La sfida dell'unicità. Come diventare ciò che si è di Lolli, Massironi, Petrosino (estratto)

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Sergio Massironi, insegnante di liceo e responsabile di oratori, collabora al Servizio per la pastorale sociale e il lavoro della diocesi di Milano. Scrive per L’Osservatore Romano e gestisce il blog A misura d’uomo.

Bisogna tornare a pensare criticamente, a pensare insieme.

Silvano Petrosino, docente di Teorie della comunicazione e Antropologia religiosa e media all’Università Cattolica di Milano, è filosofo apprezzato da un pubblico sempre più vasto. Ha studiato in particolare Heidegger, Lévinas e Derrida.

Per una Chiesa

Lolli – Massironi – Petrosino

giovane e coraggiosa.

L’immagine è di FRANCESCA DE FRANCESCO Progetto grafico di:

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LA SFIDA DELL’UNICITÀ

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Alberto Lolli è Rettore dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia. Profondo conoscitore del mondo giovanile, è un interprete attento della cultura contemporanea.

Alberto Lolli Sergio Massironi Silvano Petrosino

€ 14,50

Come diventare ciò che si è

«Il workshop “La sfida dell’Unicità. Come diventare ciò che si è” è una fortunata sperimentazione nata dall’incontro di tre amici che si sono da subito riconosciuti nel bisogno di condividere la passione educativa. L’urgenza di ripensare e l’affetto per i giovani hanno fatto il resto. A fondamento di tutto, dunque, il desiderio di trovare linguaggi capaci di interpretare il vissuto e raccontare la vita nelle sue dinamiche condivise e profonde, che Silvano Petrosino nel suo testo enuncia come “Leggi dell’umano”; e ancora, la voglia di raccogliere la sfida per costruire insieme nuove parabole che con efficacia sappiano stimolare la riflessione ecclesiale, come Sergio Massironi sa abilmente sintetizzare, accogliendo e accendendo interrogativi» (dall’Avvio di Alberto Lolli). Questo libro è, dunque, la sintesi di un laboratorio a più voci, il cui senso profondo è duplice: rintracciare un metodo di pensiero che possa appassionare i giovani di oggi e fornire un prototipo di lavoro con gli stessi, sperimentando una nuova strada educativa. Un testo che appassionerà tutti coloro che operano nell’ambito della formazione.

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© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2018 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) ISBN 978-88-922-1641-9

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AVVIO L’urgenza di pensare di Alberto Lolli

C’è uno spazio ristretto che divide il dentro dal fuori. Mi angustiano le persone che non ­pensano, che sono in balia degli eventi. Vorrei individui pensanti. Questo è importante. Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti e non credenti. (C.M. Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme)

Gli uomini di fede autentica si esprimono preferibilmente con i gesti. L’inquietudine connaturata al dono ricevuto li sollecita verso un irrefrenabile bisogno di amare, un’imperiosa necessità di dare carne all’interrogativo di chiunque voglia mantenere desta la memoria dell’amore di Dio; è la preghiera di sempre che, come allora, anche noi oggi intimamente Gli rivolgiamo: «Maestro buono, cosa devo fare?» (Mc 10,17).

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Dobbiamo cogliere la richiesta in tutta la sua serietà, se non altro perché spesso si traduce nella preoccupazione dei giovani che incontriamo e che, di là dalla fede, con slancio e determinazione, si domandano quale sia il futuro che li attende, quali desideri abitino il loro cuore e cosa debbano fare per realizzarli. Sottesa alla domanda del giovane ricco di ieri e di oggi, c’è tutto un mondo di speranze, di attese di felicità e di sogni giovanili che si chiedono con quale unicità affrontare la vita che li attende, per attraversarla lasciandovi un segno originale; come fare a diventare ciò che sono. La domanda sul fare oggi rischia di essere travisata. L’enfasi posta al primato dell’azione induce a considerare il pensiero e la parola come processi effimeri e opzionali; la tendenza è quella di porre in antitesi il potere dell’agire con quello del riflettere, sbilanciando il piatto della bilancia a favore del primo. Non è esente da tale inclinazione neppure la prassi pastorale, per cui non di rado una diffusa considerazione è che ciò che conta è quello che si fa. A complicare il panorama, si può ancora aggiungere un carattere peculiare dell’attuale stile di vita, almeno alle nostre latitudini, che è la fretta. Non solo assistiamo ma siamo travolti 6

