Suntime agosto/settembre

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l viaggio evoca immagini di grandezza, di mistero e di paesaggi sconfinati. Mete da sogno per “viaggiatori”, per i figli di quella corrente storica chiamata Grand Tour seguita da ricchi giovani dell’aristocrazia e della borghesia europea a partire dal XVII secolo. Viaggiatori, dunque, non turisti. La destinazione cercata deve lasciare a fior di pelle la curiosità dell’ignoto; pur con un ragguardevole bagaglio culturale rimane sempre l’avvincente spinta per la scoperta, per l’avvicinamento a terre ignote e a popoli lontani da noi. Quand’anche lì ci fossimo già stati ci sarebbe sempre il nuovo, l’angolo sfuggito al nostro sguardo, la luce che inganna il ricordo. L’estate avanza con tutte le sue mollezze veniali, come la corsa con uno yacht che fa spumeggiare mari blu cobalto, bagni rigeneranti nella piscina privata o una cavalcata nella brughiera

per poi farsi coccolare in una lussuosa Spa. Il tutto nel rispetto dell’Ambiente come bene sovrano della nostra vita in tutti i suoi aspetti naturalistici e antropologici. Quando si parla di Turismo e Ambiente, di Turismo e Natura e quindi di Uomo e Natura, spesso erroneamente i due termini vengono contrapposti. L’uno contro l’altro, quasi antagonisti in un mondo comune, in una sorta di contrasto nel quale uno dei due è spesso soccombente. Ciò probabilmente è originato dal significato attribuito al termine “Natura”. La tendenza comune è quella di considerare “Natura” tutto ciò che è al di fuori dell’uomo, quasi che la specie umana non fosse parte integrante della Natura stessa. E’ mia convinzione che l’uomo e le sue azioni non possano essere considerati avulsi dalla Natura e che questa non possa prescindere da lui.•

Giuseppe De Pietro

n° 2 - agosto/settembre 2011

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Sommario

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Creta la culla della civiltà greca

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pag. 24

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L’Algeria Romana insediamenti antichi e siti UNESCO testo di Romeo Bolognesi POPOLI E LUOGHI Mali d’Africa, il popolo Dogon testo di Giulia D’Angiolini foto di Franco Petti

Pirenei tra sacro e profano testo di Marco De Rossi La metropolitana di Mosca, il regno delle meraviglie testo di Claudia Sugliano foto di Columbia Turismo

pag. 38

Slovenia: Pomurje. Tra terme, vigneti e cicogne testo di Anna Maria Arnesano foto di Giulio Badini

pag. 41

Lungo il bel Danubio blu testo e foto di Giuseppe Barbieri ABITARE Un’oasi ecologica di lusso nel cuore di Shanghai testo di Pamela McCourt Francescone

pag. 51

La Svizzera vista dal treno testo di Luisa Chiumenti

pag. 64

Piscine d’Autore testo di Gabriella Di Cianni

pag. 70

pag. 74

APPLAUSI Volterra AD 1398, oltre il tempo oltre le mura testo e foto di Giuseppe Garbarino Il gelato e la sua storia Testo di Francesca D’Antona e Foto SIGEP 2011

Uruguay, piccolo mondo antico

testo e foto di Pamela McCourt Francescone EGO pag. 54

Uzbekistan, tra Bukhara e Samarcanda testo di Anna Maria Arnesano foto di Giulio Badini

pag. 34

pag. 48

pag. 14

Cavalieri Grand SPA Club, un’isola magica del cuore di Roma testo di Viviana Tessa

pag. 59

Vita da Yacht

testo di Valentino De Pietro

pag. 76

FLORA Architetture d’esterni, il giardino testo di Giuseppe De Pietro

pag. 78

ARTE E CULTURA La Via Appia Antica testo di Luisa Chiumenti

pag. 80

ECOENERGIA Nissan Leaf testo di Marco La Valle

pag. 83

pag. 89

SPORT E AVVENTURA A cavallo nella natura della Maremma testo di Romina Simonetti AGRITURISMO BIO La Masseria Pilano, tra trulli seicenteschi testi di Caterina Eleuteri

pag. 92

SAGRE E TRADIZIONI testi di Mariella Morosi

pag. 95

LIBRI E GUIDE testi di Mariella Morosi

n° 2 - agosto/settembre 2011

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CRETA

La culla della civiltà greca

Testo e foto di Teresa Carrubba

CRETE. Cradle of ancient Greece Words and photos by Teresa Carrubba

Creta. Qui verso il 2800 a.C., mentre il resto dell’Eu- Crete. It was here, around 2800 B.C., while the rest of ropa era ancora inibito dalle barbarie, si viveva una delle più floride civiltà che il mondo abbia mai conosciuto, un periodo che durerà circa quindici secoli. L’epoca minoica, così detta per via del re Minosse, fondatore di una lunga dinastia. La raffinata eleganza della corte del re Minosse era l’espressione di un potere sontuosamente costruito attraverso i secoli. Si edificarono splendidi palazzi come quello di Cnosso, il centro amministrativo più importante dell’isola, e quelli di Festo, di Malia e di Agia Triada, che testimoniano ancora oggi, con i loro nobili resti, una vita agiata ed evoluta.

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Europe was in the clutches of the Barbarians, that one of the most florid civilisations the world has ever known flourished. A civilization that was to last some fifteen centuries, and is known as the Minoic era for King Minos, the founder of a long dynasty. The refined elegance of Minos’ court was an expression of the power that Crete had sumptuously constructed down the centuries. Splendid palaces were built, like the palace in Knossos, the most important administrative centre on the island, and those in Festo, Malia and Agia Triada the ruins of which still bear witness to the leisurely and evoluted lifestyle of the era.

Creta, la culla della civiltà greca - Crete. Cradle of ancient Greece

n° 2 - agosto/settembre 2011

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Creta è un vero crogiuolo di mitologia e storia, di potere e fasto, ma se ne allontana per i suoi innumerevoli spunti, per la sua natura che cambia a ogni pié sospinto, a ogni angolo di costa. Creta, in posizione strategica tra due continenti, Europa e Africa, è un’isola per amatori che seleziona un turismo intelligente, fatto di storia, archeologia, arte e natura. Abbiamo intrapreso per voi un itinerario di 12 giorni che consente di avere una buona conoscenza di tutta l’isola e vi offriamo informazioni, suggerimenti, ma soprattutto emozioni ed esperienze. Il nostro viaggio inizia a Roma, in volo per Iraklion via Atene. Qui abbiamo subito noleggiato una macchina (è molto interessante girare l’isola anche in moto) presso il Motor Club, che ha 7 Agenzie a Creta, e subito raggiunto il villaggio Creta Maris a Hersonissos, della prestigiosa catena cretese Maris Hotels. Una bellissima struttura a 5 stelle, dalla tipica impronta greca, con un ingegnoso dedalo di viottoli e giardini che proteggono la privacy dei numerosi bungalows.Calette deliziose che si aprono su un mare quasi da bere, una spiaggia raccolta, piscine aperte e chiuse, Spa con talassoterapia, discoteca, anfiteatro all’aperto, tennis,

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Although Crete is truly the cradle of mythology, power and pomp it has many other fascinating attractions as well as a multifaceted nature and a changing coastline. In a strategic position between two continents, Europe and Africa, it is an island for discerning travellers seeking an experience that fuses history, archaeology, art and nature. This is our suggestion for a 12-day tour that gives a good idea of the entire island and we include some ideas and tips for an itinerary that we hope conveys the emotions we experienced. Our journey started in Rome from where we flew to Athens and then Heraklion where we hired a car (another interesting way to tour the island is on a motorbike) from the Motor Club, which has seven agencies on Crete. We set off for the holiday village of Creta Maris in Hersonissos, which is part of the prestigious Cretan Maris Hotels group, a splendid 5-star hotel, in typical Greek style, with a Dedalus of pathways and gardens protecting the privacy of the individual bungalows. Charming little creeks front the sparkling clear waters and there is also a secluded beach, indoor and outdoor swimming pools, a spa with thalassotherapy, a disco, an outdoor amphitheatre, tennis

Creta, la culla della civiltà greca - Crete. Cradle of ancient Greece

bowling e vari sport acquatici, rendono il Creta Maris un’oasi di tranquillità, di dinamismo e di divertimento. Tuttavia, non dimentichiamo di essere in un’isola tutta da vedere! Siamo partiti di mattina presto per un giro a Iraklion, la città-porto considerata il fulcro dell’isola. Il cuore palpitante della città è sicuramente la piazza Venizèlou, centro mondano e di intrattenimento in cui i numerosi caffè alla moda trasformano le strade in un salotto per distendersi e socializzare accanto al monumento principe di Iraklion: la fontana Morosini, detta “dei leoni”, punto di ritrovo per i giovani greci. E al pittoresco mercato di tono orientale. Iraklion vive la sua fama grazie ai preziosi reperti archeologici di tutta Creta, dal Neolitico e al periodo greco romano, ma soprattutto della civiltà minoica, conservati nel grandioso Museo, e grazie alla vicinanza con Cnosso. Capitale dell’isola, secondo Omero, Cnosso era il centro fiorente dell’era minoica e sede del re Minosse. In un’imponente area collinare è in gran parte ricostruita, in base agli studi archeologici, l’intera struttura della città: la Strada reale, il Piccolo Palazzo, le ville minoiche, il Caravan serraglio, la Villa reale, il magazzino dei vasi e tutto il resto. Segno distintivo dell’architettura fastosa sono le tipiche colonne di un bel rosso pompeiano che contrastano con il verde dei fitti boschi d’intorno, Da Cnosso, ci s’inoltra nell’interno dell’isola, attraverso un paesaggio montuoso, a volte brullo, punteggiato da un numero infinito di chiesette ortodosse e piccoli monasteri che valgono una sosta. Spesso, scendendo dalla macchina, si è investiti dal profumo dolciastro dell’uva passa che le donne greche stendono su grandi lenzuoli al sole, a fine estate. Si arriva presto alle rovine di Gortina, già capitale della provincia romana di Creta. Qui è ben conservata la basilica di Agios Titos, visibile già dalla strada, che nasconde l’anfiteatro dai sedili di marmo, e il portico coperto, famoso per le storiche “Leggi di Gortina” incise sul muro interno. Vi è un concentrato di siti archeologici in questa zona di Creta, visto che a pochi chilometri da Gortina, su una strategica collina, sorge l’imponente palazzo minoico di Festo, eretto, secondo la mitologia, da Radamant figlio di Zeus, e la residenza estiva del re di Festo, Agia Tri-

and bowling and a variety of water sports all of which make Creta Maris an oasis of tranquillity but with endless activities to enjoy. But let us not forget that there are also endless things to discover travelling around the island! We headed off in the early morning to tour the city and port of Heraklion which is the hub of the island and where life revolves around the central Venizèlou Square with its many street-side cafes which is close to the city’s main monument, the Morosini fountain, known as the Lion Fountain. This fountain is a favourite haunt with the younger generation and is also close to the picturesque market. Heraklion is also famous for the many splendid archaeological finds in the grandiose museum which go from the Neolithic to the Greek-Roman period but chiefly focus on the Minoic era, thanks to the vicinity of Knossos, which Honer referred to as the capital of the island and, during the Minoic era, was a flourishing city and the seat of King Minos. Thanks to archaeological studies most of the old city has been reconstructed on a large hilly area: the royal road, the small palace, the Minoic villas, the caravanserail, the royal villa, the vase storehouse and much more can be seen today just as they once must have been. The striking columns in Pompeian red marble contrast with the green of the surrounding dense woodlands. Starting from Knossos you can visit the rest of the island, passing through mountainous and barren areas that are dotted with countless little Orthodox churches and monasteries, all of which are worth stopping to enjoy. Leaving the car you are often assailed by the sweet aroma of raisins laid out on large sheets by local womenfolk at the end of summer to dry in the sun. It does not take long to get to the ruins of Gortyna, the former capital of the Greek province of Crete, and to the well-conserved Basilica of Agios Titos, which you first see from the road, and has an amphitheatre of marble seats and a covered portico famous for the historical “Gortyna Laws,” which are inscribed on an inside wall. On this part of Crete there are many archaeological sites. Just a few kilometres from Gortyna, on a strategic hillside, stands the commanding Minoic palace of Festo built, mythology would have it, by Radamant, son of Zeus, and Agia Triàda, King Festo’s n° 2 - agosto/settembre 2011

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notevole monastero cretese. Sorge a due passi dal vecchio monastero, uno scheletro carico del fascino del decadente, e ospita un piccolo museo di oggetti sacri e preziosi come alcune icone del XVII e XVIII secolo. Nella chiesa è conservata una pregevole iconostasi e una croce miracolosa. Proseguendo sempre ad Ovest si costeggia il Mar Libico con un susseguirsi di cale che invitano alla discesa come quella deliziosa di Plakias, protetta alle due estremità dei promontori Kakomouri e Stavròs. Si prosegue ancora per Frangocastelo, importante fortezza dei rivoluzionari cretesi, fino a raggiungere Sfakia. Da qui parte un battello diretto ad Agia Roumeli per una delle escursioni più suggestive di Creta: la Gola di Samaria, la più lunga d’Europa. Ben 18 chilometri percorribili a piedi in 5 - 7 ore. In alcuni tratti la strada è larga solo tre metri e le rocce, quasi perpendicolari, s’innalzano anche per 600 metri. Gole strettissime, orridi e precipizi, ma anche ruscelli, piante selvatiche (ce ne sono circa 450 varietà), e fauna tipica, la capra Kri-Kri, la donnola, la martora, il tasso e molti uccelli predatori, che fanno di questo posto un’incredibile realtà naturale. Solo questo varrebbe un viaggio a Creta. La Gola di Samarià è raggiungibile, all’inverso, da Chanià a nord ovest dell’isola, percorrendo la strada verso Omalos, dove si deve lasciare la macchina e proseguire a piedi. Chanià, seconda base strategica del nostro viaggio, è una cittadina-gioiello costruita attorno al vivacissimo porto. Un cordone ininterrotto di ristoranti e caffè, frequentatissimi a tutte le ore, borda due lati del porto e chiude un lungo

àda. La costa meridionale di Creta, dotata di poche strutture turistiche e perciò stesso bellissima e incontaminata, non sempre consente di seguire un itinerario lungomare completo, per mancanza di strade carrabili. Tuttavia, facendo base al Nord, come abbiamo fatto noi, ben si può dividere l’escursione dell’isola in più programmi diversi. Partendo sempre da Iraklion, per esempio, si può raggiungere, ad Ovest, Rethimnon, optando per le stradine interne che passano da Moni Arkadi, il monastero più celebre di Creta, fondato nel secondo periodo bizantino. Fu uno dei grandi centri culturali greci durante il Rinascimento cretese. Oggi si può anche sog-giornare nel monastero, in parte ancora abitato dai monaci. Rethimnon conserva un notevole patrimonio architettonico di epoca veneziana e turca, e interessanti strutture monumentali come la Fortezza, i bastioni, la porta di cinta e la Loggia. Segni dell’occupazione ottomana sono le bellissime moschee della città e le caratteristiche case con finestra a veranda di legno. Da Rethimnon, si scende di nuovo verso il sud per un altro emozionante itinerario. Una strada interna attraversa numerosi paesini pittoreschi che sembrano fermi nella storia e porta ad Agia Pavlos, una splendida località incontaminata. Uno strapiombo mozzafiato si apre su due baie gemelle di sabbia finissima separate da una roccia scistosa a piani paralleli e inclinati a spina di pesce: un effetto spettacolare. Lì ci si può dimenticare del resto del mondo. Sulla stessa costa selvaggia, in posizione asceticamente privilegiata si erge, immobile nella storia, Moni Preveli, altro

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summer residence. Crete’s southern coast, which is also well equipped for tourists, is very beautiful and uncontaminated, but it is not always possible to follow the seaboard as many of the roads are unsuitable. However, if you stay in the north as we did, it is possible to divide the tour of the island into a series of different excursions. For example, taking Heraklion as the starting point it is possible to go west to Rethymnon, taking the internal roads that pass through Moni Arkadi, Crete’s most famous monastery which was founded in the second Byzantine period. This monastery was one of the great Greek cultural centres during the Cretan Renaissance, and it is possible to stay here as part of it is still occupied by the monks. Rethymnon has an abundance of Venetian and Turkish architecture and interesting monuments like the fortress, the bastions, the gate of the old walls and the loggia. Traces of the Ottoman occupation are to be found in the city’s beautiful mosques and the characteristic houses which have windows with wooden verandas. From Rethymnon you can head south along another exciting itinerary, taking an internal road that runs through various picturesque villages, which seem to be frozen in time, to Agia Pavlos, a splendid uncontaminated area. A breath-taking sheer cliff opens onto twin bays of powdery sand which are separated by a shale rock of slanted parallel herringbone layers. A spectacular sight and a place where you can forget about the rest of the world. On the same wild stretch of coast, in an aesthetically privileged position, also frozen in time, stands

Creta, la culla della civiltà greca - Crete. Cradle of ancient Greece

Moni Preveli, another important Cretan monastery. Close by there is an old monastery which is little more than a skeleton but all the more fascinating for its decadence. It has a small museum with sacred and precious artefacts, including some 17th and 18th-century icons. The church also has a valuable iconostasis and a miraculous cross. Still heading west we followed the coast of the Libyan Sea past one creek after another, each one tempting us to stop but none more so than charming Plakias, which is protected by the extremities of the Kakomouri and Stavròs promontories. Continuing on towards Frangocastelo, an important fortress built by the Cretan revolutionaries, we come to Sfakia from where a boat crosses to Agia Roumeli and to one of the most interesting excursions on the island: the Samaria Gorge which is the longest in Europe. The gorge is 18 kilometres long and can be covered on foot in 5-7 hours, although some parts of the road are no more than three metres wide and the rocks are perpendicular and up to 600 metres high. There are many ravines and precipices, but also streams, wild plants (some 450 different varieties) and typical fauna like the Kri-Kri goat, the weasel, the marten, the badger and many birds of prey which turn this place into an incredible natural oasis. In its own right the Samarià Gorge is worth making the journey to Crete for, and it can be also be reached from Chanià in the north-west of the island, by taking the road for Omalos, where you have to leave the car and proceed on foot. Chanià, the second strategic base on our journey, is a gem of a little town built around a lively port. An unbroken line of restaurants and cafes, which are crowded at


molo abitato da un locale esclusivo, raggiungibile con una chiatta privata. Dal porto, centro mondano irrinunciabile, si dirama un intrico di vicoli animatissimi di locali e botteghe formando un quartiere tipico della vera Creta. Gravita sulla zona del porto anche il caratteristico mercato coperto, una sorta di Gran Bazar orientale in cui aleggia un profumo di spezie misto a un buon odore di piatti cucinati e consumati al momento, nelle nicchie laterali del mercato. E’ per questo che anche noi, per immergerci nel cuore di Chanià abbiamo scelto l’Hotel Arkadi, in una piazza elegante ai margini del porto. Da Chanià, un giorno, ci siamo spinti di nuovo a Sud, all’estrema punta Ovest, per raggiungere l’isola Elafonsi: un curioso scherzo della natura. L’isola, infatti, si raggiunge a piedi camminando nell’acqua dopo aver attraversato una lingua di sabbia su cui c’è chi prende il sole sulla sdraio tra un lembo e l’altro del mare. L’isolotto, in parte coperto da cespugli, in parte da dune di sabbia finissima da cui miracolosamente nascono splendidi gigli, ha varie spiagge di un suggestivo rosa acceso, merito di una “polvere di crostacei”, residuo delle maree. Tornando a Chanià, si percorre una costa incredibilmente bella che cambia spettacolo a ogni curva. Una serie inter-minabile di strapiombi che si addolciscono in baie tranquille e deserte. Ogni tanto, una sosta doverosa come quella per visitare il pittoresco monastero, Moni Chrisoskalitisas che, con la scusa del raccoglimento ascetico, si trova in uno dei punti più incantevoli di Creta. Tutto diverso nella Creta orientale. Ci siamo insediati ad Agios Nikolaos, all’Hotel Mirabello, una grande struttura a 5 stelle, articolata anche in un caratteristico villaggio-bungalows, con anfiteatro, ristorante, Spa, piscine, campi da tennis, diving center, beach volley, corsi di sports acquatici, porticciolo per yacht e una splendida vista sul golfo omonimo. Agios Nikolaos è il capoluogo del distretto di Lasithi, che prende il nome dell’interessantissimo altopiano caratterizzato dalla presenza di innumerevoli mulini, un tempo se ne contavano circa 10 mila. Qui, nel pittoresco villaggio di Psichrò, si trova la grotta in cui, secondo la mitologia, Rea partorì Zeus, il re di tutti gli dei. Agios Nikolaos, ex villaggio di pescatori, oggi è un’incantevole cittadina la cui vita brillante ruota attorno al porto, molto vivace e vissuto giorno e notte. Il vero centro cittadino

all hours, runs along both sides of the port which ends with a long jetty with an exclusive restaurant that can be reached on a private barge. The port is always lively and bustling and the tangle of busy alleyways with small shops and bars leading off it are typical of Crete. There is also a local covered market, a kind of Grand Bazar with wonderful perfumed spices while the tempting aroma of dishes fresh from the stove or the oven waft from the niches on either side of the market. And this is why we decided to stay in the heart of Chanià at the Hotel Arkadi, which is on an elegant square not far from the port. One day we headed out from Chanià, once more driving south to the furthest western point to visit the island of Elafonsi which is a true quirk of nature. In fact you can get to the island on foot, but you have to wade through water for the last stretch after having crossed a sandbank on which you can take the sun on a deckchair in an idyllic position surrounded by blue seas. The little island, part of which is covered with low shrubs and bushes and part by dunes of silky sand on which splendid lilies grow, has various bright pink beaches, thanks to the “crustacean powder” from the sea. On the way back to Chanià you take an incredibly beautiful coast road which surprises you with a spectacular new view at every bend. Along the way cliffs slope gently down to deserted little bays, and it is impossible not to stop to admire them, and to visit the picturesque monastery of Moni Chrisoskalitisas where, with the excuse of some ascetic meditation, you find yourself in one of the most ravishing corners of Crete. Things are very different on the western side of the island where, in Agios Nikolaos we stayed in the Hotel Mirabello, a large 5-star property with bungalows, an amphitheatre, restaurant, spa, swimming pools, tennis courts, diving centre, beach volleyball, water sports centre, a small port for yachts and splendid views over the gulf of the same name. Agios Nikolaos is the provincial capital of Lasithi, which gets its name from a fascinating plateau with many windmills; at one time there were around 10,000 of them. In the picturesque village of Psichrò there is a grotto in which, according to mythology, Rea gave birth to Zeus, the god of all the gods. Agios Nikolaos, a former fishing village, is a charming little town and life here revolves around the lively port, from dawn to the small hours. The true centre of the town is the Voulismen Lake with rows of roadside restaurants and

