Web Album N°1, Karl Lagerfeld: the issue

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karl lagerfeld durante il finale della sfilata chanel haute couture fall-winter 2010/11

MF fashion Web Album n.1 - Luglio 2019 - Reg. al Trib. di Milano n. 87 del 10.03.2016 - Direttore responsabile ed editore Paolo Panerai - Direttore Stefano Roncato giovedĂŹ 4 luglio 2019 I MF fashion

KARL LAGERFELD the issue


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il finale della celebrazione per karl lagerfeld al grand palais di parigi

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Claudia Schiffer

Pharrell Williams. (Courtesy Alex Marnat)

l’evento celebrativo per karl lagerfeld al grand palais di parigi. (courtesy olivier saillant)

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Karl for ever

Un mega-evento al Grand Palais per celebrare il designer tedesco scomparso da quattro mesi. Uno show di due ore con video e interviste da Alain Wertheimer a Bernard Arnault, performance live di Tilda Swinton, Fanny Ardant, Cara Delevingne, Helen Mirren, Charlie Siem e Pharrell Williams. Davanti a un parterre di stilisti, modelle e attrici, tra Brigitte Macron, Anna Wintour e Carolina di Monaco. Stefano Roncato

inès de la fressange

un’immagine di karl lagerfeld esposta all’evento karl for ever

E nel finale il palco viene animato anche da una canzone interpretata da Pharrell Williams, che chiama una standing ovation prima di lasciare ancora una volta la parola a Karl in una serie di fuorionda che raccontano il suo spirito ironico. Quello spirito sottile raccontato nel mini-movie dai ricordi di Anna Wintour o Valentino Garavani, di Alain Wertheimer, Bruno Pavlovsky, Bernard e Delphine Arnault, Carolina di Monaco, Silvia Venturini Fendi, Claudia Schiffer, Monica Bellucci e Vanessa Paradis, Maria Grazia Chiuri, Kris Van Assche e Pietro Beccari. Il tutto di fronte a una prima fila dove i flash si infiammano per Brigitte Macron. Un parterre d’eccezione che ha visto anche François Henri Pinault, Alessandro Michele, Rosita Missoni, Pierpaolo Piccioli e Stefano Sassi, Tommy Hilfiger, Ralph Lauren, Stella McCartney, Simon Porte Jacquemus e Dries Van Noten. Apparsa sul grande schermo assieme alla sua governante, Françoise, live mancava solo Choupette. Forse. (riproduzione riservata) Anna wintour e bruno pavlovsky

«Q

uello che vedi è quello che avrai». Una frase lapidaria, ironica, tranchant, di quelle cui aveva abituato il suo pubblico. È lo stesso Karl Lagerfled a parlare dal grande schermo. Da uno dei tre mega screen montati all’interno del Grand Palais, allestito con tanti noti ritratti, per la celebrazione del designer a quattro mesi dalla sua scomparsa. Le tre grandi maison alle quali rimane legato il nome del grande stilista, Chanel, Fendi e il brand che porta il suo nome, da lui fondato, gli hanno reso omaggio con uno show di quasi due ore creato e diretto dal regista Robert Carsen, cui hanno partecipato circa 2.500 persone. Mr Lagerfeld avrebbe apprezzato lo spirito dell’evento, dal ritmo televisivo poco nostalgico ma più divertente che ha mescolato filmati, interviste, a performance live di amiche come Tilda Swinton che interpreta Orlando, Fanny Ardant o Cara Delevingne. Ma anche danza, quel tango argentino che piaceva al kaiser della moda o anche un duetto inedito di parole e note tra Helen Mirren e il violinista Charlie Siem.


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il finale dello show chanel spring-summer 2013

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Wonders of Chanel Sotto il regno di Karl Lagerfeld gli show set della maison della doppia C hanno sempre sedotto per opulenza e stravaganza. Con architetture come opere ingegneristiche o come paesi delle Meraviglie sui generis


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Karl lagerfeld al finale della sfilata CHANEL spring-summer 2012

il finale della sfilata CHANEL haute couture fall-winter 2010 (foto trattA dal libro: chanel sfilate)

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Il finale della sfilata CHANEL spring-summer 2003 (foto trattA dal libro: chanel sfilate)

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il finale della sfilata CHANEL fall-winter 2017/18

il finale della sfilata CHANEL autunno-inverno 2008/09 (foto trattA dal libro: chanel sfilate)

Il finale della sfilata CHANEL fall-winter 2013/14

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E Lagerfeld creò Chanel

Ha ridefinito un linguaggio e rilanciato la maison negli anni dell’edonismo, infiammando i red carpet e vestendo star e principesse di tutto il mondo Così il creativo ha cambiato la moda e ne è stato l’indiscusso leader daroba della doppia C inizia a infiammare il red carpet, indossato da star e principesse. Fan e giornalisti si contendono gli inviti per assistere alle sfilate couture, per le quali Karl immagina scenografie da colossal americano, sotto la volta del Grand Palais o in località originali e inedite. «Sono show molto intelligenti. Lagerfeld riesce a comunicare un’immagine della maison chiara, precisa, grintosa. C’è anche provocazione ma, visto che si tratta di giocare, c’è una logica nel citare il supermercato o le manifestazioni femministe. Dipinge un quadro impressionista, ma in movimento», analiz-

za la storica dell’arte e della moda Audrey Millet. I ritmi delle collezioni si intensificano: couture e prêt-à-porter ma anche crociera, métiers d’art e due pre-collezioni. Ogni sfilata si conclude con il suo saluto al braccio di una modella o accompagnato dal giovane figlioccio Hudson. Salvo quella del 22 gennaio 2019, quando, al termine dello show ispirato al XVIII secolo, viene annunciato che il creativo, molto stanco, non uscirà a salutare il pubblico. Al suo posto appare Virginie Viard, «il braccio destro e sinistro» di Karl (come lui stesso affermava), che ha cominciato a collaborare con

il Kaiser dal 1987, diventando successivamente direttrice di studio. Oggi «promossa» alla direzione creativa, afferma: «Lagerfeld è stato l’incontro della mia vita. Quando l’ho visto per la prima volta ho sentito subito che tra noi la corrente passava bene». Sul filo dell’ascesa di Chanel il personaggio del divo Karl si affina e si completa: occhiali neri, l’immancabile ventaglio, gli slim rock (per indossare i quali ha perso più di 40 chili) magari disegnati dall’amico Hedi Slimane. Nell’ambito del suo sodalizio con Chanel si circonda da muse che diventano a loro volta ambasciatrici della maison: Inès de la Fressange, la prima, ma anche Claudia Schiffer, Vanessa Paradis, Anna Mouglalis e in tempi più recenti Lili-Rose Depp, Kristen Stewart, Cara Delevingne o Kaia Gerber. È lui stesso, dal 1987, a scattare le foto delle campagne. «Il Lagerfeld fotografo nasce da una costola dello stilista», scrive Patrick Mauriès nell’introduzione al libro Chanel. «La campagna di Karl Lagerfeld come effetto collaterale del suo arrivo in Chanel ma anche dell’ingresso in azienda di un nuovo direttore immagine, Eric Pfrunder, che diventerà il più stretto collaboratore in questo campo». In altre parole, come conclude Mauriès, «Lagerfeld gode del raro privilegio di creare sia l’oggetto che il discorso sull’oggetto, sia il dipinto che la cornice». (riproduzione riservata) DA SINISTRA, VIRGINIE VIARD, KARL LAGERFELD E HUDSON KROENIG

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a Chanel, Lagerfeld è arrivato, in punta di piedi, nel 1982. Le prime creazioni sono state realizzate quando era ancora sotto contratto da Chloé. «Non si doveva sapere che nel contempo aveva cominciato a lavorare altrove. Il suo assistente era Hervé Leger. «Lui operava sui disegni del maestro e poi Karl, la sera, veniva di nascosto in rue Cambon per le verifiche», racconta il giornalista e regista Laurent-Alain Caron, autore del libro Le mystère Lagerfeld. È stata una scelta coraggiosa: il brand francese stava perdendo velocità, i capi suscitavano l’interesse di un pubblico classico e poco incline alle novità. «Nessuno voleva metterci le mani, ricorda il couturier, era un caso disperato…». Eppure questo cambio di rotta sarà il trampolino che lo proietterà sotto i riflettori internazionali, l’ingresso in quel pantheon fashion riservato ai più grandi. «Aveva un talento particolare per andare a cercare negli archivi i codici delle maison per poi renderli attuali; la sua forza non era legata a un tipo particolare d’abito, ma a far durare le marche», aggiunge il biografo. Lavorando sul patrimonio della maison della rue Cambon, Karl è riuscito infatti, collezione dopo collezione, a ridefinirne il linguaggio stilistico, a modernizzarne i codici legando il suo nome alla marca con una forza quasi pari a quella della sua fondatrice. Non più appannaggio della «borghese» di mezza età, il guar-