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tutti dalla frenesia dei ritmi, dall’ottimizzazione dei tempi imposti da chissà chi, dalla velocità di risposta che ha cancellato – ovviamente a una rapidità impressionante! – il valore della lentezza, a favore dell’angoscia di non riuscire ad arrivare a quello che ci eravamo proposti di fare. La ricaduta sulla comprensione della vita era inevitabile. L’urgenza di conseguire risultati e vedere riscontri reali ha attenuato la forza della domanda di senso. Non che l’esito non sia importante. Tuttavia, ormai la risposta viene affidata più al successo della prassi che non alla sua origine, come se potessimo determinare la sensatezza delle iniziative solo a partire dai risultati ottenuti. Senza accorgercene, questa visione ha ormai indossato anche la talare di preti che, pur lamentando la frenesia, non possono più farne a meno e valutano la bontà delle iniziative sul numero dei partecipanti. Quanta gente c’era? Quanti erano i ragazzi? La chiesa era piena (o forse più spesso vuota)! Ci sono tanti luoghi comuni che abitano le canoniche e tradiscono che, di fatto, il risultato è diventato il paradigma ermeneutico delle esperienze. Abbiamo dimenticato il paradosso del mistero cristiano per cui Gesù muore solo appe-

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so a una croce? Non ci hanno forse insegnato che «si dedica un tempo gratuito e senza fretta unicamente alle cose o alle persone che si amano»1? Gesù intimava ai farisei: «Voi purificate l’esterno della coppa e del piatto ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità» (Lc 11,39), e ha combattuto da sempre la contraddizione tra l’esteriorità e l’interiorità come una delle malattie peggiori della religione, perché «Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno?» (Lc 11,40). Almeno per questo, non possiamo rimanere spettatori davanti al rischio incombente di uno svuotamento di senso dell’azione dall’interno, di fronte a una prassi che, smarrito il pensiero e dunque la sua ragione, ha smarrito e trasgredito l’amore (cfr. Lc 11,42). Perché questa, alla fine, è la posta in gioco: chi non è in cerca di un senso, chi ha rinunciato a pensare, chi purifica l’esterno, perde l’amore che nutre d’interiorità. Tutto questo disorienta la comprensione della domanda che rimane forte nella sua verità: che cosa devo fare? Anzitutto, scartiamoci dalla tentazione corrente che favorisce due modi antagonisti di vi1

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vere, l’uno che esalta e l’altro che svilisce l’esperienza, e ristabiliamo la corretta gerarchia, che la prassi ha invertito. Nell’incontro con il giovane ricco, l’attenzione è prima di tutto posta sulla domanda che anticipa l’azione. Senza di essa, ciò che segue non avrebbe sensatezza ovvero ciò che giustifica e dà contenuto al fare è esattamente l’appello rivolto al Maestro. L’esercizio dell’interrogazione – e dunque del pensare! – diventa sorgente e promotore dell’azione. In altre parole, non c’è un’azione davvero buona, se non è preceduta da un appello che la generi e un pensiero che la muova. Di contro, non è lecito affermare che il pensiero senza l’azione non avrebbe alcuna ragione. Tutte le attività ascetiche o meditative o contemplative sono la dimostrazione di quanto l’attività umana sia una necessità preordinata all’esperienza stessa. Il che non significa che tali attività non abbiano valore e significato per la loro leggerezza e purezza metafisica. Al contrario, significa che il loro valore di astrattezza, di trascendenza, di distacco dalla realtà è possibile solo fintantoché interviene un’attività a distaccare il contenuto d’esperienza dell’esperienza medesima2. 2 A. Carnevali, Tecno-vulnerabili. Per un’etica della sostenibilità tecnologica, Orthotes, Napoli 2017, p. 29.