è il Lago di Voulismen, intorno al quale si snoda una fitta schiera di ristoranti e caffè sulla strada o in roof garden dalla vista invidiabile. Il lago è collegato al porto da un canale che si attraversa con un piccolo ponte. Da Agios Nikolaos si possono fare varie escursioni di grande interesse. Noi abbiamo cominciato dirigendoci a Ovest, costeggiando il bellissimo Golfo di Mirabello verso Elounda, dalle spiagge belle e famose, e l’isola di Spinalonga, collegata da frequenti battelli. Sull’isola si trova l’interessante fortezza veneziana in cui fu insediata, nel 1903, una colonia di lebbrosi. Oggi ne rimane un villaggio fantasma all’interno dei bastioni. Il rientro ad Agios Nikolaos può prevedere una variante nell’interno, attraverso i caratteristici paesini cretesi come Kritsà, che vale una sosta anche per la Panagia Kera, una bella chiesetta bizantina con affreschi interessanti, e Kroustas. Altro itinerario può essere quello in direzione Est, verso Moni Toplou, una delle principali fortezze di Creta in epoca veneziana, che conserva un piccolo museo e una serie di pregevoli icone di grandi pittori cretesi come Ioànnis Kornaros. A pochi chilometri si raggiunge Vai, una sorprendente, frequentatissima spiaggia, orlata da fitti palmeti, di cui i cretesi vanno molto orgogliosi. Scendendo poi a Sud, lungo la costa orientale, si incontra Palekastro, il sito archeologico che mostra i resti di un villaggio minoico e di un santuario di epoca ellenistica identificato come il tempio di Zeus Dicteo. I più audaci, e noi lo siamo stati, proseguono a Sud per Xeròkampos. Ci vuole coraggio negli ultimi 8 chilometri di strade sterratissime, a prova di pneumatici. Fate attenzione a crearvi dei punti di riferimento per il ritorno: ci si può perdere, specie se si fa buio. Comunque, il gioco vale la candela. La spiaggia, qui, è molto bella e soprattutto solitaria. Infine, vi suggeriamo un altro itinerario da Agios Nikolaos: a Terapetra, e da qui il battello per Chrisi. L’isola d’oro, così come la chiamano affettuosamente i cretesi. E’ straordinaria. Divise da una spina dorsale di cedri, e da un passaggio di morbide dune, si aprono due spiagge magnifiche lungo tutta la lunghezza di Chrisi: una di sabbia dorata e l’altra rosa, per via delle miriadi di minuscole conchiglie mescolate alla sabbia finissima. Il mare, neanche a dirlo, è limpido come una piscina.•

cafes and roof gardens which have stunning views. The lake is connected to the port by a canal which is crossed using a small bridge. There are various interesting excursions to be made from Agios Nikolaos. We started by heading west, and taking the coast road along the very beautiful Mirabello Gulf towards Elounda, which has a famous and fabulous beach, and the island of Spinalonga which can be reached by taking one of the frequent ferries. On the island there is an interesting Venetian fortress which, in 1903, was turned into a leper colony, but today there is only a ghost village inside the bastions. To get back to Agios Nikolaos you can take an internal route, which passes through typical Cretan villages like Kritsà, which is worth a stop also for the Panagia Kera, a beautiful little Byzantine church with interesting frescoes, and Kroustas. Or else you can head east towards Moni Toplou, which was one of Crete’s main fortresses during the Venetian era, and has a small museum with icons by some of the island’s greatest artists like Ioànnis Kornaros. After a few kilometres you come to Vai, a charming and very popular beach fringed with fake palms, of which the locals are very proud. Then, heading south, along the eastern coast, to Palekastro, an archaeological site with remains of a Minoic village and a sanctuary dating back to the Hellenistic era identified as the Temple of Zeus Dicteo. The more audacious will follow in our tracks and head south to Xeròkampos. The last eight kilometres take a good dose of courage as they are on dirt roads that will certainly not be kind to your tyres! As you proceed make sure to take mental note of landmarks for the return journey, as it is easy to get lost, especially in the dark. But it is worth every penny of the effort as it leads you to a very beautiful and deserted beach. To conclude we suggest one more tour worth taking from Agios Nikolaos. This time to Terapetra from where you take a boat to Chrisi, or the Golden Island as the islanders affectionately refer to it. It is an extraordinary place. Divided by a spinal cord of cedars and rolling dunes, two magnificent beaches run the length of Chrisi: one of golden sand and the other of red sand thanks to the minute shells mixed with the powdery sand. And, needless to say, the sea is a dazzling, crystal-clear swimming pool.• n° 2 - agosto/settembre 2011

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URUGUAY Piccolo mondo antico

Testo e foto di Pamela McCourt Francescone

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itmi di vita d’altri tempi, una capitale cosmopolita e a misura d’uomo, una natura risplendente e un popolo caloroso e accogliente. E poi, eccellenze culinarie e spiagge e tramonti da mozzafiato. ‌ “Se non ti aspetti l’imprevisto, non lo incontrerai”, scrisse Eraclito di Efeso L’imprevisto, In Uruguay, è di casa. Perché questo piccolo Paese, grande la metà dell’Italia e secondo più piccolo dell’America Latina con solo tre milioni e mezzo di abitanti, è il Sud America che non ti aspetti. Un gioiellino, un angolo della Vecchia

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Uruguay piccolo mondo antico

Europa nel cuore del continente sudamericano, quasi schiacciato da due vicini smisurati, Il Brasile e l’Argentina, dai quali ha adottato molte caratteristiche, ma senza cedere un briciolo della sua spiccata identità e unicità. Sarebbe magniloquente e tedioso elencare tutti i motivi - sono un’infinità - per visitare l’Uruguay, ma soffermiamoci su cinque: la gente, la tranquillità, Montevideo, la natura, le spiagge. Dalle sponde dei fiumi Uruguay e Rio de la Plata alla capitale Montevideo, e dalle zone agricole centro-settentrionali alla costa atlantica, los uruguayos (moltissimi sono di origine oriunda), rilassati e gioiosi, vivono senza stress, ingorghi, affol-

lamenti e con una marcata assenza di quelle contraddizioni e di quei disagi presenti in tanti Paesi latinoamericani. L’Uruguay difatti vanta la migliore qualità di vita e la maggior sicurezza di tutto il Sud America. E anche il più alto grado di scolarizzazione. E’ stato il primo Paese a fornire ad ogni allievo, tra i 6 e i 12 anni (oltre 350.000 ragazzi), un computer portatile. Che sia un Paese a forte vocazione agricola lo si deduce percorrendo centinaia di chilometri senza incontrare un centro abitato. Nei campi pascolano 12 milioni di bovini, una media di quattro per ogni abitante, e il consumo pro capite di carne è un record mondiale: 59 chili all’anno. Il piatto nazionale è il currasco, la bistecca alla griglia. A fine settimana nelle campagne, nei parchi e nei giardini cittadini i segni rivelatori sono le sottili spirali di fumo che s’innalzano dai parillas, e il profumo inconfondibile della carne alla brace. Ma la bistecca non è solo un rito domenicale, la si mangia a tutte le ore. Andate al Mercado del Puerto a Montevideo, antico mercato portuale costruito nel 1868 e cuore gastronomico della capitale, troverete i tavoli affollati di locali e turisti seduti davanti a piatti di carne di dimensioni inverosimili, che innaffiano con bicchieri di medio y medio, 50% vino bianco secco e 50% spumante,


creato da Roldos, uno dei banchi storici all’interno del Mercado. Chi vuole un pasto più veloce può avvicinarsi all’altro piatto nazionale, il Chivito, un panino con filetto grigliato, bacon, cipolle, maionese, formaggio, pomodoro e lattuga servito con un uovo fritto e patatine. Veloce certamente, ma non proprio dietetico! Il vicino Museo del Carnaval è una carrellata di coloratissimi ed estrosi costumi, maschere e foto che rendono omaggio al Carnevale più lungo del mondo. Dura fino a 80 giorni ogni anno e, anche se meno conosciuto del grande Carnevale brasiliano, è uno spettacolo scintillante, coinvolgente e sfarzoso. Altro vanto del Paese è il tango, nato nella zona rio-platense (e dunque non esclusivamente argentino) e difeso a spada tratta dagli uruguayani come tesoro nazionale. Anche perché il tango più celebre, La Comparsita, è stato scritto dall’uruguayano Gerardo Matos Rodriguez. E c’è anche chi, tra i tangheri più infervorati, azzarda la teoria che il grande compositore e cantante Carlos Gardel sia nato in Uruguay. Il mare di Montevideo mare non è, ma

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Uruguay piccolo mondo antico

l’estuario del Rio de la Plata. Che non sia mare lo si deduce dal colore marrone anche se, essendo non lontano dall’incontro con l’Oceano, è spesso striato da lunghe fasce di acqua color verde e turchese portate dalle correnti. Quasi 300 chilometri di lunghezza e duecentoventi di larghezza è, a tutti gli effetti, il mare dei montevideanos: una successione di bellissime spiagge, quelle sottovento, le mansa, più piatte e calme, e quelle sopravento, le brava, increspate dal vento. Sull’altra sponda, troppo lontano per essere vista ad occhio nudo, Buenos Aires, da sempre nemesi della capitale uruguayana per dimensioni e actitud. Grazie alla sua posizione sul Rio de la Plata, Montevideo è un porto importante da dove salpano le navi che si dirigono lungo il Rio Uruguay verso l’interno del Paese. Non lontano dal porto una grande statua di Garibaldi e, nella Ciudad Vieja, la casa dove, nel 1841, visse con Anita trovando “il modo d’impiegarsi e di guadagnare il necessario per la sua famiglia con la medesima facilità che lo trova qualunque nuovo sbarcato il quale sia uomo

onesto, attivo e con voglia di lavorare”. Girare Montevideo a piedi è piacevole; non è grandissima e l’atmosfera è rilassata e informale. Colpisce il numero di persone, anche giovanissime, che passeggiano sorseggiando il mate, un tè a base di un’ erba amara. Sulle spalle o nella mano, l’immancabile contenitore di acqua calda che serve per riempire costantemente la caratteristica ampolla contenente l’erba. La Sarandì, una vivace strada pedonale, porta dall’Avenida 18 de luglio, arteria principale della città, alla Ciudad Vieja. Molti gli edifici in stile Art Dèco e barocchi, imponenti il Palacio Salvi e il Teatro Solis, ma l’edificio più stravagante di Montevideo è, senza ombra di dubbio, il Castillo Pittamiglio. Costruito all’inizio del Novecento da un eccentrico architetto, sulla facciata troneggia una barca con la Vittoria di Samotrace sulla prua. L’interno è un labirinto di stanze e corridoi, porte che non portano da nessuna parte, piccole stanze nascoste, e pavimenti con disegni esotici ed esoterici. Un

omaggio all’antica arte dell’alchimia, e un capriccio architettonico alla pari del Castello di Neuschwanstein, costruito da Re Ludovico di Baviera. Di forte richiamo l’antica cittadina portoghese di Colonia del Sacramento, oggi sito UNESCO. Strade acciottolate e piccole piazzette dove sedersi all’ombra di alberi secolari e perdersi nelle vestigia di secoli di storia. Non lontano, in una foresta di pini ed eucalipti ad alto fusto, affacciato sul Rio de la Plata si trova Il Four Seasons Resort. Un buen ritiro di gran lusso dove andare a cavallo, giocare a golf su un campo par-72 a 18 buche, fare battute di pesca, e godere il relax intorno alla grande piscina o nella Spa. Solo 20 bungalow e 24 suite, tutti dotati di salotti, camere da letto spaziose, grandi bagni e giardini privati. Nelle zone interne, che sono il regno dei gauchos, si va per scoprire come si vive nelle estancias (oggi molte di queste grandi tenute sono diventate agriturismi designer), per il turismo fluviale, le terme, e il rafting. Ma il fiore all’occhiello del Paese sono le spiagge orientali che partono da Punta

del Este, la Montecarlo dell’emisfero sud. Nei mesi estivi le lunghe distese incontaminate di sabbia bianca, bordate da dune e pinete, di sofisticate località balneari come Piriapolis, La Barra e José Ignacio, diventano l’ hub del jet set internazionale. E nel piccolo aeroporto El Jaguel aeromobili Pluna, Gol, Aerolineas Argentinas e Sol si fanno largo tra file di lucenti Jetstream e Cessna. Poco prima di arrivare a Punta del Este è d’obbligo una sosta a Whale Point per visitare Casapueblo, un conglomerato bianco, opera dell’artista Carlos Paez Villaro in omaggio al figlio, uno dei 16 superstiti della sciagura aerea delle Ande del 1971. Più che un edificio è una cittadella-scultura ispirata allo stile architettonico delle case di Santorini, e oggi comprende un albergo, una galleria d’arte e un ristorante con terrazze dalle quali si può godere degli splendidi tramonti sul mare. Chi predilige le eccellenze vorrà soggiornare all’Estancia Vik, un albergo molto chic dotato di 12 stravaganti suite, che si staglia contro il cielo in cima ad una strada che si snoda fra

16.000 ettari di ranch. Estancia Vik: spazio, luce, infinità. Poi tutti al mare, al vicino villaggio modaiolo di José Ignacio dove la scritta “Aqui solo corre el viento” non lascia dubbi sulla filosofia di vita dei residenti, e dove si può oziare attorno alla piscina di granito nero a sfioro sull’oceano del nuovo Playa Vik. Per gli amanti della buona tavola la scelta non può che cadere sul mitico Parador La Huella, il ristorante più famoso dell’Uruguay, annidato nelle dune sulla stupenda spiaggia brava a Faro José Ignacio. Qui, all’ora di pranzo e la sera sotto un cielo esageratamente stellato, si danno appuntamento residenti e visitatori, celebrità e jet-setter. Sul menu Entrecote, Pesca del Dia a la Parrilla, Langostinos, Pizza, Caprese e il voluttuoso Dulce de Leche Volcan. Uruguay. Un piccolo mondo felice dove los uruguayos, garbati e sorridenti come pochi, tendono la mano per accompagnare il visitatore attraverso secoli di storia, una natura splendida e incontaminata, e luoghi irresistibili e fatati.• n° 2 - agosto/settembre 2011

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Testo e Foto di Romeo Bolognesi Tutti conoscono, almeno per sentito dire, l’imponenza e l’importanza degli insediamenti romani in Libia e in Tunisia. Pochi invece sanno dell’esistenza di testimonianze altrettanto rilevanti, se non addirittura maggiori, in Algeria. Eppure basterebbe risalire alle rimembranze scolastiche e pensare al ruolo storico svolto da personaggi come Siface, Massinissa, Giugurta o Giuba, principi di regni berberi chiamati di volta in volta Giuba, Mauritania o Numidia all’epoca delle guerre puniche e delle guerre civili, nonché alle enormi capacità produttive di cereali, per non sorprendersi affatto

nosciute al grosso pubblico, ma degne di miglior fama per le loro consistenti dimensioni, per l’ottimo stato di conservazione, per l’enorme varietà e l’insuperabile bellezza dei loro mosaici, e infine anche per il suggestivo contesto ambientale in cui si trovano. I porti naturali disseminati lungo i 1.200 km della costa rocciosa algerina cominciarono ad essere frequentati, già all’inizio del primo millennio a.C., dai commercianti fenici, seguiti poi dai greci e dai cartaginesi, quest’ultima antica colonia fenicia. Con la caduta di Cartagine nel 146 a.C. entrano in scena i Romani che, dai porti costieri usati massicciamente come terminali del commercio transahariano, si espando pian piano nell’interno per colonizzare le fertili vallate e gli altopiani dell’Atlante

L’Algeria Romana nello scoprire entro i confini dell’Algeria dei resti di molteplici e ragguardevoli insediamenti romani – quelli classificati sono oltre cinquecento – sopravvissuti alle ingiurie del tempo e degli uomini, in grado di attestare la massiccia presenza di Roma su questa sponda del Mediterraneo. Tipasa e Cherchell, porti ad ovest di Algeri, oppure Timgad, Djemila e Ippona più all’interno sugli altipiani settentrionali, sono ad esempio i nomi di città romane pressocché sco-

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L’Algeria Romana insediamenti antichi e siti Unesco

telliano, gran produttore di cereali, di uva e di olio, di legname e di bestiame, tra cui i possenti cavalli che saranno alla base della nascita della cavalleria romana, prima in accordo o in contrasto poi in dominio con i preesistenti regni berberi locali. Con la nascita di insediamenti agricoli, di campi fortificati e di imponenti città popolate da veterani dell’esercito, da commercianti e banchieri, servite da una fitta rete di strade, ponti e acquedotti, l’Algeria diventa per

oltre cinque secoli una delle maggiori fonti di approvvigionamento agricolo dell’impero, giustificando la presenza di un così elevato numero di insediamenti, nonché la loro imponenza e opulenza monumentale, ammirati oggi dai turisti e descritti in passato dai due maggiori figli di questa terra, lo scrittore Apuleio e il teologo Sant’Agostino. Un possibile itinerario attraverso l’Algeria romana parte dalla capitale Algeri, dalla decadente architettura coloniale francese, dove meritano una visita il ricco museo e la casbah, groviglio di vicoli immortalato nel film di Pontecorvo “La battaglia di Algeri” protetti dall’Unesco. Ad ovest della capitale Tipaza, altro sito Unesco, era un porto punicoromano in splendida posizione e ancora oggi ben conservato, con la maggior chiesa cristiana d’Africa a nove navate, dove lo scrittore franco-algerino Albert Camus andava ad ispirarsi tra le rovine e l’odorosa macchia mediterranea. Meno scenografico, ma ricchissimo di stupendi mosaici policromi e di statue, il vicino porto di Cherchell, primo insediamento romano e capoluogo della provincia con il nome di Cesarea. Ci si inoltra quindi nell’interno tra i fertili rilievi dell’Atlante per visitare i monumentali

resti di Djemila (sito Unesco), ricca e vasta città in amena posizione e ottimamente conservata, con un teatro da tremila posti, nonché quelli monumentali di Timgad (altro sito Unesco), presidio militare fortificato e poi insediamento urbano fondato dall’imperatore Traiano, tra i meglio conservati in Africa. Dopo le terme romane di Guelma, con acque a 90°C, il tragitto si conclude ad Ippona, l’antica Hippo Regius, sede di tre concili e dove per quarant’anni visse e operò Sant’Agostino, che ne era vescovo, fino alla caduta nel 430 per mano dei Vandali.• L’operatore milanese “Adenium – Soluzioni di viaggio” (tel. 02 69 97 351, www.adeniumtravel.it), specializzato in turismo culturale, propone dal 10 al 16 ottobre 2011 un tour di 7 giorni dedicato alla scoperta delle principali testimonianze archeologiche dell’antica presenza romana in Algeria. Partenza con voli di linea da Milano e Roma, pernottamenti in hotel a 3 e 4 stelle con pensione completa, accompagnatrice dall’Italia e guide parlanti italiano, assicurazione, quote da 1.950 euro in doppia.

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Popoli e luoghi

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Mali d’AFRICA Il popolo Dogon

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Mali d’Africa - il popolo Dogon

hi torna dall’Africa sa che qualcosa è cambiato per sempre, che una parte del proprio ego è mutata irreversibilmente, se non improvvisamente logorata. Ed è una bella sensazione, è una di quelle poche volte nella quale la vita ti dà la possibilità di renderti conto che sei cresciuto, che un altro passo per la tua personale evoluzione è stato compiuto. Ci sono scenari che nessuna fotografia potrà mai veramente raccontare, e questa consapevolezza spesso mi ha lasciato una profonda amarezza, ma, una volta in Italia, ho goduto a occhi chiusi di tutte le immagini alle quali in solitudine ho assistito perdendomi in un infinito adagiarsi di terre rosse e immobili o di orizzonti illimitati e curvi che mi hanno lasciato nel cuore la sensazione di far parte di un sistema perfetto. Ci sono immagini che invece si possono fissare e regalare a chi non ha assistito a un mondo tanto sincero quanto quello maliano, o a chi ci è stato e ci ritornerebbe comunque, come me. Quando si affronta un viaggio con una destinazione così diversa bisogna evitare le aspettative perché ogni attimo

vissuto in Mali è un prezioso dono. E’ un’esperienza che si può compiere solo se si è disposti e coraggiosamente pronti, al cambio di orizzonte: il quarto di luna non appare più come un dondolo, ma come un dolce sorriso. Siamo tra il Tropico e l’Equatore, qualcosa è già cambiato. Il primo forte segnale è la notte con Orione sempre di fronte a dare il benvenuto all’oscurità, probabilmente perché il mio arrivo ha coinciso con quella parte del giorno in cui si dorme: Il buio è buio, ma la volta stellata ti avvolge come se ogni corpo celeste fosse lì teso nell’atto di toccarti, ed è uno spettacolo che mi ha lasciato senza fiato. Ho vissuto sotto costellazioni che qui, da questo stivale, non avrei mai assaggiato. E proprio queste nuove configurazioni spaziali possono spingerti a un più dolce passaggio verso un cambiamento di prospettiva non solo fisico. Un lungo viaggio segna la distanza tra la capitale Bamako e la casa africana che mi ha ospitata, Savarè. Un viaggio nella vera anima del Mali: la savana che si distende come una scenografia muta che ti fa venire la voglia di scendere e camminare, di calpestare la sabbia, di sfiorare quella rada vegetazione secca, ma viva, di

Testo di Giulia D’Angiolini e Foto di Franco Petti abbracciare gli immensi, curiosi baobab, di stare ore ed ore a mirare la certosina architettura dei castelli realizzati da schiere di termiti laboriose. E poi le rocce.. Quando l’occhio urta su quelle rocce stratigrafiche devi scendere e immergerti in quel paesaggio lunare dove la natura ha reso arte una forma primordiale e l’ha elevata a manifesto di bellezza. La sensazione è di stupore ed è una gioia impagabile poter salire su questo manto rosso e roccioso, guardare il mondo intorno e sentirsi padroni di un’emozione che arriva da lontano, un ricordo ancestrale di purezza che si riflette nell’eleganza e la forza di questi giganti, figli del caso. Mopti è una città che travolge con il suo mercato fitto e cadente che occupa quel filo di terra tra Niger e Bani e ti impolvera di rosso i piedi per la terra e il lavoro. C’è una calma frenetica, donne accovacciate al pavimento su stuoie che raccolgono angurie succose e dolci, papaya sabbiosa e cremosa e sorrisi ammalianti che accompagnano mani tese a offrire il tè che non manca mai. C’è un continuo vociare che insegue e n° 2 - agosto/settembre 2011

