Incontro Marzo 2013

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Per una Chiesa Viva Anno IX - N. 2 – Marzo 2013 www.chiesaravello.it

P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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La Chiesa è viva Mercoledì’ 27 febbraio, oltre 150mila persone come un fiume di gente arrivata da ogni parte d’Italia e dal mondo, ha partecipato in piazza San Pietro all’ultima Udienza generale di Papa Benedetto XVI. “La Chiesa è viva!”. È stata una delle prime esclamazioni del Papa quando, ringraziando i fedeli, ha aggiunto, a braccio e quasi per fermare anche il fragoroso applauso nato spontaneo tra la folla, “Grazie di cuore, sono veramente commosso, vedo che la Chiesa è viva”. “La Chiesa è viva” il Papa Benedetto XVI l’aveva affermato con vigore il 24 aprile di otto anni fa, nella sua prima Messa da Papa. E in questa nuova circostanza in cui migliaia di fedeli sono accorse per ascoltare la sua parola, ne ha avuto conferma e pubblica dimostrazione. I fedeli presenti all’ultima Udienza generale sono persone che hanno scelto “l’io e Dio” perché glielo ha insegnato uno straordinario maestro della fede cristiana. A leggere in profondità la storia e il significato degli avvenimenti verificatisi negli anni del suo ricco e difficile ministero petrino, Benedetto XVI è stato un Papa che, con il suo altissimo e luminoso magistero, non ha fatto altro che declinare da par suo - nelle sue infinite e ricche sfumature -, un unico grande discorso: portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio, rendere presente Cristo in questo mondo e mostrare al mondo che, con Lui o senza di Lui, cambia tutto. Negli otto anni del suo pontificato ha offerto alla chiesa una “summa” della fede le cui

tematiche non ci stancheremo in futuro di approfondire, studiare e meditare: sono le stupende ed affascinanti pagine dei suoi libri, le sue Lettere Encicliche sulla Carità e sulla speranza; la trilogia su Gesù di Nazareth, e soprattutto le sue Omelie liturgiche, che rappresentano quanto di più genuino è uscito dalla sua mente, omelie considerate come “la vetta del suo Pontificato,forse, “la meno frequentata e conosciuta”, scritte quasi integralmente di suo pugno, talvolta, improvvisate, e frutto genuino della sua straordinaria cultura teologica e profon-

da fede. Che la Chiesa sia viva, sentita e vissuta come un “noi”, Benedetto XVI l’aveva ricordato anche nell’omelia della Messa delle Ceneri. Ed è questo il concetto che il Papa ha scelto anche in uno dei passaggi più applauditi della sua ultima catechesi: “Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa - non un’organizzazione, non un’associazione per fini religiosi e umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano

del suo declino”. “Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi”, ha aggiunto il Papa fuori testo. La chiesa è viva oggi, Benedetto XVI l’ha affermato anche nell’ ultimo giorno del suo pontificato, la mattina di giovedì 28 febbraio, incontrando nella Sala Clementina per un saluto di Congedo i cardinali presenti a Roma. Ai Cardinali ha ricordato la famosa espressione di Romano Guardini: «La Chiesa si risveglia nelle anime». “ La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime che come Maria — accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito Santo; offrono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell’Incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi e tutti i luoghi”. Nel riferire tali parole ai Cardinali il Papa ha detto: “Vorrei lasciarvi un pensiero semplice, che mi sta molto a cuore: un pensiero sulla Chiesa, sul suo mistero, che costituisce per tutti noi — possiamo dire — la ragione e la passione della vita. Mi lascio aiutare da un’espressione di Romano Guardini, scritta proprio nell’anno in cui i Padri del Concilio Vaticano II approvavano la Costituzione Lumen gentium, nel suo ultimo libro, con una dedica personale anche per me; perciò le parole di questo libro mi sono particolarmente care. Dice Guardini: La Chiesa «non è escogitata e costruita a tavolino..., ma una realtà vivente...

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Segue dalla prima pagina Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi... Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo». È stata la nostra esperienza, ieri, mi sembra, in Piazza: vedere che la Chiesa è un corpo vivo, animato dallo Spirito Santo e vive realmente dalla forza di Dio. Essa è nel mondo, ma non è del mondo: è di Dio, di Cristo, dello Spirito. Lo abbiamo visto ieri. Per questa è vera ed eloquente anche l’altra famosa espressione di Guardini: «La Chiesa si risveglia nelle anime». Ritornano ancora una volta alla mente le parole di quel 24 aprile 2005: “Non devo presentare un programma di governo: il mio vero programma di governo è mettermi in ascolto, con tutta la Chiesa, della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, perché sia Lui a guidare la Chiesa in quest’ ora della storia”. Sono queste, parole che suonano di sorprendente attualità, soprattutto se incrociate con le motivazioni della rinuncia al soglio di Pietro, che il Papa nella sua ultima Udienza ha voluto spiegare ancora a una volta ai fedeli con sobria semplicità, ma con toni ancora più intimi. “Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi”. Don Giuseppe Imperato L’ultimo saluto di Benedetto XVI Cari amici, sono felice di essere con voi, circondato dalla bellezza del creato e dalla vostra simpatia che mi fa molto bene. Grazie per la vostra amicizia, il vostro affetto. Voi sapete che questo mio giorno è diverso da quelli precedenti; non sono più Sommo Pontefice della Chiesa cattolica: fino alle otto di sera lo sarò ancora, poi non più. Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra. Ma vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità. E mi sento molto appoggiato dalla vostra simpatia. Andiamo avanti insieme con il Signore per il bene della Chiesa e del mondo. Grazie, vi imparto adesso con tutto il cuore la mia Benedizione.Ci benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo. Grazie, buona notte! Grazie a voi tutti!

La preziosa eredità di Benedetto XVI Nell’attuale società ad alta tensione mediatica la capacità di elaborare giudizi ponderati è generalmente bassa e non sempre corrispondente al più diffuso sentire. Ne è prova il coro sincero di venerazione e di apprezzamento nei confronti di Benedetto XVI espresso dalla gente semplice e schietta di Roma, che gli si è stretta intorno nelle visite alle parrocchie, dalle moltitudini di pellegrini che sempre hanno affollato le udienze e le celebrazioni, come pure dagli uomini di cultura, delle istituzioni e da attenti e pensosi cercatori di verità. La grandezza di questo pontificato non sarà scalfita da notizie deformate, sospetti e illazioni su uomini di Chiesa, sparate a ripetizione, che ad un minimo di buon senso e onestà intellettuale appaiono spropositate e ingannevoli, pronunciate dalla furia iconoclasta di qualcuno secondo un cliché artatamente semplificato. Ad un giudizio riflessivo e libero da preconcetti l’immagine di papa Benedetto si staglia luminosa e di riferimento certo. Che poi la Chiesa, da venti secoli, presenti limiti e difetti in alcuni suoi membri, nei confronti dei quali il Papa non ha risparmiato severi ammonimenti e provvedimenti necessari, non fa che elevare ancora di più la sua statura morale e la chiarezza e il coraggio del suo governo pastorale. Fuggendo naturalmente da ogni rischio di mitizzazione - che peraltro non gli sarebbe gradita – quale sia la stima verso il Papa, non solo dei fedeli cattolici, si è resa ancora più visibile con la vicinanza commossa e ammirata che soprattutto in queste ultime settimane di pontificato il mondo intero gli ha manifestato. Affetto e gratitudine per quanto abbiamo imparato dalla sua testimonianza, che la decisione della rinuncia al pontificato ha ingigantito per le motivazioni profonde del gesto, ultimo insegnamento di libertà di spirito, di fe-

deltà e coerenza cristiana e di invito coraggioso ad aprirsi alle sfide del tempo. Non solo. Essergli vicino, fisicamente o anche solo col cuore, per salutarlo è un simbolo forte che esprime il desiderio di continuare a seguirlo sulla via di Cristo e della chiesa. Dunque il nostro saluto vuole essere come una professione di fede. E’ proprio nel focus della fede indomita e coraggiosa di Papa Benedetto, uomo spirituale che tutto considera alla luce della verità di Dio e si dona per il bene della Chiesa, che la sua eredità ci rimarrà preziosa. Persona mite e gentile, dal sorriso accogliente e incoraggiante che rivela la nobiltà dell’animo, spiritualmente profondo e retto nell’agire, di lui si percepisce l’acutezza e l’onestà dell’intelligenza, la capacità di discernimento nella complessità e il rigore nella ricerca della verità. A queste doti umane e spirituali si accompagnano e si sposano la coscienza limpida della responsabilità di padre nella fede, la passione per l’annuncio del Vangelo in un mondo in cui la fede va nuovamente riproposta, l’impulso costante all’unità ecumenica, la difesa dell’uomo e della sua dignità, la cura dei deboli e dei poveri. Sono tutti tratti distintivi della sua personalità ricca e dotata. Egli ci ha mostrato una visione alta della vita umana e cristiana che incoraggia a dismettere visioni minuscole, segnate da un pervasivo relativismo etico, in nome di una libertà senza confini, che sgretola i fondamentali della civiltà. Nell’Anno della fede - forte invito alla conversione - alla dolce e stimolante esemplarità di vita di Benedetto XVI e al suo ricco magistero rimarremo legati per sempre. Card. Agostino Vallini