Silvia Manzoni


un look chanel s-s 2006

un look chanel f-w 2007/08

Un look chanel s-s 2017

un look chanel f-w 2016/17

Un look chanel s-s 2019

Il finale dello show Chanel spring-summer 2006

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Karl e Fendi:

54 anni di cammino proiettati al futuro Una collaborazione dalla durata-record ha unito il creativo alla casa di moda romana. Fu lui a disegnarne il logo e a lanciare il fur della maison verso traguardi di modernità «Da lui ho imparato tutto», ha detto Silvia Venturini Fendi

il finale della sfilata fendi spring-summer 2007 sulla grande muraglia cinese

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Noami campbell in un look fendi spring-summer 1992

sketch di palazzo fendi disegnato da karl lagerfeld

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n aggiunta all’evento del 20 giugno al Grand Palais, Fendi rende omaggio a Karl Lagerfeld il 4 luglio con una grande sfilata a Roma, nella quale si avvicendano le creazioni più emblematiche di 54 anni di collaborazione creativa. Una celebrazione che fa eco allo show (il primo co-ed) di Shanghai, che ha riunito 600 ospiti al Powerlong Museum, un innegabile tributo al genio di Kaiser Karl, «che avrebbe amato questo spazio avveniristico, lui che era sempre proiettato nel futuro», come ha sottolineato Silvia Venturini Fendi. Quando, più di mezzo secolo fa, il giovane Karl venne chiamato da Fendi, si era già formato a Parigi all’ombra della grande tradizione fashion parigina; era, inoltre, già passato per Balmain e Patou. La Casa romana cercava un direttore artistico che desse nuovo slancio al settore l’aveva resa celebre, quello delle pellicce. È il 1965 e qui comincia il più lungo sodalizio tra un brand di moda e un direttore creativo. Karl ha raccontato così l’incontro con le cinque sorelle: «Mi chiesero di creare una mini collezione di pellicce moderne. Io, però, volevo che fossero anche divertenti, perché la giocosità è uno dei codici di questa griffe». Karl si è appropriato dell’iniziale della maison, l’ha rovesciata e le ha dato una valenza gemellare: la doppia F sta per «fun fur», la pelliccia divertente, ma diventa quasi subito anche un codice di lettura del brand. Un logo grafico e moderno che, come amava raccontare, «è stato disegnato in meno di cinque secondi». L’intuizione di genio si trasmette alle collezioni. Più leggere, con un pizzico di irriverenza, liberate dalle pesanti fodere riflettono gli ideali di una società in piena mutazione, che aspira a una più grande libertà e non rinnega una certa spregiudicatezza. Negli anni Settanta è stato lui a inventare il mantello di visone, a giocare con i contrasti tra simmetrie e asimmetrie. Nel 1977 ha fat-

XV to entrare il marchio nel prêt-à-porter con una collezione creata sfruttando il knowhow degli atelier di couture. Il seguito è altrettanto esaltante: una pelliccia gonfiabile «antifreddo», oppure variopinta come un affresco. Se gli anni 90 richiedono un’attitudine più misurata e minimal, nel decennio successivo Fendi è tornata a sperimentare con i materiali e le forme. Nel 2008, Karl Lagerfeld si è trasformato in alchimista rivestendo la pelliccia di molecole d’oro 24 carati in fusione. Nel 2015, per festeggiare i 50 anni di matrimonio, le modelle hanno spiccato il volo come uccelli avvolte in pellicce di visone e petali d’organza in tinte pastello. Karl ha lanciato il concetto di Haute fourrure e fatto entrare per la prima volta Fendi nella Fashion week dell’Alta moda di Parigi. La collaborazione con il designer tedesco ha portato alle stelle il marchio romano, che nel 2007, allestendo una passerella sulla Grande Muraglia cinese, è entrata nella storia per aver organizzato «la prima sfilata visibile dalla luna». «Ero una bambina quando l’ho visto la prima volta, ha raccontato Silvia Venturini Fendi, «il nostro rapporto era speciale, apprezzavo la sua cultura. Musica o cinema, sapeva tutto. Quando arrivava, in casa c’era grande eccitazione e vedevo mia madre felice. Restavo ore seduta al tavolo a osservarlo: quello che riusciva a fare con una matita era magico. Da lui ho imparato tutto… e soprattutto a esigere sempre di più e a pensare fuori dagli schemi». Alla maison romana Lagerfeld ha lasciato, come ha sottolineato Bernard Arnault, ceo di Lvmh (di cui Fendi fa parte), «un eccezionale heritage creativo» ed è su quello che si proietta l’avvenire del brand. «Karl mi ha insegnato a guardare al futuro, ha aggiunto Venturini Fendi, «Appena conclusa una sfilata la sua prima frase era: now number next». (riproduzione riservata) Silvia Manzoni

Un’immagine della mostra di fendi «un percorso di lavoro, fendi e karl lagerfeld» del 1985

il finale della sfilata fall-winter 2016/17 per i 90 anni di fendi

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il finale della sfilata fendi fall-winter 2015/16

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Celebrity fur sharon stone con una pelliccia fendi al palazzo fendi nel 2005

Se dal 1925 la pelliccia di visone ha fatto da fil rouge alle creazioni firmate Fendi, è con l’arrivo di Lagerfeld che queste diventano couture, entrando nei set dei film più celebri e vestendo le attrici più idolatrate

rita ora indossa un astuccio fur coat di fendi

Monica vitti con una pelliccia fendi nel 1969

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Grace jones indossa una pelliccia fendi negli anni 80

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un momento del film gruppo di famiglia in un interno, silvana mangano indossa una pelliccia fendi, 1974

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Un bozzetto disegnato da karl lagerfeld per fendi fall-winter 1970/71

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un bozzetto disegnato da karl lagerfeld per fendi fall-winter 2013/14

un bozzetto disegnato da karl lagerfeld per fendi fall-winter 2013/14

un bozzetto disegnato da karl lagerfeld per fendi spring-summer 2007

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un bozzetto disegnato da karl lagerfeld per fendi fall-winter 2010/11

un bozzetto disegnato da karl lagerfeld per fendi fall-winter 2014/15

un bozzetto disegnato da karl lagerfeld per fendi spring-summer 1985

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Drawing affairs Per ogni vestito, un bozzetto. Kaiser Karl ha ridisegnato il futuro di Fendi. Su carta, letteralmente


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Fendi, Karl and I

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silvia venturini fendi e karl lagerfeld assieme a fendi rumi nello showroom di milano della maison

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una campagna di fendi fall-winter 1967/68 con la piccola silvia

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Silvia Venturini Fendi: «Da Lagerfeld ho imparato a pensare fuori dagli schemi»

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iciannove anni di lavoro insieme fianco a fianco, da quel 1992, quando Silvia Venturini Fendi è entrata ufficialmente nel team creativo della maison Fendi. In realtà già da bambina giocava con Karl Lagerfeld, membro della famiglia Fendi per 54 anni. A Shanghai, a raccogliere gli applausi a fine show, è uscita lei, illuminata da un occhio di bue. Con ben chiari

in testa gli insegnamenti di Kaiser Karl. «Che cosa mi ha insegnato? Tutto», ha spiegato la designer, oggi ufficialmente direttore creativo uomo, bambino e accessori donna della maison di Lvmh. E se dovesse scegliere i tre fondamentali che ha imparato lavorando con Karl Lagerfeld? «Prima di tutto a volere sempre di più. Karl si annoiava a una velocità supersonica e una della cose più importanti per lui era

creare ogni volta qualcosa che lui stesso non avesse mai visto. Ho imparato da lui a chiedere e chiedermi sempre di più», ha spiegato. «E poi a pensare fuori dagli schemi. Lui è stato capace di trasformare un capo come la pelliccia in qualcosa di completamente diverso, nuovo e contemporaneo. Se devo scegliere un terzo insegnamento direi che Karl mi ha insegnato a guardare sempre al futuro», ha concluso.