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Popoli e luoghi

perseguita, ognuno vuole vendere, ognuno vuole uno sguardo alla mercanzia preziosa e sporca, ognuno di loro ha avuto la nostra visita, la nostra attenzione ed è un comprare che richiede un lungo processo di contrattazione che ha in sé il gusto di permettere la conoscenza di chi si ha di fronte, mercante o cliente si scoprono alla luce di una collana o di un djembè, il tipico tamburo a calice africano. Spesso il risultato è un invito per un tè o la promessa di tornare. C’è un sarto che cuce i vestiti sul corpo seguendo le fantasie di ogni donna, c’è un venditore di tessuti che infila perle per creare monili, c’è un ragazzo ridente che prepara il tè per tutti. Mopti ha anche una parte vecchia, la più affascinante, dove il giorno del “Tabaski” (festa che celebra il mancato sacrificio di Isacco) i montoni vivi e morti riempiono le strade affumicando l’aria, questa parte della città, dicono sia la Venezia maliana, è costruita totalmente in terra con case fatte di fango e paglia, e sembra che la terra naturalmente abbia costruito intorno agli africani delle abitazioni consone al clima e al mondo esterno. Non ci sono porte, non ci sono incastri, tutto è lineare e semplice e la vita scorre per lo più fuori, nei vialetti lacerati dalle fogne aperte. Sevarè è una città alla quale non è stato riconosciuto il diritto a questo appellativo, ma si presenta fertile agli occhi e al naso con il suo mercato al cumino, dipinto di bambini sorridenti che fanno “marameo” ai passanti “tubabù” (uomini bianchi). La prima volta lì si sente la paura della propria ignoranza, la paura di ciò che non si conosce ma quasi immediatamente si entra in una sfera di comprensione, siamo tutti esseri umani ed è curioso vedere esseri umani tanto diffe-

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Mali d’Africa - il popolo Dogon

renti. La notte festaiola è a Sevarè, con locali dove si suona e si canta la musica africana accanto ad una discoteca dove i ragazzi, come in Italia, stanno in fila per entrare, dove un giovane manovale fa il debutto dopo ore di allenamento in cantiere tra un mattone e l’altro. E poi c’è il Niger, il terzo fiume più grande dell’Africa, come ogni fonte di vita offre allo spettatore scenari e ritagli indimenticabili. Passandogli accanto si ha la sensazione di scorrere al fianco di qualcosa che sa scorrere meglio di te. Immobili risaie accolgono lo sguardo che, inevitabilmente, si ferma interminabili minuti a scorgere nell’acqua chi si fa il bagno, chi lava gli animali o la macchina. E poi ci sono le donne, bellissime, spesso seminude, che lavano i tessuti ridendo, immerse in quell’unione di pettegolezzi e vociare che solo loro possono creare. E sul Niger non ci si può allontanare prima del tramonto, dal Bar Bozo si può entrare nel cuore del Mali senza chiedere il permesso ottenendo in regalo colori acrilici e pastello che solo la sapiente mano di Madre Natura sa generare. La mano trema sull’obiettivo a cercare d’immortalare una piroga che coscientemente solca l’acqua verso il sole che muore e si stringe tra il petto e la gola un necessario bisogno di essere proprio lì dove la sintesi di tutto il viaggio prende una forma e la registra su una pellicola. Perché il Mali è quell’Africa generosa di cui non si parla abbastanza, è una femmina che concede i suoi frutti indiscriminatamente, anche se stuprata dal cemento e dall’asfalto, continua imperterrita a offrire tutta se stessa, donna ingenua, sensuale bambina. E generosi appariranno i volti degli uomini chini su una stuoia rivolti verso la Mecca a pregare,

sorridenti le espressioni delle donne, agili, con movenze che tradiscono un’eleganza innata, che ad una donna come me fa pensare di volere la pelle nera. I colori. Ci si ubriaca dei colori del Mali ed è un’acquisizione che non si vuole perdere neanche quando si ritorna al proprio mondo, un colore imparato è un’emozione che non muore mai. Ma il punto più alto, quello che t’ innalza tra il mistico e il trascendentale, lo si raggiunge quando ci s’immerge nella cultura Dogon. Trascinandosi tra i villaggi con appesi alle mani una schiera di bambini divertiti dai nomi occidentali, bambini che chiedono, senza pretenderlo, un kadò (regalo) a ogni fotografia. Si passeggia curiosando tra le case Dogon costruite con la terra e protette da cappelli da strega, ci si muove affacciandosi nei luoghi utilizzati per le riunioni politiche, intelligentemente costruiti con tetti bassi affinché le discussioni possano rimanere confinate dentro. Qui si discute, ma si risolve, costi quel che costi. Ci sono le farmacie, fatte di terra con fori nei quali si depositano con criterio le erbe curative a disposizione di tutti, ci sono le stanze delle ragazze e dei ragazzi, gli uni rigorosamente di fronte alle altre perché possano conoscersi, discutere ed innamorarsi senza entrare precocemente in contatto e poi c’è un baobab scolpito dall’uso che ne fanno di ogni parte. La magia evidente dalle fotografie è però il momento in cui si scende verso la Falesia, agli occhi si apre il mondo, con i suoi colori caldi e intensi, con le steppe che si allungano come braccia verso l’infinito. Lì su quel paesaggio è lecito versare qualche lacrima, è legittimo sentirsi parte di “qualcosa”. Infine l’occhio incrocia inevitabilmente quel rosso

macigno roccioso, sembra posato con decisione dall’alto o caduto come un’incudine per trasformare la savana in un utero che accoglie un nuovo mondo. Un’antica cultura misteriosa e difficile. I villaggi qui sono incastonati come pietre preziose all’interno della roccia. A noi cristiani, arrivando dalla strada, fanno pensare a un presepe di terra senza stella cometa. Tutto è costruito secondo un’utilità ben precisa, laddove la roccia copre il cielo, le case sono prive di tetto, la casa del capo spirituale è ricoperta di disegni sacri ed è interdetta a chiunque perché conserva silenziosamente la maschera della festa. E’ un popolo serio quello Dogon, sorridono, ma sanno di portare nel loro codice genetico l’impronta di una storia lontana, misteriosa e mai tradita. Qualche parola ancora per Djennè. Una città incantata, si apre come un fiore sul Niger, per raggiungerla si attraversa il fiume su un battello che si fa spazio tra le piroghe dei pescatori che ritmicamente lanciano le reti sui poveri capitoni. Djennè è una specie di miracolo, interamente costruita con il fango, resiste alle intemperie da diversi decenni, la grandezza dell’uomo espressa nella gigantesca moschea che troneggia al centro della città da oltre cento anni ed ancora brilla maestosa. Djennè è salva grazie al sacrificio di una giovane donna, a Djennè si respira il Mali, la sua terra, il suo nutrire, la capacità che ha di catturare una vita, rapirne l’essenza e dolcemente abbattere la vulnerabilità che la cultura ci ha cucito addosso per coprirci dalla verità. Il Mali sconvolge, turba, disarma, ma mette a nudo l’essenza del vivere. “L’essentiel est invisible à l’oeil” (Le Petit Prince)• n° 2 - agosto/settembre 2011

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UZBEKISTAN,

tra Bukhara e Samarcanda Testo di Anna Maria Arnesano e Foto di Giulio Badini

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U

bicato nel cuore dell’Asia centrale, l’Uzbekistan costituisce di gran lunga la più nota tra le diverse repubbliche autonome sorte nel 1991 dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica, grazie al fatto di essere stato per due millenni e mezzo culla di importanti civiltà e punto obbligato di passaggio per i mercanti e le merci in transito tra oriente e occidente lungo la Via della Seta, tanto da lasciare in eredità al presente il più cospicuo patrimonio

Uzbekistan, tra Bukhara e Samarcanda

artistico e culturale di tutta la regione. Basta ricordare i nomi armoniosi di Bukhara, Khiva e Samarcanda, tutte protette dall’Unesco come patrimonio dell’umaità per i loro retaggi storici e artistici, le principali città carovaniere del passato fattesi capitali degli imperi di Alessandro Magno e Tamerlano, per capire di cosa stiamo parlando. Grande una volta e mezzo l’Italia e con 25 milioni di abitanti, lungo 1.500 km e largo in media 300, presenta ad ovest immense steppe

aride semidesertiche e pianeggianti attorno a quel che resta del lago d’Aral, mentre ad est incontra le propaggini delle possenti catene montuose del Tian Shan, dell’Alaj e del Pamir; in questa zona si trova anche la fertile valle di Fergana, una consistente fossa tettonica particolarmente adatta all’agricoltura con imponenti coltivazioni di cotone (di cui è secondo produttore al mondo), sericoltura, ortaggi e frutta, ma anche culla dell’artigianato uzbeco, in particolare quello ceramico A differenza degli altri paesi confinanti qui prevalgono infatti i contadini stanziali rispetto ai pastori nomadi, i quali tuttavia producono la vellutata lana delle pecore karakul, ma si tratta comunque di una nazione piuttosto povera dove risulta ancora assai praticato il baratto. La storia parte da lontano con gli sciti e prosegue con l’impero achemenide persiano vinto da Alessandro Magno, il quale proprio a Samarcanda si sposò con una principessa locale ed ebbe l’unico figlio, poi fu la volta dei regni partico e sasanide fino ai mongoli di Gengis Khan. L’uzbeco Tamerlano fece di Samarcanda la splendida capitale del suo impero, a cui seguirono vari khanati locali tra i quali primeggiò quello dell’altrettanto splendida Bukhara, capolavoro dell’arte religiosa islamica. Nel 1800 entrò nell’orbita russa, per diventare poi una delle repubbliche dell’Asia centrale sovietica, fino all’indipendenza conseguita nel 1991. Una costante storica viene rappresentata dalla presenza di sanguinari tiranni, da Gengis Khan a Tamerlano, da n° 2 - agosto/settembre 2011

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Nasrullah Khan a Stalin, fino al dittatore Karimov dei giorni nostri, perché il crollo del comunismo in Asia centrale non è servito a modificare la mentalità autoritaria dei governanti. La lingua principale è quella uzbeka, seguita dal russo, di origine turca scritta dapprima in arabo, poi in cirillico e oggi in caratteri latini. Tre sono le località imprescindibili per qualsiasi tipo di viaggio in Uzbekistan: Bukhara, Khiva e Samarcanda, città che evocano già nei nomi i profumi e il cosmopolitismo della Via della Seta, attiva per quasi tre millenni già a partire dal 1.500 a.C.. Samarcanda, già prospera nel V sec. a.C. sotto il dominio persiano a cui pose termine il macedone Alessandro, ne era il principale caravanserraglio e divenne splendida quando assunse al ruolo di capitale dell’impero di Tamerlano, spietato ma anche attivo mecenate dell’arte e della cultura, facendole assumere un ruolo egemone in tutta l’Asia centrale. Da allora il centro storico è rimasto immutato, compresa la sua magica atmosfera, con le madrese dalle cupole di maiolica, le moschee dai minareti azzurri, i mausolei e le tombe, mentre il frenetico bazar costituisce un museo etnico dal vivo. Bukhara, capitale nel IX sec. del regno persiano samanide, rappresenta la città sacra per eccellenza dell’Asia centrale, con il suo enorme bagaglio culturale alimentato nel tempo da torme di artisti, letterati e scienziati. Con i suoi edifici millenari, 140 monumenti protetti e un centro storico tuttora abitato e immutato negli ultimi due secoli, rappresenta uno dei luoghi migliori per farsi un’idea di come fosse la regione prima dell’arrivo dei russi. Inutile cercare nei suoi animati bazar i famosi tappeti omonimi tanto apprezzati in occidente, perché in realtà oggi vengono prodotti in Turkmenistan. Khiva, capitale nel XVI secolo dell’impero timuride, è invece una piccola città carovaniera famosa purtroppo per il suo mercato degli schiavi, il maggiore dell’Asia centrale, durato per tre secoli.

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Uzbekistan, tra Bukhara e Samarcanda

Il suo centro storico, già attivo come fortezza e caravanserraglio nell’ VIII sec. e ancora oggi racchiuso entro mura, è rimasto talmente integro da poter essere definito una vera città-museo.• L’operatore milanese “I Viaggi di Maurizio Levi” (tel. 02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it), specializzato in viaggi a valenza culturale, propone in Uzbekistan un itinerario di 12 giorni dedicato alle città carovaniere ma anche a località minori di notevole interesse. Partenze mensili con voli di linea da Milano e Roma da giugno ad ottobre 2011, pernottamenti in hotel a 3 e 4 stelle con pensione completa, guide locali di lingua italiana e accompagnatore dall’Italia, quote da 1.960 euro. In Asia centrale Viaggi Levi propone anche un percorso di 16 giorni che oltre all’Uzbekistan tocca anche Tagikistan e Kyrghizistan.

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PIRENEI

tra sacro e profano Testo e foto di Marco De Rossi

Lourdes

- Per rendersi conto dell’importanza di un luogo come Lourdes, al di là di quella di città mariana per eccellenza, basta dare un’occhiata alle dimensioni dell’aeroporto, uno scalo che smista svariati milioni di passeggeri all’anno, a dispetto dei 15.000 residenti in città (Meridiana collega Roma con Lourdes 4 volte a settimana a/r). Di fatto, siamo nell’ ombelico dei Pirenei, nastro di partenza per chiunque voglia farsi un giro per quella dorsale montuosa che separa la Francia dalla Spagna, e sui cui crinali la storia ha lasciato segni importanti e riconoscibili, a partire dalla leggenda/mito del paladino Orlando, di Ariostiana memoria, che fermò i Mori al passo di Roncisvalle, bloccando l’invasione araba del continente. Le tracce del cristianesimo sono sparse un po’ dovunque, non foss’altro perché proprio da Lourdes partono due dei “cammini” che portano a Santiago di Compostela. A Lourdes, che è annuale di 6 milioni di pellegrini/turisti/viandanti vari, dovrebbero fare un salto anche i seguaci di Piergiorgio Odifreddi, gli atei fondamentalisti, gli agnostici e i miscredenti

vari. Non per ritrovare la fede, ma per comprenderla. L’idea che bazzica nel cervello, prima di mettere piede in città (un consiglio: Grand Hotel Moderne , 4 stelle spartane, gestito da italiani), è quella di trovarsi di fronte ad una Las Vegas del cristianesimo, una Conad della fede, dove si vendono indulgenze, si promettono miracoli e si dispensano assoluzioni a pioggia. Di fatto, la realtà smentisce l’immaginazione. Lourdes è un luogo di culto che è autenticamente intriso di “fede”, e il merchandising assai trash che offrono le botteghe locali non cozza più di tanto con l’aura mistica che aleggia sulla città. Come racconta padre Giancarlo Iollo, sacerdote dell’ordine degli Oblati di Maria Immacolata, addetto al servizio giovani, dei sei milioni di fedeli/turisti, probabilmente sono solo un milione quelli che arrivano in pellegrinaggio. Un terzo di quei sei milioni sono italiani, e circa (azzarda) 500mila i giovani. Infatti, l’altra idea pregiudiziale, quella che Lourdes sia un gerontocomio a cielo aperto, viene smentita da uno sguardo sulla spianata della basilica, dove centinaia di ragazzi spingono le carrozzeln° 2 - agosto/settembre 2011

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le dei malati, fanno servizio d’ordine, aiutano nell’organizzazione. Insomma, autentico volontariato. “Non è poi così vero che la civiltà contemporanea abbia allontanato i giovani dalla fede – ci dice padre Iollo – e per molti di loro la possibilità di vivere in una comunità internazionale, di conoscere coetanei, di condividere esperienze, non solo religiose, è un grande stimolo per l’ anima”. E’ per questo che Lourdes ha un significato che travalica quello di traguardo finale della fede, ma assume piuttosto quello di punto di partenza, di abbecedario per neofiti. E per

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Pirenei tra sacro e profano

questo che i teen-agers che si incontrano in città, sembrano molto diversi dai piccoli dittatori viziati da una civiltà che lobotomizza il cervello in cambio di telefonini e abiti griffati. Di fatto, Lourdes sembra un luogo sospeso nel cielo, ovattato nel suo silenzio irreale, dove persino le auto smarmittano con discrezione, dove l’educazione ed il rispetto ritrovano il loro significato originario. Lasciandoci alle spalle le considerazioni spirituali, si può passare più prosaicamente a quelle prettamente turistiche. Lourdes è posizionata in una splendida valle in mezzo

ai Pirenei, che sovrastano senza intimidire, lussureggianti ed accoglienti. Inutile enumerare le (poche) vestigia artistiche della città, che si è sviluppata intorno alla grotta di Bernadette da poco più di un secolo. Un salto allo Chateau Fort, l’antico forte militare di origine romana, che sorveglia la città dall’alto, bisogna farlo. Interessante il museo interno su tradizioni, costumi e artigianato locali. Il panorama è splendido, e diventa mozzafiato se ci si inerpica fino ai mille metri (7 minuti con la funicolare) del Pic du Jer, da dove si possono ammirare tutte le vet-

te più alte dei Pirenei, a giugno ancora coperte di neve. Una volta sul Pic, si possono visitare le grotte carsiche più alte di Francia, scavate nel corso dei millenni dall’acqua dei ghiacciai infiltrata nella montagna. Il Pic è anche un punto di partenza per passeggiare nel parco nazionale circostante, per fare trekking, oppure, se si hanno fegato e capacità, per buttarsi a valle con la mountain bike. Pochi minuti di adrenalina, e poi si risale di nuovo con la funicolare, pronti ad un’altra discesa. Una volta lasciata Lourdes, campo base per il giro pirenaico, basta

consultare una guida per incrociare uno dei tanti cammini religiosi che si intersecano nelle valli. Uno di questi passa per Saint Lizier, borgo medioevale di origini romane, inserito nel patrimonio mondiale dell’Unesco. Per 1300 anni è stata sede di un vescovado e la cattedrale, ben conservata, risale al 1117. Bellissimo il chiostro e ancor più l’antica farmacia (1764) annessa all’ospedale. Obbligatorio un giro per vicoli del paese, dove fanno bella mostra di sé antiche case a graticcio, infiorate come nei giorni di festa. Dopo aver incrociato Ax le

Termes, importante centro termale e stazione sciistica, dove si convogliano le acque solforose-sodiche di 80 sorgenti, si arriva all’abbazia di San Michele de Cuxa a Codalet, sovrastata dal massiccio del Monte Canigou. Nel complesso edilizio del monastero (XI secolo), abitato da una comunità di benedettini, spiccano la chiesa ed il chiostro, perfettamente conservati. Una vera oasi di spiritualità. Che si ritrova anche nel priorato di Serrabona, altro luogo di infinita bellezza, fondato dai monaci agostiniani nell’XI secolo. Arroccato su una montagna, il prion° 2 - agosto/settembre 2011

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rato è costituito da una chiesa di fattezze romaniche, al cui interno spicca una tribuna (il pulpito) in marmo rosa, una rarissima struttura dell’arte catalana. Particolare il chiostro, che per via della posizione (si affaccia su un baratro) è a forma di galleria senza spazio aperto al centro. Fra un giro e l’altro, consigliata una sosta rilassante nelle antiche terme di Molitg Les Bains, immerse in una sorta di canyon lussureggiante, dove ci si può fare pace con il mondo. E con se stessi.•

ENTE NAZIONALE FRANCESE PER IL TURISMO Via Tiziano, 32 - 20145 MILANO www.franceguide.com COMITE REGIONAL DU TOURISME MIDI PYRENEES 54, Boulevard de l’Embouchure 31022 Toulouse www.turismo-midi-pyrenees.it www.grandiluoghi-midipirenei.it OFFICE DE TOURISME LOURDES www.lourdes-infotourisme.com

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n° 2 - agosto 2011

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mosaici ed oltre 30 tipi di marmo, come labradorite, porfido, rodonite, onice. Erano anni di transizione per l’architettura sovietica, alla ricerca di nuove soluzioni, in forma monumentale e classica, qui felicemente applicate. Inaugurata da Stalin nel 1935, la ferrovia sotterranea di Mosca è un’autentica vetrina didattica e celebrativa dello stato socialista:i nomi e le soluzioni decorative delle stazioni sono infatti legate alle tematiche, care alla propaganda di regime. “Ploscad Revoljuzii”, “Piazza della rivoluzione”, con le sue 80 statue di tipi sovietici, dal marinaio, al soldato, è una galleria esemplare per esaltare l’eroismo e la potenza dello Stato, la vicina “Teatralnaja”, situata sotto la piazza omonima, dei teatri Bolshoj e Malyj, venne concepita dall’architetto Fomin come un enorme foyer, ed è decorata da rilievi in ceramica di Natalja Danko sul tema delle danze po-

polari. La “Majakovskaja”, dedicata al celebre poeta, più essenziale delle altre, esprime tendenze avanguardistiche, con gli agili pilastri metallici, in parte rivestiti di rodonite rosa, e gli archi, incorniciati di acciaio inossidabile. Nelle cupole si ammirano i pannelli di moasico, realizzati su disegno di Aleksandr Dejneka. Fu proprio questa elegantissima stazione a ricevere, nel 1937, il Grand Prix alla Mostra internazionale di Parigi. Nella stazione “Komsomolskaja”, la più grande e frequentata per la posizione sotto l’omonima piazza delle tre stazioni ferroviarie (Leningradskaja, Kazanskaja e Jaroslavskaja) risuona la gioia trionfale per la vittoria nella II guerra mondiale. L’enorme sala, sorretta da 68 colonne d’acciaio rivestite di marmo, sfavilla dei mosaici di Pavel Korin, con personaggi celebri della storia russa, condottieri vittoriosi, di epoche diverse, come Aleksandr Nevkij e Dmitrij Donskoj, Aleksandr

La METROPOLITANA

MOSCA

di Il regno delle Meraviglie Testo di Claudia Sugliano e foto di Columbia Turismo

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n regno sotterraneo, esteso per oltre 300 km. nelle viscere della capitale russa, con fantastiche e lussuose sale, che potrebbero tranquillamente appartenere a palazzi costruiti in superficie. Benvenuti nella metropolitana di Mosca! Fin dalla sua nascita essa è stata una leggenda: la costruzione, iniziata nel 1932, e a cui venne chiamato tutto il Paese, già l’anno successivo vedeva

La Metropolitana di Mosca - il regno delle meraviglie

coinvolti 35mila aderenti alla gioventù comunista, quei “konsomolzy”, a cui è dedicata una magniloquente stazione, la Konsomolskaja. Poiché la capitale del primo stato socialista doveva avere la metropolitana più bella del mondo, nella progettazione venne privilegiato l’approccio estetico-architettonico: ingressi a padiglione o a forma di conchiglia, come quelli di “Krasnye Vorota”, sale rilucenti di oro, n° 2 - agosto/settembre 2011

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Suvorov e Michail Kutuzov. Le tradizioni culturali ed artistiche di repubbliche come Ucraina e Bielorussia, ispirano i mosaici marmorei e i pavimenti delle “Bielorusskaja” e l’architettura della “Kievskaja”. L’aspetto estetico-artistico non deve fare dimenticare la straordinaria efficienza della

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La Metropolitana di Mosca - il regno delle meraviglie

metropolitana: 11 linee, 149 stazioni, treni ad intervalli di 50-60 secondi, che ogni giorno accolgono nove milioni di passeggeri. Un mezzo di trasporto preziosissimo per una metropoli come Mosca, sempre più tentacolare e soffocata da problemi di traffico.•


SLOVENIA: POMURJE, tra terme,

vigneti e cicogne

Testo di Anna Maria Arnesano e Foto di Giulio Badini

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li italiani che visitano la Slovenia si limitano in genere alla riviera adriatica, alle grotte del Carso, alla verde vallata alpina dell’Ison zo, alla zone dei romantici laghi montani di Bled e Bohinj, fino all’elegante capitale Lubiana. Ben pochi procedono oltre, dove la Slovenia prosegue e si conclude con l’estrema regione orientale del Pomurje, tagliata in due dal fiume Mura e compressa tra l’Austria a nord, l’Ungheria ad est e la Croazia a sud. Un territorio non privo di peculiarità e di attrattive turistiche, penalizzato solo dalla sua relativa lontananza dagli italici confini, e comunque a meno di tre ore di autostrada da Trieste, sulla via per Vienna e Budapest. Si tratta di una zona di colline e di pianure che preannunciano nel paesaggio la pianura pannonica ungherese, con un’economia quasi esclusivamente agricola, dove primeggia la viticoltura. La sua posizione di cuscinetto tra popoli e nazioni diversi l’ha da sempre sottoposta ad influenze esterne, soprattutto magiare. Il territorio ad oriente del Mura, chiamato Prekmurje, è appartenuto per secoli al regno ungarico ed è stato annesso alla Slovenia soltanto nel 1919. Caratteristiche magiare si riscontrano nelle tipiche abitazioni rurali con il tetto di paglia, nella cucina e, soprattutto, nei numerosi nidi di cicogna sui camini e sui campanili, che potrebbero essere assunti come emblema e simbolo della regione. Ascoltare il suono struggente dei violini in una czarda, magari davanti ad un piatto di gulash rosso di paprika, fa pensare di essere già arrivati in Ungheria. Il vino costituisce una risorsa importante e antica per questa terra, che risale fino al tempo dei Celti, degli Illiri e dei Romani. Il terreno alluvionale e l’incontro di correnti d’aria di diversa provenienza sembrano dare un ottimo risultato.

