Bondeko

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Anno 21 - Numero 4 - Ottobre 2010

Ottobre Missionario 2010

periodico di informazione e condivisione a cura dell’associazione “Bondeko - Gruppi Missionari di Villa d’Almè”

Parrocchia dei SS. Faustino e Giovita in Villa d’Almè (Bergamo) Gruppo Missionario Parrocchiale


“Bondeko” è un vocabolo in lingua lingala, parlata nella Repubblica Democratica del Congo, che significa: amicizia, fraternità, condivisione.

“Bondeko”, periodico dell’associazione “Bondeko - Gruppi Missionari di Villa d’Almè”, iscritta nel Registro Regionale del Volontariato della Lombardia con Decreto n. 11744 del 10-05-2000. Anno 21 - Numero 4 - Ottobre 2010 Supplemento de “L’Apostolo di Maria”, periodico mensile dei Monfortani, Ottobre 2010. Direttore responsabile: Paolo Andreoletti Direttore di redazione: Oliviero dal Molin e Paola Perico. Redazione: Barbara Baruffi, Maurizia Donghi, Pierangela Erba, Bruna Gotti, Cecilia Mangili, Cristina Pelliccioli, Paola Perico, Vittoria Perico, Emanuela Rebuccini, Paolo Rota. Impaginazione e grafica: Flavia Pellegrinelli Indirizzo e-mail: bondeko2010@gmail.com Ciclostilato in proprio su carta ecologica o riciclata.

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Indice

Ottobre Missionario 2010 Vita missionaria a Villa d’Almè: • Spezzare pane per tutti i popoli • Bondeko si rinnova • Al mio compleanno... invito mezzo mondo • 12 firme di fraternità • Un anniversario importante • Shanthi Pragati Kendra (progetto Ottobre missionario)

pag. 4 pag. 6 pag. 7 pag. 8 pag. 9 pag. 11

Rassegna stampa: • I 7 vizi capitali delle banche (Roberto Cuda, da Missione oggi n. 5 – 2010)

pag. 15

Cultura di altri paesi: • Altre stanze, altre meraviglie (di Daniyal Mueenuddin, Pakistan)

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Missionari villesi: • A scuola di missionarietà (intervista a Padre Enzo Viscardi)

pag. 23

Spazio aperto: • Vetrina sul mondo: caffè corretto • Condivisione mensile “Bondeko” • Sostegni a distanza

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Spezzare pane per tutti i popoli 84^GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 2010

“Spezzare pane per tutti i popoli” è il tema scelto in Italia per celebrare l’84ª Giornata Missionaria Mondiale. Esso traduce l’aspirazione della Chiesa universale a riunire tutti i popoli della Terra nell’unica mensa della Parola e del Pane di vita e ad invocare lo Spirito Santo, perché discenda nei cuori degli uomini e li spinga ad una condivisione più equa e fraterna dei beni materiali in loro possesso. La missione nasce dal coinvolgimento dei nostri cuori, attraverso l’Eucaristia, con quello di Cristo, anzi del Dio Uno e Trino, come afferma il Papa. Chi si nutre del Pane del Cielo, condivide il donarsi di Dio-Amore all’umanità: qui ritroviamo il senso dell’evangelizzazione, con un’urgenza che viene dal cuore di Dio e dà forma alla carità dell’uomo.

La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione. Cari fratelli e sorelle, Il mese di Ottobre, con la celebrazione della Giornata Missionaria Mondiale, ci invita a vivere intensamente i percorsi liturgici e catechistici, caritativi e culturali, mediante i quali Gesù Cristo ci convoca alla mensa della sua Parola e dell’Eucaristia, per gustare il dono della sua Presenza. [...] Una fede adulta, capace di affidarsi totalmente a Dio con atteggiamento filiale, nutrita dalla preghiera, dalla meditazione della Parola di Dio e dallo studio delle verità della fede, è condizione per poter promuovere

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un umanesimo nuovo, fondato sul Vangelo di Gesù; la Chiesa ci invita ad imparare da Maria, mediante la preghiera del Santo Rosario, a contemplare il progetto d’amore del Padre sull’umanità, per amarla come Lui la ama. Non è forse questo anche il senso della missione? [...] Questo mese di Ottobre ci ricorda come l’impegno e il compito dell’annuncio evangelico spetti all’intera Chiesa, “missionaria per sua natura” (Ad gentes, 2), e ci invita a farci promotori della novità di vita, fatta di relazioni autentiche, in comunità fondate sul Vangelo. In una società multietnica che sempre più sperimenta forme di solitudine e di indifferenza preoccupanti, i cristiani devono imparare ad offrire segni di speranza e a divenire fratelli universali, coltivando i grandi ideali che trasformano la


storia e, senza false illusioni o inutili paure, impegnarsi a rendere il pianeta la casa di tutti i popoli. [...] Queste considerazioni rimandano al mandato missionario che hanno ricevuto tutti i battezzati e l’intera Chiesa, ma che non può realizzarsi in maniera credibile senza una profonda conversione personale, comunitaria e pastorale. Infatti, la consapevolezza della chiamata ad annunciare il Vangelo stimola non solo ogni singolo fedele, ma tutte le Comunità diocesane e parrocchiali ad un rinnovamento integrale e ad aprirsi sempre più alla cooperazione missionaria tra le Chiese, per promuovere l’annuncio del Vangelo nel cuore di ogni persona, di ogni popolo, cultura, razza, nazionalità, ad ogni latitudine. [...] La Chiesa diventa “comunione” a partire dall’Eucaristia, in cui Cristo, presente nel pane e nel vino, con il suo sacrificio di amore edifica la Chiesa come suo corpo, unendoci al Dio Uno e Trino e fra di noi (cfr 1Cor 10,16ss). Nell’Esortazione apostolica Sacramentum caritatis ho scritto: “Non possiamo tenere per noi l’amore che celebriamo nel Sacramento. Esso chiede per sua natura di essere comunicato a tutti. Ciò di cui il mondo ha bisogno è l’amore di Dio, è incontrare Cristo e credere in Lui” (n. 84). Per tale ragione l’Eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della Chiesa, ma anche della sua missione: “Una Chiesa

autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria” (Ibid.), capace di portare tutti alla comunione con Dio, annunciando con convinzione: “quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1Gv 1,3).

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Bondeko si rinnova In questo periodo in cui sembra così importante la forma e tanti ricorrono persino alla chirurgia per migliorare il proprio aspetto, abbiamo deciso di dare anche al nostro Bondeko un nuovo “look”. Dietro alla veste grafica ci sono due importanti motivazioni: •

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Il desiderio di fare un passo avanti verso la realizzazione degli obiettivi che stavano dietro alla nascita di questa iniziativa e che ora sono diventati molti e impegnativi. Ci sembra ancora importante, come 21 anni fa (Bondeko è nato l’Ottobre Missionario del 1989), promuovere la condivisione delle esperienze vissute nel cammino missionario della nostra comunità parrocchiale. Questo si esprime, oggi come ieri, con l’ascolto della vita dei nostri missionari (nelle interviste); con la trasparenza nella gestione dei soldi attraverso la pubblicazione dei bilanci del gruppo missionario e dell’Associazione; con la crescita nella conoscenza di culture lontane grazie alla presentazione di libri o film di Paesi lontani; con la provocazione della Rassegna Stampa su temi di attualità spesso trascurati dalla tv e dai giornali; con lo scambio di idee e opinioni con altre realtà della comunità civile e infine con l’ascolto di esperienze vocazio-

nali forti, partendo dal talk show Piccole Storie di Grande stile. Il nuovo arrivo nella redazione di Bondeko di Flavia Pellegrinelli, una studente in grafica che offre la sua creatività e il suo tempo prezioso per studiare la grafica e le vignette del nostro periodico. È importante che nuove persone portino il proprio contributo e si sentano coinvolte per portare nuove idee e nuovi stili.

Ricordiamo che per una scelta di “stile sobrio” Bondeko viene realizzato ancora su carta ecologica o riciclata con volontari che stampano, assemblano e distribuiscono ogni giornalino nelle case dei villesi così da ridurre al minimo i costi.

