LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

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LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE



INDICE

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Introduzione

Il ruolo dell’avvocato nella promozione delle pari opportunità

Il protocollo per il contrasto alle discriminazioni dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo

Testo del Protocollo d’intesa

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Genere e avvocatura: una professione diseguale

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I risultati del sondaggio in materia di discriminazioni e pari opportunità realizzato dal CPO dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo

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Buone pratiche per il contrasto alle discriminazioni nell’ambito dell’attività forense

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Grafici


4 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

Introduzione

di Stefano Chinotti Avvocato del Foro di Bergamo; Presidente del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo

Questa guida nasce con l’obiettivo di fare emergere la rilevanza del contrasto alle discriminazioni nel contesto della professione forense; di ogni tipo di discriminazione. Non di rado, infatti, l’attività dei CPO si è concentrata esclusivamente sulla politica di promozione delle pari opportunità intesa come quella diretta all’eliminazione delle, odiosissime, discriminazioni fondate sul genere di appartenenza e in spe-

cie in ragione della maternità e gravidanza; in buona sostanza, una serie di azioni e interventi altrove posti in essere è stata, per lo più, volta al raggiungimento della, doverosa, parità fra uomini e donne in materia di accesso all’occupazione, alla formazione professionale ed in generale di protezione sociale, senza però purtroppo dare conto delle ulteriori condizioni personali che possono generare una disparità


Introduzione -

di trattamento discriminatoria. In ossequio alla normativa che, via via, s’è indirizzata a riconoscere quale principio giuridico quello del contrasto alle discriminazioni fondate su ragioni connesse, oltre che al genere di appartenenza, al credo religioso, alle convinzioni personali, alla “razza” e all’origine etnica, all’età, alla disabilità, all’orientamento sessuale ed all’identità di genere, questo vademecum intende, invece, valorizzare un concetto integrato di pari opportunità senza tuttavia omettere alcuna doverosa menzione alle ipotesi di una maggiormente frequentata tutela. Proprio con tale finalità è già stato licenziato, su iniziativa del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo, il Protocollo d’intesa del 6 giugno 2018, sottoscritto dal Presidente del Tribunale, dal Procuratore della Repubblica e dal Presidente del

Consiglio dell’Ordine degli Avvocati che si è posto in una duplice direzione innovativa; ossia quella dell’affrontare il contrasto alle discriminazioni in una accezione tale da considerare tutte le condizioni che in ipotesi possono contrastare con il principio di uguaglianza e quella dell’aver coinvolto tutti i soggetti che operano nella realtà giudiziaria locale. Nella consapevolezza della complessità del tema, si è dunque inteso offrire una ricostruzione dell’attualità della vicenda in cui ci si muove e delle sue origini storiche – a cura di Valentina Carnevale – passando poi all’analisi dei suoi profili normativi e deontologici (curata dal sottoscritto). Sono quindi stati analizzati i contenuti del protocollo redatto dal CPO – a cura di Chiara Iengo – e del sondaggio predisposto, sempre dal CPO, ed inviato agli avvocati bergamaschi al fine non

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soltanto di disporre di un quadro informativo a livello locale ma indirettamente di generare una sensibilizzazione sul tema (curato da Laura Gargano), chiudendo infine con le possibili buone prassi – a cura di Anna Lorenzetti. Un particolare ringraziamento deve essere indirizzato a tutti i membri del Comitato, oltre quindi alle già citate colleghe Carnevale, Gargano e Iengo, alle avvocate Miriam Campana, componente segretaria, Elena Gambirasio, Olivia Tropea, Elena Viscardi ed all’avvocato Paolo Botteon. La corposa attività svolta nel breve periodo di operatività dell’organismo è dovuta alla positiva sinergia creatasi nel gruppo ed all’impegno riversato da tutti quanti in egual misura. Va espressa sincera riconoscenza, inoltre, nei confronti del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo, Er-


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manno Baldassarre, e di tutti i consiglieri per non aver mai fatto mancare il loro supporto alle attività del Comitato, con una particolare menzione per il collega Mauro Angarano senza il cui fondamentale apporto la parte di questo vademecum relativa ai doveri dell’avvocato non avrebbe mai potuto essere scritta. Un grazie, ancora, alla professoressa Barbara Pezzini, Prorettrice con delega alle politiche di equità e diversità dell’Università degli Studi di Bergamo e ordinaria di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza, fonte di ispirazione di molte delle iniziative intraprese e al Dipartimento, che ha offerto costante collaborazione, alla dott.ssa Laura Cocucci, Presidente del Comitato pari opportunità presso il Consiglio Giudiziario di Brescia, per la preziosa attività di revisione del Protocollo d’intesa, all’av-

vocata Maria Masi, consigliera del CNF e coordinatrice della rete nazionale dei CPO, per l’attività di supporto offerta a tutte le attività promosse in sede locale, al dott. Cesare de Sapia, Presidente del Tribunale di Bergamo ed al dott. Walter Mapelli, Procuratore della Repubblica di Bergamo per aver condiviso e supportato i contenuti del Protocollo d’intesa sottoscritto. È doveroso inoltre ringraziare i colleghi e le colleghe dei CPO che compongono la rete nazionale per i tanti momenti di confronto e i colleghi del Foro di Bergamo che hanno gentilmente acconsentito a prendere parte al questionario e alle attività proposte. Un ultimo particolare ringraziamento va alla dottoressa Anna Lorenzetti, ricercatrice di Diritto costituzionale, presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo, per gli spunti ed i suggerimenti

offerti e per la sua disponibilità senza la quale gran parte delle iniziative svolte dal Comitato non avrebbe potuto tenersi.


Introduzione -

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Genere e avvocatura: una professione diseguale

di Valentina Carnevale Avvocata del Foro di Bergamo; componente del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo

Lidia Poët nasce in Provincia di Torino nel 1855 e si laurea in giurisprudenza nel 1881 con il massimo dei voti, con una tesi sulla condizione femminile in Italia e sul diritto di voto per le donne. Dopo due anni di pratica forense, Poët supera al primo tentativo, con successo, l’esame da procuratore legale. A quel punto chiede l’iscrizione all’Albo degli avvocati e dei Procuratori legali. Nel 1883, il Consiglio dell’Ordine degli Av-

vocati di Torino vota, con 8 voti a favore contro 4 contrari, la risoluzione di iscriverla, prima donna in Italia, all’albo degli avvocati patrocinanti. D’altra parte, la legge professionale non negava l’accesso alle donne. E questa fu la motivazione della maggioranza del Consiglio dell’Ordine: nessuna norma poneva un divieto esplicito. Tuttavia, su istanza del Procuratore Generale del Re, la Corte d’appello di Torino, con la pronuncia dell’11


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novembre 1883, poi confermata dalla Corte di Cassazione, annulla l’iscrizione utilizzando l’argomento che la professione forense dovesse essere qualificata un ufficio pubblico e come tale l’accesso era per legge vietato alle donne: «La questione sta tutta in vedere se le donne possano o non possano essere ammesse all’esercizio dell’avvocheria (…). Ponderando attentamente la lettera e lo spirito di tutte quelle leggi che possono aver rapporto con la questione in esame, ne risulta evidente esser stato sempre nel concetto del legislatore che l’avvocheria fosse un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non dovevano punto immischiarsi le femmine (…). Vale oggi ugualmente come allora valeva, imperocché oggi del pari sarebbe disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense pale-

stra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare: costrette talvolta a trattare ex professo argomenti dei quali le buone regole della vita civile interdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenza di donne oneste. Considerato che dopo il fin qui detto non occorre nemmeno di accennare al rischio cui andrebbe incontro la serietà dei giudizi se, per non dir d’altro, si vedessero talvolta la toga o il tocco dell’avvocato sovrapposti ad abbigliamenti strani e bizzarri, che non di rado la moda impone alle donne, e ad acconciature non meno bizzarre; come non occorre neppure far cenno del pericolo gravissimo a cui rimarrebbe esposta la magistratura

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di essere fatta più che mai segno agli strali del sospetto e della calunnia ogni qualvolta la bilancia della giustizia piegasse in favore della parte per la quale ha perorata un’avvocatessa leggiadra (…). Non è questo il momento, né il luogo di impegnarsi in discussioni accademiche, di esaminare se e quanto il progresso dei tempi possa reclamare che la donna sia in tutto eguagliata all’uomo, sicché a lei si dischiuda l’adito a tutte le carriere, a tutti gli uffici che finora sono stati propri soltanto dell’uomo. Di ciò potranno occuparsi i legislatori, di ciò potranno occuparsi le donne, le quali avranno pure a riflettere se sarebbe veramente un progresso e una conquista per loro quello di poter mettersi in concorrenza con gli uomini, di andarsene confuse fra essi, di divenirne le uguali anziché le compagne, siccome la provvidenza le ha destinate».


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Lidia Poët, pur senza poter dunque patrocinare, per i 37 anni successivi alla sua imposta cancellazione dall’albo, continua a lavorare nello studio del fratello avvocato specializzandosi nella tutela dei diritti dei minori, degli emarginati e delle donne. Nel 1920, all’età di 65 anni, dopo che era entrata in vigore la legge 1176 del 1919 (cosiddetta “Legge Sacchi”) che permetteva alle donne di accedere ad alcuni pubblici uffici (ad esclusione della magistratura, della politica e dei ruoli militari), riesce finalmente a iscriversi all’Albo degli avvocati di Torino. Ad una battaglia vinta, però, ne segue subito un’altra, quella per il voto alle donne. Nel 1922, diventa infatti presidente del Comitato italiano per il voto delle donne. Lidia Poët pervicacemente riesce a vedere il frutto anche di questi suoi sforzi: si spegne a 94 anni il 25 febbraio 1949, ma non

prima di aver votato alle prime elezioni a suffragio universale in Italia, nel 1946. La vita delle avvocate non divenne rose e fiori per il solo fatto di potersi, finalmente, iscrivere all’albo. Emblematico il caso di Elisa Comani, prima donna ad iscriversi all’albo degli avvocati di Ancona nel 1920, che dovette sopportare la derisione di tutta la stampa dell’epoca. Definita “Sirena in décolleté”, ecco cosa scriveva, fra i tanti, un giornalista di un giornale di Torino: «Non posso immaginare che gusto particolare provi la signorina anconetana ad esercitare questa professione legale fra le meno attraenti e simpatiche del mondo e non posso nemmeno credere che abbia tutte le doti naturali per fare una grande carriera (...). Se è bella non le mancheranno bensì i clienti che le vorranno affidare le loro cause, non tanto per la tute-

Lidia Poët


Genere e avvocatura: una professione diseguale -

la degli interessi quanto per farle la corte» e dunque «non è avventato pronosticare per la signorina uno scarsissimo successo professionale, ed una breve durata della carriera». Molte cose sono cambiate dai tempi di Lidia Poët, di Elisa Comani, di Lina Furlan, prima penalista italiana, e di tutte le altre giuriste e colleghe alle quali, se noi siamo qui oggi, dobbiamo dire grazie. Oggi è del tutto normale che una donna scelga di esercitare la professione di avvocato ma esistono ancora alcune riserve e qualche luogo comune. Soprattutto, non si può affatto dire che esista un’effettiva parità tra avvocati e avvocate (e ciò si riflette sul grado di soddisfazione nello svolgimento della professione, inferiore per le donne - v. tab. a pag. 72 riferita al rapporto Censis 2018).

La disuguaglianza emerge su più fronti. Se ne possono individuare quattro: 1. le avvocate guadagnano molto meno (circa il 40%) degli avvocati; 2. spesso le avvocate svolgono la professione in un ruolo subalterno rispetto agli avvocati, titolari di studio; 3. le avvocate non si occupano delle stesse materie di cui si occupano i colleghi uomini, spesso non per scelta propria ma per “necessità”, nel senso che vengono scelte dai clienti per occuparsi di determinate materie e non di altre e quindi poi finiscono per specializzarsi in quelle; 4. molte colleghe abbandonano la professione a seguito della maternità.

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Il Rapporto Annuale sull’Avvocatura Italiana commissionato al Censis dalla Cassa Forense – dell’aprile 2018 – ci fornisce alcune indicazioni utili a comprendere il ruolo delle donne nell’avvocatura. In Italia, ci sono 242.227 avvocati (iscritti alla cassa – dato 2017), con un rapporto avvocato/cittadini che è tra i più alti in Europa. In media, in Italia, ci sono circa quattro avvocati ogni mille abitanti, rispetto ad una media europea di 1,8 ogni mille abitanti, con una disomogeneità marcata di distribuzione tra le regioni del Nord e quelle del Sud. L’analisi svolta dal Censis traccia il profilo di una professione organizzata fondamentalmente su base individuale, quasi il 70% degli avvocati risulta essere titolare unico di studio, ed articolata largamente in microstrutture, quasi


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il 65% degli studi si compone al massimo di tre persone complessivamente. Questo dato si combina con quello che i clienti cercano negli avvocati: il rapporto diretto e fiduciario con il singolo professionista prima di ogni altra cosa. Gli ambiti di esercizio della professione aderiscono ancora molto agli aspetti più tradizionali dell’universo forense; l’avvocatura risulta oggi essere, infatti, ancora fortemente concentrata sull’attività giurisdizionale piuttosto che su quella stragiudiziale, poco propensa alla specializzazione, estremamente orientata al diritto

1980 2018

civile, molto meno al diritto penale, al diritto amministrativo, quasi per nulla al diritto internazionale. Si rivolge, inoltre, a un mercato quasi esclusivamente locale, riferito al proprio ambito territoriale. Il rapporto Censis ci mostra altresì che si è avvocati per passione, per voglia di autonomia, assai più di rado si è avvocati per casualità o per la necessità di portare avanti “l’attività di famiglia” e, ancor meno, per prestigio o per denaro. La scelta di intraprendere la professione forense è dunque, per la larga maggioranza dei professionisti, una scelta guidata da com-

9% 91% 48% 52%

ponenti squisitamente emotive volte a corrispondere esigenze di carattere personale e prevalentemente immateriale. Negli ultimi anni il numero delle avvocate è cresciuto esponenzialmente, passando dal 9% circa degli anni ‘80 al 21% del 1995 passando al 48% di oggi (61% nella fascia di età fra i 30 e i 34 anni e 58% tra i 35 e i 39 anni) - v. tab. pag. 66 riferita al rapporto Censis 2018. La crescita delle donne avvocato è andata di pari passo con il crollo del reddito professionale netto. Non è stato solo un problema della crisi, dunque (anche

le avvocate dichiarano in media euro 23.100 all’anno, gli avvocati euro 52.700


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se il Censis ci dice il 44% circa dei professionisti ha visto diminuito il proprio reddito professionale) ma è dovuto al fatto che le donne guadagnano molto meno degli uomini. Ed infatti le avvocate dichiarano in media euro 23.100 all’anno, gli avvocati euro 52.700. Prima di capire il perché di questo fatto, occorre evidenziare che si tratta di un problema che riguarda tutti, non solo le donne: alla lunga, se non si corregge la rotta, la diminuzione del reddito professionale potrebbe portare a un disavanzo di cassa e quindi alla difficoltà di pagare le pensioni di tutti. Perché le donne avvocato guadagnano meno degli uomini? Una risposta ce la fornisce uno studio commissionato al Censis dalla Commissione per le pari opportunità del Consiglio nazionale forense (Cnf), in partnership con l’Associazione italiana dei giova-

ni avvocati (Aiga). Si tratta di uno studio del 2010 quindi non recentissimo, ma non certo superato. Negli studi grandi, strutturati, a parità di compiti e di attività svolta le avvocate fatturano a fine mese, su indicazione del dominus, ovviamente, meno dei colleghi maschi. Questo è certamente un aspetto da stigmatizzare, di cui è perfino amaro parlare. Ma guadagnano meno anche quando lavorano in proprio e perfino quando sono titolari di studio. Perché? Una prima causa è la subalternità. Per le donne è molto diffusa una condizione professionale che prefigura un rapporto di lavoro di fatto di tipo dipendente, benché con partita iva, spesso a tempo parziale anziché pieno e senza alcuna forma di autonomia. Quasi tutti i giovani partono così: poi però sono quasi solo le avvocate a rimanere in questa condizione per tutta la durata della loro vita professiona-