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Il vocabolario di Benedetto XVI A come Anno della fede, una specie di Giubileo che Papa Ratzinger ha indetto per «portare fuori dal deserto gli uomini» nel tentativo di fare riscoprire «l'amicizia con Cristo». L'anno della fede è stato aperto con una lettera apostolica, Porta Fidei, l'11 ottobre dell'anno scorso nel 50esimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II. B come Bontà. In diverse omelie la predicazione di Ratzinger si è concentrata sul concetto di amore. «Dio è pura bontà». Per questo, ha spiegato, «non può essere un concetto astratto ma qualcosa che si incarna e prende forma ovunque e continuamente». Anche oggi persone che «non riescono più a riconoscere Dio nella fede si domandano se l'ultima potenza che fonda e sorregge il mondo sia veramente buona o se il male non sia altrettanto potente ed originario quanto il bene e il bello, che in attimi luminosi ci incontriamo nel cosmo. Non è così. Apparve la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini». C come Corpus Domini. Al centro della predicazione Ratzinger ha sempre collocato l'Eucarestia, la trasformazione dei doni di questa terra, il pane e il vino, finalizzata a trasformare la vita degli uomini e ad inaugurare la trasformazione del mondo. D come Dottore della Chiesa. Nelle catechesi del mercoledi Benedetto XVI ha presentato ai fedeli un ciclo di predicazioni dedicato al pensiero dei dottori della Chiesa, Santa Teresina del Bambino Gesù, Sant'Alfonso de’ Liguori, San Francesco di Sales, San Roberto Bellarmino, Santa Teresa d'Avila, San Giovanni della Croce, San Tommaso d’Aquino, San Bonaventura… Un percorso meditato per spiegare la dottrina dei più geniali pensatori che hanno lasciato, dal medioevo in poi, scritti illuminanti alla Chiesa. E come Evangelizzare. Praticamente il core business del pontificato ratzingeriano sul quale ha insistito sin dall’inizio, ricordando a tutti che la Chiesa esiste per evangelizzare. E’ stato persino creato un dicastero apposito, quello sulla Nuova evangelizzazione, al fine di rafforzare nelle nazioni di tradizione cristiana ma

intaccate dalla secolarizzazione l'impegno dei cattolici. «Il nostro compito permane identico come agli albori della nostra storia. La missione non è mutata». F come fedeltà. Intesa soprattutto come aderenza allo spirito del Vangelo. Papa Ratzinger lo ha chiesto ripetutamente ai cristiani sin dal primo giorno dell'elezione. L'ultimo appello del genere risale al Mercoledì delle ceneri, quando nella basilica di San Pietro davanti a vescovi e cardinali di curia ha incoraggiato ad essere rigorosi con sè stessi e coerenti con gli insegnamenti del Signore.

G come Gioia. Secondo Ratzinger l'amore di Dio dona felicità nel profondo. «Gioia» è una della parole che forse ha inserito con maggiore frequenza nei suoi discorsi, nel corso degli Angelus o nelle omelie. H come Habemus Papam. Quando venne eletto, il 19 aprile 2005, dalla Loggia delle Benedizioni si presentò al mondo come «un umile lavoratore nella vigna del Signore», enfatizzando il suo ruolo di Pastore d’anime dal carettere mite e semplice. I come Ideologie. Dopo avere condannato decine di volte il nazismo e il comunismo, ideologie nefaste del passato, Ratzinger ha messo in guardia anche dalla diffusione delle «ideologie contrarie alla famiglia, alla difesa della vita e al degrado dell'etica sessuale». Ideologie che «sono come in relazione all'eclissi di Dio. Così la nuova evangelizzazione è inseparabile dalla crisi della famiglia cristiana». L come lacerazioni. Il Papa nell’arco di questi otto anni ha osservato con sgomento una Chiesa dal volto deturpato, sfregiato, lacerato per via delle mancanze dei suoi figli, dai semplici fedeli ai vescovi

e cardinali. Ha utilizzato questa metafora frequentemente facendo riferimento allo scandalo della pedofilia. M come matrimonio. La famiglia occupa uno spazio importantissimo nella sua predicazione perché «riguarda le fondamenta della vita umana». «L'ordine sociale trova un suo sostegno essenziale nella unione sponsale di un uomo e di una donna poiché è rivolta alla procreazione. Perciò il matrimonio e la famiglia richiedono anche al tutela particolare dello Stato». O come Ora pro nobis. Ratzinger ha dato un enorme impulso alla lingua latina, lingua ufficiale della Chiesa, incoraggiando le comunità di tutto il mondo a riscoprire le antiche preghiere in latino. Ha persino liberalizzato l'uso del latino nella messa secondo il messale di San Pio V. Attraverso un Motu Proprio promulgato anche per cercare di avvicinare gli scismatici lefebvriani (ma finora con esiti piuttosto modesti). P come Politica. Tra tutti i discorsi contenenti riferimenti alla politica, il più importante resta quello del Bundestag, pronunciato nel settembre di due anni fa. «La politica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace. Naturalmente un politico cercherà il successo senza il quale non potrebbe mai avere la possibilità dell'azione politica effettiva. Ma il successo è subordinato al criterio della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all'intelligenza del diritto. Il successo può essere anche una seduzione e così può aprire la strada alla contraffazione del diritto, alla distruzione della giustizia». R come Religioni. Papa Ratzinger si è battuto come un leone per il riconoscimento della libertà religiosa nel mondo e in particolare contro la cristianofobia. Davanti a situazioni particolarmente dolorose è intervenuto con messaggi e discorsi agli ambasciatori. «La libertà religiosa trova espressione nella specificità della persona umana che per essa può ordinare la propria vita personale e sociale a Dio, la cui luce fa comprendere pienamente l'identità il senso e il fine della persona. Continua a pagina 4


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Segue da pagina 3 La libertà religiosa è all'origine della libertà morale». S come semplicità. Una frase su tutte rispecchia l'uomo Ratzinger e il pastore Benedetto XVI: «Con l'umiltà di saperci semplici chicchi di grano, custodiamo la ferma certezza che l'amore di Dio, incarnato in Cristo, è più forte del male, della violenza e della morte. Sappiamo che Dio preparerà per tutti gli uomini cieli nuovi e terra nuova in cui regnano la pace e la giustizia e nella fede intravediamo il mondo nuovo che è la vera nostra patria». T come Terzo mondo. La visione di Ratzinger soprattutto sull'Africa parte dal riconoscimento delle responsabilità morali che gravano sull'Occidente. Il traffico d'armi, lo sfruttamento delle risorse, la disattenzione storica. Alla Chiesa europea e americana ha affidato il compito di sostenere gli africani e accompagnarli sulla via della democrazia, della riconciliazione, della giustizia. In uno dei suoi viaggi africani (Benin, Angola, Camerun) ha sottolineato che troppo spesso il «nostro spirito si ferma a pregiudizi o a immagini che danno della realtà africana una visione negativa, frutto di una analisi pessimista. Si è sempre tentati a sottolineare ciò che non va, o ad assumere il tono sentenziose del moralizzatore». U come Uccellino. «Era una splendida giornata di sole che resta indimenticabile come il momento più importante della mia vita. Non si deve essere superstiziosi ma nel momento in cui l'anziano arcivescovo impose le sue mani su di me un uccellino, forse una allodola, si levò dall'altare maggiore della cattedrale e intonò un piccolo canto gioioso, per me fu come se una voce dall'alto mi dicesse: va bene cosi, sei sulla strada giusta». Questo ricordo è tratto dalla sua autobiografia e suona come una premonizione. Papa Ratzinger entra nella Storia non solo per le dimissioni, ma per avere incarnato il Papa della Parola.