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Slovenia: Pomurje, tra terme, vigneti e cicogne

Le Slovenske Gorice, le colline tra Drava e Mura, producono infatti alcuni dei migliori vini sloveni, esportati in tutti i paesi mitteleuropei e oltre, mentre in alcune zone i vigneti sono esteticamente tanto belli, con i loro filari ad anfiteatro ed i rumorosi spaventapasseri a pale, da essere stati dichiarati monumento ambientale. Vedere per credere. Percorrere una delle tante Vinske ceste, le strade del vino che abbondano nella zona di Ormoz, Jeruzalem e Ljutomer, fermandosi a gustare il prodotto in qualche enoteca o cantina, è un piacere tale che ogni turista raffinato non dovrebbe negarsi. Paradossalmente, assieme al vino, l’altra grande risorsa della zona è rappresentata dall’acqua. L’acqua minerale che si beve ovunque nel paese, e ormai anche fuori dai suoi confini, è la Radenska, tanto ricca naturalmente di anidride carbonica da essere l’unica minerale al mondo alla quale questo gas viene tolto anzichè aggiunto. Radenci si trova sulla sponda destra del Mura ed è una delle più antiche stazioni termali slovene, avendo iniziato l’imbottigliamento nel 1869 e le cure nel 1882. Le bottiglie dalla caratteristica etichetta verde con tre cuoricini rossi finivano sulle tavole della corte imperiale viennese, come su quella del Papa. Grazie all’elevato contenuto di sali minerali, viene considerata una delle acque più benefiche in assoluto. Acque termali e fanghi solforici vengono invece impiegati nelle terapie sanitarie ed estetiche. Le acque di Radenci non sono comunque uniche. Negli ultimi decenni trivellazioni a notevole profondità hanno rivelato la presenza di estesi bacini di acque termali. Sono quindi sorti moderni complessi a Banovci, Lendava, Petisovci e Moravske Toplice; caratteristiche comuni per tutti l’elevata professionalità e i prezzi concorrenziali con l’Italia. Le attrattive per il turista non si esauriscono tuttavia

con il vino e con l’acqua. Ci sono parecchi castelli di varie epoche, che furono assai importanti in passato per difendersi dalle incursioni dei Turchi, alcuni oggi trasformati in musei, parecchie chiese romaniche, gotiche e barocche, alcune con pregevoli cicli di affreschi del XIV° e XV° secolo e qualche centro urbano d’impronta medievale. L’artigianato tipico propone manufatti di ceramica e oggetti di paglia intrecciata. La gastronomia offre specialità magiare come il gulasch in casseruola servito con pane di segale, l’arrosto alla gitana, il tunka, prosciutto pressato conservato nello strutto, e la gibanica, un dolce a base di frutta e formaggio. Un cenno particolare meritano il Mlin Babic a Verzej, l’ultimo mulino galleggiante ancora in funzione sul Mura, la zona umida di Hotiza formata da un bosco planiziale, isolette e fontanili, abitata da una varia avifauna e il vasto parco naturale transfrontaliero del Goricko, ricco di biodiversità e che ospita le maggiori colonie nazionali di lontre e cicogne.Una microregione dunque un po’ misconosciuta ma non priva di personalità e con attrattive tali da meritare una maggior attenzione da parte del turismo, anche in considerazione del fatto che, per le sue ridotte dimensioni, può essere comodamente visitata nell’arco di due-tre giornate e che nella piccola Slovenia tutto è sempre vicino. Base ideale per l’esplorazione del Pomurje possono essere le terme di Radenci (www.zdravilisce-radenci. si, tel. 0038625202720 in italiano), famose per l’acqua minerale ricca naturalmente di salutare anidride carbonica e per il fatto di essere uno dei complessi più antichi, che oltre ad un’ottima sistemazione alberghiera possono regalare il rilassante piacere delle piscine, delle saune e dei trattamenti termali per la salute, la bellezza e il benessere a prezzi decisamente competitivi.• n° 2 - agosto/settembre 2011

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Lungo il bel

DANUBIO BLU Testo e foto di Giuseppe Barbieri

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robabilmente, il modo più piacevole di scoprire il cuore del Vecchio Continente è quello di seguire il corso del Danubio che, lungo i suoi 2860 chilometri infila una serie di innumerevoli città come fossero perle di una collana. Il Danubio, infatti, scorrendo da Ovest a Est, al contrario di tutti gli altri grandi fiumi europei che vanno da Nord a Sud o viceversa, attraversa Germania, Austria, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Serbia, Montenegro, Bulgaria, Romania: un crogiuolo di paesaggi, storie e culture di popoli diversi, che in esso trovano il loro comune denominatore. Anche se tutti i grandi fiumi sono accompagnati da miti e leggende, nessuno di essi è stato protagonista della Storia come il Danubio,

prima accompagnando gli antichi Romani alla conquista dell’Europa centrale e poi permettendo ai Turchi di penetrare fino alle porte di Vienna, mettendo in comunicazione l’Occidente con l’Oriente, il Cristianesimo con l’Islam. Per secoli la navigazione sul Danubio fu praticata grazie a semplici imbarcazioni in legno che richiedevano enormi sforzi di pilotaggio per superare tutti i pericoli rappresentati dalla corrente e dalle rapide che, in alcuni punti in cui il fiume attraversava formazioni rocciose, si trasformavano in vere e proprie trappole, rendendo i naufragi all’ordine del giorno. Fino agli inizi del XIX° secolo, infatti, il progresso tecnologico riguardante la navigazione fluviale fu praticamente inesistente, per cui le imbarcazioni potevano viaggiare n° 2 - agosto/settembre 2011

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Budapest notturna

controcorrente solo se trainate lungo le sponde, da uomini a cavallo o da locomotive. Solo nel 1812 si assistette ad una novità rivoluzionaria, il varo della prima nave a vapore sul Danubio, la Caroline, che diede inizio all’era della navigazione a vapore, consentendo finalmente ai battelli di risalire il fiume autonomamente.

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Lungo il bel Danubio Blu

La prima compagnia di navigazione a vapore sul Danubio fu fondata nel 1829 e dall’anno successivo iniziò un continuo viavai di romantici vaporetti con la ruota a pale, che facevano la spola tra la Foresta Nera, dove nasce il fiume, e il Mar Nero dove sfocia, formando il più vasto delta d’Europa. In realtà non è ancora ben chiaro dove nasca preci-

samente il Danubio, infatti da secoli due paesini della Germania, Furtwangen e Donaueschingen, che distano solo quarantacinque chilometri l’uno dall’altro, se ne contendono la paternità. Ufficialmente, le sorgenti danubiane appartengono al secondo, ma c’è chi sostiene invece che esse si trovino alla confluenza del torrente Brigach con

Breg: molti da queste parti ricordano ancora la battaglia combattuta a suon di carte bollate, combattuta dagli abitanti di Furtwangen contro i potentissimi principi Von Furstenberg, proprietari del castello di Donaueschingen, nel cui parco si trova incastonata, in una cornice di pietra calcarea a forma di fontana circolare, la pozza d’acqua che permet-

te loro di vantarsi di avere in giardino non un semplice pozzo ma, addirittura, la fonte del più importante fiume d’Europa! Il giovane Danubio scorre attraverso l’altopiano di Baar, valle selvaggia in pietra calcarea con scarsa vegetazione che forma il bordo sudoccidentale della catena montuosa di Schwabisch

Alb. Per due volte lungo il percorso, il fiume filtra nel terreno e per molte settimane l’anno lascia un letto praticamente asciutto. Il fenomeno è dovuto alla natura porosa della roccia e all’altezza, al di sopra del livello del mare, a cui il Danubio superiore scorre in questo tratto. La sorgente di Aach, presso il lago di Costanza, che raccoglie l’acqua n° 2 - agosto/settembre 2011

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filtrata dal Danubio trasportandola al Reno, si trova 200 metri più in basso. Il Danubio stesso non scende a tale livello fino a quando non giunge in Ungheria. Continuando a seguire il corso superiore del Danubio, tra il verde dei faggi, tigli e cespugli, si scorge qualche cicogna. Lungo le basse colline, s’erge imponente su uno sperone l’antica cittadina di Sigmaringen con lo splendido castello dei principi Hohenzollern. Edificato nel secolo XI, fu barocchizzato e ingrandito in stile rinascimentale dopo l’insediamento degli Hohenzollern. La prima importante città che s’incontra lungo il Danubio è Ulm, anticamente punto di partenza della navigazione fluviale che, in realtà, sono due città in una, dato che a partire dal 1805 il fiume costituisce il confine tra i due Stati Federali del Baden-Wurttemberg (cui

appartiene Ulm) e della Baviera (di cui fa parte New Ulm). Fintantoché non si giunge a Donauworth, la regione è depressa e morbosa. La cittadina fu una delle più antiche sedi dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici, fondato nel 1197, e offre al visitatore numerosi spunti di interesse. Proseguendo il suo cammino e aumentando man mano di dimensione, il Danubio incontra Ingolstadt, città che fin dal Medioevo ha ricoperto un ruolo fondamentale nella storia bavarese. Raggiunta la valle dell’Altmuhl, il più vasto parco naturale della Germania, ecco una natura pura accanto a resti di monumenti storici di tutte le epoche, a partire da quella Romana. Basti pensare che Carlo Magno già nel 793 cercò di realizzare un collegamento tra il Meno e il Danubio: la testimonianza di tale impresa è ancora visibile presso Graben.

All’inizio del XIX secolo una équipe di ingegneri riprese gli studi per la realizzazione del canale Ludwig-Danubio-Meno, che venne aperto al traffico il 4 giugno 1846. Tra Neumarkt, Beilngries, Dietfur e Kelheim i turisti incontrano di continuo antichi ponti, romantiche chiuse, impianti portuali, case cantoniere e tratti di canale ricoperti di vegetazione: testimonianze indelebili di grandi imprese tecniche del passato. Oggi, il collegamento fluviale europeo tra il Reno e il Danubio è finalmente divenuto realtà. Con quattro imponenti sistemi di chiuse viene superato il dislivello dell’acqua. Regensburg

Le rovine del castello di Aggstein

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Lungo il bel Danubio Blu

Navi e chiatte che arrivano ad una lunghezza complessiva di 180 metri possono attraversare il canale trasportando una grande quantità di merci dal Mar Nero all’Atlantico e viceversa: osservare questi giganti silenziosi che scivolano lungo la valle dell’Altmuhl è uno spettacolo veramente suggestivo. Continuando lungo il fiume si attraversa la gola di Weltenburg: un paesaggio scavato profondamente nei millenni, tra luccicanti pareti rocciose, a strapiombo sulle acque del Danubio, in cui si riflette la più antica abbazia bavarese. Percorsi una trentina di chilometri ecco Regensburg (Ratisbona), la più antica città sul Danubio che qui confluisce col

Regen, aumentando notevolmente le sue dimensioni, tanto da permettere la navigazione di numerose navi traghetto. Qui si può sentire il respiro di due millenni: infatti questa città è una delle poche ad essere stata risparmiata dai bombardamenti della seconda Guerra Mondiale. A questo punto ci si trova nel cuore del famoso “tour del Barocco”, percorso che costeggia il Danubio lungo una pista ciclabile che tocca pittoresche cittadine, nelle quali, appunto, trionfa in tutta la sua magnificenza lo stile Barocco, come a Bogen, Pleiting, Vilshofen e Straubing. Ed ecco Passau, meglio nota come la città dei tre fiumi. Una città che non ha bisogno di pub-

blicità essendo da secoli un importante centro di commercio e di comunicazione tra l’Occidente e l’Oriente, tra il nord e il sud, nella quale il Danubio riceve le acque dell’Inn e dell’Ilz, che ne aumentano enormemente la portata. Imbarcandosi a Passau, si possono rivivere le emozioni provate dai pionieri che percorsero in vaporetto le acque del “bel Danubio blu” di straussiana memoria.. Ciò permette anche ai croceristi più esigenti di vivere esperienze uniche, assaporando l’atmosfera di paesaggi favolosi da una prospettiva diversa, comodamente sdraiati sui prendisole dei ponti panoramici, oppure a tavola confortati da menù fantasiosi o in poln° 2 - agosto/settembre 2011

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Bratislava notturna

trona allietati dalle buone musiche di Strauss, eseguite con magistrale virtuosismo dal solista di turno. Il “defilé di storia” che il paesaggio propone ininterrottamente lungo le rive del Danubio è costituito da un susseguirsi di immagini uniche che si imprimono nella memoria, per ripresentarsi all’occorrenza, durante le cupe giornate invernali. Lasciata Passau, il Danubio attraversa il ponte Krautelsteiner, che segna il confine tra l’Austria (che si trova sulla riva meridionale) e la Germania, su quella settentrionale: per altri 23 chilometri il fiume sembra esitare, in bilico tra i due Stati, prima di gettarsi definitivamente in territorio austriaco. All’altezza di Schlogen muta repentinamente il suo corso per compiere quasi un’inversione di marcia, prima di riprendere, dopo qualche meandro, il suo cammino verso sud-est, attraverso fertili terreni coltivati, che prendono il posto dei boschi selvaggi. Dopo un’ampia curva il Danubio entra a Linz, vivace capoluogo dello Stato Federale dell’Austria Superiore. Oltrepassato il suo bacino, il paesaggio rivierasco danubiano muta con sorprendente rapidità: da uno stadio di fervente operosità urbana ad uno bucolico e contemplativo, formato da immense distese di prati verdeggianti che ammantano le colline. Per un lungo tratto il fiume irriga la vasta spianata del Marchland, il cui panorama tranquillo e silenzioso, quando la vallata si restringe all’altezza dello Strudengau, torna ad essere più spettacolare e movimentato. In lontananza si intravede la luminosa abbazia di Melk, il capolavoro barocco del famoso architetto Jakob Prandtauer, che vi ha profuso grandiosità, dovizia e buon gusto. Qui comincia la regione di Wachau, dove in mezzo a rigogliose coltivazioni di pregiati vitigni, favoriti dalla protezione dei venti e dal rigido clima invernale che il paesaggio offre, spuntano qua e là numerosi paesini ricchi di preziose testimonianze del loro antico splendore.

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Lungo il bel Danubio Blu

Neuburg

Come Durnstein, famoso per aver ospitato niente meno che il re d’Inghilterra Riccardo ” Cuor di Leone” quando, al ritorno dalla Terza Crociata, fu tenuto prigioniero per più di un anno dal duca Leopoldo V di Babenberg, suo acerrimo nemico. Alla valle di Wachau fa seguito il bacino di Tulln che, dopo tante fortezze e monasteri, attira l’attenzione grazie al fascino delle pianure cosparse di stagni, sulle cui sponde si affacciano miriadi di salici piangenti. La corrente del Danubio si snoda, quindi, attraverso le cime collinose del “bosco viennese”, facendosi strada nel burrone tra la collina di Bisamberg e quella di Leopoldsberg, sulla cui cima sorgeva un tempo il castello di Leopoldo il Santo. In passato, nei dintorni di Vienna il Danubio formava una vasta distesa paludosa con banchi sabbiosi e isolotti, cambiava il proprio corso dopo ogni inondazione, minacciando costantemente la città con le sue piene: i lavori di regolamentazione delle acque furono portati a termine solo verso il 1875, raddrizzando l’alveo e creando un’isola lunga 22 chilometri, che è diventata una località ricreativa molto amata dai viennesi. La capitale austriaca occupa una posizione strategica nel punto di congiunzione tra le vie di comunicazione da est ad ovest e da nord a sud, grazie alla quale all’epoca degli antichi romani divenne un fondamentale centro politico, economico e culturale. Il cosmopolitismo viennese ha origini antichissime, ma fu solo a partire dall’avvento al trono degli Asburgo nel XIII° secolo che la città divenne la “Roma del Nord” protagonista della scena mondiale, fino alla dissoluzione dell’Impero AustroUngarico, alla fine della prima grande Guerra. Certo, oggi in rapporto alle piccole dimensioni dello Stato austriaco, Vienna risulta una capitale abnorme, uno sproporzionato gigante metropolitano che ospita più di un quarto della

popolazione nazionale. Dal punto di vista amministrativo costituisce addirittura una regione federata, il cui sindaco è al contempo anche Presidente. Contrariamente a molte altre metropoli, però, Vienna si è sviluppata in modo armonico: l’originario centro storico cittadino costituisce il primo distretto, mentre gli altri 22 si susseguono a spirale intorno al primo, seguendo una numerazione crescente. Dopo la vittoria definitiva sui Turchi, quando non ci fu più ragione di temere attacchi al di fuori delle mura, cominciarono a sorgere anche nella periferia dimore aristocratiche barocche e residenze patrizie che, col passare del tempo, giunsero a circondare persino la reggia di Schonbrunn, costruita a metà del ‘700, molto fuori della città. Nella seconda metà dell’Ottocento le mura di fortificazione che circondavano la città, proteggendola per secoli, furono abbattute per lasciare il posto al grandioso viale del Ring, che equivale al nostro raccordo. Oggi Vienna è come un’affascinante nobile signora, che accoglie con regalità chiunque la vada a trovare, il traffico scorre fluido tra le sue strade immense e gli austeri edifici, che la rendono veramente romantica. Sessanta chilometri fuori Vienna, il Danubio si tuffa sotto i

ponti della bellissima Bratislava, capitale della Slovacchia, nella quale per secoli e fino alla Grande Guerra hanno convissuto i popoli e le culture slovacche, austriache e ungheresi, le cui tracce sono ancora ben visibili nel delizioso centro storico. Più avanti, il Danubio incomincia a segnare il confine tra la Slovacchia e l’Ungheria per circa 140 chilometri, fino alla Porta Ungarica. Percorrendoli, il paesaggio torna ad essere montuoso e il fiume forma la stupenda corona naturale dell’Ansa del Danubio, lunga ben 65 chilometri, che si snodano attraverso una pittoresca vallata simile a quella di Wachau. Poco dopo, il fiume attraversa il primo degli otto storici ponti di Budapest, la capitale dell’Ungheria, meglio nota come “Regina del Danubio”, nata ufficialmente soltanto nel 1873 dall’unione delle secolari città di Buda, situata sulla sponda occidentale, e Pest situata su quella orientale, che fino alla costruzione del Ponte delle Catene erano collegate solo da traghetti, e nei periodi di acqua alta o ghiaccio alla deriva, erano completamente isolate. Questa arteria pulsante di vita, attraversa la città per quasi 11 chilometri, creando una sorta di gigantesca opera d’arte, incomparabile, grazie alle centinaia di edifici ispira-

ti allo stile Liberty, che vi si affacciano orgogliosi, con le loro facciate traboccanti di vetro, acciaio e ceramiche colorate. Superata Budapest, le movimentate acque del fiume vengono convogliate nell’immensa pianura della Puszta, che rappresenta circa la metà dell’intero territorio ungherese e si estende sino ai Carpazi, punteggiata di villaggi fondati da coloni tedeschi, quando i Turchi si ritirarono. Successivamente, il Danubio prosegue la sua corsa tortuosa per altri 1500 chilometri, attraversando la Croazia, la Serbia, il Montenegro, la Bulgaria e la Romania, per arrivare finalmente a destinazione, riversandosi nelle acque del Mar Nero, dopo essersi disperso in un immenso intrico di corsi d’acqua, acquitrini, stagni, paludi e isole galleggianti ricoperte di fango, erba e canneti, che ricoprono un’area selvaggia di più di 10.000 chilometri quadrati, inserita dall’UNESCO nella lista dei siti naturali, Patrimonio dell’Umanità. Quest’area selvaggia ospita più di 250 specie di uccelli, in una riserva inesauribile di biodiversità, che continua a crescere, allungandosi e penetrando nel Mar Nero di 50 metri l’anno, grazie ai depositi di limo e sabbia trasportati dal fiume. Dimostrando così che il Danubio è una creatura viva e in continua evoluzione. • n° 2 - agosto/settembre 2011

