Futura 9 maggio 2024

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Anno 20

9 maggio 2024

Periodico del Master in giornalismo “Giorgio Bocca” - Università di Torino

CONFLITTI I reporter di guerra si salvano con la rete

Borghese e Ranaldi | P2

PRIMA LINEA

La testimonianza di Capuzzi e Battaglia

Borghese e Ranaldi | P3

IDEE

Come tutelare il giornalismo d’inchiesta

Bambini | P4

FUTURO

L’umano alla sfida dell’intelligenza artificiale

Usan| P5

APPUNTAMENTI

La nostra selezione per il Salone del libro

Gastaldo e Mellano| P6

Quel che sarà del giornalismo

#8
FOTO DI MARTA BORGHESE FUTURA RACCONTA LA SUA ESPERIENZA AL FESTIVAL DI PERUGIA

LE NOTIZIE DAI FRONTI DI CONFLITTO

Depistaggi e minacce: i reporter di guerra si salvano con la rete

Scavo: «Le fonti

sono importanti, la verifica è difficile»

I130

I giornalisti uccisi a Gaza dall’inizio del conflitto

99

I giornalisti uccisi nel mondo nel 2023

33%

I casi di attacchi a giornalisti che provengono da privati

n gergo militare le chiamerebbero “False flags”, operazioni di intelligence condotte sotto falsa identità e nascondendo i veri scopi dell’azione. Depistaggi, messaggi-trappola, minacce. Comunicazioni dalle quali un reporter di guerra passa gran parte del tempo a difendersi. Succede nelle aree di crisi, dove, secondo l’European federation of journalist, sempre più spesso i giornalisti vengono convocati o perquisiti dalle agenzie di sicurezza. Ma succede anche nella democratica Europa, dove a preoccupare è l’uso illegale di spyware. Accade a giornalisti come Nello Scavo, inviato di Avvenire, che riceve quotidianamente messaggi da sedicenti migranti che chiedono informazioni sul passaggio delle navi delle Ong: sono in realtà tentativi delle autorità libiche di provare ciò che non riescono, cioè che il tramite tra migranti e organizzazioni non governative siano i giornalisti. «E accade soprattutto alle donne - chiude Julie Possetti, ricercatrice dell’International center for journalists -, che tendono ad affrontare minacce online maggiori e sono eccessivamente sessualizzate». Essere un reporter internazionale vuol dire anche questo: sapersi muovere tra le trappole, riconoscendo nel mezzo le notizie vere e verificandole. Un panorama stravolto negli ultimi dieci anni, quando le fonti tradizionali sono state affiancate dal contributo diretto di molti cittadini che riprendono ciò che accade con i propri smartphone. «Il “citizen journalism” è una grande fonte di informazione - conferma il corrispondente di guerra Nello Scavo, che per il suo lavoro d’inchiesta sul traffico di armi, petrolio ed esseri umani tra Libia e Europa è finito sotto protezione, con il rischio (sventato) di dover trasferirsi all’estero con la propria famiglia -. Più complicata però è la verifica». Si tratta di una questione cruciale nel caso di Gaza, dove ai giornalisti internazionali non è consentito l’accesso se non con la scorta dell’esercito israeliano, per un numero limitato di ore e di chilometri di profondità. «Il confine tra l’essere in sicurezza e l’essere controllati è molto labile - spiega Scavo - e il fatto che tutte le informazioni dalla Striscia arrivino da giornalisti gazawi, molti dei quali diventati reporter con l’inizio della guerra, fa sì che la propaganda possa mettere in dubbio tutto».

SUL CAMPO

In alto, Nello Scavo in Ucraina Sotto, con Abu Mazen

Per l’International center for journalists le donne sono più esposte

online Sopra: Laura Silvia Battaglia ad Al Kut, in Iraq, con uno sheik del

Secondo i dati pubblicati a marzo da Reporters Without Borders, sono 103 i giornalisti uccisi a Gaza dall’inizio del conflitto, 130 secondo il sindacato palestinese. Molti di loro erano dotati di tutti i dispositivi di

riconoscimento e, anche per Scavo, «sono stati deliberatamente colpiti dai cecchini, in una zona di guerra in cui non si vogliono testimoni indipendenti». «E se questi giornalisti fossero stati israeliani o americani?» si chiede la portavoce del sindacato dei giornalisti palestinesi Shuruq As’ad, intervenuta a Perugia. È su quella domanda che si schiantano le questioni etiche vissute da chi lavora sul campo, che passano anche dall’uso del linguaggio. «Molti usano parole come “neutralizzazione”, che non fanno riferimento al sangue - conferma Paola Caridi, presidente dell’associazione di giorna-

listi indipendenti Lettera 22 -, così però il focus si sposta da chi viene ucciso al lettore che non sopporta la brutalità». Ciononostante la comunità internazionale si mobilita e il giornalismo continua a fare la sua parte. «Senza la pretesa velleitaria di poter cambiare il mondo - prosegue Scavo -. Chi fa questo mestiere deve avere un fortissimo senso del limite e il mio, che ritengo già molto ampio, sono i fatti e le notizie». Un limite entro cui ci si muove soprattutto facendo rete. «Aiuta ad avere un punto di vista globale - chiudee fa capire che non basta colpire un singolo per fermare le notizie».

