio 1846 – Roma, 14 aprile 1916) 84

Paolo Thaon di Revel Pasquale Camassa

(Torino, 10 giugno 1858 – Roma, 24 marzo 1948) 85 (Brindisi, 24 dicembre 1858 – Mesagne, 10 dicembre 1941) 86 11


(Asti, 24 febbraio 1863 – Genova, 22 aprile 1932) 88

Umberto Cagni

(Brindisi, 28 gennaio 1864 – Roma, 26 novembre 1938) 89

Pietro Chimienti

(Brindisi, 7 ottobre 1865 – Firenze, 30 gennaio 1954) 90

Alfredo De Sanctis Tommaso Valeri

(Santa Fiora, 23 ottobre 1865 – Sinilunga, 20 novembre 1950) 91

Gino Fara Forni

(Pettenasco, 1867 – Brindisi, 27 settembre 1915) 92 (Brindisi, 14 gennaio 1869 – Brindisi, 22 febbraio 1932) 93

Angelo Titi

(Brindisi, 9 ottobre 1869 – Bari, 14 ottobre 1957) 94

Felice Assennato

(Brindisi, 3 gennaio 1874 – Brindisi, 14 settembre 1962) 95

Serafino Giannelli

Francesco De Filippis (Gagliano del Capo, 12 ottobre 1875 – G d C, 3 gennaio 1964) 96 Paolo Farinata Degli Uberti

(Verona, 6 aprile 1876 – Mare Adriatico, 14 luglio 1916) 97

Carmelo & Giovanni Capozziello

(Brindisi, 19 agosto 1876 e 3 giugno 1879 98 Mare Adriatico, 23 novembre 1915)

Ettore Ciciriello (Brindisi, 15 novembre 1877– Monte San Gabriele, 7 settembre 1917) 99 (Brindisi, 10 maggio 1878 – Milano, 16 marzo 1931) 100

Oronzo Andriani

(Brindisi, 20 gennaio 1879 – Brindisi, 21 ottobre 1953) 101

Grazia Balsamo

Antonio Di Summa (San Pietro Vernotico, 22 giugno 1882–Il Cairo, 22 dicembre 1929) 102 (Brindisi, 24 agosto 1885 – New York, 30 aprile 1961) 103

Ugo Giuseppe Gigante

(Lecce, 27 dicembre 1888 – New York, 16 dicembre 1965) 104

Tito Schipa Francesco De Pinedo

(Napoli, 16 febbraio 1890 – New York, 2 settembre 1933) 105

Pietro Doimo Munzani

(Zara, 4 dicembre 1890 – Oria, 28 gennaio 1951) 106 (Bottrighe, 14 dicembre 1894 – Mare di Pisa, 19 marzo 1931) 107

Umberto Maddalena

(Brindisi, 1900 circa – Brindisi, novembre 1979) 108

Giuseppe Doldo Don Augusto Pizzigallo

(Brindisi, 5 febbraio 1901 – Trieste, novembre 1944) 110

Vincenzo Gigante Vincenzo Andrea Cappelli Armando Boetto

(Brindisi, 17 marzo 1900 – Brindisi, 14 aprile 1982) 109 (Brindisi, 19 luglio 1911 - Kos, 6 ottobre 1943) 111

(Cuorgnè, 25 agosto 1911 – Cielo Mediterraneo, 8 maggio 1941) 112

Leonardo Ferrulli

(Brindisi, 1 gennaio 1918 – Scordia, 5 luglio 1943) 113

Antonio Di Giulio

(Brindisi, 29 giugno 1918 – Brindisi, 24 settembre 1997) 114

Giovanni Del Vento Aldo Spagnolo Giustino Durano

(Canosa di Puglia, 12 febbraio 1920 – 1995 circa) 115 (Brindisi, 15 maggio 1920 – Klisura, 9 gennaio 1941) 116 (Brindisi, 5 maggio 1923 – Bologna, 17 febbraio 2002) 117

Giovanni Rizzo

(Brindisi, 5 aprile 1924 – Roma, 4 febbraio 1992) 118

Gianni D’Errico

(Brindisi, 16 settembre 1948 – Milano, 7 settembre 1975) 119

Antonio Sottile-Alberto De Falco (Rossano Calabro,1967 & Alife,15 febbraio 1971 120 Brindisi, 23 febbraio 2000)

Mauro Maniglio

(Brindisi, 1974 – Casalabate, 13 agosto 1992) 121

Matteo Farina

(Avellino, 19 settembre 1990 – Brindisi, 24 aprile 2009) 122

Melissa Bassi

(Mesagne, 26 novembre 1996 – Brindisi, 19 maggio 2012) 123 12


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i 100 PERSONAGGI DELL’ODONOMASTICA DI BRINDISI CHE ATTRAVERSANO TUTTA LA STORIA DELLA CITTÀ

Statistiche Dalla Brindisi Romana …………………………………..……..…….. 10 Sindaci di Brindisi …………………………………………….…...…… 7 Arcivescovi di Brindisi ………………………………..…………….… 7 Militari della Marina ………………………………………….…..…….. 7 Militari dell’Aeronautica ………………………………………..…...… 7 Canonici e Presbiteri ………………………………………….……......7 Medaglie d’oro ………………………………………………….….…… 6 Politici …………………………………………………………..….…….. 6 Umanisti Giuristi e Medici ………………………………………..…… 6 Condottieri ……………………………………………………..…….….. 5 Patrioti ………………………………………………………….…….….. 5 Scrittori e Poeti …………………………………………...….…......….. 5 Attori Cantanti e Musicisti…………………………………...…..…..... 6 Santi ……………………………………………………………….…..…. 4 Storici e Archeologi ……………………………………….………..….. 4 Benefattori …………………………………………………....…..…..… 4 Giovani cittadini ……………………………….……………...………... 3 Pittori ………………………………………………………………......… 3 Re e Imperatori ……………………………………………..………..…. 3 Militari dell’Esercito ………………………………………..………….. 3 Militari della Finanza …………………………………………..…….… 2 Ingegneri militari ……………………………………………..………… 2 Scientifici …………………………………………………………..….… 2 Impresari …………………………..……… ………………............…… 2 Papi ……………………………………………………….…...…..……... 2

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ERCOLE BRINDISINO

(Tebe, XII Secolo a.C.) Ercole, l’Eracle greco e l’Hercules latino, fu tra le maggiori divinità cui i Brindisini professarono a lungo il loro culto. Una delle ipotesi leggendarie sull'origine epica del nome di Brindisi è, infatti, che esso derivi dal nome di Brento, figlio di Ercole, che la fondò con il nome di Brentension ben più di mille anni a.C. Ercole, figlio di Zeus e di Alcmena, venne educato a Tebe, in ogni disciplina da uno specialista mitico: da Eurito nell'arco, da Autolico nella lotta, nelle armi da Castore e da Lino nella musica e la scrittura. Di natura selvaggia, Ercole uccise Lino e per punizione fu mandato a custodire il gregge. A 18 anni, Ercole diede prova della sua forza uccidendo un leone, terrore del paese governato da Tespio, padre di 50 figlie e, in premio, generò un figlio con ciascuna di esse. Vinta una guerra, ottenne in ricompensa da Creonte, re di Tebe, la figlia Megara per moglie, dalla quale ebbe tre figli, che uccise in un eccesso di follia. L’oracolo di Delfi gli impose le dodici fatiche per la durata di dodici anni come prezzo per la sua immortalità, e le stesse furono anche considerate essere state imposte proprio per espiare l'uccisione dei figli. Lo storico brindisino Giambattista Casimiro, il quale nella sua “Epistola Apologetica” impostò la leggenda della fondazione erculea di Brindisi, scrisse che anche le colonne -al tempo considerate terminali della via Appia- furono consacrate a Ercole. Una statua di marmo bianco rappresentante Ercole giovanetto, con nella mano destra i pomi d’oro delle Esperidi, con l’altra stringendo un arco spezzato e con la pelle del leone Nemeo pendente dal braccio sinistro, fu casualmente ritrovata il 7 ottobre 1762 nei pressi della chiesa di San Paolo, in occasione di lavori di scavo: l’Ercole Brindisino, datato al IIº Secolo d.C. Su disposizione del re Ferdinando IV Borbon, la statua fu trasferita al Museo di Napoli, e il Decurionato brindisino ne fece fare un ritratto su tela, che fu collocato nella sala delle adunanze della Curia dei Nobili. Poi, nei primi anni del Novecento, il ritratto fu esposto nel tempio di San Giovanni al Sepolcro, sede del Museo Civico e, finalmente, traslato nella sede della Biblioteca provinciale, attuale sede del Museo Archeologico Provinciale Ribezzo. Nel 1959 la strada nei pressi del luogo del rinvenimento della statua fu intitolata all’Ercole Brindisino. Nel 1963, nel Museo brindisino fu esposto un calco della statua, con leggibili i segni del restauro, con l’integrazione del piedistallo, dei piedi e della mano destra. Finalmente, il 19 giugno 2013, la statua originale dell’Ercole ritornò a Brindisi, in visita, permanendo tuttora esposta nel Museo Archeologico Provinciale in attesa dell’auspicabile rientro definitivo.

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MARCO VALERIO

(Roma, 250 a.C. circa – Roma, 200 a.C.) Fu, Marco Valerio Levino, un generale della repubblica romana e fu anche un importante politico che fu eletto console di Roma. Difese Brindisi da Annibale ed ebbe il comando di legioni e flotte che, salpando da Brindisi, operarono sulla Grecia e sulla Croazia, contro i Macedoni. All’inizio del 215 a.C., anno successivo alla clamorosa sconfitta romana, subita nella battaglia di Canne del 216 a.C. per mano di Annibale, Marco Valerio era praetor peregrinorum e si occupava, quindi, essenzialmente delle controversie che coinvolgevano gli stranieri presenti a Roma. In quel periodo di grande crisi per la repubblica romana, molti magistrati ebbero esplicitamente affidati comandi militari e Marco Valerio ricevette quello di una legione e di una flotta di venticinque vascelli appena rientrate dalla Sicilia: forze quelle, con cui fu incaricato di controllare l’Apulia. Prima di raggiungere l’Apulia, agli inizi dell’autunno, Marco Valerio riprese tre città degli Irpini che si erano ribellate e passate dalla parte di Annibale dopo la sconfitta romana a Canne. Quindi si acquartierò con tutta la legione, finché il console Tiberio Sempronio Gracco lo inviò a Brundisium, incaricandolo di difendere le coste dell’agro salentino, specificamente pattugliando il litorale tra Brindisi e Taranto, e sorvegliando i movimenti del re Filippo V di Macedonia, in vista di una possibile guerra con quel paese che minacciava di espandersi sulla Grecia. Così, il generale Marco Valerio Levino s’insediò stabilmente a Brindisi e vi rimase finché, nel 214 a.C., salpò con la sua legione per attraversare l’Adriatico e sbarcare in Croazia, da dove condusse una campagna vittoriosa contro Filippo V, che si ritirò precipitosamente in Macedonia. Si racconta che quando Annibale -dopo la battaglia di Herdonea sul finire dell’anno 212 a.C.- si accinse a conquistare Brindisi per punirla della sua imperterrita fedeltà a Roma e soprattutto per impadronirsi del suo strategico porto, scoprì che le difese della città che aveva fatto apprestare Marco Valerio erano così valide che stimò prudente rinunciare alla conquista e tornare indietro. Per il comportamento della città di Brindisi in quel delicato frangente, il Senato romano lodò la devozione e fedeltà della città e Marco Valerio fu, da allora, considerato salvatore dai Brindisini. Nel 210 a.C. Marco Valerio fu eletto console e rientrò a Roma. Fu quindi governatore della Sicilia, da lui stesso liberata da Annibale nel 208 a.C. e nel 204 a.C. rientrò ancora a Roma, da dove, nel 201 a.C. all'inizio della seconda guerra macedonica, fu inviato di nuovo in Grecia settentrionale con una flotta e un esercito e da lì poté inviare a Roma un rapporto sulle preparazioni militari di Filippo, grazie al quale Roma poté impulsare la sua lotta contro il macedone. Marco Valerio Levino morì nel 200 a.C. e i figli Publio e Marco ne onorarono la memoria con giochi funebri e combattimenti gladiatorii, celebrati per quattro giorni consecutivi nel foro. 16


MARCO PACUVIO

(Brindisi, 220 a.C. – Taranto, 130 a.C.) Fu scrittore, poeta e pittore, uno dei principali tragediografi latini. Nacque a Brindisi nel seno di una famiglia patrizia. Sua madre era sorella di Quinto Ennio, uno dei padri della letteratura latina che vantava nobile ascendenza messapica, con il quale Marco Pacuvio si recò a Roma nel 204 a.C. Lì abitò presso il tempio di Minerva e iniziò ad insegnare poesia; lì fu amico di Emilio Paolo il console conquistatore della Macedonia e fu ospite di Gaio Lelio; e lì frequentò il circolo di Scipione Emiliano e scrisse gran parte delle sue tragedie. Dalla testimonianza di Plinio il Vecchio, risulta che Marco Pacuvio abbia esercitato anche il mestiere di pittore. Particolarmente esiguo risultò, infatti, il numero delle opere scritte prodotte da Pacuvio e, considerando che fu attivo fino all'estrema vecchiaia, ciò può essere forse spiegato dalla sua dedicazione all’attività pittorica. Scelse generalmente il suo repertorio letterario fra i miti del mondo ellenico, prediligendo quelli a sfondo pastorale o idilliaco. Descrisse sapientemente paesaggi ed eventi naturali, sapendo conferire ai personaggi delle sue tragedie una forza drammatica che affascinava il pubblico romano e che fu apprezzata dallo stesso Cicerone. La cura che Pacuvio riservò alle sue opere gli procurò, mentre era ancora in vita, la fama di erudito. Ciò non precluse comunque a Pacuvio la possibilità di riscuotere un ampio successo di pubblico presso il popolo romano e presso i suoi contemporanei: l’ampia diffusione e il gradimento delle sue opere testimoniarono inoltre la capacità del pubblico romano di apprezzare un testo teatrale serio. L’autore satirico Gaio Lucilio, attivo nella seconda metà del II secolo a.C., nell’affermare la sua nuova poetica legata all’esperienza personale, prese le distanze dalla poetica tragica di Ennio, ma soprattutto dei contemporanei Pacuvio e Accio, che tentarono, a suo giudizio, di affascinare il pubblico proponendogli esclusivamente storie di esseri fantastici quali serpenti alati o draghi volanti. Tale critica, dettata dunque da ragioni personali legate al modo di intendere l’attività letteraria stessa, nulla tolse comunque al vasto successo che Pacuvio riscosse tra i suoi contemporanei. Del poeta brindisino si conoscono ad oggi, solo tredici tragedie scritte, di cui le due più famose sono Antiopa e Medea, che lo portarono ad essere giudicato da Cicerone come il maggior tragico latino. Ancora attivo nel 140 a.C., all’età di ottant’anni, Marco Pacuvio compose una tragedia che mise in scena in competizione con il giovane Lucio Accio. Poco più tardi, tuttavia, il vecchio Pacuvio, malato, fu costretto a ritirarsi a Taranto, dove, attorno al 135 a.C. ricevette la visita dello stesso Accio che si apprestava a partire per un viaggio in Asia, e dove nel 130 a.C. morì novantenne. 17


LUCIO RAMNIO

(Brindisi, II Secolo a.C.) Fu un ricco e nobile brindisino, forse di ascendenze anche messapiche, vissuto ai tempi della repubblica romana. Splendido anfitrione, mantenne ottimi rapporti d’amicizia con generali, ambasciatori e legati romani e stranieri di alto rango, che ad ogni occasione ospitò generosamente a Brindisi, ai suoi tempi il principale ponte tra l’occidente e l’oriente. Fu, così, conosciuto anche da Perseo, il re della Macedonia, con il quale mantenne amichevole corrispondenza, e questi nel 172 lo volle come ospite alla sua corte dove, denunciò Ramnio, gli fu fatta confidenza del progetto militare macedone contro Roma, e dove gli fu chiesto di avvelenare i generali romani che avrebbe ospitato nel loro passaggio da Brindisi. Ramnio fece credere a Perseo di volerlo assecondare e così poté accomiatarsi dal re macedone indenne. Invece, si recò nascostamente a Negroponte dal legato romano Caio Valerio e, portato da questi, si diresse a Roma, dove mise al corrente del piano i senatori, offrendo con ciò a Roma, il comodo pretesto per una nuova guerra. Fu così che, con le prove delle possibili azioni militari antiromane da parte di Perseo, il Senato decise di raccogliere l’appello del re di Pergamo, Eumene II, il quale preoccupato dalle mire espansionistiche di Perseo, aveva chiesto aiuto a Roma. Il Senato quindi ordinò ad un forte esercito di attaccare la Macedonia. E nel 168 a.C. l’esercito comandato dal console Paolo Emilio salpò proprio da Brindisi, dando inizio alla terza guerra macedonica, che si concluse a favore di Roma con la battaglia di Pidna il 22 giugno di quell’anno. Roma, riconoscente al brindisino Ramnio, fedele e incorrotto, ne rese immortale il nome, facendolo celebrare da Tito Livio, il quale gli consacrò una pagina della sua famosa “Storia” definendolo quale personalità preminente nelle reti di relazione tra Grecia e Italia: aveva stretta amicizia con le élite romane da un lato e principi del mondo greco ellenistico dall’altro. 18


LENIO FLACCO

(Brindisi, II Secolo a.C. – I Secolo a.C.)

Fu un nobile mecenate brindisino e importante uomo d’affari, appartenente alla famiglia Laenia, patrizia, originaria della potente colonia romana. Trasformò la sua casa in un cenacolo di culture, ospitando artisti, letterati, poeti e scienziati. Tra i più celebri suoi ospiti ci furono il poeta e parente Orazio e, in particolare e in più occasioni, l’amico fraterno Marco Tullio Cicerone. L’oratore nei suoi scritti lodò l’ospitalità ed amicizia della famiglia Flacco, in particolare in occasione del suo esilio del 58 a.C. quando fu allontanato da Roma per effetto della legge di Clodio. Giunto a Brindisi decise di restare incognito, ma l’amico brindisino lo ospitò per tredici giorni nei suoi orti, sulle collinette a nord della città, e organizzò una nave comoda per il suo viaggio verso Durazzo, noncurante del divieto imposto dalla stessa legge che prevedeva la confisca dei beni anche a chi avesse aiutato l’esule. Da una lettera di Cicerone alla moglie e ai figli: «… Sono rimasto tredici giorni a Brindisi ospite di M. Lenio Flacco; un uomo eccezionale che, pur di salvarmi, ha affrontato il pericolo di perdere i suoi beni e la stessa vita, né si è lasciato distogliere dal compiere i doveri sacri dell’ospitalità e dell’amicizia dalla pena sancita da una legge iniqua. Oh, potessi un giorno dimostrargli la mia gratitudine! Ad ogni modo essa durerà eterna…» L’anno successivo, con la revoca dell’esilio, Cicerone fece ritorno a Brindisi il 5 agosto dove fu accolto dalla moglie Terenzia e dalla figlia Tulliola venute al suo incontro da Roma, dagli amici brindisini e dalla famiglia Flacco, che organizzò anche sontuosi festeggiamenti. E anche di quella accoglienza Cicerone parlò nel Senato romano usando termini di grande elogio. A Brindisi fu intitolato a Marco Lenio Flacco l’Istituto Tecnico Commerciale della città. 19


CICERONE

(Arpino, 3 gennaio 106 a.C. – Formia, 7 dicembre 43 a.C.) Fu, Marco Tullio Cicerone, un grande politico, senatore, scrittore e filosofo romano. Visitò e dimorò più volte a Brindisi, ospite privilegiato del suo amico brindisino Lenio Flacco. Esponente di un’agiata famiglia dell’ordine equestre, Cicerone fu una delle figure più rilevanti di tutta l’antichità romana. La sua vastissima produzione letteraria, che va dalle orazioni politiche agli scritti di filosofia e retorica, oltre a offrire un prezioso ritratto della società romana negli ultimi travagliati anni della repubblica, rimase come esempio, tanto da poter essere considerata il modello della letteratura latina classica. Attraverso l’opera di Cicerone, grande ammiratore della cultura greca, i Romani poterono anche acquisire una migliore conoscenza della filosofia. Tra i suoi maggiori contributi alla cultura latina ci fu senza dubbio la creazione di un lessico filosofico latino e tra le opere fondamentali per la comprensione del mondo latino si collocano le sue Epistulae. Cicerone svolse per molti anni anche un ruolo di primaria importanza nel mondo della politica: dopo aver salvato la repubblica dal tentativo eversivo di Lucio Sergio Catilina ed aver così ottenuto l’appellativo di pater patriae, negli anni delle guerre civili difese strenuamente fino alla sua morte una repubblica giunta ormai all’ultimo respiro e destinata a trasformarsi nel principatus augusteo. Cicerone visitò Brindisi più volte nei suoi viaggi di gioventù per la Grecia e nel 58 a.C. dimorò in città tredici giorni, ospite in casa del suo amico Lenio Flacco, prima di partire -via Durazzo il 29 aprile- per l’esilio a Salonicco, a scontare la condanna impostagli con la legge Clodia dai partitari di Cesare. L’anno seguente Cicerone ebbe però annullata la sua condanna e raggiunse Brindisi il 5 agosto -anniversario della fondazione della colonia latina di Brundisiumincontrandovi la figlia Tulliola e rimanendovi pochi giorni, prima di proseguire per Roma. Il 24 novembre del 50 a.C. Cicerone fu di nuovo a Brindisi, di ritorno dalla Cilicia dove, nominato da Pompeo, era stato per qualche anno proconsole governatore. E a Brindisi incontrò la moglie Terenzia, venutagli incontro. Finalmente, a Brindisi, Cicerone dovette anche patire il suo ultimo lungo esilio, dopo Farsalo, dal novembre 48 al settembre 47 a.C., durante il quale maturò anche il divorzio. Un esilio disagiato, per le condizioni economiche e morali: considerato un disertore dai pompeani che non aveva seguito in Africa e un nemico dai cesariani ai quali non aveva ancora aderito. Cicerone, perdonato da Cesare, tornò a Roma tentando di mantenersi al margine delle lotte politico-civili che dominarono quegli ultimi anni della repubblica. Dopo l’assassinio di Cesare, finalmente, si schierò contro Antonio, scrivendo nel 44-43 a.C. le famose Filippiche, e questi lo fece perciò assassinare da sicari che lo raggiunsero nella sua villa di Formia nel dicembre dello stesso 43 a.C. 20


VIRGILIO

(Mantova, 15 ottobre 70 a.C. – Brindisi, 21 settembre 19 a.C.) Fu, Publio Virgilio Marone, un grande poeta romano, uno dei maggiori poeti latini. Nacque a Andes, nei pressi di Mantova, figlio di piccoli proprietari terrieri relativamente agiati, con la madre, Magia Polla, figlia di un facoltoso mercante, Magio, al cui servizio aveva lavorato il padre. Compì i primi studi a Cremona e poi si trasferì a Milano e quindi a Roma, dove completò la sua formazione retorica e conobbe importanti politici e letterati, tra i quali Cornelio Gallo, Alfeno Varo e Asinio Pollione. In seguito, nel 42 a.C., si trasferì a Napoli, interessandosi alla filosofia. L’amore per la natura, per l’umile lavoro dei campi e il gusto per l’umanizzazione del mito, fecero di Virgilio un grande e unico poeta, molto imitato e commentato durante il Medioevo e il Rinascimento. Dante Alighieri lo elevò a simbolo di saggezza e a ruolo di guida nella Divina Commedia. Visse in un periodo che vide consumarsi le istituzioni repubblicane tra lo svolgersi delle tante guerre civili e sentì perciò molto vivo il desiderio di pace e di ordine per cui vide in Ottaviano, del quale divenne amico, il protagonista e il restauratore della romanità. Fu a Brindisi con il famoso viaggio della primavera del 37 a.C. compiuto insieme ad Orazio e Mecenate, in rappresentanza di Ottaviano ai colloqui con Marco Antonio che portarono a rinnovare il “Foedus Brundisinum” stipulato tre anni prima. L’esproprio delle terre paterne indusse Virgilio a comporre le Bucoliche, con cui ottenne un immediato successo che gli aprì le porte del circolo di Mecenate. Si concentrò quindi nell’impegno letterario e fu proprio su invito di Mecentate che compose le Georgiche, un’opera più impegnata ideologicamente e politicamente. Più tardi, si dedicò interamente alla stesura dell’Eneide. Fu tanto preso da quel poema epico, che si recò più volte nei luoghi che vi facevano da sfondo, finché, dal porto di Brindisi, intraprese il suo ultimo viaggio in Grecia, che fu poi fatale alla sua salute. Morì a Brindisi poco dopo il ritorno, già ammalato, dalla Grecia. E Ottaviano, rientrando dalla campagna in Armenia, giunse a Brindisi al capezzale dell’amico Virgilio, nella casa che la tradizione popolare vuole fosse sita sulla collina occidentale prospicente al porto, in cima all’attuale scalinata, detta, appunto, Virgilio. Nelle sue ultime ore di vita, Virgilio chiese di bruciare i suoi manoscritti dell’Eneide perché incompiuta, e fu proprio l’intervento provvidenziale di Augusto a impedire quelle disposizioni. E così i due amici di Virgilio, che lo accompagnarono a Brindisi, Vario Rufo e Plozio Tucca, poterono salvare e quindi pubblicare l’Eneide. I resti del grande poeta furono poi trasportati a Napoli, dove furono custoditi in un tumulo tutt’ora visibile, sulla collina di Posillipo. 21


LENIO STRABONE

(Brindisi, I Secolo a.C. – I Secolo d.C.)

Fu, Marco Lenio Strabone, un cavaliere patrizio romano, che visse a Brindisi ai tempi dell’imperatore Augusto, giacché nacque intorno all’anno 60 a.C. in uno dei periodi di maggiore splendore di Brindisi, già florida e dinamica colonia romana e quindi città ricca e ancora strategica per il controllo orientale del novello impero. Lenio Strabone è ritenuto essere stato l’inventore delle voliere o uccelliere, le gabbie per gli uccelli, a fine ricreativo ma anche ad uso commerciale. Lo testimoniò Marco Terenzio Varrone, l’erudito scrittore latino che fu un giorno ospitato a Brindisi nella casa di Strabone e vide per la prima volta, nel peristilio della sua abitazione, una gabbia per uccelli a forma di esedra. A quell’epoca, a Roma i patrizi avevano affinato i loro gusti culinari e a tavola ricercavano anche le carni di uccelli e perciò, questi venivano allevati per essere rivenduti come cibo prelibato. A Brindisi, in particolare, in quel periodo si allevarono soprattutto tordi. Strabone fu, però, anche e soprattutto l’inventore dei padiglioni, enormi voliere con nel mezzo un recinto di reti contenenti diverse specie di uccelli cantori. Fece, infatti, costruire un grande e grazioso padiglione in uno dei suoi poderi che possedette vicino Brindisi, per divertimento suo e dei suoi ospiti. 22


AUGUSTO IMPERATORE

(Roma, 23 settembre 63 a.C. – Nola, 19 agosto 14 d.C.) Fu, Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, il primo imperatore romano. Il suo nome alla nascita fu Gaius Octavius, omonimo del padre biologico Gaio Ottavio, uomo d’affari che ottenne cariche pubbliche e un posto nel Senato. La madre, Azia maggiore, appartenne a una famiglia dagli illustri natali: figlia della sorella di Cesare, Giulia minore, e di Marco Azio Balbo. Octavius, quindi pronipote di Cesare, in seguito all’adozione testamentaria di Cesare, assunse il nome ufficiale di Gaius Iulius Caesar, l’8 maggio del 44 a.C. Il giovane Ottaviano, alla notizia del magnicidio del 15 marzo, giunse a Roma il 21 maggio, dopo che i cesaricidi lasciarono la città grazie ad un’amnistia concessa dal console superstite, Marco Antonio, e si affrettò a rivendicare l’eredità del padre adottivo, chiedendo di entrare in possesso dei beni familiari. Antonio, in qualità di console e capo della fazione cesariana, procrastinò però il versamento adducendo la necessità di attendere che una lex curiata del Senato ratificasse il testamento del defunto. Ottaviano decise allora, impegnando i propri beni, di anticipare al popolo le somme che Cesare aveva lasciato nel suo testamento e di eseguire i giochi per la vittoria di Farsalo. Ottenne così che molti dei cesariani si schierassero dalla sua parte contro Antonio, suo diretto avversario nella successione politica a Cesare. Pochi anni dopo l’assassinio di Cesare, scoppiò infatti la terza guerra civile romana, questa tra Marco Antonio e Ottaviano. Anche se la prospettiva di una rottura tra Marco Antonio, capo del partito cesariano, e il legittimo erede di Cesare, Ottaviano, era ben risaputo che non fosse gradita a soldati, Marco Antonio, nel 40 a.C. si diresse a Brindisi intenzionato a intraprendere la strada di Roma per farsi del potere. Sbarcò a Brindisi, proveniente da Cefalonia con la flotta di Domizio Enobardo, uno dei condannati per l’assassinio di Cesare e autore nell’anno precedente di un colpo di mano proprio a Brindisi di cui aveva devastato il territorio. A Brindisi però, non solo erano stanziate legioni cesariane partitarie di Ottaviano, ma la popolazione tutta appoggiava l’erede di Cesare. Le legioni di Marco Antonio assediarono la città e furono respinte, mentre Ottaviano si dirigeva a Brindisi con le sue truppe per soccorre la città. Questa situazione di stallo militare e la ferma opposizione della popolazione brindisina a Marco Antonio, indussero questi a desistere e, con la mediazione di Mecenate e Cocceio Nerva, si arrivò alla firma del “Foedus Brundisinum”, la famosa pace brindisina con la quale si accordò istituire il secondo triunvirato: a Marco Antonio andò l’Oriente, a Ottaviano la Spagna e a Lepido l’Africa. E per meglio siglare la pace, Marco Antonio a Brindisi sposò Flavia, sorella di Ottaviano. Brindisi, possibile scenario di un nuovo conflitto, legò invece il suo destino a quello di Ottaviano e il suo nome a un trattato che parve auspicare un’epoca di pace. 23


La “Pace Brindisina” -ricordata anche dall’intitolazione di una via cittadina- si rivelò però non essere solida e già dopo pochi anni, nel 37 a.C., quando a Brindisi si doveva rinegoziare l’intesa tra i triunviri, Marco Antonio si presentò accompagnato da quasi 300 navi, producendo una grande tensione. I negoziatori partirono da Roma e si diressero a Brindisi, longae finis viae, dove giunsero con il celebre viaggio che fu descritto dal poeta Orazio, nella sua Satira V del Libro I. Partirono: Mecenate, il rappresentante di Ottaviano, Cocceio Nerva in funzione di mediatore e, strada facendo, a loro si unirono Capitone, Vario, Tucca e Virgilio la cui posizione, favorevole in origine a Marco Antonio, era nel frattempo già mutata a favore di Ottaviano, come chiaramente lo documentò proprio il testo oraziano. Finalmente, le trattative non ebbero luogo a Brindisi, città partitaria di Ottaviano, ma a Taranto, con la mediazione di Flavia, moglie di Marco Antonio e sorella di Ottaviano, giungendo a buon fine, grazie anche alle pressioni esercitate dalle legioni che si opposero apertamente allo scoppio di una nuova guerra civile. La pace però durò meno di un decennio. Ottaviano, prendendo a pretesto l’inconvenienza per Roma della relazione amorosa sorta tra Marco Antonio e Cleopatra, fece rivoltare il Senato contro Marco Antonio. Nel 31 a.C. Ottaviano, a Brindisi, accompagnato da Agrippa Mecenate e decine di influenti senatori, radunò centinaia di navi, la più grande flotta che avessero visto fino ad allora quelle acque, e salpò all’incontro di Marco Antonio. Si scontrarono ad Azio e la vittoria arrise Ottaviano. Dopo Azio, Ottaviano ritornò a Brindisi e vi rimase 27 giorni osannato dal popolo e da tutti i magistrati, i senatori e i cavalieri che vi aveva fatto confluire, e in una pubblica cerimonia nel tempio di Apollo e Diana, sacrificò agli dei per ringraziarli della vittoria “confestimque coepit nomari Caesar”, cominciando in quell’occasione a essere chiamato “Cesare” dalle sue truppe. E appena due anni dopo, nel 29 a.C., fu ancora il porto di Brindisi ad accogliere da vincitore Cesare Ottaviano, che aveva ripreso l’Egitto dalle mani di Marco Antonio, suicida con Cleopatra. E giunto a Brindisi fu acclamato per la prima volta imperatore dalle sue truppe. Per immortalare quell’avvenimento, il Senato ordinò che fossero eretti due archi di trionfo, uno a Roma e l’altro a Brindisi. Dell’arco di trionfo eretto a Brindisi, uno dei primi costruiti fuori Roma e che fu poi anche rappresentato sulla colonna traiana, non rimase purtroppo traccia alcuna. Cesare Ottaviano, finalmente, il 16 gennaio dell’anno 27 a.C. fu intitolato “Augusto“, cioè imperatore, dal Senato di Roma, facendo nascere, quell’atto, l’impero romano. Una volta proclamato imperatore, Augusto, tra il 27 a.C. e il 23 a.C. si dedicò a consolidare militarmente l’impero con un susseguirsi di vittorie in Gallia e poi nella Spagna settentrionale. Quindi, tra il 22 a.C. e il 19 a.C. sistemò anche la questione partica e, finalmente, quella armena. E proprio rientrando dalla campagna in Armenia, Augusto ritornò ancora a Brindisi al capezzale dell’amico Virgilio, il cantore di Roma, che lì si spense il 21 settembre del 19 a.C. La politica di Augusto fu poi volta al mantenimento della pace e dell’ordine interni. Le principali riforme varate riguardarono la prefettura e furono anche aggiunte figure riguardanti la questura e la pretura. Nella città di Roma, Augusto attuò un forte piano di ricostruzione monumentale e di razionalizzazione dei servizi. Fece costruire un tempio per Cesare e l’arco partico su cui furono raffigurate le insegne delle legioni battute di Crasso e Antonio. Fu edificato un nuovo foro e fu costruito un pantheon e anche un mausoleo autocelebrativo. Furono costruiti, inoltre, molti edifici pubblici, acquedotti, terme, teatri e arene. A Augusto riuscì anche di generare intorno a sé un clima di consenso, certamente favorito soprattutto dalla riconoscenza raccolta dalla popolazione, per aver riportato la pace dopo tanti anni di lotte interne ed esterne. Ebbe, Augusto, una morte serena e spirò nella stessa camera in cui morì il padre, quattordici giorni prima delle calende di settembre, alla nona ora del giorno, all’età di quasi settantasei anni. Il suo corpo venne trasportato da Nola a Roma, dove i senatori lo portarono a spalla fino al Campo Marzio dove venne cremato. 24