Oltre alla grafica abbiamo un nuovo indirizzo internet per mandarci commenti o suggerimenti: bondeko2010@gmail.com


Al mio compleanno… invito mezzo mondo Parte a Villa d’Almè l’iniziativa promossa dal nostro Vicariato e sostenuta dal Centro Missionario Diocesano dei “COMPLEANNI SOLIDALI”. Quando un bambino vuole che la sua festa diventi una festa “allargata” anche ai bambini del mondo, la sua famiglia può contattare il referente del Gruppo Missionario Parrocchiale (nella Bottega Bondeko) che consegnerà il blocchetto con gli inviti (per scrivere il nome, la data e il luogo dove ci sarà la festa) e la cassetta entro cui mettere le offerte dei bambini. La festa di compleanno può essere fatta nella propria casa, in oratorio o in un luogo scelto dalla famiglia del festeggiato. La famiglia del festeggiato si occuperà della festa ponendo attenzione a non esagerare nell’acquisto di dolci e stuzzichini. Curerà in modo particolare il momento della festa e del gioco: potrebbe essere occasione per proporre giochi “dal mondo” tipici dei vari luoghi del mondo. Ogni invitato parteciperà alla festa portando il suo regalo: 5,00 euro. Insieme al festeggiato metterà il regalo nella cassetta. Al momento del taglio della torta, oppure all’inizio della festa, la famiglia del festeggiato consegnerà l’unico regalo da parte di tutti. La famiglia liberamente decide se fare il regalo con soldi

propri o se utilizzare parte dei soldi raccolti nella cassetta (al massimo 20,00 euro). Al termine della festa ai bambini invitati viene rilasciato un segnalibro di ringraziamento per aver sostenuto il progetto missionario con la propria offerta. Questa iniziativa pone per la prima volta il bambino al centro di una scelta di condivisione con i bambini più poveri. Non è un’iniziativa che mira a “fare tanti soldi” ma esprime una scelta di sobrietà, una scelta che ci parla di cambio di stili di vita. Con il motto “I bambini aiutano i bambini” nell’800 nacquero i primi gruppi missionari dei ragazzi. Noi sappiamo che le famiglie della nostra comunità sanno fare scelte di qualità per i propri bambini e così ci auguriamo che questa idea prenda piede e abbia successo!

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12 firme di fraternità Compie 20 anni l’iniziativa di inviare ai nostri missionari gli auguri per il Natale firmati da tutta la comunità. Domenica 24 Ottobre, in occasione della Giornata Missionaria Mondiale, sul sagrato della Chiesa ci sarà il tavolo con i fogli per ognuno dei nostri missionari attualmente in terra di missione, ai quali possiamo inviare attraverso una firma o un breve

saluto un segno concreto del nostro affetto e il ringraziamento per il loro impegno costante in mezzo ai più poveri per annunciare Cristo a chi ancora non lo conosce. Pensiamo di fare cosa gradita nel pubblicare i loro indirizzi (anche e-mail) così che sia data a tutti la possibilità di scrivere loro anche personalmente.

Irmã FAUSTA GASPARINI Irmãs Sacramentinas Rua Visconde de Cairù, 75 Cx Postal 26 Parque Industrial CEP 32211-970 Contagem - M.G. Brasile

Sister CLEA ROTA Ursuline Sisters Ngong Road P.O.Box 21497 Nairobi - Kenya (siraclara@yahoo.com)

Sister ERMINIA VISCARDI “Yuvathi Sharan” P.Balu Mary-Prabhadevi Munbay 400025 (Mumbi) MAHARESHA STATE India

Sig. DANILO GOTTI Casilla 3575 Cochabamba Bolivia (danilogotti@yahoo.it)

Padre FIORENZO SEVESO Santuario Nuestra Senora de Fatima Calle 65 No. 32- 04 Manizales (Caldas) - Colombia (fiorenzoseveso@hotmail.com)

Sister M.CRISTINA MAESTRONI Comboni Sisters P.O.Box 3344 - Khartoum Sudan (econprovkhar@hotmail.com)

Irmã PALMA LOMBONI Rua Hamilton Silva, 1107 Bairo Central Cxp. 91 68906-330 Macapà (Amapà) Brasile (isalomb@uol.com.br)

Sister MARIATERESA TERZI Holy Family Hospital P.O.Box 8 Nazareth 16100 Israele (hfhsr@hospitalnazareth.org)

Father ERNESTO VISCARDI Consolata Missionaries Catholic Church Mission P.O.Box 694 Ulaanbaatar - Mongolia (ervisca@consolata.net)

Padre MARIO MAFFI Obispado Calle Paseo 812 Esquina Cuartel 95100 Guantánamo Cuba (maffi@obigtmo.co.cu)

Sig.na MARIA GOTTI Casilla 2592 Cochabamba Bolivia

Padre EZIO MASCARETTI Pime house 92 Asade Avenue Mahammadpur 1207 Dhaka - Bangladesh

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Un anniversario importante 150 ANNI DI VITA MISSIONARIA IN INDIA PER LE SUORE DI MARIA BAMBINA

La congregazione delle Suore di Maria Bambina nasce nel 1832 a Lovere e dal 1860 presta la sua opera anche in India. Senza badare a rinunce e a sacrifici restano a disposizione della gente, aiutano bambini orfani, visitano famiglie e promuovono l’educazione della donna.

Il fiume che ha il suo inizio sulle sponde del lago d’Iseo inizia a irrigare tutto il mondo! Nel 1860, sotto la direzione di Don Bosio, il direttore spirituale di Bartolomea, e la Madre Generale, Suor Teresa Bosio, si prende il coraggio di inviare suore in India. Il 7 Marzo del 1860 le prime quattro giovani e coraggiose missionarie insieme a una ragazza italiana mettono per la prima volta piede nella terra di missione a est del Bengala (attuale India).

La congregazione delle Suore della Carità, che noi conosciamo come Suore di Maria Bambina, nasce nel Novembre del 1832, nel cuore di Lovere nella parrocchia di San Giorgio, quando Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, sua prima compagna, consacrano la loro vita per la Gloria di Dio e per il bene del prossimo. Nella semplicità della loro vita quotidiana e con un grande amore verso Dio che le accompagna, attirano tante altre ragazze a seguire la loro stessa via della Carità. Santa Bartolomea vive solo otto mesi dopo la fondazione dell’Istituto, e Santa Vincenza, in obbedienza al suo confessore, si occupa delle cose dell’Istituto con tanta umiltà.

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Sono Suor Agostina Baruffini, Suor Benedetta Danielli, Suor Lucia Viero, Suor Antonia Ferrari e la signorina Rosa Abbiate. Molte altre sorelle le seguiranno nel corso degli anni e ora in India sono presenti ben 194 comunità. Le prime suore senza conoscere la lingua, le usanze e la cultura del posto, ma con un cuore pieno d’amore di Dio e pieno d’amore del prossimo, senza badare a rinunce e a sacrifici rimasero a disposizione della gente giorno e notte conquistandone il cuore. La prima Casa del redentore era fatta con paglia e fango, ma le suore erano contente e felici. Insieme a loro nella stessa casa c’erano anche venti bambini orfani, di cui loro si occupavano e nello stesso tempo li preparavano al Battesimo. Inoltre iniziarono a visitare le famiglie e a promuovere l’educazione della donna. La loro casa fu scuola e dispensario per tutti. I primi anni della missione furono segnati da difficoltà incredibili, il cibo era molto scarso. Suor Antonia Ferrari scrive “Per due anni la nostra dieta consisteva in un pugno di riso cotto con un pò d’acqua e sale e un piccolo pezzo di zucca, il pane era impensabile”. Il Bengala allora come oggi era sotto ricorrenti calamità naturali, cicloni, carestie, alluvioni, il clima tropicale era impietoso, le suore si ammalavano e furono vittime della TBC a causa della mal nutrizione, ma nella

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loro eroicità dicevano “Noi siamo sempre felici e gioiose e ridiamo a chi pensa che siamo incurabili. Oh la pace! È un dono prezioso. Il Signore permette che essa dimori con noi e in noi sempre”. L’inizio della missione è costato tante giovani vite. Visitando il cimitero di Krishnagar è impressionante vedere quante sorelle nel fiore della loro vita sono state accolte nel regno di Dio. La morte di ogni suora era come un seme che cadeva nella terra fertile e faceva crescere l’albero rigoglioso con moltissimi frutti. Nel costatare quanto bene le opere delle Suore di Carità abbiano profuso nei diversi continenti, ricordiamo quanto scriveva Santa Bartolomea nella Carta di Fondazione “Il nostro Istituto è un dono del Signore per la salvezza dell’umanità per tutti i tempi. Il Redentore è sempre al lavoro nella storia dell’umanità, lui cammina accanto a noi, anche quando il suo passo è nascosto ai nostri occhi. Qualunque cosa in Cristo durerà perché Lui è la vite e noi siamo i tralci e quando siamo unite a Lui il suo amore misericordioso scorrerà attraverso di noi senza cessare”.