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le. Ci dice il Censis che le giovani laureate che si avvicinano alla professione lo fanno solo per acquisire una fonte di reddito, senza alcun investimento professionale sul piano dello status che lo svolgimento della professione comporta e richiede. Chiaramente questo modo di intendere la professione influisce molto sulla misura del reddito. Passando al secondo aspetto, quello delle materie affrontate nell’esercizio della professione, occorre partire da un luogo comune, ossia che le donne siano più brave a occuparsi di persone piuttosto che di affari. La società, e quindi i clienti, fa(nno) fatica ad accettare che anche una donna possa avere attitudine ai calcoli, ad esempio. Nella maggior parte dei casi le donne avvocato vengono contattate dalla clientela per questioni che hanno a che fare con la famiglia e i minori (68,5%), con la


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proprietà/locazioni e condomini (55,2%), con la contrattualistica (52,1%), l’infortunistica (50,25%) o le esecuzioni (46,5%). Al contrario, un numero particolarmente esiguo risulta coinvolto per quanto riguarda i reati societari (2,6%), i reati “contro” o i conflitti “con” la P.A. (rispettivamente il 3,8% e l’8,2%), le questioni bancarie (8,0%) e le società in generale (12,0%). Più consistente, ma sempre piuttosto ridotta, la percentuale delle donne avvocato che si occupano di fallimenti (17,1%), di reati contro la persona (18,1%) o di lavoro (27,9%). Settori, questi, di forte appannaggio maschile. Anche questa forma di segregazione orizzontale che deriva dalla naturale concentrazione della domanda di prestazione al femminile in pochi e specifici campi della professione forense – e che non rispecchia necessariamente scelte e attitudini delle donne avvoca-

to ma risponde il più delle volte a condizionamenti e pregiudizi della società, dei ritmi di lavoro – contribuisce a determinare il minor volume di affari e quindi il minor reddito professionale netto. In conclusione, malgrado siano lontani i tempi di Lidia Poët e vi siano stati profondi cambiamenti negli ultimi anni, la professione forense rimane ancora largamente improntata ai tempi e ai ruoli dei colleghi maschi, collocando in una condizione diseguale le avvocate che decidono di intraprendere questa carriera.


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Materie per cui le donne avvocato sono generalmente contattate dalla clientela (val%) Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte

68,5

Famiglia e minori 55,2

Proprietà / locazioni / condomini

52,1

Contrattualistica

50,5

Infortunistica 46,5

Esecuzioni 27,9

Lavoro 18,1

Reati contro la persona

17,1

Fallimenti 12,0

Società Conflitti con la P. A.

8,2

Questioni bancarie

8,0

Reati contro la P. A.

3,8

Reati societari 2,6

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Il ruolo dell’avvocato nella promozione delle pari opportunità

di Stefano Chinotti Avvocato del Foro di Bergamo; Presidente del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo

L’approfondimento del tema del rapporto intercorrente fra la deontologia professionale forense ed il contrasto alle discriminazioni, quale strumento di inveramento del principio di uguaglianza e pari opportunità, necessita di una premessa definitoria. La discriminazione può essere diretta o indiretta. Sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di una qualsiasi delle condizioni previste dalla normativa

– ossia sesso/genere, “razza”, origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età, orientamento sessuale – una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga, mentre sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio talune persone


Il ruolo dell’avvocato nella promozione delle pari opportunità -

rispetto ad altre in ragione della loro condizione personale, fatto salvo il caso di una finalità legittima e dell’impiego di mezzi appropriati e necessari per conseguirla che siano tali da giustificare la differenza di trattamento. Sono inoltre considerate discriminazioni le molestie – ossia, quei comportamenti indesiderati, posti in essere in ragione di una delle condizioni protette, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo – e le molestie sessuali – ossia, quei comportamenti indesiderati con connotazioni sessuali, espressi a livello fisico, verbale o non verbale, aventi come oggetto o conseguenza la lesione della dignità di una persona, in particolare con la creazione di un ambiente intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo – oltre che l’ordine di discriminare.

All’esito dell’inibizione dei comportamenti discriminatori però si è giunti per gradi e recentemente, in forza del recepimento del cosiddetto diritto antidiscriminatorio di matrice euro-unitaria. Il principale testo di riferimento in materia di contrasto alle discriminazioni fondate sul genere è il D. Lgs. 198/2006, meglio noto come Codice delle Pari Opportunità. L’esito dello sforzo del legislatore ha preso forma nei quattro libri di cui è costituito il Codice che tuttavia, si occupano esclusivamente del divieto di discriminazione di genere o meglio delle pari opportunità fra uomo e donna. Nel frattempo, però, l’esecutivo nazionale, con i Decreti legislativi 215 e 216 del 2003, aveva già provveduto all’approvazione di due fondamentali strumenti normativi per la lotta contro ogni forma di discriminazione in attuazione delle direttive 2000/43/CE e 2000/78/

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CE; la prima avente ad oggetto il contrasto alle discriminazioni per ragioni di “razza” e origine etnica sul lavoro ed in altri settori della vita quotidiana (istruzione, assistenza sociale e prestazione di servizi), la seconda in esclusiva materia di occupazione e formazione per ragioni di religione o convinzioni personali, orientamento sessuale, età e disabilità. I decreti legislativi 215 e 216 operano, oggi, accanto alla legislazione positiva in materia di pari opportunità ed in particolar modo alla corposa normativa, pregressa e successiva, a tutela delle disabilità fra cui spicca il disposto della L. 104/92, senza che tuttavia vi sia mai stata alcuna opera di coordinamento. Non che la necessità dell’ablazione degli ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di ogni cittadino per ragioni connesse al genere, alla religione o alle convinzioni personali, alla


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“razza” ed all’origine etnica, alla disabilità, all’età ed all’orientamento sessuale fosse argomento ignoto alle nostre ed ai nostri Costituenti che, infatti, avevano anticipato quel che sarebbe venuto mediante l’approvazione degli artt. 2, 3, 29, 37, 48, 51 e 117 della Costituzione. L’art. 2 infatti enuncia il principio secondo il quale lo Stato riconosce i diritti inviolabili dell’uomo ossia quelli propri a tutti e che nessuna legge potrà mai comprimere, l’art. 3 il principio di uguaglianza formale, al primo comma, e sostanziale, al secondo, attraverso la rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona, con una elencazione di alcune condizioni in particolare (sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali), l’art. 29 quello della parità morale e giuridica dei coniugi, l’art. 37 il principio sui diritti della donna la-

voratrice, l’art. 51 quello dell’uguaglianza dell’accesso alle cariche elettive e gli artt. 48 e 117 quello della rimozione degli ostacoli alla piena partecipazione della donna alla vita sociale e politica. A fronte di un siffatto complesso ma anche chiaro disposto normativo viene da chiedersi, al fine dell’inquadramento del nostro tema d’indagine, quale debba essere l’approccio, dal punto di vista deontologico, che l’avvocato sia tenuto ad adottare. Prima però di rispondere al quesito occorrerà effettuare un’ulteriore premessa su quale sia il ruolo svolto dall’avvocato nell’attività di affermazione e di sviluppo dei diritti fondamentali. Già nel 1964, Norberto Bobbio aveva individuato il punto critico di questo iter, che non consiste nell’enunciazione del principio quanto piuttosto nella necessità di protezione e di garanzia dell’ef-

fettività e dell’applicazione della norma di diritto in cui tale principio è riversato. Orbene parrà pleonastico osservare che un diritto, allorquando normato, deve essere applicato e divulgato mediante l’attività giudiziaria i cui principali interpreti sono, da un lato, la magistratura e, dall’altro, l’avvocatura. La professione forense, quindi, si sostanzia nell’utilizzo strumentale del diritto positivo rispetto alla difesa in giudizio dei diritti fondamentali. E nel far questo essa assolve alla duplice funzione sia di controllore del rispetto dei diritti fondamentali da parte del legislatore, sia di propulsore dell’attività legislativa mediante la sollecitazione, alle Corti, di un’interpretazione del diritto esistente in linea con quei principi imprescindibili riconosciuti dalla Carta costituzionale e dalla legislazione sovranazionale. In ciò si concreta la funzione so-


Il ruolo dell’avvocato nella promozione delle pari opportunità -

ciale dell’avvocato, espressamente menzionata nella disciplina dell’ordinamento forense di cui alla L. 247/2012 che, all’art. 1 comma 2, definisce la funzione dell’avvocato come di «rilevanza sociale» e «diretta alla tutela dei diritti». Il medesimo concetto è ripreso e ribadito dall’art. 2, comma 2, che definisce lo scopo dell’attività dell’avvocatura come quello di garantire «l’effettività della tutela dei diritti» e prevede, al comma 4, che «nell’esercizio della sua attività», l’avvocato «è soggetto alla legge ed alle regole deontologiche». Quali esse siano e di rilievo al tema in esame emerge dalla lettura del nuovo codice deontologico. L’avvocato, infatti, non è solo al servizio del proprio cliente ma ricopre una funzione pubblica, svolgendo un ruolo sociale nella tutela e realizzazione dei diritti fondamentali della persona. L’art. 1 comma 2 del codice deon-

tologico, sotto la rubrica «L’avvocato», sancisce che il professionista «nell’esercizio del suo ministero, vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione e dell’Ordinamento dell’Unione Europea e sul rispetto dei medesimi principi nonché di quelli della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali a tutela e nell’interesse della parte assistita». Dunque, non solo l’avvocato assiste la parte ma vigila, principio di una forza espressiva formidabile, sulla conformità delle leggi. Nessuna norma può violare il dettato costituzionale e la legislazione sovranazionale recepita attraverso il parametro costituito dall’art. 117 della Costituzione. Ne deriva il corollario che i diritti sanciti a livello costituzionale e sovranazionale non possono essere derogati neppure dal volere della maggioranza. La funzione sociale dell’avvocato

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è quindi quella di riaffermare, mai ritenendoli acquisiti, i diritti fondamentali, quali indubbiamente appaiono quelli a tutela delle pari opportunità, anche qualora essi vengano negati da norme di diritto positivo approvate da una maggioranza incline alla mancanza di rispetto delle disposizioni costituzionali e sovranazionali. Il principio è ribadito all’art. 10 del codice deontologico laddove, nel declinare il dovere di fedeltà, stabilisce che l’avvocato debba adempiere al mandato ricevuto nel rispetto del rilievo costituzionale e sociale della difesa. E se così è, se è dunque compito dell’avvocato quello della tutela del cittadino nei confronti di ogni forma di potere in grado di eliderne i diritti fondamentali dovranno considerarsi fondamentali anche le disposizioni dei successivi articoli 12 e 14 del Codice relativi al dovere di diligenza e di competenza.


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L’avvocatura infatti, per assolvere il proprio compito, dovrà sapersi confrontare con le disposizioni del diritto internazionale ed europeo e le decisioni delle Corti sovranazionali: in ambito nazionale, i parametri della difesa sono sanciti dal rispetto della Costituzione ma esiste anche un ambito sovranazionale legato al rispetto della Convenzione europea dei diritti umani, dei trattati internazionali e delle decisioni delle Corti sovranazionali. La complessità del sistema multilivello impone all’avvocato di conoscere il quadro normativo nazionale, euro-unitario ed internazionale ed in special modo allorquando si occupi della difesa dei diritti fondamentali, quali ad esempio quelli per la tutela delle minoranze o diretti all’eliminazione delle discriminazioni. La previsione costituzionale dell’inviolabilità del diritto di di-

fesa, del diritto di accesso alla giustizia ed alla rimozione degli ostacoli per il pari trattamento rende evidente come l’avvocatura costituisca un pilastro insostituibile dell’attività giurisdizionale; un attore fondamentale che necessita di adeguata preparazione e competenza. Anche se, a ben vedere, ad oggi non è tanto la produzione normativa ad aver preoccupato l’avvocatura nel proprio ruolo di difesa dei diritti fondamentali, quanto piuttosto una certa ignavia da parte del legislatore nel mettere a tema riforme che ne prevedano il riconoscimento. Nel sempre più frequente caso di latitanza del parlamento a giudici ed avvocati tocca svolgere un ruolo di autentico presidio nella tutela dei diritti. Quando viene posto un tema di rilevanza sociale, quale è quello del diritto antidiscriminatorio, occorre dare una risposta.

Il giurista deve fare la sua parte liberando, per quanto possibile, il legislatore dalla propria impotenza, facendo venir meno gli alibi opposti dalla politica, indicando e progettando gli strumenti necessari, affinché la vita delle persone sia degna d’essere vissuta, in applicazione dei principi di dignità ed uguaglianza, prendendo atto dei mutamenti sociali col fine di rispettare la libertà di ciascuno favorendone in definitiva, come sosteneva Stefano Rodotà, l’affermazione del diritto alla felicità. In conclusione occorrerà aggiungere una riflessione non solamente “sanzionatoria” ma anche etica. L’art. 20 del Codice deontologico è stato modificato con delibera del Consiglio Nazionale Forense entrata in vigore il 12 giugno del 2018. Se nella propria precedente formulazione l’art. 20 prevedeva che: «la violazione dei doveri di cui ai precedenti articoli costituisce


Il ruolo dell’avvocato nella promozione delle pari opportunità -

illecito disciplinare perseguibile nelle ipotesi previste nei titoli II, III, IV, V, VI di questo codice», ora, la nuova norma così statuisce: «la violazione dei doveri e delle regole di condotta di cui ai precedenti articoli e comunque le infrazioni ai doveri e alle regole di condotta imposti dalla legge o dalla deontologia costituiscono illeciti disciplinari ai sensi dell’art. 51, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247. Tali violazioni, ove riconducibili alle ipotesi tipizzate ai titoli II; III; IV, V e VI del presente codice, comportano l’applicazione delle sanzioni ivi espressamente previste; ove non riconducibili a tali ipotesi comportano l’applicazione delle sanzioni disciplinari di cui agli artt. 52 lett. c) e 53 della legge 31 dicembre 2012, n.247, da individuarsi e da determinarsi, quanto alla loro entità, sulla base dei criteri di cui agli artt. 21 e 22 di questo codice». Dunque la violazione del dove-

re di tutela del diritto alla libertà, inviolabilità e effettività della difesa e la violazione del dovere di vigilanza sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione, dell’ordinamento dell’Unione Europea e della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sono, oggi, immediatamente e direttamente forniti di sanzione (costituendo precetti da applicarsi, come prescrive l’art. 2 del Codice deontologico, «a tutti gli avvocati nella loro attività professionale, nei reciproci rapporti e in quelli con i terzi» ma «anche ai comportamenti nella vita privata»).