L’esilio non silenzia i giornalisti dissidenti

Mguerra non ama il giornalismo

Salute mentale: Cpj ha aiutato 96 persone nel 2023

Restare anonimi per lavorare in sicurezza

entre la Russia chiude i media indipendenti e introduce la censura totale, ribadisco la disponibilità della Lettonia a ospitare i giornalisti russi perseguitati e ad aiutarli in ogni modo possibile», aveva twittato il ministro degli Esteri del Paese Edgars Rinkēvičs nel marzo 2023. Da allora, un esercito di giornalisti dissidenti si è radunato a Riga per sopravvivere alla censura e agli abusi perpetrati da Mosca. La Lettonia è diventata un hub di redazioni russe che continuano a fare informazione dall’estero. Ma non è la sola: anche nel SudEst asiatico quella dei giornalisti in esilio è una sfida che mette a dura prova la libertà di informazione. È il caso di Aye Chan Naing di Democratic Voice of Burma. «Quando me ne sono andato ho

iniziato a vivere la lotta da fuori», ha detto il vincitore del Cpj International Press Freedom Award del 2021 al Festival del giornalismo di Perugia. Naing ha raccontato per vent’anni le vicende dei regimi militari, poi la transizione democratica, e infine il terzo golpe birmano dall’indipendenza. «Ogni giorno sei fisicamente in un paese, mentalmente in un altro». La clandestinità è una condizione necessaria per poter continuare a lavorare in sicurezza, ma il prezzo da pagare per i giornalisti in esilio è molto alto. «I reporter non hanno molto, ma almeno hanno un nome», ha affermato con una certa amarezza Maria Epifanova, co-fondatrice e ceo di Novaya Gazeta Europe. «Dall’inizio della guerra molti hanno dovuto rinunciare al proprio nome e adottare uno pseudonimo: è stato molto doloroso». Novaya

Gazeta ha cercato di rimediare all’isolamento organizzando incontri tra i giornalisti dissidenti. «Non possiamo sostituirci ai terapisti - ha detto Epifanova -, quello che possiamo fare è aumentare le risorse e organizzare questi eventi». Per quanto nobile, l’impegno di chi continua a fare questo tipo di informazione ha un impatto sulla salute mentale individuale che non può essere ignorato. Il supporto ai giornalisti in esilio è cresciuto del 227 per cento tra il 2020 e il 2023, ha spiegato Catalina Cortés, vicedirettrice delle emergenze del Committee to Protect Journalists (Cpj). Dal primo giornalista supportato nel 2020, si è passati a 28 nel 2021, poi a 96 nel 2022, numero che è rimasto stabile fino al 2023. Il lavoro del Cpj continua anche nel 2024: dall’inizio di quest’anno ne sono stati coinvolti già 43.

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• La
libero ••
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DONNE REPORTER E MINACCE ONLINE ai rischi petrolio nel 2012
IN
di
Ranaldi DALL’EUROPA ORIENTALE AL
ASIATICO
CREDIT: LAURA SILVIA BATTAGLIA AL-JALAL
NUMERI
Agnese
SUD-EST
IN SINTESI
CREDIT: NELLO SCAVO CREDIT: NELLO SCAVO

VISIONI A CONFRONTO

GIORNALISTE IN PRIMA LINEA

Lucia Capuzzi e Laura Silvia Battaglia al-Jalal raccontano come si lavora sui fronti “caldi”

LO SGUARDO

FEMMINILE

IN GUERRA

Lucia Capuzzi spiega il mestiere tra rivoluzioni e compromessi

«Le donne non sono vittime ma autrici del cambiamento»

REPORTAGE

DALLE AREE

DI CRISI

Laura Silvia Battaglia al-Jalal a Mosul, in Iraq, uno dei territori in cui ha lavorato di più, nel 2017

«Freelance come monadi isolate Mai girarsi dall’altra parte»

di Agnese Ranaldi di Marta Borghese

Da Gaza a Kabul, il lavoro di un’inviata di guerra è un’opera di delicato compromesso: tra chi scrive e chi legge, chi racconta e chi è raccontato. La chiave con cui si confezionano le storie sull’estero è una responsabilità, ma può anche servire il difficile obiettivo del cosiddetto “impact journalism”, che si propone di costruire consapevolezza intorno a un tema importante. Come la pace, in periodi di conflitto. O come la giustizia di genere in regimi illiberali come quello dei taliban. «L’impatto del lavoro giornalistico non è qualcosa che si mostra immediatamente. Si può arrivare a una risposta per negazione: cosa accade quando le guerre non vengono raccontate?».