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Abitare

Un’oasi ecologica di lusso nel CUORE di SHANGHAI Testo di Pamela McCourt Francescone

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el primo albergo carbon-neutral della Cina il rispetto per l’ambiente non è un optional The URBN Hotel Shanghai è il primo di una nuova catena carbon-neutral e la prima struttura ricettiva totalmente ecologica della Cina. In questo albergo boutique il viaggiatore che rispetta l’ambiente ha la possibilità di vivere un’esperienza ecologica di lusso. Infatti, all’Urbn sono altissimi i livelli di comfort, design e stile, mentre l’energia risparmiata durante il soggiorno viene monitorata e neutralizzata attraverso investimenti nello sviluppo di energia verde: progetti per ridurre le emissioni di CO2, fattorie eoliche, e programmi per il recupero dei gas di scarto. E’ la scelta ideale per il viaggiatore attento a non lasciare un carbon footprint, quell’impatto che ogni

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Un’oasi ecologica di lusso nel cuore di Shanghai

nostra attività ha sull’ambiente in termini di gas-serra prodotti. E, fortunatamente, sono sempre di più i globetrotter che sentono l’esigenza di ridurre al minimo i danni prodotti dalle loro abitudini di viaggio. L’URBN è ubicato dietro una porta discreta sulla Jian Zhou Road, una strada trafficata nel quartiere centrale di Jingan, a due passi dal Nanjing road, la strada commerciale più frequentata di Shanghai, e vicino alla vecchia Concessione Francese. A Jing-an gli edifici sono bassi, ma basta alzare gli occhi per ricordarsi di essere nel cuore di Shanghai, attorniato dagli slanciati grattacieli futuristici di questa città frizzante. L’edificio a quattro piani è stato prima una fabbrica e poi un ufficio postale, e per il restauro sono stati usati esclu-

sivamente materiali di recupero come vecchie tegole e mattoni, legno di mogano e pietre da lastrico recuperati da case demolite. Massiccia la porta d’ingresso in legno rosso che dal cortile porta alla hall, dove centinaia di vecchie valigie stile Anni 20 creano uno sfondo d’epoca dietro il banco della Reception. Sono 23 le camere, e sono spaziose, da 37,5 a 48,5 mq., e in stile minimalista con vista sul cortile o sui giardini. Tutte dotate di Wifi e stazioni iPod, hanno pavimenti in parquet e salottini ad un livello più basso rispetto alla zona notte. Orientabile la TV a schermo piatto che può essere comodamente guardata dal grande letto basso o dai lunghissimi divani. I bagni sono dotati di cabina armadio e box

doccia, mentre le vasche da bagno in pietra massiccia si trovano accanto al letto king-size. Rigorosamente ecologici gli articoli da toilette, come tutti i prodotti utilizzati nell’albergo. Per i più romantici, la Garden Suite, dotata di un piccolo patio con Jacuzzi. Per le famiglie e per le migliori viste sulla città, le due Penthouse Suite con camino, tavolo per 6 e una scrivania nella zona giorno, mentre la camera da letto si trova al piano rialzato. Nell’URBN c’è il servizio in camera 24 ore su 24, ma pochi sanno resistere al richiamo del ristorante Downstairs dove sul menu di David Laris, celebrity chef australiano cresciuto in Grecia, l’enfasi è su prodotti organici e naturali, in linea con il concetto di sostenibilità dell’URBN. Calda ed accogliente l’atmosfera di

Downstairs mentre, nei mesi più caldi, i tavoli del ristorante occupano parte del cortile ombreggiato. I concierge, grandi esperti di Shanghai, possono fissare appuntamenti con uno dei pochi calzolai rimasti in città che ancora fa le scarpe a mano, organizzare visite a gallerie d’arte e a vecchi edifici in compagnia di guide esperte, prendere appuntamenti per corsi di cucina, Tai Chi, yoga e mandarino. Per gli ospiti, anche la possibilità di prenotare massaggi, trattamenti di bellezza e di agopuntura in camera. E, prima di uscire per scoprire questa caotica e affascinante città, da uno dei concierge ogni ospite riceve un bigliettino che riporta il nome dell’URBN in mandarino….. a Shanghai sono pochissimi i tassisti che parlano l’inglese! • n° 2 - agosto/settembre 2011

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oltre l’immaginazione

La Svizzera JUNGFRAU RAILWAY - Jungfraubahnen

l viaggio in treno rappresenta sempre una esperienza molto più ricca, articolata e pregnante che non quella di un rapido trasporto in aereo verso la meta prefissata. E questo si verifica non solo perché l’avvicinamento alla meta é graduale e prepara al godimento dei futuri paesaggi, ma anche perché apre orizzonti sempre nuovi, ad ogni curva intrapresa dalla lunga fila dei vagoni che conquistano, palmo dopo palmo, prati, colline, laghi, fiumi, castelli e centri abitati. E’ così che il viaggio in treno ha una grande forza di penetrazione nei territori visitati, ed é molto accattivante, perchè fa sì che il viaggiatore ravvivi, ad ogni rapida immagine che gli appare dai finestrini, il desiderio di calcare quella terra e calpestare quei sentieri che la velocità del treno permette comunque almeno di intuire fra gli

alberi, i boschi i monti e i fiumi, che scivolano via, aprendo scorci sempre nuovi. Si tratta quindi di un “viaggio slow”, che in Svizzera particolarmente si offre lungo alcune linee ferroviarie panoramiche di montagna”, dal Bernina Express, al Gleder Express, dallo Jungfraubahn al Golden-Pass Line. Il grande fascino di un tale tipo di viaggio ha stimolato poeti e scrittori come due autori appassionati, quali Paolo Gianfelici ed Elvira Ippoliti con “Svizzera in treno” (IBN Ed. Collana Terre d’Europa). E come ha avuto modo di affermare Paolo Gianfelici: “Osservare la Svizzera dai finestrini di un treno é come guardare in una sfera di cristallo in cui si addensa un concentrato di natura”. Ecco scaturire così, dalle descrizioni letterarie, le visioni che si possono avere della rigogliosa Natura della Svizzera: i boschi, le ca-

Testo di Luisa Chiumenti scate e i ruscelli, i prati con le mucche al pascolo, per non parlare dei graziosi chalet e delle piccole, affascinanti stazioncine. La Svizzera infatti é un Paese in cui la Natura è protagonista, con i suoi parchi naturali (vi nacque il primo Parco Nazionale d’Europa nel Canton dei Grigioni) e i paesaggi mozzafiato, dove la Natura incontra la bellezza e dove la gente comune é assolutamente partecipe e nell’arco di 15 km in ogni luogo ad esempio, non si può non incontrarsi con le acque di un lago, attorno al quale si creano soste piacevolissime, ma anche con elementi utili alla tecnologia, come é il caso di un albergo di Saint Moritz che é riuscito ad utilizzare le acque del lago per il proprio riscaldamento! n° 2 - agosto/settembre 2011

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RHAETIAN RAILWAY - Franziska Pfenniger

SCHYNIGE PLATTE - Jungfraubahnen

E spesso avviene che si crei una vera e propria simbiosi tra i passeggeri ed il treno, che si pone in certo modo, “a servizio dell’uomo”, su varie “lunghezze d’onda”, nel senso che la rete ferroviaria é organizzata in modo tale che il viaggio si può iniziare con il treno veloce, ma a fine corsa si può scendere e trovare il treno panoramico più lento e ancora da questo, scendendo, si può trovare pronto un battello e magari, sull’altra sponda del lago, una cremagliera o una funivia per salire in alta quota: tutto con un solo biglietto, “Swiss-pass”, valido per 3, 4, 5 giorni su tutti i mezzi pubblici. E del resto la Svizzera, fin dalla fine dell’800 e i primi del ‘900, ha creduto fortemente nella linee ferroviarie, realizzate peraltro quasi sempre con grande afflusso di mano d’opera italiana. Tra i diversi tragitti in treno é forse uno dei più affascinanti quello effettuato dal Bernina Express, Chur-Tirano, la ferrovia panoramica in 145 km, che da Tirano appunto (o anche da Lugano, dopo breve tragitto in pullman) porta i suoi passeggeri fino a St. Moritz. Il treno appartiene alla cosiddetta “Ferrovia retica”, la compagnia ferroviaria che

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La Svizzera vista dal treno

gestisce fra l’altro anche le ferrovie a scartamento ridotto (in genere adattabili a ferrovie di tipo turistico o di breve percorso). Durante il viaggio i passeggeri continuano a ricevere informazioni sul percorso, quale il sopraggiungere del famoso, impressionante viadotto scavato nella pietra grezza, circondato da un selvaggio paesaggio montano dominato da alti abeti e da scoscesi pendii rocciosi. E’ su tale viadotto che si staglia infatti la successione dei vagoni del trenino rosso, il Bernina-Express che corre nel suo viaggio dai Grigioni fino alla Valtellina. I bellissimi vagoni, basati su una struttura moderna e forte, con il loro colore rosso fiammante, solcano i paesaggi verdeggianti che attraversano e che appaiono nitidi, incorniciati dai finestrini panoramici. Il percorso lascia davvero senza parole, tanta la bellezza a cui si viene gradualmente introdotti, a cominciare proprio dal Passo della Bernina, il valico alpino ad oltre 2000 metri s.l.m., da cui si può ammirare il monte Bernina e i ghiacciai delle Alpi Retiche. Subito dopo la frontiera italo-svizzera, non lontano da Brusio, ecco il famoso viadotto elicoidale,

BERNINA EXPRESS - Peter Donatsch

su cui corre il treno per dirigersi poi verso i freschi laghi della regione, quale il lago di Poschiavo e poi inoltrarsi verso i graziosi paesini dell’entroterra, come Le Prese o Poschiavo stesso, continuando ad attraversare, per l’emozione dei passeggeri, gallerie e ponti mozzafiato con arditi tornanti. Comincia poi il tratto in discesa, sempre ricco di forti suggestioni: dai famosi laghi come il lago Bianco, il lago Nero e il lago Piccolo, che il treno costeggia, fino alle valli del Bernina e del Diavolezza, attraverso la stazione di Morterasch da cui si apre la vista dei famosi ghiacciai e della suggestiva cima del Biancograt, verso le grandi stazioni sciistiche della Svizzera. Definito il più bel collegamento fra il freddo

del Nord e il calore del Sud, Il BerninaExpress, che attraversa 55 gallerie e 196 ponti, affrontando pendenze fino al 70 per mille senza ricorrere alla trazione a cremagliera e che “rapisce” letteralmente i viaggiatori in partenza da Coira, la più antica città della Svizzera dai Grigioni fino alla Valtellina, é stato incluso dall’Unesco, nel 2008, nella sua tratta fra Thusis (Tosanna) e Tirano nel patrimonio mondiale (al terzo posto tra le tratte ferroviarie mondiali). Si tratta di una vera e propria “meraviglia di ingegneria ferroviaria” e gli appassionati di ferrovie sostengono che la strada dell’Albula tra Coira e St. Moritz è il percorso di montagna più suggestivo del mondo e vanno in estasi per il viadotto Landwasser, cur-

va con coraggio. Ma questo è solo l’inizio: sul suo percorso, il Bernina Express passa dal gigantesco ghiacciaio del Morteratsch, si arrampica senza l’ausilio di ruote dentate attraversa passo più alto d’Europa ferroviaria alpina, i 2.253 metri di altezza del Bernina, e si snoda fino a Poschiavo. I passeggeri che viaggiano a Tirano subirà un ulteriore esclusività a Brusio: un tunnel elicoidale esposto. La “Kleine Rote” (piccolo rosso) è il cuore della Albula/Bernina Patrimonio mondiale dell’UNESCO, che include anche il paesaggio circostante culturale con i suoi borghi incontaminati, paesaggi romantici e robusto-Alpi primordiale.• www.myswitzerland.com

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Ego

CAVALIERI GRAND SPA CLUB Testo di Viviana Tessa

usso nel lusso, la Spa del Rome Cavalieri
Waldorf Astoria
Hotels & Resorts, è uno spicchio di Paradiso. Una chicca raffinatissima in un albergo come il Rome Cavalieri, uno dei più ricercati Cinque Stelle Lusso della Città Eterna, che non ha eguali per ricchezza di contenuti. E qui per ricchezza s’intende anche il valore intrinseco degli arredi antichi, degli arazzi, degli orologi francesi, dei bronzi Impero, dei vasi di Emile Gallé e, non ultima, forse della più pregevole collezione di dipinti esposti in un hotel che annovera ben tre opere di Gianbattista Tiepolo di grandi dimensioni, già nella Hall, quasi a dire all’ospite che viene accolto come in un’elegante dimora privata. Duemiladuecento metriquadri dedicati al fitness, estesi in parte in un affascinante parco

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CAVALIERI GRAND SPA CLUB A magical island in the heart of Rome Words by Viviana Tessa Luxury within luxury, the spa in the Rome Cavalieri
Waldorf Astoria
Hotels & Resorts is a corner of paradise. An über chic delight in an hotel like the Rome Cavalieri, one of the most prestigious luxury five-stars in the Eternal City, unparalleled for its abundance of refinements. And by refinements we mean the intrinsic value of the heritage furnishings, the tapestries, the French clocks, the Imperial bronzes, the Gallé vases and the valuable collection of paintings, which include three large masterpieces by Gianbattista Tiepolo in the hall

CAVALIERI GRAND SPA CLUB, un’isola magica nel cuore di Roma - CAVALIERI GRAND SPA CLUB , a magical island in the heart of Rome

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Ego dove la vegetazione mediterranea sottolinea percorsi benessere cadenzati da attrezzature ginniche e protegge la discrezione di due campi da tennis e tre piscine. All’interno, il Cavalieri Grand Spa Club sorprende con una curatissima quanto sontuosa Area Beauty. Una palestra multipla con attrezzature all’avanguardia Technogym, macchinari “Personal Luxury Selection”, macchine vascolari “Visioweb” e l’assistenza di Personal Trainer, se richiesta. Dieci sale per i numerosi trattamenti estetici proposti, dai più tradizionali come i massaggi dall’Ayurvedico allo Shiatzu,

which greet guests with the elegance one associates with a charming and refined private residence. Two thousand two hundred square metres for fitness, both in the splendid gardens where wellness trails and work-out equipment are scattered through the Mediterranean vegetation, and with two tennis courts and three swimming pools. But also in the Cavalieri Grand Spa Club, a sumptuous and elegant beauty area with a large gym with Technogym equipment, Personal Luxury Selection machines, vascular Visioweb equipment and personal trainers. There are ten rooms for treatments

dal Linfodrenaggio Estetico alla Riflessologia Plantare, per arrivare a vere raffinatezze in tono con l’ambiente e la frequentazione dell’Hotel. Il Caviar Firming Treatment, per esempio, un massaggio per rassodare e ammorbidire la pelle del viso effettuato con “perle di caviale”. Stesso prezioso trattamento anche per il corpo. Oppure il Platinum Rare Treatment, frutto degli studi anti-invecchiamento di La Prairie, una coccola per tutto il corpo con infusioni di platino puro per riequilibrare la pelle e donare un senso di benessere generale. E qui, in questa lussuosa Spa, il benessere psicofisico è assicurato anche dall’atmosfera che circonda l’ospite.

that go from traditional Ayurvedic and Shiatzu massages to lymph-draining massages and reflexology, but also a series of refined treatments that reflect the environment and the hotel’s clientele. One example is the Caviar Firming Treatment, a massage that tones and softens the skin on the face using caviar pearls. And the same sophisticated pearls can also be applied to the body. Or the Platinum Rare Treatment, based on La Prarie’s anti-ageing research, and perfect pampering for the body that uses an infusion of pure platinum to balance the skin and boost an overall feeling of wellness. But this luxurious spa ensures the maximum levels of psychophysical wellness also thanks to its unique ambience which


Ego

C.Boat 27-82 Classic

Dovunque, ma soprattutto in quella che è considerata il simbolo prestigioso della Spa, la piscina interna. Una grandiosa cupola di vetro la sovrasta accendendo l’acqua con raggi di luce, la veranda a giorno che apre la vista sul parco moltiplica gli spazi. L’acqua a cascata, la vasca idromassaggio, il percorso calidarium e frigidarium, il “cammino giapponese” fanno di questa piscina una perfetta fonte di salute per il corpo, ma lo spirito si alimenta ai bagliori del fuoco di un enorme camino a legna che d’inverno conferma che questo è sì uno spicchio di Paradiso.•

is reflected throughout the spa, but nowhere more so in its most prestigious symbol, the indoor pool which has a large glass dome that reflects rays of light onto the water. The veranda, with large windows looking out on the gardens, further multiplies the sensation of space. The waterfall, the Jacuzzi, the calidarium e frigidarium, and the Japanese Walk all make this swimming pool a perfect source of health for the body, while the spirit is nourished by the leaping flames from a huge wood fire which, in winter, accentuates the persuasion that this is indeed a corner of paradise.•

Rome Cavalieri
Waldorf Astoria
Hotels & Resorts Via Alberto Cadlolo, 101-
00136 Rome
Italy
 - Tel: 0635091
Fax: 0635092241 www.romecavalieri.com - waldorfastoria.com

apere veramente “di che materia sono fatti i sogni”, per dirla con Shakespeare, potrebbe voler dire visitare uno yacht, o, meglio ancora, acquistarlo! Spesso è un vero capolavoro architettonico sull’acqua, frutto di un lavoro di ricerca che porta ad armonizzarlo più alle leggi del mare che ai capricci delle mode. E’ per questo che il profilo esterno, pur nell’eleganza delle sue linee innovative, trasmette subito una sensazione di grande solidità. E dallo styling dello scafo, imponente e pulito, lo sguardo passa senza interruzione di continuità al décor degli interni. Qui, il lusso non è, come qualcuno può immaginare, ostentazione, ridondanza formale, sovrapposizione decorativa. La ricchezza d’interno, quella che dà, immediata, una forte sensazione di sontuosità, nasce proprio da un progetto di esplicita limpidezza ed essenzialità. L’uso di materiali innovativi e di tecnologie raffinate, mescolati ad elementi più tradizionali, costituisce, insieme all’ideazione di ogni minimo dettaglio, il fascino discreto ma penetrante di uno yacht la cui atmosfera è fatta di linee precise e senza fronzoli. L’effetto finale dell’interior design dipende da ogni particolare e la ricerca progettuale è un percorso che tende a raggiungere l’idea della completezza: l’armonia di tutti gli elementi, funzionali ed estetici, dal più grande al più piccolo. Del resto, l’amore per il dettaglio, come diceva F.L. Wright, non è fine a se stesso: la sua precisione è un aspetto necessario alla continuità tra forma esterna e spazio interno. Niente di più vero nel caso di uno yacht, in cui l’attenzione per la singola minuzia, è anche rispetto per la globalità del design : gli interni, funzionali e ben rifiniti, si integrano perfettamente

Testo di Valentino De Pietro

LIFE ON A YACHT Words by Valentino De Pietro To really know “such stuff that dreams are made of,” to quote Shakespeare, might just mean visiting, or even better, buying a yacht! Very often yachts are floating architectonic masterpieces, the result of long hours of research and design aimed at harmonizing these elegant craft more to the rules of the sea than to the whims of fashion. And this is why the external contour, with its elegant and innovative lines, immediately conveys a feeling of great solidity. From the striking and trim exterior, the eye is inexorably drawn inside to the interior decor. The interior is luxurious but not, as some might think, ostentatious, formal, flashy or pretentious. What makes it sumptuous are the simple and essential lines. Innovative materials and refined hi-tech blend with more traditional elements, and of course there is great attention to detail, resulting in the discreet but striking fascination of the yacht: an ambience where fuss and gimmicks are eschewed in favour of clean, simple, lines. The final effect of the interior design depends on the details and, of course, on the design, but the aim is to realise a perfect whole and harmonize the different functional and aesthetic elements, from the largest to the smallest of them. To quote Frank Lloyd Wright, a love for detail is not an end unto itself, but something essential for the continuity between the n° 2 - agosto/settembre 2011

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C.Boat 27-82 Classic

C.Boat 27-82 Classic

con la struttura a vista dello scafo. Per qualche verso lo yacht, specie nello skylounge, può essere considerato un loft, con spazi fluidi e aperti, senza divisioni, capaci di trasformarsi con facilità seguendo le volubilità stilistiche o, più semplicemente, i cambiamenti di esigenze o di gusto personali. Spazi dove le diverse funzioni si integrano e gli interventi progettuali, leggeri e incisivi, creano personalità e prestigio rispettando e valorizzando le geometrie strutturali. Ecco il segreto del design più innovativo. L’importanza del progetto per uno yacht è il suo grado di flessibilità: è ottimale se di volta in volta sarà in grado di adattarsi senza difficoltà a diversi allestimenti e soluzioni ambientali, ma anche se il nuovo modo di pensare lo spazio si conformerà a quell’interno. Complementi d’arredo in legno, perspex, metallo o pelle, possono, tanto per fare un esempio, essere agganciati a un sistema di telai in acciaio appesi alla parete con speciali giunti antivibrazioni, permettendo così di creare un sistema elastico, trasformabile nel tempo e facilmente adattabile a ogni cambiamento di esigenze. Tavoli, divani e contenitori scorrevoli, poi, consentono di modificare continuamente gli spazi assecondando le necessità del momento: solo zona living, solo dining-room, oppure entrambe. La funzionalità degli elementi passa anche attraverso i materiali che, il più delle volte, sono familiari e caldi come può es-