Fede e carità, vincolo indissolubile

Il 1° febbraio 20013 Benedetto XVI ha reso pubblico il suo annuale messaggio per la celebrazione della Quaresima, che quest'anno cade nel contesto dell’Anno della fede, dedicato al tema del rapporto tra fede e carità. Benedetto XVI rimanda alla sua prima enciclica, «Deus caritas est», dove ricordava che «all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10), l'amore adesso non è più solo un "comandamento", ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro». Per non capire male il nesso tra fede e carità occorre ricordare anzitutto che cos'è la fede: «quella personale adesione – che include tutte le nostre facoltà – alla rivelazione dell'amore gratuito e "appassionato" che Dio ha per noi e che si manifesta pienamente in Gesù Cristo». Rileggiamo ancora la «Deus caritas est»: «Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l'amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimento nell'atto totalizzante dell'amore». Il Papa torna qui su un tema che ha trattato diverse volte in discorsi degli ultimi mesi: per gli «operatori della carità» cattolici è indispensabile la fede. Diversamente, la carità si riduce a mero umanitarismo o peggio si pone al servizio di obiettivi e ideologie incompatibili con la morale cattolica. Se pero è vero che per il cattolico non c'è vera carità senza fede, è vera anche l'affermazione reciproca: la fede autentica fiorisce necessariamente nella carità. «La fede è conoscere la verità e aderirvi (cfr 1 Tm 2,4); la Franca Giansoldati carità è "camminare" nella verità (cfr Ef 4,15). Con la fede si entra nell'amicizia con il Signore; con la carità si vive e si

coltiva questa amicizia (cfr Gv 15,14s). La fede ci fa accogliere il comandamento del Signore e Maestro; la carità ci dona la beatitudine di metterlo in pratica (cfr Gv 13,13-17). Nella fede siamo generati come figli di Dio (cfr Gv 1,12s); la carità ci fa perseverare concretamente nella figliolanza divina portando il frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22). La fede ci fa riconoscere i doni che il Dio buono e generoso ci affida; la carità li fa fruttificare (cfr Mt. 25,14-30)». Dunque l'intreccio fra fede e carità è indissolubile. «Non possiamo mai separare o, addirittura, opporre fede e carità. Queste due virtù teologali sono intimamente unite ed è fuorviante vedere tra di esse un contrasto o una "dialettica"». Da una parte, questo intreccio ci preserva dall'intellettualismo e da una fede meramente astratta: «è limitante l'atteggiamento di chi mette in modo così forte l'accento sulla priorità e la decisività della fede da sottovalutare e quasi disprezzare le concrete opere della carità e ridurre questa a generico umanitarismo». Ma oggi il rischio prevalente è forse quello opposto: «sostenere un’esagerata supremazia della carità e della sua operosità, pensando che le opere sostituiscano la fede. Per una sana vita spirituale è necessario rifuggire sia dal fideismo che dall'attivismo moralista». Il Pontefice richiama i recenti discorsi in cui ha messo in guardia le organizzazioni caritative cattoliche da una falsa carità sganciata dall'annuncio della fede e dalla buona dottrina. «La priorità spetta sempre al rapporto con Dio e la vera condivisione evangelica deve radicarsi nella fede (cfr. Catechesi all’Udienza generale del 25 aprile 2012). Talvolta si tende, infatti, a circoscrivere il termine "carità" alla solidarietà o al semplice aiuto umanitario. E’ importante, invece, ricordare che massima opera di carità è proprio l’evangelizzazione». Non basta assistere i poveri, occorre annunciare loro il Vangelo. «Non v'è azione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spezzare il pane della Parola di Dio, renderlo partecipe della Buona Notizia del Vangelo, introdurlo nel rapporto con Dio:


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l'evangelizzazione è la più alta e integrale promozione della persona umana». Le vere opere di carità «non sono frutto principalmente dello sforzo umano, da cui trarre vanto, ma nascono dalla stessa fede, sgorgano dalla Grazia che Dio offre in abbondanza». La Quaresima dovrebbe aiutarci a capire che esistono sia una «priorità della fede» sia un «primato della carità», e che non sono in contraddizione tra loro. «Il rapporto che esiste tra queste due virtù è analogo a quello tra due Sacramenti fondamentali della Chiesa: il Battesimo e l'Eucaristia. Il Battesimo (sacramentum fidei) precede l'Eucaristia (sacramentum caritatis), ma è orientato ad essa, che costituisce la pienezza del cammino cristiano. In modo analogo, la fede precede la carità, ma si rivela genuina solo se è coronata da essa». Non c'è vera carità senza la fede, non c'è vera fede senza la carità.

Massimo Introvigne

Il servizio della carità Mi accingo a scrivere questo articolo dopo aver, non senza emozione e commozione, seguito le ultime ore del pontificato di Papa Benedetto XVI che,l’11 febbraio scorso ,con una decisione straordinaria ha scelto di rinunciare al Ministero Petrino per amore della Chiesa. Un gesto di grandissima umiltà e soprattutto di fede compiuto da un Pontefice che,a mio giudizio,è stato il migliore tra quelli che hanno guidato la Chiesa dopo il Vaticano II. Con la sua rinuncia ,Benedetto XVI ha dato ancora una volta prova di essere non il “pastore tedesco”come ironicamente e in maniera irriverente titolò un giornale di nota ispirazione comunista all’indomani dell’elezione avvenuta il 19 aprile del 2005,ma il Pastore al quale il Signore ha affidato il suo gregge e ha ripetuto le parole rivolte a san Pietro :“Pasci i miei agnelli”.Schivo,riservato, non amante dell’entourage mediatico che aveva caratterizzato,talvolta anche negativamente, il pontificato del Beato Giovanni Paolo II,papa Ratzinger ha nei suoi otto anni di pontificato invitato la Chiesa a riscoprire le tre virtù teologali:Fede,Speranza e Carità. Non è questa la sede per poter tracciare un quadro del servizio petrino di Bene-

detto XVI,né avrei le competenze per poterlo fare,ma è indubbio che l’ex “temuto”Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede,divenuto Papa, ha tracciato delle linee guida che mi auguro vengano riprese dal suo successore. Tra i doni che Benedetto XVI ha fatto alla Chiesa vi è una Lettera Apostolica in forma di “Motu proprio” datata 11 novembre 2012,dal titolo” Intima Ecclesiae natura”.Si tratta di un testo sul servizio della carità che, alla luce di quello che il Papa ha deciso di fare, appare non solo un testo “giuridico”che finalmente chiarisce che cosa qualifica l’identità cattolica degli organismi caritativi, ma anche una ulteriore conferma della grandezza di questo Pontefice che della riflessione profonda sulle tre virtù teologali ha fatto il tratto distintivo del suo Magistero, ribadendo con chiarezza i punti salienti della Fede, troppo spesso solo sussurrati o sottovalutati anche dagli addetti ai lavori, preoccupati magari di non diventare sgraditi al mondo. Un documento che richiede la riflessione all’interno delle comunità ecclesiali, piccole o grandi che siano,per evitare di continuare a depauperare il concetto cristiano di carità, dimentichi che “ l’azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore per l’uomo,un amore che si nutre con l’incontro con Cristo”. Il Motu proprio serve inoltre anche a chiarire come vanno gestite le iniziative organizzate che,nel settore della carità, vengono promosse dai fedeli nei vari luoghi. Il discorso è molto articolato e per questo motivo mi limiterò a fare delle considerazioni solo su alcuni punti della”Intima Ecclesiae natura” che mi hanno particolarmente colpito. Nel proemio Benedetto XVI ricorda che “l’intima natura della Chiesa