Shanthi Pragati Kendra PROGETTO OTTOBRE MISSIONARIO CON SUOR ERMINIA VISCARDI

Come abbiamo ricordato, ricorre quest’anno il 150° di presenza delle suore di Maria Bambina in India e ci è particolarmente caro sottolineare questa presenza feconda, testimonianza di una Chiesa missionaria che ha radici profonde nella nostra comunità, dove pure le suore di Maria Bambina hanno operato per tanti anni, con l’aiuto di Sr Erminia Viscardi che all’ India ha dedicato tutta la sua missione. Fra le tante difficili situazioni a cui le suore della Carità cercano di portare il loro amorevole aiuto, ci segnala un progetto in favore di donne a cui ancora non viene riconosciuta la minima dignità di persone. SUOR ERMINIA VISCARDI Nata a Villa d'Almè nel 1940 suor Erminia Viscardi entrò a far parte dell’Istituto delle Suore di Maria Bambina a 18 anni e partì per l’India nel 1963. Al suo primo incarico a Mangalore fra le postulanti, ne seguirono tanti altri: ancora a Mangalore con i bambini e le ragazze orfane, a Dharwad per aprire e dirigere un noviziato, a Hyderabad prima come direttrice di un collegio e poi come consigliera provinciale, a Bombay con l’incarico di seguire le ragazze venute in città, a Goa come superiora, e di nuovo a Bombay (ora si dice Mumbai) dove si trova attualmente. Nella sua lunga esperienza, si è occupata spesso della formazione delle ragazze, un campo educativo molto importante perché alla donna in India, per ragioni culturali difficili da sradicare, ancora non è riconosciuta una pari dignità con l’uomo.

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Profondamente innamorata dell’India e dei suoi poveri, ne ha assunto lo spirito pacato e sereno che guarda a tutte le contraddizioni e situazioni difficili di questa terra con grande affetto e speranza. I “DALIT” OVVERO GLI OPPRESSI I Dalit sono gli "intoccabili", coloro che nel sistema delle caste indiano nascono fuori dalle quattro caste principali. L'intoccabilità è stata abolita dalla Costituzione indiana nel 1950, sono previste azioni positive nei confronti dei Dalit quali la riserva di una percentuale di posti in Parlamento, nei pubblici impieghi, nella scuola; ma la pratica dell’intoccabilità permane, soprattutto nelle aree rurali, e stigmatizza milioni di persone come "impure" per nascita. A loro sono riservati i lavori più de-

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gradanti quali pulire le latrine e trasportare escrementi umani, scuoiare e rimuovere gli animali morti, scavare tombe, spazzare le strade dei villaggi. I bambini Dalit, quando riescono a frequentare la scuola pubblica, devono sedere in fondo alla classe, ben lontani dagli altri; molte bambine Dalit tra i 6 e gli 8 anni vengono avviate alla prostituzione. Alla discriminazione si aggiunge la violenza. Fonti ufficiali riportano almeno 3 crimini all'ora (assassinii, ferimenti, rapine...) perpetrati nei confronti dei Dalit; più di 200 sono le donne Dalit di età compresa tra i 6 e 70 anni stuprate ogni anno! Viene chiamata hidden apartheid -segregazione razziale nascostaperché è proibita per legge ma spesso sono gli stessi tutori della legge a metterla in atto nelle forme più violente. In un contesto, quale quello dell'India rurale, di povertà diffusa, la pratica dell'intoccabilità e il boicottaggio sociale che ne deriva fa sì che le comunità Dalit siano anche le più indigenti. Il 50% dei Dalit vive al di sotto della soglia di povertà con un preoccupante incremento negli ultimi anni. Il 57% dei bambini Dalit sotto i 4 anni risultano malnutriti, la mortalità infantile supera la media nazionale del 45%. Le donne sono le più colpite: lasciano la scuola prima dei loro coetanei maschi, svolgono i lavori più pesanti in agricoltura, nelle costruzioni o nell'industria,


occupandosi contemporaneamente dei lavori domestici e della cura dei figli. Sono le ultime in famiglia a mangiare e se il cibo non è sufficiente per tutti, sono loro a digiunare (il 90 % delle donne Dalit ha una dieta insufficiente per quantità di proteine e calorie). LA CONDIZIONE DELLA DONNA NELLE BARACCOPOLI URBANE E NEI VILLAGGI RURALI DI DHARWAD Oltre l'80% degli abitanti delle baraccopoli e dei villaggi nei dintorni di Dharwad, città del sud ovest dell’India, sono molto poveri e vivono in condizioni disumane. La maggior parte di loro è analfabeta e sono costretti ad accettare qualsiasi tipo di lavoro non qualificato dove sono vessati e sfruttati. Lavorano come operai occasionali e non c'è alcuna garanzia per il reddito regolare. Inevitabilmente cadono vittima degli usurai. La maggioranza degli abitanti dei quartieri poveri sono immigrati da altri luoghi, in cerca di lavoro durante la stagione dei monsoni e vivono in case sovraffollate, in condizioni igieniche inaccettabili, che rendono le persone vulnerabili a tutti i tipi di malattia. L’ educazione dei bambini e la loro salute è completamente trascurata. La situazione delle donne è ancora più drammatica perché non hanno status sociale e non sono considerate come esseri umani. Sono considerate proprietà dei genitori e dei

fratelli maggiori, prima del matrimonio, e come proprietà del marito e dei suoceri, dopo il matrimonio; non hanno alcuna libertà di movimento, di pensiero, e nessuna libertà di plasmare il proprio destino. Le bambine vengono considerate un peso per la famiglia e la loro uccisione è frequente. Vengono sistematicamente private di formazione e quindi di opportunità di lavoro; il matrimonio precoce è ancora molto diffuso. Dentro e fuori dalla famiglia sono vittime di violenze e abusi. Non possedendo nulla, le donne non sono in grado di accedere al credito e al capitale per intraprendere una attività economica sostenibile nella comunità. In situazioni di emergenza sono costrette a ricorrere al prestito di usurai che le sfruttano pesantemente. Non hanno conoscenza dei propri diritti politici e legali e di conseguenza non possono difendersi dai soprusi. La maggior parte delle donne risultano quindi socialmente emarginate a causa del loro analfabetismo, psicologicamente ferite e oppresse in ogni modo possibile, e facile bersaglio di sfruttamento e violenza da parte di varie forze della società. A causa della mancanza di una indipendenza economica, dell'assenza di un sostegno sociale e della bassa autostima che hanno interiorizzato, restano intrappolate in una situazione intollerabile da cui risulta loro impossibile uscire.

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IL PROGETTO “Shanthi Pragati Kendra” è un lavoro sociale della Società per lo sviluppo, la pace e la giustizia, gestita dalle Suore della Carità nella Provincia di Dharwad. È stata avviata nel 1999 come una risposta concreta alla realtà socio-culturale del popolo di questa zona e ha come obiettivo a lungo raggio di dare potere alle donne. Si occupa in particolare dei Dalit, la classe più oppressa tra i poveri delle baraccopoli urbane e dei borghi rurali. Punta a rendere le donne Dalit protagoniste del proprio cambiamento e trasformazione, partendo da un processo di graduale riconquista della propria autostima, e le accompagna nello sforzo per elevare i loro standard socio-economici. Le donne a cui si rivolge provengono spesso da famiglie disfunzionali, sono state oggetto di violenza domestica, non hanno istruzione e nessuna fonte di reddito. Il vasto programma di interventi messi in atto dall’associazione comprende, nel centro Shanthi Pragati e nei villaggi: • Corsi di alfabetizzazione per coloro che non hanno seguito un regolare corso di studi; • Corsi di formazione in attività generatrici di reddito per le donne: cucito, ricamo, produzione di conserve, produzione di sapone, allevamento ecc.; • Corsi di formazione su coscien-

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tizzazione, gestione di gruppi di auto aiuto, gestione contabile e di leadership; Costituzione di gruppi di autoaiuto con piani di risparmio collettivo; Istituzione di club per bambini al fine di migliore la loro formazione.

Quanto raccolto da tutti coloro che vorranno aderire, andrà a sostenere queste attività che permetteranno alle donne di riacquistare dignità e fiducia, di diventare madri consapevoli e attente alla crescita dei loro figli e protagoniste dello sviluppo di tutta la loro comunità.

L’INVITO SABATO 16 OTTOBRE sul sagrato durante la messa prefestiva e DOMENICA 17 OTTOBRE, al mattino sul sagrato e al pomeriggio presso l’Auditorium San Carlo per la festa Missionaria, ci sarà il pentolone per la raccolta dei contributi in favore del progetto presentatoci dalla missionaria villese Suor Erminia Viscardi.


