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STORIA

CONQUISTA FASCISTA: NEL 1922 RAVENNA VIVE UNA DRAMMATICA SETTIMANA DI SCONTRI

DI ANDREA CASADIO - FOTO FONDAZIONE ORIANI

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Nella storia di Ravenna del Novecento un posto di primo piano è rivestito dagli eventi che esattamente un secolo fa, nell’estate del 1922, portarono alla conquista della città da parte dei fascisti, al termine di una drammatica settimana densa di colpi di scena dagli esiti talora tragici. A dispetto dell’origine romagnola di Mussolini, il fascismo, nato a Milano nel 1919 e molto forte a Bologna e a Ferrara, al di qua del Sillaro aveva attecchito tardivamente e con grande difficoltà. A Ravenna la prima sezione del partito era stata fondata solo nel marzo del 1921, e nel settembre successivo le celebrazioni del centenario dantesco avevano fornito l’occasione per una prima prova di forza, con l’afflusso in città di 3.000 camicie nere bolognesi e ferraresi che avevano dato l’assalto alla sede della Camera del lavoro. Uno dei motivi che in Romagna inibivano lo sviluppo del fascismo era la presenza di un movimento politico solido e ben organizzato come quello repubblicano, che già rappresentava quelle istanze nazionali e antisocialiste altrove incarnate dalla camicie nere, occupandone di fatto lo spazio politico. Anche i socialisti, da parte loro, potevano contare su una struttura economico-sociale particolarmente solida, sulla quale troneggiava la Federazione delle cooperative di Ravenna, l’imponente organismo costituito vent’anni prima da Nullo Baldini. D’altra parte, tanto i repubblicani quanto i socialisti avevano alcuni gravi elemen- ti di debolezza: i primi, per la divisione fra una fazione nettamente antifascista e una invece più disposta a venire a patti con le camicie nere; i secondi, danneggiati dalla recente scissione a sinistra che aveva dato vita al partito comunista. Consapevoli di queste difficoltà, e del fatto che la forza dei due movimenti di massa poggiava soprattutto sulla rete sindacale e cooperativa, i fascisti decisero allora di impegnarsi nella costituzione di organismi propri, in grado di diventare – per usare le parole del loro capo Giuseppe Frignani – il cavallo di Troia che avrebbe abbattuto la fortezza avversaria a Ravenna, e con essa in tutta la Romagna. L’operazione ebbe inizio nell’estate del 1922 con la fondazione di un sindaca- to di birocciai (il corrispettivo di quello che oggi è il cruciale settore dell’autotrasporto) autonomo rispetto a quelli esistenti e che, a discapito di questi ultimi, ottenne dai proprietari terrieri l’esclusiva di un nuovo contratto di lavoro. Per tutta risposta, socialisti e repubblicani proclamarono per il 26 luglio uno sciopero generale di protesta. Preoccupato per il pericolo per l’ordine pubblico che questo comportava, il prefetto imbastì subito una mediazione, che difatti portò a un accordo la sera del 25. Ciò nonostante i dirigenti sindacali non annullarono lo sciopero, desiderosi di dare una dimostrazione di forza attraverso l’imponente afflusso di manifestanti previsto per l’indomani. Decisione quanto mai infelice. Quando, infatti, quella mattina migliaia di dimostranti scesero in città, in borgo S. Biagio non tardarono a scoppiare violenti scontri, che ebbero come esito la morte di nove manifestanti e del capo del sindacato fascista, Giovanni Balestrazzi. Tali fatti erano di per sé i più gravi accaduti in Romagna dai tempi del Risorgimento, ma non era che l’inizio. A sera, infatti, 2.000 fa- scisti bolognesi e ferraresi affluirono a Ravenna sotto la guida di Italo Balbo. Il pomeriggio del 27 alcuni manipoli occuparono la Casa del popolo repubblicana (l’antico palazzo Spreti di via Paolo Costa) minacciando di darla alle fiamme. Cosa che invece fecero senza remore quella notte stessa con la sede della Federazione delle cooperative, un vecchio palazzo dei Rasponi già sede del lussuoso hotel Byron, simbolo della forza morale e materiale della creatura di Nullo Baldini.

LO SVILUPPO DEL FASCISMO IN ROMAGNA È STATO TARDIVO GRAZIE ALLA PRESENZA DI UN MOVIMENTO POLITICO SOLIDO COME QUELLO REPUBBLICANO, OLTRE A QUELLO DEI SOCIALISTI CHE POTEVANO CONTARE SU UNA STRUTTURA ECONOMICO-SOCIALE PARTICOLARMENTE SOLIDA. MA NON MANCAVANO LE DEBOLEZZE.

L’edificio subì danni irreparabili,e qualche anno dopo, sulle sue macerie, venne costruito l’attuale palazzo della Provincia. Oggi, una muta testimonianza di quell’evento resta il registro dei verbali del consiglio d’ammini- strazione miracolosamente sopravvissuto al rogo, conservato nell’archivio della Federazione, le cui pagine dai bordi anneriti dal fuoco è tuttora impossibile sfogliare senza emozione. Colpiti a morte i socialisti, anche all’interno dei repubblicani, con gli antifascisti che avevano avuto la loro chance e l’avevano fallita, gli equilibri mutarono velocemente. La mattina del 28, in municipio, i principali dirigenti della Romagna e il sindaco Fortunato Buzzi firmarono un concordato con i fascisti, che si impegnavano a restituire incolume l’edificio della Casa del popolo e accettavano una generica pacificazione con il PRI. Ma non era ancora finita. Al termine di una nottata di incursioni nella roccaforte socialcomunista del borgo S. Rocco, la mattina del 29 venne ucciso in un agguato il giovane fasci- sta ferrarese Aldo Grossi. Questo diede il via all’ultimo atto di quella drammatica settimana. Dopo avere devastato i circoli socialisti dei sobborghi cittadini, le squadre nere partirono in camion in una spedizione, rimasta agli annali col nome di colonna di fuoco, che nel corso dei due giorni seguenti disseminò i bagliori delle distruzioni in circoli e cooperative di centri grandi e piccoli fino al Riminese e alle colline. A questo punto, l’offensiva fascista aveva conseguito il suo obiettivo. Dopo la marcia su Roma e l’ascesa di Mussolini al governo, in autunno, anche i repubblicani e gli altri avversari dei fascisti (emblematico al riguardo l’assassinio di don Minzoni nel 1923) furono ridotti all’impotenza. Superate le ultime convulsioni del delitto Matteotti, anche Ravenna e la Romagna, ormai ‘normalizzate’, avrebbero infine seguito il destino comune del resto d’Italia nella parabola ventennale della dittatura.