TRAIANO

(Italica, 18 settembre 53 d.C. – Selinus Cilicia, 8 agosto 117 d.C.) Fu, Marco Ulpio Nerva Traiano, imperatore di Roma dal 98 d.C. al 117 d.C. e sotto il suo comando l’Impero romano raggiunse la sua massima estensione territoriale. Appartenente all’aristocrazia della provincia romana, quella iberica, Traiano fu il primo imperatore non italico. A Brindisi Traiano legò il proprio nome per più motivi. Vi si recò in più occasioni e gli si intitolò un’importante e ancora tangibile opera: il famoso “Pozzo Traiano”, un’imponente struttura idraulica sotterranea, creata in pieno centro urbano, che riposa sotto il piano stradale, nella confluenza di “Via Pozzo Traiano” con la salita di via San Dionisio e via Annunziata. Un’opera idraulica grandiosa e veramente sorprendente per essere stata, eventualmente, costruita poco dopo l’anno 100 d.C. ed essere rimasta in efficienza fino a tutto l’Ottocento, essendo tuttora raggiungibile attraverso un tombino. Il Pozzo Traiano -se veramente costruito in epoca traiana e non, come affermarono i tecnici della Società Italiana per le Condotte d’Acqua, in età basso medievale- affiancava gli altri impianti idrici brindisini risalenti all’epoca imperiale, tra cui l’acquedotto romano detto di pozzo di Vito e le varie terme cittadine. Si componeva di due camere con due vasche divise da un diaframma con varie aperture. Una vasca di raccolta e decantazione, l’altra di chiarificazione. Nella prima immettevano quattro cunicoli da opposte direzioni e ad altezze differenti rispetto al fondo, con la funzione di raccogliere le acque di tutto il bacino acquifero. Una volta raccolta e decantata, l’acqua attraverso uno sfioratore passava nella seconda vasca provvista di estrazione. Sui lati lunghi di ogni vasca tre grossi pilastri in pietra da taglio, per un totale di dodici, sorreggevano gli archivolti. Il 27 ottobre dell’anno 113 d.C. Traiano intraprese la sua ultima grande campagna militare. Giunse, ancora una volta, con le sue potenti legioni a Brindisi per imbarcarsi verso la Dacia e per poi proseguire verso l’Asia Minore, nell’ennesima sua missione imperiale di conquista. In quell’occasione percorse tutta la via Minucia, tra Benevento e Brindisi via Canosa, che aveva già fatto ricondizionare e in buona parte ricostruire e che fu poi a lui intitolata: la “Via Traiana”, una seconda via di collegamento tra Roma e Brindisi che, sviluppandosi per un lungo tratto prossima alla costa adriatica, raggiungeva Brindisi, da Egnazia anziché da Taranto, più brevemente della più antica via Appia. Riconquistata per terza volta la Dacia, Traiano proseguì con le altre tappe dell’espansione, prima in Arabia e poi contro i Parti, portando, nel 117 d.C., i confini dell’impero alla loro massima estensione. Subito dopo, richiamato a fronteggiare una rivolta degli Ebrei scoppiata in Mesopotamia e poi estesasi anche a Cirene e altre province orientali, decise di abbandonare strategicamente le recenti conquiste e finalmente, colpito da una grave malattia, morì in Cilicia. 25


SAN TEODORO D’AMASEA

(Cilicia o Armenia, III Secolo – Amasea, 17 febbraio 306) Teodoro di Amasea, noto anche come Teodoro Tiro, o Tirone dal greco Tyron che significa soldato, fu un soldato dell’esercito romano nel Ponto, e subì il martirio per la fede in Cristo. Nacque in Cilicia, o forse in Armenia. Nel Medioevo, Venezia lo ebbe come santo protettore fin quando le reliquie furono trasportate dall’Oriente fino a Brindisi. Arruolato nell’esercito romano al tempo dell’imperatore Galerio Massimiano, fu trasferito con la sua legione nei quartieri invernali di Amasea, l’odierna Amasya nel Ponto, a ridosso del Mar Nero. Qui Teodoro rifiutò di adorare gli dei e venne quindi accusato di essere cristiano e durante l’interrogatorio rinnegò nuovamente gli dei. A seguito della promulgazione di un editto anticristiano, che prescriveva l’obbligo, anche per i soldati, di compiere sacrifici alle divinità pagane, il giovane Teodoro, che sin dalla nascita era seguace della dottrina cristiana, si rifiutò di adempiere al decreto nonostante le sollecitazioni del tribuno e dei suoi compagni d’armi. Subì il martirio il 17 febbraio del 306 e la leggenda racconta che Teodoro non subì l’offesa delle fiamme, morì senza dolore e rese l’anima glorificando Dio. Una donna di nome Eusebia chiese il corpo di Teodoro, lo avvolse in un sudario ponendolo poi in una cassa e lo portò da Amasea ad Euchaita, l’attuale Aukhat, dove venne sepolto. In età federiciana, forse il 27 aprile del 1210 come vuole la tradizione, o probabilmente nel 1225 in occasione delle nozze di Federico II con Isabella di Brienne, regina di Gerusalemme, le reliquie di San Teodoro d’Amasea furono traslate a Brindisi dalla città anatolica di Euchaita. Alla fine del XV secolo, il culto di Teodoro si popolarizzò a Brindisi per merito soprattutto dei Greci, degli Albanesi e degli Schiavoni, che ripopolarono la città dopo il terremoto del 1456. E dal 27 aprile 1776, allorché il porto interno di Brindisi fu rimesso in comunicazione con il porto esterno, in commemorazione dell’arrivo a Brindisi delle spoglie del santo, si iniziò a celebrare la processione a mare per ricordare il miracoloso episodio: i marinai veneziani che trasportarono le reliquie di Teodoro da Euchaita, vedendosi inseguiti da velieri turchi, pensarono di metterle in salvo su un sandalo che, sospinto dalla corrente, si diresse miracolosamente all’imboccatura del porto di Brindisi, da dove l’arcivescovo Gerardo le poté recuperare ed accompagnare fino alla riva della città e quindi, le conservò nel Duomo. Nel Museo Diocesano Giovanni Tarantini presso la chiesa di Santa Teresa in Brindisi, è esposta l’Arca d’argento di San Teodoro d’Amasea, risalente al secolo XIII, un’opera realizzata da ignoti argentieri meridionali nella quale furono conservate le ossa del santo. 26


SAN LEUCIO

(Alessandria d’Egitto, IV Secolo – Brindisi, V Secolo) Fu il primo vescovo di Brindisi. Di Leucio non si hanno notizie certe, né si sa con precisione l’epoca in cui egli visse: le leggende agiografiche lo pongono alla fine del II secolo durante l’impero di Commodo, o nei primi anni del IV secolo, sotto Diocleziano; ma più probabilmente visse sotto Teodosio I (fine del IV secolo) o sotto Teodosio II (inizi del V secolo). Leucio nacque in Alessandria d’Egitto. Una visione celeste, nella festa dell’Assunzione della Vergine, fece mutare il suo nome da Eupressius a Leukios, in greco "candido". E un’altra visione lo fece muovere verso Brindisi per restituire la città all’ortodossia liberandola dal paganesimo. Salpato da Alessandria, si fermò ad Adrianopoli, quindi a Otranto, per giungere infine, su una nave dalmata, a Brindisi, dove, sbarcato nel seno di ponente, costatò l’esistenza di un forte partito pagano capeggiato dal prefetto Antioco, che aveva come essenziali riferimenti culturali il sole e la luna. E fu lo stesso Antioco a chiedere e ottenere, per la conversione, un segno: la pioggia che non cadeva da due anni. Leucio, che sino a quel momento aveva predicato poco fuori la porta occidentale della città, attuale Porta Mesagne, presso l’anfiteatro, poté così promuovere l’edificazione di una chiesa dedicata alla Vergine e a San Giovanni Battista, fondando quindi la diocesi di Brindisi della quale divenne il primo vescovo. Leucio, secondo una tradizione morì martire, secondo un’altra di polmonite o di malaria. Quindi fu sepolto nel cuore della necropoli pagana di Brindisi, attuale quartiere Cappuccini, in prossimità del luogo in cui era sbarcato e aveva iniziato a diffondere il messaggio evangelico. Sarebbe morto un 11 gennaio sotto l’imperatore Teodosio I (379-395) o, molto più verosimilmente, sotto Teodosio II (408-450). Nel VI secolo l’edificio sacro più frequentato della città fu il martyrium su cui sorse il mausoleo del santo, da cui, nel VII secolo, le spoglie furono trafugate e traslate nottetempo a Trani, e su cui, voluta dal vescovo Teodosio per riporvi la parte del corpo -un braccio- di San Leucio ritornata da Benevento, si iniziò a costruire verso la fine del nono secolo e fu consacrata nei primi anni del decimo dal vescovo Giovanni, la basilica di San Leucio. Basilica che, diruta, resistette fino al XVIII secolo, quando fu fatta demolire -nel 1720- dall’arcivescovo Paolo de Villana Perlas per costruire, con il materiale di risulta, il palazzo del Seminario in piazza Duomo, adiacente alla Cattedrale. 27


LUPO PROTOSPATA

(X Secolo)

Fu un protospatario bizantino, una specie di governatore militare, che a Brindisi fu immortalato da (foto) un’iscrizione in latino, incompleta ma tuttora leggibile, posta sulla base della colonna romana superstite, che lo riferisce quale autore della ricostruzione della città, devastata in ripetute occasioni durante l’alto medioevo: “Lupo Protospata, illustre pio e splendido per le azioni benefiche, ricostruì dalle fondamenta questa città, che gli Imperatori magnifici e benigni...”. La sua datazione, riferita ai primi anni del secolo XI, confermerebbe anche la consequenzialità del nesso tra l’impresa del Lupo funzionario bizantino, e la restaurazione del dominio imperiale sulle coste dalmate. Il protospatario Lupo, fu quindi inviato dall’imperatore d’Oriente Basilio II, per proseguire l’opera di ricostruzione già iniziata nell’886 dal precedente governatore Niceforo Foca, il quale rese possibile lo stabilirsi di un capatanato in Bari, avviò la ricostruzione di Brindisi e Taranto, e forzò l’interdizione del rito latino a favore di quello greco in quella parte bizantina d’Italia. Lo stesso Lupo fu anche -forse- un cronista, originario -forse- di Matera, di Bari o di Salerno, molto attivo nella Puglia dell’XI secolo, autore del Chronicon rerum in regno neapolitano gestarum: una cronaca di fatti occorsi nel Mezzogiorno d’Italia dall’anno 855 al 1102, in cui riporta, oltre a calamità e curiosità astronomiche come il terremoto del 1087 e la cometa del 1098, gli eventi storici che portarono alla conquista normanna e fatti di rilevanza religiosa come il terzo sinodo di Melfi del 1089 e quello tenutosi a Bari nel 1099. Però, il Lupo dell’iscrizione difficilmente potrebbe essere lo stesso del Chronicon giacché, per poter identificare il Lupo cronista col protospatario bizantino di Brindisi, bisognerebbe poter collocare quella presunta ricostruzione urbanistica di Brindisi alla fine dell’XI secolo -non prima- e più precisamente negli ultimi anni della dominazione bizantina, subito prima che i Normanni conquistassero, nel 1070, la città e venissero con ciò a interrompere quell’opera di ricostruzione e interrompere, addirittura, lo stesso completamento dell’epigrafe sulla base della colonna. Una ipotesi questa, che comunque non si potrebbe neanche escludere del tutto. 28


URBANO II

(Châtillon sur Marne, 28 luglio 1040 – Roma, 29 luglio 1099) Fu il 159º papa della Chiesa cattolica, eletto nel 1088 a Terracina perché a Roma c’era l’antipapa Clemente III. Riprese il programma politico di Gregorio VII e continuò la lotta contro l’imperatore Enrico IV per la questione delle investiture. Nel 1095 convocò il Concilio di Clermont-Ferrand, che divenne occasione per bandire la prima crociata. Nacque nel seno di una nobile famiglia francese, Oddone, e si formò a Cluny sotto la guida dell’abate Ugo il Grande. Poi si recò a Roma, dove nel 1078 fu creato vescovo cardinale di Ostia da Gregorio VII, che l’impiegò in missioni in Francia e in Germania. Fu eletto papa sei mesi dopo la morte di Vittore III e stabilì subito buoni rapporti coi Normanni, che l’aiutarono a rientrare a Roma, cacciando l’antipapa Clemente III appoggiato dall’imperatore. Energico, si diede a riformare la chiesa a partire dall’Italia meridionale, tenendo a Melfi, nel 1089, un concilio che ribadì la condanna della simonia, del nicolaismo e dell’investitura laica. A quel tempo, Brindisi, sotto il normanno Boemondo, figlio di Roberto il guiscardo, fu affidata all’amministrazione del conte Goffredo, il quale con sua moglie Sichelgaida e con l’appoggio del papato, oltre a prodigarsi per far rinascere fisicamente Brindisi, s’impegnò a far ritornare a Brindisi la cattedra di San Leucio con l’arcivescovato trasferito a Oria fin dagli ultimi anni del VII secolo, dovendo, per raggiungere tale obiettivo, scontrarsi con l’ostinata reticenza dell’arcivescovo Godino il quale rimase ancora per anni a Oria, nonostante le reiterate pressioni papali. Goffredo iniziò la costruzione della Cattedrale e riuscì addirittura, il 9 ottobre 1089, a portare a Brindisi proprio il papa Urbano II, per farne consacrare il perimetro. Quando nel 1093 Enrico IV scese in Italia, il papa Urbano II gli oppose una lega lombarda e incoronò re il figlio Corrado passato dalla sua parte. Preso definitivamente possesso del Laterano, nel 1094, indisse un concilio a Piacenza nel 1095, al quale presero parte rappresentanti dell’imperatore d’Oriente Alessio Comneno e del re Filippo I di Francia. Nel novembre dello stesso anno tenne un altro concilio a Clermont-Ferrand, in cui fu scomunicato solennemente il re Filippo, per il suo irregolare matrimonio con Bertrada di Montfort, mentre il pontefice si proclamò capo di tutte le chiese, dichiarando che i re e i signori gli dovessero prestare giuramento di fedeltà. Alla fine dello stesso novembre indisse la prima crociata. Tenne poi altri concili in Italia, a favore della crociata, proseguendo altresì la sua opera di riorganizzatore. Alla sua morte, Urbano II, fu sepolto in San Pietro e da subito venerato. Poi, il 14 luglio1881, fu beatificato dal papa Leone XIII. 29


MARGARITO DA BRINDISI

(Brindisi, 1130 – Treviri, 1200 circa) Fu un famoso condottiero di mare al servizio dei re normanni, detto Margaritone. Negli ultimi trent’anni del regno dei Normanni, Margarito, fu ammiraglio, nominato dal re Guglielmo II il buono per le sue note capacità di combattente e navigatore. Fu un leale militare e ministro consigliere, sia di Guglielmo II il buono, e sia del suo successore, Tancredi, di fatto l’ultimo dei re normanni, che lo fece conte di Malta. Durante la sua giovinezza fu il terrore dei pirati che infestavano il Mediterraneo arrecando danno alle navi dei crociati dirette i Terra Santa. Margarito poi, compì numerose altre gesta sul mare per conto di Guglielmo II il buono, alcune delle quali in aiuto dei crociati che lottando in Terra Santa si erano incontrati in gravi difficoltà: li aiutò ad evacuare dalla Siria alla Sicilia, salvandone molti. Fu uno dei primi ministri della monarchia di Sicilia e fu supremo comandante delle forze di mare del regno, contribuendo direttamente col suo azionare all’elevazione di Tancredi, il conte di Lecce, al regio soglio. Margarito fu, infatti, fra i protagonisti nella vittoriosa resistenza opposta nel 1191 all’armata imperiale; l’ammiraglio affrontò al largo di Napoli le navi pisane e genovesi che sostenevano l’imperatore Enrico VI, il figlio del Barbarossa, nelle sue pretese sul Regno di Sicilia, in quanto marito di Costanza d’Altavilla, figlia postuma del re Ruggero II. Famosa fu la dimora che Margarito si fece costruire a Brindisi, adiacente alla rocca normanna e all’attuale chiesa di San Paolo, la domus margariti: una casa splendida, con bagni, giardini, forni e quant’altro, con diretto accesso alle cale portuali. La stessa casa che nell’ottobre 1225 fu donata da Federico II all’ospedale dei Teutonici, e che fu poi anche, in parte, sede della zecca imperiale. Margarito inoltre, nell’anno 1194, quello stesso della morte di Tancredi, fondò in Brindisi un monastero, fuori porta Lecce, la cui chiesa fu poi detta di Santa Maria del Ponte, che, nel 1198, fu assaltata da una turba aizzata da partitari antimperiali, durante i tumulti che scoppiarono in città, quando l’intero regno cadde in momentanea anarchia in seguito all’improvvisa morte di Enrico VI. Con l’avvicinarsi della fine del regno dei Normanni, decadde però anche la fortuna di Margarito, che fu catturato dagli Svevi nel 1197, accecato e deportato prigioniero a Treviri in Germania. Enrico VI, infatti, volle vendicarsi di Margarito, per aver fatto arrestare, nel 1190, sua moglie Costanza, erede legittima del Regno di Sicilia. E, finalmente, in quella prigione, Margarito morì poco prima dell’anno 1205. 30


TANCREDI D’ALTAVILLA

(Lecce, 1139 – Palermo, 1194) Fu re dei Normanni, l’ultimo vero re, eletto al trono di Sicilia dopo la morte del re Guglielmo II il buono, sul finire del 1189, con il determinante appoggio militare dell’ammiraglio Margherito da Brindisi, contro le pretese dell’imperatore Enrico VI. Tancredi, nipote di Ruggero II di Sicilia e figlio naturale di Ruggero III di Puglia e di Emma figlia di Accardo II conte di Lecce, divenne lui stesso conte di Lecce nel 1149. Nel 1155 cospirò con altri nobili contro il re Guglielmo I, suo zio, il quale l’anno dopo sedò la rivolta con le armi e mandò in catene Tancredi. Poi, nel 1161, Tancredi partecipò alla sanguinosa rivolta di Palermo, la congiura per deporre il re e far salire sul trono il giovane Ruggero IV. Tancredi, con suo zio Simone di Taranto, espugnò il palazzo reale, imprigionando lo stesso re Guglielmo I e tutta la famiglia reale. Il palazzo reale fu saccheggiato, i documenti distrutti e diversi membri della corte trucidati. Poi, i cospiratori persero l’appoggio popolare e l’insurrezione finì in pochi mesi. Gli insorti furono costretti a liberare il re Guglielmo I e Tancredi riparò nei territori lombardi di Butera e Piazza Armerina, ma fu catturato dal re che gli concesse l’esilio a Costantinopoli, dove Tancredi rimase alcuni anni e ritornò in Sicilia solo nel 1166 dopo la morte del re Guglielmo I e l’assunzione al trono da parte del figlio Guglielmo II il buono. Durante il regno di Guglielmo II, Tancredi fu suddito fedele del cugino e prese parte a numerose azioni belliche alla guida della flotta normanna. Nel 1174 comandò una grande flotta siciliana di 284 navi e 80.000 uomini che il re di Sicilia inviò al porto di Alessandria d’Egitto per sostenere i Fatimidi insorti contro il Saladino. L’insurrezione fatimida, tuttavia, fu presto sedata e le truppe siciliane si ritirarono subito dal porto egiziano. Nel giugno 1185 Tancredi guidò l’enorme flotta siciliana di 300 navi, con 80.000 uomini sotto il comando di Riccardo di Acerra, che giunse a Durazzo per attaccare al cuore l’impero bizantino. Ad agosto, Tessalonica, stretta d’assedio per terra e per mare, venne presa e depredata. L’esercito siciliano subì successivamente una dura sconfitta da parte del basileus Alessio Comneno e nella marcia di ritorno attraverso i Balcani fu decimato, mentre la flotta di Tancredi, ritornò salva in Sicilia. Nel giugno 1186 Tancredi e Margarito da Brindisi guidarono la flotta normanna a Cipro, dove il governatore Isacco Comneno si era ribellato a Bisanzio, e con azione spregiudicata catturarono 70 galee dell’imperatore Isacco II Angelo, procurando la maggiore perdita navale dell’impero d’Oriente con deportazione in Sicilia dei generali bizantini. Tancredi, il re, ideò il matrimonio di suo figlio, Ruggero III, celebrato nel 1193 nella cattedrale di Brindisi, con Irene Angelo, figlia dell’imperatore bizantino Isacco II. E per l’occasione fece ricostruire la romana “fontana grande”, che da allora in poi fu chiamata “fontana Tancredi” (foto). Ruggero III prese in mano il regno al fianco del padre Tancredi, ma nel dicembre 1193, all’età di soli diciannove anni, morì. Al suo posto Tancredi designò re di Sicilia l’altro figlio, Guglielmo III, di solo nove anni, affidando la reggenza alla moglie Sibilla. Lo stesso Tancredi morì l’anno dopo, nel 1194, all’età di 55 anni: fu lui, di fatto, l’ultimo vero re normanno. 31


DOMENICO DA BRINDISI

(Brindisi, XII – XIII Secolo) Fu un arciprete brindisino, che fu in effetti protopapa dei Greci bizantini di Brindisi «archipresbiterum graecorum de Brundusio» giacché il rito greco a Brindisi, come del resto in tutta la Terra d’Otranto, nell’ambito di una consolidata cultura greco-cristiana e grecosalentina, continuò a coesistere con quello latino, dalla caduta dell’impero romano d’occidente e fino a alcune centinaia d’anni entrato il secondo millennio, incontrando speciale fioritura nel periodo della presenza sveva nella regione. D’ingegno nobilissimo e di specchiata virtù, fu proposto giovanissimo al clero greco col titolo di protopapa e le doti singolari della sua mente e del suo cuore lo fecero tenere in molta stima presso i migliori e più cospicui personaggi del suo tempo. Theorido da Brindisi, che visse tra il secolo XII e il secolo XIII, fu versatissimo nelle scienze e nelle discipline ecclesiastiche. Fu anche un profondo e dotto grecista e un fine diplomatico. Nel gennaio del 1199, il papa Innocenzo III affidò a Domenico la delicatissima missione esplorativa di recarsi come legato pontificio e con una epistola papale, presso Giovanni II Asen -Kalojan- re di Bulgaria, per persuaderlo a ritornare con tutta la sua nazione nel grembo della chiesa romana, abbandonando lo scisma della nuova chiesa nazionale indipendente che aveva fondato nel 1186 il fratello maggiore, Pietro Asen, che poi era stato assassinato dai Greci di Bisanzio. Il papa scelse Domenico, oltre che per le sue straordinarie capacità e doti personali, probabilmente anche perché proveniente da quel singolare ambiente greco-latino che lo faceva specialmente indicato per quella missione orientale. E Domenico portò a felice termine la difficile missione e ritornò a Roma con la risposta di Kalojan al papa. Innocenzo III poté quindi inviare a Trnovo il cardinale Leone Brancaleone, che l’8 novembre del 1204 incoronò in suo nome, Kalojan re di Bulgaria, riportando la Bulgaria alla chiesa di Roma. In effetti, il sovrano bulgaro Kalojan chiese al pontefice di poter essere incoronato con il titolo imperiale attribuito in precedenza ai sovrani bulgari e che il pontefice riconoscesse il capo della chiesa bulgara come patriarca. Però il cardinale Brancaleone, seguendo le disposizioni del papa, elesse a capo della chiesa bulgara, Vasilij di Tărnovo come primate di Bulgaria, ma non patriarca e incoronò Kalojan come Rex Bulgarorum et Blachorum, ma non imperatore. Di questo illustre personaggio brindisino, la cronaca e la storia non hanno poi registrato null’altro, né delle sue origini, né tanto meno della sua fine. 32


FEDERICO II DI SVEVIA

(Jesi, 26 dicembre 1194 – Fiorentino di Puglia, 13 dicembre 1250) Fu: - re di Sicilia, come Federico I, dal 1198 al 1250 - duca di Svevia, come Federico VII, dal 1212 al 1216 - re di Germania, dal 1212 al 1220 - imperatore del Sacro Romano Impero, come Federico II, dal 1211, incoronato ad Aquisgrana nel 1215 e a Roma nel 1220 - re di Gerusalemme, dal 1225. Appartenne alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen, nipote di Federico Barbarossa e discendente, per parte della madre Costanza, dalla dinastia normanna degli Altavilla, regnanti di Sicilia. Ebbe in grande considerazione Brindisi, la sua Filia Solis, dove fece edificare il maestoso castello di terra, dove fece operare un’importante zecca e dove dimorò spesso volentieri e a lungo. In Brindisi, il 9 novembre 1225, celebrò nella cattedrale il suo matrimonio con la giovane Isabella, la figlia di Giovanni di Brienne e regina di Gerusalemme. E da Brindisi, il 28 giugno 1228, partì la sua crociata, la Sesta, che gli procurò la scomunica del papa Gregorio IX e che comunque, senza colpo ferire, gli valse il passaggio di Gerusalemme al controllo cristiano mediante la stipulazione di un accordo con il sultano Malek Al-Kamil. E alla sua fedele Brindisi, il 10 giugno 1229, ritornò dalla Terra Santa come re di Gerusalemme, salutandola «Filia Solis Ave, nostro gratissima Cordi». E da Brindisi, subito, e prima ancora di trasferirsi a Barletta, organizzò la riconquista del suo regno di Sicilia, che in parte era stato occupato dalle armate papali e di Giovanni di Brienne. Conosciuto con gli appellativi stupor mundi o puer Apuliae, Federico II ebbe una personalità carismatica, poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, polarizzò l’attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male. Fu un apprezzabile letterato, convinto protettore di artisti e studiosi: la sua corte fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica. Parlava sei lingue -latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo- e giocò un ruolo importante nel promuovere le lettere attraverso la poesia della scuola siciliana. Uomo straordinariamente colto ed energico, stabilì in Sicilia e nell’Italia meridionale del suo regno, una struttura politica molto somigliante a un moderno reame, governato centralmente e con una amministrazione abbastanza efficiente. Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione artistica e culturale, volta a unificare le terre e i popoli, ma fortemente contrastata dalla Chiesa, di cui il sovrano mise in discussione il potere temporale. Morì in Puglia a 56 anni minato da più malattie e, per sua volontà, fu seppellito a Palermo. 33


GUGLIELMO DA BRINDISI

(Brindisi, 1200 circa – Arsenga,1240)

Fu un templare brindisino vissuto ai tempi in cui regnò l’imperatore Federico II di Svevia, quando fu uno dei numerosi cavalieri, detti fratres-sacerdotes, del Secolo XIII (foto). I Templari a Brindisi furono presenti fin da quasi la fondazione dell’Ordine, avvenuta subito dopo la presa di Gerusalemme del 1099. Fra XI e XIII secolo, infatti, il porto brindisino acquisì rilevanza per i traffici diretti verso levante: a Brindisi confluirono le vie di terra percorse dai pellegrini in un viaggio che avrebbe avuto prosecuzione nel mare, e da Brindisi imbarcarono anche molte spedizioni di crocesegnati. Sotto il titolo di San Giorgio, la domus templare di Brindisi fu attiva già dal 1169 e, come per gli altri ordini monastico cavallereschi quali i Giovanniti e i Teutonici, il porto di Brindisi ebbe per i Templari centrale importanza. E a Brindisi, in località Santa Maria del Casale, si celebrò l’iniquo processo ai Templari del regno di Napoli, nel 1310, quando l’Ordine, perseguitato da Filippo il bello re di Francia, fu finalmente soppresso, in Avignone, dal papa Clemente V. Guglielmo da Brindisi morì eroicamente da combattente, mentre con altri cavalieri templari svolgeva servizio armato nei presidi cristiani in Terra Santa. Cadde prigioniero dei Tartari, guidati da Odogai figlio di Gengis Kan, durante l’assedio da questi posto alla città di Arsenga -Erzincam- nella Turchia armena, nel 1239. I Tartari, infatti, invasa la Persia, la Russia, la Polonia e l’Ungheria, entrarono in Turchia assediando quella città difesa sia dai Cristiani che dai Turchi che, in quell’occasione erano alleati a conseguenza dell’accordo siglato dieci anni prima con la Sesta crociata, quella partita da Brindisi detta degli scomunicati, tra Federico II e il sultano Elkamil. In quell’occasione, assieme al combattente Guglielmo da Brindisi fu fatto prigioniero anche un altro templare, il guasco Raimondo, ed i due furono poi obbligati dai loro aguzzini tartari a duellare tra di loro “affinché il vincitore avesse salva la vita”. Ma i due crociati non caddero nell’inganno e pattarono di fingere il duello per invece volgere le armi contro i nemici tartari. Racconta Sant’Antonino, arcivescovo di Firenze, nel suo Libro III del 1586, riportandolo dallo Speculum historiale di Vincenzo da Beauvais: «… quindi entrambi si avventarono contro i Tartari, dapprima con lance, poi con le spade, uccidendone una quindicina e ferendone gravemente altri trenta, prima di essere sopraffatti e uccisi…» 34


AROLDO RIPALTA

(Brindisi, XIII Secolo) Fu un nobile brindisino, forse di origini piacentine, vissuto nel XIII secolo, in quel convulso periodo storico che seguì alla morte, nel 1250, dell’imperatore Federico II di Svevia e che culminò con l’avvento degli Angioini di Carlo I su tutto il regno di Napoli e di Sicilia. Appoggiò la rivolta di Brindisi del 1255 contro lo svevo Manfredi, fomentata dal papa Innocenzo IV e dal suo successore Alessandro IV attraverso l’arcivescovo di Brindisi Pellegrino e capitanata da Tommaso d’Oria. Poi però, cambiò bando: nel 1257 imprigionò Tommaso d’Oria e lo consegnò, con la stessa città di Brindisi, a Manfredi che l’aveva ripetutamente posta in assedio. Manfredi uccise Tommaso d’Oria e fece imprigionare l’arcivescovo Pellegrino. Di conseguenza, il papa Alessandro IV, con bolla del 21 novembre 1257 elargì simbolicamente tutti i beni mobili e immobili del traditore Aroldo Ripalta, a favore di vari cittadini brindisini, tra cui Nicola Zaccaria e i figli di Sergio di Bibulo, per remunerarli della morte alla quale furono condannati da Manfredi i padri rispettivi e per risarcirli dei molti danni sofferti da loro stessi per aver mantenuto fede alla chiesa romana. La lotta tra gli Svevi e gli Angioini proseguì con sorti alterne e nel 1263 Aroldo fu il capo della ribellione di Brindisi contro Carlo d’Angiò. Poi, il 22 febbraio del 1266, Manfredi morì in battaglia a Benevento e due anni dopo, nel 1268, Corradino di Svevia, il giovane figlio di Corrado IV, scese in Italia nel tentativo di riscattare i possedimenti della famiglia. Aroldo Ripalta, di nuovo, capeggiò a Brindisi la rivolta contro gli Angioini, che si erano resi invisi alla cittadinanza per la oppressione e le angherie del governatore Guglielmo Landa, uomo crudele ingiusto e avaro. Però, la spedizione di Corradino, dopo aver subito una rovinosa sconfitta a Tagliacozzo il 23 agosto 1268, ebbe termine tragicamente con la sua decapitazione il 28 ottobre, nella piazza Mercato a Napoli. Il regno italiano degli Svevi della casata degli Hohenstaufen era finito ed era iniziato quello degli Angioini francesi, con Carlo I d’Angiò e questi, dopo aver represso la rivolta di Brindisi, il 22 maggio del 1269 fece confiscare, e questa volta non solo virtualmente, tutti i beni di Aroldo Ripalta, assegnandoli in parte al protontino Pasquale Guarino. La casa Ripalta, un sontuoso palazzo ghibellino, il re lo assegnò a Giovanni de Spagny, suo valletto e familiare, facendone la sede della curia regia e abitazione reale a Brindisi durante le permanenze in città del re. Un palazzo, il Ripalta, che si situava alla fine dell’attuale omonima salita, adesso una scalinata (foto) che confluiva sulla via San Nicolicchio, poi, via Assennato. 35


TOMMASO RISCHINIERI

(Brindisi, 1230 – Napoli, 1284)

Fu un insigne giureconsulto brindisino e, per i suoi meriti, fu nominato giudice della Gran Corte Vicaria di Napoli, essendo re Carlo I d’Angiò, ormai consolidato sul trono di tutto il regno dopo la condanna a morte di Corradino di Svevia, l’ultimo erede aspirante al trono di Federico II sconfitto a Tagliacozzo nel 1268. Tra varie altre importanti attività svolte esercitando quel prestigioso incarico amministrativo presso la corte angioina di Napoli, Tommaso Rischinieri commentò le Costituzioni e le Prammatiche del Regno. Nel 1284 però, Rischinieri cadde in disgrazia e fu fatto impiccare dallo stesso re Carlo I d’Angiò, in un impeto di collera da cui fu preso a causa dell’imprigionamento di suo figlio, il futuro re Carlo lo zoppo. Il re Carlo I giustificò quell’atto, adducendo che fu proprio un consiglio invidioso del Rischinieri che lo indusse a fare imprigionare in Castel dell’Ovo, e poi impiccare, il nobile Lorenzo Ruffolo di Ravello. Sembra, infatti, che fu anche per vendicare quell’impiccagione, che il figlio del re angioino fu imprigionato dall’aragonese Ruggero di Lauria e fu condotto in Sicilia insieme con molti altri feudatari di parte angioina. Molti di quei prigionieri condotti in Sicilia furono giustiziati, mentre il principe angioino, per intercessione dalla regina Costanza, fu mandato in Catalogna e, dopo varie vicissitudini e lunghi negoziati, fu finalmente riportato in Sicilia e fu liberato nel 1288, essendo nel frattempo già succeduto al padre, Carlo I d’Angiò, che era morto nel 1285. Dopo la morte di Rischinieri, tutti i suoi numerosi libri furono, dal nuovo re, Carlo II d’Angiò lo zoppo, donati nel 1308 a Jacopo Pipino di Brindisi, suo medico personale. 36


JACOPO PIPINO

(Brindisi, 1265 circa – Napoli, 1326)

Fu un illustre medico e professore, magistrus, di medicina per un trentennio, tra il 1296 e il 1326, nella famosa università di Napoli fondata da Federico II. Già nel 1296, infatti, il doctor Jacobus Pipinus fu esaminatore, per concedere il privilegium praticandi in medicina, del maestro Gerardo Castagnola; nell’agosto 1302 esaminò al maestro Innocenzo Orilla e nel 1305 esaminò al maestro Grillo di Salerno. A cominciare da questa data, Jacopo Pipino fu appellato professor. Fu uno dei medici più illustri del regno e fu medico regio, fu primario e di famiglia del re Carlo II d’Angiò, detto lo zoppo, e di suo figlio, Filippo principe di Taranto, nonché anche dell’altro figlio e seguente re, Roberto d’Angiò. Fu nominato Feudatario e Milite, e nel 1303 fu asceso a nobile dal re Carlo II, in seguito alla richiesta fattagli direttamente dal figlio Filippo, con l’assegnazione del feudo di Giurdignano e del territorio di Peuti, presso Oria. Inoltre, nel 1308, alla morte del nobile brindisino Tommaso Pistineri (Rischinieri), il quale non ebbe eredi, il re Carlo II stabilì che i beni di quel nobile andassero a Jacopo Pipino. Così come furono donati a Pipino, per disposizione dello stesso re, anche i libri conservati nel castello di Melfi che erano appartenuti al brindisino, giudice della Vicaria, Tommaso Rischinieri, caduto in disgrazia e fatto impiccare dal re Carlo I, nel 1284. Oltre che esaminatore in medicina e in chirurgia, nel 1296 il magister Jacobus venne incaricato dal re Roberto a conferire, in sostituzione del Gran Cancelliere, la laurea in medicina a Matteo di Giovanni Jannottaro, attestandosi con ciò la grande estimazione in cui il re tenne il Pipino, poiché siffatto incarico, di sostituire in simili mansioni il Gran Cancelliere, venne concesso solo a persone assai stimate e di grado molto elevato. Probabilmente Jacopo, sposato con una nobile brindisina, non ebbe discendenti, visto che erede dei suoi beni fu un tale Manfredo di Venafro. 37


RUGGERO FLORES

(Brindisi, 1267 – Adrianopoli, 30 aprile 1305) Fu un capitano di ventura nato a Brindisi tra il 1266 e il 1268, secondogenito del nobile tedesco Riccardo Blum, falconiere dell’imperatore Federico II di Svevia -che tradusse il cognome allo spagnolo Flores- e da una nobildonna brindisina, forse della famiglia dei Ripalta. Rimase orfano in tenera età, quando il padre morì, il 23 agosto 1268, nella battaglia di Tagliacozzo combattendo per Corradino di Svevia contro Carlo I d’Angiò. Nel 1275, il frate templare Vassayl da Marsiglia, comandante di una nave templare approdata a Brindisi, notò il ragazzino Ruggero interessarsi alle attività marinare del porto, e quindi chiese ed ottenne dalla madre il suo affidamento. Ruggero mostrò da subito coraggio e grandi attitudini marinaresche, al punto che fu introdotto nell’ordine dei Templari e, appena ventenne, gli fu dato il comando della nave Falcone, la più grande dell’Ordine, solitamente attraccata nel porto di Brindisi e in servizio costante sulla rotta per la Terrasanta. Con quella nave Ruggero Flores partecipò a numerose imprese militari contro i Musulmani e, nel 1291, si distinse nella difesa di San Giovanni d’Acri, quando tuttavia, accusato -forse ingiustamente- di essersi appropriato di alcuni beni approfittando della confusione che seguì l’abbandono della città caduta in mani saracene, fu espulso dall’ordine templare. Sdegnato con Carlo d’Angiò per aver confiscato i beni del padre, Ruggero passò a combattere con gli Aragonesi, distinguendosi per le sue imprese belliche e, divenuto viceammiraglio, a capo degli Almogaveri -combattenti catalani- liberò Messina dall’assedio angioino nel 1301. Dopo la pace di Caltabellotta nel 1302, tra Carlo D’Angiò e Federico d’Aragona, Ruggero Flores passò al servizio dell’imperatore d’Oriente Andronico II Paleologo, in guerra contro gli Ottomani. Entrò in Anatolia, impossessandosi di Filadelfia, Magnesia ed Efeso e respingendo i Turchi fino alla Cilicia e il Tauro. Poi, durante la primavera del 1304 respinse anche gli Alani, provenienti dal nord del Mar Nero. Come ricompensa per i servizi prestati all’impero, Andronico nominò Ruggero megadux -comandante della flotta- e gli diede in sposa Maria, sua nipote e figlia dello zar di Bulgaria, Azan. Quei successi del brindisino suscitarono però anche l'invidia del figlio dell’imperatore, Michele IX Paleologo, l’erede al trono, che sospettoso di quell’ambizioso cavaliere trentasettenne, lo fece assassinare a tradimento, nel 1305, durante un banchetto a Adrianopoli.