I 7 vizi capitali delle banche DI ROBERTO CUDA, LIBERAMENTE TRATTO DA MISSIONE OGGI N. 5 – 2010

Proponiamo in questo Ottobre Missionario una riflessione su come le banche utilizzano i nostri soldi (chi ancora ne ha!); perché a volte il rischio di singoli e parrocchie è da un lato promuovere progetti di solidarietà e dall’altro inconsapevolmente sostenere (con i risparmi e gli investimenti) banche che non fanno scelte etiche, ma anzi finanziano la produzione di armi, ingiustizie di aziende multinazionali e inquinamento. UN SISTEMA “BANCOCENTRICO” SENZA DEMOCRAZIA Quanto “pesa” la tua banca sui beni comuni, come aria, acqua e terra? Qual’è l’impatto dei suoi investimenti nell’impoverimento dei popoli? Qual’è il suo ruolo nella produzione e vendita di armamenti? Le scelte finanziarie delle banche hanno ricadute sociali ben più pesanti, talvolta devastanti, rispetto a qualche commissione di troppo sul conto corrente. Non esiste infrastruttura, attività commerciale o produttiva senza il sostegno del mercato creditizio, dal quale dipendono sempre più spesso anche gli enti pubblici. È quello che gli esperti chiamano il sistema “bancocentrico”, che nell’ultimo decennio ha visto una progressiva concentrazione di ricchezza nella mani degli istituti. Essi decidono come e quando aprire i cordoni della borsa e, dunque, la direzione da imprimere all’economia del paese. Lo fanno nei loro consigli di ammini-

strazione, senza alcun mandato democratico. Ma paradossalmente hanno un bisogno vitale di consenso. A dare ossigeno al sistema bancario sono milioni di risparmiatori che depositano il loro soldi, comprano azioni e obbligazioni, sottoscrivono fondi di investimento o altri prodotti finanziari.

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Per questo abbiamo deciso di accendere un faro sul comportamento delle banche e verificare come utilizzano i nostri soldi. Armamenti, impatto sociale e ambientale, paradisi fiscali, tutela del risparmiatore, nucleare civile e privatizzazione dei sistemi idrici, sono gli indicatori analizzati: sette “vizi capitali” ai quali le banche difficilmente resistono, come vedremo. L’indagine coinvolge 13 istituti di credito italiani (le prime 10 banche e tre operatori “atipici” come Banca Etica, Credito Cooperativo e Banco Posta) e i risultati sono online su www.vizicapitali.org a disposizione di correntisti, risparmiatori, enti pubblici e privati, istituti religiosi, parrocchie e diocesi. L’obiettivo non è solo informare, ma

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porre le fondamenta per un’azione diffusa di pressione, per indurre cambiamenti nelle scelte produttive delle aziende. I promotori sono realtà del mondo pacifista, riviste missionarie (tra cui “Missione Oggi”) e organizzazioni da sempre impegnate sul fronte dei diritti umani e dell’ambientalismo, tutti concordi nel ritenere il mondo bancario il perno su cui fare leva, un settore già fortemente esposto verso l’opinione pubblica e che investe milioni in pubblicità per accreditarsi un’immagine “socialmente responsabile”. Si possono scaricare e inviare lettere alla propria banca, oppure pensare ad azioni più evolute e strutturate, attingendo alla ricca e creativa strumentazione nonviolenta.


I DATI MOSTRANO UNA DIFFUSA IRRESPONSABILITÀ E veniamo ai dati, dai quali non emerge un quadro confortante. Colpisce una diffusa responsabilità degli erogatori del credito, maggiore tra le grandi banche. Unicredit e Intesa Sanpaolo insieme gestiscono risorse superiori al Pil italiano e aumenta la possibilità di investimenti discutibili, ma essi sono anche i partner ideali delle maggiori aziende nazionali ed europee. Colossi del calibro di Eni ed Enel hanno ottenuto imponenti finanziamenti dalle due banche. Controllate dallo Stato italiano, le due aziende, sono al centro di numerose contestazioni per i danni provocati all’ambiente e alle comunità locali in giro per il mondo. Altra società intorno a cui ruota il mondo bancario è certamente Finmeccanica, principale produttore nazionale di armamenti, escluso per motivi etici dagli investimenti del fondo pensione governativo norvegese. Anch’essa controllata dallo Stato italiano al 30%, la multinazionale esporta armi in moltissimi paesi, dal Marocco alla Thailandia, dagli Emirati Arabi Uniti alla Turchia, ma non rinuncia ad una presenza crescente anche nella produzione di energia nucleare, attraverso la controllata Ansaldo. In testa alla classifica degli istituti di appoggio sempre loro: Intesa Sanpaolo e Unicredit, che insieme a Mediobanca e Goldman Sachs hanno garantito

un prestito ponte di 3,2 miliardi per l’acquisizione dell’americana Drs, fornitrice dell’esercito Usa e alleati. Ma la ciliegina sulla torta viene dalla ong belga Netwerk Vlaanderen, che rivela un sostegno ad aziende attive nella produzione di uranio impoverito (Intesa Sanpaolo, Novembre 2007) e delle micidiali cluster bombs (Unicredit, Marzo 2007). Una realtà che stride con le dichiarazioni ufficiali degli istituti. Nel 2007 infatti Intesa annunciò “la sospensione della partecipazione a operazioni finanziarie che riguardano il commercio e la produzione di armi e di sistemi d’arma, pur consentite dalla legge 185/90”, mentre Unicredit va dichiarando da un decennio la volontà di sospendere qualunque intervento creditizio a favore del settore. Non meno compromessa è Bnl, sesta banca italiana dal 2006 parte del colosso Bnp. Al primo posto tra le cosiddette “banche armate”, avendo intermediato esportazioni di materiale bellico per 1,2 miliardi nel 2008, l’istituto ha collocato tutte le emissioni obbligazionarie Finmeccanica nel 2009 a fianco di Unicredit e Intesa. Bnl è inoltre il primo finanziatore della Cmc di Ravenna, impegnata nella progettazione e costruzione della nuova base militare americana di Vicenza, nell’area dell’ex aeroporto Dal Molin. Si tratta di una cooperativa aderente a Legacoop attiva tra l’altro nella costruzione del conte-

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stato tunnel per la Tav Torino Lione che ha beneficiato di finanziamenti dalla banca romana per 32 milioni di euro. Bnp compare inoltre tra i finanziatori del contestato progetto idroelettrico Theun-Hinboun Expan-sion, nel Laos Centrale, che sta minacciando la sopravvivenza delle comunità locali. UN QUADRO SEMPRE PIÙ GRAVE I dati provengono unicamente da fonti pubbliche, che le banche sono tenute a pubblicare per legge, ma al di fuori di esse non è dato sapere come esse utilizzano i nostri soldi, coperte dal segreto bancario. Per ampliare l’analisi abbiamo allora analizzato i titoli acquistati dai principali fondi d’investimento (gestiti da società che fanno capo alle stesse banche). Tra le aziende più gettonate spicca la Nestlè, di cui sono note le violazioni del Codice Oms per la promozione dei sostituti del latte materno nei paesi più poveri. Un’attività che costituisce un’importante causa di mortalità infantile, laddove mancano le condizioni igieniche necessarie all’assunzione di latte artificiale. I fondi Unicredit hanno investito 83 milioni in titoli della multinazionale svizzera, mentre Intesa si ferma a “soli” 46 milioni (dati al 30 giugno 2009). Anche qui le dimensioni fanno la differenza, ma è comunque difficile indicare esempi virtuosi. I fondi Ubi banca, ad esempio, hanno

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investito 42 milioni in titoli Total, che secondo recenti testimonianze continua a fare affari in Birmania, uno dei più feroci regimi dittatoriali del mondo. Perfino i fondi del piccolo Credito Emiliano hanno speso 21 milioni in titoli Daimier e 8 milioni in titoli Siemens, entrambe attive nella produzione di bombe cluster e armi nucleari. Per quanto riguarda le multinazionali del farmaco Novartis, Bayer, GlaxoSmithKline, Pfizer, Johnson & Johnson, tutte accusate a vario titolo di tenere alti i prezzi dei farmaci nei paesi poveri, facendo leva sulla tutela giuridica dei brevetti tornano in testa i fondi Unicredit, con 188 milioni di euro. Anche Monsanto, primo produttore mondiale di organismi geneticamente modificati e strenuo difensore dei brevetti in agricoltura, non dispiace a Unicredit (13 milioni di euro) ma nemmeno ad Ubi Banca, i cui fondi hanno accumulato titoli per 5 milioni. Quanto alla gestione dei sistemi idrici, esiste un evidente interesse da parte delle banche a guadagnare su una risorsa sempre più scarsa. Dall’erogazione di prestiti all’investimento azionario, il mondo creditizio è sempre più presente nel settore sia in Italia sia all’estero, in attesa di una più ampia liberalizzazione.


Altre stanze, altre meraviglie DI DANIYAL MUEENUDDIN (PAKISTAN)

Daniyal Mueenuddin è cresciuto a Lahore, Pakistan, e a Elroy, Wisconsin. Si è laureato al Dartmouth College e alla Yale Law School. I suoi racconti sono apparsi sul “New Yorker”, “Granta” e nella raccolta curata da Salman Rushdie “The Best American Short Stories 2008”. Ora vive in una tenuta del Punjab meridionale, in Pakistan.