«La nostra storia fa parte del nostro Dna ma siamo un’azienda fortemente proiettata al futuro, ed è sempre stato così fin dagli inizi. Karl detestava letteralmente il passato, per noi gli archivi non sono uno strumento per la creatività, come magari fanno altri. Appena conclusa una nuova sfilata la prima frase di Karl era: now number next». (riproduzione riservata)

Giampietro Baudo


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Silvia venturini fendi e karl lagerfeld al finale dello show fendi spring-summer 2008

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in edicola con

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due cover esclusive, un unico titolo: the wowness conversazioni per raccontare il wow factor dei protagonisti che stanno segnando il fashion system worldwide. veronica etro di etro negli scatti di kevin tachman e marco de vincenzo ritratto da daniele la malfa

woman fall-winter 2019/20 trends

interview

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lucinda chambers, kristin forss e molly molloy @ colville

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è un magazine


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Veronica Etro tra modelle vestite Etro. Foto Kevin Tachman

Marco De Vincenzo tra modelle in Marco De Vincenzo f-w 2019/20. Foto Daniele La Malfa


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Lagerfeld secondo

Lagerfeld Lanciò il suo brand negli anni 80 e a fine anni 90 lo rifondò istituendo così le iconiche silhouette in bianco e nero e alimentando il suo personaggio dai risvolti Pop. Da Carine Roitfeld a Olivia Palermo, oggi l’entourage del Kaiser celebra la sua eredità creativa attraverso numerose capsule co-firmate

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arl Lagerfeld è stato celebrato anche all’ultimo Pitti uomo, attraverso una serie di eventi (tra questi, una performance dello street-artist londinese Endless e l’edizione speciale di 50 T-shirt alla sua effigie), «che riflettono il contributo pioneristico e iconico al design di Lagerfeld», come ha sottolineato Pier Paolo Righi, amministratore delegato del marchio creato dallo stilista tedesco nel 1984. A quell’epoca Lagerfeld era da poco stato arruolato da Chanel e aveva già vent’anni di collaborazione con Fendi. Ma si sentiva pronto per una nuova esperienza creativa. Malgrado l’impegno, i primi anni di vita della label sono stati turbolenti, le vendite non decollavano e negli anni 90 l’attività è cessata. Ma Karl non ha rinunciato: eccolo tornare alla carica con Lagerfeld gallery, installata a Saint Germain des Prés, suo quartiere di predilezione. Una gallery dove Karl ha esposto le sue foto e messo in vendita una selezione di libri d’arte (in Germania è anche editore) e che nel 1998 ha accolto la nuova linea di prêt à porter. La prima sfilata viene organizzata nel 2000, ma quattro anni dopo la società e i negozi (quello di Parigi e quello di Montecarlo) vengono ceduti a Tommy Hilfiger, anche se Lagerfeld continua ad assicurarne la direzione artistica. «Disegno come respiro, rispondeva a chi gli chiedeva come facesse a occuparsi di tante linee diverse. Non si respira su richiesta, è una cosa naturale». Nel 2006 con un nuovo partner finanziario, il fondo Apax partners, il creativo riparte da Parigi; esce la linea K, destinata alla donna ma anche all’uomo (con l’idea di un’interscambiabilità dei capi), che sfila a Barcellona alla fiera Bread & Butter. Il filo conduttore è una silhouette longilinea, con

slim scuri portati con camicie e top bianchi. Nel 2013, davanti a una folla di fan entusiasti lo stilista ha inaugurato una modernissima boutique su boulevard Saint Germain (a pochi passi dallo showroom). Al piano terra, accessori e gadget con il suo profilo, al primo piano il prêt-à-porter. Oggi la label, che si posiziona su un registro di lusso accessibile, conta un centinaio di monomarca, è presente in numerosi multimarca e il sito di e-commerce è attivo in 96 Paesi. Le redini stilistiche sono tenute da Hun Kim, che lo stesso Karl aveva designato nel 2015. Come consulente artistica è di recente arrivata l’ex direttrice di Vogue Carine Roitfeld, grande amica dello stilista, che nel prossimo novembre firmerà la capsule Karl according to Carine. La label stringe partenariati creativi con brand e nomi di successo. Tra le più recenti, la capsule lanciata a Parigi con Kaia Gerber (Karl Lagerfeld x Kaia) lo scorso autunno, che ha segnato una delle ultime apparizioni pubbliche dello stilista, a fianco della giovane top-model. All’ultimo Pitti è stata anche presentata un’edizione della collezione maschile Sébastien Jondeau, bodyguard e assistente personale di Karl Lagerfeld, nominato ambassador del menswear per la stagione primavera 2020. Il 27 giugno è arrivata invece nei negozi la collezione Karl Lagerfeld styled by Olivia Palermo, nella quale l’influencer reinterpreta 24 pezzi della collezione autunnale, a cui si aggiungono cinque modelli su misura. Il brand cresce a due cifre (+40% nell’anno conclusosi il 30 marzo) e, come ha dichiarato a MFF Pier Paolo Righi, «siamo molto orgogliosi di portare avanti l’eredità di Karl come custodi del suo nome e della sua memoria». (riproduzione riservata) Silvia Manzoni

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Kaia gerber in uno scatto di karl lagerfeld

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olivia palermo in un look karl lagerfeld x olivia palermo

Karl Lagerfeld e Carine roitfeld

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Intervista tratta da MFF-Magazine For Fashion 54, luglio 2009

How to be Karl Lagerfeld «Non mangio, non bevo, non sono umano». Parole dell’instancabile guru della creatività. Che sul menswear ha le idee chiare: «Non uso quello che disegno… sembrerei mia madre». Stefano Roncato

un ritratto di karl lagerfeld

alla mente con la loro funzione di totem ipervisivi. Senza sosta, quindi. «Se prendo mai una pausa? Le vacanze sono per chi fa otto ore al giorno, la stessa cosa in una fabbrica. Sono fortunato che non devo farlo». Come vede la moda maschile? Mi piace il menswear ma non uso mai quello che realizzo io. Sa perché? Sembrerei mia madre. Posso solo indossare quello che fanno gli altri. Compro Dior homme. Compravo molto Margiela, che adesso è cambiato. Mi piace Tom Ford, mentre il fit di Thom Browne non è adatto a me. Apprezzo molto la label belga Les hommes. E poi Mastermind, Undercover e, finché c’era, anche Number nine. Qual è il suo concetto di fashion oggi? Mi piace la moda perché rappresenta il tempo. Qual è la prima cosa che ti viene in mente quando pensi a un momento storico? Difficilmente si parla di filosofia, ma di abiti. Che sono il riflesso più veloce di un periodo. Cosa ne pensa dei nuovi talenti? È amico di stilisti giovani… Sono interessanti. Penso che sia un buon momento nella moda. Mi piace quello che fa Riccardo Tisci, mi piace Stefano Pilati. E per non parlare solo di italiani, apprezzo Nicolas Ghesquière e Olivier Theyskens. È una bella generazione, sono persone stimolanti e divertenti.

Come riesce a dividersi tra Chanel, Fendi, la sua linea e tutti gli altri progetti? Sono professionale. Non faccio nient’altro. Non mangio, non bevo, non prendo droghe, non sento stanchezza. Se gli altri hanno debolezze, io non le ho. Non sono umano. Ma le piace di più dirigere, disegnare, fotografare? Mi piace tutto, ma per realizzare un film ci vuole tanto tempo. Quante persone lavorano nel suo team? È grande, huge. Ma non ho un ufficio stile che sforna i disegni per poi farmeli scegliere, sono io che realizzo direttamente gli schizzi di tutto. Il risultato può essere buono o sbagliato. Ma sono io. Il mio problema è che non sono interessato all’attività di qualcun altro, ma a quello che faccio io. Il mio lavoro è doing for doing, non fermarsi su quello che è stato realizzato. Niente rispetto, odio il mio passato. Preferisco godermi il tempo che rimane. Che cosa le è rimasto da fare? Non c’è abbastanza tempo per poter fare tutto quello che voglio. Dopo la sfilata della croisière a Venezia, dove porterà Chanel? La prossima tappa sarà Shanghai, il viaggio che Chanel non ha mai fatto. Stiamo già preparando il nuovo film per novem-