Così Lucia Capuzzi, inviata in Medio Oriente per Avvenire.

Cosa succede se non ci sono osservatori sul campo?

«Che le guerre tendono a durare tantissimo. Diventano croniche, con un numero delle vittime enorme e violazioni dei diritti umani. La presenza della stampa aiuta a fare da freno alla violenza. A Gaza, c’è una guerra che si consuma da mesi senza la presenza di giornalismo internazionale e i locali stanno pagando un prezzo altissimo. Il giornalismo rompe muri di gomma».

Che rapporto hai con il pregiudizio, quando racconti di Esteri?

«Ognuno di noi ha dei pregiudizi, la cosa fondamentale è essere onesta e raccontare il frammento. Per me,

una cosa fondamentale, è riuscire trovare una chiave di empatia. Questo mi aiuta a entrare in contatto anche con la persona a cui sto raccontanto, oltre che con le persone che racconto. Da una parte bisogna evitare di dare cose per scontate, dall’altra chiarire i fondamenti ma senza fare la lezione a nessuno».

Quando si parla di sud globale, il giornalismo cade nella retorica della donna vittima. Che ne pensi?

«L’Afghanistan è un caso estremo. Di fatto a una metà della popo-

«IN AFGHANISTAN LE DONNE

FANNO LA RESISTENZA. E IN GUERRA TUTTI SONO SCONFITTI»

lazione non vengono riconosciuti i diritti fondamentali. Oltre a parlare di un Paese del sud del mondo, musulmano, considerato cattivo verso le donne, spesso si racconta la condizione femminile parlando di vittime. Non si raccontano le donne e quando sono protagoniste di un cambiamento. Ci si dovrebbe concentrare sulla donna come resistente e valorizzare il coraggio di chi disputa spazi e li conquista con fatica. L’Afghanistan insegna che le donne hanno una fortissima capacità di resistenza. E qual è l’assurdità della guerra? Che tutti sono vittime. Gli stessi taliban, se uno li vede al di là del pregiudizio della retorica, sono ragazzini cresciuti in campi profughi e indottrinati senza premure e con mitra in mano. Non hanno visto altro che generazioni di guerra».

Yemen, Iraq, Medio Oriente. Laura Silvia Battaglia al-Jalal racconta le aree di crisi da 17 anni e lo fa muovendosi da reporter freelance, collaborando con testate italiane ed estere. Si è guadagnata sul campo, quando le donne reporter erano una rarità, il rispetto nelle redazioni e racconta la professione come chi ama ciò che fa, ma con disincanto. «Spesso i freelance sono monadi isolate - com-

«NON MI HANNO DISCRIMINATA

SUL CAMPO, IL MANSPLAINING

È IN REDAZIONE: ORA SI CAMBIA»

menta - Ho visto gente abbandonare i colleghi per viltà e paura e non deve più accadere».

Come sta cambiando questa professione?

«Intanto sta cambiando il modello di business, per cui negli ultimi 15 anni i liberi professionisti sono aumentati moltissimo. Si cerca ovviamente di massimizzare la resa dei servizi realizzando contemporaneamente articoli, podcast, video, materiale social. Un lavoro non eccessivo nella quantità, ma che rischia di rendere il professionista meno concentrato e meno attento a ciò che accade intorno».

C’è stata una svolta?

«È una tendenza, ma la guerra in Ucraina, dove non servono partico-

lari visti per l’accesso, ha aperto le frontiere a molte persone non adeguatamente formate sulla sicurezza o non assicurate. In queste zone, però, le cose gravi succedono».

A proposito di visti. Sono in un certo senso strumenti di potere, di controllo, su cui lei ha posto anche un tema etico.

«È così. Prima di tutto perché se si accede a un fronte di guerra grazie al visto di uno Stato poi di solito non si riesce a prendere il visto per “l’altro lato”. Significa osservare sempre dallo stesso punto di vista, ed è fortemente limitante. Poi, in Paesi come lo Yemen, dove i conflitti sono interni, attraversare un confine dal sud al nord costa anche 7 mila euro: si taglieggiano i giornalisti, li si sottopone a controllo e i ricavati alimentano il conflitto».

Reporter donna dalle aree di crisi e in Medio Oriente. Si è mai sentita vittima di pregiudizi o discriminazione?