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Un’azione senza pensiero porterebbe l’uomo alla deriva o quanto meno lo lascerebbe «in balia degli eventi», come affermava Carlo Maria Martini, grande uomo di pensiero. Dare un senso al fare e non lasciare che l’azione prenda il sopravvento sulla riflessione dovrebbero essere priorità della vita di ciascuno ma diventano preminenti in chi è chiamato oggi al compito dell’educare. Altrettanta importanza devono assumere nella prassi pastorale, perché la Chiesa è chiamata da sempre a installarsi come la sorgente di significato, che illumina lo scopo del fare e ne annuncia la sua fonte. Occorre, dunque, tornare ad essere individui pensanti. Nel definitivo tramonto della modernità e l’apparire della postmodernità, in cui la filautia è padrona di molte azioni, abbiamo perso l’orizzonte di senso che un tempo costituiva il fondamento dell’agire umano. È urgente cercare il pensiero che aiuta a ritrovare quel terreno comune in cui seminare un ethos condiviso. Allora, come il giovane ricco, bisogna tornare a pensare criticamente, a pensare insieme e a pensare accompagnati.

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Pensare criticamente si traduce nel coraggio di fare domande per scorgere il significato profondo di ogni cosa e per dare senso a ogni agire. Vuol dire vincere la pigrizia che impone di stare fermi, l’ingenuità che ha paura della fatica e la prudenza che immobilizza per l’incertezza di ogni cosa. Pensare criticamente significa trovare tempo e darsi spazi per riflettere seriamente sulla realtà, avere parole di giudizio, seppur con carità. È il contrario della falsa bontà di chi accetta qualsiasi cosa, tanto prima o poi tutto passa, o della sprovvedutezza di chi mette tutto sullo stesso piano, perché una cosa vale l’altra. È la capacità di discernimento che non tollera chi non prende mai posizione. Pensare criticamente è darsi una gerarchia di verità e dunque seguirla per orientare e ordinare la vita. Ancor più radicalmente, è riconoscere che nella vita ci sono dei valori e ci può essere un centro che costruisce l’identità, un buon motivo per cui si può vivere e persino morire, uno spazio di senso che supera le competenze tecniche e unifica la frammentazione della vita. Ma questo, come nell’esperienza del giovane ricco, non lo si può fare da soli; l’interrogativo non è rivolto allo specchio in cui si riflette Nar-

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ciso, ma ad altre libertà che concorrono ad aiutarci a pensare e a farlo insieme, che non è un avverbio opzionale ed estetico, perché la coscienza del singolo sembra oggi condannata a rimanere solitaria; specie nei suoi aspetti più profondi essa è estranea alle forme del confronto pubblico3.

Pensare insieme significa rifuggire dall’egocentrismo che ci isola da tutti, facendoci presumere d’aver in tasca la verità; all’opposto, è la convinzione che la verità è sempre dialogica e relazionale. Significa comprendere che l’identità si costruisce rompendo il guscio intimistico e aprendosi agli altri, in un confronto fatto di ascolto e narrazione. Pensare insieme è uscire dalle coltri della propria vita e aprirsi alla meraviglia dell’altro che non è ridotto a colui davanti al quale siamo, ma colui per il quale siamo. È la bellezza della discussione intelligente, che rassicura e, anche se tutto non è chiaro, ci sollecita a muovere passi fondati più sulla fiducia verso gli altri che sulla 3 G. Angelini, La sfida dell’educazione, Incontri tenuti nei lunedì di ottobre/novembre 2009: www.sansimpliciano.it/docs/doc503.pdf.

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propria. È gioire per la freschezza portata dalle trasformazioni senza spaventarsi delle novità. Pensare insieme non si confonde con la volgarità mediatica in cui nessuno ascolta l’altro, ma è esercizio paziente di attenzione e premura, di confidenza. È la voglia di con-dividere, di camminare insieme (syn-odòs), di diventare pane spezzato per il nutrimento di altri. Eppure chi pensa non mette tutti sullo stesso piano; sa che ognuno ha un suo valore e conosce la necessità di avere un maestro. Per questo riconosce l’importanza di pensare accompagnati. Di mettersi alla scuola di chi ha imparato la sapienza del vivere. Come il giovane ricco, pensare accompagnati significa rivolgere le domande giuste agli interlocutori giusti; trovare un uomo che abbia la pazienza dell’insegnante e l’efficacia del testimone. Significa deporre la propria libertà nelle mani di chi stimiamo e amiamo. È sapere che i nodi della vita non si risolvono da soli. Pensare accompagnati è la fiducia che a guidarci, attraverso i maestri che la vita ci fa incontrare, è un Altro, che un tempo, attraverso Mosè,