si esprime in un triplice compito :annuncio della Parola di Dio,celebrazione dei Sacramenti, servizio della carità. Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro”. Si comprende bene allora sin dall’inizio del Motu proprio il carattere distintivo di chi si impegna negli organismi caritativi cattolici e degli stessi organismi caritativi: la consapevolezza che la carità non può essere disgiunta dall’annuncio-testimonianza e dalla liturgia. Poi il Papa chiarisce che “il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa” e che i fedeli nell’impegnarsi a vivere il comandamento dell’Amore devono offrire all’uomo contemporaneo non solo un aiuto materiale,ma anche ristoro e cura dell’anima. Di conseguenza Benedetto XVI ci ricorda che “nella attività caritativa, le tante organizzazioni cattoliche non devono limitarsi ad una mera raccolta di fondi,ma devono sempre avere una speciale attenzione per la persona che è nel bisogno e svolgere,altresì,una preziosa funzione pedagogica nella comunità cristiana, favorendo l’educazione alla condivisione, al rispetto e all’amore secondo la logica del Vangelo di Cristo. L’attività caritativa della Chiesa, infatti, a tutti i livelli,deve evitare il rischio di dissolversi nella comune organizzazione assistenziale, divenendone una semplice variante”. E’ una indicazione limpida e precisa che dissolve ogni equivoco circa l’attività caritativa della Chiesa e quindi anche delle nostre comunità ecclesiali. Il servizio della Carità fatto dai cristiani ha una caratteristica unica che lo distingue dagli altri:l’attenzione alla persona che è nel bisogno perché in essa il cristiano riconosce Cristo. Il Vangelo invita a vedere il volto di Cristo nel volto del fratello indigente e dunque a tener conto di tutte le dimensioni del suo essere: fisica, psichica e spirituale.

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Segue da pagina 5 Non è chiaramente un giudizio sulle altre tipologie di attività caritative svolte da altri enti,ma vuole giustamente inquadrare il servizio cattolico della Carità nell’ambito della Fede, dal quale non dobbiamo e non possiamo allontanarci. Sempre con chiarezza e se volete anche con fermezza, papa Benedetto nella parte dispositiva del Motu proprio disciplina l’operato delle attività caritative che si fregiano dell’aggettivo “cattolico”. Innanzi tutto obbliga i Vescovi a vigilare e ad evitare che organismi di carità che siano loro soggetti ” siano finanziati da enti o istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della Chiesa”.Parimenti il Papa ribadisce che il Vescovo diocesano “deve evitare che organismi caritativi accettino contributi per iniziative che, nella finalità e nei mezzi per raggiungerle,non corrispondano alla dottrina della Chiesa”. Finalmente chiarezza! Finalmente si pone fine a quella incoerenza che caratterizza tanta parte del cattolicesimo contemporaneo,disposta a sostenere associazioni che difendono, legittimamente,i diritti degli animali ma sono in pari tempo disposte a fare l’impossibile per salvare un cucciolo e non il bimbo nel grembo della mamma. Mi sembra opportuno a tal proposito riportare le parole dell’Arcivescovo di Digione,autore di un interessantissimo commento al Motu proprio “Intima Ecclesiae natura”, apparso sul giornale della Santa Sede qualche giorno fa. Nella parte conclusiva del suo intervento il prelato francese scrive :” L’identità cattolica è anche nella proposta etica legata alle opere di carità. L’insegnamento dottrinale e morale della Chiesa è direttamente interessato negli organismi caritativi .L’azione caritativa riguarda le questioni del rispetto della vita, della sessualità umana, del matrimonio,dell’educazione, del lavoro, della dipendenza,tutti ambiti in cui la Chiesa professa una visione dell’uomo e della società che, nella maggior parte dei casi, non coincide con ciò che la società promuove nei suoi organismi

I NCONTRO PER UNA CHIESA VIVA di solidarietà. Programmi umanitari ufficiali possono essere condizionati, per esempio, dall’adozione di metodi contraccettivi, dalla banalizzazione dell’aborto, dalla giustificazione dell’eutanasia, o dalla ricerca sull’embrione umano, in contraddizione con ciò che la Chiesa considera moralmente giusto e buono. Occorre dunque vigilare affinché le iniziative ecclesiali possano smarcarsi dai metodi che tendono a imporre un’antropologia materialista e utilitarista senza riguardo per la dignità della persona umana.” Un avvertimento necessario,a mio giudizio,in un contesto storico culturale in cui il relativismo che ha affascinato anche noi cattolici ci porta ad accettare passivamente tutto e il contrario di tutto,in un malinteso senso del rispetto dell’altro che vede noi cattolici in primis vergognarci di professare la nostra fede in Cristo, chiuderci talvolta nelle tranquille sacrestie,magari profumati di incenso,e rifiutarci di andare nel mondo ad incontrare chi veramente ha bisogno di noi, perché ha bisogno di Dio. Il Dio di Gesù Cristo che,in teoria, dovremmo annunciare e testimoniare, senza scendere a compromessi e senza negoziare su quei valori che proprio papa Benedetto XVI ha avuto il coraggio di definire “non negoziabili”. Mi auguro che il documento pontificio,a causa dei suoi contenuti talvolta forti e non proprio “politicamente corretti”,non esca di scena come il suo estensore,ma venga meditato prima dai Vescovi e dai sacerdoti e poi da noi laici impegnati. Fare propri gli insegnamenti della “Intima Ecclesiae natura” è una forma di ringraziamento verso un Pontefice che ha fatto della Carità il fiore all’occhiello della sua missione apostolica e una delle ragioni che hanno ispirato la sua singolare,umanissima e coraggiosissima decisione di permettere ad altri di guidare la Barca di Pietro,consapevole di non avere più le forze per poter continuare. Una decisione maturata nella Fede,illuminata dalla Speranza,realizzata nella Carità. Roberto Palumbo

Commento al Piano Pastorale In riferimento al Piano Pastorale che stiamo svolgendo da quasi sette anni ,dal titolo “ Camminiamo Insieme”, pur apprezzandone lo scopo, pur impegnandoci a voler continuare il lavoro per “promuovere l’identità di ogni battezzato e renderlo consapevole e corresponsabile del cammino pastorale ,in una Chiesa dal volto familiare” e “ promuovere la spiritualità di comunione tra i vari operatori pastorali , fino ad avere un lavoro pastorale sinergico …”, vorremmo fare alcune osservazioni, in vista di una nuova pianificazione. L’azione pastorale degli ultimi anni ha visto tutta la comunità Diocesana impegnata alla Evangelizzazione , ed “ alla crescita del Regno di Dio ,” approfondendo il valore della fiducia ed il valore della solidarietà,per meglio celebrare e testimoniare il Vangelo e la Carità. Dall’esperienza fino ad oggi vissuta, ne scaturisce un elemento fondamentale : la consapevolezza, diremmo, la necessità di “camminare insieme” per realizzare la Volontà di Dio. Urge una corresponsabilità tra le Parrocchie,affinchè Esse “ prendano parte al bene comune”, evitando la tentazione di agire isolatamente . I Presbiteri unitamente agli operatori pastorali dovrebbero praticare una Programmazione Pastorale Unitaria e Comunitaria. Gli stessi fedeli restano smarriti e confusi, specialmente in ricorrenze importanti e significative, quando a distanza di pochi metri si officiano due identiche Celebrazioni. Sarebbe auspicabile praticare un confronto maggiore,una maggiore apertura delle singole Comunità Parrocchiali. La buona volontà, l’esercizio e la pazienza di tutti e di ciascuno, attraverso la preghiera e l’ascolto della Parola, sono elementi necessari per raggiungere una meta : “ Una Comunità Ecclesiale che rifletti in modo mirabile il Volto di Cristo.” E’ necessario rinunciare alla durezza del cuore, altrimenti diventa un compito arduo portare avanti il Piano Pastorale; spesso ci si sente ripetere che Esso è una presa in giro , quando neanche i Presbiteri e gli Operatori Pastorali vanno tra loro d’accordo , o che la lettera , esprime sempre gli stessi concetti, ma sia i Presbiteri che gli operatori pastorali poco fanno per metterli in pratica. Eppure Gesù ci ha dato un insegnamento : “ Tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri .” ( Gv 13,34-35) . Chiediamo allo Spirito di darci la Forza necessaria per dare un nuovo vigore ed un nuovo impulso al Piano Pastorale Diocesano.