Dal libro: “Altre stanze, altre meraviglie” di Daniyal Mueenuddin, Mondadori 2010.

Nella campagna che circonda Lahore, in una vasta tenuta di proprietà di K. K. Harouni, si intrecciano le vicende di una quantità di personaggi. Oltre al vecchio signore di stampo feudale, gli abitanti dei villaggi vicini che dipendono dai suoi favori, i domestici, e una serie di parenti, prossimi o lontani, che hanno cercato fortuna in città o all’estero: gli sfacciatamente ricchi e i disperatamente poveri, tutti alle prese con i vantaggi e i limiti della posizione sociale, con la sparizione delle vecchie usanze, e con lo choc del cambiamento. A farci capire che quello descritto da Daniyal Mueenuddin è il Pakistan contemporaneo sono soltanto la comparsa di una motocicletta,

per quanto datata, l’evocazione del fantasma di una Rolls Royce, la visita improvvisa di una figlia occidentalizzata, l’incontro a Parigi tra i genitori di un giovane pachistano e la sua fidanzata americana… Per il resto l’atmosfera del racconto è quella di una terra senza tempo, dove non hanno posto l’Occidente o il fondamentalismo, e che brilla invece dell’intelligenza e dell’astuzia affinate dalle avversità dei personaggi più sfortunati.

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Mueenuddin mette a nudo – a volte in commedia, più spesso in tragedia –, la complessità della cultura pachistana nel momento in cui l’ordine feudale sopravvissuto viene scardinato e trasformato in modernità: il risultato è una comédie humaine in miniatura dove spiccano per spessore e verosimiglianza personaggi femminili molto diversi da quelli che la cronaca propone quotidianamente alla nostra facile indignazione. Quello che riportiamo è uno stralcio dal libro “Altre stanze, altre meraviglie”. Sohail aveva affittato un appartamento sull’Île Saint-Louis da un amico d’infanzia, anch’egli figlio di un industriale pakistano, che aveva trascorso buona parte degli ultimi anni a Parigi a fare lo scrittore, ma senza scrivere nulla, in realtà. [...] Helen si fermò sulla porta, una ragazza carina, chiaramente americana, i capelli corti raccolti in un fermacapelli di tartaruga. Aveva vissuto tra i libri e tramite i libri, al liceo e poi all’università, vincendo una borsa di studio a Yale. Parigi era un sogno che coltivava fin dall’infanzia, quando la madre, una donna sola, non poteva portarla in viaggio, non in Europa. […] L’indomani, all’imbrunire, Sohail era seduto nell’appartamento e guardava Helen che si vestiva per la prima cena con i suoi genitori. […] I genitori di Sohail alloggiavano in un appartamento sulla Quai des

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Grands Augustins affacciato sulla Senna. Sohail e Helen salirono al secondo piano, trovarono la porta giusta e lui fece appena in tempo a sfiorare il campanello quando qualcuno, dall’interno, gridò: «Arrivo!». «Ciao tesoro» disse la madre, porgendo la guancia per ricevere un bacio dal figlio, e guardando oltre, verso Helen. Aveva una voce roca, attraente, e portava abiti piuttosto sobri, una lunga tunica bianca di cotone con ricami, anch’essi bianchi, sopra un paio di pantaloni attillati. Helen tese la mano con il palmo aperto, e guardò negli occhi la madre di Sohail, una sguardo schietto e ingenuo. «Salve, Mrs Harouni. Sono Helen.» «E io sono Rafia. Benvenuta.» Aveva stampato in faccia un sorriso affrettato. Il padre di Sohail si teneva in disparte, un uomo piccoletto con baffi sottili, impeccabile nel suo pesante completo marrone di tweed con un panciotto, una cravatta dai colori tenui e scarpe lustrate in modo magistrale, di un caratteristico marrone chiaro. Nel prendere il cappotto della ragazza, l’uomo disse: «Benvenuta, benvenuta. Grazie per essere qui». Ma Helen ebbe l’impressione che fosse una frase automatica, senza alcun legame con i processi mentali dell’uomo. Nell’atto di appendere il cappotto all’attaccapanni, la guardò con occhi attenti, penetranti. Sohail aveva gettato il soprabito su una sedia accanto alla porta. «Molto carino» disse Sohail, osservando l’ap-


partamento, che aveva alti soffitti e mobili minuscoli. Allo stereo, una donna cantava in francese; la madre aveva acceso le candele. «È del brigadiere Hazari» spiegò il padre, tornando a sedersi davanti al fuoco. Rafia e Helen si erano spostate in soggiorno. La madre si sporse per ammirare la collana di Helen, un gioiello tribale afghano, d’argento con lapislazzuli. «È davvero carino.» «È un regalo di Sohail. È uno dei miei accessori preferiti.» [...] Mr Harouni, lo sguardo ancora fisso sul fuoco, disse con aria meditabonda: «Sohail era molto contento a Yale». Helen aspettò che continuasse, ma il padre sembrava pago di aver piazzato quella frase sul tavolo che li separava, considerandola un’offerta sufficiente. «Lo era davvero, Mr Harouni. È sempre stato felice, da quando lo cono-

sco.» Voleva essere il più possibile schietta con i genitori di Sohail. «Ti prego, chiamami Amjad.» Il pesante tweed del completo e la piccolezza delle mani e dei piedi lo facevano sembrare un giocattolo costoso agli occhi di Helen. Parlava in tono molto pacato. Helen decise di non mollare, di sfruttare quel minimo spunto di dialogo. «La sua vita in Pakistan è così diversa, almeno a quanto ne so. Ma in lui c’è un lato americano, o che a me pare americano. È molto gentile… Non che gli americani siano gentili, non lo sono affatto. Ma è più facile essere gentile in un posto in cui c’è ordine.» Fece una pausa, bevve un sorso di vino, aspettò un istante. «Continua» disse Mr Harouni. «Lui e mia madre vanno molto d’accordo, anche se… lei fa la segretaria in una cittadina del Connecticut, e ha

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una casa con tanti gatti e un giardino. A lui tutto questo è piaciuto. Sulle prime credevo fingesse, e invece no.» «Il vostro è un Paese meraviglioso. Non c’è niente che voi americani non possiate fare, quando vi mettete in testa di farlo. Ho un’enorme ammirazione per il popolo americano.» Sorseggiò il suo drink, facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio. «Ci sono così tanti giovani da noi che vogliono vivere in America… anche Sohail, immagino.» «A volte ne parla» disse lei con prudenza. «Ma parla molto anche del Pakistan. La prima volta che ci siamo conosciuti, ha passato ore a raccontarmi storie sul Pakistan.» «E cosa mi dici di te? Cosa vorresti fare?» «Voglio diventare medico. Ho appena fatto domanda alla facoltà di Medicina.» Arrossì nel dirlo, una vampata che le pervase con irregolarità gli zigomi lisci. «Sulla East Coast?» «A New York, forse. […]» Il padre la fissò con volto inespressivo. «Forse Sohail potrebbe avviare un ramo della nostra azienda lì.» Tornando in salotto, Sohail colse quest’ultima parte della conversazione. Si sedette sul bracciolo della poltrona di Helen, le posò una mano sulla spalla e disse: «Ora l’hai visto con i tuoi occhi, Helen. Questo per mio padre è il massimo dell’umorismo». Si sporse in avanti, prese il bicchiere vuoto del padre e si alzò. «Ti avverto, le fabbriche di quest’uomo sono più dei gatti di tua madre.

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Guardati da lui. Limitati a dire nome, rango e numero di serie.» Mr Harouni fece un sorriso di apprezzamento. «Vogliamo entrambi la stessa cosa: quello che è meglio per te» disse Helen in un tono civettuolo che le era del tutto nuovo. «Di che cosa dovrei preoccupami?» [...]