«Sul campo mai. Ho sempre lavorato in zone su cui avevo competenza e l’essere donna mi ha aperto anche spazi tradizionalmente chiusi agli uomini. Ora le professioniste sono molte di più, ma la cosa più importante è che sta cambiando la sensibilità nei confronti dell’atteggiamento mobbizzante verso le donne che ho visto e subito all’interno delle redazioni: sono quelli i luoghi di vero mansplaining. Credo che le cose cambieranno in una decina d’anni, con l’accesso alle direzioni da parte di più donne. In questo gli anglosassoni sono già molto più avanti».

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CREDIT: LAURA SILVIA BATTAGLIA AL-JALAL CREDIT: LUCIA CAPUZZI

Le idee per salvare chi fa inchiesta

DIN NUMERI

545

milioni il budget di ProPublica

5 i giornalisti alle dipendenze del redattore senior

2

gli arrestati per i fatti di piazza Fontana

are più spazio alle minoranze, formare le nuove generazioni e cullare un senso di comunità. Sono questi gli argini per salvare il giornalismo investigativo nei prossimi anni. Rozina Breen, direttrice e ceo di The Bureau of Investigative Journalism, Ron Nixon, VP News dell’Associated Press e Tracy Weber, direttrice di ProPublica, al festival internazionale del giornalismo di Perugia hanno parlato proprio di questi temi.

La prossima sfida del giornalismo investigativo è costruire una comunità e raggiungerla con mezzi ibridi. Un po’ digitali, un po’ tradizionali.

Un esempio lo fornisce Weber, che con ProPublica conta ormai un centinaio di giornalisti su tutto il territorio statunitense e può contare su un budget di 545 milioni di dollari, provenienti da crowdfun di piccole donazioni.

NON BASTA LA LAUREA

Secondo Rozina Breen, per fare giornalismo investigativo servono abilità nello storytelling, un lungo background di investigazione alle spalle e creative risk nella costruzione di una storia. Una laurea, invece, non è un’esclusiva di competenze e abilità.

Per salvaguardare il futuro del giornalismo investigativo, secondo Ron Nixon, bisogna «allargare il bacino di riferimento da cui attingere il talento, che resta la cosa più importante. Dobbiamo guardare oltreoceano, alla diversità dei redattori, aprendo alle donne, giovani da fermare e persone nere».

INCHIESTE ANNI ‘70

Benedetta Tobagi e Paolo Biondani a confronto

E aggiunge: «Se noi non salviamo questo ambito del giornalismo, nessun altro lo farà. Il racconto del mondo passa da noi e le prossime generazioni di giornalisti investigativi non possono essere abbandonate a sé stesse».

All’interno di una redazione dedita al giornalismo investigativo, la figura più complessa, secondo Tracy Weber, è quella del redattore senior. Sotto di lui ci sono cinque o sei giornalisti, ognuno dei quali porta avanti un progetto rischioso e stressante.

Alison Fitzgerald Kodjak, vicedirettrice di ProPublica e moderatrice dell’evento, fa un appello. Secondo lei, per salvare il giornalismo investigativo bisogna guardare avanti con «coraggio, passione e affidabilità. È costoso, ci vuole tempo ed è

«IMMAGINI, VIDEO E SOCIAL POSSONO FORNIRE LE PROVE PER FAR EMERGERE LA VERITÀ»

BENJAMIN STRICK DIRETTORE DEL CIR di N.B.

In Italia, nel 2023, solo il 2,7% delle notizie delle principali testate aveva a che fare con la crisi ambientale. Per quel che riguarda i telegiornali, la percentuale scende al 2,3%. «La crisi ambientale è entrata nel giornalismo italiano, ma il fenomeno non è rappresentato come un’emergenza destinata a durare» spiega Ferdinando Cotugno.

E poi «non vengono spiegati quali sono i veri responsabili della crisi: i combustibili fossili e le compagnie petrolifere» denuncia Giancarlo Sturloni.

I movimenti ambientalisti stanno accendendo i riflettori su un dibattito sempre più vivace, ma se da una parte viene riconosciuta alla loro protesta un valore fondamentale, dall’altra si assiste a una giustizia repressiva: molti attivisti, infatti, ven-

gono minacciati o, nel peggiore dei casi, imprigionati.

IA E DISINFORMAZIONE

Il festival internazionale del giornalismo di Perugia ha dato voce a queste preoccupazioni. Il giornalista di El Pais Miguel Angel Medina ha detto che «la polizia europea considera l’attivismo climatico come qualcosa di pericoloso». E poi ci sono gli effetti del negazionismo e della disinformazione. Gran parte delle fake news sul tema vede la collaborazione di chi trae profitto dall’inquinamento, soprattutto le compagnie petrolifere e le aziende inquinanti.