Giulia Schiavo


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Madre coraggio Aiutami ! Questa è stata la frase che ha cambiato la vita di un ragazzo di 16 anni di Cava De’ Tirreni che faceva uso di stupefacenti da oltre un anno e che si è rivolto così a sua madre. Questo ragazzo vive a Cava De’ Tirreni ma poteva abitare in Costiera, in uno dei comuni dei Monti Lattari o in qualsiasi altro paese in Italia o altrove. Una madre che ha cercato di capire cosa stava succedendo a suo figlio, che si è scontrata con una società che preferisce non parlare troppo dei problemi delle dipendenze dei ragazzi adolescenti. Parlare con i ragazzi adolescenti è difficile in condizioni normali. Sono presuntuosi e sfuggenti, come lo siamo stati noi prima di loro. L’adolescenza è un’età dove non si ascolta nessuno e che proprio per questo è un periodo della vita in cui i ragazzi hanno bisogno moltissimo del supporto della famiglia per crescere sani e prepararsi culturalmente per le sfide che verranno. Il “tempo” da dedicare ai figli è limitato. Il lavoro, i problemi economici, più figli con diversi problemi legati ad età diverse, la scuola, lo studio, lo sport, la musica, ecc. Noi genitori spesso non ce la facciamo a seguirli come vorremmo. Quando ci si accorge che la droga è entrata nella vita della nostra famiglia e difficile capire perché è successo . Ancora più difficile capire è come si fa ad uscirne (sempre che esista una via di uscita). Ci vuole coraggio! Il coraggio di una madre che cerca di capire cosa succede al figlio. Che lo mette alle strette, lo scopre. Il figlio che guarda la madre e gli dice: Aiutami! Non esiste nessuno più determinato al mondo di una madre che deve aiutare suo figlio. I papà sono presenti, vogliono bene ai figli, ma non hanno la stessa forza, la stessa tenacia, la stessa determinazione di una madre. I figli lo sanno e spesso ne approfittano. Ma quando un ragazzo di 16 anni , ormai tossicodipendente, si rende conto del baratro che gli si apre davanti, l’unica cosa da fare è di dire alla madre : “Aiutami!”, almeno quelli che hanno il buon senso o il coraggio o la forza della disperazione di farlo. Madre e figlio ,per iniziare il percorso

verso una qualche possibile soluzione al problema, sono andati insieme al SERT (Servizio per le Tossicodipendenze), presso la ASL del territorio. Parlare, cercare di capire l’incomprensibile, ragionare sull’assunzione di un veleno che uccide un po’ alla volta con un ragazzo di 16 anni non è un lavoro che un genitore può fare da solo. Il SERT li ha aiutati a parlare, a capirsi, ad intraprendere un cammino che forse non finirà mai, ma indirizzato verso una possibilità di vivere una vita normale per l’intero nucleo familiare coinvolto. Un ragazzo che assume stupefacenti non è un problema solo per sé stesso. Coinvolge tutti quelli che gli

stanno intorno, famiglia, amici, parenti, la scuola, etc. La mamma di questo ragazzo di Cava de Tirreni ha comunicato questa sua esperienza ad altri genitori in occasione di un incontro pubblico tenutosi il 16 Gennaio 2013 presso la Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Maiori , organizzato dal SERT e dal parroco Don Nicola allo scopo di aumentare la sensibilità delle famiglie verso questo problema e stimolare un’attività di prevenzione , che rimane l’unica forma possibile per evitare che i ragazzi possano un giorno affrontare situazioni spesso senza vie di uscita. E’ stato un momento intenso. Si sono affrontati argomenti difficili. La storia della lotta di questo ragazzo , ora diciottenne, con la tossicodipendenza. Il ruolo della chiesa ,della famiglia, del SERT , di ragazzi ed adulti che vivono lo stesso problema. Ma quello che è stato più evidente è stata l’onestà intellettuale della madre, che davanti alla scoperta del problema del figlio, anziché dare la colpa

alla società, agli amici sbagliati, a prendersela con il resto del mondo, ha avuto l’umiltà ed il coraggio di guardarsi dentro e chiedersi dove poteva avere sbagliato lei , cosa mancava a suo figlio che lei non gli aveva dato o cosa non aveva capito di suo figlio fino a quel momento. Sono domande che il più delle volte non hanno risposte semplici o non ce l’hanno affatto. Le cause possono essere molteplici e spesso i genitori non hanno nessuna colpa. Il solo fatto che un genitore si ponga queste domande è un atto di amore verso il figlio ed il più delle volte il primo passo da fare per dargli una mano. La mamma di Cava De Tirreni ,che è venuta a portarci questa testimonianza, combatte la sua battaglia quotidiana per portare il figlio fuori da questo problema. Qualche volta ha successo e qualche volta fallisce nei suoi tentativi di cercare di far vivere al figlio una vita normale, che dovrebbe essere fatta di studio, di amici, di sport, di principi sani che lo possano guidare verso la sua futura vita di uomo, capace di lavorare e costruirsi in futuro una famiglia sua. Sono tentativi, qualche volta mortificanti ed inutili , ma provarci è tutto quello che un genitore può fare per suo figlio, soprattutto perchè è evidente che da solo non ce la può fare. La droga ti toglie la cosa più importante : “il futuro”. Non si studia più, non si è più presenti in famiglia, le amicizie distrutte, nessun progetto, niente sogni. Il bisogno di soldi per procurarsi la droga porta a procurarseli in maniera illecita, anche pericolosa. Insomma : nessun futuro possibile. Aiutami! Era la cosa più giusta da fare, l’unica possibile. Questa è una storia piena di errori , di incomprensioni, di scelte sbagliate, di rapporti complicati tra genitori e figli , ma è anche una storia piena di coraggio , di amore, di speranza, di sentimenti, che possono cambiare un destino compromesso dalla dipendenza dalla droga o dall’alcol o dal gioco , e dove si prova a restituire un futuro a chi lo ha gettato via senza capire il male che si stava facendo.

Marco Rossetto


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Senza libertà non c’è vera Fede Nec religionis est cogere religionem. Lapidario è Tertulliano, con questo motto del suo scritto A Scapola (II, 2), nel riconoscere che nel cuore stesso della fede, ove pure impera la grazia divina, pulsa anche la libertà umana per cui «non è proprio della religione costringere alla religione». Un principio, purtroppo, non sempre rispettato dalle varie confessioni religiose, compreso il cristianesimo all’interno della sua storia secolare, ed è significativo che Giovanni Paolo II abbia anche di queste prevaricazioni chiesto perdono nel Giubileo del 2000. In un itinerario (che non è teologico ma di taglio culturale generale) all’interno dell’orizzonte della fede, oltre a celebrare il primato della grazia divina, non possiamo ignorare il necessario contrappunto armonico della libertà umana. Necessario perché la libertà è strutturale all’antropologia biblica e non solo alla concezione classica e moderna della persona. Non possiamo ora sviluppare questo tema inseguendo la trama dei testi biblici. Ci basti evocare due passi. Da un lato, la scena d’esordio delle Scritture: l’uomo e la donna sono collocati nei capitoli 2-3 della Genesi all’ombra «dell’albero della conoscenza del bene e del male», un evidente simbolo della morale nei cui confronti la creatura si trova libera se accettarne il valore oppure, strappandone il frutto, decidere in proprio ciò che è bene e male. D’altro lato, citiamo un passo emblematico della sapienza d’Israele: «Da principio Dio creò l’uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere. Se tu vuoi, puoi osservare i comandamenti, l’essere fedele dipende dalla tua buona volontà. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà» (Sir 15,1417). La grazia divina, pur nella sua efficacia, scende non all’interno di un oggetto inerte ma in un essere libero che può accogliere o rifiutare quel dono, può aprire o lasciare chiusa la porta della sua anima a cui bussa il Signore che passa, per usare la celebre metafora dell’Apocalisse (3,20). Esprime bene questo intrec-