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22 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

I risultati del sondaggio in materia di discriminazioni e pari opportunità realizzato dal CPO dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo di Laura Gargano Avvocata del Foro di Bergamo; componente del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo

Il Comitato Pari Opportunità presso l’Ordine degli Avvocati di Bergamo, nella prima metà dell’anno 2018, ha elaborato un questionario a risposte multiple (ma con spazio aperto anche per specifiche e commenti), inviato a tutti i colleghi del Foro, allo scopo di sondare come ed in che misura essi, nell’ambito della loro attività professionale, applicassero i principi delle pari opportunità così come declinati nel protocol-

lo che, siglato dal Presidente del Consiglio dell’Ordine, dal Procuratore capo presso il Tribunale di Bergamo e dal Presidente del Tribunale di Bergamo, esplicita le buone prassi per l’eliminazione di ogni qualsivoglia tipo di discriminazione nello svolgimento della professione forense. Le visite al link creato per la partecipazione dei colleghi al sondaggio sono state 442 totali, pari a circa un quarto degli iscritti all’Ordine.


I risultati del sondaggio in materia di discriminazioni e pari opportunità realizzato dal CPO dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo - 23

Tra coloro che hanno visitato la pagina web, 116 hanno completato il questionario, per un totale del 26,2% delle visite ricevute al sito. Si tratta dunque di un campione molto parziale di riferimento, posto che rappresenta solamente il 6% circa dell’avvocatura bergamasca. Tuttavia, anche la debole risposta rappresenta un dato interessante da considerare, ed in qualche maniera, forse esplicativo, della lettura dei risultati positivi emersi.

La netta maggioranza di chi ha completato il questionario (64%) ha infatti dichiarato di aver organizzato le ore lavorative di collaboratori/collaboratrici impiegati/ impiegate in modo che gli stessi possano liberamente organizzare il proprio lavoro nel rispetto degli obiettivi assegnati loro dal titolare dello studio, mentre altro 20% ha dichiarato di aver concesso orari di lavoro ridotto. Un virtuosissimo 3% ha invece dichiarato di aver istituito una ban-

ca del tempo per assicurare la più ampia flessibilità possibile per il raggiungimento degli obiettivi assegnati nell’ambito di organizzazione dello studio. Coerentemente, il 78% di chi ha risposto al questionario ha dichiarato che ai propri collaboratori/collaboratrici impiegati/impiegate viene riconosciuta una flessibilità in entrata e/o in uscita, mentre un altro 62% ha dichiarato di organizzare il lavoro in modo da garantire sempre la sostituzio-


24 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

ne del/della collega in presenza di esigenze, anche sopravvenute ed urgenti di tipo personale e familiare. Un altro 33% ha dichiarato che comunque in casi eccezionali collaboratori collaboratrici impiegati/impiegate possono delegare un proprio collega allo svolgimento del compito assegnato. Meno brillanti le risposte sul cd. “telelavoro”: solo il 35 % di chi ha risposto al sondaggio consente a collaboratori/collaboratrici impiegati/impiegate di lavorare da casa mentre la restante parte autorizza solo in casi eccezionali (nella cospicua percentuale del 38%) o non ammette affatto il lavoro a distanza ritenendo indispensabile la presenza in studio. Non sono risultate, dalle risposte al sondaggio, particolari attenzioni da parte dei titolari di studio nei confronti di ristrutturazioni e/o arredi dirette a far fronte a particolari esigenze legate alla condizione

fisica dei collaboratori/collaboratrici impiegati/impiegate. Quanto alla presenza e possibilità di utilizzare liberamente uno spazio di cui collaboratori/collaboratrici impiegati/ impiegate possano usufruire nel caso in cui intendano trattenersi in studio, per proprie esigenze, durante la pausa pranzo la risposta della maggioranza degli intervistati si è risolta in senso positivo. Quanto, però, all’adeguatezza a tal fine degli spazi offerti il risultato è stato molto variabile. Si va dal consentire l’uso per pranzo della singola postazione di lavoro, non essendovi stanze ulteriori da adibire allo scopo, alla libera fruibilità all’uopo della sala riunioni/conferenze, alla presenza in studio della macchina del caffè, alla presenza di elettrodomestici dedicati (macchina del caffè, frigorifero e microonde) alla presenza – per la verità constatata de

visu in un solo caso – di una vera e propria cucina attrezzata, con tanto di suppellettili. Molto confortante la risposta data da chi è titolare di studio sull’attenzione riservata, nei rapporti professionali così come nella redazione degli atti giudiziari, all’utilizzo di un linguaggio rispettoso delle diversità individuali di collaboratori/collaboratrici impiegati/ impiegate, così come di clienti e/o potenziali destinatari/e di atti. Ben l’85% dei colleghi intervistati ha infatti dichiarato di porre particolare attenzione a questo tema. Taluni di essi hanno comunque inteso specificare come non sarebbe neppure stato necessario specificare la regola essendo connaturato allo spirito di tutti i partecipanti allo studio l’utilizzo di un linguaggio comunque rispettoso delle diversità di qualunque tipo. Molto interessanti le risposte aperte all’ultima domanda del


I risultati del sondaggio in materia di discriminazioni e pari opportunità realizzato dal CPO dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo - 25

questionario relativa alla realizzazione di attività, nell’ambito dello studio, che rivolgano specifica attenzione alle diversità individuali, sebbene vada detto che la maggioranza degli intervistati (il 53% totale) abbia risposto con un semplice “no/non saprei”. Si va dal rispetto del mese del Ramadan con adeguamento dell’attività e degli orari alle esigenze che ne derivano, alla scelta – nell’ambito delle separazioni – di presa in carico da parte di collaboratore o collaboratrice di genere differente a seconda della sensibilità dimostrata dal cliente stesso, alla più semplice organizzazione degli archivi, all’illuminazione degli ambienti e distribuzione degli incarichi secondo esigenze dettate appunto dalle diversità individuali. Alla luce delle risposte e della coerenza tra le stesse il Comitato Pari Opportunità ha poi selezionato tre

studi, premurandosi di effettuare una verifica in sito; visita in esito alla quale è stato conferito, in occasione di una cerimonia presso la sala consiliare della Municipalità il “Premio Pari Opportunità”. Prima vincitrice nell’albo dei/delle benemeriti/e è stata, per l’anno 2018, l’avvocata Francesca Longhi.


26 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

Il protocollo per il contrasto alle discriminazioni dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo

di Chiara Iengo Avvocata del Foro di Bergamo; componente del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo

Sin dal suo insediamento, il Comitato per le pari opportunità ha inteso colmare alcune lacune in tema di pari opportunità attraverso una serie di azioni, tra cui la redazione di un protocollo che si presentasse come indicazione di buone prassi in varie situazioni ritenute rilevanti. Si è così deciso, innanzitutto, di ampliare la tutela della genitorialità andando oltre le novità portate dalla legge n. 105 del 27/12/2017,

prevedendo la possibilità di chiedere che il magistrato, nel fissare le udienze e nel disporre i rinvii, tenga in considerazione lo stato di gravidanza a prescindere dalla eventuale sussistenza di patologie connesse e, nel caso specifico di sussistenza di patologie e/o gravi complicazioni della gravidanza, di considerare queste situazioni quali legittimo impedimento alla partecipazione all’attività d’udienza, anche al di


Il protocollo per il contrasto alle discriminazioni dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo - 27

fuori dei limiti temporali previsti dalla normativa. Il CPO ha voluto prevedere altresì le gravi necessità dei figli, in specie se riferite ai primi tre anni di vita, nonché la condizione di allattamento, quali motivi di trattazione del processo a orario specifico o di rinvio dell’udienza, ampliando tale diritto anche al padre qualora abbia le responsabilità prevalenti di cura dei figli. In ogni caso, è stata prevista la precedenza, sia nell’ordine di trattazione dei processi, sia per quanto concerne l’accesso ai vari uffici giudiziari. Facendo spesso riferimento, all’interno del protocollo, alla legge 104 del 1992 il CPO ha voluto tutelare non solo chi si trovi in una condizione di disabilità ma anche colui/ colei che assista familiari con disabilità, garantendo la precedenza nell’ordine di trattazione dei processi così come per quanto concerne l’accesso ai vari uffici giudi-

ziari. Inoltre, in caso di incapacità della parte assistita, l’udienza deve essere trattata con precedenza rispetto alle altre, nella stanza del giudice e in condizioni di rispetto della dignità dell’esaminando e di chi lo accompagna; in caso di documentata impossibilità a raggiungere l’ufficio giudiziario deve essere, di preferenza, il magistrato, compatibilmente agli impegni del proprio ruolo, a recarsi presso l’abitazione della persona in condizione di incapacità o presso la struttura in cui quest’ultima risulti essere ricoverata. Infine, ma non certo per importanza, si è ritenuto di dare un segnale anche in ordine alla rilevanza della comunicazione, consigliando un utilizzo del genere grammaticale appropriato al proprio interlocutore/interlocutrice così da introdurre un elemento che “nomini” la differenza di genere e consenta di identificare

la presenza delle donne, contrastando anche in questo modo la discriminazione. Il contrasto alla discriminazione inoltre è stato dal protocollo ben sottolineato con il monito a giudici, avvocati/e e personale di cancelleria nonché agli/alle addetti/e UNEP e UEPE ad adottare formulazioni linguistiche che non escludano o discriminino le persone di un sesso rispetto a quelle dell’altro o in ragione delle altre condizioni personali tutelate dalla normativa antidiscriminatoria ed evitando in modo assoluto qualsiasi tipo di linguaggio che ancorché non direttamente offensivo, sia potenzialmente idoneo a svilire il ruolo professionale o istituzionale dell’interlocutore/interlocutrice.


28 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

Buone pratiche per il contrasto alle discriminazioni nell’ambito dell’attività forense

di Anna Lorenzetti Ricercatrice in Diritto Costituzionale, Università degli Studi di Bergamo

1. IL CONTRASTO ALLE DISCRIMINAZIONI NELL’AMBITO DELL’ATTIVITÀ FORENSE E IL POSSIBILE RUOLO DELLE BUONE PRATICHE Per quanto copiosa sia la normativa di contrasto alle discriminazioni nel contesto lavorativo e dell’accesso a beni e servizi, in ragione di particolari condizioni personali a rischio di margina-

lità (vedi box pagina seguente), occorre constatare che la realtà mostra un quadro problematico, rendendo auspicabile l’attivazione di buone pratiche che, a legislazione invariata, consentano di mitigare gli effetti delle frequenti discriminazioni. L’attivazione di buone pratiche potrebbe infatti rappresentare una via di primaria importanza nel promuovere una cultura della differenza e nel contrasto alle


Buone pratiche per il contrasto alle discriminazioni nell’ambito dell’attività forense - 29

Le normative antidiscriminatorie sono state approvate suddividendo per singola condizione personale e generando un quadro di recepimento frammentato. V. Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, D. Lgs. 198/2006 che ha recepito la Direttiva 2006/54 (cd. Rifusione) sull’attuazione del principio di parità di trattamento per quanto concerne l’accesso al lavoro, alla formazione ed alla promozione professionale e le condizioni di lavoro sulla base del genere e la Direttiva 2004/113, in materia di parità di genere, nell’accesso e nella fornitura di beni e servizi; i Dd.llgg.ss. 215 e 216 del 2003 che hanno recepito la Direttiva 2000/43/CE, cd. Direttiva “Razza”, in materia di parità di trattamento delle persone indipendentemente dalla “razza” e dall’origine etnica e la Direttiva 2002/78/CE, cd. Direttiva quadro, in materia di parità di trattamento in ragione di età, disabilità, religione o convinzioni personali, orientamento sessuale, nella materia del lavoro. A queste normative si affiancano, le disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità, tra cui il D.Lgs. del 26 marzo 2001 n. 151, in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità; L. 53/2000, che detta le Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città; Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 12 luglio 2007, circa l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 17 e 22 del D.Lgs. n. 151/2001 a tutela e sostegno della maternità e paternità nei confronti delle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della

Legge 8 agosto 1995 n. 335; L. 24 febbraio 2006 n. 104, in materia di tutela della maternità delle donne dirigenti. Specificamente rispetto alla professione forense, v. l’art. 81 bis disp. att. Cpc, così come novellato dall’art. 1 comma 465 L. 205/2017; l’art. 420 ter cpp, così come novellato dall’art. 1 comma 466 della L. 205/2017. V. anche Corte Cost. 385/2005, che riconosce ai padri libero-professionisti il diritto di percepire l’indennità di maternità, in alternativa alla madre. Vanno poi ricordate le normative in materia di violenza di genere, tra cui v. L. 27 giugno 2013, n. 177, di Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, siglata a Istanbul l’11.5.2011; L. 119/2013, Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province; L. 154/2001, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari; L. 247/2012, norme sul riequilibrio di genere nelle istituzioni dell’ordinamento forense. V. ancora il Codice Deontologico Forense, approvato dal Consiglio Nazionale Forense, nella seduta amministrativa del 31 gennaio 2014 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 241 del 16 ottobre 2014, in vigore dal 16 dicembre 2014 e l’art. 4 del Codice di autoregolamentazione delle astensioni degli avvocati dalle udienze adottato da OUA, UCPI, ANF, AIGA, UNCC nel testo valutato idoneo dalla commissione di garanzia il 13 dicembre 2007.


30 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

discriminazioni, dovendosi in primo luogo mettere a tema il superamento degli stereotipi e dei pregiudizi basati sulla “razza” e sull’etnia, sulla condizione sociale e culturale, come pure quelli che riguardano il genere, l’orientamento sessuale, l’età, la disabilità o la religione e le convinzioni personali, che possono generare diseguaglianze nei diversi ambiti in cui una persona agisce. Il presente scritto mira dunque a offrire agli Ordini degli Avvocati e in specie al Consiglio, ma anche ai singoli avvocati, una piattaforma di riflessione funzionale alle diverse funzioni che possono trovarsi a esercitare, nel perseguire l’obiettivo del contrasto alle discriminazioni basate su una delle condizioni

personali a rischio di marginalità. Saranno così diversamente analizzate le diverse buone pratiche che possono essere attivate dall’Ordine degli Avvocati e dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, quale soggetto pubblico, quale soggetto che eroga servizi ai propri iscritti e da ultimo quale soggetto committente nell’approvvigionamento di beni e servizi necessari per la propria attività. Saranno poi passate in rassegna le diverse possibilità di azione dell’avvocato quale soggetto che esercita attività di rappresentanza legale ma anche quale datore di lavoro, così da comporre un quadro di insieme che dia conto, negli auspici, del possibile margine di azione a legislazione invariata.

