Gli uni, gli altri - Donato Allegretti (estratto)

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Donato Allegretti

GLI UNI, GLI ALTRI Vivere lieti nella comunione Prefazione di mons. Angelo Comastri


© EDIZIONI SAN PAOLO s.r.l., 2018 Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) www.edizionisanpaolo.it Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (Milano) ISBN 978-88-922-1362-3


PREFAZIONE

Il secolo scorso ha sfornato tanti pensatori inquietanti e affetti da grande pessimismo: uno si chiama Jean-Paul Sartre. Egli è arrivato a scrivere: «L’uomo è una passione inutile»! Se fosse vero questo, sarebbe inutile vivere. Sartre, in una dichiarazione veramente tragica, ha esclamato: «L’inferno sono gli altri». Pensate quanta tristezza si concentra in queste parole e pensate cosa sarebbe la nostra vita se gli altri fossero davvero l’inferno: vivremmo tutti immersi nell’inferno, perché viviamo sempre a contatto con gli altri. Ma le cose non stanno così. Anzi, è vero proprio il contrario di ciò che pensava Jean-Paul Sartre. Le pagine limpide, calde e cariche di ottimismo uscite dal cuore di don Donato Allegretti vogliono accompagnarci a scoprire la bellezza della relazione con il nostro prossimo. Gli altri sono il Paradiso! E sapete perché? Perché quando ci apriamo agli altri si spacca la parete dell’egoi-


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smo e, in quella fessura, passa l’amore e, con l’amore, passa la gioia, passa il Paradiso: passa Dio! Madre Teresa di Calcutta, donna in continua relazione con il prossimo, ci spiega perché. Un giorno nella “Casa del Cuore Immacolato” a Calcutta venne portata una donna lebbrosa, che era stata gettata dai propri figli in una fogna a cielo aperto. La donna era in condizioni paurose e suscitava ripugnanza. Madre Teresa volle seguire personalmente questa impressionante incarnazione del dolore e tirò fuori dal suo cuore tutta la tenerezza che possedeva. La donna lebbrosa lasciò fare, mentre dalla sua bocca uscivano parole di disperazione e di maledizione. – Sono stati i miei figli a gettarmi via come un sacco dell’immondizia. Siano maledetti! – Non maledirli! Una mamma deve sempre benedire! – Ma tu chi sei? Perché fai così? Perché mi tratti con tanto amore? – Faccio così perché ti voglio bene. – Mi vuoi bene? Ma tu non mi conosci. Chi ti ha insegnato a fare così? – Me l’ha insegnato il mio Dio. – Il tuo Dio? E come si chiama? – Il mio Dio si chiama Amore! – Fammelo conoscere, ti prego! – Tu già lo conosci. Nelle mie mani è Lui che ti accarezza, nei miei occhi è Lui che ti guarda, nel mio sorriso è Lui che ti sorride, nel mio cuore è Lui che ti ama.


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– Che bella notizia mi hai dato! Dio è Amore e io non lo sapevo. Grazie! Dio è Amore e io non lo sapevo! La donna lebbrosa, scartata anche dai figli, è morta con questa esclamazione sulle labbra: Madre Teresa, negli ultimi momenti della sua poverissima esistenza, l’ha rifornita di speranza… e così è andata incontro a Dio, che è Amore. Ognuno di noi, quando apre agli altri la finestra del proprio cuore, può ripetere l’esperienza di Madre Teresa: infatti, nella relazione sincera e generosa con il prossimo noi possiamo regalarci il passaggio di Dio che, dovunque passa, lascia la firma della gioia: la gioia è la firma del passaggio di Dio nell’apertura del nostro cuore verso gli altri. Grazie don Donato! Grazie per averci proposto un fondamentale pellegrinaggio: il pellegrinaggio dall’egoismo all’amore verso il prossimo! Un pellegrinaggio che tutti possiamo fare ogni giorno. Angelo Card. Comastri Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano



IN PRINCIPIO È LA RELAZIONE

Durante il giubileo della misericordia per le persone con disabilità, papa Francesco rispondendo a braccio alla domanda di una ragazza, Lavinia, che ha parlato della paura della diversità, così ha risposto: Tutti siamo diversi, non c’è uno che sia uguale all’altro e ci sono alcune diversità più grandi o più piccole, ma tutti siamo diversi. Perché abbiamo paura delle diversità? Perché andare all’incontro di una persona con una diversità grave è una sfida e ogni sfida ci dà paura, è più comodo non muoversi, ignorare le diversità, dire che tutti siamo uguali e se c’è qualcuno che non lo è lasciamolo da parte. Le diversità – ha continuato il Papa – sono proprio la ricchezza perché io ho una cosa tu un’altra e con queste due facciamo una cosa più bella e più grande. Un mondo dove tutti siano uguali sarebbe noioso! È vero che ci sono diversità che sono dolorose, tutti sappiamo, che hanno radice in alcune malattie ma anche quelle ci aiutano, ci sfidano e ci arricchiscono. Mai aver paura delle diversità, è proprio la strada per migliorare e essere più belli e più ricchi.