cio delicato e fondamentale – sul quale si sono accaniti per secoli i teologi cercando di definirne l’equilibrio – padre David M. Turoldo quando scrive: «Sono certo che Dio ha scoperto me, ma non sono certo se io ho scoperto Dio. La fede è un dono, ma è allo stesso tempo una conquista». L’epifania divina ha mille forme in cui manifestarsi e non è sempre sfolgorante come sulla via di Damasco. Tuttavia non è mai così cogente da condurre a un assenso forzato e obbligato. L’adesione dev’essere personale, libera, anche faticosa. Siamo, infatti, consapevoli che l’esercizio della libertà è tutt’altro che

semplice. Essere liberi non è una pura e semplice reazione istintiva e "libertina", né soltanto un sottrarsi a un’oppressione o a un’imposizione, ma è una scelta coerente e cosciente tra opzioni differenti per una meta da raggiungere. Per questo il drammaturgo tedesco Georg Büchner nella Morte di Danton (1834) affermava che la statua della libertà è sempre in fusione ed è facile scottarsi le dita. Vivere nella libertà autentica, come ricorda spesso anche san Paolo, è un atto impegnativo perché comporta un’esistenza rigorosamente cosciente, ed è sempre in agguato il rischio del ricadere in schiavitù. Come accade ai cani a cui si lancia un ramo secco e te lo riportano subito, così per molti la libertà è un elemento inutile che riportano subito nelle mani del potere. Questa è un’immagine di Dostoevskij e dal grande romanziere desumiamo una suggestiva riflessione sul nesso tra fede e libertà. Scriveva: «Tu non discendesti dalla croce quando ti si gridava: Discendi dalla croce e crederemo che sei Tu! Perché una volta di più non volesti asservire

l’uomo… Avevi bisogno di un amore libero e non di servili entusiasmi, avevi sete di fede libera, non fondata sul prodigio». Lo scrittore rievoca la scena del Golgota col Cristo morente sbeffeggiato dai passanti: «È il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo!» (Mt 27,3942). Come durante la sua esistenza aveva evitato gesti taumaturgici spettacolari, preoccupandosi solo di sanare le sofferenze umane, spesso in disparte dalla folla e imponendo il silenzio ai miracolati, così in quel momento estremo Gesù affida la sua rivelazione non al prodigio ma allo scandalo della croce. Egli non cerca adesioni interessate, ma invita a una fede libera e guidata dall’amore che è per eccellenza un atto di libertà. Senza questa dimensione la fede diventa parodia, come si intuisce dalla ricostruzione che Simone de Beauvoir, la scrittrice francese compagna del filosofo Sartre, morta nel 1986, fa della sua crisi giovanile che le fece abbandonare la fede. Nelle sue Memorie di una ragazza perbene rievoca il momento in cui in collegio, ascoltando una predica del cappellano padre Martin sull’obbedienza, si era fatta in strada in lei la necessità di liberarsi dall’incubo della religione, proprio perché essa – secondo quella visione che in realtà era una deformazione dell’autentica fede – comportava la cancellazione della libertà. Raccontava: «Mentre l’abate parlava, una mano sciocca si era abbattuta sulla mia nuca, mi faceva chinare la testa, mi incollava la faccia al suolo, per tutta la vita mi avrebbe obbligata a trascinarmi carponi, accecata dal fango e dalla tenebra; bisognava dire addio per sempre alla verità, alla libertà, a qualsiasi gioia». Per questo è importante un annuncio corretto della fede che, senza concedere nulla a un accomodamento troppo facile, a un compromesso generico e comodo, non deformi però la vera anima della fede, introducendo un volto sfigurato di Dio, quella che Lutero chiamava la simia Dei, cioè la «scimmiottatura di Dio». Il credere genuino non è schiavitù ma libertà, non è imposizione ma ricerca, non è obbligo ma adesione, non è cecità ma luce,


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non è tristezza ma serenità, non è negazione ma scelta positiva, non è incubo minaccioso ma pace. Come affermava in un suo saggio, Vivere come se Dio esistesse, il teologo tedesco Heinz Zahrnt, «Dio abita soltanto là dove lo si lascia entrare». Questa scelta comporta – come in ogni opzione libera – un aspetto di rischio. Entra, così, in azione un lineamento ulteriore che è la fiducia. È la famosa fides qua dei teologi, ossia la fede «con la quale» si aderisce confidando in Dio e che fa accogliere la fides quae, cioè i contenuti della rivelazione divina che il credere ci manifesta. Abramo, che «per fede, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità e partì senza sapere dove andava» (Ebr 13,8), ne è l’esempio archetipico biblico. Mi affido ai versi di una scrittrice con la quale personalmente ebbi un dialogo intenso negli ultimi anni della sua vita, Lalla Romano, scomparsa nel 2001: «Fede non è sapere/ che l’altro esiste/ è vivere/ dentro di lui/ calore/ nelle sue vene/ sogno/ nei suoi pensieri./ Qui aggirarsi/ dormendo/ in lui destarsi» (da Giovane è il tempo del 1974). Come pregava un’altra poetessa, segnata però esplicitamente dalla fede, Ada Negri: «Tu mi cammini a fianco, o Signore, orma non lascia in terra il tuo passo. Non vedo te: ma sento e respiro la tua presenza in ogni filo d’erba, in ogni atomo d’aria che mi nutre». La fiducia ha il suo vaglio di autenticità nel tempo oscuro della prova, quando il volto di Dio scompare, la sua parola tace, la sua presenza si tramuta in assenza. Giobbe coinvolto in pieno nella tenebra, non cessa di credere e di aver fiducia: «Quand’anche egli mi ucciderà, non me ne lamenterò» (13,15). La tradizione giudaica mette in scena in una parabola un ebreo sfuggito all’Inquisizione spagnola con moglie e figlio che, durante una tempesta, approda in un’isola. Lì, però, un fulmine uccide la moglie e un’onda trascina in mare il ragazzo. Solo, nudo, flagellato dalla tempesta, atterrito, errabondo su quell’isola rocciosa, leva la sua voce al cielo: «Dio d’Israele, sono finito! Proprio ora, però, non ti posso servire se non liberamente. Tu hai fatto di tutto perché io non creda più in te. Bene, te lo dico, Dio mio e dei miei padri, tu non ci riuscirai: io crederò

sempre in te, ti amerò sempre, tuo malgrado!». Evidente è il paradosso, ma in questa ripresa del dramma di Giobbe, brillano la totale libertà e l’assoluta fiducia in Dio. Una fiducia che è esaltata anche nella tradizione musulmana con accenti altissimi (muslim significa appunto «chi ha fiducia e si abbandona a Dio»), anche se però non di rado a danno della libertà umana. Significativa è una pagina delMemoriale dei santi del grande scrittore mistico persiano del XII secolo Farid ed din ’Attar che ha per protagonista «un adoratore del fuoco», cioè uno zoroastriano, quindi un pagano agli occhi del musulmano. Farid vede che egli getta miglio sulla distesa di neve che circonda la sua abitazione e spiega che lo fa per gli uccelli del cielo, «sperando che l’Altissimo avrà misericordia di me». Ma Farid obiettò: «Tu sei un infedele e il grano seminato da un infedele non germoglia!». Quell’uomo replicò: «Pazienza! Se Dio non accetta la mia offerta, posso almeno sperare che veda il piccolo gesto di amore che io faccio». Mesi dopo ’Attar ripassa e ritrova l’uomo: «L’Altissimo ha fatto germogliare quei semi. Grazie, o Dio, che regali il paradiso per un pugno di grano! Il cuore di Dio si commuove sempre di fronte a un gesto d’amore!». Amore, fiducia, fede si uniscono tra loro e donano serenità. È ancora un musulmano, il poeta nazionale del Pakistan Muhammad Iqbal, morto nel 1938, a scrivere: «Ti dirò il segno del credente:/ quando a lui giunge la morte,/ sulle sue labbra sboccia un sorriso». Vivere la fede genera una fiducia che fa fiorire, anche nella crudezza dell’agonia, un sorriso. Concludiamo, allora, con una delle Quattordici preghiere che compose Robert L. Stevenson, il geniale autore ottocentesco inglese dell’Isola del tesoro e dello Strano caso del dottor Jekyll e del Signor Hyde, un vero canto di fiducia nel Dio che non abbandona mai le sue creature coi suoi piccoli e grandi doni: «Ti ringraziamo, Signore, per questo luogo nel quale dimoriamo, per l’amore che ci tiene insieme, per la pace che oggi ci è accordata, per la speranza con la quale aspettiamo il domani, per la salute, il lavoro, il cibo, il cielo chiaro che riempiono la nostra vita di fiducia e di serenità». Card. Gianfranco Ravasi