karl lagerfeld in un’opera dell’artista endless

«M

i ricordo di quando ero umano. E non era così bello». Tranchant, affilato, definitivo. Ma anche ironico, affascinante e incantatore. Karl Lagerfeld è come un caleidoscopio della moda. Parla macinando visioni e riferimenti, dà indicazioni in francese, risponde in inglese, accenna in italiano quando si parla d’arte. Discute con gli assistenti durante un fitting e allo stesso tempo racconta di come ha realizzato le sue ultime foto. Senza soluzioni di continuità. Come accade nella sua idea di moda, ricca di contaminazioni testimoniate anche dai suoi interessi multitasking, legati a tutte le arti. Ma anche intuizioni più pop come disegnare per primo una linea fast fashion con H&M, prestare la voce per un cartoon come Totally spies o finire sulle confezioni di un dolcificante, dopo la sua celebre dieta per entrare negli abiti di Dior homme. Ma in fondo si tratta di un’icona capace di rinnovarsi, visto che Lagerfeld è sempre sulla cresta dell’onda dividendosi tra gli impegni più consolidati di Chanel e Fendi e della sua linea di abbigliamento. E dopo aver portato la maison della doppia C a sfilare sul Lido di Venezia in un défilé memorabile, ha spruzzato su Parigi il suo verbo couture con una passerella d’alta moda dalla scenografia imponente: gigantesche bottiglie di Chanel N° 5, riportate

bre. Vogliono che vada a Shanghai a dicembre con un evento. Una collezione Paris-Shanghai? Vedremo. Nuovi progetti legati all’arte? Il dramma è che molti, troppi del mondo fashion, si vogliono occupare d’arte. Con Chanel per esempio, preferiamo concentrarci sulla moda. Provocatoriamente dico che sia meglio vendere borsette che aprire un museo. Per quanto mi riguarda, sono stato protagonista di un’exhibition di fotografie a Basilea dal titolo «Modern mithology». Molto incentrata non sulla fotografia fashion, ma su quella astratta. C’è un personaggio che considera davvero elegante? Non faccio nomi perché poi quelli che non cito... Per la moda maschile basta una considerazione estetica. Sono stanco di tutti quelli skinny boys che abbiamo visto per gli ultimi dieci anni. C’è un nuovo ragazzo, un nuovo modello 19enne che ha lavorato con Stephen Gan. Ha un vero dono per la macchina fotografica. Ed è così, o ce l’hai o non ce l’hai, soprattutto per i modelli. Un giudizio senza possibilità d’appello… In fondo questo non è un lavoro basato sulla giustizia. Devi accettare che tutto dipenda non dalla tua scelta ma dalla scelta di altri. Sempre che tu voglia stare nella moda. So no, nel mondo ci sono altri lavori. (riproduzione riservata)


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karl lagerfeld al finale della sfilata chanel spring-summer 2016

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Le donne di Karl

Ogni capitolo della vita dello stilista tedesco è stato scandito dalla presenza di top model e muse particolari, che lui stesso invitava a sfilare, che fotografava e alle quali chiedeva consigli sulle ultime tendenze in fatto di moda. Angelo Ruggeri


MF fashion karl lagerfeld e inès de la fressange al finale dello show chanel spring-summer 2011

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Linda evangelista in un look chanel fall-winter 1991/92 (foto trattA dal libro: chanel sfilate)

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«K

arl era la mia polvere magica, mi ha trasformato da una timida ragazza tedesca in una supermodella. Mi ha insegnato la moda, lo stile e come sopravvivere nel mondo della moda. Quello che Andy Warhol era per l’arte lui lo era per la moda. È insostituibile. È l’unica persona che poteva rendere il bianco e nero pieno di colore. Gli sarò eternamente grata». Proprio con queste parole la top model Claudia Schiffer ha salutato su Instagram Karl Lagerfeld, lo stilista di Chanel e Fendi recentemente scomparso. Il suo rapporto con il Kaiser della moda risale a molti anni fa, quando la modella divenne musa, amica e soprattutto protagonista delle sfilate del direttore creativo tedesco. Lagerfeld, come molti suoi colleghi, ha sempre avuto un rapporto splendido con le sue modelle, che lui definiva: «Le sue donne», sorridendo. Erano fonte di ispirazione, a volte di conforto e spesso anche confidenti. A loro chiedeva consigli sulle tendenze, sulla vestibilità dei capi (quando li faceva provare) e sul cambiamento della moda nel tempo di internet e dei social network. Ecco tutte le modelle che sono state molto importanti nella vita dello stilista, le più vicine. Devon Aoki: La modella Devon Aoki è nata per sfilare vestendo capi di alta moda. Non c’è da stupirsi che le sue «performance» come sposa Chanel siano alcune delle più memorabili della griffe.

Carla Bruni: «Caro Karl, grazie per tutte le scintille, per aver portato bellezza e leggerezza nel nostro mondo, così tanto colore nel buio, così tanto umorismo nei nostri giorni noiosi. Penso che non avresti voluto troppe lacrime o troppi fiori ma tu mancherai a me e al mondo intero». Così la top model ha salutato il Kaiser. Erano davvero molto amici. E, più volte, uscivano a cena per parlare di gossip, cultura, stile e futuro. Soprattutto quando la modella era first lady di Francia. Saskia de Brauw: Sofisticata, forte e unica. Saskia de Brauw è stata una musa di Lagerfeld. Le sue due uscite alla sfilata couture dell’autunno 2011 di Chanel, prima vestendo l’iconico tailleur in tweed e poi chiudendo la passerella come una sposa ammaliante, rimangono annoverate nella storia della griffe. Inès de la Fressange: Più di una modella. Più di una musa. Una vera e propria amica. Ha sfilato per Karl Lagerfeld dall’inizio della sua carriera fino al 1989, quando i due litigarono. Il motivo? La decisione di de la Fressange di prestare il suo volto a Marianne, il simbolo della Repubblica francese. Ma dopo 20 anni, tutto tornò come prima e la modella, a 51 anni, sfilò per la collezione primavera-estate 2011. Splendida come sempre. Cara Delevingne: Il Kaiser l’aveva definita «una bellezza non straordinaria», proprio l’anno scorso. Ma è sempre

stata la prima scelta. Per aprire e chiudere gli show, a braccetto con Lagerfeld, e come volto nelle diverse campagne pubblicitarie della casa di moda. Caroline de Maigret: Modella, scrittrice e ambassador di Chanel nel mondo. Lagerfeld si accorse subito della sua bellezza e della sua attitude. E la scelse come musa e confidente. Linda Evangelista: Dopo aver incontrato Lagerfeld nel 1985, Linda Evangelista ha cambiato completamente vita. E ha portato alla maison francese quel profumo di anni 90 che stava iniziando a crescere in tutta Europa. «Grande amore della mia vita», lo definiva la modella, che è subito diventata testimonial di Chanel. Kaia Gerber: Bella, giovane, famosa sui social network e grande conoscitrice di moda, grazie ai consigli di mamma Cindy Crawford. Kaia Gerber, negli ultimi anni, è sempre stata tra le favorite da Karl Lagerfeld, sia come testimonial, siamo come modella da sfilata, ma anche come amica. Si sono incontrati a settembre del 2017, durante il fitting per uno degli show di Fendi. «Karl è da sempre il mio idolo nel mondo della moda e ora che ci ho lavorato assieme... Che dire?! Continua a essere il mio eroe. È un visionario e lavora nel fashion system da tantissimo tempo. Amo la sua passione per tutto ciò che fa», raccontava la modella pochi mesi dopo l’incontro. Insieme al Kaiser della moda, ha dato


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cara delevingne in un look chanel fall-winter 2014/15

MF fashion

kaia gerber in un look chanel metiers d’art 2018/19

Kendall jenner in un look chanel fall-winter 2015/16

giovedì 4 luglio 2019

Ashleigh Good: Sfilare per Chanel al nono mese di gravidanza non è impresa da poco. E lei ha anche accompagnato Lagerfeld a raccogliere gli applausi a fine show, vestita con il look da sposa. Era la sfilata per la collezione couture dell’a-i 2014/15 e lei era davvero un sogno. Kendall Jenner: Dal programma televisivo Keeping up with the Kardashians alla passerella. E che passerella. Da quando ha fatto il suo debutto sul catwalk di Chanel per l’autunno-inverno del 2014, la 19enne non sembra essere mai stata lontano dai pensieri del Kaiser. Il suo unico momento di apertura e chiusura dello show è stato insieme alla sua amica Cara Delevingne per Métiers d’Art 2015. Irina Lazareanu: Un’attitude sfacciata, che l’ha resa una delle muse di Karl Lagerfeld. Il Kaiser, non solo l’ha chiamata per sfilare, ma anche come volto di un video pubblicitario di Chanel del 2007. Angela Lindvall: Dall’Oklahoma, con furore. Il suo aspetto e l’innegabile fascino da passerella hanno portato la modella a interpretare i look indimenticabili e minimal della stagione autunno-inverno 2001.