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E come si fa? Bisogna mettere in comune quello che abbiamo. C’è un gesto bellissimo che le persone fanno quasi incoscientemente, stringere la mano: quando io stringo la mano metto in comune quello che io ho con te, se è un stringere la mano sincero. Ti do il mio e tu dai il tuo e questo fa bene a tutti e mi fa crescere.

Mentre Francesco parlava a braccio, una bambina con sindrome di down è salita accanto a lui. «Questa è coraggiosa, questa non ha paura, lei rischia, sa che le diversità sono una ricchezza! Lei mai sarà discriminata, si sa difendere da sola», ha detto il Papa facendola sedere ai suoi piedi. Io ho un piccolo grande amico, il mio eroe. È diverso, nonostante i suoi 11 anni ancora non sa parlare. È difficile quando cerca il mio collo per un abbraccio e per dirmi nel modo più storpiato: Ti voglio bene. Non sa baciare come facciamo noi e non sa fare una carezza, ma si avvicina, ti stringe e appoggia la sua bocca sulla guancia. Ma da un po’ di tempo quando mi saluta, mi prende la mano e mi trascina verso chiunque mi è vicino e vuole che gli stringa la mano. È lui che avvicina e unisce, non permette l’estraneità. È qui il segreto della cura: la grande dignità di ciascuno a cui posso e devo stringere la mano. Ognuno nella sua diversità, nella sua fatica e incapacità, nelle sue imperfezioni può offrire quello che ha. Ti do il mio e tu dai il tuo e questo fa bene a tutti e mi fa crescere.


IN PRINCIPIO È LA RELAZIONE

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Questo tempo che viviamo con tutte le sue contraddizioni è un momento favorevole per favorire una cultura dell’incontro, una cultura della relazione, una cultura dell’empatia. Se vogliamo ricostruire il vivere insieme, dobbiamo riparare le fratture che si allargano sempre più. E se vogliamo riparare il mondo dobbiamo riparare le relazioni partendo dalla fiducia nell’uomo. Questi commenti ai vari brani della Sacra Scrittura costituiscono una specie di grammatica della relazione, una grammatica della semplicità e della bellezza da assaporare e vivere giorno per giorno. L’augurio è che diventi un percorso di apprendimento del “mestiere di uomo”, con la guida di Gesù, esperto in umanità. P. Alfredo Feretti omi direttore del consultorio “Centro la Famiglia” di Roma



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«AMATEVI GLI UNI GLI ALTRI CON AFFETTO FRATERNO» Lettera ai Romani 12,9

Dopo aver dettato le regole generali per vivere nella comunità san Paolo dice: «La carità non abbia finzioni, fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene» (Rm 12,9). Paolo nella lettera ai Romani passa a trattare concretamente la legge della carità e del bene. Il cristiano è stato costituito in Cristo figlio di Dio, quindi vero fratello di ogni altro cristiano. La parentela soprannaturale è molto più forte che quella naturale, e la famiglia dei figli di Dio ha una forza che la lega e la rende unita, più che la stessa forza che regola l’unione della famiglia secondo la carne. San Paolo vuole che i cristiani si amino gli uni gli altri con affetto fraterno. Prima di tutto c’è un cambiamento nella mente e nella coscienza. Questo cambiamento ce lo insegna lo stesso Cristo Gesù. «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli questi è mio fratello, mia sorella mia madre» (Mt 12,48-50). Se non partiamo da questa nuova realtà che si è creata nel battesimo, non comprenderemo mai niente


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del cristianesimo, perché esso è la religione che non solo ci lega a Dio, singolarmente, ma ci lega come famiglia di Dio, come veri fratelli gli uni degli altri. A questa nuova realtà che si è venuta a costituire nel battesimo deve necessariamente corrispondere una forma nuova di esistere e di vivere tra i cristiani; questa forma nuova è l’affetto fraterno che deve contraddistinguere il loro amore. Sono fratelli i cristiani, si devono amare da veri fratelli; ognuno deve dare la vita per l’altro; il fratello è infatti colui che dona la vita per l’altro. È questo il fondamento della possibilità della stessa Redenzione. Dio ci ha potuto redimere in Cristo Gesù, perché assumendo la nostra carne, il Figlio di Dio si è fatto anche figlio di Adamo, quindi nostro fratello; e, in quanto fratello, ha potuto dare la vita per il nostro riscatto. L’affetto fraterno è questo dono di vita per l’altro, simile al dono che ci ha offerto Cristo Gesù perché noi rientrassimo nella vita. L’amore degli uni verso gli altri con affetto fraterno deve essere un amore che crea la vita dell’altro, la redime, la santifica, la conduce fino alla perfezione e questo sia sul piano dello spirito come anche del corpo, perché l’affetto fraterno è per l’uomo e non per una parte di esso, per l’anima o per il corpo. Quello del cristiano è un amore che si dona, che dona se stesso e, nel donare se stesso, dona anche ciò che possiede. Cristo possedeva la pienezza di grazia e di verità e l’ha effusa sul mondo che lo circondava:


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sotto forma di insegnamento, ma anche di potenza di segni e di prodigi; possedeva la vita e questa ha offerto per la nostra redenzione; aveva una Madre e ce l’ha data come nostra Madre; anche il Padre suo ha dato a noi come nostro Padre e il suo Santo Spirito lo ha effuso su di noi perché noi potessimo con lui, alla sua scuola e sotto la sua guida, vivere tutta la potenza di grazia e di verità che si è riversata su di noi con il santo battesimo e che si attinge negli altri sacramenti, che giorno per giorno il cristiano celebra e vive nella Chiesa. Cristo Gesù aveva un corpo, aveva il sangue dentro questo corpo e l’ha reso eucaristia per noi. Così ci ha amato Cristo Gesù; questo ha fatto per noi che eravamo suoi fratelli, perché figli di Adamo, come Lui si è fatto figlio di Adamo. Ora egli che è Figlio di Dio ha fatto ciascuno di noi figlio di Dio, come egli è Figlio di Dio, perché in tutto come ha fatto lui facciamo anche noi. Perché non è del figlio di Adamo la possibilità di fare ciò che ha fatto Cristo, è solo del Figlio di Dio. Ma si è fatto figlio di Adamo perché solo così avrebbe potuto espiare per noi e liberarci dalla nostra morte eterna.


«GAREGGIATE NELLO STIMARVI A VICENDA» Lettera ai Romani 12,10

Oltre al dono che il cristiano fa di sé al proprio fratello, c’è anche un dono che egli deve accogliere. Per questo è necessario conoscere l’altro, sapere chi è e cosa Dio vuole da lui per se stesso e per noi. Quando si entra in questa conoscenza dello spirito dell’altro, che è poi conoscenza della volontà di Dio sull’altro, per noi e per lui stesso, ecco che accogliendo l’altro già si accoglie la volontà di Dio. Poiché il cristiano vive per accogliere la volontà di Dio, per farla in ogni sua manifestazione, egli è chiamato a prestare molta attenzione all’altro in quanto portatore di una volontà di Dio, che è anche volontà per noi. La santità è in questa accoglienza; e chi non accoglie l’altro nel suo dono di grazia non può raggiungere la santità: rimarrà sempre ai piedi del Calvario, ma mai potrà salire sulla croce della perfezione cristiana. Gareggiare nello stimarsi a vicenda deve voler pertanto significare una cosa sola: riconoscere pubblicamente il dono di Dio nell’altro e proclamarlo, divul-


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garlo, perché altri possano usufruirne per il miglior compimento della volontà di Dio in ordine alla vocazione, la quale non può mai essere espletata in tutta la sua portata, senza l’accoglienza del dono del fratello, o meglio, dei doni dei fratelli. Gareggiare deve essere pertanto stile dei cristiani, i quali sanno che sopra ognuno di loro vigila il Signore; è lui che governa la vita di tutti; è Lui che elargisce doni in vista del bene della comunità. Se riusciremo a entrare in questa nuova mentalità, la comunità cristiana crescerà nell’armonia e nella pace, perché ognuno in essa potrà vivere il proprio carisma accogliendo il carisma degli altri, necessario per la vita bene ordinata del proprio dono. È questo un cammino sul quale necessariamente ogni comunità dovrà inserirsi, altrimenti si rischia l’impoverimento, che nasce sempre dalla non accoglienza dei doni e che porta al disfacimento spirituale e morale, se non alla morte spirituale delle comunità stesse. Viviamo in un clima in cui sembra che l’applicazione più importante debba essere quello di denigrare il prossimo. Basta una parola interpretata male, a muovere immediatamente la “polemica”: sembra che tutti giochino in difesa. Oppure basta un minimo sospetto per ingigantire il tutto e far diventare quella tal persona un mostro. Per non parlare poi del godimento interiore dei vari mass-media che, se non hanno da abbattere qualcuno, non si sentono a posto in coscienza. E così nascono le guerre tra i poveri, gli insulti tra gli intellettuali e politici, il disprezzo per chi non la pensa uguale.


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Questo lo dicevano già i latini: homo homini lupus (l’uomo è lupo per l’uomo). Tutti ci accorgiamo della diffidenza che cresce nei nostri rapporti, del gusto nel sottolineare gli aspetti negativi delle persone vicine, nell’essere meno sereni e più istintivi nel parlare con chiunque si incontra. È il clima pesante e irrespirabile che rende il nostro quotidiano, a volte, cupo e triste. Invece di far la gara a “chi la spara più grossa”, facciamo la gara a chi “scopre la cosa più bella”. Ci vorrà certamente più tempo, più coraggio, ma senz’altro scopriremo che nel mondo il bene stravince sul male.


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