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GIOVANNI CASTROMEDIANO

(Brindisi, XIII Secolo – Lecce, XIV Secolo)

Fu un viceammiraglio del regno di Sicilia e Napoli, elevato a tale grado nel 1306 dal re Carlo II D’Angiò, lo zoppo. Nacque a Brindisi nella seconda metà del XIII secolo, discendente da una nobile famiglia originaria della Franconia, il cui capostipite Kilian di Lymburgh scese in Italia in difesa del re di Sicilia, il normanno Guglielmo I il malo, il quale nel 1156 gli assegnò in compenso le terre di Castromediano, Pietrapertosa e Castrobellotto, in Basilicata. Un discendente diretto di Kilian, Ruggero di Castromediano il giovane, fu scelto dal re Carlo I D’Angiò a suo Cavallerizzo maggiore e poi, in compenso dei servigi resi, nel 1272, ebbe concesso in beneficio il feudo di Cerceto, situato nella giurisdizione della Contea di Lecce. Per tale circostanza, Ruggero, una volta nominato barone, con tutta la sua famiglia si staccò dal ceppo principale di Basilicata e fu a stabilirsi a Brindisi, dove nacque suo figlio -o forse nipote- Giovanni Castromediano, il futuro viceammiraglio. Successivamente, già iniziato il secolo XIV, il ramo dei Castromediano di Brindisi fu a stabilirsi in Lecce, dove dimorò a lungo nel palazzo di famiglia (foto) prospiciente la piazzetta della Zecca, presso porta San Biagio. 39


ENRICO CAVALERIO

(Brindisi, 1300 circa – Brindisi, 1346)

Fu un condottiero di mare. Per la sua perizia marinara e per il suo valore, la regina di Napoli, la angioina Giovanna I, lo nominò nel 1346 gran maestro degli arsenali di Puglia e protontino delle galere di Brindisi, una specie di ammiraglio sovrintendente marittimo, per succedere a Filippo Ripa. Giovanna I, infatti, nipote del re Roberto d’Angiò, appena sedicenne era salita sul trono di Napoli nel 1343 alla morte di Roberto avvenuta quando l’erede, suo figlio Carlo duca di Calabria e padre di Giovanna, era già morto, trentenne nel 1328. Proprio quella nominazione di Enrico Cavalerio a protontino scatenò i sanguinosi eventi che coinvolsero e sconvolsero l’intera città di Brindisi nel 1346, allorché Filippo, del potente e nobile casato brindisino dei Ripa, prese in potere la città seminando persecuzione e morte tra i suoi avversari, in primis i membri dell’altrettanto potente e nobile casato dei Cavalerio, di cui Enrico fu al tempo il massimo rappresentate. Intorno ai Ripa si raccolse la massa dei contadini e intorno ai Cavalerio quella dei marinai, sicché la città, anche per il fatto che tutte le altre famiglie importanti si schierarono dall’una o dall’altra parte, risultò divisa in due opposte fazioni. Il Ripa arringò contro i Cavalerio i contadini, a quell’epoca affamati dalla carestia, convincendoli che il grano era finito nei depositi dell’avversario: non meno di una ventina furono le vittime della violenza, fra cui lo stesso Enrico Cavalerio. Quei gravi fatti indussero finalmente il governo angioino di Napoli, il cui rappresentante provinciale Goffredo Gattola nulla aveva potuto fare per contrastare il Ripa, a intervenire con provvedimenti urgenti tendenti a ristabilire l’ordine e punire i responsabili dei gravi crimini. Per cui il Ripa, minacciato d’arresto, trovò scampo nella fuga -forse definitiva, o forse no- dalla città, alla volta della Grecia. 40


MARCO ANTONIO CAVALERIO

(Brindisi, Secolo XV)

Fu un illustre brindisino di belle lettere e, al contempo, ebbe anche le facoltà di legale. Fu un discendente diretto dell’antica e potente famiglia marinara brindisina dei Cavalerio, che nel precedente secolo -il XIV- fu nemica acerrima dell’altrettanto potente famiglia brindisina dei Ripa e che rimase, per ordine di Filippo Ripa, quasi completamente annientata nei sanguinosi fatti del 1346, mentre da Napoli da qualche anno e senza grande autorità, regnava la angioina regina Giovanna I. Marco Antonio Cavalerio visse tutta la sua vita a Brindisi, esercitando la professione di legale al tempo in cui sul regno di Napoli e di Sicilia governavano i sovrani aragonesi, che dal loro consolidato regno di Sicilia avevano, nel 1442, strappato ai sovrani angioini il regno di Napoli, dopo una lunga e molto combattuta guerra, riunendo i due regni sotto il re Alfonso, a favore del quale si schierò il principe di Taranto Orsini Del Balzo che così poté mantenere e consolidare il suo potere, continuando a signoreggiare anche su Brindisi fino a morire, nel 1463, assassinato dopo che, ancora una volta, aveva cambiato bando tradendo Ferrante, il nuovo re Ferdinando I d’Aragona. Come letterato, Marco Antonio Cavalerio scrisse, tra altro, la Vita di Piero delle Vigne di Capua. 41


POMPEO AZZOLINO

(Brindisi, XV Secolo)

Fu una singolare figura di condottiero brindisino che seppe difendere Brindisi, attaccata dai Veneziani nel 1483. Il re Ferrante, Ferdinando I d’Aragona, gli affidò il governo della città, in considerazione delle sue rinomate virtù militari e della sua fedeltà alla casa reale. Nel 1481 mostrò il suo valore e le sue capacità guerresche personali, offrendo con i suoi uomini un importante contributo alla liberazione di Otranto, che era caduta in mano ai Turchi l’anno precedente. Nel 1483 i Veneziani, con una flotta forte di 56 vele salpata da Corfù, sbarcati sulla spiaggia di Guaceto, occupate e saccheggiate Carovigno e San Vito degli Schiavoni -oggi dei Normanni- si diressero, capitanati da Giacomo Marcello, tronfi e baldanzosi, alla volta di Brindisi, piazzaforte aragonese, con il proposito di occuparla. Pompeo Azzolino, messosi a capo di un gruppo di giovani volontari brindisini, li affrontò sul campo, sulla strada per Brindisi, e li fece retrocedere, costringendo a precipitosa fuga i superstiti e lo stesso Marcello, e incalzandoli fino al porto di Guaceto, nelle cui acque era alla fonda l’armata veneta che, dopo aver cannoneggiato i Brindisini ed accolto i malconci fuggitivi, sciolse le ancore e prese il largo. Ritornato in città, Azzolino fu ricevuto con grandi onori dai suoi concittadini, che lo salutarono come salvatore della patria e, per volontà del re aragonese, fu ricordato per quel suo atto eroico, con una epigrafe apposta sul muro della sua casa, nel quartiere marinaro delle Sciabiche:

“CESARE METTE IN FUGA POMPEO: DA QUESTO STESSO LUOGO, IL NOSTRO POMPEO FORTE QUANT’ALTRI MAI AFFRONTA INNUMEREVOLI NEMICI. SALGA DUNQUE ALLE STELLE LA FELICE CASA DEGLI AZZOLINO CHE GENERA TALI PETTI DA OPPORRE ALLE ARMI DEGLI UOMINI “ 42


BERNARDINO SCOLMAFORA

(Brindisi, 1450 circa – Castro, 1529)

Fu arcivescovo di Brindisi nel 1529 e fu un dotto ecclesiastico. Nacque nel seno di una delle famiglie più importanti di Brindisi e fu avviato alla carriera ecclesiastica. A Brindisi, il palazzo di Bernardino e di sua sorella Antonia, forse, si identifica con quello in via San Nicolicchio, ora via Assennato, su cui è murato lo stemma dei Perez. Infatti, Antonia Scolmafora fu poi sposa, sul finire del XVI secolo, di Antonio Perez. Sul portale del palazzo, ormai completamente ricostruito, è ancora murato lo stemma dei Perez: “La forma dello stemma è quella di un poligono concavo convesso, guarnito di antichissimi intagli, e sopra vi appoggia un cimiero chiuso con maschera. Lo stemma rappresenta un leone all’impiedi, voltato a destra, con coda irta portando nella mano destra una sciabola alzata. Il detto leone sta appoggiato con la zampa sinistra a terra. E sopra al leone vedesi tre stelle”. Bernardino fu, prima vicario generale di Taranto e poi vescovo di Lavello, ove dimorò fino al 12 marzo 1504 quando, appena passato il regno di Napoli sotto il dominio spagnolo con il re Ferdinando il cattolico, venne trasferito dal papa Giulio II alla chiesa di Castro, come vescovo di quella chiesa. Da Castro, il vescovo Scolmafora intervenne al Concilio di Laterano celebrato negli anni 1512 e 1513, che fu indetto dal pontefice Leone X. Quando nel 1529 venne nominato arcivescovo di Brindisi, come premio delle sue virtù e della sua dottrina, non fece in tempo a prendere possesso della sua sede arcivescovile, perché fu raggiunto da morte improvvisa.

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PAOLO IV

(Sant’Angelo a Scala, 28 giugno 1476 – Roma, 18 agosto 1559) Fu, Gian Pietro Carafa, arcivescovo di Brindisi dal 1518 al 1524, e fu il 223º papa della Chiesa cattolica. Nacque nella provincia di Avellino nel seno di una delle più antiche famiglie della nobiltà napoletana, da Giovanni Antonio e da Vittoria Camponeschi, figlia di Pietro Lalle. La famiglia affidò la sua educazione allo zio cardinale Oliviero Carafa, raffinato cultore di lettere e mecenate, che lo avviò allo studio del greco e dell’ebraico. A 14 anni fuggì dal convento napoletano di San Domenico Maggiore, ma venne ricondotto a casa; a 18 anni fu chierico; a 26 anni venne nominato cameriere pontificio e visse alla corte di Alessandro VI. Fu protonotario apostolico nel 1503, vescovo di Chieti nel 1504, legato presso il re Ferdinando il cattolico nel 1506 e presso Enrico VIII nel 1513. Il 20 dicembre 1518 fu nominato arcivescovo di Brindisi e Oria. Non si recò mai a Brindisi e governò per mezzo di un suo vicario generale, Profeta de Baronibus, canonico della chiesa di Chieti. Finalmente, Carafa rinunciò all’arcivescovato di Brindisi e Oria il 20 dicembre 1524. Nel 1527 scampò al sacco di Roma dei Lanzichenecchi e si rifugiò a Venezia fino al 1534. Fu nominato cardinale nel 1536 e nel 1542 fu il primo presidente della istituita Congregazione della sacra romana e universale inquisizione. Nel 1555, a 79 anni, fu eletto papa. Tutta la sua opera, prima e dopo la sua elezione a pontefice, si concentrò nella lotta contro l’eresia, senza riguardi né per sovrani né per alti prelati, taluni dei quali fece addirittura imprigionare; impose riforme durissime, sancì l’obbligo della residenza per i vescovi, affrontò con intransigenza la situazione religiosa inglese destituendo Reginald Pole, suo legato. Particolarmente rigido nei confronti degli Ebrei, ordinò il rogo del Talmud nel 1553 e ad Ancona nel 1556 fece condannare al rogo venticinque marrani. Il 12 luglio 1555 impose l’istituzione del Ghetto in Roma e in altre città. Fu avverso alla riapertura del Concilio di Trento e la sua politica estera, violentemente antiasburgica, costituì l’insuccesso più clamoroso del suo breve pontificato: la guerra contro Filippo II, concordata con la Francia, si concluse infatti nel 1558 con una minacciosa vittoria del duca d’Alba. Quando il papa morì, nel 1559, ci fu un tumulto popolare contro il regime troppo austero da lui imposto: fu incendiato il Tribunale dell’inquisizione e fu decapitata la sua statua. Nel 1565 le sue spoglie furono tumulate nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva.

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GEROLAMO ALEANDRO

(Motta di Livenza, 13 febbraio 1480 – Roma, 1 febbraio 1542) Fu arcivescovo di Brindisi dal 1524 e fu poi anche nominato cardinale. Nacque nel Veneto da Francesco Aleandro, filosofo e medico, e da Bartolomea Antonelli dei Bonfigli di nobile famiglia veneziana. Studiò teologia e lingue antiche a Padova e poi a Venezia, dove fu in contatto con Erasmo da Rotterdam e Aldo Manuzio. Nel 1508 si recò a Parigi su invito di re Luigi XII come professore di greco e latino e tenne per un certo tempo la cattedra di rettore di quella università. Nel 1515, passò al servizio di Eberhard von der Mark, principe vescovo di Liegi, dal quale nel 1516 fu inviato in missione a Roma. In quegli anni di soggiorno romano, ebbe vari figli e, nel 1519, il papa Leone X lo nominò prefetto della Biblioteca Vaticana e fu segretario del cardinale Giulio de’ Medici, il futuro papa Clemente VII. Nel settembre del 1520 si recò in Germania come nunzio papale per presenziare all’incoronazione di Carlo V. In quell’occasione fu tra i protagonisti della Dieta di Worms del 1521, in cui diresse l’opposizione a Lutero. L’editto di Worms, adottato dall’imperatore e dalla dieta, venne elaborato e proposto proprio da Aleandro. Nel 1524, il 9 ottobre, fu ordinato sacerdote dall’arcivescovo di Brindisi, Giovanni Pietro Carafa e il 20 dicembre dello stesso anno, in seguito alla rinuncia dell’arcivescovo Carafa -nominato cardinale e poi papa, Paolo IV- fu nominato arcivescovo di Brindisi e Oria dal papa Clemente VII, che lo inviò come nunzio apostolico alla corte del re di Francia, Francesco I. Fu preso prigioniero con quel monarca nella battaglia di Pavia del 1525 e fu liberato soltanto col pagamento di un pesante riscatto. Successivamente, fu nunzio presso l’imperatore Carlo V nel 1531 in Ungheria e in Boemia e poi, nel 1533, lo fu a Venezia. Sotto il papato di Paolo III, si occupò della controriforma, lavorando dal 1534 al 1537 per il concilio e, nel 1536, fu nominato cardinale. Durante il periodo dell’arcivescovato, quando non fu lontano da Brindisi assolvendo alle varie missioni conferitegli dal papa, risiedette per lo più in San Pancrazio “per la bontà di quell’aria”. Nel 1541 -sembra, ma non è unanimemente accettato- rinunciò al vescovato di Brindisi e Oria in favore del nipote Francesco Aleandro, che gli succedette nel 1542, e si recò a Roma per far parte della commissione per la riforma della curia romana, in preparazione del Concilio di Trento, ma vi morì dopo poco, il primo febbraio 1542. Fu sepolto inizialmente in San Crisogono, poi le sue spoglie furono portate nella città natale di Motta di Livenza, in Friuli. 45


GIAMBATTISTA CASIMIRO

(Brindisi, XVI Secolo)

Fu, Giovan Battista un intellettuale, regio notaio, storiografo e scrittore, nato e vissuto a Brindisi nel XVI secolo. Sposò Giulia Marangia ed ebbe sette figli, tra cui: Teodoro, che ereditò la professione di notaio, Francescantonio, che fu maestro dei conventuali di San Francesco e anche Provinciale di quell’ordine monastico e di Giustina, che fu novizia in San Benedetto. Fu l’autore della “Prima nota storica sulla città di Brindisi” finalmente editata nel 2017. Infatti, Casimiro -più correttamente Casmirio- in un lungo testo manoscritto, che non gli riuscì di dare alle stampe, intitolato “Epistola Apologetica Jo. Battistae Casimirij ad Q. Marium Corradum. Diplomata ac privilegia summorum pontificum regnum ac imperatorum plurima. Index copiosissimus eorum quae in Epistola continentur”, datato al 1º dicembre 1567 e indirizzato al celebre umanista di Oria, suo contemporaneo ed ex amico, Quinto Mario Corrado, a proposito dell’indipendenza proclamata da Oria della propria diocesi nei confronti di quella brindisina, difese la posizione della città di Brindisi, rivendicandone acerrimamente la preminenza. Nel suo testo, tra altro, Casimiro, impostò la leggenda della fondazione erculea di Brindisi e, percorrendo i tempi, analizzò il territorio e le sue condizioni ambientali, raccontando la frequentazione del porto di Brindisi fin dalla protostoria. Casimiro scrisse anche una “Storia di Brindisi” che trasse, in buona parte da quella epistola e parte, probabilmente, dalla precedente Historia Brundusina di Giovanni Carlo Verano, storiografo brindisino della prima età angioina, poi andata dispersa. Quel manoscritto di Casimiro, rimasto inedito, fu conservato nella biblioteca De Leo e fu certamente ripreso anche da Gio’ Moricino per la sua più completa storia della città, poi clamorosamente plagiata da Andrea Della Monaca. Giovan Battista Casimiro, morì a Brindisi, verosimilmente nella primavera del 1571. 46


JACOPO DE VANIS

(Brindisi, XVI Secolo) Fu un rinomato pittore “amateur”, un nobile infatti, della cui origine, probabilmente salentina, non si conoscono dettagli, ma che certamente fu attivo in Brindisi tra il 1559 ed il 1570. La sua opera più antica firmata e datata -Nobilis jacobus de vanis brundusinus pinxit 1559che si conosce è, infatti, la “Visitazione” che si trova nella chiesa di San Paolo eremita, in fondo alla navata sinistra, eseguita per l’altare dallo stesso titolo, poi demolito. E allo stesso anno 1569 risale un’autografa “Incredulità di San Tommaso”, che invece si trova nel convento di San Ruggero, anticamente di Santo Stefano, in Barletta. È dell’anno dopo, la sua opera “Adorazione dei pastori” o “Natività” (foto) che è nella chiesa di San Benedetto, sulla quale è leggibile l'iscrizione Nobbilis Jacobus de Vanis de Brundisio pinxit 1570. Qui il pittore segna, si direbbe, lo snodo per il quale la cultura pittorica locale innova la remota tradizione rappresentativa d’ascendenza idealistica e simbolica attraverso rimandi al contesto rinascimentale. Nella tela è l’allegoria della vittoria di Cristo sul mondo pagano. Cristo appena nato è segno di vitalità mentre i ruderi, nel paesaggio delineato, sono segni del passato già morto e in disfacimento, con riferimento al politeismo ormai vinto. A Brindisi si trovano anche altre due tele: “Annunciazione” nella Biblioteca Annibale De Leo e “Madonna del dolce canto” nella chiesa di Santa Lucia, le quali, pur se ufficialmente ascritte a Jacopo De Vanis, sembrerebbero attribuibili invece ad un più modesto pittore locale. La restituzione della Visitazione allo studio degli esperti permise rivelare, dall’intonazione espressiva, dalle pose monumentali e rigide dei personaggi, e dalla trattazione realistica delle scene e gli effetti luministici, una puntuale conoscenza della pittura lombardo-veneta da parte del pittore. Le evidenti cadute qualitative della stessa Visitazione inoltre, fecero pensare a un largo intervento di bottega oppure a quello di una personalità artistica assai vicina. Tale ipotesi potrebbe giustificare anche le altre due attribuzioni: le tele della “Madonna con Bambino” poste nelle chiese di San Sebastiano e di San Benedetto, quest’ultima trafugata nel 1974. 47


GIOVANNI CARLO BOVIO

(Brindisi, 5 gennaio 1522 – Ostuni, settembre 1570) Fu arcivescovo di Brindisi dal 1564. Nacque a Brindisi da Andrea, nobile bolognese e da Giulia Fornari, nobile brindisina. Fu mandato a Bologna presso i parenti per frequentare l’università. Laureatosi con lode in diritto, andò a Roma dove abbracciò lo stato ecclesiastico e si dedicò allo studio della teologia e delle lingue classiche e orientali. Nel 1545 fu arcidiacono della cattedrale di Monopoli e poco dopo, nel 1546 sotto il pontificato di Paolo IV, venne nominato vescovo di Ostuni, succedendo al suo zio paterno Pietro Bovio. Nel 1562 andò a Trento in occasione dei lavori del Concilio indetto da Pio IV e il 21 giugno 1564 fu nominato arcivescovo di Brindisi e Oria (*) dallo stesso papa Pio IV. Nel 1565, arcivescovo appena insediato, compì la prima sacra visita dell’arcidiocesi di Brindisi e diede disposizioni per ristabilire la morale la disciplina e la cultura -tutte cose abbastanza carentinel clero. Nel 1566 chiamò i Cappuccini a Brindisi e nel 1568 chiamò i Riformati. Ebbe poi qualche disavvenenza con gli amministratori della città di Brindisi per questioni, in principio, futili -una questione di vino- e cominciò a prediligere una sempre più frequente dimora in Oria, dove edificò un nuovo palazzo vescovile, vi trasferì la sua cattedra e vi dimorò quindi in permanenza. Il crescere, su sollecitazione veneziana, della produzione viti-vinicola e, successivamente, il venir meno dei mercati d’esportazione nel levante e la conseguente necessità di riversare in città le eccedenze, resero troppo zelanti nell’applicazione del privilegio i responsabili della civica amministrazione i quali ruppero nella piazza alcuni vasi di vino che l’arcivescovo fece venir da fuori per uso personale. Morì ancora relativamente giovane a Ostuni e, per sua volontà, fu sepolto a Oria. In effetti, a Brindisi non pochi coltivarono un certo rancore nei suoi confronti e, si dice, che alla notizia della sua morte “per l’insolenza e la nequizia di pochi” si suonarono le campane a festa. Nonostante, “da tutti gli onesti cittadini di Brindisi e dal pubblico magistrato, la morte s’intese col massimo dolore e gli si celebrarono solenni funerali”. (*) L’arcivescovato di Brindisi fu trasferito a Oria quando, nel 674 i Longobardi occuparono e distrussero Brindisi. Poi, finalmente, con l’arcivescovo Godino e grazie all’insistenza del papa Urbano II, la sede ritornò a Brindisi dopo il 1090 con la denominazione di “Arcivescovato di Brindisi e Oria” fino al 1586, anno in cui morì l’arcivescovo Bernardino Figueroa che nel 1571 era succeduto a Giovanni Carlo Bovio. Dal 1586 al 1591 la sede restò vacante e a partire dal 1591, con l’arcivescovo Andrea de Ajardis, si ritornò alla denominazione originale di “Arcivescovato di Brindisi” mentre Oria passò ad essere suffraganea di Taranto. Il 30 settembre1986, con l’arcivescovo Settimio Todisco, a Brindisi fu accorpata l’arcidiocesi di Ostuni, assumendo da allora la nuova denominazione di “Arcivescovato di Brindisi e Ostuni”.

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FERRANTE FORNARI

(Brindisi, 1 gennaio 1533 – Napoli, 5 marzo 1603)

Fu un insigne giurista. Nacque, nella casa di famiglia, Palazzo Fornari, da Lucio e Orsola Bovio, sorella di Giovanni Carlo Bovio, che fu arcivescovo di Brindisi e di Cesare Bovio, che fu vescovo di Nardò. Fu battezzato il 4 marzo dello stesso 1553. La casata Fornari fu una antica e nobile famiglia genovese, trapiantata a Brindisi nel XIV secolo. Ferrante compì i suoi studi universitari a Napoli e nella capitale del vice regno, ai tempi in cui sul trono di Spagna sedeva Filippo II, risiedette per tutto il resto della vita e svolse tutta la sua attività. Fu nominato giudice della Gran Curia Criminale nel 1575 e fu nominato Regio Consigliere nel 1576. Fu presidente della Regia Camera e dal 1587 al 1592 fu Reggente della Regia Cancelleria. In tale carica, s’interessò alla storia della sua città, Brindisi, e si preoccupò di far estrarre dalla Regia Camera, tutti i registri che interessavano Brindisi, inviandone una copia a Giovanni Moricino al quale furono certamente utili nella redazione della sua inedita -e plagiataStoria di Brindisi. Nel 1595 il re Filippo II lo nominò anche suo Consigliere Collaterale nel Supremo Consiglio e Luogotenente della Camera della Sommaria. Nella Cronaca dei Sindaci di Brindisi è registrato che il 6 giugno 1595, Ferrante Fornari firmò il decreto per cui il luogotenente del maestro portolano della città acquistò il diritto per la cognizione ed il giudizio nelle cause civili e criminali dei marinai forestieri o cittadini, in Brindisi. Il primo ottobre del 1598, l’amministrazione comunale di Brindisi, essendo sindaco Antonio Leanza, elesse il suo illustre cittadino, Ferrante Fornari, a suo procuratore al parlamento generale del regno, da tenersi in San Lorenzo a Napoli. Ferrante si fece promotore della costruzione della Cappella della Natività nella chiesa del Gesù Nuovo in Napoli, città in cui morì settantenne. 49


LUCIO SCARANO

(Brindisi, 1540 – Venezia, 1610)

Fu un illustre letterato della seconda metà del Secolo XVI. Nacque nel seno di una umile famiglia contadina brindisina e fu un dotto medico e un famoso ed apprezzato filosofo, letterato e latinista. Studiò all’Università di Bologna, dove insegnò e nel 1576 fu priore dei filosofi. Poi studiò a Padova ed infine a Venezia, dove il senato di quella potente repubblica marinara lo chiamò poi, nel 1583, a ricoprire la cattedra di Filosofia dell’Accademia, succedendo in quel prestigioso incarico a Aldo Manuzio il giovane. Nel 1593 fu tra i fondatori dell’Accademia Veneziana e fu autore, nel 1594, della tragicommedia Lo Antiloco. Nel 1601, scrisse il trattato Scenophylax, in cui sostenne la convenienza di restituire alla tragedia e alla commedia la lingua latina. Fu Scarano, forbito oratore in latino e fu un perfetto conoscitore del greco. In privilegiato contatto con l’intellettualità europea, fu amico dei principali letterati e scienziati suoi contemporanei, molti dei quali gli dedicarono alcune delle loro opere.