Gli ultimi anni, poi, hanno visto Lindvall allontanarsi dalla passerella, rendendo i suoi cammei da Chanel (come la sfilata Métiers d’Art 2014) ancora più interessanti. Heidi Mount: Non è molto conosciuta nei backstage delle sfilate. Ma dalla primavera del 2006, la modella dello Utah è diventata presenza fissa negli headquarter della maison Chanel. Claudia Schiffer: Dal marchio Guess alle passerelle di Chanel. Dopo la partenza di Inès de la Fressange dalle file di Chanel, Lagerfeld ha contattato la country-woman Claudia Schiffer per portare la sua attitude accattivante sulle passerelle della maison francese. E così, quella piccola giacca di tweed tanto amata dai fan della doppia C, non è mai stata così sexy. Stella Tennant: Grazie alla sua bellezza aristocratica, Stella Tennant ha firmato un contratto in esclusiva con la maison Chanel nel 1996. E da allora è presenza fissa agli show. Gemma Ward: L’ha scoperta Miuccia Prada. Ma Karl Lagerfeld l’ha portata in auge. La modella è stata anche una delle prime curvy woman (se così si può definire) di Chanel, indossando un bikini nella primavera del 2008. (riproduzione riservata)

Karl lagerfeld e claudia schiffer

vita alla capsule Karl Lagerfeld x Kaia, che ha fatto impazzire tutti i millennial del mondo.


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vittoria ceretti in un look chanel haute couture spring-summer 2019

XXXIV giovedĂŹ 4 luglio 2019


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vittoria ceretti in un look fendi spring-summer 2019

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vittoria ceretti durante lo show chanel metiers d’art 2018/19

giovedì 4 luglio 2019

Intervista

Vittoria Ceretti ricorda il Kaiser della moda: «Karl mi chiamava the Italian Choupette» La supermodella bresciana ha raccontato a MFF il ricordo più intimo del designer teutonico Dal primo incontro all’ottima intesa, passando per le conversazioni sul passato. Angelo Ruggeri

U

no sguardo profondo e allo stesso tempo tagliente. Una bellezza moderna, che ipnotizza. Un’eleganza unica sia in passerella, sia sul set dei più importanti fotografi di moda del mondo. Una raffinatezza perfetta, oggi sempre più difficile da trovare in una modella. Vittoria Ceretti è una delle rappresentanti più rilevanti della bellezza italiana nel mondo. Tutti la vogliono, tutti la cercano. I direttori creativi più importanti si assicurano della sua presenza agli show della griffe che guidano. Gli stilisti più conosciuti la desiderano come testimonial di campagne e lookbook. Tra questi ultimi c’era Karl Lagerfeld, che la adorava. L’aveva scelta perfino come sposa nell’ultima sfilata couture di Chanel, durante la quale il Kaiser della moda non si era presentato perché non si sentiva bene. Oggi, a circa cinque mesi di distanza dalla sua morte, la supermodella bresciana ha raccontato a MFF il suo rapporto con il creativo delle due C. Nell’intervista che segue, tutti i suoi ricordi più intimi e speciali. Come è stato il suo rapporto con Karl Lagerfeld?

Quando io e Karl ci siamo incontrati per la prima volta, è cominciata subito un’ottima intesa tra noi due. Era una persona molto divertente e spiritosa: amavo ascoltare i suoi racconti. Come è stata la prima volta che l’ha conosciuto? Ero super emozionata e, vi dirò la verità, anche un po’ ansiosa: non capita tutti i giorni di trovarsi nella stessa stanza con un personaggio icona come solo Karl poteva essere. Nessuno sarà mai più come lui. Cosa era solito dirle? Mi chiamava: «The Italian Choupette», lo stesso nome del suo gatto che amava tanto. Era solito dirmi che amava scattare con me perché insieme eravamo veloci, perché lui si stancava facilmente sul set. Qualche suo consiglio che ha ricevuto? Non ci sono stati consigli diretti, ma più indiretti: ovvero cose che lui faceva e da cui io imparavo molto. Come rappresentava la bellezza della donna secondo lei? Aveva tanti modi di rappresentare la bellezza della don-

na, ma la cosa che non ha mai smesso di fare era di farla sentire potente e indipendente. E rappresentarla tale nelle sue fotografie. Se eri una donna di Karl, ti sentivi anche un po’ una super eroina. Cosa ha provato durante la sfilata in cui Karl Lagerfeld non c’era più? Un vuoto dentro indescrivibile. Ancora durante questa intervista, sento esattamente quello che ho sentito quel giorno. Per non parlare del giorno precedente, quando al fitting non era seduto dietro il suo tavolo argento, con gli occhiali scuri e il suo dolce sorriso. Quando andavo ai fitting, mi regalava sempre il lookbook che avevamo scattato insieme e me lo porgeva con le sue mani che portavano sempre i guanti iconici. Quel giorno però non fu lui a porgermelo. Cosa le mancherà di Karl Lagerfeld? Senza dubbio, i suoi racconti. Amavo ascoltare quei dettagli: mi raccontava storie accadute negli anni passati. Mi mancherà abbracciarlo prima e dopo le sfilate. O più semplicemente, mi mancherà vedere il suo viso dolce. (riproduzione riservata)


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giovedĂŹ 4 luglio 2019


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Visions of fashion

«Per me è impossibile vedere il mondo e la moda senza l’obiettivo di una macchina fotografica», ha commentato Karl Lagerfeld, protagonista anche del virtuoso incontro tra la moda e l’arte. A Pitti uomo 90 è stata inaugurata una mostra che ne ha ripercorso la carriera fotografica. La Galleria del costume del palazzo fiorentino si è trasformata così in uno spazio celebrativo con circa 200 immagini

alcune immagini della mostra di Karl lagerfeld a pitti uomo 90

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un momento della presentazione della collaborazione tra karl lagerfeld e coca cola light, 2010

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una foto della campagna karl lagerfeld x h&M

una campagna karl lagerfeld x puma

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Il Re Mida delle co-lab

Dal prêt-à-porter a H&M, dai department store allo street style, dall’homeware di lusso ai must-have della cultura pop, fino al car design. L’instancabile couturier ha lavorato a un’infinità di progetti a quattro mani Trasformando tutto in oro. Margherita Malaguti

un bozzetto di karl lagerfeld per la collaborazione con hogan, 2010

P

arigi, primi anni 2000. Il prêt-à-porter firmato Chanel avanzava in un tripudio di tagli innovativi e tessuti tradizionali. In un ventennio, la lana bouclé della maison francese era tornata bellissima e redditizia grazie all’estro del direttore creativo Karl Lagerfeld. Nel frattempo, il sodalizio tra il Kaiser della moda e casa Fendi procedeva a gonfie vele. Un periodo d’oro, ma non abbastanza per il pensiero flessibile di Lagerfeld. Nel 2004, lo stilista capace di rinnovare l’esistente decise così di inventare il nuovo aprendo alle grandi firme le porte delle collaborazioni low cost. È l’edizione limitata per H&M, marchio del fast fashion svedese che in quell’anno debuttò con la prima capsule griffata Karl Lagerfeld x H&M. Lo store di Fifth avenue a New York vendette tra 1.500 e 2 mila pezzi ogni ora, mentre a livello mondiale la collezione registrò il tutto esaurito in un solo giorno. Se la capsule è stata il primo banco di prova per il colosso dell’alta distribuzione in materia di progetti a quattro mani, l’idea non era del tutto nuova per il couturier che con la sua linea Lagerfeld gallery aveva già scelto, nel marzo 2002, la Diesel di Renzo Rosso per alcuni pezzi unici in denim. La liaison è però questa volta fortissima e travolgente e si impone nella moda come un vincente match di provocazione che H&M cavalcherà per tutti gli anni a venire. D’altro canto, dopo un breve periodo di pausa, è iniziata anche per Lagerfeld una corsa sui binari delle co-lab ad alta velocità. Se gli stilisti lamentavano il ritmo impazzito del fashion system dichiarando burnout, il creativo si buttava a capofitto in un flusso costante di progetti moda, ma anche lavori editoriali, fotografici e di design. Nel 2010 Kaiser Karl ha firmato per Hogan sei modelli tra cui una sneaker in tulle tecnico e un trench pensato per la bicicletta: pezzi così lontani dall’elitarietà su cui era basata l’immagine di Lagerfeld e ora così indissolubilmente intrecciati alla sua carriera. La sinergia con il marchio del gruppo di Diego Della Valle è ottima e per quattro stagioni la matita del couturier ristudiò gli iconici del brand italiano. Ignorando le convenzioni, il creativo ha sovvertito poi definitivamente le regole del gioco e nel 2010 è diventato stilista e attore per le auto e gli spot Volkswagen. Con umorismo e ironia e con gli ormai distintivi occhiali da sole, capelli bianchi stretti in una coda bassa e guanti in pelle stile biker, nell’adv lo stilista ha giocato tanto con le origini tedesche,