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Vita da YACHT - Life on a YACHT

external form and the interior space. And never is this truer than when it comes to yachts, where the attention to the most trivial detail means respect for the overall design. A functional and well-finished interior complements both the structure and the aesthetics of the craft. In some ways a yacht, especially in the skylounge, can be considered a kind of loft with fluid open spaces and no divisions that can be transformed according to the style required or, more simply, to changing needs and personal tastes. Spaces in which the different functions blend, and the incisive interventions of the designers give the interior its personality and prestige by respecting and enhancing the geometrical lines. This is the secret of the most innovative kind of design. The importance of yacht design is its degree of flexibility, and can be said to be optimal if it lends itself to being easily adapted to different layouts and environmental solutions, but also if the innovative way space is conceived complies with the interior. For example the use of accessories in wood, Perspex, metal and leather that can be fastened to a steel system fixed to the wall with special anti-vibration hooks, makes it possible to create a flexible system that can be easily adapted to any kind of requirement. Sliding tables, couches and containers make it easy to change the interior at will, turning it into a living room or an eating area, or a mixture

serlo il legno. Il legno, per tradizione legato al sea-style, malleabile al punto da lavorarlo a contatto con l’idea, è la migliore soluzione, dall’ossatura fino al dettaglio, di ogni esigenza e di ogni gusto. Del resto, entrare nei segreti del legno, restituisce la tradizione dei maestri d’ascia, dell’artigianato, dell’alta qualità. Tuttavia, l’utilizzo di materiali consueti non esclude affatto, nel progetto di uno yacht, l’uso raffinato della tecnologia. Nuovi linguaggi, metodologie e materiali innovativi, possono essere la chiave per stimolare la creatività di chi progetta e per adeguarsi a ogni tipo di richiesta. E consentono di avere a disposizione numerose soluzioni da un punto di vista non solo realizzativo, ma anche economico. Piccoli touch screen che controllano aria condizionata, luci e video, sostituendo gli interruttori tradizionali; maxi schermo video satellitare; avveniristici impianti centralizzati hi-fi; marchingegni professionali ed elettrodomestici all’avanguardia per la cucina; vasche per idromassaggio e quant’altro. La tecnologia, unita a un’ idea di lusso come la preziosità dei materiali e la raffinatezza del lavoro artigianale, evidenzia l’attenzione alle qualità percettive dell’ambiente. E a un’atmosfera singolare, generata anche dall’effetto-luce. Sole a parte, la luce all’interno di uno yacht non è mai invadente, ma modulata, capace di disegnare ed esaltare gli spazi. Una serie di lampade fluorescenti incassate un una fascia metallica del controsoffitto, per l’illuminazione generale; un sistema di piccoli prismi in perspex dotati di fibre ottiche, per risolvere il problema della luce specifica; spot alogeni, orientabili di volta in volta su piccole zone. Sono tra le soluzioni più felici per la diffusione di una luce che, così come le geometrie degli spazi, rappresenta una precisa componente dell’arredo e che esalta, se nata dal design di un sapiente architetto, i mobili di pregio, le sete e i tessuti prezio-

of both. The functionality of the elements also depends on the materials which, more often than not, are familiar and warm. Wood is a common choice, an important part of the traditional sea-style, and can be used for many solutions, from the frame to smaller details, as wood responds to a wide range of tastes and needs. And then wood brings us into that magical world of woodcutters and high-end artisans. However the use of traditional materials does not in any way exclude the refined use of hi-tech materials. New styles, methods and innovative materials can be the key that stimulates the creativity of the designers and reply to many requirements. They also make it possible to call on a wide range of solutions from a practical and economic standpoint. Miniature touch screens control the air conditioning, the lights and the video, in the place of traditional switches. There are maxi screens for satellite TV, futuristic centralized hi-fi systems, state-of-the-art electrical appliances and contraptions for the galley, Jacuzzis and a myriad of sophisticated accessories. The idea of hi-tech married to luxury, as in the use of precious materials and refined craftsmanship, underlines the perceptive quality of the environment. And then there are the lighting effects. With the exception of sunlight, on a yacht the lighting is always unobtrusive and helps to define and enhance the different areas. A series of fluorescent bulbs can be set into a metal strip on a false ceiling for the overall lighting, a system of small fiber optics Perspex prisms adopted to solve the problem of soft lighting, and then swivel halogen spotlights for the smaller areas. These are just some of the best lighting solutions, and they complement the different areas as well as being important accessories if they are designer pieces, in which case they enhance the elegant furniture, the silks and precious materials on the armchairs n° 2 - agosto/settembre 2011

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FIART MARE 4SEVEN-genius

si di poltrone e pareti. Una luce che, in certi ambienti come la cucina, scivola sulle superfici in legno laccato e sui piani di lavoro ammorbidendo l’ambiente. La cucina. Nei progetti d’architettura navale, da una parte c’è il minimalismo che la vede come spazio-laboratorio di purezza geometrica dove la preziosità e lo stile sono affidati all’uso di materiali rari e costosi; dall’altra, la visione della cucina intesa come crogiolo di piaceri irrinunciabili anche in alto mare. Tuttavia, nella cucina di bordo, generalmente si assommano con audace armonia tutti gli stili: funzionale, sobrio, tradizionale e avveniristico. Non c’è dubbio. Chi possiede uno yacht ha una forma mentis particolarmente avvezza al lusso confortevole dove non c’è spazio per i desideri inappagabili. Complici il funzionalismo architettonico e la tecnologia, la vita da yacht può offrire chicche straordinarie. Ecco il flying bridge trasformarsi in zona relax con vasca per l’idromassaggio, palestra con attrezzi professionali e bagno turco. Nello skylounge, invece, ci si può ritagliare un angolo d’intimità, con poltrona, libreria e persino un caminetto che dà calore, in tutti i sensi, ad eccitanti crociere invernali.•

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Vita da YACHT - Life on a YACHT

and walls. And, in certain areas, like the galley, the lighting glows on lacquered wooden and working surfaces creating a lovely soft ambience. The galley. In naval design there is, on the one hand, a minimalism which envisages the galley as a kind of laboratory space with pure geometrical lines, where style and preciousness depend on the rare and costly materials used and, on the other hand, the vision of the galley as a cradle of pleasures that can not be renounced, not even on the high seas. Actually, most galleys are an audacious mix of styles: functional, sober, traditional and futuristic. And of one thing there is no doubt. Yacht owners have a propensity for comfortable luxury and rarely deprive themselves of it, and today thanks to architectonic functionalism and high-tech, life on board a yacht can offer occasions for sophisticated solutions. Like the flying bridge which can be turned into a relaxation area with a Jacuzzi, a gym with professional equipment and a Turkish bath. And the skylounge which can be turned into an intimate corner with armchairs, bookshelves and even a fireplace that not only heats the lounge, but also the senses, on chilly winter cruises.•


PISCINE D’Autore Testo di Gabriella Di Cianni

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Piscine d’Autore

Avverinistica, essenziale, classica, country, a sfioro, coperta. La piscina è un progetto che va oltre la semplice costruzione di una vasca per rilassarsi, è un elemento che può esprimere la cultura e il gusto personali. E per progettare il proprio azzurro, la figura dell’architetto è determinante. A lui il compito di modellare la nostra idea sognata, in una piscina di prestigio, affidabile e ben armonizzata con l’ambiente. Tutto può giocare sul filo di un delicato equilibrio, o, al contrario, su un contrasto audace e di rottura. In ogni caso, difficil-

mente ci si ferma alle soluzioni più scontate, e la voglia d’ inseguire la versatilità della natura e le sue infinite forme non può non influenzare chi le piscine deve pensarle, progettarle, realizzarle. E dalla materializzazione dell’idea nascono piscine oblunghe, rotonde e persino fuori dalle righe, tese a inseguire i volumi della casa e del giardino. Piscine su più livelli, sagome futuriste. Affacciate sul mare con sfioro panoramico che taglia il cielo, disegnate da un perimetro di siepe o di sassi, piscine en plein air o dentro le quattro mura o allungate

tra giardino e salotto. Ecco i materiali confondersi con la natura per creare un’ armonia discreta e le essenze arboree scelte per tutelare la privacy, per offrire lo sfondo più suggestivo, per plasmare giochi di luci e ombre. Ma niente raggiunge l’effetto scenografico spettacolare delle vasche con il bordo a sfioro. L’affaccio sul mare, poi, ne raddoppia l’emozione. L’idea è quella di una piscina senza confini, a un tratto sospesa nel nulla, dove i blu del cielo e del mare si fondono. E’ questa la grande sorpresa architettonica degli ultimi anni che, così giurano i costruttori, ha moltiplicato la voglia di piscine. La tecnica di costruzione a sfioro, raffinatissima ed estremamente cretiva, elimina il bordo in un buon tratto del profilo della piscina, amplificando la suggestione della natura in cui si compenetra e ne diventa parte integrante. Il sistema è affidato a sonde che gestiscono il livello dell’acqua nella vasca velocizzandone il ricambio e la filtrazione al crescere del volume tracimato nelle tubazioni di differente sezione; in egregia sostituzione del tradizionale impianto di depurazione che si avvale degli skimmer. E’ un quadro elettrico computerizzato che dirige i comandi per un corretto funzionamento dell’insieme. Se da una parte, dunque, il sistema a sfioro consente l’eliminazione della vasca di compenso o di recupero, Il bordo sfioratore in acciaio o cemento armato offre il suggestivo effetto estetico della massa d’acqua “sospesa” nel vuoto. Va da sé che la realizzazione di un progetto del genere è considerata di nicchia. Altrettanto elitaria sembra essere la piscina coperta. Spesso vista come un vero e proprio tempio

al fitness, per mantenersi in forma tutto l’anno, la piscina interna, per i costi connessi, è un lusso per pochi. Ma l’arricchimento architettonico è impagabile. I progetti più elaborati insinuano i contorni della piscina tra le strutture della villa e quelle del patio o del giardino, creando un incisivo gioco di pieni e di vuoti. Coperta ma non troppo anche la vasca costruita in un salone con archi che lo collegano al giardino, oppure con una parete tutta vetri per sfruttare l’energia solare che scalda il pavimento e l’acqua della vasca e per proiettare il paesaggio all’interno. Tra le piscine eclatanti spicca certamente quella installata sul terrazzo. Il sogno dell’azzurro privato può diventare infatti realtà persino per chi abita un appartamento in un palazzo cittadino. Su un attico, sempre che le strutture lo consentano, è possibile costruire una piscina, persino con giardino e barbecue. Ovviamente, i materiali scelti dovranno essere leggeri, come il Pvc che sostituirà le tradizionali piastrelle per il rivestimento della vasca. Vezzi a parte, la piscina da esterno può essere modellata con la classica colata in cemento armato, che permette la realizzazione anche dei progetti più complessi e bizzarri. Ma la sua struttura può essere costituita da doghe in alluminio estruso, che assicurano durata e versatilità di impiego tali da consentire la realizzazione di vasche di ogni forma e dimensione, oppure da legno o vetroresina. La piscina, fonte indiscussa di relax e sport, può giocare un grande ruolo nel fitness, se attrezzata di impagabili accessori. Bocchette che generano un flusso d’acqua arricchito da una certa ossigenazione, consentono di effettuare un n° 2 - agosto/settembre 2011

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salutare idromassaggio a cui, spazio permettendo, può essere dedicata una piccola vasca a parte, in comunicazione con la piscina. Inoltre, è possibile installare il dispositivo per il nuoto controcorrente, che recentemente ha contato molti estimatori. Due accorgimenti che fanno la differenza. Di qualche importanza anche estetica è il trampolino, che non deve essere trascurato dai disegni dell’architetto. Quello di maggior impatto formale ha il piede in cemento e l’asse in Dublas elastico, montato su supporti di gomma.

ca d’insieme e in genere viene costruito con materiali che si armonizzino alla natura circostante. La pietra, specie se di estrazione locale, occupa un posto importante in questo spazio. Blocchi di pietra assemblati l’uno all’altro, in modo irregolare, possono formare un grezzo mosaico di bell’effetto. Per una piscina di campagna l’ideale è il cotto, adeguatamente trattato. Il legno dà un tono caldo e raffinato all’ambiente, ottimi quelli africani e soprattutto il tek. Un buon impatto estetico lo dà anche il contrasto di texture dei materiali, come tra il granito grezzo, dal gusto quasi primi-

alla piscina. Domina il tek per i mobili più classici che arredano, d’accordo con il gusto inglese, la spiaggia e il giardino attorno alla piscina. Resistente e piacevole, il tek, che all’aperto assume un’elegante sfumatura argentata, è usato per chaises loungues, lettini e tavolini bassi. Oppure vimini e canne di bambù e molto ferro battuto, per sedie e tavoli con il piano in pietra,

RIFLESSI SULL’ACQUA Un gioco di luci sapienti ha il potere di trasformare lo spazio-piscina e l’ambiente circostante in un’immagine di alta scenografia. Grazie infatti a un progetto mirato di illuminazione, la superficie trasparente dell’acqua della piscina può acquistare, tonalità e vibrazioni inconsuete e magiche. L’acqua, al pari di uno specchio, ha

tazione logistica delle fonti luminose: l’effetto cambia a seconda di come sono orientati i fasci luminosi che investono la superficie. I faretti sono in genere disposti sui lati lunghi della vasca (anche per non abbagliare chi nuota). La luce è dunque in grado di creare atmosfere particolari e di plasmare l’ambiente, ma molto dipende dal sistema adottato: quello alimen-

EOS EMOTION POOL

UNA VASCA DA ARREDARE Decorare la piscina è un compito che viene affidato alle piastrelle, nelle sue infinite varietà. Ma l’effetto spettacolare è sempre assicurato con le tessere di mosaico. Il dilemma estetico si riflette anche nel costo finale della piscina. Il mosaico dona alle piscine un tocco di raffinatezza e permette di personalizzare anche una vasca di forma semplice: si possono creare cornici sulle pareti, disegni sul fondo e ogni soluzione decorativa che la nostra mente riesca a immaginare. Il rivestimento non si ferma alla sola vasca, anche il bordo ha un’importanza fondamentale nell’esteti-

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Piscine d’Autore

tivo, e l’estrema delicatezza del mosaico. Al rivestimento e al bordo della piscina, va raccordata anche la cosiddetta spiaggia, cioè la zona-living attorno alla vasca dove sono le sdraio, gli ombrelloni, il solarium e a volte un piccolo bar, magari con lo spazio attrezzato per il convivio. Il pavimento della spiaggia può anche non coincidere con il bordo. La fantasia del progettista vede piscine con il bordo in marmo trattato con tecniche antiche, cioè bocciardato o fiammato, e con la spiaggia in cotto artigianle oppure in pietra o addirittura seminata a prato. Fogge, materie e colori: tutto contribuisce a creare un ambiente naturale o sofisticato intorno

magari arricchito da mosaici o maioliche. Una chicca: riprendere sul tavolo il motivo ornamentale della pavimentazione. Anche quando è sistemata in prossimità della piscina, la zona pranzo è spesso inserita all’interno di un padiglione o gazebo che ne sottolinea la funzione e la tiene separata dal giardino. Può avere forma tradizionale, a chiosco, o aerodinamica, con ali di tela svettanti verso il cielo.

la duttile prerogativa di essere illuminata e di illuminare, esaltandolo, l’ambiente d’intorno. Un impianto subacqueo, per esempio, può far “scomparire” l’acqua e trasformare rivestimenti e mosaici del fondo piscina in superfici rutilanti; fari e spot esterni, invece, trasformano l’acqua in uno schermo riflettente. Ovviamente per ottenere la reazione voluta dall’acqua è necessaria una proget-

tato elettricamente o quello a fibre ottiche, i quali rispondono in modo diverso a richieste di tipo estetico e tecnico. Il sistema a fibre ottiche, la più interessante acquisizione della tecnica, offre sicurezza totale, ridotta manutenzione e possibilità di ottenere variazioni cromatiche programmabili della luce emessa. Se ne trova del tipo con faretto a luce puntiforme, perfettamente diffondente, e del tipo n° 2 - agosto/settembre 2011

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a tutta luce che si presenta come un tubo luminoso flessibile, utilizzato per seguire qualsiasi profilo. Le fibre ottiche consentono di ottenere atmosfere ricercate e spettacolari, grazie anche alla versatilità d’impiego che consente di giocare con contorni e superfici.•

LE FOTO RAPPRESENTANO PISCINE PROGETTATE E REALIZZATE DA EOS PISCINE PAVIA Le piscine Emotion Pool sono esemplari unici realizzati da Eos su progetto specifico e non replicate. Eos Piscine Sede: Via Ponzio 43 - PAVIA Tel: +39 0382 465918 Fax: +39 0382 573186 www.eospiscine.it eos.pavia@gmail.com Eos è anche su Facebook

EOS EMOTION POOL


Applausi

Volterra AD 1398

Oltre il tempo, oltre le mura Testo e foto di Giuseppe Garbarino

C

’è una pingue città di origine etrusca adagiata su quel crinale modellato da un vento che soffia intermittente; quel Volterrano, come lo chiamano a Poggibonsi, ma altri non è se non il Libeccio. Quella di Volterra è una sonnolenta e ritmata esistenza scandita dai tramonti che hanno reso famosa una statuetta in bronzo, l’Ombra della Sera, famosa in tutto il mondo e conservata nel locale Museo Guarnacci. E’ un luogo dove agli inverni di ovattato silenzio si contrappongono estati che cercano un riscatto dalla tranquilla monotonia, inventandosi iniziative e vitalità, come per questa “Volterra AD 1398”, un evento alla sua XIV edizione e che avrà il suo culmine nella “Giornata di Festa nell’Anno Domini 1398” che si svolgerà dall’alba al tramonto il 21 e il 28 Agosto 2011. Ci accoglie quell’arco che da oltre duemila anni sfida ogni sera l’ultimo raggio di sole, un manufatto che permette l’ingresso nell’antica città toccando con lo sguardo i tre distinti periodi storici che hanno caratterizzato il luogo: etrusco, romano e medievale. Le strade si trasformano in quel festoso microcosmo storico che era il medioevo di una fiorente cittadina, dove l’eterno rito del dare e dell’avere si svolgeva davanti alle mute e seco-

lari pietre degli antichi palazzi. Oggi come un tempo si vende il sale delle

sue miniere, ma l’offerta del turista per quel sacchetto di salgemma con


Applausi

impresso il sigillo volterrano è ben poca cosa per il valore che aveva quasi mille anni fa. Dietro ogni angolo è una sorpresa; i costumi di canapa e cotone grezzo si mescolano con quelli più raffinati di chi vuole essere dama, nobile, alto prelato, mentre gruppi di cavalieri percorrono le vie in corteo per raggiungere i luoghi deputati alle prove con le armi bianche. A tutti è concessa la possibilità di vestirsi con gli abiti del tempo che fu, lungo le strade si aprono botteghe che affittano per la giornata l’abbigliamento più adatto, a

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nessuno si nega una spada e un tuffo nella storia. E’ un incontro con il Medioevo, una ricostruzione molto ben articolata e meditata che negli anni ha raggiunto la maturità di una grande rievocazione storica. Qui tutti sono contenti: i ragazzini che possono cimentarsi nel tiro con la balestra o l’arco, gli adulti che riscoprono usanze e tradizioni; tutti vivono giornate di pura adrenalina folcloristica. I colori degli abiti di oltre mille figuranti si mescolano con la musica che nella grande piazza dei Priori coinvolge, in un turbinio di

Volterra AD 1398 – Oltre il tempo, oltre le mura

danze, un serpente senza fine di persone che tutte insieme si muovono al comando di un esperto maestro di danze. Poco più in là passa un carretto di legno dove dorme un bimbo di pochi mesi, rigorosamente vestito con abiti di foggia popolare del 1300, mentre uno scalpellino, con mano ferma, incide stemmi sull’alabastro locale. Le giornate, nonostante il tempo si sia fermato al XIV secolo, passano veloci in un susseguirsi di appuntamenti con la storia; duelli alla spada, visite agli accampamenti montati sotto le fresche e secolari piante del Parco Archeologico a ridosso della fortezza medicea. Ogni tanto si sente il berciare festoso di un imbonitore prestato alla giornata di festa che incoraggia ad assaggiare un nettare locale o a scommettere nel gioco del porcellino d’India. L’Ufficio del Cambio lavora senza sosta. La moneta moderna viene cambiata con la riproduzione del Grosso Volterrano, spendibile in tutti i negozi e bancarelle del luogo, un piccolo stratagemma di finanza creativa. Quanti, infatti, tratterranno le monete di Volterra come ricordo della giornata trascorsa nei vicoli di quella città che si erge, con quel suo aspetto eterno, alle spalle della Costa degli Etruschi!• n° 2 - agosto 2011

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e la sua storia Testo di Francesca D’Antona e foto SIGEP 2011 rutta, miele, neve dell’Etna o del Terminillo: questi gli ingredienti del sorbetto consumato alle mense patrizie degli antichi romani. Una suggestiva variante dello scherbeth, succo di frutta gelato, la cui ricetta fu diffusa in Sicilia dagli arabi. Pare infatti che vada all’Oriente il merito di aver inventato l’algido alimento. In particolare a un discepolo di Maometto che, con un acconcio strumento, rudimentale antesignano delle moderne gelatiere, refrigerava spremute di frutta in un recipiente circondato da neve ghiacciata. La divulgazione in Europa di questo rinfrescante dessert passò attraverso la dominazione mora in Sicilia. Ed è lì che il prodotto mediterraneo manterrà la sua terra di elezione e un punto di riferimento consolidato nei secoli. Di certo, comunque, l’immagine del sorbetto, associata a quella di una coppa ricolma di neve dal lieve profumo di frutta, attrae e stimola la fantasia. E qualche effetto edonistico deve averlo avuto pure su Nerone se, con profondo cinismo, di fronte allo spettacolo di Roma in fiamme, sembrava gustarsi un enorme calice di neve del Terminillo condita con miele e succo di frutta varia. Nonostante la sua natura effimera, il sorbetto ha dimostrato una notevole solidità arrivando, riveduto e corretto, fino ai nostri giorni. Della sua evoluzione nel passaggio dei secoli si sa ben poco. Salvo qualche accenno nell’arte gastronomica medievale che lo considerava un raffinato intermezzo durante i lunghi e sontuosi banchetti. Usanza di cui oggi viviamo un revival nei menu di rinomati ristoranti.