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GIOVANNI MARIA MORICINO

(Brindisi, 10 marzo 1558 – Brindisi, 18 settembre 1628) Fu sindaco di Brindisi, tra il 1604 e il 1605. Fu un medico, intellettuale, storico, scrittore e insegnante. Nacque da Giovanni Francesco e da Dionora Taccone, nipote del notaio Antonio Taccone e discendente anche del poeta Nicolò Taccone. Fu l’autore dell’inedito primo libro che si conosca sia stato scritto sull’intera storia di Brindisi, dalle origini fino ai tempi dello scrittore, intitolato: “Dell’Antiquità e Vicissitudine della Città di Brindisi” il cui manoscritto fu incontrato nella Biblioteca Annibale De Leo e permise verificare il flagrante plagio che ne fece Andrea Della Monaca, il quale pubblicò nel 1846 la sua “Memoria historica dell’antichissima e fedelissima città di Brindisi”. Gio’ Maria Moricino, fu auditore del municipio cittadino per molti anni e nel 1619 promosse il trasferimento delle monache di Santa Chiara al nuovo monastero di Santa Maria degli Angeli e ottenne che al monastero di Santa Chiara si desse una somma annuale e fosse mantenuto aperto come terzo monastero cittadino. Fu insegnante a Mesagne, dove ebbe tra i suoi discepoli il medico storico e filosofo Fernando Epifanio, per retorica, logica e geometria. Poi visse per un lungo periodo di tempo anche a Monopoli, dove fu tenuto in grande considerazione e dove insegnò ed esercitò la medicina. Possedette una libreria, con anche testi di medicina ricevuti in eredità da Francesco Antonio Teodoro, che comprendeva libri di Sabellico, Biondo, Volterrano, Procopio da Cesarea, Sigonio e altri importanti autori. La libreria, dalla sua casa di Brindisi dietro al Seminario, fu poi trasferita alla casa Resta in Mesagne. Fu coinvolto nel più clamoroso giallo del XVI secolo, ossia il presunto omicidio per avvelenamento dell’arcivescovo Andrea Ajardi del 4 settembre 1595, del quale era medico personale; accusa per la quale ebbe a soffrire non poche conseguenze, inclusa la carcerazione, il 20 ottobre, nel castello di terra, assieme a Marcello Barlà. Sposò in prime nozze, la gentildonna brindisina Giulia Della Volta ed in seconde nozze la nobile brindisina Giulia Stabile. Dovette soffrire la morte accidentale del suo unico figlio del matrimonio in seconde nozze, il quindicenne Francesco, il quale cadde da un albero di gelso moro nel giardino del monastero adiacente alla chiesa di San Paolo. Il ragazzo fu seppellito nella stessa chiesa, dove Gio’ Moricino volle poi essere anche lui seppellito, nella cappella di San Francesco, di stile barocco e che fu dotata dal Moricino di una statua lignea del Poverello di Assisi, di pregevole fattura e di grandezza maggiore del naturale. 51


SAN LORENZO DA BRINDISI

(Brindisi, 22 luglio 1559 – Lisbona, 22 luglio 1619) Fu, Giulio Cesare Russo, il più illustre figlio di Brindisi: Generale dell’ordine dei frati Cappuccini e uomo di singolare valore, dottrina e santità. Nacque da Guglielmo e Elisabetta Marella, ambedue di famiglia onoratissima. Morto il padre fu mandato a Venezia a convivere con lo zio Pietro fino a quando fu a Verona, ove indossò l’abito cappuccino il 24 marzo 1576 con il nome di Lorenzo. Fra Lorenzo studiò filosofia, teologia e lingue morte e viventi, imparando il latino, il boemo, il tedesco, lo spagnolo, il francese, il greco e l’ebraico. Ebbe una folgorante carriera ecclesiastica giungendo presto a Generale dell’Ordine. Fu famoso in tutta Europa e fu incaricato di rilevatissimi affari, di chiesa e di principato, da tre pontefici e due imperatori, dal re di Spagna e dal duca di Baviera. Il 14 ottobre 1601 partecipò molto attivamente in prima linea, come cappellano dell’armata imperiale, alla battaglia di Albareale vinta contro l’esercito mussulmano. Il 6 luglio 1607, stando a Brindisi, Fra Lorenzo scrisse in una lettera per Giovanni Leonardo Ripa: «... Io ho pensato che sarebbe bene pigliare quella casa la quale sta congionta con quella di mia nipote ed in più quella che sta congionta con il cortiglio ch’è innanzi alla casa grande, per avere piazza più larga. Mi farà grazia d’avvisarmi, se si potranno avere, e il prezzo di tutte quattro le case insieme, e quanta sarà la lunghezza e la larghezza di tutto il sitio, e che spesa si può diudicare per fabbricarvi detta chiesa di Santa Maria degli Angeli in forma di croce…». Fu quello della chiesa con l’annesso monastero per le sorelle cappuccine, che essendo incrementato il loro numero e la loro fama rimanevano ormai strette nella sede originaria in piazza della Cattedrale, un progetto che Fra Lorenzo perseguì fino alla sua realizzazione. E così, disimpegnando la carica di precettore spirituale di Massimiliano, duca di Baviera, convinse il potente duca a farsi promotore di quel progetto, tanto che nel 1609 il proprio duca inviò dalla Baviera il progetto con importanti finanziamenti, e se ne cominciò la costruzione. La costruzione durò una decina d’anni ininterrotti, con un risultato favoloso: un monastero splendido ed una chiesa suntuosa «... havvi tuttora in questa chiesa un Cristo in croce d’avorio, alto circa due palmi, tutto d´un pezzo meno le due braccia maestrevolmente congiunte al corpo…». Nel giorno del suo compleanno numero sessanta, Fra Lorenzo morì presso la corte del re Filippo III in Lisbona, mentre svolgeva una delicata missione diplomatica affidatagli dal papa. Fu sepolto a Villafranca del Bierzo, in Spagna, nel Monastero delle Carmelitane scalze dov’è tuttora venerato. A Brindisi gli fu intitolata la scuola elementare costruita adiacente alla Chiesa degli Angeli sul terreno su cui era esistito il monastero da lui fatto erigere assieme alla chiesa. 52


NICOLÒ TACCONE

(Brindisi, XVI Secolo – XVII Secolo)

Fu un letterato, il massimo poeta brindisino del XVI Secolo. Figlio di Bartolomeo, fu notaio e poeta, assai dotto in lingua latina e autore di storie locali. Visse a cavallo tra il Cinquecento e il seicento. Fu avo materno di Giovanni Maria Moricino. La cultura umanista, a Brindisi, ebbe notevoli sviluppi prima della controriforma e tra gli umanisti, Nicolò Taccone eccelse fra tutti. Fu ritenuto fra gli intellettuali autori della rivisitazione dei miti dionisiaci attraverso il tarantolismo. Nicolò Taccone descrisse la famosa Fontana di Monsignore, che il poeta considerò quasi d’edenica bellezza, al pari che i giardini contigui, e la cantò in eleganti versi latini: “Consitur arboribus locus est in littore portus, distat ab urbe parum, distat ab arce nihil, dicent hesperidum tales, qui cerneres hortos, quos rigat ubertim fons. salientis aqua, pontani cantata tuba olim pulcher Adonis, citrus adest Veneris delitiosus amor, nec defunt hedera, mirtus, nec delfica laurus, candida cum rubris lilia mixta rosis”

In quanto notaio, nel 1542 compilò copia della bolla con la quale il pontefice Lucio II, nel confermare a Lupo arcivescovo di Brindisi tutti i privilegi della sua chiesa, ne indicava la giurisdizione. Nel 1556 redasse l’atto col quale i padri Carmelitani dettero il vecchio monastero a censo perpetuo per nove scudi annui a Pietro e Paolo Strabone. 53


FILIPPO GIACOMO MEGLIORE

(Brindisi, XVII Secolo) Fu un letterato brindisino vissuto nel XVII Secolo. Fu accademico degli Erranti di Brindisi e fu, tra gli Erranti, detto l’Affumato. Filippo Giacomo Megliore, scrisse un sonetto dedicato a Andrea Della Monaca in occasione della stampa del suo libro sulla memoria storica della città di Brindisi, flagrantemente plagiato a Giovanni Maria Moricino:

Promotori dell’Accademia degli Erranti furono i Padri delle Scuole Pie, a cui l’arcivescovo Francesco de Estrada destinò, nel 1664, l’ex Monastero dei Celestini. Dell’Accademia furono soci due fratelli Vavotici, Obedienzio e Antonio, nonché il reverendo Pietro Antonio Epifani, detto il Disavventurato, al quale è anche intitolato un piccolo vico adiacente a vico Megliore. 54


GIOVANNI PALMA

(Brindisi, 1600 circa – Capitanata, 1650 circa)

Fu un poeta vissuto nella prima metà del XVII secolo. Fu erudito nelle lettere ed in particolare nella poesia, toscana, latina e greca. Nato a Brindisi, si sposò in San Giovanni Rotondo, nell’allora Provincia di Capitanata. Dal 1630 fu segretario del marchese del Vasto e di Pescara, Ferdinando Francesco. Fece parte dell’Accademia napoletana, detta degli Impazienti. Nel 1630 diede alla stampa un volume di rime, ma se ne stamparono pochissime copie a causa di un problema tecnico della tipografia. Sembra che poi scrisse alcuni altri libri di poesie, drammatiche e epiche, ma non furono stampati e di essi si persero le tracce. Finalmente, nel 1632, presso la tipografia di Lazzaro Scorriggio di Napoli, si stampò un altro suo libro di rime, compilato in due parti. Con l’avanzare dell’età soffrì una malattia agli occhi che limitò la sua attività di scrittore e poeta e, anche se continuò a scrivere, non poté finalmente pubblicare i suoi poemi perché non in grado di effettuarne la dovuta revisione. Questi, alcuni dei suoi titoli conosciuti: La riviera di Brento, diviso in soggetti marinareschi e pastorali. La Guerra di Otranto, poema epico intorno a quel famoso avvenimento storico. L’asino razionale, diceria di un giovane goffo ed arguto. Un volume grande di poesie toscane, raccolte in quattro parti: L’Eromelica amorfa, La Colonna, Il Portico, Il Tempio sagro. Un volume di poesie latine: Il Gargano, suddiviso in dodici idilli pastorali indirizzati ad altrettanti principi. Giovanni Palma morì in Capitanata intorno al 1650. 55


FERRANTE GLIANES

(Brindisi, 1600 circa – Brindisi, 1660 circa)

Fu sindaco di Brindisi dal 1646 al 1647. Fu un medico, filosofo, storico e poeta. Passò alla storia locale, non soltanto perché fu un dottissimo medico, filosofo, storico e poeta latino, ma soprattutto perché, essendo lui il sindaco in quell’anno in cui scoppiò a Napoli la rivolta di Masaniello, gli toccò assistere alla premonitrice rivolta popolare di Brindisi capeggiata dai fratelli Donato e Teodoro Marinazzo: fu malmenato dai rivoltosi e tenuto prigioniero, mentre si devastavano gli uffici pubblici comunali e si bruciavano i registri delle gabelle, nonché alcune case nobiliari della città. “… e proprio a dì 5 giugno 1647, fu la revolutione nel Regno di Napoli, e precise in questa città di Brindisi, e il detto sindico fu lapidato dal popolo, e fu pigliato da casa sua, e portato carcerato in una casa sotto la marina, dove lo trattennero tutto il giorno, e poi la sera lo mandarono libero in sua casa, e il capopopolo, o vero i capipopolo, furono Domato e Teodoro Marinazzo e Carlo D’Aprile, e levarono le gabelle, non facendoli osservare come era solito…” L’ultimo atto della sommossa si chiuse tragicamente nella capitale del regno, il 17 dicembre 1649: furono impiccati Teodoro Marinazzo, Gregorio Adorante e Carlo D'Aprile. Poi, il 29 gennaio 1650, Marco Scatigno, Francesco Di Donna, Alessandro Lepre e Orazio Sinapo, furono condannati alla galera, nella quale si suicidò lo Scatigno. Molti altri, infine, che erano riusciti a fuggire, andarono in esilio. Ferrante Glianes fu molto interessato alla storia di Brindisi, tant’è che, avuto tra le mani il manoscritto del Moricino sulla storia di Brindisi, tentò di farlo passare per opera sua inviandola nel 1650 al famoso cronista napoletano, Toppi, ma questi, sospettoso del plagio, la devolvé. Un’opera quella, comunque predestinata al plagio.

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BERNARDO SELVAGGI

(Brindisi, 1600 circa – Lecce, dicembre 1679)

Fu un frate, oratore molto rinomato, appartenente ai Minori Osservanti Riformati di San Francesco. Essendo basso di statura fu soprannominato “Lu Piccinnu ti Brindisi”. I suoi successi oratori furono dovuti essenzialmente alla sua originalità di forma e di concetto, che alle volte rasentò il grottesco. Sembra evidente dalle trascrizioni pervenute, che i suoi contenuti oratori, concettualmente e anche dal punto di vista letterario, non fossero all’altezza dell’enorme successo che sempre riscossero i suoi accesi discorsi, ma evidentemente le sue intemperanze oratorie e la depravazione dell’eloquenza con cui predicò, giocarono un ruolo determinante nello stimolare le tante fanatiche approvazioni e, allo stesso tempo, i violenti attacchi da parte di chi non approvò tale oratoria sacra. Ricevette, infatti, molte critiche dai suoi stessi confratelli, a cui volle replicare anche per iscritto, con un panegirico che intitolò “La virtù vilipesa”. Oltre all’arte oratorio, Bernardo si cimentò anche nella poesia, ma neanche in quest’arte eccelse. Ebbe comunque, Fra Bernardino Selvaggi, un innegabile ingegno multiforme che ne giustificò, di fatto, l’enorme popolarità che riscosse ai suoi tempi. Fu lui, Bernardino Selvaggi, il primo ad accennare per le stampe dell’esistenza certa della leggendaria moneta “il mezzo carlino” fatta coniare nella zecca di Brindisi dal re Ferdinando II d’Aragona, Ferrante, in riconoscenza dopo il suo ritorno sul regno di Napoli, seguito alla temporanea conquista realizzata, senza colpo ferire iniziando il 1495, dal re di Francia, Carlo VIII D’Angiò. In quella drammatica storica occasione, infatti, solo Brindisi con qualche altra città rimase fedele all’Aragonese. Quel “mezzo carlino” -divenuto un rarissimo pezzo numismatico- ebbe le seguenti caratteristiche: Sul dritto, la figura di San Teodoro in piedi, tenendo nella destra il pastorale e poggiando la sinistra sudi uno scudo, in cui sono rappresentate le due colonne dello stemma di Brindisi. Sul rovescio, lo stemma della casa d’Aragona sormontato dalla corona. 57


ANDREA DELLA MONACA

(Galatina, 1600 circa – Brindisi, 14 settembre 1679)

Fu un padre carmelitano, maestro dell’ordine. Nel 1663 fu nominato Provinciale dei Carmelitani di Brindisi. Nacque a Galatina e fu teologo, storico e buon oratore, come dimostrano due suoi discorsi stampati, uno in Lecce nel 1657 e l’altro in Trani nel 1660. Si ignora la sua data di nascita ed è incerta quella della sua morte: 14 ottobre 1674, o 14 settembre 1679. L’opera che lo consegnò alla posterità, fu il libro intitolato “Memoria historica dell’antichissima e fedelissima città di Brindisi” pubblicato (foto) a Lecce nel 1674, il quale però doveva rivelarsi essere un flagrante plagio del testo manoscritto del brindisino Giovanni Maria Moricino, intitolato “Antiquità e vicissitudine della città di Brindisi”, al quale Della Monica solamente aggiunse, di proprio, l’ultimo capitolo relativo al periodo dal 1604 (anno della morte di Moricino) al 1673 (anno della pubblicazione del libro). Malgrado ciò, a Andrea Della Monaca va comunque riconosciuto il merito del servizio reso, con la pubblicazione del suo monumentale libro plagiato, alla conservazione e diffusione del conoscimento della storia di Brindisi. Un testo, in effetti, divenuto un riferimento obbligato, dalla sua pubblicazione e fino a tuttora, per studiosi, storici e cronisti interessati alle vicende civili, politiche, religiose e comunque storiche, della città di Brindisi. Andrea Della Monaca morì a Brindisi, senza aver formalmente subito in vita tutta l’onta del suo atto, il misfatto, anche se alcuni eruditi brindisini, da subito, non avevano tardato a cominciare a denunciare quel clamoroso plagio.

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BARTOLOMEO PASSANTE

(Brindisi, 1618 – Napoli, 17 luglio 1648) Fu un pittore brindisino, vissuto nel XVII secolo quasi sempre a Napoli, città in cui giunse nel 1625, appena compiti sette anni e dove frequentò la bottega del pittore Pietro Beato, di cui sposò, nel 1636, la nipote Angela Formichella. E a Napoli Bartolomeo morì nel 1648, di peste, appena trentenne e fu sepolto a Trinità di Palazzo. “Bartolomeo Passante fu discepolo del Ribera -Spagnoletto- e sotto la sua direzione riuscì tanto, che il maestro molto l’adoperava nelle molte richieste di sue pitture; e massimamente per quelle che dovevano esser mandate altrove, ed in paesi stranieri: e questa è la cagione che poche opere sue si veggono esposte in pubblico, ma solamente in casa di alcuni particolari si ammirano varie storie sacre da lui dipinte, e mezze figure di santi e di filosofi; perciocché egli di età ancor fresca morì di peste. Egli è così simile alle opere del Ribera, che bisogna sia molto pratico di lor maniera chi vuol conoscerlo: conciossiaché nel componimento e mossa delle figure, è simile al suo maestro, e più nel tremendo impasto del colore: come si può vedere dal bel quadro della Natività del Signore situato sopra la porta della chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, il quale è così eccellente che sembra di mano del suo egregio maestro; e massimamente a' forestieri da' quali vien creduto di mano del Ribera: nel quale però, da chi è intelligente dell'arte, si vede un carattere superiore, nel ricercato disegno e nell'espressione degli affetti; e più nell'esprimere la languidezza delle membra, nella decrepità dei suoi vecchi; nella qual parte si può dire che fu inarrivabile. Laonde di Bartolomeo sol diremo che fu valente scolaro di Giuseppe di Ribera, e che le opere sue sono stimate da' professori, quasi al pari del suo ammirabile maestro” [De' Dominici]. Per altri specialisti, invece, il suo vero stile sembrerebbe distante dal Ribera, avvicinandosi piuttosto alla maniera di Massimo Stanzione e di Agostino Beltrano, col quale probabilmente condivise il discepolato presso il Beato: "… Attratto da modelli più classicisti, agli inizi degli anni Quaranta mitigò il naturalismo riberiano adottando forme dai contorni più concisi, profili più netti, incarnati più levigati e panneggi leggermente raggelati nella loro preziosità pittorica, fino a raggiungere un approdo più accademico". Passante è stato anche -polemicamente- identificato con il famoso “Maestro dell’Annuncio” ed esistono due opere firmate “Bartolomeo Bassante”: la Adorazione dei pastori, nel Museo del Prado di Madrid e le Nozze mistiche di Santa Caterina, in Napoli. Gli sono attribuiti, tra altri: la Adorazione dei pastori in una chiesa di Kalmar in Svezia (foto); una Santa Caterina in Torino; un S. Sebastiano curato dalle pie donne in Londra; la Sacra Famiglia con S. Giuseppe dormiente; un San Onofrio e una Adorazione dei Magi.

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BERNARDO DE ROJAS

(Brindisi, XVII Secolo)

Fu un umanista, e fu canonico, padre dell’ordine del Celestini. Nacque a Brindisi intorno alla metà del XVII secolo. Fu dottissimo filosofo, scrisse parecchie opere, tra cui Bellerophon metaphisicus-1690, De generationibus formarum-1692, Opusculum contra atheistas-1694. Fu nominato Abate del Real Monasterio dei Celestini di Santa Croce in Lecce, succedendo al padre Mauro Leopardo di Mesagne. In via Bernardo de Rojas (foto), nella prima metà del secolo scorso, abitò la signora Anna Maria De Ventura, l’enigmatica e bella sposa e madre brindisina che fu la misteriosa e segreta modella del magnifico monumento bronzeo eretto alla memoria della tragedia della Benedetto Brin del 27 settembre 1915 e conservato nel cimitero comunale di Brindisi. 60


NICOLÒ ANTONIO CUGGIÒ

(Brindisi, 1661 – Roma, 2 gennaio 1739) Fu un canonico della locale chiesa metropolitana e successivamente, fino alla morte, fu abate in Santa Maria in Trastevere di Roma. Nacque a Brindisi nella seconda metà del ‘600, in una nobile famiglia, da genitori veneziani. Studiò giurisprudenza e teologia nel collegio di Monopoli. A Roma fu nominato, nella diocesi Portuense, deputato vicario generale del cardinale Fransone il 1º maggio 1694 e fu confermato, dal nuovo vescovo cardinale Altieri, fino al 10 marzo del 1968, quando passò dalla diocesi di Porto e Santa Rufina alla Segreteria del Vicariato di Roma. Nel novembre del 1700 fu, infatti, nominato segretario del Tribunale del Vicariato ed esercitò tale carica sino alla morte. Oltre che per il grande zelo e lo spirito di carità, si segnalò per la straordinaria attività, soprattutto presso l’Archivio Storico del Vicariato di Roma. Scrisse numerosi e voluminosi trattati, di cui il più famoso ed importante fu quello (foto) intitolato “Della giurisdittione e prerogative del Vicario di Roma”. In quel testo settecentesco manoscritto, Cuggiò descrisse minuziosamente tutte le competenze del Tribunale del Vicariato e quelle attribuite ad ognuno dei suoi membri: il vicarius urbis, il vicegerente, il segretario, il promotore fiscale, i luogotenenti, il camerlengo del clero, il custode delle sacre reliquie, i notai, il deputato per i monasteri e quello per i matrimoni, gli esaminatori del clero e altri ministri minori. Una fonte rilevante per la storia della curia vicariale e anche della comunità religiosa locale in età moderna. Un testo normativo denso di informazioni sul tessuto urbano, che illustra anche il rapporto Chiesa-Città di Roma. Per la sua importanza, nel 2004, il testo di Cuggiò fu pubblicato a stampa dalla Feltrinelli. Nicolò Antonio Cuggiò morì a Roma il 2 gennaio del 1739 e fu sepolto a Roma nella chiesa di Santa Maria in Trastevere. 61


NICOLA SCALESE

(Brindisi, 1682 – Brindisi, 5 gennaio 1761)

Fu un sacerdote, autore, insieme a Pietro Cagnes, della “Cronaca dei sindaci di Brindisi dall’anno 1529 al 1787. Narrazione di molti fatti avvenuti in detta città” (foto). I due seminaristi, coetanei, collaborarono alla stesura della prima parte della Cronaca, materialmente scritta da Cagnes. Scalese sopravvisse a Cagnes, morto nel 1742 e, recuperato il manoscritto, lo riordinò e completò la Cronaca fino al 15 agosto 1757, meno di quattro anni prima della sua morte, avvenuta nel 1761. Poi, un terzo autore, forse Francesco Greco che ne era venuto in proprietà, la continuò per altri trent’anni, fino all’anno 1787. Scalese nacque a Brindisi nel seno di una famiglia importante, nello stesso anno, il 1682, in cui nacque Pietro Cagnes, ma non se ne conosce il giorno e il mese. Tommaso fu suo padre e Teresa Brancasi fu sua madre ed ebbe una sorella, Girolama. Suo nonno, Nicola, fu più volte sindaco di Brindisi. Scalese fu procuratore e credenziere del Capitolo di Brindisi, dal giugno 1723 al maggio 1724. Già canonico, nel 1751 viveva con la sorella nella casa di costei, sita in via del teatro, l’attuale via Ferrante Fornari. Morta la sorella Girolama nel 1756, Nicola continuò ad abitare nel suo palazzo, con una serva sessantenne, Maria Petula, e un servo sedicenne, Giuseppe Destrici di Fasano, poi, nel 1758, sostituito da Antonio Vagnes di Monopoli di anni nove. Scalese, giudicato essere un sacerdote di nome ma non di fatto, morì a Brindisi “aggravato di podagra” con quasi ottant’anni d’età. 62


PIERTOMMASO SANTABARBARA

(Brindisi, 28 settembre 1697 – 1770 circa)

Fu, Lorenzo Anastasio, un dotto frate Domenicano, nato da Giovan Lionardo e Laura Antonia D’Adamo. Cambiò il suo nome di battesimo in quello di Pietro Tommaso nel 1715 quando, ai tempi del trentennio in cui sul regno di Napoli governarono il viceré austriaci, entrò nei frati Carmelitani a Grottaglie. Si laureò in teologia e ne divenne maestro a Capua e a Bologna, dove trascorse buona parte della sua vita, tutta spesa nello studio. Dominò la lingua greca, la latina e la ebraica, e coltivò lo studio della storia ecclesiastica. Fu nominato priore del suo ordine e poi definitore perpetuo provinciale dell’ordine e, finalmente, fu nominato Generale dei Carmelitani. A Bologna fu accolto nella appena creata Accademia di storia ecclesiastica, dove tenne dottissime dissertazioni, tra cui alcune molto famose, come la “Critica apologetica dei padri della chiesa” contro gli eretici Giovanni Dalleo e Giovanni Clerico, pubblicata in tre volumi a Venezia e a Bologna nel 1758. Compose anche la Storia ecclesiastica dai primi tempi della chiesa sino al quinto secolo. Oltre ad ed essere un rinomato teologo ed un brillante teorizzatore ecclesiastico e scrittore, si distinse anche nell’arte del dire, fu cioè un eminente oratore.

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CARLO DE MARCO

(Brindisi, 12 novembre 1711 – Napoli, 8 marzo1804) Fu un importante uomo di stato, ministro di Grazia e Giustizia e degli Affari Ecclesiastici dell’indipendente Regno borbonico di Napoli. Fu giansenista, giannoniano e tenace ed illuminato difensore delle prerogative dello Stato dalla invadenza della Curia romana. Nacque a Brindisi nella casa in piazza Duomo, poi convertita in Istituto educativo delle figlie della carità. La sua educazione fu affidata allo zio, il canonico Jacopo Antonio Baoxich, fratello della madre Anna. Studiò diritto civile a Napoli, dove poi si esercitò nell'avvocatura. Nel 1743 ottenne l’ufficio di uditore della provincia di Matera; fu poi avvocato fiscale e quindi commissario di campagna nella provincia di Terra di Lavoro, distinguendosi per intelligenza, dirittura ed integrità. Il 6 ottobre 1759, nell’ambito della riorganizzazione delle segreterie di stato, il re Carlo di Borbon, in partenza per la Spagna, lo nominò segretario di stato di Grazia e Giustizia e ministro degli Affari Ecclesiastici: due incarichi che avrebbe ricoperto ininterrottamente per oltre trenta anni, abbinandoli spesso con altre mansioni di un certo rilievo. Nei primi tempi in cui fu ministro degli Affari Ecclesiastici, De Marco operò in simbiosi col primo ministro Tanucci, condividendo le nette posizioni anticuriali dell’uomo politico toscano e proseguendo la politica intrapresa dal re Carlo di Borbone alcuni decenni prima. Il primo importante provvedimento anticuriale fu rivolto nel 1762 contro i benefici ecclesiastici: un terzo delle rendite furono devolute ai poveri. Negli ultimi anni in cui fu al potere con il re Ferdinando IV Borbon, il Tanucci attenuò, assieme a De Marco, la politica anticuriale perseguita fino a quel momento, anche in virtù degli orientamenti di segno diverso della regina Carolina. In De Marco, tale processo di ammorbidimento fu forse influenzato dall’insorgere di una malattia che lo tenne per qualche tempo in serio pericolo di vita. Quanto al resto egli continuò, in questo periodo, a svolgere con competenza e rigore le proprie funzioni, mentre gli venne conferito il titolo di marchese, il 25 febbraio 1771. Nel1786 De Marco entrò a far parte del Consiglio di stato; nel 1789 gli venne assegnato un terzo dicastero, quello della Casa Reale. Poi, nel 1791 gli furono tolti i dicasteri di Grazia e Giustizia ed Ecclesiastico, e nel 1798 quello di Casa reale. Nel 1799, durante l’effimera repubblica napoletana, si tenne estraneo alla vita politica, ma durante la restaurazione cadde in relativa disgrazia perché si avanzarono sospetti su suoi legami con ambienti giacobini. Non subì incriminazioni formali, ma fu privato di cariche e di remunerazioni fino al 1802, quando il re Ferdinando IV finalmente gli riconobbe una pensione. De Marco mori nonagenario, in campagna, nei pressi di Napoli, l’8 marzo 1804. 64


ORONZO TISO

(Lecce, 18 maggio 1726 – Lecce, 18 maggio 1800)

Fu un sacerdote e un talentoso pittore leccese, meritorio esponente del tardo barocco della pittura napoletana. Oronzo nacque a Lecce, da don Domenico Tiso e da Teresa Manfredi. Studiò alla scuola degli Ignaziani, la cui chiesa era situata proprio di rimpetto alla casa in cui nacque e visse la sua gioventù. Tra il 1746 e il 1749 soggiornò a Napoli, dove studiò, ancora presso gli stessi Ignaziani, diritto canonico e, inoltre, in quella capitale si formò artisticamente nella scuola di Francesco Solimena. Ritornò a Lecce nel 1752, dove fu ordinato sacerdote e fu mansionario del Duomo, di cui si impegnò personalmente della decorazione tra il 1757 e il 1758, realizzando i dipinti dell’area presbiteriale. Nel 1770 dipinse, per la Cattedrale di Brindisi, il quadro, olio su tela (foto), raffigurante la “Predicazione di San Leucio” il primo vescovo di Brindisi ed anche quello raffigurante il “Martirio di San Pelino”, anch’egli vescovo di Brindisi, entrambi santi venerati durante secoli come i due patroni della città. Dipinse anche la “Gloria del beato Lorenzo da Brindisi” per la chiesa di Santa Maria degli Angeli di Brindisi, dov’è tuttora conservato.

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ANDREA PIGONATI

(Siracusa, 1734 – Siracusa, 1790) Fu un ingegnere militare del Genio, tenente colonnello dell’esercito, e fu incaricato dal re Ferdinando IV Borbon di risolvere il problema dell’ostruzione del canale di comunicazione tra il porto interno e quello esterno di Brindisi. Il porto, nel 1775 infatti, era ormai una palude malarica, in una città ridotta a poco più di un villaggio popolato da sole 6.500 anime, a conseguenza dell’ostruzione del canale di collegamento tra il bacino esterno e quello interno, seguita all’azione bellica di Giulio Cesare durante la guerra contro Pompeo nel 49 a.C. e, soprattutto, a quella di Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, principe di Taranto il quale, nel 1446, per evitare che i Veneziani, o forse gli Aragonesi, potessero prendere Brindisi, fece affondare due grosse tartane cariche di zavorre, completando l’ostruzione. Quando Andrea Pigonati dette principio agli studi, le paludi al centro del passaggio nei momenti di alta marea si ricoprivano con 25 centimetri d’acqua, mentre nei momenti di bassa marea le acque scomparivano del tutto e le secche rimanevano scoperte fino a 50 centimetri in alcuni punti. A stento, e solamente nelle alte maree, si poteva passare per il canale con una barchetta, e il porto interno era un lago stagnante dove potevano navigare solo le barchette e i lontri. Andrea Pigonati eseguì il progetto (foto) e diresse l’esecuzione delle opere per il “riaprimento del porto”, che furono iniziate il 4 marzo del 1776 e completate dopo due anni, nove mesi e ventidue giorni, il 30 dicembre del 1778: l’ostruzione che aveva isolato porto e città tutta durante secoli, era stata finalmente rimossa. Alla consegna, il canale, con le sponde rivestite di banchine murarie prolungate con due pennelli sporgenti nel porto esterno, era lungo 1861 palmi compresi i moli e le scogliere, era profondo 18 palmi e largo 183 palmi verso la rada e 162 palmi allo sbocco nel porto interno. Poco dopo però, il canale cominciò a riempirsi, le paludi nel porto interno iniziarono a rinnovarsi e la malaria fece ritorno: Pigonati, agendo con buona dose d’ignoranza nonché di arroganza, aveva commesso il grossolano errore di orientare l’imboccatura del canale a greco-levante e quel grave errore d’ingegneria finì per vanificare l’ingente sforzo. Dopo pochi anni e vari improbabili tentativi di rimediare a quell’errore, il porto di Brindisi era di nuovo perduto e precluso ai grandi traffici navali, e l’intera città era ripiombata nella sua triste criticità.

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ANNIBALE DE LEO

(San Vito dei Normanni, 13 giugno 1739 – Brindisi, 9 febbraio 1814) Fu arcivescovo di Brindisi dal 1798, letterato e storico. Nacque a San Vito degli Schiavoni, antico nome di San Vito dei Normanni, da Ferdinando e Vittoria Massa, nobile brindisina. La famiglia trasferì presto il suo domicilio a Brindisi e Annibale De Leo fece i suoi primi studi presso i padri delle Scuole Pie, proseguendo negli studi di filosofia e teologia nel Seminario di Brindisi e con la guida del suo zio paterno, il versatissimo studioso Ortenzio De Leo. Dopo aver vestito l’abito ecclesiastico, Annibale De Leo si recò a Napoli per studiare diritto civile e canonico, e poi a Roma, dove approfondì gli studi teologici e imparò le lingue dotte. Al suo rientro a Brindisi, iniziò la sua produzione letteraria con una dissertazione sopra il suo concittadino Marco Pacuvio ed iniziò a raccogliere, cominciando dagli archivi di suo zio Ortenzio, tutti i documenti antichi di Brindisi che poté incontrare, alcuni in stato ormai deplorevole e destinati ad andare perduti, conformando con essi il Codice diplomatico brindisino, opera manoscritta monumentale ed importantissima alla quale continuò a dedicare tantissimi anni della sua vita. Nel 1780 fu nominato socio dell’Accademia reale delle scienze e belle lettere di Napoli, quindi nel 1806 entrò nella Società reale d’incoraggiamento e nel, 1808, nell’Accademia reale di storia e di antichità. Tra le altre sue pubblicazioni vanno ricordate, la “Memoria della cultura dell’agro brindisino” del 1811 e “Dell’Antichissima città di Brindisi e suo celebre porto” del 1846, postuma. Fu canonico nella Cattedrale di Brindisi, successivamente promosso a canonico teologo, a arciprete curato e ad arcidiacono. Fu poi eletto vicario capitolare e gli fu conferita la badia di Sant’Andrea e nel 1797 fu nominato arcivescovo di Brindisi, incarico che esercitò fino alla sua morte. Fu generoso e caritatevole amministratore dell’Orfanatrofio di Santa Chiara e non riposò mai dall’impegno di organizzare conservare ed arricchire la sua valorosissima biblioteca, già eccezionalmente ricca di favolose edizioni cinquecentesche, che per diposizione testamentaria lasciò ai cittadini di Brindisi, la prima biblioteca pubblica del Salento, con destino fisico nel Seminario di Brindisi e con anche una dote annua per la sua conservazione.