Anche l’intelligenza artificiale può produrre disinformazione. «Indagando sulla disinformazione contro le energie rinnovabili, abbiamo scoperto che in Australia c’è un giornale scientifico che diffonde notizie contro la transizione interamente

realizzato con l’intelligenza artificiale» aggiunge la giornalista Amy Westervelt.

La giornalista argentina Florencia Ballarino mette nel mirino pure la politica, e in particolare il presidente argentino Javier Milei, che ha più volte negato il problema nonostante il fatto che nel suo paese molte persone soffrano a causa della crisi climatica.

Ma non tutto è perduto. I nuovi media possono rappresentare un aiuto per combattere sia la crisi, sia la disinformazione. Il giornalista scientifico Adam Levy parla di un vuoto che deve essere riempito. Il problema è come riempirlo: «È entusiasmante quando i giornalisti vengono e incontrano il pubblico dove si trova. Questo spesso capita con le nuove forme di media, che siano YouTube oppure piattaforme basate sul testo come Twitter».

stressante e non va incontro ai ritmi dei quotidiani».

Al Festival è stata ospite, tra le altre, anche la giornalista d’inchiesta americo-filippina Maria Ressa, premio Nobel per la Pace nel 2021 per la sua attività a difesa della libertà d’espressione.

Ressa si è sempre battuta per la libertà d’informazione, ma sul futuro non si dice ottimista, e racconta di un mondo nel quale la democrazia e la libertà di stampa affrontano condizioni sempre più avverse.

GLI ANNI DI PIOMBO

Alla kermesse era presente anche Benjamin Strick, direttore dell’Investigation Centre for Information Resilience (Cir) realtà che collabora con i giornalisti inviati nelle zone di guerra in tutto il mondo.

Secondo Strick, oggi gli strumenti in mano al giornalismo d’inchiesta sono le immagini, i video e i social media, che possono rappresentare la prova schiacciante per far venire a galla una storia.

Paolo Biondani, giornalista dell’Espresso, e la scrittrice Benedetta Tobagi, figlia di Walter Tobagi, vittima innocente di quegli anni, hanno parlato delle inchieste giornalistiche in Italia durante gli anni di piombo. Il primo banco di prova è stata la strage di piazza Fontana a Milano. La versione ufficiale portò all’arresto di due anarchici: Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli. Quest’ultimo morì cadendo da una finestra della questura mentre veniva interrogato. Ma Giuseppe Panza, Camilla Cederna e Corrado Stajano decisero di iniziare a lavorare in squadra per far emergere la verità e la matrice “nera” della strage.

LE INSIDIE DEI SOCIAL

Ma anche sui social possono esserci delle insidie: «Parlare di clima - racconta Amy Westervelt - può essere rischioso, si possono subire attacchi personali. L’industria dei combustibili fossili può inserirsi nei programmi scolastici di tutto il mondo».

Proprio le scuole devono orientarsi verso una tipologia di solution journalism: «A New York - dice il professore di giornalismo locale della Columbia University Juan Manuel Benítez - abbiamo messo in atto una serie di lavori innovativi in cui gli studenti sono parte del processo di progettazione».

Per vecchi e nuovi media, sul cambiamento climatico la chiave sta nella ricerca del giusto equilibrio, presentando la complessità del problema e le possibili soluzioni. Qui, i pionieri del cambiamento hanno un’arma in più: i nuovi strumenti e i nuovi linguaggi, se combinati al sapere scientifico, possono aiutare a fare un giornalismo di servizio e capace di trovare risoluzioni.

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La
tv
ibridi
donne,
crisi climatica è una emergenza ma trova poco spazio su giornali e
Il futuro secondo Nixon: «Mezzi
e ricerca di talenti tra
giovani e minoranze»
CAMBIAMENTI CLIMATICI Le proteste degli attivisti CREDIT: RICCARDO BESSONE CREDIT: PEXELS

Giornali e Ai, la sfida è aperta

L’intelligenza artificiale rischia di ricavare le notizie da fonti non attendibili

L‘intelligenza artificiale cambierà il giornalismo in futuro?

«Sicuramente sarà più difficile fare le verifiche sulle notizie. Molti errori, come le immagini irrealistiche, sono stati risolti, i generatori sono stati migliorati, ci sono meno difetti. L’apprendimento automatico, però, non sta crescendo alla velocità prevista, si verificano ancora molte imprecisioni» commenta Joscha Weber, responsabile del Dw Fact-checking. Secondo un sondaggio di Unesco-Ipsos circa l’85 per cento degli utenti è preoccupato dell’impatto della disinformazione sui propri concittadini e sulle elezioni nei propri Paesi. Di fronte a questi scenari il mondo dell’informazione sta cercando di implementare sempre maggiori strumenti di verifica, anche a fronte della crescente sfida rappresentata dall’intelligenza artificiale. E cosa succederà nel prossimo futuro?