2. IL POSSIBILE RUOLO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI 2.1. Il ruolo dell’Ordine degli Avvocati come soggetto pubblico nell’attivazione di buone pratiche Nel valutare il possibile ruolo delle buone pratiche che possono essere attivate, occorre tenere conto, in primo luogo, del possibile margine di azione dell’Ordine degli Avvocati, quali soggetto pubblico1. Sotto questo profilo, appare fondamentale porsi l’obiettivo di ridurre la discriminazione verso le persone a rischio e assumere un ruolo-guida nell’introdurre buone pratiche volte all’inclusione. Si pensi, ad esempio, al potenziale ruolo di diffusione e valorizzazione

1 - Come noto, infatti, secondo l’art. 24, rubricato «L’ordine forense», «Il CNF e gli ordini circondariali sono enti pubblici non economici a carattere associativo istituiti per garantire il rispetto dei principi previsti dalla presente legge e delle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela della utenza e degli interessi pubblici connessi all’esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale e sono soggetti esclusivamente alla vigilanza del Ministro della giustizia» (comma 3).


Buone pratiche per il contrasto alle discriminazioni nell’ambito dell’attività forense -

della normativa e in generale di una “cultura della parità” nei confronti della collettività, così come della condivisione di politiche pubbliche a ciò orientate, rispetto a cui la promozione di buone pratiche rappresenta un momento di inveramento. In questa prospettiva, sembra fondamentale porsi altresì la finalità di acquisire e innescare nella collettività una maggiore consapevolezza circa l’impatto delle discriminazioni come problema sociale, così da eliminare l’invisibilità che spesso avvolge le diverse condizioni a rischio di discriminazione. La diversità e la differenza dovrebbero piuttosto essere intese come valore aggiunto e non come elemento da neutralizzare e invisibilizzare.

Un deciso posizionamento potrebbe essere rappresentato dall’aumento, all’interno delle proprie sedi decisionali, di rappresentanti di persone portatrici di condizioni a rischio di marginalità e discriminazione. Si pensi all’annosa questione della parità di genere che di recente ha visto un intervento legislativo volto a colmare il gap nei termini di rappresentanza paritaria2 o ancora al tema della rappresentanza delle giovani generazioni3. Allo stesso modo, appare significativo garantire le regolari elezioni del Comitato pari opportunità, assegnando un budget che riconosca autonomia decisionale e operativa a chi è incaricato di questa funzione. Sarebbe altresì fondamentale

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che il Consiglio dell’Ordine si facesse promotore di una rete delle associazioni forensi del territorio, così da mettere a tema, nel contesto delle proprie attività e rispettando le dovute autonomie organizzative, le pari opportunità come questione centrale a ogni ambito. Il Consiglio dell’Ordine potrebbe altresì rivolgersi alle associazioni forensi, invitando, in occasione del rinnovo delle cariche elettive, al rispetto per la rappresentanza di genere nella scelta delle candidature. Da ultimo, si ritiene fondamentale la diffusione di propri progetti pilota da “esportare” in altri contesti o di progetti di altri soggetti – ordini professionali e non solo – da replicare sul territorio.

2 - Si veda l’art. 34, co. 2 e 3, e l’art. 50, l. 247/2012, sulla rappresentanza di genere rispettivamente in seno al Consiglio nazionale forense e ai Consigli distrettuali di disciplina. 3 - In ossequio a quanto ricordato nella l. 247/2012, art. 1, co. 2, lett. d, che si riferisce all’obiettivo di favorire l’accesso alla professione di avvocato alle giovani generazioni.


32 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

Dovrebbe raggiungersi la consapevolezza di come i luoghi nei quali si amministra la giustizia accolgono la diversità come dato di normalità, di cui occorre tenerne conto. L’Ordine potrebbe assumersi l’onere di agire come “sentinella” riguardo alle policy locali sulla diversità e rafforzare l’impegno nel contrasto alle discriminazioni, agendo come cassa di risonanza per le proposte in materia. Si potrebbe altresì dare vita a un forum per iscritti all’albo al fine di creare occasioni di incontro con i colleghi portatori di condizioni minoritarie e a rischio di discriminazione, così da discutere sui temi di interesse e promuovere la reciproca comprensione. Anche la creazione di un gruppo interno specificamente formato sul tema, appare un elemento che attesta l’obiettivo di contrastare le discriminazioni, promuovendo la diversità.

2.1.1. Buone pratiche in materia di informazione e comunicazione: il ruolo del linguaggio Il primo settore in cui appare essenziale attivare buone pratiche in chiave di contrasto alle discriminazioni su una condizione personale riguarda l’ambito informativo. In un contesto sociale che manifesta una non piena consapevolezza del quadro di insieme, la produzione e diffusione di materiali informativi come opuscoli o brochure, ma anche di studi e ricerche, così come la partecipazione o la promozione di eventi di carattere informativo appare un elemento fondamentale. Così anche la creazione di strutture ad hoc, come ad esempio sportelli informativi aperti al pubblico sul tema delle discriminazioni, appare un elemento essenziale nella costruzione di un percorso di consapevolezza sulla questione come problema sociale.

Il Consiglio dovrebbe peraltro assicurarsi che le istanze a favore dell’uguaglianza e della diversità siano esposte e pubblicizzate nei luoghi di accesso dei propri iscritti. Infatti, esporre un chiaro messaggio contro le discriminazioni, come ad esempio: “L’Ordine fornisce servizi e si prende cura di chiunque a prescindere da età, disabilità, genere, identità di genere, etnia, religione e credo, o orientamento affettivo-sessuale”, esprime un chiaro posizionamento a chiunque frequenti i luoghi e genera un’atmosfera accogliente per coloro che – avvocati o utenza – sono portatori di condizioni di diversità. Anche l’impiego di persone portatrici di diversità nella produzione di materiale pubblicitario su larga scala, non solo per documenti specificamente mirati, trasmette un messaggio di riconoscimento da parte dell’Ordine e supera la spesso cronica invisibilità.


Buone pratiche per il contrasto alle discriminazioni nell’ambito dell’attività forense -

Un ruolo fondamentale va riconosciuto al linguaggio, rispetto a cui va prestata la massima attenzione quanto alla correttezza e alla appropriatezza. Nei documenti che si producono, nel riferirsi a persone portatrici a rischio di discriminazione e marginalità, andrebbero evitati termini che possono risultare dispregiativi. Si pensi al frequente riferimento alle questioni che riguardano le persone a rischio di marginalità come a “problemi”, “questioni delicate” o “eticamente sensibili”, espressioni che veicolano un’immagine implicitamente denigratoria. Occorre inoltre dare specifiche indicazioni ai propri iscritti circa l’attenzione da prestare a come la clientela descrive la propria identità, genere, partner e relazioni, chiedendo di riflettere la loro scelta di linguaggio ed evitando di presumere uno specifico orientamento affettivo-ses-

suale o una precisa identità di genere della persona. Così, gli iscritti andrebbero incoraggiati all’uso di un linguaggio inclusivo e neutrale sotto il profilo del genere, attraverso l’uso di un pronome neutro come “loro”, piuttosto che di “lui” o “lei” e il riferimento al partner piuttosto che al compagno/marito o compagna/moglie. L’Ordine dovrebbe inoltre assicurarsi che il linguaggio utilizzato nei formulari standard e nella modulistica, così come i comportamenti assunti dal personale, non presuppongano che le persone sono eterosessuali o cisgeneri, appartenenti alla medesima religione, o siano fisicamente o mentalmente abili, e in generale portatrici di condizioni mainstream. Rispetto al personale interno e all’utenza, va segnalato con decisione che vi è una tolleranza zero del linguaggio e del comportamento discriminatorio.

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Analogamente, rispetto al materiale pubblicitario, nei siti web, nelle bacheche e nelle aree d’attesa, andrebbe verificato l’uso di un linguaggio neutro e inclusivo, con l’obiettivo di creare un ambiente accogliente e inviare un messaggio positivo a chi è portatore di una diversità. Parimenti, andrebbe valorizzata l’importanza di un linguaggio consono, non sconveniente che, per quanto non direttamente offensivo, sia potenzialmente idoneo a svilire il ruolo professionale o istituzionale dell’interlocutore/interlocutrice; si pensi, quale esempio, al frequente uso dell’appellativo “signora” per rivolgersi a una avvocata che pare in qualche modo svilire la sua professionalità. Sotto questo profilo, l’Ordine e il Consiglio potrebbero efficacemente svolgere un ruolo di stimolo e promozione verso la


34 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

stampa e i media, così da garantire l’utilizzo di un linguaggio corretto anche nel riferire fatti di cronaca di cui sono protagoniste persone a rischio di discriminazione. Si pensi, ad esempio, ad aggressioni e rapine a danno di donne che esercitano l’attività di prostituzione, spesso riportate come fatti rientranti nel mondo della prostituzione, in qualche modo “svilendo” l’impatto e la gravità del reato subito nei termini di violenza di genere. Così, al tempo stesso, andrebbe enfatizzata l’importanza di riferirsi alle persone transgeneri secondo il genere di appartenenza (e non “ai transessuali” quando si tratta di donne transgeneri o “alle transessuali” se si tratti di uomini transgeneri). Si pensi, ancora, a vicende criminose o giudiziarie che coinvolgono cittadini stranieri, spesso veicolate da formulazioni che sottintendono un giudizio

o che possono generare stigma, attraverso l’essenzializzazione del mancato possesso della cittadinanza italiana. 2.1.2. Buone pratiche in materia di sensibilizzazione Un settore nel quale appare rilevante attivare buone pratiche è la sensibilizzazione sul tema delle discriminazioni, fondamentale per garantire un servizio adeguato alle peculiari esigenze del caso. Nel percorso di costruzione di consapevolezza delle difficoltà legate all’appartenenza a condizioni minoritarie, andrebbero così promosse attività volte a infrangere l’invisibilità che spesso ammanta il tema delle discriminazioni, come la promozione di eventi e momenti di riflessione in occasione di ricorrenze legate al mondo delle diversità a rischio di discriminazione. Così, gli ordini potrebbero farsi promotori

di eventi di sensibilizzazione, incontri formativi e attività di commemorazione in occasione della giornata del migrante e del rifugiato, alla giornata mondiale sulla disabilità (3 dicembre), o della giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia, la transfobia (IDAHOBIT, 17 Maggio), del Pride (28 giugno), della giornata nazionale di consapevolezza sul Coming Out (in sigla NCOD, che sta per National Coming out Day, 11 ottobre), della giornata della memoria Intersex (cd. Intersex Day of Remembrance, anche noto come Intersex Solidarity Day, 8 novembre), o del TDoR (sigla che sta per Transgender Day of Remembrance, ossia il Giorno della Memoria Transgender, 20 novembre)4, così come in occasione della giornata internazionale della donna (8 marzo) o della giornata internazionale contro la violenza di genere (25 novembre).


Buone pratiche per il contrasto alle discriminazioni nell’ambito dell’attività forense -

Si pensi ancora al possibile ruolo in occasione di eventi commemorativi o fatti di cronaca che vedono come vittime persone a rischio di discriminazione, rispetto ai quali l’Ordine è chiamato a “reagire” con comunicati stampa pubblici, ma anche semplici attestati di solidarietà, prendendo posizione per sensibilizzare la collettività e stigmatizzare l’accaduto. Se anche l’impatto pratico che questo viene a produrre non è immediatamente percepibile, è certo che dà, con immediatezza, il segno del rifiuto, da parte dell’istituzione, di modelli comportamentali caratterizzati dalla violenza e dalla discriminazione. Occorre tuttavia evitare che delle discriminazioni o della violenza contro persone a rischio di discri-

minazione si parli soltanto in occasione di eventi tragici, posto il ruolo potenzialmente straordinario delle azioni a carattere preventivo. Gli Ordini potrebbero sostenere, finanziare e pubblicizzare le proprie attività in occasione dei Pride annuali o di altri eventi che riguardano le condizioni a rischio di marginalità, partecipandovi, con striscioni, materiale promozionale per attestare il rifiuto di ogni forma di discriminazione e la condivisione della battaglia per il loro superamento. Del pari, gli Ordini potrebbero altresì attivamente partecipare alle campagne volte alla richiesta di modifiche legislative su temi che riguardano le discriminazioni, valorizzando al meglio il proprio ruolo. Così, potrebbero essere sviluppate

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e disseminate informazioni circa le discriminazioni, attraverso social media, materiali audio-video, pubblicazioni, ricerche e guide di agile consultazione, anche rivolte verso la collettività, ma in specie alle scuole per intervenire sulle giovani generazioni in chiave di cambiamento strutturale, culturale. Il tema appare di particolare rilievo rispetto alla violenza di genere, in cui le attività di informazione e sensibilizzazione complessiva sul fenomeno appaiono funzionali al contrasto degli stereotipi, che della violenza sono la prima causa. Appare dunque fondamentale avviare o consolidare campagne di sensibilizzazione, produzione di opuscoli e depliant informativi, pubblicità televisive, sponsorizzazione di rassegne cinematografi-

4 - Il Transgender Day of Remembrance ricorda le vittime di odio e pregiudizio verso le persone transgeneri. La data è fissata per il 20 novembre, data in cui fu uccisa Rita Hester.


36 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

che, articoli, blog, servizi su riviste, ma anche pubblicazioni e ricerche, corsi nelle scuole, convegni, conferenze e presentazione di libri, senza che tuttavia vengano confinate quali attività spot o in occasione di particolari eventi, piuttosto rendendo le iniziative un continuum. Peraltro, sarebbe fondamentale che, nell’ideare iniziative di sensibilizzazione e comunicazione, si trasmetta l’idea della vittima di discriminazione, non come inerte e passivo “oggetto” dell’altrui comportamento, ma come persona in grado di reagire e contrastare gli abusi in chiave di empowerment. Quale testimonianza significativa del rifiuto di ogni forma di discriminazione, appare rilevante anche la concessione del patrocinio, pur se a titolo gratuito, per eventi

(seminari e conferenze, festival, rassegne, ecc.) organizzati da soggetti terzi che, oltre a conferire prestigio all’evento, ha funzione di legittimazione istituzionale e riconosce visibilità, assumendo una forte portata simbolica. In caso di discriminazione verso colleghi o verso l’utenza, sarebbe importante che il Consiglio dell’Ordine stigmatizzasse i casi e promuovesse un dibattito interno e/o sanzioni disciplinari. Sarebbe inoltre importante contestare commenti o “scherzi” di natura discriminatoria, poiché restare in silenzio di fronte ad essi implicitamente significa condividerne i contenuti. Nella direzione di acquisire una maggiore consapevolezza del fenomeno, sarebbe pure impor-

tante l’attivazione di Osservatori sulle discriminazioni5, così come la mappatura e il monitoraggio dei casi giudiziari che riguardano le discriminazioni, spesso caratterizzate dai fenomeni dell’underreporting e dell’underrecording. Si pensi al caso in cui sia vittima del reato una persona transgenere, laddove la classificazione comunque segue il sesso anagrafico, elemento che tende a far “sfumare” l’elevato tasso di persone trans quali vittime di alcune tipologie di reato. Nel riconoscere la natura intersezionale della discriminazione, ossia la possibilità che più condizioni a rischio di discriminazioni si sommino tra loro con effetti esiziali, andrebbero diffusi dati sulle discriminazioni, così da aumen-

5 - Si segnalano in particolare quelli creati dall’Associazione Avvocatura per i diritti LGBTI-Rete Lenford, con il Tribunale di Bergamo e l’Università degli Studi di Bergamo sul tema delle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale, l’identità di genere e l’intersessualità.