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TEODORO MONTICELLI

(Brindisi, 5 ottobre 1759 – Napoli, 5 ottobre 1845)

Fu un eminente intellettuale e nobile brindisino, abate, scientifico e patriota antiborbonico. Nacque nel seno di una delle famiglie più importanti di Brindisi, da Francesco Antonio e da Eleonora dei conti Sala. I primi studi li fece con i padri Scolopi di Brindisi e poi nel collegio dei Celestini di Lecce. Da sacerdote celestino si trasferì a Roma per studiare teologia, filosofia e matematica, alla quale fu molto portato. Insegnò nel Monastero di Santa Croce in Lecce e poi in quello di San Pietro a Maiella in Napoli, dove ottenne il titolo onorifico di Abate celestino dal papa Pio VII. Teodoro Monticelli fu uno dei primi in Italia ad infervorarsi ed a soffrire per le nuove idee di libertà e di emancipazione sviluppatesi nell’ambiente illuministico napoletano, e che dalla rivoluzione francese del 1789 ebbero impulso all’azione. Nel 1794 fu processato, accusato di appartenere alla Società Patriottica Repubblicana. Fu prosciolto per mancanza di prove, ma l’anno seguente fu riprocessato per frequentare riunioni segrete sovversive e fu rinchiuso a Sant’Elmo per tre anni e per altri sette nella Torre della Favignana. Fu graziato dal re Ferdinando IV di Borbone e liberato dopo il fallimento della Repubblica Partenopea e la conseguente pace di Firenze del 1801. Quindi si stabilì a Roma e si dedicò agli studi di mineralogia, per cui negli anni venne acclamato socio delle maggiori accademie d’Europa e d’America. Con l’avvento del regno napoleonico, fu chiamato a Napoli dal re Giuseppe Bonaparte con l’incarico di dirigere il Collegio reale del Salvatore e tenere la cattedra di Etica dell’Università, di cui fu anche rettore. Rimase quindi a Napoli, dove fu inoltre segretario perpetuo della celebre Accademia della Scienze, in cui si conservarono tutti i suoi più importanti lavori scientifici, tra cui quelli sulle eruzioni del Vesuvio. Compiendo il suo 86º anno d’età, morì nella città di Napoli, in cui aveva speso la maggior parte della sua esistenza come illustrissimo scientifico. 68


VITO GUERRIERI

(San Pancrazio, 1783 – Brindisi, 4 luglio 1872)

Fu un dotto arcidiacono e primicerio della Cattedrale di Brindisi e, nel 1845, venne nominato bibliotecario della Biblioteca Arcivescovile De Leo di Brindisi, succedendo in tale incarico a Francesco Scolmafora e precedendo Giovanni Tarantini. Fu insegnante e poi anche rettore del Seminario di Brindisi. Fu autore del testo “Articolo storico su’ vescovi della chiesa metropolitana di Brindisi” pubblicato in Napoli nel 1846. Nell’introduzione che scrisse per quel volume, commentò che gli fu istruito di scriverlo direttamente dall’arcivescovo di Brindisi, Diego Planeta, e che, ricordando dell’esistenza di alcuni documenti raccolti in un vecchio lavoro di Annibale De Leo -che lui aveva conosciuto personalmente- sullo stesso tema, lo cercò e lo incontrò nella biblioteca: una serie di appunti manoscritti e non ordinati di Annibale De Leo, i quali contenevano di fatto una informazione abbastanza completa sui vescovi succedutisi nella diocesi di Brindisi. Quindi, scrisse che lui, Vito Guerrieri, semplicemente rivide riordinò e completò tutti quegli appunti manoscritti di De Leo e li trascrisse completandoli per dare ad essi la forma adeguata, necessaria per la stampa. Il 2 marzo 1850, fu tra i notabili di Brindisi firmatari della petizione al re, certificata dal notaio Giuseppe Carrasco, perché abrogasse la costituzione accordata nel febbraio 1848. Nel 1851, Vito Guerrieri, facoltoso di famiglia, acquistò il seicentesco Palazzo Massa (foto), che era stato anche di Annibale De Leo, e vi abitò per vent’anni, fino alla morte, nel 1872. Gli eredi vendettero il palazzo al Comune che lo utilizzò come sede di vari istituti educativi, fino ad ospitare il Liceo artistico Edgardo Simone. 69


GIOVANNI CRUDOMONTE

(Brindisi, 22 gennaio 1792 – Brindisi, 10 aprile 1872) Fu un patriota della carboneria e grande cospiratore antiborbonico. Con decreto del procuratore del re del tribunale di Lecce, ottenne, in data 5 ottobre 1834, di aggiungere all’originale cognome di Crudo quello di Monte: nacque così il cognome Crudomonte. Intrepido e senza scrupoli, iniziato giovanissimo al credo carbonaro, lottò tenacemente per la causa della libertà, senza preoccupazioni e timori di processi e condanne. Per il 1817 apparteneva alla setta dei “Decisi” ed era il capo dei “Filadelfi” e per il 1820-1821 era Maestro della Vendita dei “Liberi Piacentini”. Crudomonte partecipò in prima linea nel moto liberale del 1817 nel Salento, contribuendo costantemente e validamente al tentativo di suscitare un’insurrezione per abbattere il governo borbonico. Poi, nel 1821, preparò l’insurrezione di alcuni detenuti nel Forte a mare, aiutato dal comandante del lazzaretto del porto, Francesco D’Oria. Finalmente Crudomonte fu arresto e deportato a Napoli, da dove fu trasferito alle prigioni di Lecce, rimanendovi per due anni. Da lì in poi, Crudomonte visse tra vigilanza speciale, persecuzioni, processi e carcere, senza mai disarmarsi di fronte all’oppressione, neppure quando, dopo la rivoluzione del ’48, perse uno dei suoi figli, ch’era stato imprigionato nel bagno penale del castello svevo di Brindisi. Fu processato e imprigionato nel 1850 e poi, nel 1856, essendo responsabile di propaganda contro il re, fu nuovamente processato e condannato a vent’anni di ferri dal Tribunale speciale di Lecce da scontrarsi nel carcere di Procida. Finalmente, quando nel 1860 gli eventi politici e militari precipitarono, si aprirono le galere ai prigionieri politici del Regno di Napoli e Crudomonte fu liberato e riabilitato. Nel nuovo Regno d’Italia, Crudomonte fu incaricato di sovrintendere alla Guardia nazionale di Brindisi e in tale veste avrebbe potuto far pagare ai suoi persecutori e ai suoi delatori, le sofferenze cui era stato sottoposto, e invece non si preoccupò d’altro che di mantenere l’ordine e la legalità, evitando inutili vendette e rappresaglie. Giovanni Crudomonte morì nel 1872, a 80 anni, fra l’unanime compianto dei suoi concittadini. A Brindisi si conserva il palazzo in cui nacque, all’angolo tra Via della Congregazione e largo Crudomonte. Negli anni ’60, gli fu intitolata una scuola nel quartiere Commenda di Brindisi. 70


GIOVANNI GIACONELLI

(Brindisi, 1795 circa – Brindisi, 1865 circa)

Fu un acceso cospiratore antiborbonico, un agguerrito e attivissimo carbonaro brindisino. Appartenne alla famosa Vendita carbonara dei ”Liberi Piacentini” di Brindisi. La Vendita, che fu fondata dal maggiore murattiano Cosimo Laviani con il ritorno di Ferdinando di Borbone sul regno di Napoli nel 1815, incorporò da subito anche Giovanni Crudo, Francesco Palma e numerosi altri carbonari brindisini. Giaconelli fu poi anche segretario della ”Legione dei Filadelfi”, un organismo settario paramilitare comandato da Giovanni Crudo con un programma liberale e fondato da don Giuseppe De Leonardis. Quindi, integrò anche il gruppo dei ”Decisi”, quello detto dei carbonari intransigenti, fondato dal francavillese Pietro Gargaro, ex soldato murattiano di cavalleria e comandato a Brindisi da Giovanni Crudomonte. 71


GIUSTINO DE JACOBIS

(San Fele, 9 ottobre 1800 – Eidale, 31 luglio 1860) Fu un missionario lazzarista, che fu ordinato sacerdote a Brindisi 12 giugno 1824. Divenne vicario apostolico in Etiopia e vescovo titolare di Nilopoli. Fu proclamato santo da Paolo VI, il 26 ottobre del 1975. Figlio, il settimo di quattordici, di Giovanni Battista de Jacobis e di Maria Giuseppina Muccia, il 17 ottobre 1818 entrò nella Congregazione della Missione -nei Lazzaristi- a Napoli e prese i voti esattamente due anni dopo. Continuò i suoi studi in Puglia e fu ordinato sacerdote il 12 giugno 1824 nella Cattedrale di Brindisi, dall’arcivescovo Giuseppe Maria Tedeschi, come lo ricorda una epigrafe marmorea apposta sulla parete interna della facciata. Trascorse alcuni anni come sacerdote a Oria e a Monopoli. Poi divenne Provinciale dei Lazzaristi, prima a Lecce e poi, nel 1836, a Napoli. Nel 1839, il 13 ottobre, partì per l’Africa. In Adua fu nominato prefetto apostolico dell’Etiopia e gli fu affidata la fondazione delle missioni cattoliche in quel paese. Dopo aver lavorato con gran successo in Etiopia per otto anni, fu nominato vescovo titolare di Nilopoli nel 1847, e poco dopo vicario apostolico dell’Abissinia, ma egli rifiutò la dignità episcopale finché fu finalmente obbligato ad accettarla nel 1849. Nonostante la prigionia, l’esilio ed ogni altro genere di persecuzioni subite in Etiopia, De Jacobis riuscì a fondare numerose missioni, a costruire scuole nell'Agame e nell'Akele Guzay, in Eritrea, per la formazione del clero locale, ed a porre le fondamenta della chiesa cattolica etiope: di fatto fu poi riconosciuto esserne il padre. Contribuì personalmente alla fondazione di molti centri missionari a Gondar, Alitiena, Halai, Hebo, Cheren, Enticciò e a Guala, con annesso seminario da cui nel 1852 uscirono 15 sacerdoti. Tra tutti i luoghi attraversati nella vita missionaria da Giustino de Jacobis, ricoprì una notevole importanza la città di Hebo, dove le sue spoglie sono conservate e venerate. Morì sulla strada da Massaua per Halai, nella moderna Eritrea. Il processo di beatificazione iniziò il 13 luglio 1904, sotto il pontificato di papa Pio X e si concluse il 25 luglio 1939, essendo papa Pio XII. Fu canonizzato nel 1975 da papa Paolo VI. La sua tomba è visitata sia dai cristiani che dai musulmani. A San Fele in provincia di Potenza, città natale del santo, che divenne Abuna Jacob per le popolazioni etiopi, il 30 e 31 luglio si svolge la festa in suo onore. 72


BENEDETTO MARZOLLA

(Brindisi, 14 marzo 1801 – Napoli, 10 maggio 1858) Fu un ingegnere militare, cartografo e geografo dell’800 europeo e fu un importante funzionario dello Stato borbonico di Napoli. Nacque in Brindisi da Carlo e da Elisabetta They. Fu educato presso le Scuole Pie di Brindisi e mostrò una forte inclinazione verso la matematica, per cui fu a Napoli a studiare ingegneria. Appena laureato, ventenne, venne assunto, in qualità di tenente ingegnere, nel Real Officio Topografico della Guerra di Napoli. Elaborò e pubblicò, nel 1832, l’Atlante corografico storico e statistico del Regno delle Due Sicilie. Ottenne incarichi di prestigio dal governo napoletano, tra cui i rilievi del Tavoliere di Puglia e della Carta Catastale del Regno. Entrò come membro in commissioni ministeriali, accademie e società inerenti alle sue attività topografiche e statistiche e per le sue capacità ottenne onorificenze da Ferdinando II di Borbone e la stima di Nicola e Alessandro II di Russia. A sue spese fondò uno stabilimento cartografico che curò direttamente, realizzando carte geografiche considerate tra le più ricche di dati e meglio impostate a livello europeo. Tra le sue opere più prestigiose, da segnalare anche il Gran dizionario geografico, storico e statistico del Regno delle Due Sicilie, pubblicato nel 1832 e l’Atlante geografico e statistico mondiale, elaborato tra il 1841 e il 1857. Collaborò con Giovanni Monticelli nella elaborazione dell’importante documento “Difesa della città e del porto di Brindisi” pubblicato nel 1832. Nel Gran dizionario geografico, statistico e storico, dedicò un importante capitolo a Brindisi, con un’accurata descrizione dello stato della città per l’anno 1835. Marzolla mostrò una particolare attenzione anche verso gli avvenimenti politico-militari internazionali e, in particolare, seguì la questione d’Oriente e in modo speciale la guerra russoturca, consapevole dell’importanza di quel conflitto per le diplomazie europee oltre che per gli eserciti e per i nuovi assetti politici che ne sarebbero scaturiti. Marzolla, utilizzando informazioni che provenivano dalla Gran Bretagna e dalla Francia, fu un vero e proprio cronista della guerra di Crimea, della quale pubblicò opuscoli, carte geografiche e mappe delle operazioni militari nonché una straordinaria veduta del porto di Sebastopoli. Benedetto Marzolla collaborò alla progettazione del cimitero comunale di Brindisi. Morì l’11 maggio 1858 per apoplessia. Nella sua città natale, Brindisi, gli fu intitolato il Liceo Classico, dal Consiglio comunale, riunito in seduta speciale il 28 ottobre 1905. 73


GIOVANNI TARANTINI

(Brindisi, 15 novembre 1805 – Brindisi, 9 febbraio 1889)

Fu un presbitero e un illustre archeologo e fu bibliotecario della biblioteca Annibale De Leo. La famiglia Tarantini, fin dal 1700 tenne la Officina di Posta presso le Scuole Pie, nel palazzo di sua proprietà. Giovanni studiò nel Seminario di Brindisi e poi compì i suoi studi universitari a Napoli tra il 1825 e il 1830 e si laureò in Teologia, Diritto civile e canonico, Lingua ebraica e Archeologia. Fu sempre un fedele realista e borbonico convinto, però ciò non gli impedì di aiutare molti patrioti antiborbonici, esuli e perseguitati negli anni della repressione sviluppatasi intorno ai fatti del 48. Nominato Ispettore onorario per Monumenti e Scavi, il 29 agosto 1832, fu strenuo difensore di monumenti che il progresso avrebbe potuto distruggere e diede alle stampe alcuni scritti di profonda erudizione archeologica. A Brindisi, insegnò nel locale Seminario dal 1848 fino al 1851, anno in cui fu, dall’arcivescovo Planeta, nominato primicerio della chiesa di Brindisi e bibliotecario della Annibale De Leo. Fu il fondatore del locale Museo civico locato nel tempio di San Giovanni al sepolcro, dove raccolse i preziosi cimeli di antichità che il territorio cominciava a restituire in seguito al rinnovamento urbanistico della città e in occasione di scavi occasionali. Dedicò gran parte della sua vita e delle sue preoccupazioni scientifiche all’archeologia, che esercitò molto seriamente e proficuamente, così come restò testimoniato dalle sue numerose pubblicazioni specializzate in materia. Nel 1880 fu nominato corrispondente dell’Imperiale Istituto Storico Germano. Fu in corrispondenza con i maggiori studiosi dell’epoca: in particolare trasmise al Mommsen per il suo monumentale Corpus Inscriptionum Latinarum un’ampia raccolta delle epigrafi latine da lui rinvenute in Brindisi. Il Museo Diocesano di Brindisi è stato intitolato al suo nome.

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DOMENICO GUADALUPI

(Brindisi, 17 settembre 1811 – Salerno, 11 maggio 1878) Fu arcivescovo di Salerno dal 6 maggio 1872 al marzo 1877. Nacque da Domenico e da Caterina Lopez, che acquistarono il palazzo Perez, adiacente alle colonne. Iniziò i suoi studi a Brindisi e li completò a Roma dove conseguì la laurea in Utroque Iure. Divenne sacerdote nel 1837 e nel 1848 fu inviato a Palermo con la carica di Primo uditore del cardinale Ferdinando Maria Pignatelli. A Palermo, Domenico Guadalupi s’imbatté nella famosa Mappa spagnola di Brindisi, realizzata intorno al 1739 dal cartografo e generale militare spagnolo Poulet. La recuperò dallo stato di abbandono in cui la scoprì e la portò a Brindisi per custodirla. Venne poi assegnata al Museo Civico di San Giovanni al Sepolcro e dopo gli eventi bellici venne trasportata presso il Comune. Ritornato a Roma, Domenico fu nominato Protonotario apostolico e fu poi designato vescovo di Lecce nel 1868, una designazione che Domenico rifiutò ritenendosi non pronto al compito. Il 6 maggio 1872, fu nominato arcivescovo primate di Salerno e Acerno dal papa Pio IX. Nel corso del suo ministero fece oggetto di particolari attenzioni il Seminario, ridotto a pochi locali e sconvolto negli ordinamenti per l’applicazione delle leggi eversive. Perfezionò programmi, indirizzi e metodi per renderli atti alla formazione culturale e spirituale di sacerdoti destinati al contrasto con l’imperante anticlericalismo massonico. Nell’ultimo periodo del suo governo pastorale riprese il progetto già ideato dal predecessore per la posa di un pavimento marmoreo nella basilica superiore. L’opera, pur lodevole nelle intenzioni, portò alla rimozione delle storiche lapidi poste sulle sepolture davanti alle cappelle patronali e fu perciò, invano, contrastata dal Capitolo. Monsignor Guadalupi, malato per lunghi periodi con brevi intervalli di ripresa fin dal dicembre del 1875, ormai impossibilitato a svolgere il proprio ministero, rinunciò alla diocesi salernitana alla fine di marzo del 1877. Morì l’11 maggio 1878 e la salma fu deposta nella tomba gentilizia della famiglia Vairo. Trascorsi i termini di legge per l’esumazione, le ossa furono trasportate nella Cattedrale San Matteo di Salerno ove si eresse un monumento alla memoria (foto), opera dello scultore Gerardo Balestrieri.

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GIUSEPPE PISANELLI

(Tricase, 23 settembre 1812 – Napoli, 5 aprile 1879)

Fu un brillante avvocato e un parlamentare impegnato, con una personalità di grande rilievo. Eletto nel collegio elettorale di Brindisi, nel 1875, sostenne enfaticamente nel Parlamento del Regno d’Italia la difesa del porto di Brindisi. Dopo i primi studi a Ugento, Lecce e Trani, dove trascorse gli anni della giovinezza, si trasferì a Napoli, addottorandosi in legge e divenendo, quindi, insigne docente di Diritto di quell’università. Appena eletto parlamentare a Napoli, dopo i fatti del 15 maggio del 1848, fu perseguitato perché firmatario della famosa protesta contro il despotismo del regno e fu costretto a prendere la via dell’esilio: Civitavecchia, Genova, Londra, Parigi e, finalmente Torino nel 1852, furono le tappe del suo esilio. A Torino, Cavour gli affidò l’incarico di redigere due importanti trattati legislativi. Si fermò a Torino fino al 1860, quando Garibaldi lo chiamò a reggere il Ministero di Grazia e Giustizia del governo provvisorio, costituito nel Mezzogiorno dopo il plebiscito. Eletto deputato al primo Parlamento italiano, fu confermato nel mandato per le tre legislature successive. Ministro di Grazia e Giustizia, nel Ministero Farini ed in quello di Minghetti, attese alla redazione del Codice civile e del Codice di procedura civile. Fu poi anche Consigliere di Stato, continuando a sedere in Parlamento, eletto per l’ultima volta nel 1878 nel collegio elettorale di Manduria. 76


CESARE BRAICO

(Brindisi, 24 ottobre 1816 – Roma, 25 luglio 1887) Fu un medico, garibaldino e deputato, gran protagonista nella lotta al regno borbonico. Nacque a Brindisi da Bartolomeo, di famiglia ostunese, e da Carolina Carasco, figlia del notaio Giuseppe Vincenzo, e poi visse nella casa di via Ferrante Fornari, dove una epigrafe marmorea lo ricorda. Dopo aver compiuto gli studi secondari a Brindisi, si laureò in medicina all’Università di Napoli nel 1845, e lì prese parte ai movimenti antiborbonici e di unità italiana. Si trovava infatti a Napoli, quando il 15 maggio del 1848 scoppiò la rivoluzione, alla quale partecipò attivamente combattendo la gendarmeria e le truppe borboniche. Combatté sulle barricate di Santa Brigida e, arrestato, fu condannato a 25 anni di ferri, pena poi commutata nell'esilio perpetuo in America. Però, la nave che con altri condannati, fra cui Luigi Settembrini, doveva condurlo a destinazione, fu dirottata sul porto irlandese di Cork con un colpo di mano del rivoluzionario Raffaele Settembrini, figlio di Luigi, che si era imbarcato a Cadice come falso cameriere, d’intesa con l’equipaggio e con altri deportati. Cesare Braico rientrò così in Italia, combatté volontario a Solferino come soldato e medico, partecipò nel 1860 alla spedizione dei Mille di Garibaldi e fu eletto deputato di Brindisi al primo Parlamento nazionale. Alla Camera avversò la politica della luogotenenza, propugnò l’affrancamento delle decime ex feudali e votò con la sinistra contro il ministero in occasione del dibattito sull’esercito meridionale e si schierò ancora con l’opposizione chiedendo che la guardia nazionale mobile fosse reclutata con criterio non censitario. Nel 1862, in giugno, fu insignito della croce di cavaliere dell’Ordine militare di Savoia e, in dicembre, fu nominato presidente del Consiglio di sanità in Napoli. Rieletto nel Parlamento, sedette al centro. Votò a favore del ministero Minghetti, appoggiò il trasferimento della capitale a Firenze, s’impegnò per ottenere i fondi necessari per restaurare il porto di Brindisi, ma si staccò dalla consorteria votando l’abolizione della pena di morte. Nelle elezioni del 1865 si ripresentò candidato, ma non fu eletto. Il 10 dicembre 1865 fu nominato commissario di Sanità marittima e assegnato dapprima a Livorno, poi a Napoli. Scoppiata la guerra del 1866, accorse ancora tra i garibaldini e col grado di sottotenente combatté col 1º battaglione dei bersaglieri genovesi a Rocca d'Anfo e a Monte Suello, guadagnandosi la menzione al valor militare. Meno felice fu l’ultima fase della sua vita e della sua attività pubblica. Nominato consigliere di prefettura il 4 marzo 1869, ed assegnato ad Alessandria, fu poi trasferito a Forlì il 29 settembre 1869 con il posto di archivista. Il 19 gennaio 1873 fu assegnato all’Archivio di Stato di Roma e in questa città trascorse gli ultimi anni della sua esistenza, resi amari dalla solitudine e dalle prime manifestazioni d’una infermità mentale che, aggravatasi nel 1883, lo condusse alla morte nell’ospedale manicomio di Santa Maria della Pietà, in via Lungara, a Roma. 77


RAFFAELE RUBINI

(Brindisi, 19 ottobre 1817 – Brindisi, 13 aprile 1890) Fu, Raffaele Giovanni Rubini, un celebre matematico italiano e un illustre cittadino di Brindisi. Nacque da Settimio, negoziante, e da Giuseppa Gargiulo. Compì gli studi basici a Brindisi e poi si recò a Napoli dove si laureò in matematica e in architettura nel 1844. Insegnò matematica al Collegio Militare della Nunziatella e quindi matematica e fisica al Liceo di Lecce, incarico che dovette lasciare in seguito ai moti rivoluzionari del 1848, cui aveva aderito. Insegnò privatamente fino al 1859, anno in cui fu chiamato a ricoprire la cattedra di Meccanica razionale del Regio Collegio di Marina a Napoli, ottenendola permanentemente con il nuovo governo nel 1860. Nel 1861 ottenne la cattedra di Meccanica razionale all’Università di Napoli e poi anche quella di Algebra complementare, che mantenne fino al 1866. Rubino fu socio corrispondente nazionale per cinque lustri della Reale Accademia di Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, fu socio anche dell’Accademia di Siviglia, dell’Accademia Pontaniana e dell’Accademia di Scienze Matematiche di Bruxelles. Fu prolifico autore di libri di testo per i licei e per l'università. La sua prima opera fu del 1851, Trattato elementare di geometria analitica. Seguirono molte note e memorie nei Rendiconti dell’Accademia delle Scienze di Napoli, negli Annali del Tortolini e nel Giornale di Matematiche. Nel 1861 pubblicò Matematiche pure dall’aritmetica al calcolo infinitesimale. Tra il 1874 e il 1880 andarono in stampa Elementi di calcolo infinitesimale e Esercizi di integrazione col calcolo dei simboli di operazione. Tra il 1886 e il 1887 scrisse Teoria delle forme in generale e specialmente delle Binarie. Nonostante i suoi studi e i suoi impegni di grande matematico, Rubini non smise mai d’interessarsi della sua città. Nel 1856, a proposito del restauro del porto di Brindisi, scrisse su un foglio versi con cui elogiava il re Ferdinando IV Borbone, affrettandosi poi a fare ammenda, scrivendo accanto ai versi “mea culpa”. Nel 1870 progettò la sistemazione urbanistica di quella vasta area di orti, divenuta nel tempo ricettacolo di rifiuti, che dalle vie Porta Lecce, Conserva e San Lorenzo, limite del centro storico fino alla fine dell’800, arriva alla stazione ferroviaria: un grande progetto urbanistico resosi necessario dopo la costruzione nel 1865 della stazione ferroviaria. Rubini coltivò anche la pittura, la musica e la poesia, specialmente quando, nel 1870, si ritirò a Brindisi per motivi di salute afflitto da una malattia nervosa. Scrisse, in quegli anni, una raccolta di liriche intitolata Versi di un idiota. Raffaele Rubini morì a Brindisi il 13 maggio 1890 e la città gli decretò in memoria un monumento. Poi, nel 1921, gli fu intitolata una via centrale e, nel 1940, Brindisi eternò la sua memoria erigendogli una epigrafe marmorea attigua alla sua casa, adiacente al corso. 78


GIUSEPPE DE ROMA

(Brindisi, 10 marzo 1821 – Lecce, 24 ottobre 1889)

Fu un professore di letteratura, scrittore e giornalista, e fu un patriota brindisino antiborbonico. Nacque da Andrea e Cecilia Saracino e fu battezzato con il nome di Giuseppe Domenico l’11 marzo, tenuto al fonte da Andrea Saracino. Ottenne un posto gratuito nel Seminario, dove studiò e si erudì negli studi letterari a cui restò sempre affezionato. Quando si conobbe a Brindisi l’atto con il quale il re Ferdinando II stabilì dare corso ai lavori per la bonificazione del porto, De Roma scrisse un lungo componimento poetico per descrivere l’esultanza del popolo, che fu pubblicato sulla rivista “L’omnibus pittoresco” di Napoli nel gennaio 1843. Esercitò qualche anno come professore a Brindisi e, nel 1848, con lo scoppio dei moti, partecipò alla rivoluzione, per cui fu perseguitato dalla polizia borbonica e gli fu tolto l’insegnamento. Fu imprigionato nel 1850, quindi liberato, e di nuovo rinchiuso nel carcere di San Francesco a Lecce, nel 1857. Nell’intermezzo, nel 1855, pubblicò sulla rivista “Il filosofo Barbabianca” di Lecce, la romanza “Pensieri intorno alla poesia che oggi dicesi popolare e l’amore del povero”. Con l’avvento del nuovo Regno d’Italia fu liberato e, nel 1860, fu di nuovo nominato professore di lettere, questa volta nel Liceo Palmieri di Lecce, dove insegnò per molti anni. Nel 1868 fondò a sue spese e mantenne per cinque anni un giornaletto, “Il Brindisi” (foto), nel quale propugnò gli interessi morali e materiali della sua città. Combatté le sue battaglie editoriali in favore della Valigia delle Indie e per la colonizzazione dell’agro brindisino. Nonostante le sue benemerenze, per cui aveva sofferto persecuzioni, esilio e carcere, visse per parecchi anni negletto, e solamente nel 1875 ottenne un modesto posto di lavoro, come ispettore scolastico. Morì a Lecce, quasi settantenne, il 24 ottobre 1889.

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BENIGNO CELLIE

(Taranto, 1830 circa – Brindisi, 1910 circa)

Fu un chimico e professore di Taranto che si trasferì a Brindisi, dove rimase fino alla sua morte. Fondò, nel 1865, quella che oggi è la più antica farmacia di Brindisi, aprendola in via Angioli, oggi via Ferrante Fornari, numero 20. Benigno Cellie fu un autentico pioniere nella preparazione delle sospensioni di farmaci estratti da piante medicinali, quelle che furono poi formalmente definite preparazioni galeniche. La farmacia Cellie divenne un significativo punto di riferimento in tutta la regione pugliese ed oltre. Fu Benigno Cellie che nel 1898 analizzò per incarico del Comune, le acque del pozzo Traiano, e premettendo che "i sali minerali vi sono in forte eccesso; le sostanze organiche e l’anidride nitrica in notevole quantità; l’anidride nitrosa e l’anidride fosforica e l’ammoniaca in tracce" concluse che "l’acqua esaminata debbasi classificare fra le crude e fra le inquinate". Nel 1903, con l’apertura del nuovo Teatro Verdi, si chiuse definitivamente il vecchio comunale Teatro Marco Pacuvio di via Ferrante Fornari ed in conseguenza, dopo qualche anno, intorno al 1910, il professor Benigno Cellie spostò di pochi metri, quasi di fronte al numero 11, la sua farmacia in quei locali più grandi e più comodi, che dopo più di cento cinquant’anni la ospitano ancora. Con la morte di Benigno, della farmacia Cellie si fece carico suo figlio Alberto, farmacista, il quale morì nel 1933, senza discendenti e la sua vedova decise di vendere la farmacia. Nel 1934, il dottor Vito Antonio Perrino rilevò la farmacia e subentrò ai farmacisti Cellie, dando un ulteriore impulso a quella farmacia che, nel 1943, fornì anche i reali Savoia insediati in Brindisi con il governo Badoglio, continuando finanche ad inviare i farmaci alla nuova sede reale di Salerno, su insistenza del ministro della reggia, il duca Acquarone. A tutt’oggi, i farmacisti della famiglia Perrino, con Nicola figlio di Vito Antonio e con suo figlio Antonio, continuano a dirigere quella storica farmacia brindisina. 80


FILOMENO CONSIGLIO

(Brindisi, 1839 – )

Nato a Brindisi nel 1839, fu sindaco di Brindisi dal 12 febbraio 1878 al 21 luglio 1883 e poi, in un secondo mandato incompiuto, dal 25 febbraio 1888 all’8 luglio 1890. Sua madre fu Rosa Anaclerio e suo padre, Pietro, figlio di Michele originario di Bisceglie, fu sindaco di Brindisi durante molti anni, ai tempi del regno borbonico: dal 1847 al 1853 e dal 1856 al 25 luglio 1860 quando, con la fondazione al Regno d’Italia, rinunciò. Un avo paterno di Filomeno, Pietro Consiglio – di Bisceglie – fu arcivescovo di Brindisi dal 1826 al 1839. Filomeno, subito dopo la caduta dei Borbone, si arruolò a Brindisi nella Guardia nazionale di Brindisi, secondo quanto consta nella delibera del Decurionato in data 15 novembre 1860. Filomeno Consiglio non completò il suo secondo mandato, perché negli ultimi mesi fu sostituito nelle funzioni di sindaco da Engelberto Dionisi, il quale lo avrebbe poi succeduto formalmente. Fu, infatti in quell’occasione, dichiarato in conflitto d’interessi ed ineleggibile, perché azionista della Banca Operaia Cooperativa, che era a quel tempo concessionaria dell’Esattoria e della Cassa comunale. 81


ENGELBERTO DIONISI

(Ancona, 1843 – Pistoia, 14 gennaio 1901)

Fu sindaco di Brindisi dal 12 luglio 1890 al 12 luglio 1895, prima sostituendo e poi succedendo a Filomeno Consiglio. Figlio di Massimiliano che trasferì la famiglia da Ancona a Brindisi, fu, Engelberto, uomo di cultura e di spirito innovatore, ed ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione del Teatro Verdi, di cui pose la prima pietra il 28 marzo 1892. Importante imprenditore e uomo d’affari, appartenne alla loggia massonica brindisina, filiazione di quella di Lecce. Fu agente dei Vapori Adriatico-Orientali. Fu anche titolare e responsabile di attività finanziarie e bancarie, fondando un proprio istituto di credito: la Banca Dionisi e promuovendo l’apertura, a Brindisi, del primo sportello della Banca d’Italia. Nella sua amministrazione di sindaco, il Comune acquistò il Palazzo Skirmut per adibirlo a Palazzo di città; ottenne che il Liceo Ginnasio privato fosse pareggiato; espropriò i terreni da destinare al Mercato coperto comunale; fece sostituire -con anche suoi contributi personalil’illuminazione viaria ad acetilene con quella a corrente elettrica; eccetera. A Engelberto Dionisi fu intitolata la piazza, ubicata di fronte all’antico imbarcadero, giacché fu proprio la sua famiglia a renderla importante, ubicandovi il proprio palazzo, ma non solo. Engelberto infatti, la impreziosì con un tocco di internazionalità, ospitando nel suo palazzo anche le succursali di importanti linee marittime inglesi. 82


ALESSANDRO FAVIA

(Brindisi, 1840 circa – Brindisi, 1914)

Fu un benemerito cittadino di Brindisi. Con testamento olografo del 1914 destinò i suoi beni alla fondazione di un istituto in cui ospitare, educare ed istruire fanciulli orfani brindisini. Eretto in ente morale con il regio decreto n. 2352 del 16 dicembre del 1929, il Pio istituto Luigi Favia in realtà non riuscì mai a perseguire i suoi fini statutari a causa dell’insufficienza dei suoi mezzi finanziari. Fu quindi soppresso con decreto del 7 gennaio del 1987 e il suo patrimonio fu attribuito in proprietà al Comune, con vincolo di destinazione ai servizi sociali.

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GIOVANNI BETTOLO

(Genova, 25 maggio 1846 – Roma, 14 aprile 1916)

Fu un ammiraglio della Regia Marina, deputato al Parlamento e ministro del Regno d’Italia. Uscì come guardia marina nel 1865 dalla Regia Accademia navale di Livorno, percorse brillantemente la sua carriera, divenendo comandante dell’accademia, marinaio e navigatore, stratega, deputato al Parlamento e ministro. Fu decorato al valore in occasione della battaglia di Lissa del 20 luglio 1866 e ricevette la medaglia d’oro per il Manuale teorico-pratico di artiglieria navale, edito in Firenze tra il 1879 e il 1981, manuale poi tradotto in varie lingue. Con delibera del Consiglio comunale di Brindisi del 24 giugno 1916, venne approvata l’intitolazione della strada, già via Cortine, come riconoscenza per il suo impegno a favore del porto di Brindisi: “Egli fu uno dei profondamente convinti che il nostro porto non doveva limitarsi a registrare la gloria del passato, allora che fu punto di partenza delle flotte romane […] ma doveva essere in avvenire, la più reputata base delle operazioni guerresche e, congiungendo la gran rete ferroviaria europea col canale di Suez, doveva essere, con i traffici per le terre delle altre parti del mondo, la chiave della prosperità d’Italia”.