sue e delle macchine, quanto con la provenienza parigina del bello: se è vero che l’eleganza non può prender vita che nella capitale francese, le vetture di cui ama le linee sono sorprendentemente 100% made in Germany. Dal car design alla customizzazione dei simboli della pop culture il passo è breve. E spontaneo. Nel 2010, lo stilista ha accettato infatti di vestire l’iconica bottiglietta Coca-Cola light, in vetro e da 25cl. Dopo gli otto designer italiani chiamati a personalizzare la bibita più famosa del mondo (Alberta Ferretti, Blumarine, Etro, Fendi, Marni, Missoni, Moschino e Versace), è stato quindi il turno del direttore artistico di Chanel, diventato dichiaratamente addicted della versione ipocalorica della bevanda dopo aver perso oltre 40 chili in 13 mesi grazie a The Karl Lagerfeld diet. Se la dieta, trasformatasi nell’omonimo libro best seller redatto a quattro mani con il dottor Houdret, non prevede altro che acqua, the e caffè, Legerfeld rimase comunque legato alla Coca diet, che si dice bevesse solo in bicchieri di cristallo. La release è un successo e l’anno seguente i partner si sono riuniti per una seconda edizione limitata. Il 2011 ha segnato poi il ritorno alle collaborazioni a basso budget. È la volta del deal tra il designer e Sephora che hanno programmato un lancio per le vacanze natalizie fatto di trusse e palette make-up, ma anche di Karl Lagerfeld for Impulse, la collezione di 45 pezzi tra i 50 e i 170 dollari per il department store americano Macy’s. Un’altra incursione nel food e nel pop ha riempito l’anno dello stilista, approdato in casa Magnum. Sempre nel 2011, il marchio di gelati Algida del gruppo Unilever ha arruolato Lagerfeld per un progetto attivo su più fronti. Da una parte, all’interno dell’hotel La Réserve di Parigi, il designer ha firmato una suite interamente realizzata in cioccolato in collaborazione con il maître chocolatier Patrick Roger; dall’altra, oltre l’Atlantico, Magnum gli ha commissionato tre cortometraggi per una campagna televisiva e cinematografica diffusa unicamente sul mercato americano. Last but not least, l’ottima annata è coronata dall’incursione nel design con i bicchieri firmati Orrefors, prestigiosa label incaricata della cristalleria per la casa reale svedese. Accanto, l’uscita dello storico calendario Pirelli per cui Lagerfeld ha scattato il modello preferito Baptiste Giabiconi accanto a top model come Isabeli Fontana, Natasha Poly e Bianca Balti. Si tratta di Mythology, un inno alla bellezza

neoclassica, plastica, fisica e incontaminata, possesso esclusivo delle divinità. Dopo un 2012 dormiente sul fronte co-lab, eccezion fatta per la collezione make-up per il nipponico Shu Uemura, il 2013 ha rilanciato Kaiser Karl che, con in braccio l’adorato gatto Choupette, è diventato statuetta da collezione grazie a Tokidoki. Nello stesso anno, anche Melissa, brand brasiliano del gruppo Grendene, ha chiesto il tocco magico del creativo tedesco per la stagione dedicata al mondo del cinema. A fine anno è invece il turno della collaborazione con Rolex per la limited edition del modello Oyster perpetual milgauss, il prestigioso orologio venduto ora al prezzo di 19 mila euro. Dal Pvc all’extra lusso, dunque, passando sempre attraverso la consacrazione della musa Choupette, divenuta ormai non solo un profilo da 92 mila follower su Instragram, ma anche un prezioso peluche creato con l’azienda Steiff. Il 2015 ha assistito al ritorno del Kaiser nel mondo delle quattro ruote con Opel Corsa, l’automobile protagonista del set fotografico che ha portato ancora una volta in primo piano Choupette. Con il marchio omonimo Karl Lagerfeld, lo stilista ha collaborato poi nell’estate 2017 con Vilebrequin, la label beachwear del gruppo americano G-III Apparel. Una mini-collezione di otto pezzi, blu e ispirati allo stile riviera, sigilla la partnership. Un tuffo in mare e uno, più impavido, nel mondo street, dove il designer è arrivato in autunno con Vans. Vans x Karl Lagerfeld ha preso così vita grazie a modelli tutti b&w, cifra stilistica tanto del marchio dello skate quanto del couturier. Se da una parte vince il back to black, dall’altra arriva il back to luxury con la riapertura dello storico hotel parigino Crillon, per cui il creativo ha disegnato la suite Bernstein: 234 metri quadrati per 25 mila euro a notte. Sneakers iconiche e zaini invadono anche la capsule dell’anno successivo, quando Lagerfeld ha lanciato la limited edition con Puma. Nello stesso anno arriva il sodalizio con l’homeware di Christofle, per cui il couturier ha studiato un set di posate firmate e numerate al pari delle litografie del mondo dell’arte. Ormai Lagerfeld siede infatti di diritto nell’Olimpo degli artisti in grado di toccare i più lontani registi spaziando per occasioni d’uso, target e prodotti. Irrefrenabile, mutevole, Kaiser Karl è entrato così nelle pagine della storia come un moderno Re Mida che trasforma tutto in oro. O meglio in sold out. (riproduzione riservata)


MF fashion

giovedì 4 luglio 2019

un ritratto di sebastien jondeu. (courtesy olivier saillant)

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L’uomo diventato brand Ha portato al successo Fendi e Chloé. Ha dato nuova vita a una maison come Chanel. E ha trasformato se stesso in una specie di rockstar, in un logo. Dando il nome e il volto a un marchio, come ha spiegato a MFF il suo collaboratore di una vita, Sebastien Jondeu. Cristina Manfredi

«Q

uando la gente mi chiede cosa faccio, rispondo che lavoro nel fashion business, perché mi sembra riduttivo dire che sono uno stilista. Se ti occupi di ready to wear, diventi una impresa». Così Karl Lagerfeld spiegava nel 1975 l’approccio al lavoro, una visione in cui la sua creatività si confrontava serenamente con strategie di vendita e di comunicazione. All’epoca era alla guida di Chloé (che avrebbe poi lasciato nel 1997) e di Fendi (dove è rimasto fino al-

la sua scomparsa). Due realtà a cui aveva dato un forte impulso, anche se ancora non immaginava che in meno di dieci anni sarebbe entrato in Chanel, raccogliendo l’eredità di Mademoiselle Coco e ripensando la maison con determinazione e coraggio. Mentre molti suoi colleghi designer si percepivano come artisti e in quanto tali rifuggivano i pragmatismi legati al fatturato, Lagerfeld ha sempre avuta ben chiara l’importanza di definire i contorni di un brand per poterlo portare al successo. Non solo, ha capito che lui stesso

poteva diventare un brand, trasformandosi in personaggio e negli ultimi anni replicando l’operazione con l’adorata gatta Choupette (vedere intervista nella prossima pagina). Dall’orsetto Karl che nel 2008 il designer aveva realizzato in soli 2.500 pezzi per l’azienda di peluche tedesca Steiff e che oggi sul mercato vale oltre 3 mila euro rispetto ai circa 1.000 euro originari. Alla sua voce prestata, sempre nello stesso anno al videogame Grand Theft Auto IV, dove impersonava il Dj della stazione radio del gioco, la immaginaria

K109 The Studio. Senza dimenticare Tokidoki Karl Lagerfeld, il pupazzetto e cartoon lanciato nel 2010 con le sue fattezze stilizzate, ancora oggi amatissimo dal pubblico. E la Barbie Karl Lagerfeld, la trasposizione al femminile del suo personaggio, lanciata da Mattel nel 2014 in soli 999 contesissimi esemplari. Un capitolo a parte lo merita poi la sua collaborazione del 2004 con H&M, forse la madre di tutte le special edition che da quel momento si sono susseguite nel mondo fashion. Quanto alla sua collezio-

ne eponima, Sebastien Jondeu, collaboratore storico di Lagerfeld e fresco di nomina come ambassador per la collezione uomo, ha raccontato a MFF lo spirito con cui lo stilista l’aveva fondata e portata avanti nel tempo, diventandone lui stesso il logo. In quanto figura tra le più vicine a Lagerfeld, come ricorda il processo di «brandizzazione» a cui Lagerfeld aveva sottoposto se stesso? Tutto è successo agli inizi dei 2000, quando aveva deciso di ca-