A scuola di missionarietà INTERVISTA A PADRE ENZO VISCARDI

Padre Enzo Viscardi è un missionario “sui generis” rispetto a quelli che siamo abituati a raccontare in questa rubrica. Infatti non opera in Paesi lontani, ma svolge il compito di assistente spirituale all’Università Cattolica di Milano. In questa intervista, Padre Enzo ci spiega perché si è missionari anche lavorando con i giovani universitari italiani, ma soprattutto ci racconta la sua intensa esperienza ad Haiti, fra la gente duramente colpita dal terremoto dello scorso anno. 1_ Padre Enzo, ci vuoi raccontare qual è stato finora il tuo percorso di sacerdote ? Beh, sono tante le cose che ho fatto da quando nel ’79 ho lasciato Villa d’Almè per iniziare la mia esperienza religiosa e missionaria. Ho avuto una formazione un pò particolare perché ho studiato teologia all’estero e sono poi tornato a Roma per studiare psicologia. Questi studi sono stati interrotti per iniziare un’esperienza in Spagna che è durata sei anni, tre li ho trascorsi come studente e tre come animatore missionario. Più tardi ho ripreso gli studi e mi sono laureato in psicologia, specializzandomi in psicoterapia. Poi nel ’94 c’è stata la partenza per l’Africa, in Zaire, l’ex Congo. Nel ’97 sono rientrato e l’anno dopo ho iniziato questa nuova esperienza, ancora in corso, come assistente spirituale all’Università Cattolica. Parallelamente mi dedico molto a seguire, come supervisore e psico-

logo, delle equipe che lavorano nel campo del disagio: tossicodipendenza maschile, donne tossicodipendenti con bambini, vittime della prostituzione, comunità di minori, comunità psichiatriche… Quindi una vita molto movimentata, o meglio piena. Infine adesso ho anche questa missione di seguire due genitori non autosufficienti che hanno bisogno di riavere quello che ci hanno dato. Missione difficile, anche se non c’è mai la sensazione di essere obbligati a farlo. 2_ Cosa ci fa un missionario in un’università milanese? Il mio compito principale, insieme ad un’altra decina di sacerdoti, è quello dell’assistente spirituale: dedico tempo ai giovani che vogliono fare un cammino spirituale e di crescita umana all’interno dell’università con una certa accentuazione dell’aspetto missionario. Infatti abbiamo organizzato diverse esperien-

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ze missionarie per esempio in Equador e a Capoverde e seguiamo anche un’associazione, “Africa Oggi”, che manda persone a fare esperienze in campi missionari. Cerchiamo di animare anche l’ambito culturale dal punto di vista della fede attraverso diverse iniziative come riletture della parola di Dio attraverso l’arte, letture del Vangelo con personaggi famosi, attività di volontariato… iniziative insomma che hanno l’obiettivo di aiutare questi giovani nel cammino di crescita, e contemporaneamente offrono la possibilità di fare una sintesi personale rispetto alla fede e alla cultura. Senza ovviamente dimenticare i momenti più propriamente sacramentali: tre messe giornaliere, le confessioni… Vi chiederete come ci vedono gli studenti. Qualcuno non ci vede, nel senso che non ci conosce e fa i suoi anni di università senza entrare in contatto con noi. Però, bene o male, c’è sempre qualcuno che ha bisogno del nostro sostegno, quindi in generale la risposta è buona. In questo modo rispondiamo agli appelli di Giovanni Paolo II che aveva indicato le università come i nuovi centri dell’evangelizzazione, quindi luoghi altamente missionari. Anche all’interno di un’università come la Cattolica (dove per entrare bisogna esibire il certificato di battesimo o un nulla osta), oggi abbiamo circa 100 matricole non battezzate e parlo di ragazzi italiani. Questo dato offre

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un’indicazione di quanto anche qui ci sia bisogno di una prima evangelizzazione che noi cerchiamo di attuare attraverso cammini di catecumenato o di iniziazione ai sacramenti cristiani. Un’esperienza quindi che potrebbe sembrare non missionaria, nei fatti risponde ad un’esigenza attuale di presenza in un luogo dove ci sono parecchie persone che ancora non conoscono Gesù. 3_ Hai messo le tue competenze anche al servizio della popolazione di Haiti, subito dopo il devastante terremoto che l’ha colpita. Ci racconti com’è nata e come si è sviluppata questa esperienza? In Cattolica, all’interno della facoltà di Scienze della Formazione, abbiamo istituito un master in “interventi in situazioni di emergenza” che ha visto la sua prima applicazione con le popolazioni colpite dallo tsunami. Questo master è stato organizzato grazie alla collaborazione della professoressa Castelli e del professor Sbatella e si prefigge lo scopo di preparare persone che sappiano intervenire dal punto di vista organizzativo, psicologico ed educativo, in situazioni di alta emergenza: ci sono lezioni teoriche in università di 4-5 mesi e poi delle esperienze di tirocinio pratico in luoghi dove ci sono situazioni di catastrofi naturali o di estrema povertà. Dopo il terremoto quindi, alcuni studenti che partecipavano a questo ma-


ster sono stati inviati ad Haiti e mentre si trovavano lì il nunzio di Haiti ha chiesto alla professoressa Castelli se ci fosse la possibilità di programmare degli interventi su seminaristi, preti e suore che erano ancora sotto shock e avevano bisogno di un aiuto per elaborare e gestire l’esperienza stressante del terremoto. E allora la professoressa, conoscendo la mia doppia competenza di psicoterapeuta e di prete missionario, mi ha chiesto se potevo partecipare. Il progetto è stato portato avanti in due fasi. La prima a Marzo, appena 2-3 mesi dopo il terremoto: in questo caso si è trattato di un intervento terapeutico, unitamente ad altri movimenti e associazioni, su un gruppo di un centinaio di seminaristi che al momento del terremoto erano riuniti tutti insieme per un incontro. Quindi hanno vissuto insieme questo momento e soprattutto la morte di parecchi loro compagni con anche dei grossi sensi di colpa perché un gruppo, non capendo bene cosa stesse succedendo, per scherzo ha impedito al pulmino di un altro gruppo di uscire dal garage che poi li avrebbe schiacciati uccidendoli. La seconda fase, che è tutt’ora in svolgimento, è stata messa in atto su espressa richiesta non solo del nunzio, ma anche del presidente della conferenza episcopale haitiana, Monsignor Kebrò. Il nostro compito è quello di intervenire come università per creare dei cammini di for-

mazione che permettano la nascita di una possibile nuova classe amministrativa e politica in un Paese come Haiti che, da questo punto di vista, era già allo sbando prima del terremoto, figuriamoci adesso. Quindi abbiamo messo in moto questo progetto che prevede come prossimo step l’avvio di un master in collaborazione con i rappresentanti dell’Università Cattolica di Haiti e riconosciuto da entrambe le università. Sottolineo che noi siamo solo un appoggio, giustamente lasciamo agli haitiani la piena libertà decisionale. Certamente sia per loro che per noi l’ambito ideologico e formativo resta all’interno della dottrina sociale della Chiesa che è sufficientemente ricca di ottimi contenuti che spronano a cambiare la società.

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A settembre abbiamo chiuso un’altra parte di progetto dedicato ai bambini: abbiamo fatto tutto un lavoro di giochi per aiutarli ad esprimere le loro paure e superare il trauma. Gli haitiani già erano stati molto bravi in questo perché loro stessi avevano iniziato delle attività ludiche coi bambini. È stato un lavoro molto importante perché è stato un lavoro di rimotivazione. Ecco, questa è un pò la “missione” che ci è stata assegnata ad Haiti, credo sia davvero un lavoro altamente missionario, proprio quello di cui c’è bisogno in questo momento. 4_ Nei giorni successivi al terremoto se n’è parlato fin troppo poi, come spesso accade, Haiti è sparita dai nostri giornali e telegiornali. Ci puoi raccontare com’è oggi la situazione nel Paese a quasi un anno dal sisma? Bisogna innanzitutto dire una cosa. Ad Haiti ci sono stati così tanti morti anche perché la gente non conosceva il terremoto, quindi non si è ben resa conto di quello che stava avvenendo. Loro dicono che conoscono bene gli uragani, i tifoni, i colpi di stato, mentre l’ultimo terremoto è stato 200 anni fa. Di solito quando c’è il terremoto nei primi 30-40 secondi, c’è la possibilità di salvarsi perché la prima scossa non è mai forte, è sempre un avvertimento e quindi ci sono questi primi secondi in cui sarebbe possibile uscire di casa o mettersi sul balcone. Tanta gente non si è resa

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conto di quel che succedeva, quindi è rimasta dov’era e questo ha causato sicuramente più vittime di quelle che ci sarebbero state in un Paese più “abituato” ai terremoti. Detto ciò penso che non si parli più molto di Haiti perché ufficialmente la fase di emergenza è stata chiusa. In realtà c’è ancora molto da fare: pensate ad un’area grande come da Villa a Trescore in cui in ogni quartiere ci siano case crollate. La gente continua a dormire nelle tende, alcune delle quali sono state mandate con gli aiuti, altre sono state costruite dalla popolazione. Qualsiasi aiuola, giardino, piazza è occupata da queste tendopoli improvvisate che ospitano circa 800 persone, con i servizi ridotti al minimo e l’acqua che si fatica a trovare. Insomma se Haiti prima era uno dei Paesi più poveri del mondo, adesso è sicuramente il più povero. Per quanto riguarda il discorso aiuti di cui tanto si è parlato bisogna dire che gli aiuti ci sono stati, ma sono stati distribuiti a macchia di leopardo, quindi è stata l’organizzazione che ha lasciato a desiderare. C’è stato un grande lavoro, anche noi per esempio quando c’è stato bisogno ci siamo messi a fare i pacchi con gli aiuti, però certi interventi, se fossero stati meglio coordinati, sarebbero stati più utili. Quando a maggio sono rientrato in Italia, avevano già fatto il check up di tutte le case nei centri più colpiti e avevano se-


gnato con colori diversi quelle che dovevano essere abbattute, quelle che dovevano essere ristrutturate e quelle che potevano essere lasciate così: si poteva vedere che le case da abbattere non erano poche. Adesso dovrebbero incominciare a ricostruire anche se non si sa bene come e quando. Però di questo non è che sia molto al corrente. Certo, bisogna avere dei tempi che non sono i nostri perché i mezzi sono differenti e soprattutto le proporzioni del disastro sono davvero immense.