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PAOLO THAON DI REVEL

(Torino, 10 giugno 1858 – Roma, 24 marzo 1948)

Fu, Paolo Emilio Thaon di Revel, un ammiraglio e ricevette il titolo di Duca del Mare. Figlio di Ottavio Thaon di Revel e di Guglielmina Doria di Cirié. Uscì dalla scuola di marina di Genova con il grado di guardiamarina nel 1877, fu capitano di vascello nel 1904, contrammiraglio nel 1910. Partecipò alla guerra libica tra il 1911 e il 1912. Fu nominato ispettore delle siluranti nel 1912 e Capo di Stato Maggiore della Marina Militare Italiana nel 1913. Fu incaricato di dirigere il Comando delle forze navali dell'Adriatico con sede a Brindisi durante la prima guerra mondiale e da Brindisi diresse quasi tutte le operazioni di guerra della marina militare italiana. Fu un grande ammiratore di Brindisi e del suo porto, e alla fine della guerra volle concedere alla città un’alta onorificenza, la croce al merito di guerra, e in data 18 ottobre 1919 scoprì la targa bronzea immurata sulla parete della Capitaneria di porto sul lungomare, opera dello scultore brindisino Edgardo Simone, che riporta la seguente motivazione dell’onorificenza, redatta personalmente dall’ammiraglio: Alla gloriosa città di Brindisi la cui generosa popolazione, nonostante le replicate offese dal mare e dal cielo le numerose vittime della ferocia nemica e le privazioni indicibili causate dalla sospensione di ogni traffico, mai piegò l’animo, conferisco la croce al merito di guerra. All’ammirazione degl’italiani addito la città decorata per la magnifica prova di coraggio e di fede che ha dato durante la lunga ed aspra guerra e perché con la sua fierezza efficacemente contribuì al raggiungimento della vittoria finale Tahon di Revel

Nel 1918 fu nominato ammiraglio e nel 1922 assunse la carica di ministro della Regia Marina, che mantenne fino al 1925. Fu presidente della Società Geografica Italiana dal 1921 al 1923 e fu nominato Duca del mare nel 1923 e Grande ammiraglio nel 1924. Le sue spoglie riposano nella Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Roma, accanto a quelle del generale Armando Diaz. 85


PASQUALE CAMASSA

(Brindisi, 24 dicembre 1858 – Mesagne, 10 dicembre 1941) Fu presbitero, bibliotecario e storico. Fu tra i principali artefici della divulgazione della cultura e dell’istruzione storica alla popolazione di Brindisi. Nacque da Teodoro e Filomena Greco. Nel 1890 subentrò a Giovanni Tarantini nella direzione del Museo civico, la cui sede era allora nell’antico Tempio di San Giovanni al Sepolcro. A sue spese creò, presso la propria abitazione di via Lauro 37, la "Biblioteca circolante gratuita", con una importante raccolta di circa 3.000 volumi aperta a chiunque nei giorni feriali. Amato dalla popolazione locale, “Papa Pascalinu”, come era conosciuto dai brindisini, fu promotore di innumerevoli iniziative culturali: fondò nel 1921 la “Brigata amatori storia ed arte”, un’associazione culturale che organizzava regolarmente presso la sede del Museo civico, il tempietto di San Giovanni al sepolcro, riunioni in cui Camassa era solito invitare letterati, scienziati ed artisti. Fu anche rettore del cimitero comunale. Appassionato studioso della civiltà romana, si convinse, e lo sostenne nei suoi scritti, che l’atto di alzare il bicchiere e bere alla salute di qualcuno in segno di augurio fosse nato nella nostra città, e da essa avesse preso il nome, un’affermazione sostenuta anche da diversi altri studiosi. Fu l’artefice della salvaguardia di alcuni monumenti cittadini, come la Fontana De Torres in piazza della Vittoria e soprattutto la Porta Mesagne, quando non solo si oppose alla demolizione ma occupò fisicamente l’antica porta, facendo dapprima interrompere i lavori e poi indurre gli organi competenti a sospendere definitivamente l’ordinanza di abbattimento. Tra le altre sue opere sono da ricordare l’istituzione della “Casa del pane” che garantiva l’alimentazione a chi non ne aveva a sufficienza; la “Scuola di taglio” diretta dalla signora Maria Scardino Cappellini, riservata alle mogli e alle figlie di combattenti; un “Posto di conforto” alla stazione ferroviaria per garantire cibo e bevande ai soldati feriti e ai familiari dei militari che transitavano a Brindisi. Tra i suoi scritti: Cenno storico di San Oronzo, protomartire salentino, Brindisi 1894 - Guida di Brindisi, Brindisi 1897 e 1910 - Brindisini illustri, Brindisi 1909 - Breve cenno storico dei santi fratelli minori Cosimo e Damiano con suppliche ed inno, Brindisi 1914 - Cenno storico di San Pasquale Baylon con preghiere al medesimo, Taranto 1923 - La romanità di Brindisi attraverso la sua storia e i suoi avanzi monumentali, Brindisi 1934. Papa Pascalinu morì in ospedale a Mesagne, a 83 anni, ferito nel crollo della sua casa in Brindisi con il bombardamento aereo inglese della notte tra il 7 e l’8 novembre del 1941. 86


(*) «… In tutta la sua vita, che non fu breve, Pasquale Camassa ebbe un solo costante connaturato geloso e permaloso amore: Brindisi. Quando egli parlava della sua città, era tutto una fiamma, le corde del suo gran cuore vibravano tutte. A chi non lo avesse conosciuto intimamente, questa sua esuberante «brindisinità» poteva sembrare una manifestazione di provincialismo e di esagerato amore di campanile. Il suo era invece senso civico spiccatissimo, affetto sviscerato alla terra che lo vide nascere. E chi peccò per troppo amore non fu mai condannato. Figura caratteristica e popolarissima di uomo e di studioso, riassunse ed espresse per tanti anni l'anima della città. Egli raccolse la tradizione dall'arcivescovo Tarantini, che a sua volta l'aveva raccolta, sia pure a distanza di molti anni, da Ortensio e da Annibale De Leo -i patriarchi della cultura storica brindisina- e rappresentava tuttavia uno degli ultimi anelli di congiunzione tra la nostra vecchia gloriosa generazione di studiosi venuta dopo il '60 e la nuova che, pur esigua di numero, cerca di mantenere con decoro le tradizioni culturali della nostra terra. Il piccolo Museo Civico in San Giovanni al Sepolcro, creato dal Tarantini, fu sviluppato e reso vivo dal suo palpito generoso ed amorevole, adunandovi periodicamente per lungo volgere di anni la “Brigata degli amatori di storia ed arte” che, se non fu senza sbandamenti d'indirizzo e di programmi e di uomini che vi tennero discorso, dette alla città di Brindisi un certo tono d'intellettualità che non aveva avuto prima e che non ha più riavuto dopo che il Camassa non potette più darle vita. Attraverso la Brigata, egli volle far penetrare l'amore per i nostri monumenti, per la nostra storia, per la nostra arte, per le nostre tradizioni popolari, organizzando gite nei vari centri artistici della regione, poiché per lui la cultura non doveva circoscriversi soltanto nella pur fondamentale ricerca erudita degli archivi e delle biblioteche, ma doveva essere qualcosa di vivo e di aderente allo spirito oltre che all'intelletto. Ecco perché il Camassa non paludò mai i suoi scritti di cattedratica veste, ma fu invece un efficace divulgatore, non però nel senso superficiale che si usa dare a questa parola. Certo, se i suoi scritti sono esaminati col criterio del metodo storico oggi in uso, tutti cadrebbero perché in essi manca quasi sempre l'annotazione della fonte da cui attinse. Ma si può essere sicuri che se ci si sottopone alla fatica di ripercorrere il camino da lui fatto per giungere ai risultati ch'egli dà, e ci si riesce, è molto difficile trovarlo in castagna, data la probità connaturata dell'uomo e dello studioso. Egli, com'ho detto poc'anzi, era soprattutto un divulgatore. Il suo dettato scorrevole, chiaro, direi popolare, era fatto per far penetrare i risultati della ricerca storica fin negli strati di pubblico che di storia non aveva sentito o non voleva sentir parlare. Sparse, perciò, il meglio delle sue ricerche in giornali, giornaletti, opuscoli, riviste, rivistine, fogli volanti: tutto era utile ai fini di far conoscere la storia, l’arte e le tradizioni della sua città. Mai invano, da ogni parte si chiesero a lui consigli e notizie. Egli era un'anima generosa e cordiale, quel che si dice, con dialettale parola, uno sciampagnone: anche in questo, espressione genuina della vera anima della sua città. Quante volte, a conclusione di una giornata o di un pomeriggio, ci offrì una cenetta in qualche osteria popolare verso le sciabiche -il rione più brindisino di Brindisi- dove amava farci trovare i piatti e i prodotti più gustosamente locali? Io non so quanto la sua città abbia effettivamente apprezzato la sua opera e non so chi possa continuarla, sia pure nella parte decorativa. Certo è che Brindisi ha perduto il suo cantore, il suo aedo, il custode amorevole ed ardente delle sue memorie. È tutto un mondo che muore con lui, malinconicamente!».

(*) Nicola Vacca: “Ricordo di Pasquale Camassa” in Rinascenza salentina, IX (1941) 87


UMBERTO CAGNI

(Asti, 24 febbraio 1863 – Genova, 22 aprile 1932)

Fu un ammiraglio ed esploratore, ricoprì le cariche di senatore del regno e commissario del porto di Genova. A Brindisi, durante la prima guerra mondiale, fu capo del Comando superiore navale del Basso Adriatico. A 14 anni entrò nella Scuola di marina di Napoli. Proseguì gli studi alla Scuola di marina di Genova, conseguendo il grado di guardiamarina nel 1881. Dal 1882 al 1885 fece il giro del mondo sulla nave Vittor Pisani. Nel 1895, sulla Cristoforo Colombo, intraprese un altro viaggio che durò quattro anni, compresa una spedizione dalla Terra di Francesco Giuseppe, con destinazione Polo Nord, che fallì. Nel 1897 partì con l’amico Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, duca degli Abruzzi per l’Alaska alla conquista della vetta del monte Saint Elias, che avvenne il 2 agosto dello stesso anno. Nel 1899 partecipò alla spedizione al Polo Nord con la Stella Polare, organizzata da Luigi Amedeo di Savoia. Riuscì, tra la fine di marzo ed il 25 aprile dello stesso anno, a raggiungere la più alta latitudine mai prima toccata dall’uomo sino a quel momento: 86° 34'. La spedizione iniziò in primavera, l’11 marzo 1900. I membri si divisero in tre gruppi, con slitte e cani, viveri e materiali: i primi due gruppi, di sostegno al terzo, dopo alcuni giorni di difficoltà, tornarono al campo base contando la perdita di tre uomini. Il terzo gruppo, formato dal comandante Cagni, il marinaio Canepa e le guide valdostane Petigax e Fenoillet, con viveri per tre mesi, il 25 aprile, tra mille difficoltà, raggiunsero gli 86° e 34' di latitudine nord, superando il record di Fridtjof Nansen di 21', a 381 km dal Polo Nord. Nel freddo dell’Artico, con strumenti ricognitivi rudimentali e amputazioni per congelamento, decisero però di tornare indietro: dopo dieci giorni di marcia abbandonarono quasi tutto sui lastroni di ghiaccio, alla deriva. Con una sola tenda, dodici cani e le provviste strettamente necessarie sulle slitte rimaste, i quattro uomini riuscirono finalmente a raggiungere la baia di Teplitz, era il 23 giugno 1900. Cagni e i suoi avevano percorso 1400 chilometri in 104 giorni: un’impresa storica. Nel 1909, Cagni si distinse particolarmente per i soccorsi portati a seguito del terremoto di Messina. Nel 1911, all’inizio della guerra italo-turca, sbarcò a Tripoli nella Libia ottomana occupando la città con poche centinaia di soldati. Durante la prima guerra mondiale, fu destinato a Brindisi e ne guidò la strategica Base navale. Nel corso della guerra, inoltre, guidò anche la base di La Spezia. L'ammiraglio lasciò il servizio militare nel 1923. Morì nel 1932 e fu sepolto nella città natale.

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PIETRO CHIMIENTI

(Brindisi, 28 gennaio 1864 – Roma, 26 novembre 1938) Fu un giurista e un uomo politico. Nacque a Brindisi da Antonio e Caterina Fusco. Compì gli studi universitari a Roma, dove si laureò in giurisprudenza. Insegnò nelle università di Cagliari e Catania e poi alla Sapienza di Roma, come professore di Diritto amministrativo. Dopo un’iniziale inclinazione per i radicali, militando nelle file della destra liberale, fu deputato nel collegio di Brindisi dal 1900 al 1921 e da quell’anno senatore. Alla Camera aderì al gruppo di Sonnino del quale condivideva, oltre ai programmi specifici, la più generale concezione dell’attività parlamentare come espressione di interessi concreti e dell’azione politica come risultato dei contrasti e delle mediazioni tra una molteplicità di forze particolari. Fu contrario alla politica di Giolitti e, pur simpatizzando con il gruppo radical-democratico guidato dal Nitti, tenne sempre a distinguersi sia dai deputati socialisti e sia dagli esponenti della destra, specialmente agraria. E più volte la sua azione politica o i suoi interventi parlamentari seppero esprimere l’ostilità che essa nutriva verso la lotta rivendicativa condotta dalle locali associazioni proletarie non meno della diffidenza verso la politica interna di Giolitti, considerata troppo blanda nella tutela dell’ordine pubblico. Svolse un ruolo importante nella definizione della politica commerciale e doganale italiana concordando con le opinioni di Nitti, De Viti e De Marco nell’avversione al protezionismo e nel patrocinio dei più moderni interessi agricoli del Mezzogiorno quali quelli legati allo sviluppo della viticoltura. Più volte sottosegretario, fu ministro delle Poste e Telegrafi con il governo Nitti dal giugno 1919 al marzo 1920. Dopo la nomina a senatore, ottenuta l’8 giugno 1921, Chimienti aderì al fascismo, al cui servizio pose la sua esperienza di studioso di diritto pubblico, dedicandosi alla legittimazione del regime fascista sotto il profilo giuridico-costituzionale, mediante una profonda revisione degli orientamenti da lui assunti in passato sul problema dello Stato parlamentare e delle istituzioni rappresentative. Nel 1926 infatti sostenne la legittimità della decadenza dei deputati aventiniani dal loro mandato decretata della Camera e da allora in poi numerosi furono i suoi scritti volti a dare una plausibilità giuridica alle forme illiberali con cui la dittatura fascista aveva snaturato l’assetto politico-istituzionale dello Stato. Fu capo della missione italiana alla conferenza di Ginevra nel 1925 e fu delegato del Perù all’Istituto internazionale di agricoltura. Tra i suoi scritti: La vita politica e la pratica del regime parlamentare, 1897; Il Capo dello Stato e il Gabinetto, 1898; Saggi di diritto costituzionale e politica, 1915; Manuale di diritto costituzionale, 1918; Diritto costituzionale fascista, 1933. Pietro Chimienti morì a Roma il 26 novembre 1938.

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ALFREDO DE SANCTIS

(Brindisi, 7 ottobre 1865 – Firenze, 30 gennaio 1954) Fu un attore di teatro. Nacque a Brindisi da Pio e da Marianna Costantini. Figlio d’arte, fece la gavetta nella modesta compagnia del padre impratichendosi in molti ruoli. Debuttò a Bologna nel 1885 con una particina di sfondo, chiamato per sostituire un attore nella compagnia Diligenti. Poi, partecipò a una tournée in Sudamerica come primo attore giovane. Tornò in Italia nel 1891 e fu scritturato come primo attore giovane nella compagnia Di Lorenzo-Calamai e quindi nella Paladini-Talli. Divenne infine primo attore nel 1894, nella formazione di Garzes. Primo attore nella compagnia di Eleonora Duse, seguì l’attrice in una tournée all’estero, riportando un lusinghiero successo al Drury Lane di Londra nell'interpretazione di Armando e di Turiddu nella Cavalleria rusticana di Verga. Passato nella compagnia di Vitaliani nel 1896, si impose nel personaggio di Moretti nel I disonesti di Rovetta e con questa interpretazione ottenne unanimi consensi anche in Sudamerica, dove si recò nella stagione 1896-97. Nella compagnia Della Guardia dal 1897 al 1898, arricchì il suo repertorio con nuovi personaggi tratti sia dal teatro moderno sia da quello classico, raggiungendo la maturità artistica ed espressiva. Nel 1898 fu direttore dell’effimero Teatro d’arte di Torino e dal 1900 formò una sua compagnia con un repertorio allora considerato di eccezione -H. Ibsen, M. Gorkij, E. Brieux E. A. Butti- ed ottenne largo consenso in produzioni di sicura efficacia teatrale, come Il Colonnello Bridau di Fabre e come Rabagas di Sardou. Nel 1921 raggiunse il massimo successo, riportando un grande trionfo al Théâtre de l'Œuvre di Parigi con alcune delle sue più riuscite interpretazioni -Ildio della vendetta, Uno degli onesti, Sperduti nel buio, La maschera, Il volto, Lucifero- e nel 1922 trionfò anche a Marsiglia e a Barcellona. Tornato in Italia propose nel 1923 un repertorio shakespeariano, con Riccardo III, La tempesta e Amleto, per ritornare nella stagione successiva a spettacoli di richiamo. Nel 1932 diresse il primo Carro di Tespi, che presentò in oltre quaranta comuni del Lazio. Lasciò infine il teatro, nel 1933, dopo essere stato capocomico per più di un quarantennio, nei primi quindici anni gli fu compagna fedele la moglie Ada Birelli, sposata nel 1902 e dalla quale divorziò. Riapparve saltuariamente sulle scene tra il 1934 e il 1942 e nel 1953 ripresentò, con una compagnia propria, le interpretazioni più significative del passato. In data 14 gennaio 1915, quand’egli era in vita, cinquantenne, il consiglio comunale di Brindisi deliberò intitolargli la via che da allora porta il suo nome. Alfredo De Sanctis morì a Firenze il 30 gennaio del 1954, chiedendo di essere sepolto a Brindisi, dove, infatti, riposa. 90


TOMMASO VALERI

(Santa Fiora, 23 ottobre 1865 – Sinilunga, 20 novembre 1950)

Fu arcivescovo di Brindisi dal 22 aprile 1910 al 14 agosto 1942, e fu anche amministratore apostolico perpetuo di Ostuni. Nacque in un paesino della provincia di Grosseto e prese i voti, come francescano, il 28 aprile 1888 e fu consacrato il 5 giugno 1910. Eresse varie parrocchie in Brindisi e in Ostuni. Restaurò la Cattedrale di Brindisi e potenziò il seminario interdiocesano di Ostuni. Sotto il suo presulato vennero in Brindisi molti ordini di religiose. Celebrò congressi eucaristici e tenne sinodi diocesani. Fu segretario di monsignor Tommaso Valeri, il padre Domenico Bacci, scrittore e letterato conosciuto in ambito nazionale, perché autore di numerose pregevoli opere storiche e monografiche, tra cui Cattedrale brindisina, del 1924. E fu l’arcivescovo monsignor Tommaso Valeri a nominare don Pasquale Camassa, rettore del Cimitero comunale. Quando monsignor Valeri rinunciò alla cattedra di Brindisi, fu nominato arcivescovo titolare di Gerapoli di Siria, incarico che mantenne fino alla sua morte, sopraggiunta a Sinilunga in provincia di Siena, il 20 novembre del 1950. 91


GINO FARA FORNI

(Pettenasco, 1867 – Brindisi, 27 settembre 1915) Fu un capitano di vascello, morto al comando della nave “Benedetto Brin” (foto), che esplose e affondò nel porto di Brindisi nella prima guerra mondiale, il 27 settembre 1915. “… Un boato tremendo squarciò l'aria e il rombo di un'esplosione si ripercosse lontano sul mare e sulla città, le navi ancorate ebbero un sussulto e le case tremarono. La nave non si vedeva più e al suo posto una colonna alta oltre cento metri di fumo giallo, rossastro, misto a gas e vapori s'innalzava al cielo. La catastrofe apparve in tutta la sua orrenda grandiosità alcuni momenti dopo, quando la colonna di fumo lentamente si diradò…” «Nel fumo denso si distinse per un momento la massa d'acciaio della torre poppiera dei cannoni da 305 mm, che lanciata in aria dalla forza dell'esplosione fino a metà della colonna, ricadde poi violentemente in mare, sul fianco sinistro della nave. Pochi momenti dopo, dissipato il nembo del fumo, lo scafo della Benedetto Brin fu veduto appoggiare senza sbandamento sul fondo di dieci metri e scendere ancora lentamente, formandosi un letto nel fango molle. Mentre la prora poco danneggiata si nascondeva sotto l'acqua che arrivava a lambire i cannoni da 152 della batteria, la parte poppiera completamente sommersa appariva sconvolta e ridotta a un ammasso di rottami. Caduto il fumaiolo e l'albero di poppa, si ergeva ancora dritto e verticale l'albero di trinchetto». Immediatamente dopo lo scoppio, le autorità militari avanzarono l’ipotesi dell’attentato ad opera dei nemici austriaci, ma poco a poco cominciò a prendere corpo anche la più verosimile possibilità di un'autocombustione avvenuta nella grande stiva adibita a deposito di munizioni: il calore della sala motori, vicina al locale della santabarbara, avrebbe innescato l’incendio che a sua volta avrebbe fatto scoppiare le munizioni. Mai fu data una risposta definitiva... e ormai, certamente non importa troppo sapere l'esatta verità, né certamente mai importò troppo saperla ai 456 marinai che perirono nel mare del porto di Brindisi in quella tragica mattina. In particolar modo, non venne reso pubblico da subito, che giusto un anno prima, proprio il capitano della nave Gino Fara Forni aveva segnalato con una lettera inviata alla Divisione generale di artiglieria ed armamenti del Ministero della marina a Roma, una “deficienza di ventilazione e di refrigerazione della santabarbara” che faceva salire oltre il limite di sicurezza la temperatura interna”. Alla corazzata Benedetto Brin è intitolata in Brindisi, una delle principali strade del Casale.

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ANGELO TITI

(Brindisi, 14 gennaio 1869 – Brindisi, 22 febbraio 1932)

Fu un imprenditore brindisino di successo che operò principalmente nel settore marittimo, figlio maggiore dei cinque figli maschi e fratello anche delle quattro femmine di Marianna Pansini e di Teodoro, fondatore nel 1848 dell’Agenzia marittima Titi al quale Angelo subentrò nella gestione della società armatoriale nel 1920, in seguito alla morte di Teodoro. Fu docente di computisteria nella Scuola Tecnica di Brindisi. Fu consigliere comunale nel 1922 e presidente del Comitato Marittimo e della Commissione granaria della Provincia di Brindisi. Fu presidente della Camera di commercio di Terra d’Otranto. Fu presidente dell’Unione dei commercianti da lui stesso fondata e vicepresidente del Consiglio provinciale dell’economia. Nella sua lunga e prolifica carriera professionale, Angelo Titi fu anche console onorario della Germania e fu designato, dall’Alta Corte di Giustizia del Senato del Regno, perito nel processo contro gli amministratori della Banca italiana di sconto e devolvé in beneficenza l’onorario di questo importante e impegnativo incarico. Angelo Titi, legò il suo nome anche all’istituzione a Brindisi della Zona Franca. Incaricato dal prefetto Ernesto Perez, il commendatore Titi preparò la relazione per la commissione ministeriale incaricata di visitare i maggiori porti italiani per selezionare quelli adatti ad essere zona franca. Quella relazione magistrale contribuì decisamente all’esito favorevole per Brindisi, a svantaggio di Bari. Angelo Titi, divenuto presidente del Consiglio provinciale delle corporazioni, fece dello sviluppo del porto di Brindisi la sua missione. Aveva in sé la chiara visione di un porto moderno ed era stato il primo a credere nella possibilità reale di ricreare per Brindisi una zona franca. Angelo Titi venne a mancare all’affetto della sua famiglia e all’apprezzamento della sua amata città all’età di soli 63 anni, il 22 febbraio 1932. Nel 1956 la Giunta Comunale deliberò all’unanimità perché la Zona Franca del porto di Brindisi fosse intitolata a Angelo Titi. 93


FELICE ASSENNATO

(Brindisi, 9 ottobre 1869 – Bari, 14 ottobre 1957)

Fu un avvocato e politico socialista, figlio di Mario Assennato di Palermo, un impiegato della Capitaneria di porto e prominente affiliato alla massoneria brindisina. Felice Assennato fu tra i fondatori del partito socialista nel brindisino, dove rappresentò le istanze degli agricoltori della Terra d’Otranto. Il 12 luglio 1904, i due più importanti esponenti del partito socialista di Brindisi, Felice Assennato ed Edoardo Voccoli, furono oggetto di un attentato, fortunatamente andato a vuoto. Ne fu responsabile Michele Menduti che, fino alla costituzione delle leghe di categoria promosse da Assennalo, lucrò sulle assunzioni degli scaricatori al porto. Nel 1910 Assennato fu nominato direttore del settimanale L’Unione, organo dei socialisti brindisini. Fu eletto consigliere comunale nel 1912 e poi deputato del Regno d’Italia dal 1921 al 1924. Nel 1923 fu l’unico pugliese alla riunione di Milano nella quale numerosi esponenti socialisti esaminarono la situazione in seguito alla proposta di unificazione fra socialisti e comunisti richiesta dall’URSS. Il 14 gennaio 1923, Felice Assennato, con un gruppo di esponenti socialisti riuniti a Milano, contestò la fusione del Pci e del Psi voluta dal IV congresso dell’Internazionale a Mosca e aderì al comitato nazionale di difesa socialista di Pietro Nenni, suo amico. Nella Camera dei deputati svolse, tra l’altro, l’incarico di segretario del gruppo socialista e fu anche membro della direzione nazionale del suo partito. E dal 1926 diresse la federazione pugliese del partito socialista. Con l’avvento del regime fascista, subì continue persecuzioni e fu denunciato al Tribunale speciale e sottoposto a vigilanza, il confino, fino al 1942. Dopo l’8 settembre 1943, ebbe un ruolo importante nella lotta partigiana. Morì il 30 ottobre 1957 a Bari. La camera ardente fu allestita presso il Circolo culturale Matteotti di Brindisi e la Giunta Comunale, deliberò in data 29 giugno 1999 intitolargli una strada cittadina, quella che costeggia il liceo artistico Edgardo Simone. 94


SERAFINO GIANNELLI

(Brindisi, 3 gennaio 1874 – Brindisi, 14 settembre 1962) Fu sindaco di Brindisi dal 1923 al 1926 e Podestà dal 1926 al 1928 e dal 1931 al 1934. Figlio di Damiano e Rosaria Pinto, fu Grand’Ufficiale e galantuomo per universale riconoscimento, nonché benefattore della sua città, alla quale destinò con testamento, buona parte del suo cospicuo patrimonio. Fu primo cittadino di Brindisi in tempi di grandi mutamenti per la sua città e pertanto toccò a lui presenziare circostanze, momenti ed episodi oggettivamente rilevanti. Fu il consiglio comunale del 14 marzo 1924, presieduto dal sindaco Giannelli, che decretò la costruzione del Parco della rimembranza, poi inaugurato dal podestà Giannelli il 9 gennaio 1927. Fu Giannelli il sindaco al quale toccò vivere l’elevazione amministrativa di Brindisi a provincia, il 2 gennaio 1927. Fu lui che inaugurò, nel 1927, il monumento ai caduti -la vittoria alata- di Vitantonio De Bellis in piazza Vittoria, che non piacque e fu poi venduto al comune di Erchie e fu lui che quindi contattò lo scultore Edgardo Simone per commissionargli il nuovo monumento, dovendo poi partecipare alla lunga polemica della sua ubicazione, inaugurandolo il 22 novembre 1931 in piazza Dionisi con la presenza del re Vittorio Emanuele III. Nello stesso anno 1927, il consiglio comunale deliberò la costruzione di una nuova sede per il Liceo Ginnasio Benedetto Marzolla e il 12 gennaio 1933 Giannelli la inaugurò su Corso Roma. E durante la costruzione di quella prestigiosa scuola, fu anche decretata, costruita ed inaugurata, il 29 novembre 1931, la adiacente Palestra Elio Galiano. Nel 1929 fu anche inaugurato, ancora in quel settore di Brindisi, l’Istituto Tecnico Commerciale Guglielmo Marconi. Poi, e fu certamente l’opera più emblematica che tocco inaugurare al Podestà Giacomelli, fu la volta del Monumento al marinaio d’Italia, il 4 novembre 1933, in presenza del re. A quell’opera Giannelli dedicò per anni molti dei suoi sforzi di amministratore cittadino, a partire dal reperimento dei fondi necessari alla costruzione iniziata il 28 ottobre 1932, per cui chiese ed ottenne anche la lodevole collaborazione del suo amico personale, il famoso tenore leccese Tito Schipa. E, finalmente, oltre a tanto altro, fu Serafino Giannelli che commissionò all’ingegnere Telesforo Tarchionni l’elaborazione del nuovo piano regolatore di Brindisi che poi, come Podestà, adottò il 3 marzo del 1934, probabilmente uno dei suoi ultimi atti amministrativi come primo cittadino di Brindisi. 95


FRANCESCO DE FILIPPIS

(Gagliano del Capo, 12 ottobre 1875 – Gagliano del Capo, 3 gennaio 1964)

Fu arcivescovo di Brindisi dal 1942 fino a quando si ritirò dall’incarico, nel 1953. Fu vescovo in precedenza, nel 1931, di Veroli e, successivamente, fu arcivescovo di Gangra. Fu nominato arcivescovo di Brindisi il 26 novembre 1942 e durante l’esercizio del suo arcivescovato, De Filippis ristrutturò il Seminario e ne deliberò la riapertura con la chiusura di quello di Ostuni. Il 27 luglio 1947, nella cattedrale di Ostuni, ordinò presbitero a Settimio Todisco, il quale sarebbe divenuto a sua volta arcivescovo di Brindisi e primo arcivescovo della nuova arcidiocesi di Brindisi-Ostuni a partire dal 30 settembre del 1986. Fu arcivescovo di Brindisi in un periodo in cui la città cercò di rimarginare le ferite provocate dalla guerra e nei locali del Seminario fece sistemare interi nuclei familiari di senzatetto e di profughi. Nel 1949 richiamò a Brindisi i padri Cappuccini, per affidare a loro la parrocchia Ave Maris Stella. Erano stati assenti dalla chiusura definitiva del loro convento decretata dalla legge del 1861. Fu per volontà di Francesco De Filippis, che le spoglie mortali di San Teodoro d’Amasea, già riposte nel reliquiario in cristalli di Boemia, fossero collocate sotto la mensa dell’altare della cappella del santo. Dopo il suo ritiro da arcivescovo di Brindisi, il 1º settembre del 1953, fu nominato arcivescovo di Gangra, identificabile con Çankırı nell’odierna Turchia, l’antica sede metropolitana della provincia romana della Paflagonia nella diocesi civile del Ponto e che fece parte del patriarcato di Costantinopoli. Monsignor Francesco De Filippis rimase attivo nell’arcidiocesi di Gangra fino alla sua morte, già ottantenne, il 3 gennaio del 1964 a Gagliano del Capo, e le sue spoglie furono deposte nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. 96


PAOLO FARINATA DEGLI UBERTI

(Verona, 6 aprile 1876 – Mare Adriatico, 14 luglio 1916)

Fu, Paolo Tolosetto, un ufficiale della Regia Marina, comandante del sommergibile Balilla di base a Brindisi. Fu insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Nacque a Verona il 6 aprile 1876. Allievo dell’Accademia navale di Livorno dal 30 ottobre 1889, il 1° agosto 1895 conseguì la nomina a guardiamarina, ottenendo le successive promozioni a sottotenente di vascello il 1° agosto 1897, a tenente di vascello il 9 dicembre 1900 e a capitano di corvetta il 25 aprile 1915. Appassionato sommergibilista, fu comandante del sommergibile Glauco nel 1914. Poi, già comandante del sommergibile Balilla, varato l’8 agosto 1915, nella fase del collaudo e dell’addestramento dell’unità. Allo scoppio del 1° conflitto mondiale riebbe il comando del Balilla con il quale, da Brindisi, operò nell’ambito della 4ª Squadriglia autonoma, compiendo missioni offensive di agguato nel Basso Adriatico e lungo le rotte commerciali austriache. Il 13 luglio 1916 partì dal porto di Brindisi e si portò in agguato nelle acque antistanti l’isola di Lissa, dove attaccò le torpediniere austriache T65 e T66. Fu da quelle individuato e sottoposto a violento fuoco di artiglieria, che lo danneggiò irreparabilmente e, dopo aver lottato strenuamente nonostante le condizioni di estrema inferiorità per i gravi danni subiti, fu affondato, con tutti i 37 uomini di equipaggio, dai siluri dalla torpediniera austriaca T65. 97


GIOVANNI e CARMELO CAPOZZIELLO

(Brindisi, 3 giugno 1879 e 19 agosto 1876 – Mare Adriatico, 23 novembre 1915) Furono due giovani fratelli “sciabbicoti”: marinai imbarcati entrambi sul piroscafo Palatino, allo scoppio della prima guerra mondiale. Tutti e due i fratelli morirono nell’affondamento della loro nave, il piroscafo mercantile Palatino (foto), il 23 novembre 1915. Figli di Cosimo, nacquero entrambi a Brindisi: Giovanni il 3 giugno 1879 che coniugò con Consiglia De Tommaso il 23 febbraio 1907, e Carmelo, il fratello maggiore il 19 agosto 1876. Il piroscafo Palatino salpò da Brindisi il 22 novembre 1915, col piroscafo Benedetto Giovanni e i motovelieri Gallinara, Iniziativa e Unione, parte diretti a Durazzo e parte all’altro porto albanese di Medua, tutti per il primo invio di rifornimenti dell’operazione di salvataggio dell’esercito serbo. Il piroscafo Palatino fu affondato il giorno seguente, il 23 novembre, assieme al motoveliero Gallinara, quando i due mezzi furono intercettati dall’incrociatore austriaco SMS Saida (foto), in esplorazione lungo le coste albanesi con un altro incrociatore, Helgoland, e una squadriglia di torpediniere. Un sommergibile attaccò il veliero Unione obbligando il suo comandante ad autoaffondarlo. Il giorno seguente, il 24 novembre, un altro battello subacqueo austriaco attaccò con i siluri e l’artiglieria il piroscafo Benedetto Giovanni e il veliero Iniziativa dopo che, giunti a Medua stavano sbarcando i carichi, e le stesse navi furono anche bombardate, fortunatamente senza essere colpite, da un idrovolante austriaco. Queste iniziali perdite dell’Intesa preoccuparono i comandi preposti al rifornimento dell’esercito serbo, ma i traffici continuarono e finalmente l’operazione culminò, nonostante le ancora tante gravi perdite, con un buon esito. 98


ETTORE CICIRIELLO

(Brindisi, 15 novembre 1877 – Monte San Gabriele, 7 settembre 1917)

Fu un ufficiale dell’esercito italiano, capitano e maggiore per meriti di guerra dei bersaglieri nel 12º Regimento di fanteria bersaglieri durante la prima guerra mondiale. Nacque a Brindisi da Salvatore e N. Prete. Studiò nelle Regie Scuole Tecniche di Brindisi e nell’Istituto Tecnico di Bari. Si trasferì poi, con la madre e il fratello, a Napoli. Fu decorato ben quattro volte, di cui due con medaglia d’argento, il 3 novembre 1916 e il 18 ottobre 1917. La seconda medaglia gli fu data “alla memoria”. Morì il 7 settembre del 1917 combattendo con la Brigata Treviso sul monte alpino di San Gabriele (foto), un monte di 646 metri d’altezza della odierna Slovenia occidentale, a 3 chilometri in linea d’aria dalla città di Gorizia. Accadde nel corso della cruenta 11ª Battaglia sull’Isonzo, quando il 6 settembre 1917 i soldati italiani scalarono le pendici del San Gabriele, riuscendo a raggiungere la linea di cresta a quota 646 e, poco più tardi, furono obbligati a ritirarsi a un centinaio di metri al di sotto della vetta, in seguito al feroce contrattacco austroungarico. Poi, il giorno seguente, il San Gabriele fu nuovamente teatro di una lotta incessante e sanguinosa che segnò innumerevoli vittime e condusse alla morte il maggiore brindisino. 99


ORONZO ANDRIANI

(Brindisi, 10 maggio 1878 – Milano, 16 marzo 1931)

Fu un generale di brigata aerea. Nacque a Brindisi da Pasquale, maresciallo dei carabinieri, e da Concetta Zaccaria. Compì gli studi superiori presso la Nunziatella e quindi entrò nell’Accademia di Modena per divenire ufficiale, sottotenente dei bersaglieri nel 1898 e tenente nel 1901. Quando alla fine del primo decennio dello scorso secolo si diffuse la passione per il volo e si costituì a Malpensa la Scuola di Aviazione, Oronzo fece domanda per frequentarla. Entrò in aviazione nel gennaio 1912 e, conseguito il brevetto di pilota di aerei, ebbe il comando della scuola di volo della Malpensa e costituì il Primo Battaglione di Aviatori d’Italia. Divenne capitano nel settembre 1912, maggiore nell’agosto 1916 e tenente colonnello nell’ottobre del 1917. Durante la prima guerra mondiale, insegnò a volare a moltissimi piloti militari ed ebbe il comando del Iº gruppo di squadriglie alle dipendenze del duca Emanuele Filiberto di Savoia. Fu uno dei primi piloti d’aerei a cui fu conferita la medaglia di bronzo, il 24 maggio del 1915, e meno di un anno dopo gliene fu conferita una seconda. Nel 1916 assunse il comando generale dell’aeronautica nella III armata ed ebbe alle sue dipendenze tanti valorosi piloti, tra i quali Francesco Baracca e Gabriele D’Annunzio. Fu, da Emanuele Filiberto, promosso tenente colonnello per meriti di guerra ed insignito della Croce di Cavaliere dell’Ordine militare di Savoia, nonché dell’Ordine di San Giorgio da parte del re d’Inghilterra. Fu nominato Cavaliere della Corona. Nell’ultimo periodo della guerra, a Andriani fu affidato il comando di tutta l’Armata Aerea Interalleata, per cui dovette coordinare anche le missioni belliche delle squadriglie aeree inglesi, francesi, giapponesi e poi anche americane. Finita la guerra, diresse la prima armata aerea autonoma e preparò la coppa Baracca a carattere nazionale. Nel 1927 preparò anche la coppa aerea internazionale Schuneider. Partecipò all’organizzazione dell’aeronautica civile italiana, con la Società Aerea Mediterranea, poi confluita nell’Ala littoria e quindi Alitalia. Morì nel 1931 con il grado di generale, per cui fu il primo in Italia a vestire la nuova divisa di generale d’aviazione. 100


GRAZIA BALSAMO

(Brindisi, 20 gennaio 1879 – Brindisi, 21 ottobre 1953) Fu una nobildonna della città di Brindisi. Nacque in una famiglia fortemente devota e cristiana, la sua anima magnanima permise ai Salesiani di fondare nella città una Casa di don Bosco, quando la nobildonna acquistò e donò un vasto appezzamento di terra di 25.000 metri quadrati lungo l’Appia Antica, in cui, su progetto dell’ingegnere salesiano Giulio Vallotti, sarebbe sorta la chiesa del Sacro Cuore con l’annesso Oratorio e dove più tardi fu realizzato il piccolo “Teatro Don Bosco”. La posa della prima pietra si ebbe il 26 aprile 1931. Il 20 dicembre 1934 i Salesiani poterono già insediarsi nello stabile, completato ed inaugurato nel maggio successivo, ed eletto a sede parrocchiale dal 31 gennaio 1953.