ALLE ELEZIONI

Nel 2024 andranno al voto oltre 4 miliardi di persone. Questa potrebbe essere l’occasione per verificare per la prima volta gli effetti della Ai in politica. E al Festival di Giornalismo di Perugia se ne è parlato. Già in passato questi strumenti, tra cui Chat Gpt, sono stati utilizzati per le campagne elettorali (per esempio in Argentina), ma in maniera limitata. Oggi le invece le possibilità sono infinite. In Slovacchia, prima delle elezioni del 2023, è stato diffuso un audio, generato con l’intelligenza artificiale in cui il principale candidato progressista Michal Simecka discuteva con una giornalista, facendo riferimento a voti della minoranza rom che il suo partito avrebbe acquistato. Il contenuto è diffuso online appena prima del silenzio elettorale: i media, quindi, non hanno modo di smascherare la fake news. Negli Stati Uniti, durante le primarie democratiche in New Hampshire, una robocall, una chiamata che invia un messaggio attraverso un software, invitava, usando la voce di Biden, a non votare perché questo avrebbe aiutato i repubblicani. Questi sono alcuni esempi di come la nuova tecnologia è stata utilizzata nella corsa alle urne. Vivian Schiller, direttrice di Aspen Digital, esprime la sua preoccupazione: «È evidente che oggi sono messe in campo molte sperimentazioni. Contemporaneamente, diventa sempre più difficile studiare cosa sta accadendo, perché le tech platforms hanno tagliato le risorse economiche e umane incaricate di controllare la sicurezza e l’affidabilità dei loro prodotti». A questa crescente difficoltà, si aggiunge un’incongruenza di fondo delle aziende. Come osserva Maria

LE FAKE NEWS

In vista delle elezioni del 2024 dilaga la paura di notizie false

«Se stai facendo giornalismo sei un giornalista, a prescindere dallo strumento»: così Jack Kelly, fondatore e Ceo di Tldr News, è intervenuto al Festival internazionale di giornalismo a Perugia.

Attrarre la Gen Z è il suo principale obiettivo e per farlo segue un solo principio: chiedere alla community cosa vogliono vedere, interagire con il pubblico e ascoltare le critiche, senza pretendere di sapere già tutto. «Per questa generazione sono importanti valori come autenticità e trasparenza» spiega. Si inizia dagli argomenti, chiedendosi cosa potrebbe interessare alle persone. L’obiettivo è trovare un equilibrio tra ciò che è importante e ciò che è interessan-

te. «Non importa qual è il livello di ognuno - continua Kelly -, noi ci proponiamo di soddisfare tutti rendendo attraente ogni storia, anche quelle più asciutte. Fondamentali sono i primi cinque secondi, che determinano se l’utente guarderà il video fino alla fine o meno. Vogliamo creare dei contenuti che siano accessibili alla Gen Z e in generale a tutti, stando quindi attenti alle linee guida» «Una sfida di non poco conto che, per essere superata, dovrà essere affrontata tenendo in considerazione i cambiamenti nel consumo delle informazioni da parte dei nuovi lettori», conclude.

Ressa, ceo e direttrice di Rappler, molte di loro negli ultimi mesi hanno dichiarato che vieteranno l’uso dell’Ai durante le elezioni, in primis negli Stati Uniti. Eppure, in molti paesi i politici ne hanno o ne stanno facendo uso già ora. È il caso dell’India: «Oltre un milione di giovani sono usati da quella che viene chiamata la cella informatica del governo per generare tonnellate di disinformazione», denuncia Ritu Kapur, cofondatrice e Ceo di Quintillion Media.

DATA JOURNALISM E AI

E poi c’è il data journalism. Oggi trovare un modo per accedere a dati di qualità è diventata una priorità del settore. E quindi: l’intelligenza artificiale potrebbe essere una risposta? Forse non ancora. Dal sondaggio dell’European Journalism Center, l’accessibilità ai dati di qualità è passato al 65% nel 2023, a fronte del 63% dell’anno precedente. Le altre sfide dei giornalisti che trattano i dati sono l’ausilio dell’Ai, l’uso di dataset efficienti e l’adozione dei dati come supporto alle storie. Come ha poi spiegato Niamh McIntyre, giornalista del Bureau of Investigative Journalism: «Le social media company hanno ristretto negli anni l’accessibilità ai dati per motivi di privacy. Per creare storie efficaci, serve combinare abilità con innovative tecniche di reporting». Una partita, quindi, ancora tutta da giocare.