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tare la consapevolezza e provare a modificare le attuali pratiche. Inoltre, nella raccolta dei dati, è importante curare l’aggiornamento nel rispetto del livello di riservatezza richiesto dagli stessi. Sarebbe significativo promuovere una raccolta dati anche internamente all’Ordine degli avvocati, verificando tuttavia di non utilizzare dichiarazioni che possono

sembrare valutazioni o giudizi. Ad esempio, scegliere la parola “omosessuale” per descrivere l’orientamento sessuale di chi è attratto da persone del medesimo sesso può trasmettere una connotazione negativa. Per indicare chi prova attrazione verso persone del proprio sesso, dovrebbero piuttosto essere preferite le parole “gay” o “lesbica”. Anche l’Ordine in cui sono elenca-

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te le diverse opzioni su un modulo può trasmettere un messaggio non corretto e far sentire giudicate le persone. Ad esempio, la parola “eterosessuale” si trova spesso come prima opzione nell’elenco dei possibili orientamenti sessuali, seguito da gay, lesbica, e così via. Le opzioni potrebbero/dovrebbero piuttosto essere elencate in ordine alfabetico. L’unica eccezione che


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può essere accolta è “altro, si prega di definire” che può invece essere indicato alla fine dell’elenco, trattandosi di una ipotesi residuale. Ad esempio: “Selezioni l’opzione che meglio descrive il suo orientamento sessuale: bisessuale, gay, eterosessuale, incerto, lesbico, queer, altro: si prega di definire”. Le attività condotte a stretto contatto con le persone LGBTI hanno evidenziato la complessità di rispondere a domande di natura personale sulla riassegnazione del sesso. In questo contesto, può essere interessante comprendere per ogni persona sia il genere assegnato alla nascita (o più correttamente il riferimento al “sesso”) sia quello attualmente percepito, come pure conoscere se l’identità è stata modificata nel tempo (ad esempio nel caso di identità transgenere). 6 - Par. 2.2 del presente scritto.

Nel caso di persone trangeneri, è ad esempio importante chiedere le necessarie informazioni in un modo che risulti adeguato e faccia sentire a proprio agio, al tempo stesso evitando che divenga troppo complesso o alienante per le altre persone. Nella costruzione di un questionario di monitoraggio, il form, sin dall’inizio, dovrebbe chiarire che gli utenti/gli utilizzatori possono scegliere di rispondere a tutte o soltanto ad alcune delle domande, piuttosto che inserire l’opzione “Preferisco non rispondere” sotto ogni domanda. Queste iniziative potrebbero (o meglio dovrebbero) essere promosse di concerto con le autorità e l’associazionismo locali, così da rinsaldare i legali e trasmettere l’idea del tema come problema sociale.

Fondamentale sarebbe anche introdurre Codici interni o Carte dei Valori in chiave di contrasto contro le discriminazioni e per la promozione di buone pratiche sui temi/sulle questioni che riguardano condizioni a rischio di marginalità, evitando di enfatizzare le differenze che, circolarmente, sono esse stesse all’origine e rinforzano le differenze. In occasione di eventi sociali aperti ai partner, è importante assicurarsi che vi sia la medesima considerazione per i partner dello stesso sesso. Sarebbe altresì importante, da ultimo, introdurre un premio interno per gli studi che propongono soluzioni organizzative in linea con le policy antidiscriminatorie e che in caso di front office o sportelli aperti al pubblico, garan-


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tiscano che chiunque sia trattato con il medesimo rispetto, a prescindere dall’identità. 2.1.3. Buone pratiche in materia di formazione Posto che spesso le difficoltà dipendono, in maniera più o meno diretta, dalla non compiuta conoscenza e preparazione di coloro che sono chiamati a interfacciarsi con le persone vittime di discriminazione – professionisti legali ma anche sanitari e sociali – vanno positivamente intese le azioni volte a colmare il gap attraverso iniziative formative. Rinviando alla specifica sezione per quanto riguarda la formazione rivolta ai propri iscritti6, l’Ordine potrebbe promuovere attività formativa rivolta ad esempio a magistrati, specificamente su alcuni aspetti, come le difficoltà probatorie e le regole in materia di inversione dell’onere, modalità di raccolta

prove, ma anche agli operatori di pubblica sicurezza e in generale a tutti coloro che forniscono un sostegno a persone vittime di discriminazione, sindacalisti e pubblici ufficiali, quanto al riconoscimento del fenomeno e al suo corretto inquadramento, o ai giornalisti, quanto alla correttezza linguaggio nel riportare notizie di cronaca che spesso veicolano una visione stereotipata della vittima, o ancora da ultimo agli operatori sociali e socio-sanitari, spesso non immediatamente consapevoli nel riconoscere i “sintomi” della discriminazione. Così anche rispetto alle attività formative rivolte alla scuola, agli studenti, ma anche al personale docente, prima sentinella nell’individuare i sintomi della discriminazione. In chiave di efficienza, sarebbe importante che queste attività formative fossero oggetto di una valutazione, di un follow up, così da poter con-

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tare su uno strumento di efficace valutazione dei risultati. 2.1.4. Buone pratiche in materia di networking con gli organismi che si occupano di promozione della parità e contrasto alle discriminazioni sul territorio Fondamentale in chiave di contrasto alle discriminazioni appare l’attività di networking con soggetti pubblici, aziende private, lavoratori, enti di ricerca e formazione, specificamente rispetto a enti che operano nell’ambito forense, possibilmente sistematizzata attraverso la creazione di tavoli interistituzionali. Si è infatti spesso rilevata una debole conoscenza degli enti e degli organismi che già operano nel settore e che spesso possono porsi quale punto di riferimento. Si pensi a OSCAD, sigla che sta per Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori7,


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un’agenzia interforze della Polizia di Stato e dei Carabinieri, incardinata nel Dipartimento della pubblica sicurezza – Direzione centrale della polizia criminale del Ministero dell’interno. Creato nel 2010, con l’obiettivo di sensibilizzare gli appartenenti alle forze di polizia sui temi della diversità e delle vittime di hate crimes basate su “razza”, origine etnica, nazionalità, religione, genere, lingua, disabilità fisica e psichica, orientamento sessuale e identità di genere, OSCAD organizza numerosi corsi e attività formative8, riceve denunce e segnalazioni e attiva misure preventive e campagne di sensibilizzazione rispetto a cui appare fondamentale coordinare azioni congiunte.

Del pari, si profila come fondamentale il coordinamento con gli organismi locali che si occupano di pari opportunità e contrasto alle discriminazioni, come ad esempio le Consigliere provinciali di parità, gli organismi a ciò delegati – Consulte, commissioni – e i Difensori civici. In caso di assenza, il Consiglio dell’Ordine potrebbe farsi promotore di reti fra associazioni che si occupano del contrasto alle discriminazioni e di tutela dei diritti umani, costituendo delle Consulte, in chiave di confronto con le istituzioni pubbliche e le organizzazioni di natura private o del privato sociale. La stretta collaborazione con i soggetti del settore sociale ed economico – sindacati, associazioni che

si occupano di diritti umani e di promozione della parità, aziende – appare un passaggio necessario per superare l’attuale quadro di discriminazioni. Soltanto con una forte collaborazione e sinergia, la discriminazione potrà essere efficacemente affrontata. In questa chiave, anche la creazione di commissioni e/o tavoli tecnici di lavoro per esaminare e analizzare il fenomeno delle discriminazioni, nonché promuovere ricerche per sollevare la cortina di invisibilità sulla condizione delle persone a rischio di discriminazione, appare fondamentale, potendo così disporre di dati attuali e verificabili. Andrebbe altresì valutata la creazione di un Comitato o un gruppo permanente di lavoro sulle questioni che ri-

7 - V.: http://www.interno.gov.it/it/ministero/osservatori/osservatorio-sicurezza-contro-atti-discriminatori-oscad. 8 - Si tratta di attività formative rivolte specificamente agli appartenenti alle forze di polizia. Tra il 2012 e il 2016 sono state formate oltre 9.000 persone.


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guardano le discriminazioni, così da implementare competenze analoghe a quelle che possono reperirsi presso Consulte, commissioni pubbliche per il contrasto alle discriminazioni, nell’ambito degli organismi di parità e contrastare le discriminazioni. Nell’azione di coinvolgimento con gruppi e associazioni locali, l’Ordine potrebbe farsi promotore della costruzione di reti di relazioni e network, chiedendo un attivo coinvolgimento nello sviluppo di formulari di monitoraggio (così come nell’attivazione di nuovi servizi e di altre iniziative). Del pari, sarebbe importante che, nell’attivare iniziative specifiche su alcuni temi, l’Ordine coinvolgesse i propri iscritti, il proprio personale, ma anche le associazioni di volontariato di riferimen-

to e le associazioni forensi, così da attivare iniziative che rispondano ai bisogni percepiti. Vista la forza e le competenze che l’Ordine può vantare sarebbe fondamentale offrire un supporto a gruppi o associazioni di iscritti che si occupano di discriminazioni e marginalità, anche quanto a politiche di inclusione e di promozione della parità, rispetto a policy o procedure interne, come pure ad attività di varia natura. Il sostegno può manifestarsi sotto una pluralità di forme, dall’offerta di spazi a titolo gratuito per incontri, all’attivazione di momenti di dialogo su temi di interesse, all’attivazione di comuni iniziative, al sostegno di natura economica o nei termini di competenze. Il sostegno finanziario o di altra natura incoraggia iniziative, offrendo un messaggio chiaro cir-

9 - Si veda quanto realizzato dall’Ordine degli Avvocati di Torino.

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ca il rifiuto, da parte dell’Ordine, di un contesto discriminatorio. 2.1.5. La creazione di albi e sportelli specializzati nell’assistenza a vittime di discriminazione In chiave di contrasto alle discriminazioni, appare altresì auspicabile la creazione di elenchi e albi di avvocati specializzati che, nel rispetto della normativa in materia di divieto di accaparramento di clientela e divieto di concorrenza, consenta tuttavia di offrire all’utenza un servizio altamente qualificato. Come già realizzato in alcune virtuose esperienze9, appare fondamentale realizzare percorsi di formazione e selezione per l’iscrizione all’albo e requisiti per il mantenimento dell’iscrizione, quale garanzia di competenza e professionalità degli iscritti e delle


42 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

iscritte nei confronti dell’utenza. Del pari, appare di interesse realizzare sportelli, servizi di sostegno e supporto, ma anche info point sul tema, replicando le esperienze già realizzate in materia di violenza di genere10 anche quanto al contrasto alle discriminazioni o al supporto dell’utenza a rischio di marginalità e discriminazione. Si pensi al tema della malattia mentale, ma anche all’utenza non udente o che si esprime con il linguaggio dei segni, che ad oggi fronteggia significative barriere nell’accesso alla giustizia, ad esempio, per l’assenza di un “traduttore” durante le attività legali. Appare altresì rilevante la possibilità di attivare indirizzi email di SOS, di numeri di ascolto, di cen-

tri di supporto e assistenza, per rispondere alle esigenze di chi subisca discriminazioni e necessiti di informazioni o sostegno giuridico specializzato. 2.1.6. L’approvazione di normative di contrasto alle discriminazioni In chiave di contrasto alle discriminazioni, sarebbe inoltre fondamentale che venissero adottati Vademecum, Linee guida o atti regolamentari interni, per esplicitare il rifiuto di qualsiasi forma discriminazione e tracciare un percorso per l’attivazione di buone pratiche. Si veda, sotto questo profilo, il Protocollo d’intesa promosso dal Comitato Pari Opportunità presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di

Bergamo tra tutti i soggetti che partecipano all’amministrazione della giustizia11 che – per quanto certamente rientrante tra le normative di soft law e dunque con una forza e capacità cogente sicuramente relative – trasmette un messaggio significativo quanto al rifiuto delle discriminazioni peraltro affrontando il tema nella sua completezza e senza limitarsi al genere e alla maternità. Infatti, in questo genere di atti, è importante evitare, da un lato l’eccessiva frammentazione sulla base delle diverse condizioni personali che rischia di non far comprendere la comune base delle discriminazioni, dall’altro l’essenzializzazione che spesso vede atti approvati con l’obiettivo

10 - Si veda lo sportello attivato dall’Ordine degli Avvocati di Bergamo. 11 - Tribunale di Bergamo, Ufficio del Giudice di pace di Bergamo, Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo, Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo, il Comitato Pari Opportunità presso lo stesso Consiglio, l’Ufficio unico notifiche esecuzioni e pignoramenti presso il Tribunale di Bergamo, l’UEPE - Uffici di esecuzione penale esterna.


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di contrastare le discriminazioni di genere, limitarsi al tema delle molestie e del mobbing, o alle questioni della gravidanza e della maternità. Per quanto siano questioni certamente centrali, queste limitazioni propalano l’idea di una essenzializzazione delle discriminazioni fondate sul genere come limitate al contrasto alle molestie o al mobbing, e al tema della gravidanza e maternità che tuttavia riguardano soltanto una parte delle donne e limitatamente ad alcuni periodi della propria esistenza. Peraltro, si deve tenere conto che tutto quanto finalizzato al sostegno della genitorialità – si pensi ad esempio all’attivazione di nidi all’interno dei tribunali – non può ritenersi funzionale al contrasto alle discriminazioni fondate sul genere, posto che ciò presupporrebbe che la cura sia

questione esclusivamente femminile, piuttosto ponendosi quale strumento di sostegno alla famiglia e alla genitorialità. 2.1.7. L’assetto organizzativo In chiave organizzativa, sarebbe importante la verifica di possibili meccanismi inclusivi, ad esempio, quanto all’adeguatezza delle strutture a persone diversamente abili, posto che ancora oggi non tutte le strutture che accolgono gli uffici giudiziari consentono l’accesso a chiunque, vista la presenza di barriere architettoniche. Si pensi, ancora, all’introduzione della possibilità di un abbigliamento gender-neutral nei casi in cui sia previsto un diverso abbigliamento per uomini e per donne, all’utilizzo di un linguaggio inclusivo nel materiale promozionale, sui siti, nelle forme

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di comunicazione collocate nelle sale d’attesa, nelle newsletter o rivolte all’esterno, con l’obiettivo di creare un ambiente accogliente e inviare un messaggio sull’inclusione a prescindere da qualsiasi condizione personale. Inoltre, sarebbe da valutare la possibilità di attivare servizi igienici e spazi comuni unisex. Sarebbe importante che le udienze che prevedono la partecipazione di persone in condizioni di incapacità siano trattate con precedenza sulle altre e nel rispetto della dignità dell’esaminando; in caso di impossibilità a raggiungere la sede dovrebbe, di preferenza, essere il magistrato a recarsi presso l’abitazione dell’incapace o presso la struttura in cui quest’ultimo risulti essere ricoverato, ovviamente compatibilmente agli impegni del proprio ruolo.