Il culto della famiglia Balsamo verso San Giovanni Bosco trovò riscontro nella rappresentazione della famiglia di Salvatore, fratello di Grazia, nel quadro dedicato al fondatore dei Salesiani. Il sepolcro di donna Grazia Balsamo, le cui spoglie furono traslate il 9 maggio 1955, fu opera della ditta napoletana Salvatore Pedone cui fu commesso il 7 maggio 1954, e donna Grazia, fu poi affettuosamente ricordata "la mamma dei Salesiani di Brindisi". A Grazia Balsamo fu anche dedicata una delle poesie "Quando nascesti" che compose il canonico Pasquale Camassa, in cui egli espressa la riconoscenza del popolo brindisino per l’opera benemerita della benefattrice. 101


ANTONIO DI SUMMA

(San Pietro Vernotico, 22 giugno 1882 – Il Cairo, 22 dicembre 1929) Fu, Antonino Di Summa, un grade benefattore della sua città e, grazie al suo contributo, Brindisi poté realizzare negli anni Trenta il complesso ospedaliero che porta il suo nome e che tanti benefici apportò ai cittadini. Antonino Di Summa nacque a San Pietro Vernotico a metà dell’anno 1882 da facoltosi genitori. Il padre, Vincenzo, appartenne ad una tra le più ricche famiglie di Francavilla Fontana, dopo aver sposato Domenica Maria Sollazzo, anche lei di famiglia benestante, stabilì la famiglia in San Pietro Vernotico. Antonino, dopo aver frequentato le scuole superiori a Lecce e aver conseguito il diploma di Perito Agrario, fu mandato dal padre in Germania per allacciare rapporti commerciali con aziende del posto per l’esportazione dei prodotti agricoli salentini: uva, fichi, mandorle, vino, olio, legumi, cereali, frutta varia, ortaggi e quant’’altro fosse richiesto dai mercati germanici ed europei. Per motivi di salute e a causa del pesante clima germanico, Antonino dovette far ritorno a San Pietro e lì si dedicò esclusivamente al commercio. Nel 1911 fissò la sua dimora a Brindisi, dove gestì l’ufficio dell’Esattoria comunale ed ebbe l’opportunità di rafforzare il commercio dei prodotti agricoli con i mercati di varie nazioni. Appassionato d’arte si dice che abbia sovvenzionato una compagnia di attori drammatici. Sofferente di reumatismi, preferì soggiornare nei mesi invernali più rigidi in Egitto, al Cairo, dove morì nemmeno cinquantenne affetto da polmonite, il 22 dicembre 1929. Nel suo testamento, lasciò tutti i suoi averi in favore dell’Amministrazione Provinciale di Brindisi, perché venissero realizzate opere in beneficio della popolazione: ospedali, orfanotrofi e scuole. Poiché Brindisi non aveva al tempo un ospedale decente, l’Amministrazione decise costruirne uno adeguato ai bisogni della città. Si intraprese il progetto e si realizzò l’Ospedale Di Summa, nel rione Cappuccini, sui terreni che furono, appunto, del convento dei Padri Cappuccini, conservando il convento e la seicentesca chiesa contigua. Fu ultimato nel 1939, ma fu occupato dalle truppe olandesi dopo l’armistizio del 1943 e poi da quelle statunitensi fino alla fine della guerra nel 1945. Iniziò, finalmente, la sua vera e propria attività solo nel 1948, con una disponibilità di 250 posti letto elevata a 1150 unità a fine 1972. 102


UGO GIUSEPPE GIGANTE

(Brindisi, 24 agosto 1885 – New York, 30 aprile 1961) Fu un violinista e compositore. Il padre, Mariano Gigante, intuì il talento di Ugo e gli impartì i primi rudimenti musicali. Anche sua madre, Balbina Torsellini, lo appoggiò. A quindici anni vinse una borsa di studio e si iscrisse al liceo musicale Gioacchino Rossini di Pesaro, in quel periodo diretto da Pietro Mascagni. Nel novembre del 1903 esordì come compositore con Aira. Nel marzo 1906 tenne un concerto alla Fenice di Senigallia e vinse un concorso a Varallo come professore di musica. Nello stesso periodo compose Ida e, proseguendo gli studi musicali, nel 1910 vinse il premio Bodoyra al miglior allievo di composizione del Conservatorio di Pesaro e poco dopo vinse un concorso internazionale che lo portò a Quito, in Equador, dove durante cinque anni insegnò violino divenendo vicedirettore del conservatorio di quel paese sudamericano. Scoppiata la prima guerra mondiale, Gigante si arruolò nella marina statunitense e alla fine della guerra si stabilì a New York. Nell’agosto del 1923 visitò Brindisi dopo un’assenza di 13 anni e nel Circolo Artistico Marco Pacuvio,fu omaggiato ed acclamato dai suoi concittadini. Scrisse composizioni di grande successo e fondò a New York un’accademia musicale che diresse dal 23 al 33. Si esibì con successo in diversi teatri di quella metropoli americana, con un violino di Matteo Minozzi del 1734 e gli giunsero apprezzamenti anche dalla Beethoven Society che nel 1919 gli consegnò in premio una bacchetta d’oro. Mantenne vivi i rapporti con la terra natia, infatti molti dei suoi amici a New York furono brindisini, come Antonio Lauro, Adriano Miglietta e Alessandro Samarotto oltre allo scultore Edgardo Simone che in quegli anni possedeva uno studio a New York e scolpì un bassorilievo che raffigurava il testone del conterraneo musicista. Dopo aver donato all’Italia alcuni dei suoi importanti cimeli, tra cui la bacchetta d’oro, e dopo la morte dei suoi genitori, i rapporti di Ugo Giuseppe Gigante con Brindisi e con i famigliari rimasti divennero sempre più limitati, fino al sopraggiungere della morte nel 1961, a 76 anni. Il 18 febbraio 2016 il Liceo musicale Simone Durano di Brindisi, gli intitolò la sala concerto. 103


TITO SCHIPA

(Lecce, 27 dicembre 1888 – New York, 16 dicembre 1965) Fu, Raffaele Attilio Amedeo Schipa, in arte Tito Schipa, un tenore e attore italiano, considerato tra i più grandi della storia dell’opera. Figlio di Luigi e Antonia Vallone, Schipa nacque negli ultimi giorni del 1888, ma venne registrato all’anagrafe il 2 gennaio 1889, per così posticipare di un anno la leva militare. Nel 1902, con l’arrivo da Napoli del vescovo Gennaro Trama, Titu, cioè il piccoletto, entrò in seminario a Lecce, dove ebbe modo di studiare anche composizione. Dopo l’adolescenza, Tito si recò a Milano per terminare gli studi e il 4 febbraio 1909 fece il suo debutto a Vercelli nella Traviata. Dopo una lunga routine di formazione nella compagnia operistica di Giuseppe Borboni, trionfò nella Tosca a Napoli nella stagione del 1914, conquistando quella notorietà che non lo abbandonò più, in Italia e all’estero. Giunse a parlare correntemente quattro lingue e a cantare in undici. Dopo Madrid, nel 1919 approdò negli Stati Uniti, a Chicago, dove debuttò il 4 dicembre e dove sposò la soubrette francese Antoinette Michel d’Ogoy, conosciuta a Montecarlo il 27 marzo 1917 in occasione dell’esecuzione de La rondine di Giacomo Puccini, in cui interpretò Ruggero. Nell’ottobre del 1932 lasciò Chicago, prendendo il posto di Beniamino Gigli al Metropolitan Opera di New York e nel 1935 prese parte a Werther in San Francisco. Poi, gli effetti della grande depressione, la crisi con la moglie e la nostalgia per la propria terra, lo riportarono stabilmente in Italia, che tuttavia non aveva, nel mentre, mai abbandonato, essendoci ritornato ed essendosi esibito in più occasioni. Tra il 1932 e il 1933, infatti, partecipò a vari concerti, alcuni nel teatro Verdi di Brindisi, pro costruzione del Monumento al Marinaio d’Italia, inaugurato a Brindisi il 4 novembre del 1933 e finanziato in buona parte proprio con i fondi raccolti con gli spettacoli promossi e partecipati da Tito Schipa, il quale fu, infatti, vicino al regime fascista, soprattutto per l’antica amicizia personale che mantenne con il gerarca Achille Starace, suo conterraneo leccese. Dopo una carriera lunga quasi mezzo secolo, negli anni Cinquanta Schipa cominciò ad apparire sulle scene sempre più di rado. Il 14 aprile 1955 dette l’addio al palcoscenico italiano con l’Elisir d'amore al Teatro Petruzzelli di Bari, a cui fecero seguito tournée in Russia, in Ungheria e negli Stati Uniti, dove venne accolto, ancora una volta, con molto entusiasmo. Tito Schipa morì a New York nel 1965 per un collasso cardiocircolatorio e fu sepolto nella sua Lecce. 104


FRANCESCO DE PINEDO

(Napoli, 16 febbraio 1890 – New York, 2 settembre 1933) Fu un pilota aeronautico, comandante della Base idrovolanti di Brindisi e trasvolatore dell’Atlantico. Nacque a Napoli in un’antica famiglia patrizia da Alberto e da Livia De Bada. Nel 1908, dopo la licenza liceale, entrò nell’Accademia navale di Livorno. Allo scoppio della guerra italo-turca prese parte allo sbarco in Libia, guadagnandosi una medaglia di bronzo al valor militare. Nella prima guerra mondiale gli fu affidato il comando di un piroscafo da trasporto adibito al salvataggio dell’esercito serbo e poi, nel luglio 1917, passò all’aviazione. Il 10 ottobre 1917 fu trasferito alla squadriglia di Otranto e poi, il 1º marzo 1918, alla Base aeronavale di Brindisi. Per le missioni compiute nel Basso Adriatico, ottenne tre medaglie d’argento ed una croce di guerra al valor militare. Fu altresì insignito della croce di guerra francese e quella inglese. Nel 1923, entrò a far parte della giovanissima arma aeronautica. Il 23 febbraio 1924 fu nominato capo di stato maggiore dell’Aeronautica, ed il 10 marzo fu promosso tenente colonnello. In quello stesso anno, effettuò le crociere Brindisi-Istanbul-Brindisi e SestoCalende-Olanda-Roma. Nel 1925 compì la trasvolata dall’Italia all’Australia a bordo in un idrovolante Savoia-Marchetti S 16 e fu promosso colonnello ed insignito della croce di cavaliere dell’Ordine militare di Savoia. Nel 1927 compì la sua più celebre impresa, la trasvolata dall’Europa alle Americhe e ritorno. L’impresa iniziò il 13 febbraio dall’idroscalo di Elmas e si concluse ad Ostia il 16 giugno, dopo 43.820 km di volo per complessive 279 ore e 40 minuti. Il 21 luglio 1927 fu promosso generale di brigata aerea, ed il 31 dicembre nominato comandante della terza zona aerea territoriale. Prese parte, dal 26 maggio al 2 giugno 1928, alla crociera del Mediterraneo occidentale e, dal 5 al 19 giugno 1929, a quella del Mediterraneo orientale. Il 16 ottobre 1928, fu promosso sottocapo di stato maggiore dell’Aeronautica e il 28 marzo 1929, generale di divisione aerea. Nel 1930 fu mandato a Buenos Aires in qualità di addetto aeronautico presso l’ambasciata italiana e il 1° ottobre 1932 lasciò il servizio attivo e si dedicò all’aviazione commerciale. Nel febbraio del 1933 si recò negli Stati Uniti per battere il record mondiale di distanza con un apparecchio Bellanca, sulla distanza da New York a Bagdad. Il 2 settembre 1933, mentre si accingeva a partire dall’aeroporto di Long Island, non riuscì a decollare, forse a causa dell’eccessivo carico di carburante. L’aereo uscì di pista e Francesco De Pinedo, per evitare un gruppo di spettatori, andò a schiantarsi contro una cancellata. Il velivolo prese fuoco e Francesco De Pinedo morì tra le fiamme. I funerali si svolsero nella cattedrale di San Patrizio a New York l’8 settembre, poi la salma fu portata a Roma e ricevette solenni onoranze nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. 105


PIETRO DOIMO MUNZANI

(Zara, 4 dicembre 1890 – Oria, 28 gennaio 1951)

Fu l’ultimo arcivescovo italiano di Zara, città in cui nacque -secondogenito di Francesco Munzani e di Maria Gratelli, oriunda dell’isola di Brazza- e di cui fu presule durante ventidue anni. La famiglia Munzani era originaria di Modena. Il nonno ricoprì in Zara la funzione di comandante dei vigili del fuoco e il padre fu fabbro ferraio. Morì a Oria a sessant’anni e fu sepolto a Brindisi. Il primogenito Giovanni divenne direttore delle carceri del Coroneo di Trieste. Antonio, che seguì nella nascita Pietro Doimo, morì ancora studente a Trieste. Luigi fu macchinista a Trieste e Santina, la più giovane dei quattro, rimase accanto ai genitori e al fratello sacerdote. Pietro fu nominato vescovo nel 1926, a 35 anni, il più giovane presule della chiesa cattolica, e fu chiamato l’arcivescovo itinerante, per la sua attività pastorale nei campi profughi sparsi in Italia, sempre vicino agli esuli giuliani e dalmati di cui volle condividere il destino. Fu arrestato e segregato sull’isola di Lagosta e quando ritornò a Zara riprese in pieno le sue funzioni pastorali. Ma poi scelse la via dell’esodo, come i suoi fedeli. Avrebbe potuto rimanere, se lo avesse voluto. Il mondo comunista non si opponeva, e il fatto che gli fosse stata affidata l’amministrazione di parte della vecchia diocesi di Zara, appartenente alla Jugoslavia e quindi retta pro tempore dal vescovo di Sebenico, rappresentava la premessa ufficiale per la prosecuzione del suo ministero. Quando, nel 1947, don Pietro Doimo Munzani prese la via dell’esilio, restò per tutti l’arcivescovo di Zara, anche quando gli venne affidata la sede antica di Tiana, in Sardegna. Nel gennaio del 1951 si recò a Brindisi per visitare i tanti Giuliani e Dalmati rifugiati in città e volle recarsi anche in visita al Collegio navale Nicolò Tommaseo che in Brindisi ospitava a quel tempo molti giovani studenti giuliani e dalmati. Morì il 28 gennaio 1951, nella Cattedrale di Oria, vicino Brindisi, mentre stava predicando: si accasciò ai piedi dell’altare del Santissimo Sacramento pronunciando per sé il Miserere. Fu sepolto a Brindisi, nella chiesa di Santa Maria di Loreto, la cappella del cimitero. 106


UMBERTO MADDALENA

(Bottrighe, 14 dicembre 1894 – Mare di Marina di Pisa, 19 marzo 1931) Fu un pilota di idrovolanti della prima guerra mondiale operando dalla base di Brindisi. Figlio di Ettore, medico, e di Francesca Bianchi, nacque in un paesino nel delta padano e frequentò l’Istituto nautico Paolo Sarpi di Venezia. Compiendo il tirocinio in mare, nel maggio 1915, lo sorprese a Buenos Aires l’entrata in guerra dell’Italia. Nell’ottobre 1915 frequentò il corso per guardiamarina e nel giugno 1916 quello di pilotaggio per idrovolanti, conseguendo il brevetto due mesi dopo. Destinato al Basso Adriatico, raggiunse l’idroscalo di Brindisi comandato dal tenente Orazio Pierozzi, suo amico di vecchia data e si distinse come pilota da ricognizione sulle basi della flotta nemica in Dalmazia. Il 30 dicembre 1916 ottenne una medaglia di bronzo al valor militare. Promosso guardiamarina nel gennaio 1917, gli fu affidato il comando di una squadriglia di idrovolanti da bombardamento e nei due anni successivi quello di squadriglie da caccia e da ricognizione e ottenne tre medaglie d’argento e due croci di guerra al valor militare. Gli vennero attribuite ben cinquantasei ricognizioni antisommergibile, di cui due compiute con maltempo, tre bombardamenti in sfida alla contraerea nemica, e una ricognizione sulle linee nemiche particolarmente pericolosa. Finita la guerra, nell’agosto 1919 partecipò alla prima missione a lungo raggio con l’impiego di due idrovolanti. I due velivoli raggiunsero Amsterdam e proseguirono per la Svezia. Negli anni seguenti, la sua carriera dl pilota e di istruttore proseguì con grande impegno, a Monaco e in Spagna. Nel 1921 venne promosso tenente di vascello e assegnato al comando dell’aeroporto di Venezia. Dal maggio 1923 ebbe il comando del III gruppo idrovolanti di Taranto, che resse fino al luglio 1925. Nel 1926 organizzò i servizi di aeronavigazione della Aero Espresso Italiana, società concessionaria della linea Brindisi-Pireo-Istanbul, di cui istruì i piloti e con i quali compì i primi collegamenti da Brindisi. Tale attività gli valse il conferimento, da parte del governo greco, della croce d’oro dell’Ordine del Salvatore. Nel 1927, con un idrovolante Savoia Marchetti S.82, compì una crociera dimostrativa di oltre 10.000 km attraverso gli Stati balcanici, la Russia e la Germania, utilizzando per l’ammaraggio anche i fiumi. E ancora per anni continuò a pilotare e a istruire piloti di idrovolanti. Maddalena rimase ucciso il 19 marzo 1931 a causa dell’esplosione in volo del suo S.64 Bis, un modello nuovo che utilizzava un’elica in metallo a passo variabile. L’incidente avvenne durante un normale volo di trasferimento da Cinisello Balsamo a Montecelio, da cui sarebbe dovuto partire per un'imminente trasvolata da record. Il suo corpo non fu mai ritrovato. 107


GIUSEPPE DOLDO

(Brindisi, 1900 circa – Brindisi, novembre 1979) Fu un capitano di marina, brindisino di nascita e fiumano di cuore. Fu un esperto di comunicazioni marittime, professore dell’Istituto Nautico di Brindisi, che da lui fu fatto intitolare a “Carnaro”. Fu il grande sostenitore degli esuli giuliano-dalmati in Brindisi, e poi in Puglia e in Lucania. Finita la prima guerra, Doldo si recò a Fiume nel 1918. Partecipò all’epopea dannunziana e scelse di radicarsi in quella città, dove svolse attività industriale e commerciale: tra altro, negli anni ’20, su incarico di Guglielmo Marconi, coordinò la costruzione della prima stazione radio e la fondazione della S.A. Fiumana per le Radiocomunicazioni, della quale lo stesso Marconi fu il presidente. Fu anche professore di Comunicazioni marittime nell’Istituto Nautico di Fiume. Nel 1946, finita la seconda guerra, Doldo fu costretto all’esodo e abbandonò, come i più, ogni suo avere. Ritornato a Brindisi, sua città natale, si prodigò in ogni modo per alleviare le condizioni di vita dei profughi affluiti nella sua città, allargando inoltre la sua attività a tutta la Puglia e alla Lucania e si impegnò con slancio e abnegazione per trovare lavoro e casa agli esuli istriani, fiumani e dalmati. Venne eletto presidente dell'Anvgd di entrambe regioni. Si impegnò presso il Comune di Brindisi affinché si intitolassero alcune delle nuove vie del rione Commenda alle città dell’Istria, del Carnaro e della Dalmazia: piazza Dalmazia, viale Carnaro, via Pola, via Parenzo, via Fiume, via Cherso, etc. Il comune di Zara in esilio gli conferì una medaglia d’oro per aver ottenuto l’intitolazione di una via di Brindisi a Don Munzani, ultimo arcivescovo italiano di Zara, morto a Oria, e aver provveduto alla sua tumulazione, nella chiesa del cimitero di Brindisi. Negli anni ‘50 promosse la costruzione, nella Commenda, della parrocchia di San Vito martire, patrono e protettore dei fiumani. La statua di San Vito, dello scultore Giacomo Vincenzo Müssner di Ortisei, in memoria dei profughi istriani e dalmati, ha nella mano destra la palma simbolo del martirio e nella sinistra la riproduzione della torre civica della città di Fiume. Insegnando Comunicazioni marittime nell’Istituto Tecnico Nautico, che funzionava dal 1946 dentro il Collegio Navale come sezione staccata dell’Istituto Nautico di Bari, s’impegnò a che l’Istituto diventasse autonomo e, nel 1951, fosse intitolato «Carnaro». A 70 anni lasciò la scuola, ricevendo la medaglia d’oro per 45 anni di insegnamento. Poi il presidente della Repubblica, Saragat, lo nominò Grande Ufficiale al Merito della Repubblica.

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DON AUGUSTO PIZZIGALLO

(Brindisi, 17 marzo 1900 – Brindisi, 14 aprile 1982) Fu un prete brindisino “papa pizzicallu” molto popolare, molto benvoluto e molto carismatico. Fu cappellano dell’Aeronautica militare di Brindisi e poi, anche rettore del cimitero di Brindisi. Studiò nel Seminario di Brindisi e fu ordinato sacerdote in Santa Maria Novella di Firenze. Fu un anticonformista e precursore dei tempi, di carattere gioviale, anzi decisamente allegro, elegante e con una forte personalità, in effetti: “tutto un personaggio” ...nonché, anche “una buona forchetta”. Il suo look, sempre impeccabile: La tonaca, in lana fresca di Tasmania. Sulla parte finale delle maniche erano bene in vista i gradi di tenente, di cui fu sempre orgoglioso. Il tradizionale cappello a ruota era circondato da due fasce dorate di ufficiale. Gli occhi coperti da due grandi occhiali da sole e la bocca illuminata da un sorriso sornione. La sua voce stentorea, proveniente dal pulpito, magnetizzava l’interesse dell’intero uditorio. Fra le tante azioni encomiabili intraprese da Don Augusto, fu per sua iniziativa ed interesse che nel cimitero comunale si eresse la croce con il Cristo al centro del viale principale, diventata di fatto l’icona dello stesso cimitero. Il 22 magio del 1952, fu il giorno della inaugurazione! Don Pizzigallo abitò in via Foggia, ex via Principe di Piemonte, poi intitolata al papa Giovanni XXIII. Il 14 settembre 1936 l’allora monsignor Angelo Giuseppe Roncalli, il futuro pontefice Giovanni XXIII, annotò sul suo diario: "Debbo credere che il buon Angelo Custode ed i miei morti mi proteggano sensibilmente. Ieri sera arrivando a Brindisi, occupati tutti gli alberghi, avrei dovuto rifugiarmi chi sa dove per passare la notte. Sul punto della più grave incertezza, ecco comparire due sacerdoti di Brindisi, don Augusto Pizzigallo ed un suo confratello. Accetto l’ospitalità fraterna che il primo mi offre in casa sua: una casa signorile, dove passo benissimo la notte, ed al mattino posso anche celebrare, perché ivi nulla manca". Monsignor Roncalli fu di passaggio da Brindisi perché allora inviato dalla Sede Apostolica quale proprio rappresentante in Grecia ed in Turchia. L’evento fu ricordato dall’epigrafe in sito, murata sulla facciata di casa Pizzigallo in via Giovanni XXIII. All’interno dell’abitazione fu resa memoria di un nuovo incontro con Angelo Giuseppe Roncalli, patriarca di Venezia e reduce da una visita in Libano, il primo novembre 1954. Scrisse in quella circostanza il futuro pontefice: "Lietissimo di vedere dopo 18 anni il carissimo canonico Pizzigallo, gli rinnovo l’augurio delle consolazioni più vive nel prezioso servizio della chiesa e delle anime". A Brindisi gli è stata intitolata la via del centro storico adiacente a piazza del Popolo. 109


VINCENZO GIGANTE

(Brindisi, 5 febbraio 1901 – Trieste, novembre 1944) Fu, Antonio Vincenzo, un antifascista brindisino e partigiano italiano, medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Antonio Vincenzo Gigante fu operaio sindacalista e politico, ma soprattutto partigiano e impegnato nella lotta antifascista fino alla sua morte in un campo di concentramento nazista a Trieste. Appena ventenne fu arrestato a Brindisi nel 1919 per aver manifestato a favore dei soldati italiani che si rifiutavano di imbarcarsi per la Libia. Con la scarcerazione e la libertà vigilata, nel settembre del 1922 si trasferì con la famiglia a Roma. Fu tra i primi ad aderire al partito comunista quando si fondò nel 1921 dalla scissione del PSI, divenendone responsabile del lavoro sindacale nella capitale. Fu uno degli organizzatori degli scioperi e delle manifestazioni contro il fascismo a Roma, dove riuscì anche a pubblicare due numeri del giornale "Comunista" prima di fuggire, nel 1925, in Unione Sovietica, dove nei due anni di permanenza frequentò l’Università leninista. Di ritorno dall’URSS, la sua attività politica e sindacale lo vide in movimento tra Francia, Germania, Lussemburgo, Belgio, Francia e Svizzera dove fu arrestato nel 1929, rientrando spesso clandestinamente in Italia per organizzare la lotta antifascista. Nel 1934 venne arrestato a Milano e condannato dal Tribunale Speciale a venti anni di carcere. Nel 1942 viene confinato ad Ustica e l’anno successivo nel campo di concentramento di Renicci dove venne definito dal responsabile della struttura "oppositore irriducibile". Dopo l’8 settembre 1943, Gigante organizza l’evasione degli internati antifascisti che, non riuscendo a dirigersi a sud, ripiegano verso il nord formando in Istria le prime formazioni partigiane e collaborando in Dalmazia con i comunisti jugoslavi per una lotta comune alle truppe nazifasciste. Il PCI lo nominò responsabile del partito a Trieste e nel 1944 fu catturato, torturato ed internato. Le circostanze della sua morte, avvenuta alla fine del 1944, restarono insapute e si suppose che fosse stato eliminato nel forno crematorio nazista della Risiera di San Sabba, nei pressi di Trieste. 110


VINCENZO ANDREA CAPPELLI

(Brindisi, 19 luglio 1911 – Kos, 6 ottobre 1943) L'isola di Kos, possedimento italiano del Dodecaneso, nel settembre del 1943 era presidiata da circa 4.000 soldati italiani appartenenti al X Reggimento di fanteria “Regina” al comando del Colonnello Felice Leggio. Dopo l'armistizio dell’8 settembre, all'alba del 3 ottobre 1943 i tedeschi al comando del Generale Friedrch Wilhelm Muller attaccarono l’isola e con l’appoggio massiccio di circa 200 stukas riuscirono nell’arco di 36 ore a conquistarla. I soldati italiani furono imprigionati nel castello di Neratzia e nel castello di Antimachia mentre gli ufficiali furono portati nella caserma Vittorio Egeo dove i tedeschi chiesero loro di aderire alla RSI e quindi restare a combattere a loro fianco. Dei 110 ufficiali solamente 7 accettarono, mentre i restanti 103 rifiutarono, per non rinnegare il giuramento prestato e per senso del dovere; tra questi il Tenente Vincenzo Andrea Cappelli della 141ª Batteria. Il giorno 6 ottobre 1943 i 103 eroici ufficiali furono fucilati e seppelliti in improvvisate fosse comuni in località Linopotis, dove tuttora giacciono i resti non ancora reperiti di 37 degli ufficiali. Nel 1945 i resti ritrovati degli altri 66 ufficiali furono sepolti in una fossa comune nel cimitero cattolico di kos e nel 1954 furono traslati al Sacrario caduti d’oltremare di Bari: 42 riconosciuti e 24 non identificati, e tra questi Vincenzo Cappelli. Vincenzo Andrea Cappelli era nato a Brindisi in via Indipendenza, solo 32 anni prima di quel tragico settembre ‘43, figlio di Adolfo e di Elvira Gatti. Si diplomò all’Istituto Commerciale di Lecce e poco dopo svolse il servizio militare da ufficiale di complemento dell’esercito. Quindi, iniziò a lavorare all’INPS di Brindisi, ma nel 1939 fu richiamato sotto alle armi con destinazione Kos, nel Dodecaneso. Nel 1942 Vincenzo e Fantasia Clio, la sua fidanzata rimasta a Brindisi, decisero di sposarsi e celebrarono il loro matrimonio nella chiesa del Monte di Brindisi il 23 marzo 1942. Presto nacquero due piccoli gemelli, Giuliano e Franco, e Vincenzo corse subito a Brindisi in breve licenza per poterli conosce: fu l’unica volta che poté vederli ed abbracciarli. L’amministrazione comunale di Brindisi nel 2012 ha voluto ricordare ed onorare questo concittadino, Vincenzo Andrea Cappelli, eroico ufficiale, dedicandogli il giardino sito in via Bastione San Giacomo in cui è affissa una stele commemorativa. 111


ARMANDO BOETTO

(Cuorgnè, 25 agosto 1911 – Cielo del Mediterraneo, 8 maggio 1941)

Fu un aviatore. Capitano pilota della Regia Aeronautica, pluridecorato durante la seconda guerra mondiale: fu decorato con la medaglia d’oro al valore militare alla memoria. Appartenne al 32º Stormo, costituito il 1º dicembre 1936 sull’aeroporto di Cagliari e sciolto al termine della guerra, il 27 gennaio 1943. A Armando Boetto fu il 1º settembre del 1967, intitolato il 32º Stormo dell'Aeronautica Militare Italiana, quando venne ricostituito presso l’aeroporto militare Orazio Pierozzi di Brindisi. Il ricostituito 32º Stormo ricevette la bandiera di guerra dal Ministro della difesa Roberto Tremelloni il 24 aprile 1968 e rimase attivo sull’aeroporto di Brindisi per ben 25 anni, un quarto di secolo, fino al luglio del 1993. A Brindisi, il 32º Stormo operò i famosi reattori Fiat G.91, caccia bombardieri ricognitori, gli stessi in dotazione per molti anni alla pattuglia acrobatica delle frecce tricolori, che tutti i brindisini si abituarono a veder sfrecciare quotidianamente nel cielo cittadino, quasi una icona per la città. Boetto frequentò l’Istituto Tecnico di Pinerolo, conseguendo il diploma di geometra, partecipò ad un concorso per allievi ufficiali entrando nella Regia Accademia Aeronautica di Caserta nell’ottobre 1932. Quando uscì dall’accademia nell’ottobre 1935, fu assegnato con il grado di sottotenente, all’11° Stormo bombardamento terrestre di stanza a Ferrara. Venne promosso capitano e posto al comando della 49ª Squadriglia, 38º Gruppo, 32° Stormo bombardamento terrestre. Con l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, Boetto partecipò a missioni di guerra su Biserta e sulla Corsica, e poi all’attività di contrasto dei convogli navali nel Mediterraneo e ai bombardamenti sulla base navale di Gibilterra. Il capitano Boetto perse la vita, abbattuto in missione di guerra pilotando il suo aereo S79 contro un convoglio inglese diretto da Gibilterra a Alessandria d’Egitto e scortato dalla portaerei HMS Ark Royal da cui si levarono in volo i numerosi aerei inglesi, caccia Fulmar, che abbatterono Boetto. 112


LEONARDO FERRULLI

(Brindisi, 1° gennaio 1918 – Scordia, 5 luglio 1943) Fu un sottotenente pilota, medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Nacque a Brindisi e si arruolò in aeronautica il 23 giugno 1935 e, il 5 marzo 1936, conseguì a Grottaglie il brevetto di pilota militare. Il 16 marzo 1936 venne assegnato alla 84ª Squadriglia del 4° Stormo, di stanza sull’aeroporto di Gorizia, uno dei reparti più blasonati della Regia Aeronautica, quello di Francesco Baracca. Durante la seconda guerra mondiale, in Cirenaica il 19 dicembre 1940, ai comandi di un CR.42, Ferrulli ottenne la prima vittoria abbattendo un Hurricane nel cielo di Sollum. Sempre in Nord Africa abbatté altri cinque Hurricane e un Bristol Blenheim. Poi, in Sicilia, Ferrulli, con i Macchi MC.200 del X Gruppo volò decine di volte sull’isola di Malta e con i piloti del suo Gruppo partecipò all’attacco contro la base maltese di Micabba. Al ritorno, sul mare, Ferrulli, vedendo il collega Devoto inseguito da due Hurricane, virò, insieme a Franco Lucchini, per aiutarlo. Ma sopraggiunsero altri quattro o cinque caccia nemici e si sviluppò un violento combattimento aereo. I tre Macchi si disimpegnarono a stento, filando a pelo d’acqua, inseguiti per 20-30 miglia dai caccia inglesi che, alla fine, virarono per rientrare alla base: Ferrulli rientrò con il velivolo colpito da molte raffiche e gravemente danneggiato, ma non ferito e così, equipaggiato con un nuovo Macchi MC.202, l’anno seguente, abbatté ben 8 otto P-40 e 1 Spitfire. Ferrulli fu poi destinato all’Egitto, nel cui cielo sommò 17 vittorie personali e fu protagonista di epici combattimenti, fino al suo rientro in Italia, di nuovo in Sicilia, nell’imminenza dello sbarco degli Alleati. Ottenne le sue due ultime vittorie il giorno stesso della sua morte, il 5 luglio 1943: decollò alle 14.20 con il tenente Giorgio Bertolaso e il sergente Giulio Fornalé, anch’essi della 91ª Squadriglia, per intercettare un’imponente formazione di bombardieri quadrimotori americani Boeing B-17 Flying Fortress diretta a bombardare Gerbini, scortata da caccia Lockheed P-38 Lightning e da una trentina di Spitfire. Ferrulli fu visto abbattere uno dei B-17 e un bimotore da caccia P-38 prima di essere attaccato dagli Spitfire di scorta. Colpito, si lanciò con il paracadute dal suo Macchi danneggiato, ma era troppo basso e urtò il suolo morendo nei pressi di Scordia. Era in quel momento, il pilota italiano con il maggior numero di vittorie aeree: ventidue abbattimenti individuali e uno collettivo. Per quell’ultima azione gli fu conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria. 113


ANTONIO DI GIULIO

(Brindisi, 29 giugno 1918 – Brindisi, 24 settembre 1997) Fu, Tonino Di Giulio, un eminente medico brindisino ed un convinto precursore ambientalista. Dopo gli studi superiori classici, nel 1936 si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia di Bari e si laureò a Napoli con il massimo dei voti, nel 1942. Nel 1947 conseguì la specializzazione in radiologia e radioterapia. Per vari anni fu assistente ospedaliero presso il reparto di radiologia dell’ospedale “Di Summa” di Brindisi, di cui, nel 1953, diviene primario. E nel “Di Summa”, nel 1958, fondò il reparto di radioterapia, presto punto di riferimento per l’intera regione e per tutto il meridione. Attento ai problemi di salute della popolazione della sua terra, il dottor Di Giulio si dedicò all’obiettivo della prevenzione oncologica. Fece nascere a Brindisi e provincia i consultori familiari per la prevenzione dei tumori femminili e organizzò corsi di educazione sanitaria per il personale paramedico e per la popolazione di tutta la provincia. Nel 1970, consapevole della drammaticità dei dati raccolti dall’Organizzazione Mondiale della Salute sulle patologie neoplastiche del territorio di Brindisi, iniziò una guerra frontale contro l’inquinamento ambientale e osteggiò con tutte le sue forze l’insediamento della centrale a carbone di Cerano. Carbone di cui conosceva già e denunciava la pericolosità per la salute, come, purtroppo, fu confermato da studi e ricerche successive. Negli anni '80, inoltre, chiese si compilasse il registro tumori dell'area Ionico-salentina, completato nel 2016. Nel 1988 il dottor Di Giulio andò in pensione, ma continuò la sua opera facendo costituire il centro di oncologia presso l'ASL di Brindisi di Via Dalmazia. Morì il 24 settembre 1997 e un mese dopo, il 25 ottobre 1997, il Day Hospital di oncologia dell’ospedale gli venne intestato. Oltre alla medicina, campo in cui fu pioniere e raffinato ricercatore, Di Giulio si occupò anche d’altro: fece sorgere la cooperativa “Risveglio agricolo” di cui fu presidente per molti anni; avanzò ipotesi di potenziamento del porto e dell’aeroporto di Brindisi, intuendo le potenzialità turistiche del territorio. Fu, Di Giulio, politico, sindaco di Brindisi nel 1956 per pochi mesi, e dagli anni ‘80 in poi si allontanò dalla vita politica attiva, criticandone il degrado e dedicando tutta la sua attenzione alla tutela della salute della popolazione ed alla strenua lotta contro l’inquinamento ambientale, soprattutto attraverso l’educazione dei giovani con frequenti incontri nelle scuole, per parlare di educazione sanitaria, educazione ambientale e prevenzione. Ai giovani e a tutti i cittadini di Brindisini in più occasioni, si rivolse così: «Impegniamoci con entusiasmo non momentaneo nel volontariato, scopriamo la solidarietà, strappiamo i ragazzi al degrado culturale e al dramma della disoccupazione, operiamo per la difesa della democrazia e della costituzione. La vera rivoluzione a Brindisi comincia dal ripristino della legalità». Il 30 luglio del 2011, la città di Brindisi inaugurò il parco Antonio Di Giulio, intitolato in omaggio e in riconoscimento all’illustre concittadino. 114


GIOVANNI DEL VENTO

(Canosa di Puglia, 12 febbraio 1920 – 1995 circa) Fu un pilota militare insignito della medaglia d’oro al valor militare durante la seconda guerra mondiale. Fu pilota d’idrovolanti Cant Z.506 B di base a Brindisi, dove operò dal 1955 fino al congedo. Si diplomò all’Istituto Magistrale di Pola nel 1939 e si arruolò volontario, frequentando le scuole di pilotaggio aereo di Ghedi e Puntisella, ottenendo il brevetto di pilota nell’aprile del 1940 con assegnazione al 31º Stormo di bombardamento marittimo. Fu promosso sottotenente nel giugno 1940 con assegnazione alla 287ª Squadriglia di ricognizione marittima partecipando a numerose azioni nel Mediterraneo e nel gennaio del 1941 fu gravemente ferito in azione sul suo idrovolante e fu nuovamente ferito il 27 settembre del 1941. Fu insignito della medaglia d’oro al valor militare per i suoi tanti atti di eroismo.