5_ Come abbiamo già detto, si sono viste tante immagini del terremoto di Haiti. Quelle che forse hanno colpito di più sono quelle in cui si vede la popolazione che, nonostante la devastazione, prega, canta,celebra messe… È davvero così grande la spiritualità del popolo haitiano? Bisogna innanzitutto dire una cosa importante sulla situazione religiosa di Haiti: adesso come adesso c’è un 50-60% di cattolici, un 30% di protestanti e circa un 5-6% di animisti e affini. Se queste sono le per-

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centuali ufficiali dei seguaci delle principali religioni del Paese, bisogna però dire anche che il 100% della popolazione è woodoo. Quindi diciamo che la reale spiritualità haitiana è legata al woodoo e il woodoo non è certo una spiritualità che libera, al contrario, perché è tutta concentrata sulla lotta tra le forze del bene e del male e contiene molti elementi di magia bianca e magia nera. Ad Haiti quindi c’è una forte spiritualità che da un lato ha degli aspetti positivi perché comunque fa riferimento all’esistenza di un Dio, dall’altra ha degli aspetti negativi perché c’è questa zavorra del woodoo, una realtà che loro succhiano col latte materno.

senza terremoto, siamo invisibili

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In effetti un altro aspetto importante del nostro intervento presso la popolazione haitiana è stato quello di aiutarli a fare una rilettura di ciò che era successo perché a causa appunto di queste influenze wodoo, la gente aveva subito letto il terremoto come una punizione di Dio nei loro confronti. Abbiamo quindi dovuto iniziare a spiegar loro che Dio non punisce, anzi ha una predilezione per i poveri e che la morte di tante persone era stata causata da altri fattori, uno su tutti la non corretta costruzione degli edifici. […] 6_ E invece come ha reagito il clero di Haiti a questa esperienza? Anche qui devo fare una piccola premessa. Per i cattolici haitiani entrare nel clero è ancora oggi un passaggio di classe. Quindi c’è un grande bisogno di recuperare il rapporto con la gente, di stare con la gente, cosa che per esempio fanno i pastori protestanti che vanno nei campi a predicare. Questo recupero è parte integrante del percorso che abbiamo intrapreso con loro. Mi chiedete come hanno reagito. C’è una congregazione locale a cui sono morte 19 suore, compresa la madre regionale. Ci sono i deoniani che hanno perso praticamente tutti i seminaristi. Ci sono case e conventi distrutti. Come volete che abbiano reagito? Come hanno reagito tutti gli altri. Quindi il nostro lavoro è quello di cercare di dare anche a


loro degli strumenti perché possano recuperare in fretta la gestione del trauma e diventare a loro volta gli artefici della ricostruzione di Haiti, visto che la chiesa cattolica resta una delle istituzioni più importanti per il Paese. È fondamentale cercar di far si che preti e suore diventino loro stessi animatori di questa voglia e speranza di ricostruire e ricostruire in un modo diverso. Non è comunque facile perché, quando si viene colpiti così duramente, ci vogliono almeno 3-4 anni per riuscire a gestire il trauma, sempre se si ha la possibilità di fare un certo lavoro su sé stessi. 7_ Che cosa ha significato il terremoto per Haiti e il suo popolo? L’esperienza del terremoto ha avuto per Haiti certamente degli aspetti negativi, ma anche degli aspetti, se così si può dire, positivi, perché anche nelle esperienze più traumatiche ci sono degli aspetti che possono essere considerati positivi. Tra le negatività c’è sicuramente la morte di una massa enorme di persone, più di 350 mila quasi tutti concentrati in alcuni quartieri della capitale, anche se non c’è un quartiere in cui non siano crollate case, tutta la città è stata colpita in modo più o meno grave. E poi sono stati colpiti tutti i simboli dell’unione nazionale: è venuto giù il palazzo presidenziale, tre ministeri, la cattedrale. Sono morti il vesco-

vo e il suo vicario. Sono crollate due università e più in generale il mondo universitario ha perso più di mille persone fra studenti, professori e personale tecnico-amministrativo. L’altro grande aspetto negativo è l’aver scoperto che la causa di molti crolli e morti non è stato il terremoto in sé, ma l’uso indiscriminato del cemento, il non rispetto delle norme di sicurezza nelle costruzioni. Questo però può diventare anche un aspetto positivo, perché se non altro si è presa coscienza del problema. Come ho detto però il terremoto ha portato con sé anche aspetti positivi. Il primo tra tutti è stata la coscienza che gli haitiani hanno avuto di essere riconosciuti come esistenti, nel senso che, soprattutto durante la primissima fase di emergenza, si sono resi conto che gli aiuti, che la solidarietà gratuita, sono arrivati davvero da tutto il mondo. Loro stessi si sono meravigliati che il mondo sapesse della loro esistenza e li volesse aiutare nel momento della tragedia. Il secondo aspetto è la presa di coscienza degli haitiani di esistere come popolo. Mi spiego. Dovete sapere che Haiti ha conservato tutte le caratteristiche dell’Africa più nera pur stando nei Caraibi. È una sensazione molto strana per chi come me è stato in Africa, ci si chiede cosa ci faccia lì un pezzo d’Africa. Loro sono molto legati al Continente nero, ma a differenza dei giovani africani hanno ancora la coscienza di essere

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figli di schiavi e quindi si sentono inferiori rispetto ai bianchi pur con una punto di orgoglio per essere neri e di Haiti. Questa ambivalenza non è certo utile in un cammino di ricostruzione, però grazie agli aiuti e alle attenzioni che hanno ricevuto, ora si sentono un pò più riconosciuti come popolo. Infine un ultimo importante aspetto positivo è la coscienza, soprattutto nei giovani, che questo può essere un momento importante per ricostruire, o meglio costruire un Paese su basi diverse. Haiti è un Paese con una burocrazia molto centralizzata (basti pensare che per fare una semplice carta d’identità bisogna recarsi di persona fino alla capitale), con una classe politica corrotta e governi di breve durata. Non c’è quindi una struttura politico-

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amministrativa, questa potrebbe essere l’occasione per creare qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso rispetto a quello che c’era prima. Ecco perché il bisogno maggiore è proprio quello della formazione: certo il primo intervento dopo un terremoto va fatto sul malato, sul ferito. Adesso però la ricostruzione si può fare certamente ricostruendo le case, ma il bisogno vero è quello di costruire un tessuto, una struttura che possa dare al Paese un minimo di indipendenza. Su questo solco si inserisce l’aiuto che vogliamo dare, un aiuto qualificato che però faccia sì che siano gli haitiani i protagonisti di questo sviluppo, di questa nuova fase della loro storia. Questa è la via da seguire, anche se è difficile, anche se richiede tempo.


Caffè corretto ARTICOLO TRATTO DALLA RIVISTA ALTROMAGAZINE – SETTEMBRE 2010

Settanta milioni. È questo il numero delle tazze di caffè, che ogni giorno vengono bevute in Italia. Che sia normale, ristretto, macchiato o decaffeinato, tutti noi lo desideriamo di qualità per regalarci un piccolo momento di piacere. E per unire al piacere del palato la soddisfazione di un caffè giusto? Allora la scelta d’obbligo è un caffè equosolidale. Ctm altromercato ne propone una scelta vastissima, pensata per i palati più esigenti: quelli italiani. Il gusto della tradizione Accanto alle miscele top, la Pregiata e la Bio, entrambe 100% Arabica ci sono miscele dedicate a chi ama il gusto di una volta, cioè quello in cui la componente Robusta si fa sentire. Sono la miscela Classica e l’Intensa, quest’ultima particolarmente carica e corposa, che ricorda le miscele napoletane ma con una ricerca particolare in termini qualitativi.

cacao) sono “il” prodotto coloniale per eccellenza. Un prodotto prezioso, quindi, ma che paradossalmente, spesso non garantisce a chi lo crea nemmeno una vita dignitosa. Questioni di borsa Il caffè è una materia prima quotata alla borsa di New York (la qualità Arabica) e a quella di Londra (la Robusta): insomma, quanto costa il chicco di caffè coltivato in Etiopia, Messico, Brasile e Vietnam lo decide la comunità degli investitori senza