I tanti maestri

Ho venti anni. Saranno venti fino a ‘Meta' mese . Il mio odore e' quello asettico, quasi da infermeria di Fisciano e dei suoi parallelepipedi tutti finestre ed aeratori, del professore Meriani che, dritto come un ago negli spezzati di lana, entra alle nove in punto al dipartimento di scienze dell'antichità, dei suoi occhiali da vista tondi e dalla montatura in tartaruga , delle sue palpebre pesanti come gusci. Il primo esame ha la voce di Fabio Concato : " e ti ricordo ancora..." mio padre sembra conoscere i testi meglio della strada, sbagliamo due volte, con l autobus tutto e' più semplice, gli autobus sono cavalli ammaestrati e io ho uno scarsissimo Senso dell'orientamento. Ho paura ma fingo una sforzata tranquillità Mentre si susseguono le canzoni che sentirò spesso in occasione degli esami, almeno fino a quando sarà mio padre ad accompagnarmi e ad aspettarmi in uno dei tanti parcheggi identici dell'università con i divisori rossi che sembrano lego appena Montati . Scendo, raggiungo l' aula senza Voltarmi, una staffetta di informazioni mi conferma che l'esame si terra nella numero 7 . Sbaglio anche li, Come sempre, piano, corridoio e direzione: le facoltà con i loro labirinti hanno per me gli stessi pericoli di un viaggio in autostrada. Foratura, incidenti , tamponamento, code. Tampono una doppia di candidate che occupano il posto nella fila davanti alla mia, La mia coda e' un elenco che procede in ordine alfabetico, facendo un rapido calcolo dovrei essere interrogata in tarda mattinata, penso a mio padre, isolato in un parcheggio per almeno tre ore e prego che Fabio Concato non canti cosi tanto da annoiarlo. L'incidente e' una ragazza cupa e sinistra raccolta in un cardigan che recita una pagina di critica letteraria come un Rosario.

Continua a pagina 10


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Segue da pagina 9 Ho la sfortuna di chiederle come sono i professori , errore da evitare,sempre. il responso dell’oracolo in tricot e' funesto, la mia Cassandra si porta una mano alla fronte quando la commissione varca l'ingresso con l aspetto di un triplice Caronte o meglio di un' Idra. Entro. Montella, l'assistente alla cattedra, e' avvolto da una nuvola di fumo, la testa piccola e riccia sporge come quella di una lumaca da un maglione a girocollo. E' lui ad accogliermi grigio quattro ore dopo aver visto sfilare davanti A me statini marchiati a fuoco da trenta color lacca e da svastiche di sconfortanti diciotto. Il Mio turno è puntellato da macchie rosse che so mi copriranno il collo e scenderanno fino allo sterno: e' il mio modo di elaborare l'ansia, l'emozione, la paura. Dante, l 'inferno. Ho sempre amato Dante, i sensi molteplici, le. Scatole cinesi dei suoi versi, il rebus dei canti. Un'ora dopo arrivo al parcheggio trafelata con il mio trenta e lode nella prima riga del libretto fino ad allora vergine ed impalmato dall'esame letteratura italiana uno. Mio padre sta fumando, dallo sportello aperto chissà da quanto tempo, intravedo un animella muoversi trasparente . Lo abbraccio. Andiamo via, a me sembra di aver compiuto un'impresa straordinaria , un allunaggio. Per la prima volta guardo quella Ostuni di aule che rimpicciolisce mentre ci allontaniamo con occhi buoni, felici. Ottobre: glottologia è un delizioso Shanghai di lingue che bisogna sollevare per scoprire altre lingue, la libreria universitaria è accanto al passaggio a livello. Quando devo chiedere i testi arrossisco , e' una mia debolezza, arrossirò per sempre. Dicembre: ho nuovi colleghi all'università, uno di loro mi parla di Agropoli e di quanto sia bella d'estate con gli chalet tutti montati sulle spiagge come trabocchi , un altro e' un appassionato di cimiteri e veste sempre di nero. Mi accorgo che i compagni di liceo sfumano come colori passati con i polpastrelli, eppure quella tonalità non mi fa più male. Marzo: fa ancora freddo, nuove gru impilano molari di cemento alle radici armate. Mi hanno regalato una penna deliziosa ed un pelouche. Aprile: Fisciano è un gheriglio piccolo nell'armatura della cittadella universitaria. C'è una birreria,

e'sera, io indosso uno dei Miei vestiti più belli, ma c'è troppa gente, vado via e non ci tornerò più. Adesso Fisciano e' una barca senza mare arenata in una cartellina verde con l'elastico ormai consumato. Al posto delle vele e del timone, Moduli, biglietti dell'autobus, programmi degli esami, qualche pagina della guida universitaria, le ricevute delle tasse pagate, il Mio numero di Matricola, le foto, il ricordo della borsa di studio vinta. E le poesie annotate a lato degli appunti e un merletto di appunti illeggibili. E tutta una me in jeans e giacca beige con i polsi di pelliccia ecologica sta annodata la dentro. Una me che, sola e con un minimo di senso delle direzioni in più, aspetta l'autobus sotto la pensilina e guarda lo smalto della bigliettaia e la tenuta strabiliante del suo rossetto, una me che non ripassa mai gli esami il giorno prima , scaramanzia, tradizione, una me che sapeva cosa voleva prima di lasciarsi inghiottire dalla cattedrale di aule e facoltà e quasi sempre l'otteneva. Una me che oggi mi guarda e vede dentro le iridi chiare la stessa, infantile paura di arrossire nel rispondere ad una domanda . E poi si perdona ricordando un golfino con la cintura , i pantaloni a vita alta ed una croce di oro bianco che penzola al collo come un battaglio mentre festeggia il primo bel Voto credendo sia tutta lì la vita.

Emilia Filocamo Festa di San Biagio nella chiesa di S. Trifone

Domenica 3 febbraio scorso, la Comunità parrocchiale di Santa Maria del Lacco, con gioia grande si è riunita per la celebrazione della Santa Messa domenicale nella chiesa - ex abbaziale della beata Vergine Maria e dei Santi Trifone e Biagio, confusa nel passato con quella di

San Martino, perché nel corso dell'Ottocento, a causa di lavori di restauro, la cappella cimiteriale fu temporaneamente trasferita a San Trifone. La scelta di trasferire la celebrazione della Messa domenicale dalla chiesa parrocchiale del Lacco alla chiesa dell'ex cenobio benedettino è stata dettata dal fatto che il Martire di Sebaste è contitolare dell'antico e glorioso cenobio benedettino. La santa messa, prevista per le ore 9.30, è iniziata con un leggero ritardo, a causa del cattivo tempo che dalla notte imperversava sull'incantevole costa d'Amalfi e che, pertanto, ha fatto ritardare i fedeli a raggiungere il luogo sacro, posto da circa mille anni al di fuori della città e ancora oggi raggiungibile solo a piedi. La funzione religiosa, della IV domenica del Tempo ordinario, è stata introdotta dall'inno al santo martire Biagio di Sebaste, cantato dall'Assemblea per la prima volta. La composizione poetico-musicale è stata composta dal cavalier Enzo del Pizzo lo scorso mese di novembre, dopo che dal Popolo è arrivata la richiesta ad avere anche un inno al santo protettore della gola oltre che ai santi Trifone e Martino venerati nell'antica Badia benedettina. Essa si compone di otto quartine e ritornello. Preziosissimo è stato l'aiuto fornito dal dottor Salvatore Amato che, da attento ricercatore e storico locale, ha fornito alcune informazioni sulla vita e sulla devozione a Ravello del santo Vescovo di Sebaste. Notizie che il compositore ha utilizzato per versificare il nuovo inno, descrivendo San Biagio nelle varie specificazioni biografiche e taumaturgiche, concludendo con il ricordo del culto millenario nella città di Ravello. Nel corso dell'omelia, il Parroco Padre Carmine Satriano, in pochi minuti, con un'ottima capacità di sintesi, ha affrontato non solo il delicato tema del giorno riguardante la difesa della Vita, dal suo nascere al suo naturale tramonto, ma ha anche citato, doverosamente, il Santo del giorno, il Medico-Vescovo-Martire Biagio che ha testimoniato il Cristo con l'esempio di una vita spesa nei tre stati di curatore dei corpi, delle anime e infine con la testimonianza più bella del dono della vita, attraverso il cruento martirio, nel corso del quale gli fu strappata la carne di dosso con lo strumento della carda