Riprese il servizio attivo nel 1942 e fu promosso tenente nel 1943 e capitano nel 1947. Nel maggio del 1954 fu assegnato alla Regione Informazioni Volo di Ciampino e dal febbraio del 1955 alla Regione Informazioni Volo di Brindisi. Fu promosso maggiore nel 1959 e tenente colonnello nel dicembre del 1963. 115


ALDO SPAGNOLO

(Brindisi, 15 magio 1920 – Klisura, 9 gennaio 1941) Fu un soldato -camicia nera- arruolato volontario per la guerra. Morì eroicamente in combattimento sul fronte greco e fu insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Figlio di Francesco, ufficiale dell’esercito e di Maria Labruna. Frequentò le scuole elementari Perasso, ma a causa dei frequenti trasferimenti del padre, continuò gli studi in varie altre scuole: nel gennaio del 1930 la quinta classe elementare a Pallanza, dove, conseguita la licenza elementare, si iscrisse alle Scuole Industriali e poi a quelle Commerciali, che sulle prime trovò di suo maggiore gradimento. Poi si trasferì a Lecce, a Trieste, a Reggio Calabria, quindi a Napoli, a Matera, sempre dietro i passi del padre. Dall’Istituto Commerciale fece passaggio al Liceo Scientifico di Reggio Calabria, preparandosi simultaneamente alla licenza magistrale. Superati gli esami liceali, si iscrisse all’Istituto Orientale di Scienze Coloniali di Napoli, che frequentò per il primo anno. Quando nel novembre del 1940 l’Italia entrò nella seconda guerra mondiale, Aldo si arruolò come camicia nera volontario nel Battaglione di Matera e raggiunse in treno Brindisi per riunirsi alla 153ª Legione Salentina. La partenza per il fronte greco-albanese avvenne, il 2 dicembre, per via aerea. Un fronte difficile, di montagna, impervio e con un rigido clima già invernale e nevoso. E Aldo saltò in primissima fila all’attacco: “…morti e feriti gli cadevano davanti e tutt’intorno… grida e lamenti si confondevano con lo scoppio degli ordigni… ma Aldo non si arrestò… gli amici videro improvvisamente il giovane Aldo cadere per terra, gravemente colpito e grondante di sangue dallo squarcio della ferita aperta tra il fianco e l’addome… la ferita era troppo profonda, l’uscita del sangue troppo violenta per impedire l’irreparabile… gli amici si prodigarono nonostante l’infuriare della battaglia, ma tutto fu inutile…“ Accadde il 9 gennaio del 1941: fronte greco - zona di Klisura - caposaldo 25. La città di Brindisi intitolò a Aldo Spagnolo, l’Eroe di Klisura, una via e una lapide commemorativa, che fu originalmente murata sulla facciata dell’edificio del Banco di Napoli prospicente alla Piazza Vittoria e, successivamente, dopo che l’edificio fu demolito, la lapide smarrita, rintracciata da Giancarlo Cafiero, fu murata sulla facciata della Palestra Elio Galiano. 116


GIUSTINO DURANO

(Brindisi, 5 maggio 1923 – Bologna, 17 febbraio 2002) Fu un poliedrico uomo di teatro, un celebrato attore teatrale e cinematografico, dotato di una mimica e di una duttilità vocale non comuni, messi in evidenza da un fisico prestante. Esordì ventenne a Brindisi, subito dopo la guerra, nel 1944, in uno spettacolo per le forze armate. Successivamente, nel 1947, recitò a Bari accanto a Peppino De Filippo, poi, nel 1951, al Teatro Puccini di Milano nell’avanspettacolo insieme a Febo Conti, e negli anni successivi lavorò con Dario Fo e Franco Parenti al Piccolo Teatro di Milano in spettacoli innovativi come Il dito nell'occhio, tra il 1952 è il 1953, e Sani da legare, tra il 1954 e il 1955. Passò dal cabaret del Teatro dei Gobbi agli spettacoli da solista, per poi tornare alla rivista con Wanda Osiris, Bramieri e Vianello. Dopo aver lavorato con Macario e Marisa Del Frate, dal 1960 si dedicò al teatro di prosa, seguendo Giorgio Strehler nel gruppo Teatro e Azione a Prato e affrontando nel tempo ruoli importanti in allestimenti di Shakespeare, Pirandello, Goldoni e Molière. Dopo aver recitato e cantato al Piccolo di Milano con Milva e Franco Sportelli nel 1965, ebbe parti di spicco in varie operette. Tornò in radio in varie occasioni: da L'innocenza di Camilla di Bontempelli nel 1970 con la regia di Camilleri, al radiodramma Il giornale di Mario Fazio e Nino Palumbo nel 1972 con la regia di Parodi, a In viaggio con Teo di Fiocco e la regia di Benedetto nel 1979, fino al programma satirico L'aria che tira nel 1981. Dato per morto anzitempo dal giornale radio in data 19 febbraio 1985, Durano continuò a fornire interpretazioni di primissimo piano anche negli ultimi anni di vita: Nell’opera lirica -Il barbiere di Siviglia di Rossini all’Opera di Roma nel 1998. Nel teatro -E io le dico..., del 2001, da lui scritto, diretto e interpretato- L'uomo la bestia e la virtù di Luigi Pirandello e Annata Ricca di Nino Martoglio, entrambi prodotti dal Teatro Biondo di Palermo. Nel cinema -La vita è bella di Benigni del 1997 fu il suo ultimo film, in cui sostenne con amara ironia il drammatico ruolo dello zio del protagonista, riaffermando ancora una volta il suo talento con uno stile recitativo concitato e fortemente mimico. Dopo la dipartita, Brindisi gli ha dedicato lo spiazzo antistante il teatro comunale che è stato chiamato “Piazzetta Giustino Durano” e dal 20 gennaio 2012 è stato immortalato anche dal mondo della scuola brindisina, con il Liceo Artistico Musicale che porta il suo nome. 117


GIANNI RIZZO

(Brindisi, 5 aprile 1924 – Roma, 4 febbraio 1992)

Fu, Gianni, un bravo e molto attivo attore cinematografico. La sua filmografia contò più d’una settantina di titoli. E fu anche interprete in serie televisive e in lavori di prosa per la RAI. Si diplomò all'Istituto Magistrale di Brindisi e si trasferì poi a Roma per intraprendere la carriera di attore teatrale. Si laureò in Lettere e Filosofia, ma scartò l’idea dell’insegnamento, sbocco naturale per la sua laurea. Volle fare l’attore, e il debutto sul grande schermo come attore cinematografico avvenne negli anni Quaranta, dapprima con piccole parti, poi con ruoli da caratterista di maggiore impegno. Fu impiegato in ruoli da caratterista in film storici, per esempio in Peplum, della commedia all’italiana, o di genere poliziottesco, eccetera. Fu spesso interprete di personaggi cinici se non malvagi, per esempio, nel film La città dolente di Mario Bonnard, interpretò il ruolo di una spia vendicativa e priva di scrupoli. Queste caratteristiche gli rimasero impresse per quasi tutta la carriera e soltanto nella parte finale della carriera riuscì a liberarsi dallo scomodo cliché, con la recitazione in film del cosiddetto cinema d’autore, quando lavorò con, per citare alcuni dei registi, Roberto Rossellini, Alberto Bevilacqua, Pier Paolo Pasolini, e Pietro Germi. Come attore fu attivo dal 1944, quando debuttò in Macario contro Zagomar diretto da Giorgio Ferroni, fino al 1986, con l'ultima interpretazione nel ruolo dell'inviato papale in “Il nome della rosa” di Jean-Jacques Annaud, il suo ultimo film. Negli ultimi tempi convisse a Roma con una nobildonna. Poi, le sue condizioni di salute si aggravarono, il suo fisico si appesantì e dovette sottoporsi giornalmente a dialisi, fino alla morte. 118


GIANNI D’ERRICO

(Brindisi, 16 settembre 1948 – Milano, 7 settembre 1975)

«Gianni D’Errico è stata una luce meravigliosa nel panorama musicale italiano e se il destino non lo avesse portato via a soli 26 anni, oggi ancora ne parleremmo ascoltando chissà quante sue canzoni. Fu, infatti, un bravo cantautore brindisino, che nacque il 16 settembre del 1948 e per quanto sia stata breve la sua vita, la sua arte ha comunque lasciato un segno profondo nella discografia italiana». [Lucia Pezzuto, 2019] Gianni trascorse la sua prima gioventù in casa dei suoi genitori, in via Mecenate al quartiere Commenda assieme ai suoi due fratelli e una sorella, con un’unica grande passione: la musica. A sedici anni imparò a suonare la chitarra e poco dopo si appassionò anche al pianoforte ed iniziò presto a scrivere canzoni. Diplomatosi a 17 anni al Commerciale Marconi, invece di andare a lavorare in banca come avrebbe desiderato il padre, si iscrisse a vari concorsi canori e a 20 anni fece il suo primo provino per la RCA e l’anno dopo, nel 1969, partecipando al Festival di Castrocaro giunse in finale con la canzone “Il fantoccio”. Da quel momento la carriera di Gianni decollò, e con la discografica della CGD si trasferì a Roma. Partecipò al Cantagiro ’70. Scrisse “Tu mi stracci il cuore, mi stracci l’anima” e quindi “Precipitando verso Dio”. Prese parte a vari programmi televisivi e radiofonici. Entrati gli anni ‘70 si trasferì a Milano dove lavorò con Maurizio Vandelli e la sua Equipe 84 per la quale Gianni fece da voce, coro e pianoforte. Quindi passò alla discografica Ariston e scrisse il suo ultimo album “Antico teatro da Camera”. La carriera di Gianni D’Errico si stroncò il 7 settembre del 1975, vittima di un incidente stradale. Nel 2019 l’Amministrazione comunale di Brindisi ha deliberato intitolare al ricordo di Gianni la piazzetta antistante il Nuovo Teatro Verdi di Brindisi. 119


ANTONIO SOTTILE e ALBERTO DE FALCO

(Rossano Calabro, 1967 – Brindisi, 23 febbraio 2000) (Alife, 15 febbraio 1971 – Brindisi, 23 febbraio 2000) Furono due finanzieri che prestarono servizio a Brindisi. Morirono la notte tra il 23 e il 24 febbraio del 2000, quando cercarono di bloccare un fuoristrada carico di sigarette di contrabbando. Quella notte sulla complanare della statale 379, a pochi passi dal santuario di Jaddico, l’auto Fiat Punto di servizio dei due finanzieri, Alberto De Falco e Antonio Sottile, si sbriciolò contro il fuoristrada Range Rover blindato dei malviventi che la speronarono. Rimasero feriti gli altri due finanzieri che occupavano il sedile posteriore: il vicebrigadiere Edoardo Roscica, 28 anni, di Catania e l'appuntato Sandro Marras, 33 anni, di Cagliari. Dopo qualche giorno, Giuseppe Contestabile, il contrabbandiere alla guida e Adolfo Bungaro, il copilota, furono arrestati. Antonio Sottile, finanziere scelto nacque a Alife in provincia di Caserta, il 15 febbraio 1971 e si arruolò il 22 settembre 1990. Era sposato da poco e nel suo paese natale fu eretto, presso la Villetta comunale, un monumento commemorativo recante il busto bronzeo del giovane finanziere. Alberto De Falco, vicebrigadiere della Finanza di 33 anni, nato a Rossano Calabro, era sposato e aveva una figlia di quattro anni. In nome di Alberto De Falco e Antonio Sottile, lo Stato intraprese l’Operazione Primavera arrestando in pochi giorni 92 persone e sequestrando 8 tonnellate di sigarette. In 4 mesi, furono eseguiti 537 arresti; sequestrate 32 tonnellate di sigarette 54 armi corte 71 lunghe 52 chili di esplosivo 45 chili di eroina 13 di cocaina e 5045 chili di hashish e marijuana 45 fuoristrada blindati 223 auto 42 moto 21 autocarri e 20 motoscafi; individuati e smantellati tutti i 24 covi segreti, scovati e catturati 30 latitanti tra Montenegro Albania e Grecia. La sacra corona unita, icona in Puglia del dominio dell’antistato, fu in pochi mesi -e per allora- scardinata. A De Falco e Sottile, il comune di Brindisi ha intitolato la piazzetta antistante a Palazzo Nervegna. Nel punto esatto dove quella sera morirono, si eresse un cippo commemorativo. E De Falco e Sottile, il 16-6-2000 furono decorati di medaglia d’oro al valor civile, alla memoria, con la seguente motivazione: " Nottetempo, in servizio di perlustrazione per la repressione del contrabbando, unitamente ad altri militari componenti una pattuglia, si dirigeva, con lucida determinazione, eccezionale coraggio ed eroico senso del dovere verso un'autocolonna contrabbandiera, che trasportava tabacchi lavorati esteri poco prima sbarcati sul litorale, per intercettarla e trarre in arresto i malviventi. La vile e proditoria reazione dei contrabbandieri, posta in essere indirizzando uno dei mezzi in fuga verso l'autovettura sulla quale si trovava, gli procurava lesioni mortali. Splendido esempio di grande ardimento ed elette virtù civiche spinti sino al supremo sacrificio personale “ Brindisi, 23 febbraio 2000 120


MAURO MANIGLIO

(Brindisi, 1974 – Casalabate, 13 agosto 1992)

È stato Mauro, giovane studente brindisino abitante nel rione Casale, una sfortunata vittima innocente della guerra tra cosche mafiose, ucciso la notte tra il 13 ed il 14 agosto 1992 presso la località balneare di Casalabate, in provincia di Lecce. Morì poco prima di cominciare il quinto ed ultimo anno al Liceo scientifico Monticelli di Brindisi, ucciso per sbaglio da una pallottola che gli tranciò l’aorta, sparata da un boss della sacra corona unita. Nel dicembre 2002, la città di Brindisi intitolò a Mauro Maniglio il parco sito nel cuore del rione Bozzano di Brindisi. 121


MATTEO FARINA

(Avellino, 19 settembre 1990 – Brindisi, 24 aprile 2009) È stato Matteo, figlio di Paola Sabbatini e Miky Farina, un ragazzo che visse la sua breve vita pieno di fede in Dio e di misericordia verso l’umanità. Nacque nel paese natale del nonno paterno e visse a Brindisi, nel rione Casale. Fu un bambino allegro e solare, mite, affabile e dolce, caratteristiche che conservò anche negli anni della sua adolescenza e giovinezza. Frequentò la scuola materna “M. Boschetti Alberti” e, in seguito, l’elementare “G. Calò”. Fu un bambino e poi ragazzo molto attivo e volitivo, a scuola e anche negli impegni extrascolastici: praticò svariate attività sportive e, sin da piccolo, sviluppò una forte passione per la musica, che lo spinse ad imparare a suonare diversi strumenti e, adolescente, fondare con i suoi amici un gruppo musicale. Dopo la scuola media “J. F. Kennedy”, si iscrisse all’ITIS “G. Giorgi” e dopo il biennio passò all’ITIS “E. Majorana” con l’idea di intraprendere, dopo le superiori, gli studi di Ingegneria chimico-ambientale, spinto dalla sua già maturata forte sensibilità cristiana per il creato. Fu risoluto nel combattere le ingiustizie e nel difendere i più deboli, costantemente illuminato dal dono soprannaturale della fede in Dio: già a nove anni mostrò una conoscenza del Vangelo insolita per quell’età. Nel settembre 2003 si presentarono in Matteo i primi sintomi di quel male che per quasi sei anni costituì il suo calvario, fatto di pesanti cure e dolorosi difficili interventi chirurgici. Un calvario a cui Matteo reagì conservando la gioia di vivere, con tenacia e forza di volontà, tenendo fede anche durante i periodi più duri: recuperando brillantemente gli studi e continuando ad occuparsi della sua passione musicale e vivendo una rifioritura spirituale, riuscendo a percepire, fin in fondo, l’amore e la misericordia di Dio. Matteo si occupò delle necessità materiali e contingenti sia dei fratelli vicini e sia di quelli lontani, con grande interesse per le popolazioni del terzo mondo tanto da creare, con i propri risparmi e le offerte dei suoi familiari, un fondo per le missioni africane del Mozambico. Visse la sua breve vita nella continua ricerca della volontà di Dio, con tanta fede e con tanta carità verso quanti lo incontrarono. Negli ultimi tempi, quando le forze lo cominciarono ad abbandonare, la sua fede divenne eroica consentendogli di vivere e di accogliere la morte nella serenità propria dei giusti. Nel 2017, la Diocesi di Brindisi, ha dato inizio alla fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione del “Servo di Dio” Matteo Farina e la città di Brindisi gli ha intitolato il giardino adiacente al tempio di San Giovanni al sepolcro. 122


MELISSA BASSI

(Mesagne, 26 novembre 1996 – Brindisi, 19 maggio 2012)

È stata Melissa, figlia di Rita Muri e Massimo Bassi, una ragazza semplicemente stupenda, con una visione positiva della vita. Sorridente, affabile, simpatica, altruista: sempre disponibile ad aiutare. Divenne la giovanissima studentessa sedicenne morta intorno alle 7:42 del mattino, in seguito all’esplosione di una bomba artigianale assassina posta dinanzi all’Istituto professionale femminile “Morvillo Falcone” di Brindisi, la sua scuola. Studentessa esemplare e bravissima, tra le prime della classe e della scuola intera, la sua pagella è piena di quasi tutti 10. La psicologia era la materia che gli piaceva di più e, una volta terminate le superiori, si sarebbe iscritta all’università per frequentare il corso di laurea in psicologia infantile, per stare un domani con i bambini, per aiutarli: quegli stessi bambini che amava tantissimo. La sua tragica ed assurda morte, lasciò un dolore immenso e un vuoto incolmabile nei suoi genitori, nelle sue compagne, nei suoi concittadini e, di fatto, praticamente nell’intera nazione italiana. Un vuoto che perdura intatto e mai affievolitosi. A Mesagne le fu intitolata una via, a Copertino un parco, a Napoli una scuola e a Brindisi: l’11 gennaio 2013, fu inaugurato il “Giardino di Melissa” a pochi passi dal luogo in cui Melissa fu falciata dall’esplosione e in seguito, nello stesso anno, il parco del Cillarese, il più grande parco urbano della Puglia, divenne parco “19 maggio”. 123


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Le famiglie brindisine nell’odonomastica cittadina ABBAMONTE

LAVIANO

ALBIZZI

LEANZA

ARMEGOL

LUBELLI

BACCARO

MARANGIO

BIANCHI

MARTINEZ

BIONDO

MORICINO

CALÒ

PAGLIANO

CAMASSA

PALMIERI

CARACCIOLO

PANDI

CASIMINO

PASCALI

CASTALDO

PEDIO

CATANZARO

PIRONTI

CATIGNANO

PIZZICA

CAVALERIO

PRATO

D’AFFLITTO

RAIMONDO

D’ORIMINI

RANIERI

DEL BALZO

RIPA

DELFINO

SALMENTO

DELLA VOLTA

SALVATORE

DI GIORGIO

SANGIORGIO

DOMINICIS

SCHIENA

FERRANTE

TARALLO

FLAGILLA

TARANTAFILO

FLORENZIA

TERRIBILE

FUSCO

TOLOSANI

GALLO

TORTORELLA

GIOVIO

VACCHEDANO

GRACCHI

VAVOTICI

LACOLINA

VILLANOVA

LATAMO

VINCI

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Alcune mappe di Brindisi da:

Le Mappe di Brindisi, rassegna storica e curiosità di Gianfranco Perri su www.brindisiweb.it

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Il porto di brindisi fotografato dal satellite europeo Sentinel 2B - 7 marzo 2017

Google Earth - 2015 129


Tutto Città - 2012

18 luglio 1955 130


1941

Antonio Vallardi - 1924 131


1910

1908 132


D’Errico Santostati & Palma - 1883

Carlo Fauch - 1871 133


Jacques Nicolas Bellin - 1764

Andrés de los Coves - 1739 134


Giovanni Pacichelli - 1703

Joan Blaeu - 1663 135


Andrea Palladio - 1575

Piris Reis - 1525 136


Piris Reis - 1520 (circa) 137


Una pagina a ricordo del mio amico Mimmo Mennitti (*)

(*) pag.104 di “Gianfranco… Racconti e altro di un residente in Via da Brindisi” Lulu.com - 2012

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LE STRADE DI BRINDISI

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INDICE ALFABETICO DEI 100 PERSONAGGI Aleandro Gerolamo VIA …………………………………….…….…………….…. pag. 45 Andriani Oronzo VIA ………………………………………………….….………...…… 100 Augusto Imperatore ……………………………………………………….……….…….. 23 Assennato Felice VIA ……………………………………………………..……….….….. 94 Azzolino Pompeo VIA ……………………………………………………………….….… 42 Balsamo Grazia VIA ………………………………………………….…………….….… 101 Bassi Melissa GIARDINO ………………………………………………….………….... 123 Bettolo Giovanni VIA …………………………………………………………..…………. 84 Boetto Armando VIA ……….……………………………………………….…………… 112 Bovio Giovanni Carlo VIA …………………………………………………………...…… 48 Braico Cesare VIA ……………………………………………………………..……….…. 77 Cagni Umberto VIA …………………………………………………………………......… 88 Camassa Pasquale VIA …………………………………………………………..…….… 86 Capozziello Giovanni & Carmelo VICO …………………………………………...….... 98 Cappelli Vincenzo Andrea PARCO ……………………………………..…………….. 111 Casimiro Giambattista VIA ………………………………………………………..…..… 46 Castromediano Giovanni VIA ………………………………………………….…..…… 39 Cavalerio Enrico VIA …………………………………………………………….…….…. 40 Cavalerio Marco Antonio PIAZZA ………………………………..……………….……. 40 Cellie Benigno VIA ………………………………………………………………...……… 80 Chimienti Pietro VIA …………………………………………………………..….…….… 89 Cicerone VIA …………………………………………………………………………..…… 20 Ciciriello Ettore VIA …………………………………………………………….………… 99 Consiglio Filomeno VIA …………………………………………………………..……… 81 Crudomonte Giovanni LARGO ………………………………………………….....…… 70 Cuggiò Nicolò Antonio VIA …………………………………………………….……...… 61 De Falco Alberto & Sottile Antonio PIAZZETTA …………………………..……..… 120 De Filippis Francesco VIA …….……………………………………………………....…. 96 De Jacobis Giustino VIA …………………………………………………………..…..…. 72 De Leo Annibale VIA ……………………………………………………………....……… 67 De Marco Carlo VIA …………………………………………………………………..…… 64 De Pinedo Francesco VIA ………………………………………………...…….……… 105 De Rojas Bernardo VIA …………………………………………………………………… 60 De Roma GIuseppe VIA …………………………………………………………...….….. 79 144


De Sanctis Alfredo VIA ………………………………………………………..…..……… 90 De Vanis Jacopo VIA …………………………………………………….……………….. 47 Del Vento Giovanni PIAZZA ……………………………………………………….…… 115 Della Monaca Andrea VIA ……………………………………………………….….……. 58 D’Errico Gianni PIAZZETTA …………….……….……………...……………..……..… 119 Di Giulio Antonio PARCO …………………………………………………………….... 114 Di Summa Antonio PIAZZA ……………………………………………………….……. 102 Dionisi Engelberto PIAZZA ……………………………………………………..…..…… 82 Doldo Giuseppe VIA ……………………………………………………………….……. 108 Domenico da Brindisi VIA ………………………………………………………….……. 32 Durano Giustino PIAZZETTA ………………………………………………………..… 117 Ercole Brindisino VIA ……………………………………………………….……………. 15 Farina Matteo GIARDINO ………………………………….……………………………..122 Farinata Degli Uberti Paolo VIA ………………………………………………… ….….. 97 Fara Forni Gino VIA …………………………………………………………….………… 92 Favia Alessandro VIA …………………………………………………………….………. 83 Federico II di Svevia VIA …………………………………………………………..…..…. 33 Ferrulli Leonardo VIA …………………………………………………..……….………. 113 Flacco Lenio PIAZZALE ……………………………………………………………….…. 19 Flores Ruggero VIA ……………………………………………………………………..... 38 Fornari Ferrante VIA ……………………………………………………………….……... 49 Giaconelli Giovanni VIA ……………………………………………….….………..……. 71 Giannelli Serafino VIA ………………………………………………….………..……..… 95 Gigante Ugo Giuseppe VIA ………………………………………………………..…… 103 Gigante Vincenzo VIA ……………………………………………………………..……. 110 Glianes Ferrante VIA ……………………………………………………………...…..….. 56 Guadalupi Domenico VIA ………………………………………………………..………. 75 Guerrieri Vito VIA ………………………………………………………………………..... 69 Guglielmo da Brindisi LARGO ………………………………………………………..… 34 Lupo Protospata VIA ………………………………………………………………..……. 28 Maddalena Umberto VIA …………………………………………………….…………. 107 Maniglio Mauro PARCO…....................................................................................... 121 Margarito Da Brindisi VIA …………………………………………………………..….... 30 Marzolla Benedetto VIA ……………………………………………………...……..……. 73 Megliore Filippo Giacomo VICO …………………………………………………...…… 54 Monticelli Teodoro VIA ………………………………………………………………..…. 68 145


Moricino Giovanni Maria VIA …………………………………………………...…..…… 51 Munzani Pietro Doimo VIA ……………………………………………………….…..… 106 Pacuvio Marco VIA …………………………………………………..……………………. 17 Palma Giovanni VIA ……………………………………………………………..………... 55 Paolo IV VIA …………………………………………………………………..………...….. 44 Passante Bartolomeo VIA ………………………………………………………….……. 59 Pigonati Andrea VIA …………………………………………………………………..….. 66 Pipino Jacopo LARGO ……………………………………………………….……..……. 37 Pisanelli Giuseppe VIA ……………………………………………………….……..…… 76 Pizzigallo don Augusto LARGO ………………………………………………..……… 109 Ramnio Lucio VIA …………………………………………………………………..….…. 18 Ripalta Aroldo SALITA ………………………………………………………….……..…. 35 Rischinieri Tommaso VICO ……………………………………………………..….…… 36 Rizzo Giovanni VIA ……………………………………………………………………… 118 Rubini Raffaele VIA ………………………………………………………...……….……. 78 San Leucio VIA ……………………………………………………………………..……… 27 San Lorenzo da Brindisi VIA …………………………………………………….………. 52 San Teodoro d’Amasea PIAZZALE ……………………………………………..……… 26 Santabarbara Piertommaso VIA …………………………………………………..….… 63 Scalese Nicola VICO …………………………………………………………….….……. 62 Scarano Lucio VIA ………………………………………………………………………… 50 Schipa Tito PIAZZA ………………………………………………………………….….. 104 Scolmafora Bernardino VIA ………………………………………………….….…..….. 43 Selvaggi Bernardo VIA ………………………………………….……..…….…………... 57 Sottile Antonio & De Falco Alberto PIAZZETTA ……………………….……..…..… 120 Spagnolo Aldo VIA …………………………………………………………….…….….. 116 Strabone Lenio VIA ……………………………………………………………….…….... 22 Taccone Nicolò VIA …………………………………………………………………......... 53 Tancredi d’Altavilla VIA …………………………………………………………..…....… 31 Tarantini Giovanni VIA ………………………………………………………………..….. 74 Thaon di Revel Paolo VIA …………………………………………………………..….… 85 Tiso Oronzo VIA …………………………………………………………………….…….. 65 Titi Angelo VIA ……………………………………………………………………….……. 93 Traiano VIA POZZO …………………………………………………………………..…… 25 Urbano II VIA ………………………………………………………………..……...…...…. 29 Valeri Tommaso VIA ………………………………………………………………...….… 91 Valerio Marco VIA ……………………………………………………………….…......…. 16 Virgilio SCALINATA ……………………………………………………………..…....…... 21 146


Un grazie all’amico Giovanni Membola per la sua disinteressata collaborazione

Edizioni Lulu.com

ID: 21191595 147

www.lulu.com


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BRINDISI "filia solis" Nella parte più a nord del Salento è situata Brindisi, città antichissima crogiolo di culture e teatro di vicende entrate a buon diritto nei manuali della grande storia, città nobile e antica che secondo alcuni si dovrebbe chiamare Brunda. È noto a tutti che questo nome significa testa di cervo, non in greco o latino, ma in lingua messapica, il porto di Brindisi ha infatti la forma di una testa di cervo, le cui corna abbracciano gran parte della città. Il porto è famosissimo in tutto il mondo e da ciò nacque il proverbio che indica essere tre i porti sicuri della terra: Junii, Julii et Brundusii. La parte più interna del porto è cinta da torri e da una catena; quella più esterna la proteggono gli scogli da una parte e una barriera di isole dall'altra: sembra l'opera intelligente di una natura burlona, ma accorta. La costa, che dal monte Gargano fino a Otranto è quasi rettilinea ed incurvata in brevi tratti, nei pressi di Brindisi si spacca ed accoglie il mare, formando un golfo che si insinua nella terra con uno stretto delimitato, come già detto, dalle torri e dalla catena. Un tempo, questa stretta imboccatura era profondissima e poteva essere attraversata con navi di qualsiasi grandezza. Da questo stretto, il mare si riversa per un lungo tratto dentro la terraferma attraverso due fossati naturali che circonvallano la città; è sorprendente, soprattutto nel corno destro, la profondità del mare che in qualche punto, dicono, supera i venti passi. La città ha all'incirca la forma di una penisola, tra i due bracci di mare. Sul corno destro, ha una fortezza di straordinaria fattura, costruita con blocchi di pietra squadrata per volere di Federico II, e poi ha il castello Alfonsino, il Forte a mare dei brindisini. Brindisi è cresciuta sul più orientale porto d'Italia che ne ha determinato il destino. Le colonne terminali della via Appia, specchiandosi dall'alto della loro scalinata nelle acque del porto interno, vigilano su quella che la tradizione vuole come l'ultima dimora di Virgilio. E poi Brindisi cela tantissimi altri frammenti di storia, le cui testimonianze sono ancora leggibili nel tessuto urbano, attraverso itinerari che si devono percorrere per ammirare l'eleganza dei suoi numerosi palazzi, le maestose dimore dei Cavalieri Templari, la ricchezza del suo patrimonio chiesastico e da ultimo, per scoprire l'essenza autentica della città che il grande Federico II definì "filia solis", esaltando la mediterranea solarità di questo straordinario avamposto verso l'Oriente.

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