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giovedì 4 luglio 2019

larsi nei panni di una rock star. Credo lo avesse fatto perché era stanco della sua vita precedente, sentiva di voler cambiare ed era l’unico che conosco in grado di fare una cosa del genere mentre navigava intorno ai 70 anni. Era riuscito nell’impresa di continuare a essere se stesso, pur entrando nella parte di una marionetta, come lui stesso amava definirsi. Adorava il fatto che la gente impazzisse per questo suo mutamento. Gli piacevano i commenti che si sentivano in giro, cose del tipo: «Ma come fa a es-

sere così?», o magari: «È vecchio, eppure è diventato un divo». Ha sempre amato l’idea di sorprendere la gente. Che ricordo ha del vostro primo incontro? Era già entrato in quella fase? Avevo 15 anni quando me lo sono trovato davanti per la prima volta, senza avere la più pallida idea di chi fosse. Mi ero trovato un lavoro estivo in una ditta che si occupava dei suoi mobili. Eravamo rimasti ad aspettarlo per tre ore, poi lui era arrivato e in un’ora avevamo fatto tutto. Anche

se non sapevo nulla di lui, ero rimasto colpito dal suo garbo. Ora ha il compito di rappresentare il brand Karl Lagerfeld: come intende raccogliere l’eredità? Con questa linea lui voleva parlare al maggior numero possibile di persone, creare qualcosa che potesse essere speciale e accessibile. Il mio compito è di portare avanti questa filosofia. Il marchio non tradirà il suo spirito pop. C’è un ricordo di Lagerfeld che più di altri le è caro? Come faccio a sceglierne uno?

Ho talmente tanti ricordi in mente che potrebbero farmi piangere. Karl Lagerfeld era una parte di me e io di lui. Non posso dire che fosse come mio padre, perché lo so bene che lui era il mio capo, eppure era molto di più. C’era un rapporto di totale e reciproca fiducia, ho passato quasi trent’anni al sui fianco, la sua figura si avvicinava davvero molto a quella di un padre. Di lui amavo in particolare la generosità, perché lo era con tutti, non solo con le persone importanti. (riproduzione riservata)

XLI


MF fashion

choupette disegnata da karl lagerfeld (foto: instagram @choupettesdiary)

una vignetta di karl lagerfeld e choupette (courtesy tiffany cooper)

lagerfeld e choupette disegnata dallo stilista

XLII giovedĂŹ 4 luglio 2019


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giovedì 4 luglio 2019

Choupette, l’aristogatta

Viziata, snob e a tratti anche lunatica. Il felino birmano, dagli occhi blu e dal pelo bianchissimo che aveva stregato il designer, ha raccontato a MFF i suoi ricordi più intimi e privati condivisi con Daddy. Ad agosto compirà otto anni e sarà il primo compleanno senza l’amato padrone. Cristina Manfredi

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sistono poche creature al mondo più vezzeggiate di Choupette. Lei è una gatta birmana dal pelo bianchissimo e con due occhi blu che hanno fatto perdere la testa a un personaggio per niente incline ai sentimentalismi come Karl Lagerfeld. A Ferragosto avrà otto anni e sarà il suo primo compleanno senza Daddy, come lei vezzosamente chiamava lo stilista che l’aveva «soffiata» all’amico Baptiste Giabiconi. Era nata da pochi mesi quando Giabiconi aveva chiesto a Lagerfeld di tenerla qualche giorno, mentre lui era in viaggio: «Quando è tornato gli ho detto: «Mi spiace, Choupette è mia», aveva raccontato il designer durante un’intervista, mentre in un’altra occasione aveva spiegato: «Non avrei mai pensato di innamorarmi così di un gatto. Lo so che è grottesco, ma che ci posso fare?». La splendida micina è ben presto diventata una star con i suoi account Twitter e Instagram, dove ha rivelato al mondo un carattere da gran dama viziatissima, abituata ad avere due cameriere al suo servizio 24 ore su 24 e per nulla avvezza alle smancerie. Nel 2012 era stata protagonista di un servizio di ben dieci pagine

karl lagerfeld e choupette. (foto: instagram @choupettesdiary)

karl lagerfeld e choupette. (Foto: instagram @choupettesdiary)

Intervista impossibile

uscito su V-Magazine. Nel 2014 invece Rizzoli ha pubblicato il libro Choupette, poi ha posato per gli scatti di Daddy legati a un progetto con l’automobile Opel Corsa e ha lanciato una collezione di make-up con Shu Uemura. Gli oltre 3 milioni ricavati dalle varie collaborazioni, Lagerfeld non li aveva mai toccati e, anzi, aveva predisposto che restassero a disposizione di Choupette e di chi si occupa di lei, come aveva spiegato: «Ha la sua piccola fortuna, è un’ereditiera e, se mi succedesse qualcosa, la persona che l’accudisce non andrà in miseria». In questo speciale tributo al designer più importante e più idolatrato, la gattina Choupette ha accettato di farsi intervistare, rivelando per la prima volta gli aspetti più delicati della sua «gattitudine». Qual è il suo primo ricordo di Lagerfeld? Mio zio Baptiste mi aveva affidata a lui per un paio di settimane e io sono subito rimasta conquistata da Daddy e dai suoi regali così creativi che mi hanno fatto capire che avrei potuto diventare la sua musa. È stato un amore a prima vista il vostro? Un amore folle fin dalle prime

coccole. Di mio, non sono certo quel che si direbbe una felina affettuosa, ma Daddy è riuscito a cambiare questo aspetto di moi (Choupette, quando parla di sé, usa sempre il francese, ndr). Che tipo di rapporto avevate? Era un padre severo o affettuoso? Daddy era tutte e due le cose insieme e mi incoraggiava sempre a esplorare. Quando non eravamo in giro per il mondo, passavamo le nostre giornate nella biblioteca a leggere e disegnare insieme. Beh, diciamo che era soprattutto lui a leggere e disegnare, mentre io davo il mio contributo organizzando, o per meglio dire «risistemando» le sue carte. Ha qualche ricordo a cui tiene in particolare della vostra quotidianità? Che belli erano i momenti in cui io posavo mentre lui mi fotografava. Che si trattasse di scatti per la copertina di una rivista o per un calendario, prendeva gli shooting molto sul serio, in quel momento per lui erano la cosa più importante del mondo. Ripenso al set per il progetto di Opel Corsa: diciamo che non ero molto dell’umore e quel giorno sono stata una modella un po’ lunatica. Lagarfeld amava giocare

con lei? Si «gioca» con dei bambini, ma non con un felino, dahhhling (Choupette ama pronunciare così la parola inglese «darling», ndr). I gatti a volte sanno essere un po’ dispettosi: c’era qualche scherzo che era solita fargli? Se metti un libro o alcuni disegni al bordo di un tavolo e succede che cadano, quello secondo me è un incidente, non un dispetto. Sono cose che capitano... Qual è la cosa che le manca di più di lui? Tutto, dalla sua mente così creativa al suo animo gentile. Daddy amava moi per tutta l’ispirazione che gli davo, in quanto sua musa. Se potesse scrivere il suo epitaffio, come sarebbe? Qual è il modo migliore per ricordare la memoria di Karl, secondo lei? Daddy non badava a certe consuetudini, non voleva un funerale e nemmeno troppa attenzione attorno alla sua scomparsa. Prima il mio cuore era di ghiaccio, ora è semplicemente a pezzi e prego di riuscire ad affrontare il mio futuro senza Daddy. (riproduzione riservata)


karl lagerfeld. (courtesy stéphane feugère)

XLIV MF fashion giovedì 4 luglio 2019


MF fashion

giovedì 4 luglio 2019

Karleidoscope

XLV

Frasi al vetriolo, battute di spirito, ricordi d’infanzia, riflessioni sulla vita e sulla moda. Lagerfeld non ha mai perso occasione per dire la sua. E quelle parole oggi raccontano appieno il suo mito. Cristina Manfredi «Portare rispetto non giova alla creatività. Chanel è una istituzione e le istituzioni vanno trattate come se fossero una puttana, allora sì che ci cavi fuori qualcosa di buono»