44 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

2.1.8. La tutela della maternità, della gravidanza e della genitorialità Per quanto certamente non esaurisca il tema della discriminazione fondata sul genere, sarebbe importante che, nell’organizzazione delle attività giudiziarie e nell’esercizio delle proprie competenze, l’Ordine attivasse azioni funzionali alla tutela dello stato di gravidanza, della condizione di maternità e di paternità, cui andrebbe equiparato l’affidamento familiare, anche ai fini del raggiungimento di una reale parità fra genitori. Peraltro, sarebbe importante introdurre la parità di trattamento nei casi di omogenitorialità e/o genitorialità “sociale”, anche in assenza di un riconoscimento normativo.

Il tema della conciliazione tra vita professionale e vita familiare nell’organizzazione lavorativa di tutte le persone che operano nel campo della giustizia appare infatti centrale, stando alle statistiche che, per le donne che accedono alla professione, indicano un gap “salariale” significativo12. 2.2. Il possibile ruolo del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati come soggetto che eroga servizi ai propri iscritti Una serie di buone pratiche potrebbero essere attivate assumendo il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati come soggetto che eroga servizi ai/alle iscritti/e all’albo. In questo ruolo, appare fondamentale offrire percorsi di formazione e aggiornamento sui temi della

discriminazione, in particolare legate a disabilità, età, “razza” e origine etnica, religione e convinzioni personali, orientamento sessuale e identità di genere, accompagnati da analisi di casi pratici che supportino nel gestire e affrontare al meglio queste vicende13. La formazione dovrebbe riguardare non soltanto la normativa e le sue evoluzioni, così come la giurisprudenza sul tema, ma anche la prospettiva deontologica, posto che gli studi mostrano come gli avvocati spesso scoraggino dal presentare la denuncia. Avere contezza di cosa significa assistere una persona a rischio di marginalità o discriminazione supporta il legale nello svolgere al meglio, non solo sotto il profilo tecnico, ma anche umano, il proprio ruolo.

12 - Su questi aspetti, si veda il contributo di Valentina Carnevale. 13 - In questo senso, potrebbe essere valorizzata la possibilità prevista dall’art. 9, l. 246/2012, Art. 9 rubricata «Specializzazioni».


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È importante proporre altresì una riflessione quanto alla declinazione del linguaggio negli atti e nel sito, nonché ad una revisione della modulistica. Infatti, la pensabilità di azioni utili per promuovere le pari opportunità, anche nella comunicazione, fra tutti coloro che operano nel campo della giustizia, attraverso un uso del linguaggio consapevole, non discriminatorio, mostra una particolare importanza quanto alla consapevolezza nell’utilizzo del genere grammaticale adeguato a riconoscere la componente femminile della professione. Sarebbe inoltre importante che fossero rimossi gli assunti eteronormativi da tutti gli atti, sia amministrativi che normativi interni, di competenza, così da porsi

come soggetto attento alle questioni di genere, oltre ad essere maggiormente in linea con l’evoluzione del linguaggio. Ancora rispetto al linguaggio, sarebbe importante che anche nella comunicazione interna, venisse assicurato un corretto utilizzo degli strumenti di comunicazione – comunicati stampa, eventi, pubblicità, social media, web, blog istituzionali – come presupposto per promuovere politiche inclusive delle diversità legate a qualsiasi condizione a rischio di marginalità. Sulla stessa scia, si collocano azioni di promozione del tema presso gli altri professionisti legali o presso altri ordini professionali. Sarebbe importante anche attivare borse di studio per avvocati/e volte alla partecipazione ad attivi-

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tà formative sul tema delle discriminazioni o rivolte a chi particolarmente si è distinto nel contrasto, così da valorizzare le diverse iniziative messe in campo. 2.2.1. L’identità alias per le persone transgeneri Seguendo l’esempio di alcuni soggetti pubblici, come ad esempio, Università14, enti pubblici locali e territoriali (Comune di Torino e Regione Piemonte), altri soggetti pubblici (Azienda ospedaliera di Verona), sarebbe importante che il Consiglio dell’Ordine valutasse la possibilità di riconoscere alle avvocate e praticanti e agli avvocati e praticanti trans, un tesserino alias, come pure accaduto, sia pure in via temporanea ed eccezionale (così, Ordine Fo-

14 - Nel 2003, l’Università di Torino è stato il primo Ateneo a riconoscere questa possibilità, poi estesa anche ai dipendenti. Così poi altre università, tra cui l’Università degli Studi di Bergamo, l’Università degli Studi di Verona e, recentemente, l’Università degli Studi di Udine.


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rense di Treviso15). Ciò riconoscerebbe la possibilità di utilizzare il nome di elezione sia nel tesserino identificativo, sia nei documenti interni nei rapporti con l’Ordine, diminuendo il disagio che si prova nel vivere in disallineamento fra some e psiche ed evitare im-

barazzo e la necessità di dover continuamente esporre una vicenda certamente complessa. 2.3. Le possibili buone pratiche del Consiglio dell’Ordine come soggetto committente Accanto alle buone pratiche che

15 - Si tratta della vicenda che ha riguardato l’avvocata Alessandra Gracis.

possono essere attivate quale organismo pubblico o come soggetto che offre servizi ai propri iscritti, occorre altresì tenere conto del possibile margine di azione quale soggetto committente che si colloca sul mercato di beni e servizi in fase di approvvigiona-


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mento. Sarebbe importante, ad esempio, che l’Ordine considerasse la possibilità di includere clausole antidiscriminatorie nelle commesse, seguendo quanto già in uso rispetto ad esempio, agli “appalti verdi”, così da sensibilizzare anche i fornitori di beni e servizi, circa il contrasto alle discriminazioni. Si potrebbe ad esempio prevedere un codice di condotta formale per i fornitori, siglare convenzioni o accordi con fornitori di servizi circa comportamenti inclusivi da osservare, così da garantire che siano allineati ai valori di inclusione delle persone a rischio di marginalità e supportare le attività aziendali che possono riguardare l’inclusione e la diversità delle persone.

3. IL POSSIBILE RUOLO DELL’AVVOCATO Una serie di buone pratiche possono essere altresì considerate considerando il possibile ruolo dell’avvocato quale esercente l’attività di rappresentanza legale e quale datore di lavoro. 3.1. L’avvocato come esercente l’attività di rappresentanza legale Considerata la spesso enorme fragilità delle persone a rischio di discriminazione, sarebbe importante che nell’attività di rappresentanza legale fosse garantita la massima attenzione nell’interfacciarsi rispetto alla clientela, così da evitare imbarazzo e violazione della privacy della persona interessata. Anche il rischio di reificazione della clientela tipicamente segnalato in alcuni casi, tra cui ad esempio, rispetto a persone con-

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siderate come affette da malattia mentale, andrebbe considerato nell’adeguare il proprio comportamento al caso concreto. In generale, negli atti e nei rapporti personali, sarebbe fondamentale evitare espressioni improprie e offensive in ragione delle differenze di genere, delle condizioni personali e fisiche, in particolare connesse alla disabilità, all’età, alla “razza”, all’origine etnica, alla religione e alle convinzioni personali, all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Nel caso di persone trans, sarebbe fondamentale rivolgersi alla persona interessata con il genere corrispondente all’aspetto e all’identità percepita o non presupporre l’eterosessualità della persona interessata. Gli avvocati dovrebbero altresì sensibilizzare il proprio personale, istruendo adeguatamente circa le più idonee modalità per gestire la clientela a


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rischio di discriminazione. Occorre, ad esempio, avere consapevolezza di come possano esservi profili emotivi che impattano in modo assai prorompente nelle vite e nelle vicende della clientela a rischio di discriminazione. Così, oltre ad assicurare il necessario rispetto della privacy, andrebbe veicolato un messaggio di consapevolezza circa la vicenda umana e personale che la persona vive, ad esempio, mostrando sensibilità quanto alla dimensione domestica e allo status familiare di clienti e utenti LGBT 16, senza lasciar trapelare stigma o pregiudizio. Ancora, è importante, specificamente nell’assistenza a clientela LGBTI, riconoscere che le famiglie di persone lesbiche, gay, bisessuali possono includere persone che non sono legate

da vincoli giuridicamente riconosciuti o biologici, e occorrerà comprendere in che modo l’orientamento sessuale statisticamente minoritario può subire un impatto a partire dai rapporti con la propria famiglia di origine. Anche il tema dell’intersezionalità va considerato, ad esempio, nella comprensione delle sfide che le persone a rischio di marginalità fronteggiano quando provenienti da gruppi etnici minoritari, ad esempio, rispetto alla molteplicità e al carattere spesso contraddittorio delle norme, dei valori, delle convinzioni personali. Del pari, il considerare le influenze della religione e della spiritualità, o della giovane età, ma anche dello status socio-economico nella vita delle persone a rischio di marginalità, e in specie nella

16 - Acronimo che sta per lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali.

vita delle donne appare primariamente importante, proprio nell’avere contezza della peculiarità dei problemi e dei rischi che possono riguardare alcune persone. Nel caso di patologie quali l’HIV/ AIDS è fondamentale non trasmettere lo stigma, lo stereotipo che riconduce la persona a stili di vita “disordinati” o “promiscui” e alle condizioni LGBTI. 3.1.1. L’assistenza di clientela considerata affetta da disturbi mentali Un focus va riservato al caso in cui il legale sia chiamato ad assistere una persona considerata affetta da disturbi mentali, alla luce del tasso altamente problematico mostrato dalla pratica, in cui viene segnalata una persistente e sistematica reificazione e sottovalutazione della


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specificità della condizione. Il legale sarà così chiamato ad uno sforzo aggiuntivo nella necessità di comprendere gli effetti dello stigma (ossia il pregiudizio, la discriminazione e la violenza) e le sue manifestazioni contestuali nelle vite delle persone considerate affette da malattia mentale, dovendosi aggiornare continuamente e non soltanto quanto ai profili giuridici. La conoscenza della peculiarità delle condizioni personali non è soltanto dovuta in base alle regole deontologiche, ma è anche utile in chiave di una migliore assistenza, poiché genera un rapporto di fiducia con la clientela. Così, è importante che l’avvocato possa riconoscere le sfide peculiari che le persone con disabilità fisiche, sensoriali, cogni-

tivo-emozionali possono sperimentare, includendo anche questi temi nella propria formazione professionale e aggiornamento17. 3.1.2. L’ambito della detenzione e il possibile ruolo dell’avvocato Nell’analisi delle possibili buone pratiche, merita uno specifico approfondimento il possibile ruolo dell’avvocato rispetto alle persone a rischio di discriminazione detenute, per una duplicità di ordini di considerazioni. In primo luogo, occorre tenere conto di come il contesto detentivo, di per sé, tende ad aggravare le debolezze o le fragilità individuali. Inoltre, durante la fase di privazione della libertà personale, le persone che appartengono ad una “minoranza” o ad un “gruppo” a ri-

17 - In ossequio a quanto previsto dall’art. 11, l. 246/2012, Art. 9 rubricata «Formazione continua».

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schio di esclusione vedono infatti amplificata la debolezza causata dall’espiazione della pena, posto che il quadro normativo presuppone acriticamente un soggetto neutro e neutrale. Si pensi alla condizione di madre che, laddove vissuta in detenzione, richiede l’attivazione di misure ad hoc, che spetta all’avvocato pretendere, sia a tutela dei minori detenuti in ragione di comportamenti della madre, e al fine di mantenere la stabilità dei legami familiari, che spesso tendono a sfilacciarsi quando la detenzione è prolungata18. Nel constatare quanto il regime

detentivo è inadeguato ad accogliere persone della cd. terza e quarta età, sarebbe fondamentale che l’avvocato facesse presenti possibili buone prassi specificamente destinate a persone anziane, con precipuo riguardo alle condizioni di salute che mutano al mutare dell’età, posta l’importanza di prestare attenzione a chi vive l’esperienza del carcere in questa fase della vita. Quanto alla condizione di disabilità, all’avvocato compete l’evidenziare l’inconciliabilità di fondo con la detenzione, posto che non tutte le strutture, soprattutto quelle risalenti al medioevo o ad epoche

precedenti alle normative di riferimento, rispettano le prescrizioni sulle barriere architettoniche. Quanto alla condizione delle persone irregolarmente presenti sul territorio italiano o comunque straniere o senza residenza o domicilio, l’avvocato dovrebbe rilevare, in materia di fruizione di permessi esterni, come l’assenza di un nucleo familiare di riferimento e di un alloggio (situazioni tipiche delle persone migranti) spesso impedisce di godere dei benefici previsti dalla legge in caso di “buona condotta”, provando a ideare e proporre buone pratiche che ne rendano possibile la fruizione.

18 - Ciò sarebbe peraltro in linea con quanto richiesto, a livello internazionale, nel 2009, dalla OMS Europa e dal UNODC un documento su “La salute delle donne in carcere: correggere la mancanza di equità di genere” che ha dato rilievo all’importanza di dare vita a un sistema di giustizia penale sensibile al genere, che sappia cioè tenere in considerazione specifici bisogni e circostanze di vita del genere femminile. Sul piano nazionale, la questione è sostanzialmente assente. Ad esempio, limitata è l’attenzione in chiave di valutazione dei tipi di reato compiuti dalle donne, spesso condannate per reati minori, a fronte dei quali la carcerazione ha un impatto sproporzionato sulla salute loro e dei figli, se trattasi di detenute madri.


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Quanto al fattore religioso, l’avvocato dovrebbe avere contezza di come la condizione detentiva impatti in modo deteriore rispetto alle minoranze religiose, ad esempio, per l’assenza della autorità religiosa di religioni diverse da quella cattolica all’interno degli istituti di pena (il cd. “cappellano”), spesso unico interlocutore “esterno” per chi è recluso; si pensi ancora all’abbigliamento, al cibo e alle modalità di fruizione dei pasti all’interno del carcere, posto che sono state segnalate difficoltà nel rispettare i precetti della propria religione, laddove in contrasto con le modalità organizzative dell’istituto di pena. È utile, a mo’ di esempio, considerare la “necessità” di poter fruire dei pasti durante l’orario serale e non durante il giorno per rispet-

tare un precetto religioso della religione musulmana (ad esempio, durante il periodo del Ramadan) o di disporre di idonei luoghi comuni di preghiera. Quanto alle persone transessuali, l’avvocato dovrebbe avere contezza della criticità della detenzione per coloro che non hanno ancora concluso (o iniziato) il percorso di adeguamento del sesso e che vengono assegnate alle sezioni seguendo il sesso anagrafico assegnato alla nascita, senza considerazione del genere e dell’identità percepita, con una soluzione che non rispetta la dignità umana; così, analogamente, per quanto riguarda il rischio di sospensione della terapia ormonale, non sempre garantita durante la detenzione e che invece all’avvocato spetta di sollecitare, posto che la

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brusca interruzione del percorso ormonale ha effetti esiziali sulla salute della persona. La somministrazione ormonale e la continuità nelle cure, al pari delle altre prestazioni sanitarie, andrebbero garantite a titolo gratuito, così come in ragione della necessità di una maggiore tutela, dovrebbe essere considerata la possibilità di accedere a sezioni riservate19, così da evitare una convivenza spesso segnalata come problematica e a forte rischio di violenze; in termini negativi, è però da leggere la reclusione nelle sezioni dei cd. sex offenders (o persino in isolamento, come risulta essere accaduto anche a persone omosessuali), poichè veicola uno stigma che appare irragionevole e che prescinde dalla ragione della detenzione, al contrario, sem-

19 - Queste sono ad esempio, le strutture di Belluno, Bollate, San Vittore, Poggioreale, Rebibbia, Rimini, ma anche il CIE di Milano.