Buono e giusto Una qualità garantita, quindi, con un caffè non solo buono per noi, ma anche per chi lo ha coltivato e raccolto in Asia, Africa, America Latina: quando beviamo caffè, infatti, compiamo un dei gesti più “anticamente globalizzati” che ci siano! I chicchi profumati (insieme alle foglioline di tè e di

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avere assolutamente riguardo per i costi di produzione. Il prezzo è deciso in base alla domanda e all’offerta – quando va bene – o sull’onda degli entusiasmi e delle depressione del mercato, come quelle a cui abbiamo tristemente assistito negli ultimi due anni. Scelte obbligate Se i prezzi fossero troppo bassi viene da pensare che i produttori potrebbero decidere di cambiare coltivazione. In teoria sarebbe la scelta giusta, ma in realtà ciò non è possibile neppure un produttore di riso del Piemonte può decidere di abbandonare la coltivazione in favore di altro, per evidenti limiti climatici e di terreno, figuriamoci un produttore messicano che vive a duemila metri di altitudine, per il quale la coltivazione del caffè con i metodi tradizionali non è solo un lavoro, ma è una componente determinante della società in cui vive. Facciamo di conto Facendo due calcoli sul costo di un pacchetto di caffè non fair trade ci rendiamo conto che al produttore arriva al massimo il 3% del valore: dove va il restante 97%? Nelle tasche degli intermediari. Il caffè verde prodotto dall’agricoltore nel circuito convenzionale viene venduto generalmente all’intermediario locale (familiarmente soprannominato coyote dai produttori) al prezzo fissato da

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quest’ultimo. Poi viene rivenduto al broker locale o nazionale, a seconda del paese per poi essere esportato nei paesi consumatori dove altri broker, distributori e aziende torrefattici se lo passano di mano in mano. Trasformato in grano tostato o in polvere per espresso, moka, filtro, viene finalmente consumato. Ma ogni mano che lo accarezza esige la sua fetta di torta. E la più piccola rimane a chi si è spaccato la schiena per far crescere una pianta che produca buoni frutti. Un’altra via d’uscita Il commercio equo e solidale è nato dall’impegno di tante persone che desideravano ripristinare la corretta attribuzione del valore aggiunto in questa catena. Il commercio equo e solidale ha tagliato tutti i passaggi fino alla torrefazione acquistando direttamente da molti piccoli produttori che prima non avevano scelta che vendere al coyote al prezzo da lui fissato. In questo modo ai produttori rimane una quota che può arrivare fino al 45% del prezzo di un pacchetto di caffè Altromercato. In più, il commercio equo e solidale fornisce ai gruppi produttori un premio in denaro da destinare alla realizzazione di progetti sociali di miglioramento delle loro condizioni di vita. Se poi la produzione è certificata biologica , viene corrisposto anche un premio in denaro destinato a coprire gli alti costi di certificazione e a compensare la riduzione


di resa del terreno che la produzione con metodi meno invasivi e intensivi comporta. L’organizzazione di commercio equo, poi, che ha tra i suoi obiettivi la cooperazione economica con i propri produttori, si occupa di ricercare fondi per loro conto per predisporre attività di miglioramento della produzione e di formazione sul campo, in modo da dare ai propri partner una concreta possibilità di miglioramento.

Ora è chiaro come il semplice gesto di alzare una tazzina e berne lo scuro, caldo, forte contenuto incida sul destino di tutte le persone coinvolte nella sua preparazione. E come sia semplice, in fondo, garantire che quel singolo gesto sia equo verso tutti loro.

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Condivisione mensile “Bondeko” BONDEKO_ ossia l’iniziativa che promuove la condivisione mensile di una quota del salario familiare per finanziare: • l’ospedale di Laisamis, unico presidio sanitario nel vasto territorio desertico del nord del Kenya abitato da Samburu e Rendille; • gli studi di ragazze a Khartoum, nello Stato islamico del Sudan, con il “Progetto di formazione missionaria mons. Pietro Sigismondi”; • la casa-famiglia di Danilo Gotti a Cochabamba, in Bolivia, che ospita adolescenti e giovani orfani o portatori di handicap; • aiuti a 30 ammalati e portatori di handicap della Parrocchia di Imías (Cuba) seguiti da don Mario Maffi; • il sostegno a Juanito, animatore della comunità di Cochi (Bolivia), senza arti superiori e inferiori; • progetto di formazione sanitaria a Capinota (Bolivia); • sostegno a distanza di un bambino eritreo; Nei mesi scorsi ha raccolto le seguenti somme (in Euro): giugno 654 - luglio 470 - agosto 480 - settembre 673,30 provvisorio SOSTEGNI A DISTANZA_ Il sostegno a distanza di bambini orfani o con gravi problemi familiari promosso dai missionari villesi don Battista Personeni (ora sostituito da Fratel Roberto Panetto), Danilo Gotti e suor Maria Clara Rota e dall’Associazione Olavina Halli per assicurare loro cibo, vestiti, scuola ed una famiglia che li accudisca, ha riscosso fino ad ora le seguenti adesioni: • Sostegno bambini in Cambogia = 313 (180 Euro all’anno) • Sostegno casa famiglia in Bolivia = 77 (186 Euro all’anno) • Sostegno bambini in Eritrea ed Etiopia = 48 (310 Euro all’anno) • Sostegno bambini/ragazzi in Kenya = 11 (310/390 Euro all’anno) • Sostegno bambini/ragazzi in India = 3 (300 Euro all’anno)

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“Un anziano Apache stava insegnando la vita ai suoi nipotini. Egli disse loro: “Dentro di me infuria una lotta, è una lotta terribile fra due lupi. Un lupo rappresenta la paura, la rabbia, l’invidia, il rimorso, l’avidità, l’arroganza, il rancore, la rivali e l’egoismo. L’altro lupo rappresenta la gioia, la pace, l’amore, la speranza, il condividere, la serenità, l’umiltà, la gentilezza, l’amicizia, la compassione, la generosità, la sincerità e la fiducia. La stessa lotta si sta svolgendo dentro di voi e anche dentro ogni altra persona.” I nipoti rifletterono su queste parole per un po’ e poi uno di essi chiese: “Quale dei due vincerà?” L’anziano rispose semplicemente: “Quello che nutri.” Puoi trovarci:

Commercio Equo e Solidale •

Bottega in via Dante, 5: da martedì a sabato dalle ore 09.00 alle 12 e dalle 15.30 alle 19. Per informazioni: tel. 035 545585.

Sostegni a distanza e Condivisione mensile Bondeko • • •

Bottega commercio Equo e Solidale (vedi sopra) Sede in Piazza don Carboni, 3 (vicino alla sagrestia), la prima domenica del mese dalle 8.30 alle 11 Bonifico bancario: Credito Bergamasco, filiale di Villa d’Almè

IBAN IT60

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C.A.B 53730

n. CONTO 000000009499

Intestato a Parrocchia dei Santi Faustino e Giovita / Gruppo Missionario. È anche possibile contattare direttamente l’incaricata Bruna Gotti tel. 338-9206936, e-mail: brubru@virgilio.it

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Ottobre Missionario 2010 Domenica 17: GIORNATA PER I MISSIONARI VILLESI •

Sul sagrato durante le SS. Messe festive e prefestiva e presso l’auditorium San Carlo al pomeriggio di domenica, sarà presente il “Pentolone” per la raccolta di fondi in favore del progetto "SHANTHI PRAGATI KENDRA” per sostenere l’autopromozione delle donne Dalit in India, presentato da Suor Erminia Viscardi. Alle ore 15.15 nell’Auditorium San Carlo, pomeriggio in festa con TOMBOLA e CALDARROSTE.

Dal 17 al 24: MOSTRA MERCATO MISSIONARIA •

Nella Sala dell'Annunciazione è allestita una MOSTRA MERCATO con esposizione di prodotti del Commercio Equo e Solidale e oggetti missionari, con i seguenti orari di apertura: - Da lunedì a venerdì: dalle 15.30 alle 17.00 - Sabato: dalle 17.30 alle 19 - Domeniche: dalle 8 alle 12 e dalle 15 alle 19 Mostra per i 150 anni di praticantato in India delle Suore della Carità (che conosciamo anche come Suore di Maria Bambina)

Mercoledì 20: VEGLIA DI PREGHIERA VICARIALE •

Mercoledì 20 alle 20.30 nella Casa dei Ritiri a Botta di Sedrina, momento di preghiera vicariale sul tema della 84a Giornata Missionaria Mondiale: “Spezziamo pane per tutti i popoli”.

Domenica 24: GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE • •

SS. Messe animate da missionari. Sul sagrato della Chiesa si raccolgono le 12 FIRME DI FRATERNITÀ per i missionari villesi attualmente in terra di missione.


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