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«guidò il popolo per la strada del deserto verso il Mare Rosso»4. Pensare accompagnati è mettersi alla scuola di adulti autentici come nel passato; significa entrare con umiltà nella loro bottega per cominciare una ricerca impegnativa e necessaria. È l’esercizio compiuto sotto lo sguardo chi sa insegnare. È la fortuna di trovare un uomo saggio che non teme il confronto, anzi lo cerca perché sa di avere ancora molto da imparare. Da queste consapevolezze nasce il workshop “La sfida dell’Unicità. Come diventare ciò che si è”, raccolto e documentato da questo libro. Una fortunata sperimentazione nata dall’incontro di tre amici che si sono da subito riconosciuti nel bisogno di condividere la passione educativa. L’urgenza di ripensare e l’affetto per i giovani hanno fatto il resto. A fondamento di tutto, dunque, il desiderio di trovare linguaggi capaci di interpretare il vissuto e raccontare la vita nelle sue dinamiche condivise e profonde, che Silvano Petrosino nel suo testo enuncia come “Leggi dell’umano”; e ancora, la voglia di raccogliere la sfida per costruire 4

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insieme nuove parabole che con efficacia sappiano stimolare la riflessione ecclesiale, come Sergio Massironi sa abilmente sintetizzare, accogliendo e accendendo interrogativi. Suggestionati dai simposi dell’antichità e, più recentemente, dai seminari di filosofia di Gadamer e di psicanalisi di Lacan, abbiamo scelto un metodo di lavoro lento, laborioso e appassionante. Non si è trattato di una conferenza, dopo la quale siamo ritornati a casa per riprendere la vita di sempre, ma di un impegno intenso che ha richiesto tempo e passione. Concretamente, l’avvio della riflessione è stato proposto in ciascun contesto5 dal filosofo che ha condiviso la stimolante prospettiva sulla natura dell’uomo sistematizzato nella prima parte di questo libro. È seguito un tempo disteso per la riflessione personale, alcuni giorni che hanno permesso a ciascuno di riprendere gli appunti e il testo della relazione, rielaborandola personalmente. Quindi, nei due luoghi, abbiamo proposto molteplici momenti per il confronto a gruppi per età, ruoli e appartenenze, accompagnati da alcuni tutor con la funzione di facilitatori del dialogo. 5 Mi riferisco alla parrocchia di Sant’Eurosia di Cesano Maderno e all’Almo Collegio Borromeo di Pavia.

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Un successivo tempo di ripresa personale ha permesso di appropriarsi dell’ascolto reciproco e rielaborare alcuni testi, poi condivisi nell’ultima tappa. Presso il Collegio Borromeo di Pavia, finalmente i diversi gruppi di lavoro si sono incontrati per alcuni giorni e hanno rilanciato la riflessione in numerose sessioni di lavoro, elaborando alcune proposte che Sergio Massironi raccoglie nella seconda parte del suo contributo. La peculiarità di questo tempo disteso è stata poter condividere momenti di conoscenza reciproca e di confronto con il filosofo, al quale venivano rilanciate domande di approfondimento. Un momento di autentica Scuola di pensiero tra giovani differenti per origini, formazione e scelte di vita. Un cenacolo attorno a un maestro capace di nutrire il bisogno del cuore. La “Sfida dell’Unicità” ha tracciato il profilo di una comunione possibile, oltre le differenze; ha dato vita a un sinodo, in senso etimologico, un incontro di donne e uomini diversi per provenienze, condizioni e scelte di vita, età e formazione, ma che si sono ritrovati sulla stessa strada, accomunati dalla medesima ricerca: l’Unicità. In queste pagine, abbiamo raccolto il 16

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felice esito della lunga riflessione che prende le mosse dalla Visione che Silvano Petrosino ha condiviso. L’esito della rielaborazione, affidata a Sergio Massironi, raccoglie un’acuta Revisione che rilancia il dialogo su suggestioni pastorali molto attuali. Chiude il testo un Rilancio affidato alla mia penna. Al termine di questo lungo percorso, rimangono molte cose: i volti, le storie, le parole, i pasti e l’amicizia inaspettata ma soprattutto l’assoluta certezza dell’urgenza di tornare a pensare insieme.

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