Nel 2019 i video brevi sono diventati virali e portavano un sacco di traffico. Per i giornali è stato difficile fare contenuti di massimo tre minuti, poiché sintetizzavano troppo le notizie. Da quel momento abbiamo iniziato a incolparci a vicenda perché avevamo una visione diversa del mondo: il giornalismo guarda alla democrazia e Facebook ai soldi». Jesper Doub è l’ex direttore delle partnership internazionali per le notizie presso Facebook e Meta. In prima persona ha visto come il mondo dei Big Tech è diventato sempre più fondamentale per i quotidiani, e soprattutto per i loro bilanci, di tutto il mondo. Ma dalla pandemia i rapporti si sono incrinati, fino ad arrivare all’apice lo scorso ottobre, quando Google aveva minacciato di bloccare i siti di informazioni canadesi sul suo motore di ricerca, in risposta alla nuova legge che impone ai giganti digitali di pagare i media per la condivisione dei loro contenuti. «Il conflitto è diventato troppo pesante, ormai è quasi una questione religiosa». commenta Madhav Chinnappa, ex direttore dello sviluppo dell’ecosistema delle notizie presso Google e consulente digitale. «Arriveremo a un punto in cui non potremmo più evitare un dialogo tra le parti - incalza al Festival del giornalismo di Perugia -. Le piattaforme dovranno farsi delle domande di carattere civico sulla democrazia, anche se è difficile valutare il valore economico di una notizia». Ma la situazione non riguarda solo Google: «Tra il 2012 e il 2018 le piattaforme e i giornali hanno vissuto un’età dell’oro - racconta Doub - i siti d’informazione hanno creato un sacco di traffico e hanno ricevuto gratuitamente i benefici dalle piattaforme. Oggi la situazione è diametralmente opposta». Ma nel mondo del giornalismo c’è anche un prima e un dopo l’acquisto di X, da parte di Elon Musk. La reporter Aaron Rupar è stata bannata dall’ex Twitter per una sua inchiesta: «Sono diventata un obiettivo poco dopo la pubblicazione dell’indagine e questo non ha fatto altro che confermare i risultati che avevamo trovato». Solo un esempio di un fenomeno che sta dilagando sulla piattaforma di Elon Musk.

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di T. U.
CREDIT: PIXABAY CREDIT:: PIXABAY CREDIT: THOMAS USAN
ALLE
L’INFORMAZIONE È
PRESE CON UN FUTURO INCERTO
Big Tech contro i quotidiani: i soldi al centro SOCIAL VS MEDIA
Jesper Doub e Madhav Chinnappa «La GenZ ci chiede autenticità e trasparenza» L’INTERVENTO DI JACK KELLY (TLDR NEWS)

SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO

GLI APPUNTAMENTI

a cura di Eugenia Gastaldo

La lectio di Elizabeth Strout

La figura di una donna immagina ria da cui nascono nuove idee e pensieri è il simbolo del Salone del libro 2024, che si terrà dal 9 al 13 maggio a Lingotto Fiere, a Torino. Il femminile sarà uno dei fili conduttori di quest’anno: Elizabeth Strout, premio Pulitzer, aprirà

la manifestazione con una lezione inaugurale sulla letteratura che parlerà delle donne e del loro spazio nel mondo. Una parte sarà dedicata al racconto della propria carriera attraverso i ricordi, gli incontri, i libri della giovinezza e la fatica della scrittura

Tutta la vita davanti…

Le condizioni dei giovani detenuti nella carceri italiane verranno presentate dal rapporto Prospettive minori. All’evento saranno in dialogo tra di loro il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, la responsabile del rapporto Susanna Marietti con il

presidente della Cei Matteo Maria Zuppi e Silvia Avallone, autrice italiana. Nel suo ultimo libro Cuore nero, Avallone riflette proprio sulle carceri minorile, la giustizia italiana, la possibilità di recupero degli adolescenti e la vita dopo la reclusione.

vite e storie dell’arte

Come si scrive un romanzo che ha per protagonista la pittrice per antonomasia, della quale tutti credono di sapere tutto?

La scrittrice italiana Melania Gaia Mazzucco, curatrice della sezione arte del Salone, ne parla con Alexandra Lapierre, autrice francese

di biografie e romanzi incentrati su grandi personaggi dimenticati della storia. Tra questi, soprattutto figure femminile non convenzionali, legate al mondo dell’arte (e non solo), acclamate e controverse, come Artemisia Gentileschi e Bella Greene.

In uscita con il suo primo romanzo, l’attivista italo-iraniana Pegah Moshir Pour racconta l’Iran a pochi mesi dalle ultime elezioni parlamentari che, registrando l’astensione più alta dall’anno della rivoluzione del ‘79, sono state vin te dagli ultra conservatori. Nell’incontro

il Volto delle ragazze Moshir Pour, con l’antropologa Sara Hejazi e Barbara Stefanelli, giornalista del Corriere della Sera, racconta come la lenta rivoluzione delle donne abbia iniziato in Iran un profondo mutamento sociale nella Repubblica islamica.