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brando quasi far dipendere le modalità di espiazione della pena da una condizione personale; l’avvocato dovrebbe ad esempio anche contestare il trasferimento in una sede lontana da dove si risiede e dove si dovrebbe scontare la pena in ragione dell’assenza di condizioni per una detenzione in

sicurezza e nel rispetto della privacy (vedi box in basso), potendo richiedere l’estensione anche i casi di transgenderismo della detenzione domiciliare o degli arresti domiciliari, possibili quando vi sono condizioni salute particolarmente gravi. La richiesta infatti potrebbe essere argomentata

Ad esempio, in via sperimentale, era stato avviato un progetto che prevedeva di destinare alle persone transessuali un istituto di pena ad hoc, in ragione della peculiarità della loro condizione che poco si prestava ad adattarsi alle regole e al contesto di una comunità reclusa suddivisa sulla base del sesso. Il progetto, pensato tra il 2008 e il 2010 ma poi arenatosi, riguardava la casa circondariale di Pozzale, nei pressi di Empoli, in cui erano stati previsti corsi di formazione per il personale di custodia, cure ormonali libere e possibilità ricreative per le persone recluse. V. le notizie sulla stampa, http://www.lastampa.it/2010/01/27/italia/ cronache/a-empoli-nasce-il-carcere-per-i-trans-Py9nctoEqVxZiO0jWucpNL/pagina.html. Questa soluzione era stata pensata così da riconoscere la peculiarità della condizione detentiva delle persone transgeneri, sebbene da subito ne erano stati palesati i possibili rischi, da un lato, quanto ad una visione quasi ghet-

sulla possibilità di fruire soltanto all’esterno delle cure previste durante il percorso e di godere di una detenzione in condizioni di rispetto della dignità umana. Peraltro, sarà anche importante rilevare che le sezioni speciali per le detenute transessuali sono state realizzate all’interno di istituti di

tizzante e ghettizzata delle persone transessuali recluse, rispetto alla restante parte della popolazione detenuta, dall’altro, negli aspetti pratici che ne sarebbero seguiti in maniera di fatto ineludibile; infatti, per molte persone recluse, la destinazione a questo istituto avrebbe significato l’espiazione della pena in un luogo distante dalla propria residenza, con difficoltà aggiuntive nel mantenere contatti con la propria famiglia e con la sfera affettiva e sociale di provenienza, di fatto rendendo più complesso il mantenimento della rete di relazioni che agevola anche le possibilità occupazionali. Sul tema, v. P. Valerio, P. Marcasciano, C. Bertolazzi (a cura di), Transformare l’organizzazione dei luoghi di detenzione. Persone transgender e gender nonconforming tra diritti e identità. Persone transgender e gender nonconforming tra diritti e identità, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018.


Buone pratiche per il contrasto alle discriminazioni nell’ambito dell’attività forense -

detenzione maschile20, comunque generando situazioni di dubbio rispetto per la privacy, posto che, ad esempio, il personale in servizio è (ovviamente) maschile. Nel caso di omogenitorialità, l’avvocato dovrà aver presente la possibilità di ottenere permessi e diritti di visita anche in caso di omogenitorialità rappresenterebbero un sicuro beneficio nella valorizzazione della pena come riscatto sociale. 3.2. L’avvocato come datore di lavoro: le possibili buone pratiche È importante considerare che ogni singolo avvocato, oltre ad essere un utente del “servizio giustizia” e un legale rappresentante nell’ambito dell’attività giurisdizionale, può anche porsi come datore di lavoro, intendendosi

tale espressione in senso lato, volto ad includere anche i rapporti professionali dominus/praticanti e fra i soci di uno studio e gli avvocati che con lo studio collaborano, come pure rispetto a fornitori di beni e servizi dall’esterno. Nelle attività di reclutamento di dipendenti o collaboratori, è fondamentale avere presente il dovere di evitare inserzioni, con riferimenti discriminatori in via diretta o che comunque dissuadano alcune persone dal candidarsi, sottintendendo implicitamente che solo alcune persone verranno prese in considerazione. Ad esempio, durante il colloquio, occorre evitare presunzioni circa l’orientamento affettivo-sessuale, l’identità di genere o l’intersessualità della persona candidata, ed evitare di porre domande

20 - Così, ad esempio, la Casa circondariale maschile di Rebibbia - Roma.

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potenzialmente discriminatorie quanto alle responsabilità familiari o la genitorialità. Piuttosto, occorre considerare attentamente i requisiti specifici della mansione, così che tutti i potenziali candidati possano comprendere chiaramente abilità richieste e doveri. Nella descrizione di un lavoro, è importante evitare l’uso di un linguaggio discriminatorio, avendo esclusivo riguardo alle mansioni necessarie per la posizione a cui si fa riferimento, ad esempio, avendo cura di evitare un linguaggio genderizzato. In fase di colloquio, è importante verificare che i candidati non vestiti secondo un abbigliamento considerato appropriato per il genere assegnato non siano esclusi de plano; analogamente, nelle interviste telefoniche, non


54 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

escludere candidati in ragione del tono della voce troppo alto/troppo basso, né operare supposizioni su come la voce dovrebbe essere rispetto al nome e al sesso anagrafico; entrambe queste pratiche, sono funzionali ad evitare l’agire di pregiudizi inconsapevoli nel reclutamento. Inoltre, nella fase di selezione, è importante evitare di porre domande inutili o offensive circa l’orientamento affettivo-sessuale, l’identità di genere o la condizione intersessuale della persona candidata, così come domande sullo status familiare; del pari, è importante evitare di invadere la privacy della persona candidata riguardo orientamento affettivo-sessuale, identità di genere e intersessualità. Ad esempio, sarebbe importante facilitare l’apertura del candidato utilizzando termini neutri (come partner) ed evitare di utilizzare un linguaggio che presupponga pre-assun-

zioni, e che dunque la selezione sia equa e non-discriminatoria. Con nettezza vanno respinti abusi verbali e l’uso di un linguaggio discriminatorio nei luoghi di lavoro, con un utilizzo pertinente e appropriato che eviti l’approccio “noi/loro”, che è alla base di tutti i pregiudizi. Anche in ambito formativo, l’avvocato dovrebbe promuovere presso i propri dipendenti attività formativa e di sensibilizzazione, evitando espressioni stigmatizzanti e reificando una condizione a rischio di discriminazione. Nell’attività professionale, sarebbe così importante riconoscere ad eventuale personale, la possibilità di una identità alias, dunque riconoscendo il cambio di genere e nome nei documenti interni (indirizzo email, badge identificativo, rubrica telefonica, sito web, documenti interni) anche durante il real life test, senza attendere la

fine del percorso di cambiamento di sesso. Così, ancora rispetto alla condizione trans, sarebbe importante consentire di non rispettare i codici di abbigliamento, laddove previsti, e utilizzare l’abbigliamento che ritengono più consono al genere percepito. Nel caso di lavoratori intersessuali e transessuali, è importante assicurare permessi di salute e la copertura dei costi necessari per terapie e farmaci. Durante la transizione, occorrerebbe approntare modalità di modifica del nome e del genere nei sistemi informatici interni, negli indirizzi email, nei badges identificativi, negli elenchi telefonici, nei siti web e nei registri interni, nonché permettere di contravvenire al dress code secondo il genere, consentendo di vestirsi a seconda del genere percepito come proprio e adottare idonee linee guida per il personale in fase di transizione, non bina-


Buone pratiche per il contrasto alle discriminazioni nell’ambito dell’attività forense -

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56 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

rio, queer, questioning o gender non conforming, quanto alla gestione della diversità sul lavoro basata sull’identità di genere. In generale, l’avvocato quale datore di lavoro, dovrebbe fare “coming out” con il proprio personale e con il proprio staff come persona in grado di offrire un ambiente di lavoro inclusivo delle condizioni che possono generare discriminazioni e marginalità, evitando pratiche discriminatorie sulla base di qualsiasi condizione personale e promovendo l’inclusività delle persone. 4. BREVI CENNI CONCLUSIVI Alla luce del comunque debolmente applicato quadro nor-

mativo che traccia i divieti di discriminazione21, l’azione delle buone pratiche può porsi come strumento realmente significativo per colmare il gap nei termini di riconoscimento e tutela delle condizioni che possono essere causa di discriminazione. La possibilità di attivare buone pratiche dà conto del potenziale espansivo che esse potrebbero assumere in chiave di empowerment e garanzia di diritti e libertà delle persone a rischio di potenziale discriminazione in ragione di una condizione personale, anche a legislazione invariata. Questo aspetto appare tanto più di rilievo poste la vetustà e l’inadeguatezza della normativa, da più parti segnalate, e in generale la debole applicazione che conosce nelle aule di giustizia.

21 - Su cui v. la sezione a cura di Stefano Chinotti.

Sarebbe dunque fondamentale ideare e coniare buone pratiche e implementare quelle già esistenti, diffondendole in ulteriori ambiti e contesti, promuovendo così un generale clima di attenzione verso le specificità individuali che possono generare forme di discriminazione. Occorre infatti considerare come le buone prassi manifestano una considerevole flessibilità e capacità di adattamento ai bisogni individuali e al concreto contesto di riferimento. Il possibile ruolo delle buone pratiche non deve tuttavia omettere la considerazione dei rischi che esse possono presentare, tra cui la loro debole attitudine alla programmazione e un carattere tendenzialmente disorganico e scarsamente proiettivo; inoltre, le buone pratiche appaiono di-


Buone pratiche per il contrasto alle discriminazioni nell’ambito dell’attività forense -

pendenti dal concreto contesto di riferimento che può essere mutevole e subordinato alla destinazione di finanziamenti specifici, rendendo aleatorio il raggiungimento degli obiettivi che ci si pone. Si pensi ad esempio, alla spesso presente esasperata polverizzazione e dispersione in un numero elevato di eventi e manifestazioni che indebolisce l’efficacia delle singole iniziative e attività e genera una difficoltà nell’intercettare un pubblico diverso da quello già coinvolto e consapevole. Così, un’opera di messa a sistema e coordinamento delle diverse azioni, inquadrate in una complessiva programmazione, di concerto con altri enti, appare essenziale per evitare il

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sovrapporsi di attività e lo spreco di risorse. In tal modo, sia l’Ordine, sia il Consiglio, sia ogni singolo avvocato, potrebbero porsi quali attori “forti” di un cambiamento sociale22, teso al superamento delle discriminazioni oggi esistenti.

22 - In ossequio ai principi dettati nella l. 247/2012, art. 1, co. 2, che si riferisce alla primaria rilevanza giuridica ma anche sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta la professione forense, nonché al ruolo sociale dell’avvocato (artt. 2 e 3) che si esprime ad esempio anche in occasione del giuramento (art. 8, rubricato «Impegno solenne». Sui profili deontologici che la questione chiama in causa, v. lo scritto di Stefano Chinotti.


58 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

Testo del Protocollo d’intesa

COMITATO PARI OPPORTUNITÀ PRESSO IL CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BERGAMO PROTOCOLLO D’INTESA TRA: TRIBUNALE DI BERGAMO UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI BERGAMO PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BERGAMO CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BERGAMO COMITATO PARI OPPORTUNITÀ PRESSO IL CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI BERGAMO UFFICIO UNICO NOTIFICHE ESECUZIONI E PIGNORAMENTI PRESSO IL TRIBUNALE DI BERGAMO UEPE - Uffici di esecuzione penale esterna


Testo del Protocollo d’intesa - 59

VISTI • Gli articoli 2, 3, 24, 29, 48, e 51 della Costituzione Italiana; • gli articoli 3, 25, 153, 157 del Trattato di Lisbona (versione consolidata del TUE e TFUE); • la Direttiva 76/207/CEE, come modificata dalla Direttiva 2002/73/CE, sull’attuazione del principio di parità di trattamento per quanto concerne l’accesso al lavoro, alla formazione ed alla promozione professionale e le condizioni di lavoro sulla base del genere, entrambe confluite nella Direttiva 2006/54 (cd. Rifusione), recepite da ultimo nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, D. Lgs. 198/2006; • la Direttiva 2004/113, in materia di parità di genere, nell’accesso e nella fornitura di beni e servizi, recepita nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, D. Lgs. 198/2006; • la Direttiva 2000/43/CE, cd. Direttiva “Razza”, in materia di parità di trattamento delle persone indipendentemente dalla “razza” e dall’origine etnica, recepita dal D. lgs. 215/2003; • la Direttiva 2002/78/CE, cd. Direttiva quadro, in materia di parità di trattamento in ragione di età, disabilità, religione o convinzioni personali, orientamento sessuale, nella materia del lavoro, recepita dal D. Lgs. 216/2003; • le disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità, tra cui: ◊ il D.Lgs. del 26 marzo 2001 n. 151, in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, e successive modificazioni; ◊ la L. 53/2000, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città; ◊ il Decreto del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale del 12 luglio 2007, circa l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 17 e 22 del D.Lgs. n. 151/2001 a tutela e sostegno della maternità e paternità nei confronti delle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della Legge 8 agosto 1995 n. 335; ◊ la L. 24 febbraio 2006 n. 104, in materia di tutela della maternità delle donne dirigenti; ◊ l’art. 81 bis disp. att. Cpc, così come novellato dall’art. 1 comma 465 L. 205/2017; ◊ l’art. 420 ter cpp, così come novellato dall’art. 1 comma 466 della L. 205/2017;


60 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

• • • • • • • •

gli assunti della sentenza della Corte Costituzionale n. 385 del 14 ottobre 2005, che riconosce ai padri libero - professionisti il diritto di percepire l’indennità di maternità, in alternativa alla madre; la L. 27 giugno 2013, n. 177, di Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, siglata a Istanbul l’11/5/2011; la L. 119/2013, Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province; la L. 154/2001, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari; la L. 247/2012, Norme sul riequilibrio di genere nelle istituzioni dell’ordinamento forense; D. lgs. 165/2001, Testo unico sul pubblico impiego (mod. l. 215/2012); il Codice Deontologico Forense, approvato dal Consiglio Nazionale Forense, nella seduta amministrativa del 31 gennaio 2014 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 241 del 16 ottobre 2014, in vigore dal 16 dicembre 2014; l’art. 4 del Codice di autoregolamentazione delle astensioni degli avvocati dalle udienze adottato da OUA, UCPI, ANF, AIGA, UNCC nel testo valutato idoneo dalla commissione di garanzia il 13 dicembre 2007.