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e gli fu tagliata la testa. Infine il Parroco, nel giorno settimo della dipartita, oltre che a pregare, ha ricordato la bella persona del carissimo Peppe Pagano che, con devozione e semplicità, partecipava con gioia alla vita della nostra Comunità parrocchiale. Dopo i riti di comunione, la solenne celebrazione eucaristica è proseguita con la benedizione dell'olio, la supplica al Santo e la solenne benedizione finale. Al termine, in modo ordinato e devoto, il Popolo, al canto dell'inno "Medico nostro, salvaci", suonato su invito dell'autore, dalla piccola e promettente pianista Maria Federica Petrongolo-Sciorio, in processione ha ricevuto l'unzione della gola. Veramente è stata una grande e bella celebrazione: ordinata, devota e partecipata; anche il tempo è diventato clemente con un raggio di sole, confermando il detto popolare: "San Biase, ‘o sole p''e ccase".

Sua Passione,siamo immersi nel suo Spirito,riceviamo il pegno della Gloria futura. Attraverso questo Sacramento si coglie tutto l’Amore di Dio per noi, percepiamo tutto ciò che Gesù ha fatto per la nostra salvezza. L’Eucaristia è il Dono dei doni ; Dio ci dona Se stesso ,si unisce a noi e si fa nostra vita, è il punto d’arrivo di tutta la Creazione, che si congiunge al suo Creatore. Nel Sacrificio Eucaristico percepiamo l’umiltà di Dio che per essere deside-

Antonio Sciorio Importanza delle Giornate Eucaristiche In quest’anno 2013, in cui stiamo vivendo l’Anno della Fede , voluto dal Pontefice Benedetto XVI, importanza fondamentale rivestono le Giornate Eucaristiche, celebrate nella nostra Comunità Parrocchiale dal 4 al 7 Marzo prossimi. Una tappa importante del nostro cammino quaresimale che ci porterà al cuore della nostra fede: la morte e la Resurrezione di Gesù. La parola Eucaristia,significa “ rendimento di grazie”. Le Giornate Eucaristiche, rappresentano un tempo in cui esercitarsi nell’arte del ringraziamento, non solo attraverso la devozione, ma anche con l’Azione Liturgica, lasciandoci guidare da “Colui che è il Signore della vita”. Durante le SS.Quarantore, invochiamo come figli l’Amore del Figlio nel nome del Padre. Invochiamo Dio che ci ha chiamato per primo, evochiamo la Salvezza, consapevoli della nostra chiamata, sentiamo il bisogno di cibarci del Corpo di Colui che ha dato la sua vita per noi . “ L’Eucaristia è il banchetto in cui ci nutriamo di Cristo, facciamo memoria della

rato da tutti noi che ardentemente ama,si fa nostro bisogno fondamentale: Pane. Noi ne prendiamo ed attingiamo linfa per vivere da fratelli, in umiltà e servizio reciproco. L’Eucaristia è considerato il Pane di Vita, Cibo che dà forza lungo il viaggio della vita fino alla “Parusia”, quando ci sarà rivelato il Suo Volto. Non sciupiamo la Grazia che ci viene donata in questi Santi Giorni , impegniamoci a custodire il Cibo che non perisce, a nutrirci della Parola di Dio che non passa e che plasma il nostro cuore, ad essere partecipi della Vita di Dio e del Suo Amore, per essere primi collaboratori della sua opera: la fede in noi e negli altri. Dio infatti ci chiede di credere in Colui che Egli ha mandato per noi, per vivere come uomini e donne nuovi in Gesù, con Gesù e per Gesù.

Giulia Schiavo

Il crocifisso di San Pantaleone nella Sala Clementina

E’ stato esposto nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico in Vaticano un crocifisso medievale. Dinanzi a esso si sono raccolti in preghiera quanti partecipano agli esercizi spirituali che si sono svolti dal 17 al 23 febbraio nella cappella Redemptoris Mater e predicati dal Card. Gianfranco Ravasi. Si tratta di un’opera realizzata tra il 1335 e il 1345 (attribuita a un pittore conosciuto come Maestro del crocifisso di San Pantaleone) e si ispira alla tradizione iniziata in Toscana da Giotto e da Cimabue. Alla fine della seconda guerra mondiale, crocifisso venne trafugato dalla chiesa di San Pantaleone a Venezia. Dopo numerosi passaggi di mano, ne e entrato in possesso un collezionista tedesco, che lo ha poi venduto alla casa d’asta Lempertz. Ricostruita la storia, e compresa l’importanza della provenienza, la casa d’asta ha deciso di restituire l’opera alla chiesa di Venezia alla quale era stata sottratta. La cerimonia per la consegna al patriarca di Venezia monsignor Francesco Moraglia si e svolta il 17 novembre scorso a Colonia, alla presenza metropolita, il c a rd i n a le Joachim Meisner. Collocato il 15 febbraio nella Sala Clementina, il crocifisso è rimasto esposto fino al 28 febbraio.


CELEBRAZIONI DEL MESE DI MARZO GIORNI FERIALI Ore 17.00: Santo Rosario Ore 17.30: Santa Messa GIORNI PREFESTIVI E FESTIVI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa GIOVEDI’ 14-21 MARZO Al termine della Santa Messa delle 17.30 Adorazione Eucaristica VENERDI’ 8 - 15 e 22 MARZO Ore 18.00 Via Crucis 2 MARZO CAVA – S. Alfonso: Convegno Catechistico Diocesano “La catechesi: annuncio e cammino di fede” - Relatrice: Suor Mariangela Tassielli, paolina (ore 9:30/13.00) 3 MARZO III DOMENICA DI QUARESIMA Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe

LUNEDI’-GIOVEDI’ 4-7 MARZO GIORNATE EUCARISTICHE ( QUARANTORE ) CHIESA DI SANTA MARIA A GRADILLO Ore 8.00 : Celebrazione Eucaristica ed Esposizione del SS. Sacramento per l’adorazione ininterrotta; Ore 18.30: Celebrazione dei Vespri, Omelia e Benedizione Eucaristica. 10 MARZO IV DOMENICA DI QUARESIMA Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 17 MARZO V DOMENICA DI QUARESIMA Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe Convento di S. Francesco: Ritiro di spiritualità coniugale e familiare a cura dell’Ufficio Diocesano di Pastorale Familiare – “Comunione familiare e comunione trinitaria”, Meditazione di Don Paolo Gentili Direttore dell’UPF della CEI – S. Messa conclusiva cel. da S. E. l’Arcivescovo (ore 9:30/17:00) 19 MARZO—SOLENNITA’ DI S. GIUSEPPE SPOSO DELLA B.V. MARIA Ore 18.00: Santa Messa

22 MARZO CAVA – Concattedrale: 500° anniversario della fondazione della ex Diocesi di Cava de’ Tirreni (con la Bolla Sincerae Devotionis di Leone X – 22 Marzo 1513)

24 MARZO DOMENICA DELLE PALME Ore 8.00 - 18.00: Sante Messe Ore 10.15: Benedizione delle Palme a S. Maria a Gradillo, processione verso il Duomo e S. Messa. 25 MARZO - Liturgia Penitenziale a S. Maria a Gradillo (ore 18.00) 26 MARZO - Via Crucis Liturgica con partenza dal Cimitero (ore 18.00) 27 MARZO AMALFI – Cattedrale – ore 18:00 Solenne Celebrazione della Messa Crismale, presieduta da S. E. l’Arcivescovo

Il programma del Triduo Pasquale sarà pubblicato a parte


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