Come nasce l’amicizia tra i popoli

Solidarietà internazionale e amicizia tra popoli: due studenti palestinesi che studiano all’Università di Medicina di Cuba raccontano la loro esperienza. All’evento Italia, Palestina, Cuba e l’amicizia tra i popoli, dialogheranno con Michele Curto, presidente dell’Agenzia per l’interscambio culturale ed economico con Cuba, su come favorire il dialogo tra giovani per diffondere le esperienze passate e presenti di internazionalismo, un modello differente di relazioni internazionali. Nell’incontro verranno

discusse la situazione umanitaria a Gaza e il ruolo di Cuba in appoggio alla causa palestinese richiamando le storiche parole del presidente cubano Fidel Castro “Médicos y no bombas”. La frase venne pronunciata da Castro durante un discorso sulla scalinata della facoltà di giurisprudenza a Buenos Aires, il 26 maggio del 2003. L’Instituto cubano de amistad entre los pueblos, parte dell’evento, a ottobre aveva già ribadito la condanna di Cuba per il bombardamento indiscriminato della popolazione civile.

IL COLOPHON

Futura è il periodico del Master in Giornalismo

“Giorgio Bocca” dell’Università di Torino

Registrazione Tribunale di Torino

numero 5825 del 9/12/2004

Testata di proprietà del Corep

Direttore Responsabile: Marco Ferrando

Segreteria di redazione: Sabrina Roglio

Progetto Grafico: Nicolas Lozito

Impaginazione: Federica Frola

Il padiglione 2 accoglie i più giovani

di Federico Mellano

Eper i più giovani? Un’intera sezione del Salone, collocata al fondo del padiglione 2, sarà proprio per loro, con il Booklab dedicato alla formazione e costruito in sinergia con la Camera di commercio di Torino. Novità di questa edizione sarà la biblioteca scolastica, grazie alla collaborazione con il ministero dell’Istruzione, con il quale è stato siglato un protocollo d’intesa. Nel Bookstock si svolge anche gran parte della programmazione di “Educare alla lettura”, il progetto condiviso con il Centro per il libro e la lettura. Dal 2020 la sezione si struttura in due aree distinte: l’area 0-13, per le scuole e le famiglie, e l’area 14+, per i giovani lettori accompagnati dagli insegnanti o in visita con gli amici. Al centro del Bookstock, invece, la grande piazza e l’arena da oltre 300 posti.

A caratterizzare visivamente gli spazi, l’intervento del Dipartimento educazione del castello di Rivoli Museo d’Arte contemporanea, che ogni anno reinterpreta il tema dell’edizione. Il Bookstock è anche lo spazio del Salone nel quale la fondazione Compagnia di San Paolo si dedica a raccontare il proprio impegno per il bene comune. In questa edizione, in collaborazione con altri enti, proporrà alle scuole, ai bambini, ai ragazzi e alle famiglie attività laboratoriali e ludiche che affrontano molti dei grandi nodi del nostro tempo, per offrire in modo giocoso ai loro “cuori selvaggi” occasioni di apprendimento e riflessione che li accompagneranno nella costruzione del loro futuro. Tra i vari enti saranno presenti la fondazione per la scuola, con Riconnessioni e il Consorzio Xkè? Zerotredici con Xkè? Il laboratorio della curiosità e Spazio Zerosei. L’obiettivo è quello di educare a esperienze culturali che possano avere un impatto decisivo sulla formazione e la crescita delle nuove generazioni.

Redazione: Chiara Bagnalasta, Niccolò Bambini, Riccardo Bessone, Marta Borghese, Elena Brizzi, Teresa Cioffi, Chiara Comai, Ilaria Ferraresi, Eugenia Gastaldo, Micol Maccario, Simone Matteis, Federico Mellano, Cinzia Raineri Djerbouh, Agnese Ranaldi, Matteo Rossi, Franco Luigi Sani, Alberto Santonocito, Marialaura Scatena, Giovanni Turi, Thomas Usan.

Ufficio centrale: Sandro Bocchio, Emanuele Franzoso, Luca Indemini, Paolo Piacenza, Matteo Spicuglia, Maurizio Tropeano.

Segreteria di redazione: giornalismo@corep.it

FUTURA MAGAZINE #8 – 9 MAGGIO 2024 6
BOOKSTOCK
LEZIONE INAUGURALE IL RAPPORTO
ESTERO DONNE CONFLITTI
Iran, prove di cambiamento Raccontare
9 maggio, ore 14. Sala Oro, Pad. Oval 10 maggio, ore 12. Sala Rossa, Pad. 1 12 maggio, ore 14. Sala Ambra, Pad. 1 11 maggio, ore 12. Sala Azzurra, Pad. 3 13 maggio, ore 10.30. Sala Rosa, Pad. 1
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