Qualche notizia in più certamente l’ebbe il fiorentino messer Bernardo Buontalenti, artista della seconda metà del Cinquecento, notoriamente una buona forchetta e curioso della cucina antica. Si dilettava a rielaborare ricette dei secoli passati e a inventarne di nuove. Sta di fatto che il Buontalenti ebbe un enorme successo quando alla Corte dei Medici fu portato a tavola un dessert inedito su sua ricetta: era nato il gelato. Il manicaretto, gustoso e gradevole, fu ben presto apprezzato presso tutta la nobiltà fiorentina. La qualità degli elementi e l’elaborata preparazione ne fecero però un prodotto pregiato, non alla portata di tutti. Il gelato, infatti, nato come alimento aristocratico, rimase tale per vari decenni, tanto che la sua successiva diffusione fu considerata una vera e propria conquista democratica. Considerato quindi un piacere riservato alle tavole nobiliari, la sua fama si propagò, almeno all’inizio, solo tra le corti d’Europa. Fu Caterina de’ Medici, sposa di Enrico Il re di Francia, a portarne notizia alla Corte d’Oltralpe. Per averlo assaporato nella natìa Firenze, descriveva personalmente le qualità del gelato ai sovrani degli altri stati, durante i ricevimenti. Caterina non si limitò a esportarne la golosità: volle condurre con sé, a Parigi, un pasticciere perché potesse riproporre, in qualsiasi momento, il miracolo di quella cremosa invenzione. Sempre a Parigi, un siciliano, Procopio Coltelli, apre nel 1660 il Café Procope, dove si servono esclusivamente gelati su ricetta italiana. Allora regnava felicemente Luigi XIV, il Re Sole, alla cui Corte, considerata un vero modello per l’Europa, si consumavano sorbetti e gelati sia di derivazione medicea sia provenienti dalla scuola del Café Procope. Senza nulla togliere all’arte gelatiera fiorentina, va detto che la diffusione della fredda ghiottoneria ebbe notevole impulso anche dalla Sicilia. Forse per la neve dell’ Etna, che rievoca tradizioni ancestrali, o per le profonde tracce lasciate dagli arabi, il fatto è che per la Sicilia, fabbricare gelati è sempre stata una vocazione. Lo testimoniano illustri estimatori della raffinata golosità. In una delle più vecchie e famose gelaterie di Palermo, “Mazzara”, una targa di ottone ricorda le frequentazioni di Tomasi di Lampedusa. Sul tavolino un mantecato o una granita, e intanto scriveva “Il Gattopardo”. È indubbio che le massicce emigrazioni dei siciliani siano state il più valido veicolo per la diffusione del nostro prodotto. Gli americani hanno assaporato il gelato per la prima volta nella seconda metà del Settecento grazie proprio a un italiano, Filippo Lenzi. E dal diciannovesimo secolo la vera storia del gelato in America coincide con l’evoluzione

tecnologica, piuttosto che con quella del gusto. Pietra miliare, la gelatiera a manovella, inventata da Nancy Johnson nel 1864. Il segreto di questa prima sorbettiera meccanica era la possibilità di girare il composto in modo costante, favorendo un raffreddamento uniforme, senza formazione di cristalli ghiaccio. È di Jacob Fussel di Baltimora, invece, il merito di aver ideato l’ice-cream, inteso come mantecato a base di latte, assurto poi ad alimento nazionale. Questa delizia per il palato si deve al caso e a una grossa partita di latte in eccedenza, visto che Fussel, per non farlo deperire, ne fece una crema e la raffreddò. Ancora gli Stati Uniti, e ancora il caso, segnano l’inizio del gelato da passeggio, nel 1892, quando a un gelataio cadde un bastoncino di legno nell’impasto cremoso. Nel tirarlo su, nacque l’idea. Poi è la volta del cono, nel 1904, e del ghiacciolo, vent’anni dopo.•


Flora

ARCHITETTURE D’ESTERNI il Giardino

Testo di Giuseppe De Pietro

Ricordati di spolverare le Phalaenopsis” diceva Lionel de Rothschild , rinomato ideatore di giardini, al nipote Elie. E il barone Elie, anche lui coinvolto nella passione di famiglia, esperto orchidofilo, coltivava il suo fiore preferito nelle serre vicino all’abbazia di Royaumont, proprio in quella Francia che spesso venne associata alla cultura dello spazio verde inteso come architettura d’esterni. Almeno fino a quando, con il periodo Liberty, la vecchia concezione di allestimento floreale francese viene soppiantata dal più romantico e naturale stile inglese. Uno stile che influenzò anche molti giardini italiani come quelli di Arco, nel Trentino, che ebbero grande fama a metà

dell’Ottocento quando la nobiltà li volle molto elaborati nella struttura architettonica e ricercati nella scelta delle essenze, tanto da diventare meta stimolante per appassionati botanici. Ed è proprio ad un esperto di botanica che si deve l’impianto del grande “parco romantico” di Villa di Bibbiena, ex convento, a Capraia e Limite, una zona di origine etrusca vicino a Firenze. Concepito come giardino di acclimatazione di specie esotiche, il parco della Villa, appartenuta ai Marchesi Frescobaldi, vanta numerosi esemplari significativi per rarità e dimensioni. Da un rifacimento di fine Ottocento, poi, il parco si arricchisce di un giardino all’italiana e del “teatro verde”. Era dei Marchesi di Sant’Elia, invece, la proprietà sul Lago Maggiore che l’ufficiale scozzese Mc Eacharn acquistò trasformando un classico

castagneto nel giardino dei suoi sogni: il parco botanico di quella che oggi è conosciuta come Villa Taranto. Un intervento che impegnò cento operai e trent’anni di lavori; ma ne valeva la pena. La struttura del giardino, ricco di 20 mila essenze preziose provenienti da tutto il mondo, persino da Cina e Perù, vanta chilometri di viali, fontane, scalinate, terrazzamenti, sculture e serre. Essenzialmente, un giardino all’italiana con voluti effetti di contrasto. Di chiara influenza inglese, su impianto all’italiana, un altro stupendo esemplare, il Giardino di Villa Hanbury, sul promontorio che sovrasta il golfo di Ventimiglia. Dagli esperti botanici è catalogato come parco di acclimatazione per piante tropicali, i comuni visitatori lo vedono per quello che appare: un bellissimo giardino movimentato da fontane, classiche e neobarocche, grotte e strutture che valorizzano la bellezza delle piante, come la bella scalinata bordata da cipressi che digrada verso il mare. Il cipresso, svettante verso il cielo con singolare eleganza, svela la bellezza di certi giardini toscani di cui è spesso l’essenza principale. Ne è un esempio il parco del Castello di Uzzano, di Greve in Chianti, un superbo giardino all’italiana con curatissime siepi di bosso e di cipresso che disegnano arabeschi o accompagnano il passo tra la dolcezza delle camelie e la possanza di essenze secolari come la sequoia Wellingtonia e i cedri esotici. E i cipressi spesso si fanno marmo da scultura nelle abili mani di giardinieri, su progetto architettonico. E’ il caso di Villa Gamberaia, nei pressi di Firenze, il cui parco, disegnato nei primi del Novecento dai paesaggisti Porcinai e Messeri su commissione della principessa Giovanna Ghyka, è considerato uno dei più idilliaci della Toscana. L’occhio s’incanta sulla sua geometria rigorosa e sulle sue prospettive multiple che ne amplificano la vastità. Siepi imponenti, fittissime e compatte come muro, innalzano pareti, intagliano archi, disegnando una vera architettura d’ esterni. Il verde privato puo’ essere un piccolo eden Il giardino, così come l’abito o il portamento, esprime la personalità di chi lo crea. Può tradire la sua sensibilità, il suo gusto, la sua ricerca dell’equilibrio e della simmetria o l’audacia dei contrasti ad effetto. Rose, calle, gigli, camelie e orchidee, per atmosfere classiche e romantiche; tulipani a profusione per giardini moderni; marherite e violaciocche per angoli giovani; glicini, salici, ciliegi, iris e bambù, per ricostruire un angolo d’Oriente. Ed ecco che il colore dei fiori si spande a pennellate sui giardini, quasi fossero dei quadri impressionisti. Da un giardino può nascere una vera opera d’arte, fatta di armonie di colore e di linee pulite dal rigore geometrico, tipiche del cosiddetto “giardino all’italiana”, oppure di nicchie esclusive, espressione estrema della creatività. Sfumature leggere di una stessa tinta o accostamenti spettacolari, dunque; aiuole perfettamente regolari e siepi squadrate o gioco di volumi in cui si accostano piante erbacee ed arbusti, fiori a spiga alta a soffici cuscini, piante antiche e varietà moderne. L’importante, in ogni caso, è che ci si senta inclusi in quello spazio e lo si possa vivere come un godimento degli occhi e dello spirito. Gli appassionati del “verde privato” possono creare da sé piccoli eden intorno alle proprie case, tuttavia non è cosa facile. L’allestimento ex novo di un giardino deve tener conto di

molti fattori, estetici e tecnici, a partire dall’armonizzazione con l’ambiente circostante e con la linea architettonica della villa. E qui s’inserisce l’opera dell’architetto di esterni che mette a punto un vero e proprio progetto in base a una serie di valutazioni. A colloquio con il cliente, parla dei suoi gusti, della sua sensibilità, delle sue motivazioni e del suo impegno, prima ancora che dell’entità dello spazio da allestire e delle possibilità economiche. Il suo modo di essere e di sentire deve poter trasparire dalla scelta delle piante, dei fiori e della loro sistemazione. In effetti, la passione tout court per il giardinaggio, il cosiddetto pollice verde, da solo non basta a mettere su un giardino. Essa va tirata fuori e decodificata da un esperto che poi deve supportarla con la sua esperienza tecnica. Negli ultimi tempi si va sempre più evidenziando una forma di giardinaggio professionale in cui la realizzazione pratica viene fatta precedere da una consulenza e comunque da un’informazione più attenta su quelle che sono le caratteristiche dell’ambiente in modo da raggiungere la fruizione ottimale del verde in un contesto abitativo. E il vantaggio di questa nuova tendenza è chiaro: aggiungere alla motivazione estetica della scelta, anche una considerazione di ordine funzionale così da poter vivere il proprio spazio verde con soddisfazione e non sentirne il peso. Senza contare il fatto che un architetto d’esterni ci solleva anche dalla responsabilità di un progetto realizzato nel pieno rispetto della legge, la quale spesso considera abuso edilizio anche l’installazione di un pergolato o di una parete grigliata per rampicanti. Ci sono poi ditte che una volta allestito un giardino e impiantato un sistema d’irrigazione ad hoc, come può esserlo un gocciolatoio differenziato, ne assicurano la manutenzione periodica secondo un calendario adattato alle varie specie di piante. Il giardino, considerato un ambiente vivo, può essere in continua evoluzione. Muta con lo svolgersi delle stagioni, virando colori, forme e colpo d’occhio. Ma può cambiare anche per la fantasia creativa di chi lo vive. Basta aggiungere un rampicante che crei leggeri festoni in cima alle finestre o sulla balaustra di balconi e scale. Possono essere un angolo nascosto o un’aiuola a diventare i nuovi punti più sorprendenti del nostro verde privato. Quando nel giardino c’è acqua, sottoforma di laghetto, di fontana o di piscina, si può studiare un suggestivo gioco di riflessi. Ninfee tropicali nell’acqua e, per le sponde, bordure di papiro, equiseto e agapanto. Poi, ciuffi di calle accanto a una fontana. Le bordure, ovviamente sempre fresche di potatura, creano un grosso punto d’interesse nel giardino, e per mantenerle sempre fiorite basta mescolare tra loro essenze di alterna periodicità, magari giocando sui colori. La scelta del colore ha, nella progettazione, un’importanza notevole poiché in certi casi può modificare la prospettiva di un giardino. Colori vivaci come il giallo, l’arancio o il rosso, se messi in primo piano accorciano lo spazio; quelli sfumati, come i toni chiari dell’azzurro e del lilla, danno profondità. Uno spazio verde può essere movimentato con viottoli e scalette ai cui bordi è bello piantare piccoli arbusti o essenze tappezzanti che ne coprano in parte la battuta creando così un effetto naturale. Il giardino può diventare un salotto, un prolungamento degli ambienti della casa, se lo si arreda con panchine, tavolini, amache, o se si creano zone ombreggiate con pergole o gazebo.• n° 2 - agosto/settembre 2011

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Arte e cultura

LA VIA APPIA ANTICA Laboratorio di mondi possibili tra ferite ancora aperte. (dal 23 giugno fino a domenica 11 dicembre 2011)

Testo di Luisa Chiumenti

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iamo a Capo di Bove, una località situata in Roma, sulla Via Appia Antica. Volgendo lo sguardo attorno, su quello che é oggi il panorama di tanta eredità di bellezza secolare, ci viene alla memoria la meticolosa, appassionata ed attenta opera di Antonio Cederna, colui che, fino dall’inizio degli anni ’50, si dedicò alla tutela della Via Appia e del suo Parco. E nella sede appunto di Capo di Bove, acquistata nel 2002 dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma con lo scopo di accrescere il patrimonio pubblico dell’Appia e incrementare la conoscenza di questi luoghi dell’antichità, é stata allestita la mostra fotografica “La via Appia. Laboratorio di mondi possibili tra ferite ancora aperte”. Si sussegue quindi in mostra, dinanzi al visitatore, proprio sulla stessa via Appia quale oggi appare, una suc-

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La via Appia Antica

cessione di storiche immagini di come “sia stata e sia l’Appia di tutti”: vedute scattate dai fotografi dei secoli scorsi, che, affascinati dall’imponenza dei monumenti sparsi in quel paesaggio naturale sconfinato desiderarono “fissare” permanentemente quelle “visioni” uniche. Ma purtroppo, proprio attraverso tali fotografie, accompagnate in mostra dai documenti delle denunce di personaggi come Antonio Cederna, si può prendere consapevolezza di quella che é stata la graduale distruzione. La via Appia vi viene rappresentata come simbolo di tante battaglie, di proposte di legge, di iniziative popolari, di lotta all’abusivismo (che qui, purtroppo, ha trovato una delle massime espressioni), ma non ha perduto completamente il suo fascino dato dai numerosi monumenti, ancora conservati in una sequenza straordinaria, e dal paesaggio che si è costituito nei secoli intorno a queste “rovine”. Ed ecco infatti come l’ obiettivo atten-

to di Stefano Castellani, catturando le suggestioni che i monumenti e i luoghi conservano pur oggi ancora, documenta tutto il lavoro di salvataggio e tutela svolto dalla Soprintendenza. L’obiettivo della mostra é stato infatti quello di far conoscere ai cittadini le tappe principali di questa storia che ha visto l’impegno straordinario di personaggi illustri a partire dall’inizio dell’800 (Carlo Fea, Valadier, Canina), per il “ristabilimento” della via e di parte dei suoi monumenti: un contributo alla conoscenza della storia recente dell’Appia. In alcuni pannelli sono stati focalizzati punti di estremo interesse nel costante monitoraggio della salvaguardia del territorio, riassumendo le tappe principali della tutela dell’Appia, raccontata anche con documenti d’archivio e alcuni articoli di giornali. Fotografie aeree scattate in periodi diversi illustrano come si sia modificato l’agro romano attraversato dall’asse della Via Appia. E poi, con la nuova, più attenta e capillare sensibilità paesaggistica,

attivata nel secolo successivo per la salvaguardia dell’ambiente naturale e monumentale dei nostri territori, ecco profilarsi il movimento di tutela e la nascita del Parco, per questo importante ambito territoriale, affinché non se ne perdessero i caratteri e i valori, evitando che la strada, con il territorio che attraversa, si trasformi in una qualsiasi periferia della città. Le circa 80 immagini fotografiche presentate sono solo una minima parte del repertorio ricchissimo che ha interessato l’Appia e si riferiscono appunto a tali diversi periodi: dall’800 all’ inizio del ‘900, gli anni tra il 1950 e il 1970 e oggi. Si tratta di vedute eseguite per lo più da chi ha frequentato e frequenta l’Appia con occhio attento per motivi di studio, ricerca, cronaca. In questo arco di tempo il paesaggio dell’Appia si è radicalmente modificato, a volte in meglio, per lo più in peggio come è illustrato, se pur in modo parziale, da alcune situazioni. Gli autori delle foto storiche sono, tra gli altri, John Henry Parker (1806 -1884), Dora e Agnese Bulwer (18901930 ca.), Esther Boise Van Deman (1862-1937), James e Domenico Anderson (1813-1877), Thomas Ashby (1891-1925). Alcune foto esposte fanno parte dell’Archivio Cederna, le più recenti sono state realizzate da Stefano Castellani. La mostra ha offerto quindi una esemplificazione di come i dati di questo immenso patrimonio possano essere gestiti, attivando un Sistema Informativo che, all’interno di una più ampia classificazione dell’intero patrimonio della Soprintendenza, punti il suo obiettivo sull’Appia, focalizzando il costante monitoraggio della salvaguardia del territorio, riassumendo, in alcuni pannelli le tappe principali della tutela dell’Appia, raccontata anche con documenti d’archivio e alcuni articoli di giornali.

Significativo é il sottotitolo della mostra: “Laboratorio di mondi possibili tra ferite ancora aperte”, perché vuole significare che è ancora credibile intervenire, lavorare, per conoscere e far riemergere brani di storia, attuare metodi di recupero e conservazione del patrimonio e opere per renderlo fruibile da parte di tutti, come è avvenuto per la Villa dei Quintili, per S. Maria Nova, per Capo di Bove, secondo l’esempio ottocentesco portato a compimento da Luigi Canina. Ed é giusto che, nella trascrizione grafica, il titolo “VIA APPIA”, si trasformi in “MIA APPIA”, nel senso che essa farà parte del patrimonio di ogni cittadino, nel momento in cui queste azioni di recupero verranno portate a termine. La mostra è accompagnata da una raccolta di saggi nella collana Pesci Rossi edita da Electa dal titolo La via Appia, il bianco e il nero di un patrimonio italiano.• Per Informazioni: Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma Capo di Bove Via Appia Antica 222 L’ingresso è libero. Orari: dalle 10 alle 16 – domenica dalle 10 alle 18 Servizi di accoglienza ALES Tel: 06 78358742 Visite guidate su prenotazione: Tel. 0639967700


Ecoenergia

Nissan Leaf

il primo veicolo elettrico prodotto su larga scala

rappresentare un’alternativa eccellente, permettendo al loro proprietario un notevole risparmio economico annullando la spesa per il carburante, ma soprattutto se questa tecnologia riuscirà a conquistare una cospicua fetta di mercato, si potrà dare anche un importante contributo alla lotta contro l’inquinamento globale. L’unico

aspetto negativo di auto come la Leaf è rappresentato al momento dal prezzo elevato, dovuto principalmente agli importanti costi di progettazione. Tutto ciò può essere facilmente superato, qualora la richiesta di tale modello fosse elevata, aumentando la produzione e conseguentemente abbattendone i costi.•

Testo di Marco La Valle

L

’offerta di mercato nel panorama automobilistico si sta sempre più diversificando, ponendo, accanto alle tradizionali automobili, veicoli più innovativi e dal basso impatto ambientale. Leader in questo settore è certamente la Nissan che a seguito di un investimento di oltre 2 miliardi di Euro, è riuscita a sviluppare un’ automobile che per caratteristiche tecniche e funzionali non ha precedenti nel settore. La Casa giapponese per il suo ultimo modello non a caso ha scelto il nome Leaf, ovvero foglia, facendo intendere già dal primo impatto la vocazione ecologica della vettura. Questo grande lavoro è stato premiato con il prestigioso riconoscimento “Car Of The Year 2011”, ottenuto a seguito di un duro confronto con altri agguerriti modelli anche di tipo tradizionale. E’ proprio su questo ultimo punto che dobbiamo soffermare la nostra attenzione: per la

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Nissan Leaf

prima volta un auto di questo tipo è riuscita a competere ed addirittura superare in alcune circostanze le tradizionali automobili dimostrando come si possa ormai anche fare totalmente a meno del petrolio. Infatti ciò di cui ha bisogno la Leaf è semplicemente una presa di corrente per ricaricare il pacco batterie disposto sotto il pianale, necessario ad alimentare il motore elettrico. L’innovazione sta nel fatto che rispetto ad altri esperimenti precedenti la Nissan Leaf è dotata esclusivamente di un motore elettrico da 90 kW (109 CV), ma soprattutto di una sorprendente coppia di 280 Nm. Le prestazioni sono interessanti: la vettura è infatti in grado di raggiungere la velocità massima di 140 Km/h con un’ autonomia media di 160 km, ottenibili con una semplice ricarica rapida da 30 minuti presso una speciale colonnina ad alto voltaggio, oppure comodamente dalla presa di corrente del

garage di casa con un tempo di ricarica di 8 ore. La Leaf ha inoltre sfatato un altro falso mito delle vetture ecologiche: niente più dimensioni ridotte e forme anticonvenzionali. I tecnici giapponesi hanno infatti creato una vettura dalle dimensioni importanti ponendo il loro modello tra le dirette concorrenti del segmento della Golf: misura infatti 4,445 metri di lunghezza, 1,770 m di larghezza e 1,550 m di altezza con un passo di 2,700 metri e un bagagliaio di 330 litri, l’ideale per una famiglia di medie dimensioni. Cosa ci possiamo quindi aspettare dal futuro? Certamente una realistica previsione E’ quella di vedere sempre più vetture di questo tipo circolare tra le nostre strade cittadine, in quanto almeno per il momento, sono vincolate ad un’ autonomia ridotta rispetto alle tradizionali vetture. Tuttavia per chi compie quotidianamente il classico percorso casa-ufficio, possono n° 2 - agosto/settembre 2011

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Sport e Avventura

a CAVALLO

nella natura della Maremma Testo di Romina Simonetti

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n uno dei più suggestivi territori per l’equitazione, la Maremma toscana, si possono trascorrere insieme ai cavalli momenti indimenticabili di divertimento e spensieratezza. Imparare ad andare a cavallo e a conoscerlo da vicino, oppure fare lunghe passeggiate nella natura sia per esperti cavalieri o anche solo per gli appassionati di questi meravigliosi animali è possibile anche grazie ai tanti centri ippici in Maremma. Un’attività, quella dell’equiturismo, che ci propone un modo alternativo per conoscere incantevoli percorsi naturalistici. In Toscana, numerosi sono i siti e le associazioni che hanno sviluppato percorsi a cavallo adatti a tutte le esigenze. Gli ingredienti base per questo tipo di uscite turistiche sono la libertà dell’en° 2 - agosto/settembre 2011

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Sport e Avventura

spettino l’ambiente, gli usi e i costumi locali. Altrettanto interessanti gli itinerari proposti sul territorio dalla Scafarda, organizzazione di turismo equestre che presta la sua esperienza tra la costa toscana e quella laziale, da Castiglione della Pescaia ai Monti dell’Uccellina attraversando l’area di Grosseto fino al Parco naturale della Maremma e nella zona di Tuscania, nella Maremma Laziale. Un’attività sportiva e ludica, quella equestre, adatta non solo a chi è pratico, ma anche a chi cerca un’esperienza nuova, che punti al relax ma allo stesso tempo all’avventura. Una passeggiata a cavallo è soprattutto un’occasione di libertà per chi ama e rispetta la natura, una vacanza alternativa per riscoprire in modo inusuale i numerosi volti della Maremma Toscana e l’esperienza unica di cavalcare sulla spiaggia. Attenzione però, la sicurezza del posto in cui intendete fare trekking a cavallo, dipende anche dalla capacità di rispettare i regolamenti imposti. •

www.viaequestretoscana.it/associazione www.lascafarda.it/it/scafarda.htm

scursione, il tempo a vostra disposizione e l’esperienza di ognuno che vi permetterà di scegliere l’itinerario a voi più adatto. Dalle lunghe spiagge sulla costa maremmana ai vigneti e uliveti dell’entroterra. Dagli itinerari faunistici a contatto con le specie della zona, tra caprioli, daini e cinghiali, a quelli più attenti ai resti storico-artistici, tra villaggi medioevali e catacombe etrusche. L’Associazione Via Equestre Toscana, offre ad esempio delle ecovacanze a cavallo dai sentieri che portano dal Mugello alla Maremma, alle spiagge della costa, ai Monti dell’Amiata. Dell’organizzazione fanno parte centri ippici e aziende agrituristiche toscane che incoraggiano questo speciale tipo di turismo e che l’Associazione stessa controlla affinché le uscite siano seguite da esperti e propongano itinerari che ri-

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A cavallo nella natura della Maremma


ED È SUBITO VIAGGI: Il tour operator, sul mercato da oltre 20 anni, si distingue per i suoi viaggi alternativi in Italia e all’estero ispirati alla filosofia di viaggio tailor made, pronta a soddisfare le esigenze del cliente in cerca di un soggiorno realmente originale e di qualità. Tra le proposte sul territorio nazionale spiccano i soggiorni del catalogo charme Terre d’Italia, espressione del giusto binomio gusto/benessere: riscoprire il territorio attraverso weekend relax ambientati nei più esclusivi centri benessere e termali del centro-nord Italia, itinerari enogastronomici che coinvolgono le cantine italiane più rinomate e premiate a livello internazionale. Volgendo lo sguardo all’estero, la programmazione del tour operator realizza da anni soggiorni dove partecipante non è un semplice turista, ma parte integrante del paese ospitante: ne è un esempio il

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tour del Cap Bon nel nord della Tunisia, dove il viaggiatore attraversa le riserve naturali del territorio in contatto diretto con la popolazione locale, vivendo in prima persona le tradizioni locali in sella ai tradizionali asinelli tunisini ed all’interno dei laboratori artigianali per la produzione di prodotti tipici. Queste ed altre sono le proposte del Catalogo estivo Mediterraneo, una selezione delle migliori strutture per soggiorni in Italia, Tunisia, Turchia, Cipro, Croazia. I soggiorni in caicco chiudono le novità della programmazione estiva: i partecipanti disporranno di un intero caicco in esclusiva con la possibilità di scegliere tra i diversi itinerari che da Bodrum si spingeranno fino alle isole greche. Non una, ma tante vacanze: le proposte Ed è Subito Viaggi vi attendono nelle migliori agenzie di viaggi.•


Agriturismo bio

La MASSERIA PILANO

tra trulli seicenteschi

P

ilano è una masseria pugliese del XVII secolo nel cuore del Parco Naturale Regionale “Terra delle Gravine”, al centro di un’area incontaminata di 235 ettari nella zona pre-murgiana. L’attività prevalente è l’allevamento di bovini da latte di razza Frisona italiana, di vacche Podoliche pugliesi e dei

cavalli murgesi, agili e rustici, quelli amati da Federico II di Svevia. Fanno parte della masseria anche i boschi di macchia mediterranea con cerri, querce, lecci, corbezzoli e ginestre dove vivono in libertà cinghiali, lepri, istrici, volpi, tassi, fagiani, tordi, beccacce e molte altre specie di volatili.