PREMESSO Che le parti firmatarie del presente protocollo, in ragione dei ruoli loro attribuiti e delle rispettive competenze CONDIVIDONO l’esigenza di intervenire per diffondere e valorizzare la normativa e la cultura di parità nell’esercizio della professione forense, in ogni sua forma, nonché a promuovere conseguenti azioni positive e buone pratiche che diano ad essa concretezza; CONDIVIDONO l’esigenza di intervenire per assicurare un’effettiva tutela della maternità e della paternità, cui è equiparato l’affidamento familiare, anche ai fini del raggiungimento di una reale parità fra genitori nell’organizzazione delle attività giudiziarie e nell’esercizio della professione forense; RICONOSCONO la centralità del tema della conciliazione tra vita professionale e vita familiare nell’organizzazione lavorativa di tutte le persone che operano nel campo della giustizia;


Testo del Protocollo d’intesa -

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AFFERMANO la necessità di collaborare per favorire la corretta applicazione della normativa antidiscriminatoria e promuovere le politiche di pari opportunità; INTENDONO adottare, nell’esercizio delle proprie funzioni, condotte e atteggiamenti funzionali alla piena realizzazione dei principi di parità e non discriminazione in ragione del genere, della disabilità, dell’età, della “razza” e dell’origine etnica, della religione o delle convinzioni personali, dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere e di ogni altra condizione personale che possa generare una condizione di diseguaglianza; INTENDONO porre in essere ogni azione utile e necessaria per promuovere le pari opportunità anche nella comunicazione fra tutti coloro che operano nel campo della giustizia, attraverso un uso del linguaggio consapevole, non discriminatorio, in particolare quanto alla consapevolezza nell’utilizzo del genere grammaticale adeguato a riconoscere la componente femminile della professione; INTENDONO adottare, ancora, nell’esercizio delle proprie funzioni, condotte e atteggiamenti funzionali alla tutela dello stato di gravidanza, della condizione di maternità e di paternità, nonché volti a favorire il raggiungimento dell’uguaglianza e delle pari opportunità tra le persone a prescindere dalle condizioni personali connesse alla disabilità, all’età, alla “razza”, all’origine etnica, alla religione e alle convinzioni personali, all’orientamento sessuale, all’identità di genere, e a ogni altra condizione personale che possa generare una condizione di diseguaglianza; TUTTO CIÒ PREMESSO Le parti firmatarie si impegnano a: • Porre in essere ogni azione utile e necessaria a promuovere le pari opportunità in relazione alle sopradescritte situazioni di criticità la cui elencazione non è, però, da intendersi come esaustiva e a tutelare la genitorialità nell’organizzazione delle attività giudiziarie e dei relativi servizi amministrativi, nonché nell’esercizio della professione forense; • Valorizzare le diversità e le differenze individuali senza lasciare spazio a comportamenti discriminatori e stigmatizzanti; • Evitare espressioni improprie e offensive in ragione delle differenze di genere, delle condizioni perso-


62 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

• • •

nali e fisiche, in particolare connesse alla disabilità, all’età, alla “razza”, all’origine etnica, alla religione e alle convinzioni personali, all’orientamento sessuale e all’identità di genere; Respingere gli stereotipi e i pregiudizi etnici, sociali e culturali e connessi al genere, che generano diseguaglianze nell’espletamento dell’attività lavorativa; Divulgare il rispetto della persona e delle differenze e attivarsi per la promozione di una cultura della differenza che non generi diseguaglianze in base alle condizioni personali; Offrire piena collaborazione e operare in sinergia con le associazioni che si occupano della tutela delle vittime di discriminazione e pregiudizio fondati sulla differenza di genere, sulle condizioni personali e fisiche, in particolare legate alla disabilità, sull’età, sulla “razza”, sull’origine etnica, sulla religione e sulle convinzioni personali, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere;

In particolare, nell’ambito delle rispettive competenze, le parti firmatarie si impegnano a promuovere e a diffondere i contenuti del presente Protocollo d’intesa che intende porsi quale “programma quadro” dei seguenti interventi volti a favorire il raggiungimento dell’eguaglianza e delle pari opportunità: 1. fatta salva la necessaria applicazione del disposto dei novellati articoli 81 bis comma 3 disp. att. cpc e 420 ter comma 5 bis cpp, come novellati dalla Legge n.105 del 27/12/2017, e per quanto nelle suddette novelle non positivamente già disciplinato, i magistrati nel fissare le udienze e disporre i rinvii, terranno in considerazione lo stato di gravidanza della avvocata a prescindere dalla eventuale sussistenza di patologie connesse; in caso, invece, di sussistenza di patologie e/o gravi complicazioni della gravidanza i magistrati considereranno dette situazioni come legittimo impedimento della professionista alla partecipazione della medesima all’attività d’udienza, anche al di fuori dei limiti temporali previsti dalla norma, subordinatamente all’esame, nella singola fattispecie concreta, dei certificati medici della cui produzione quanto più tempestiva possibile la professionista sarà onerata; 2. le gravi necessità dei figli, in specie se riferite ai primi tre anni di vita, e la condizione di allattamento verranno considerate quale possibile motivo di trattazione del processo a orario specifico, o di rinvio dell’udienza, qualora riferite al genitore avvocato che ne abbia la cura prevalente e non sia possibile


Testo del Protocollo d’intesa -

63

provvedere altrimenti all’assistenza del figlio medesimo; 3. nei procedimenti penali con imputati sottoposti a custodia cautelare il difensore, prima di richiedere il rinvio dell’udienza ai sensi dell’art. 304 c.p.p., informerà l’imputato delle conseguenze dell’eventuale accoglimento dell’istanza sotto il profilo della sospensione del termine di durata della misura relativo alla fase in cui si trova il procedimento; 4. nei procedimenti relativi alle misure di prevenzione, in quelli di sorveglianza e in quelli che presentano ragioni particolari di celerità l’eventuale rinvio dell’udienza dovrà tenere conto di ogni altro interesse confliggente e dei relativi termini processuali; 5. nell’ordine di trattazione dei processi, potrà essere riconosciuta una precedenza ai casi in cui il difensore e/o la/il cliente si trovi in stato di gravidanza, maternità/paternità, disabilità, o nelle condizioni di poter accedere ai benefici accordati dalla L. 104/92, compatibilmente con le esigenze dei rispettivi ruoli e impegni professionali; 6. cancellerie, avvocati, UNEP e UEPE, nello svolgimento degli adempimenti di cancelleria, riconosceranno la precedenza al difensore, alla praticante e alla delegata in stato di gravidanza o che adduca ragioni di urgenza connesse all’allattamento, ad altri obblighi di cura o ad altre gravi necessità familiari, o nelle condizioni di poter accedere ai benefici accordati dalla L 104/92, come pure al difensore il/la cui cliente sia nelle medesime condizioni; 7. giudici, avvocati e personale di cancelleria nonché gli addetti UNEP e UEPE adotteranno formulazioni linguistiche che non escludano o discriminino le persone di un sesso rispetto a quelle dell’altro o in ragione delle altre condizioni personali tutelate dalla normativa antidiscriminatoria; in particolare, sarà consigliato un utilizzo del genere grammaticale appropriato al proprio interlocutore/interlocutrice, così da introdurre un elemento che “nomini” la differenza di genere e consenta di identificare la presenza delle donne, contrastando la discriminazione; nelle lettere o comunicazioni varie anche via mail indirizzate ad una persona specifica, in un verbale di causa e, in generale, in tutti i casi in cui si deve apporre una firma con indicato il ruolo o la funzione di chi firma, sarà consigliato utilizzare il genere grammaticale, maschile o femminile, corrispondente al genere della persona alla quale si fa riferimen-


64 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

8.

9.

10. 11. 12.

to (ad esempio: egregia avvocata); quando ci si rivolge a più persone, si suggeriscono due soluzioni, il genere femminile dovrà essere reso visibile e distinto da quello maschile (sia in forma estesa sia in forma abbreviata) oppure dovranno essere utilizzare forme impersonali; in ogni caso, il giudice, gli avvocati e il personale di cancelleria nonché gli addetti UNEP e UEPE ricorreranno ad un linguaggio consono, non “sconveniente” (a mero titolo esemplificativo ricorrendo all’appellativo “signora” rivolgendosi ad un avvocato donna, così privandola del titolo di avvocato) ossia ad un linguaggio, ancorché non direttamente offensivo, potenzialmente idoneo a svilire il ruolo professionale o istituzionale dell’interlocutore/interlocutrice; le udienze che prevedono la partecipazione di persone in condizioni di incapacità saranno trattate con precedenza sulle altre, nella stanza del giudice e in condizioni di rispetto della dignità dell’esaminando e di chi lo accompagna; in caso di documentata impossibilità a raggiungere l’Ufficio giudiziario sarà, di preferenza, il magistrato, compatibilmente agli impegni del proprio ruolo, a recarsi presso l’abitazione dell’incapace o presso la struttura in cui quest’ultimo risulti essere ricoverato; ove si verificassero ipotesi diverse da quelle espressamente contemplate nel presente protocollo, le parti firmatarie si impegnano ad adottare, nell’esercizio delle proprie funzioni, condotte e atteggiamenti funzionali alla realizzazione e alla tutela dei principi di parità di opportunità; le parti vigileranno sull’adeguatezza delle strutture ospitanti gli uffici giudiziari a consentire l’accesso di chiunque nel pieno rispetto della normativa vigente in tema di eliminazione delle barriere architettoniche; le parti, nell’ambito delle proprie competenze, promuovono, organizzano e sostengono l’attività di formazione e aggiornamento a favore di tutti coloro che operano nel campo dell’amministrazione della giustizia in materia di contrasto alla discriminazione e pregiudizio fondati sulla differenza di genere, sulle condizioni personali e fisiche, in particolare legate alla disabilità, sull’età, sulla “razza” e sull’origine etnica, sulla religione e le convinzioni personali, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.


Testo del Protocollo d’intesa -

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Il presente protocollo viene inteso come linea guida che le parti si impegnano a promuovere e a divulgare, ad ogni livello di competenza, per favorirne l’adozione. Resta salva in ogni caso l’applicazione delle norme di legge che disciplinano i rinvii delle udienze.

Bergamo, lì 06/07/2018 Il Presidente del Tribunale di Bergamo Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo Il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo Il Presidente del CPO presso l’Ordine degli Avvocati di Bergamo


66 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

Grafici

ISCRITTI AGLI ALBI DEGLI AVVOCATI SECONDO IL GENERE 1995 - 2017

Fonte dei dati: indagini Censis, 2010, 2018

Valori in migliaia

uomini donne

237.132

241.712

242.796

98

112

115

116

216.178

168.465

119.338 83.090

58

40

21

62

79

101

119

125

127

127

1995

2000

2005

2010

2015

2016

2017


Grafici - 67

TIPOLOGIA DI MOTIVI PER CUI LA CLIENTELA CHIEDE LA CONSULENZA DI DONNE AVVOCATO (val %)

DISTRIBUZIONE DEL REDDITO PER GENERE E PER ETÀ

CLASSI DI ETÀ

per una per essere consulenza - assistita 48% in giudizio 52%

come parte lesa 66,9%

come imputato 33,1%

REDDITO IRPEF MEDIO DONNE

UOMINI

VOLUME DI AFFARI IVA MEDIO DONNE

UOMINI

23 - 29

9.339

11.906

10.708

13.541

30 - 34

11.797

17.205

13.631

21.131

35 - 39

15.566

27.488

19.014

36.779

40 - 44

20.901

40.381

27.658

58.974

45 - 49

28.423

58.294

40.780

91.758

50 - 54

33.311

72.743

48.785

117.369

55 - 59

38.114

79.886

58.401

130.450

60 - 64

41.053

83.377

64.979

137.784

65 - 69

43.261

82.178

71.805

137.889

70 - 74

38.906

63.678

67.181

109.840

75 +

21.468

42.629

39.881

74.614


68 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

non ha senso parlare di pari opportunità per gli avvocati - 27,6% non ci sono pari opportunità in molte situazioni - 67,7% le pari opportunità sono garantite - 4,7%

GIUDIZIO SULLE PARI OPPORTUNITÀ

SIGNIFICATO ATTRIBUITO ATTUALMENTE DALLE DONNE AVVOCATO AL PROPRIO LAVORO (val %) - Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte Occasione di relazioni significative

6,1 25,4

Sacrificio

20,9

Profitto Il bene per la collettività Miglioramento personale

20,9

9,9 23,8 49,6

Passione Il compimento di un’aspirazione

32


Grafici - 69

per necessitĂ di lavorare - 8% altro - 5,1% per non far chiudere uno studio preesistente in famiglia - 1,9%

per corrispondere ad un desiderio di sempre - 59,7%

MOTIVI PER CUI SI Ăˆ SCELTO DI DIVENIRE AVVOCATA

per essere autonoma - 25,3%


70 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

ELEMENTI DA CUI ORIGINA IL SUCCESSO DELLA PROFESSIONE DI DONNE E UOMINI AVVOCATO (val%) Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte Disponibilità ad occuparsi di qualunque problema del cliente

uomini donne

20,8 15,0

Capacità di assumere responsabilità

26,0 13,1

Sostegno dei familiari e/o del partner

14,6 8,1

Provenire dsa una famiglia di avvocati

17,7 22,5 46,3

Avere una formazione adeguata 28,8 10,5

Avere una forte motivazione al successo

23,8 21,0

Capacità di autopromozione

38,1 9,8

Competenze di gestione 6,3

13,8

Visione etica del lavoro e della vita 1,9

18,4

Disponibilità ad investire tempo

Altro

30,0 1,0 0,6

15,0


Grafici -

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FATTORI CHE FACILITANO LO SVILUPPO DELLA PROFESSIONE (val%) Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte

Disporre di uno studio organizzato

42,3

Utilizzare tecnologie d’ufficio che facilitano il lavoro

16,7

Accedere a studi associati

16,2

46,5

Definire il numero chiuso per l’accesso a Giurisprudenza

28,5

Mobilità tra libera professione e lavoro dipendente Introdurre forme di flessibilità nel lavoro professionale

7,7 1

12,3

Recuperare peso sul piano del prestigio sociale

24,6

Ridurre i costi di gestione dello studio

19,3

Defiscalizzare le spese sostenute per riorganizzare l’attività Altro

15,2 1,7

12,3


72 - LE PARI OPPORTUNITÀ NELLA PROFESSIONE FORENSE: STORIA, NORMATIVE, BUONE PRATICHE

DISTRIBUZIONE DEI GIUDIZI POSITIVI DI SODDISFAZIONE PER SESSO, ETÀ, LIVELLO DI REDDITO DEGLI AVVOCATI ITERVISTATI (val%) Totale campione

24,44

Coerente con le aspettative

4,5

Sopra le aspettative Uomini

29,7

Donne

18,2 3,1

Meno di 40 anni

19,4 3,1

40-49 anni

20,3

3,6

50 anni e oltre

Fino a 15.000 euro 15.000 - 30.000 euro 30.000 - 50.000 euro Oltre 50.000 euro

5,6

33,1

10,6

6,5

1,1 21,2

2,4 31,8

4,1 48,5

15,1


I risultati del sondaggio in materia di discriminazioni e pari opportunità realizzato dal CPO dell’ordine degli avvocati di Bergamo - 73

Progettazione grafica: Flavia Pellegrinelli


Questa pubblicazione é promossa dal Comitato Pari Opportunità del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bergamo composto da: Paolo Botteon, Miriam Campana, Valentina Carnevale, Stefano Chinotti, Elena Gambirasio, Laura Gargano, Chiara Iengo, Olivia Tropea e Elena Viscardi, con la collaborazione del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo e di Anna Lorenzetti.


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