«Quando ho accettato l’offerta di Chanel tutti mi dicevano di starne alla larga, perché era una maison morta: “Non c’è niente che tu possa fare lì”. E io dentro di me pensavo: “Mi piace che la gente la pensi così, vediamo che succede ora”»

«Se stai sprecando dei soldi, fallo a cuor leggero. Dire che non bisognerebbe farlo suona proprio borghese»

«La giovinezza dipende da come vivi, non da quando sei nato» «Sono un fan sfegatato di Beyoncé, se la vedo mi sento svenire. Mi è già capitato di incontrarla: di solito divento molto nervoso, mi ammutolisco e faccio un inchino»

«Sentirsi in colpa per via dei vestiti che si comprano è del tutto inutile. Molte persone si guadagnano da vivere facendo vestiti, perciò non bisognerebbe mai sentirsi a disagio»

«Non consiglierei uno dei miei abiti per il proprio matrimonio, alla fine divorziano tutte»

«Lavorare significa guadagnarsi da vivere, senza annoiarsi»

«Non sono uno che bada alle strategie di marketing. Non mi faccio domande, seguo il mio istinto»

«Detesto il passato, soprattutto il mio»

«Vado d’accordo con tutti, tranne gli uomini della mia età che sono borghesi, in pensione o noiosi»

«Al telefono, preferisco un biglietto da spedire. Non sono mica una cameriera che puoi chiamare in qualunque momento. Oggi la gente si comporta come se lavorasse al centralino di un hotel»

«Non tocco mai zucchero, formaggi e pane. Mi piacciono solo le cose che mi sono concesse e vado oltre le tentazioni. Non ho debolezze, quando vedo tutto quel cibo in studio, per me è come se fosse roba di plastica, non mi passa nemmeno per la testa che qualcuno potrebbe effettivamente mangiarlo. Sono come gli animali della foresta, che non toccano quello che non possono mangiare»

«Ho sempre saputo che ero fatto per vivere così, che sarei diventato una specie di leggenda»

«Quando avevo quattro anni ho chiesto a mia madre di regalarmi un valletto per il mio compleanno»

«Non sono mai contento di quello che ho fatto, vivo in una sorta di insoddisfazione perenne. E penso che sia il segreto per fare le cose bene»

«La tuta, un segno di sconfitta: vuol dire che hai perso il controllo della tua vita e te ne sei comprata una»

«Vivo su un palcoscenico, con il sipario chiuso e il teatro vuoto, ma chi se ne importa?»

«Coco Chanel non avrebbe mai fatto quello che ho fatto io, anzi lo avrebbe odiato» «Le borse di lusso ti rendono la vita più piacevole, fanno sognare, ti danno più sicurezza. E dimostrano ai tuoi vicini che te la passi bene»

«Sono la caricatura di me stesso e questa cosa mi piace. È una maschera del Carnevale di Venezia, solo che per me dura tutto l’anno»

«Secondo me i tatuaggi sono orribili, è come vivere di continuo con un vestito di Emilio Pucci addosso» «La moda deve pensare a quello che le persone vivono oggi, non al loro passato. Non ha senso un Chanel che sappia di flea-market»

«Think pink, d’accordo la vita in rosa, basta che non ve lo mettiate addosso»

«Perdonare è troppo facile. Posso dimenticare, ma non perdonare. Preferisco la vendetta»


il finale dello show chanel cruise 2018

il finale dello show chanel spring-summer 2015

XLVI MF fashion giovedĂŹ 4 luglio 2019


XLVII

MF fashion

giovedì 4 luglio 2019

La folie e la génie

Ha portato la spiaggia, una foresta e la Tour Eiffel al Grand Palais, dove le collezioni per Chanel hanno sfilato nei 37 anni in cui ne è stato la mente creativa. Estremo anche nella dieta da -40kg in un anno, le 10 diet coke al giorno e le cameriere per la gatta. Per questo il Kaiser non è andato via, è entrato nel mito. Sara Rezk

«L

il finale dello show chanel spring-summer 2019

a mia autobiografia? Non ho bisogno di scriverla, la sto vivendo». Questa è una delle tante massime, irriverenti e decisamente tranchant, che Karl Lagerfeld ha pronunciato nel corso della sua vita sotto i riflettori del fashion world. E che assieme a tante altre frasi, aneddoti, battute provocatorie è contenuta in un libro, La vita secondo Karl, un piccolo scrigno edito da Rizzoli nel 2013, che una volta schiuso rivela alcuni degli aspetti più audaci e indimenticati del kaiser della moda. Una delle ultime pubblicazioni su di lui prima che a febbraio del 2019 se ne andasse per sempre, a qualche giorno dallo show che come ogni stagione immaginava e creava per la maison che ha contribuito non poco a rendere grande nel mondo, Chanel, in più di 30 anni alla sua direzione creativa. Un défilé andato in scena come di consue-

to all’interno del Grand Palais di Parigi, il luogo che più di ogni altro ricorda le vezzose e audaci scelte compiute da KL nel corso della sua carriera. All’interno di un luogo quasi istituzionale per la capitale francese, un padiglione in muratura e vetro costruito per l’Esposizione universale del 1900, Lagerfeld ha saputo ricostruire una spiaggia, una foresta pluviale, la Tour Eiffel, la strada dove ha avuto luogo una parata femminista, o addirittura il Teatro 5 di Cinecittà e la dimora sottomarina per la dea Venere, ideata insieme all’architetto Zaha Hadid. Senza dimenticare quello show del 1993, in cui aveva portato in passerella la nota attrice pornografica Moana Pozzi vestita doppia C, assieme a un gruppo di mannequin-spogliarelliste, che suscitò non poco clamore. Soprattutto nel direttore di Vogue America, Anna Wintour, che accennò ad alzarsi per abbandonare

la sfilata. Follia, genio, fantasia portata agli estremi? Quel che è certo, è che si trattava di una mente visionaria come poche, che per 37 anni ha lasciato a bocca aperta il pubblico non solo con le sue creazioni, ma con il modo rivoluzionario di raccontare la moda, attraverso le contaminazioni con l’arte, la musica, le passioni che lo animavano. Erano i libri a colpirlo particolarmente, ne aveva accumulati a migliaia: «Leggere è l’attività più lussuosa della mia vita, quella che mi rende più felice». E a tanta sensibilità, fantasia e genio non poteva non corrispondere altrettanta follia, nel senso più positivo del termine. Karl Lagerfeld era estremo in tutto e dimostrava di realizzare in grande tutte le proprie scelte. Una caratteristica che, come lui stesso aveva ammesso «ha portato la gente normale a credere che io sia matto». Perché? Basti pensare ad alcuni aneddoti della sua vita

personale. Nel 2011, per esempio, lo stilista si era sottoposto a una dieta alimentare. «Ho cercato di vestirmi con gli abiti disegnati da Hedi Slimane, ma queste mode sono indossate da ragazzi veramente molto magri e non per uomini della mia età», aveva detto allora. E così, è nata un’ossessione per la magrezza che ha dato il via al rigido programma grazie al quale era arrivato a perdere 42 chili nel corso di soli 13 mesi, con il supporto del Dott. Jean-Claude Houdret, e che è diventato anche un libro, dal titolo The Karl Lagerfeld diet. E non è l’unica stravaganza dei suoi 8385 anni. E non si sa bene neanche questo per la verità, visto che il couturier tedesco non ha mai rivelato il suo anno di nascita, che potrebbe oscillare tra il 1933 e il 1938, ça n’a pas d’importance. «Mi fanno orrore le persone che dicono tutto». È forse per questo che non ha mai risposto diret-

tamente alla domanda sulla sua età anagrafica. Quello che invece a volte amava raccontare era qualche aneddoto sulla sua quotidianità, per esempio la sua strana mania per la Coca-Cola. Sembra che Lagerfeld bevesse addirittura 10 diet coke al giorno, solo quelle, niente caffè o cibi grassi. Un regime tutto suo, e decisamente estremo, ça va sans dire. Parte fondamentale delle sue giornate era anche la sua gatta birmana Choupette, l’unica erede dello stilista, amata come e più di una figlia, e che gli era stata donata dall’amico Jean Baptiste Giabiconi. Per lei, come per se stesso, voleva solo il meglio, e per questo motivo aveva messo a sua disposizione ben due cameriere h24, che si occupavano di lei mentre lui era impegnato in atelier. Un luogo dal quale Karl Lagerfeld non è mai veramente uscito, entrando, al contrario, nel mito. (riproduzione riservata)


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XLVIII giovedĂŹ 4 luglio 2019


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