Testo di Caterina Eleuteri

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Agriturismo bio

Il versante montuoso della masseria costituisce il confine storico dei comuni di Martina e di Taranto, stabilito nel 1359 da Roberto d’Angiò. Per il forte legame alla terra, coltivata con metodi biologici, i proprietari Alessandra, Leonardo e Pierpaolo Palmisano non solo hanno scelto di viverci con le loro famiglie tutto l’anno, ma si sono fatti promotori di varie iniziative rivolte al turismo naturalistico e ambientale. Hanno anche dato vita, tra i primi, al Consorzio delle Cento Masserie di Crispiano, un circuito che privilegia le antiche strutture rurali di una terra tradizionalmente

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legata all’agricoltura e alla pastorizia. E, dal 2007, offrono ospitalità nel loro agriturismo agli amanti della natura e del relax. Gli ospiti possono soggiornare nelle strutture secolari, ricavate dal restauro delle tipiche stalle e dei trulli seicenteschi che circondano il caseggiato padronale. Un rispettoso restauro ha creato dei piccoli appartamenti, i cui ambienti offrono piena indipendenza e quel confort, difficile da non apprezzare anche in piena campagna. Gli appartamenti, arredati con semplicità, si affacciano sulla suggestiva corte interna e sul vasto “iazzo” delle stalle. Le

La Masseria Pilano tra trulli seicenteschi

camere, ampie e luminose, sono fornite di bagni privati e di un angolo cottura e sono tutte climatizzate e dotate di televisione satellitare. La formula alloggiativa offerta è il classico B&B, per consentire agli ospiti di organizzarsi le giornate al mare, che dista una trentina di chilometri sia dalla costa jonica che dall’Adriatico. Tante le cose da vedere, dalle bellezze di Taranto, Crispiano o Martina Franca, ai siti archeologici o a qualcuna delle Cento Masserie del circuito, sempre aperte ai visitatori. Da vedere anche la suggestiva Grotta Pilano con reperti del Paleolitico. C’è anche la

possibilità di ricevere direttamente negli appartamenti, catering di qualità a base di prodotti aziendali, come carni, latte ed olio extravergine proveniente dagli antichi oliveti. Ospiti graditi anche i bambini, a cui sono riservate familysuite a prezzi speciali, bici e mountain bike gratuite, giochi in giardino, equitazione e visite agli animali della fattoria. Anche Fido è gradito ospite, se non volete lasciarlo a casa. La Puglia, luogo d’ incontro tra Oriente e Mediterraneo, continua ad essere un terra ricca di fascino che racconta una storia di conquiste e di battaglie.

E’ ricca di cattedrali e di castelli, e tanti sono i caratteristici trulli, bianche, scarne costruzioni a cupola conica sparse nei campi, tra coltivazioni di frumento e frutteti. Sono case essenziali dei contadini, fatte di un unico vano con pietroni sovrapposti a secco. E quando la famiglia cresceva le si edificava accanto un altro trullo. Ce ne sono anche a grappolo, cresciuti insieme alle generazioni. La gastronomia pugliese è ricca di sapori e di colori e si abbina perfettamente ai vini, soprattutto quelli da vitigni autoctoni, come il Primitivo e il Negroamaro. Tutti i piatti della tradizio-

ne sono a base di prodotti della terra e della pastorizia. Pani, pizze e focacce sono arricchiti da erbe profumate, cipolla e pomodoro e la cucina di mare, con il pescato più fresco, i molluschi e i crostacei, è da non perdere lungo le località della costa.• Azienda agricola Agriturismo Masseria Biologica Pilano 74012 Crispiano (Taranto) Tel: +39.099.22.11.666 Fax: +39.099.22.11.455

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Sagre e tradizioni

Testi di Mariella Morosi

Calici di Stelle

il 10 agosto in tutta Italia Firriato cantine

La magica atmosfera delle stelle cadenti, nella notte di San Lorenzo, accompagnerà la più grande degustazione all’aperto dei vini italiani. Calici di Stelle è l’evento più atteso dell’estate dagli appassionati del buon bere, organizzato dal Movimento Turismo del Vino e dalle Città del Vino. L’importanza economica e culturale di questa festa è cresciuta negli ultimi quindici anni, coinvolgendo le istituzioni locali in iniziative e progetti di valorizzazione territoriale. Insieme ai produttori vitivinicoli, protagonisti della qualità dell’accoglienza in cantina, vengono organizzati eventi musicali, artistici e gastronomici, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, dall’Abruzzo all’Emilia Romagna. Il brindisi nella notte più magica dell’anno si farà con i vini tipici di ogni regione. Quest’anno per l’occasione sarà realizzato uno speciale Calice dell’Unità d’Italia, che oltre al tradizionale logo avrà dipinta la bandiera italiana. “Attraverso manifestazioni come queste puntiamo a stimolare un turismo consapevole verso il mondo del vino e riconoscere il valore di uno dei prodotti simbolo del nostro Paese, frutto del lavoro e della passione di tanti” , ha detto Chiara Lungarotti, presidente del Movimento del turismo del

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vino. Ricco e variegato sarà, dunque, il programma della manifestazione, dovunque ci siano cantine di Comuni con tradizioni vinicole. Accanto alle degustazioni di vino e di prodotti tipici locali ci saranno mostre, musica, spettacoli all’aperto e itinerari alla scoperta di panorami meno noti ma non meno suggestivi. Per gli appassionati di stelle e per i curiosi sarà possibile anche scoprire le costellazioni e i segreti del cielo grazie alle spiegazioni degli esperti dell’Unione Italiana Feudo Arancio barricaia

Astrofili. Infine, per sensibilizzare a un consumo moderato e consapevole del vino, specialmente tra i giovani, saranno distribuiti in alcune città etilo-test monouso griffati Calici di Stelle, da conservare come souvenir. Tra le manifestazioni più interessanti per fare incontrare il vino di qualità al grande pubblico segnaliamo quella a Sant’Arcangelo di Romagna, patria del Sangiovese, con tanta musica, degustazioni e spettacoli pirotecnici, quella di Cervia, con concerti e balli in spiaggia, e il grande jazz sulla laguna a Venezia. A Trani, in Puglia, sarà organizzata un’apertura straordinaria di chiese e monumenti, nelle medievali contrade di Montepulciano, in Toscana, si esibiranno gli sbandieratori e in Umbria, lungo la Strada del Cantico si potranno degustare le tipicità gastronomiche della tradizione. Molti gli eventi collaterali nelle varie località, come il Palio Culinario di San Lorenzo, in Veneto, a base di prelibatezze della cucina locale accompagnate da degustazioni del Conegliano-Valdobbiadene Prosecco Docg. Momenti magici anche nell’isola di Pantelleria gustando il dolcissimo moscato, o in Sardegna con un calice di Cannonau. Sarà una notte davvero speciale in tutta la Penisola, scrutando il cielo alla ricerca di quella scia luminosa che realizzerà i nostri desideri.• www.movimentoturismodelvino.it www.cittàdelvino.it

9-11 settembre

FANO

Festival Internazionale del BRODETTO e delle ZUPPE DI PESCE Secondo l’ormai consolidata formula saranno alcuni tra i più qualificati ristoranti che si sfideranno per la conquista del Miglior Brodetto 2011, il piatto simbolo della tradizione marinara dell’Adriatico. Per la prima volta, in questa IX edizione, la competizione è stata estesa agli chef stranieri, ma le regole non cambieranno: saranno 8 partecipanti, 6 italiani e 2 stranieri, in una sfida a due che permetterà di vincere chi ha conseguito il maggior punteggio complessivo. Come per altri piatti rappresentativi di una tradizione gastronomica regionale, il brodetto nasce come piatto povero dei pescatori che utilizzavano quel pescato che era difficile da vendere a causa della sua bassa qualità, o delle dimensioni dei pesci troppo piccoli. Quando la materia prima era troppo scarsa per una buona zuppa venivano messi in pentola addirittura dei pezzi di scoglio con attaccate alghe e molluschi. Il Brodetto di Fano, a differenza di altri della costa, ha come caratteristica l’utilizzo di molte qualità di pesce, almeno una decina tra seppie, triglie, sogliole, palombo, rospo, pannocchie, scorfano, merluzzo, San Pietro, frutti di mare, calamari, razze, gallinelle, vongole, granchi, cozze e tracine. Ovviamente qualche ingrediente può cambiare secondo le stagioni ma la formula resta inalterata. Sarà il Lido di Fano, il lungomare cittadino ribattezzato “Spiaggia del gusto”, ad ospitare l’atteso confronto con stand, espositori e banchi di degustazione di questa particolare e profu-

mata zuppa di pesce declinata nelle diverse proposte dei partecipanti alla gara. A decretare il Miglior Brodetto 2011 sarà una giuria qualificata composta dalle migliori firme del giornalismo enogastronomico italiano presieduta da Enzo Vizzari, critico del L’Espresso, affiancata da una giuria popolare che attribuirà un premio speciale. Lo scorso anno sul podio è andato il giovane chef sardo Stefano Deidda del ristorante di Cagliari “Dal Corsaro” con un raffinato brodetto aromatizzato con menta, finocchietto, e maggiorana e guarnito con un’originalissima pralina di scampo, impeccabile sia nel gusto che nella presentazione. Lo chef più votato da una vasta giuria popolare è stato invece Gianfranco Pascucci del “Porticciolo” di Fiumicino. Il Festival del Brodetto e delle Zuppe di pesce, che ora assume anche una dimensione internazionale, è un evento molto atteso nelle Marche, e solo l’ultima edizione ha richiamato decine di migliaia di turisti gourmet. Tutti i ristoranti e le trattorie della città saranno mobilitati per offrire in menu il Brodetto, rigorosamente alla fanese. La ricetta? Semplicissima: rosolate una cipolla, aggiungete concentrato di pomodoro, sale, pepe, vino bianco e acqua e poi i pesci a disposizione, cominciando da quelli più grossi o che -come le seppierichiedono una cottura più lunga. Versate poi il tutto su croccanti fette di pane, aggiungere una spolverata di prezzemolo e avrete il mare nel piatto.• www.festivalbrodetto.it


Libri e guide

Testi di Mariella Morosi

«LA MIA CUCINA GARIBALDINA. L’ITALIA UNITA DAL SAPORE»

di Igles Corelli 144 pagine Edizioni Gribaudo 20 euro

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itolo più che mai attuale quello dell’ultimo libro di Igles Corelli, nel mezzo delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Eppure questo grande chef emiliano giura che due anni fa, quando cominciò a scriverlo nessuno -e tanto meno lui- pensava a questo importante anniversario. Non abbiamo difficoltà a credergli perché il termine «alla garibaldina» nel linguaggio comune ha molti significati e, primo tra tutti, indica la modestia di chi non vuol prendersi troppo sul serio. In effetti alla base del successo di Corelli c’è un atteggiamento aperto a tutte le esperienze che vedono il cibo protagonista, senza tabu e senza mode, con estrema attenzione soltanto alla qualità assoluta. Ma nel titolo del libro si può trovare anche un significato politico perché è la qualità dei prodotti ad unire almeno a tavola l’Italia, vero giacimento di eccellenze, unico al mondo per le tante certificazioni di qualità. Per questo le sue ricette nascono da ispirazioni colte qua e là, in tutte le zone della penisola e non solo, scovando delizie territoriali conosciute a pochi come le limitatissime produzioni di nicchia e i presìdi Slow Food. «Venti anni fa il punto di riferimento era la cucina del territorio, ma ora -dice Corelli-uno chef può disporre di tutto e, grazie ad internet e al trasporto aereo possiamo avere prodotti persino più freschi di quelli che si trovano tutti i giorni al mercato”. Nessun limite quindi -e men che meno il modaiolo km zero- alla creatività che esalta i sapori con il rigore nelle scelte, negli abbinamenti che a prima vista possono sem-

brare temerari. Via libera anche alle cotture innovative se possono premiare il gusto e, perché no, anche a un moderato uso delle spezie che vengono da altri mondi. Del resto il futuro della cucina non potrà che essere fusion. Per Igles Corelli anche al più grande chef sarà impossibile ottenere un buon piatto se non con ingredienti di qualità e di stagione. Glielo disse trenta anni fa il grande Paul Bocuse: «Quando i cuochi si accorgeranno della bontà dei vostri prodotti quella italiana sarà una cucina inarrivabile». Il volume, illustrato da bellissime foto, è da leggere e da mettere in pratica con il risultato di realizzare piatti d’effetto seguendo passaggi semplici. In più offre consigli per fare la spesa in modo consapevole e razionale, con attenzione alla freschezza. Le 54 ricette sono suddivide tra antipasti, primi, secondi e dolci e sono accompagnate da brevi approfondimenti sugli ingredienti fondamentali, per i quali spiega i motivi della scelta. Con Gribaudo, editore specializzato in enogastronomia, Corelli ha già fatto tre libri:«Selvaggina. Nuovi Sapori in Cucina»,«Con il Cucchiaio. Zuppe, Minestre e Creme» e «Barbecue d’Autore», ma al suo attivo ha diverse altre pubblicazioni e trasmissioni televisive, tiene corsi anche all’estero e vola dovunque lo porti la sua curiosità. Ha collezionato stelle, forchette, templi e toques nelle varie guide da quando negli anni 80 prese il comando dei fornelli del Trigabolo di Argenta, allora considerato dalla critica uno dei tre migliori ristoranti italiani, al top dell’avanguardia culinaria. Dopo una lunga esperienza nella Locanda della Tamerice, immersa nella pace di un’oasi faunistica ai margini del Parco del Delta del Po, ora regna ai fornelli dell’Atman di Pescia. • n° 2 - agosto/settembre 2011

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Libri e guide NUVOLE DI DRAGO & GRANELLI DI COUS COUS Ricette facili di un gastronomade senza frontiere

di Vittorio Castellani A. Vallardi Editore 336 pagine euro 14,90

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l cibo etnico piace e costituisce il primo approccio verso la cultura di un popolo. A portare sulle tavole italiane kebab, cous cous, germogli di soia, tortillas e chili con carne è in genere la nostalgia di un viaggio esotico. Perché poi non accettare la sfida di mettersi ai fornelli e riproporli, complice l’assortimento dello scaffale etnico del supermarket sotto casa? Vittorio Castellani, alias Chef Kumalè, teorico della cucina di viaggio e, come ama definirsi, gastronomade senza frontiere, nel suo ultimo libro “Nuvole di drago e granelli di cous cous” ci offre l’intero mondo nel piatto e la possibilità di cimentarci in 200 ricette di 32 Paesi dei 5 continenti raccolte in anni e anni di viaggi e reportages. “Quelle che ho raccolto in questo libro -dice- sono ricette piene di suggerimenti preziosi, fissati nel cuore e nella memoria, talvolta appuntati su foglietti volanti, raccontati da cuoche amiche e complici, semplici massaie migranti oppure da grandi

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titolo

chef stellati. Non intendo con questo sminuire ciò che ho appreso in alcune tra le più importanti scuole del mondo o frequentando cooking classes da Nooror Somany del Blue Elephant di Bangkok o da Darina Allen della Ballymaloe Cookery School in Irlanda, ma non posso neppure negare che la zuppa di Harira più buona l’ho imparata dalla signora Zoubida, una semplice dadà marocchina di Porta Palazzo, il mercato touscouleurs di Torino”. Nessun rigore nella preparazione dei piatti, inoltre, perché alcuni ingredienti esotici difficili da reperire possono essere sostituiti da quelli nostrani. La cucina è di tutti e la passione, per Castellani, è la più importante di tutte le spezie. Oggi per scoprire i gusti del mondo non importa andare lontano e il cibo può essere un elemento caratterizzante e unificante tra le varie identità con cui veniamo quotidianamente in contatto. Le ricette dei Paesi visitati, marocchine o malesi, cinesi o messicane, sono facili ma mai banali e non

occorre essere uno chef per eseguirle. Proprio questo è il segreto del libro: provare per credere. Da consigliare il Mole Poblano, tacchino in salsa di cioccolato, amatissimo in Messico, il Borsch, piatto nazionale russo, a base di barbabietole rosse e panna acida, L’Hommos, pastosa crema di ceci in salsa di sesamo, perfetta per spiedini alla griglia o da gustare semplicemente spalmata sul pane o il Cous Cous di carni e verdure miste marocchino. Un dolce straordinario e facilissimo è la Pavlova, croccante meringa con frutta e panna montata, creato in onore della ballerina Anna Pavlova quando, alla metà degli anni ‘20, danzò dall’altra parte del globo: la base bianca deve ricordare un tutù e la delicatezza del sapore richiamare la grazia dell’eterea ballerina. Da allora Nuova Zelanda e Australia si contendono la paternità di questa ricetta, entrata nella top ten dell’Olimpo della cucina internazionale. Non mancano nel volume di Castellani suggerimenti e curiosità nonché un glossario per sapere proprio tutto su tipicità, tradizioni, spezie, metodi e strumenti di cottura. Questo libro non pretende di affrontare né esaurire un campo sterminato come quella del world food, ma costituisce comunque una lettura interessante e piacevole anche per chi già si ritiene navigato conoscitore dei ristoranti etnici e dei take away sparsi ormai in tutti i quartieri delle nostre città. Lo dicono anche le statistiche: ogni anno la percentuale degli italiani che li frequenta cresce con numeri a due cifre.•

I CAMBIAMENTI CLIMATICI, TUTTA COLPA DELL’UOMO.

Abbiamo inquinato l’aria, la terra e il mare. Raso al suolo le foreste. Provocato cambiamenti climatici fatali per centinaia di migliaia di specie e sempre più pericolosi per l’uomo. Prima che non ci sia più nulla da fare, fai una cosa: sostieni Greenpeace. Per informazioni chiama lo 06.68136061 o visita il nostro sito.

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Direttore Responsabile Giuseppe De Pietro gdepietro@suntimeviaggi.it Redattore Capo Teresa Carrubba tcarrubba@suntimeviaggi.it Progetto Grafico e Impaginazione Ilenia Cairo icairo@suntimeviaggi.it Collaboratori Anna Maria Arnesano, Giuseppe Barbieri Romeo Bolognesi, Luisa Chiumenti, Giulia D’Angiolini Francesca D’Antona, Valentino De Pietro, Marco De Rossi Gabriella Di Cianni, Caterina Eleuteri, Giuseppe Garbarino, Marco La Valle, Pamela McCourt Francescone, Mariella Morosi, Romina Simonetti, Claudia Sugliano, Viviana Tessa Corrispondenti dall’estero Antonino De Pietro, (da Ginevra) Silvia Picallo (da Buenos Aires) Jocelyn Lorenzo (da Londra) Marine Lesueur (da Parigi) Simona Cipriani (da New York) Alejandro Serrano (da Madrid) Yarka Havelcova Nencini (da Praga) Fotografi Renato Alessio, Giulio Badini, Roberto Callà, Carmine Perito Responsabile Marketing e Comunicazione Mirella Sborgia msborgia@suntimeviaggi.it Traduzione Pamela McCourt Francescone mccourt@tin.it Tipografia Sograf Srl - Litorama Group Via Alvari 36 - 00155 Roma - tel. +39 062282333 www.litorama.it Editore Redazione

Via Locke, 17 - 00156 Roma Tel. +39 06 8276702 - Fax +39 06 8276702 Pubblicazione mensile registrata presso il Tribunale di Roma il 07.02.2011 - N° 17/2011 - Riservatezza dei dati (L.196/03) Ai sensi dell’articolo 13 del Codice della Privacy (Decreto Legislativo n.196 del 2003), la società De Pietro Press con sede legale in Via Lombardia, 14 - 00187 Roma, Titolare del trattamento, garantisce che i riferimenti raccolti nelle banche dati di uso redazionale sono trattati nel rispetto delle normative vigenti. Copyright © - Tutto il materiale [testi e immagini] utilizzato è copyright dei rispettivi autori e della Case Editrice che ne detiene i diritti. Ove non specificato ci dichiariamo a disposizione degli aventi diritto per le necessarie rettifiche.

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