Incontro luglio 13

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Per una Chiesa Viva Anno IX - N. 6 – Luglio 2013 www.chiesaravello.it

P ERIODICO

DEL LA C OMU NITÀ E CCL ESIAL E DI RA VEL LO

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I martiri di oggi Negli scritti del Nuovo Testamento, il termine "martire" riprende il significato che questa parola ha nella lingua greca, nella quale indica il testimone: colui che ha visto un fatto e può darne testimonianza, ma anche colui che afferma la verità delle proprie convinzioni. I cristiani, dunque, sono martiri, perché testimoni di Cristo; professano la loro fede in Lui e, per questo motivo, vengono perseguitati ed uccisi. All’inizio del cristianesimo,dunque, l'accento è posto sulla testimonianza di vita dei discepoli del Vangelo. Leggendo,però, la storia dei martiri, ci accorgiamo che, a partire dal secondo secolo,l'attenzione viene sempre più rivolta alla morte violenta di coloro che testimoniano la propria fede in Cristo. In conseguenza di questa concezione o idea del martirio, nel nostro tempo, quando parliamo dei martiri cristiani siamo piuttosto abituati a pensare non tanto alla testimonianza cristiana di vita di quanti si professano seguaci di Cristo, quanto alle icone, ai dipinti o agli affreschi che vediamo nelle nostre chiese o nei musei. E il pensiero va alle gesta eroiche e lontane di quei primi cristiani, perseguitati dagli imperatori romani, che, per difendere la propria fede, erano costretti a rifugiarsi nelle catacombe. Bisogna, tuttavia, ammettere che nella società moderna la condizione dei cristiani è mutata; esiste una realtà che forse non conosciamo perché, a volte, lontana da noi o troppo lontana dalle logiche e dagli interessi politici, che maggiormente attirano la pubblica opinione. A riflettere sulla realtà del martirio dei cristiani, nel nostro tempo, ci ha invitato

recentemente Papa Francesco all’Angelus di domenica 23 giugno, vigilia della solennità della natività di San Giovanni Battista. Nel tradizionale saluto domenicale, dalla finestra del suo studio su piazza San Pietro, il Papa, commentando la frase di Gesù: «chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia la salverà», ha osservato che «perdere la vita» non necessariamente significa morire, anche se «i martiri sono l'esempio massimo del perdere la vita per Cristo».

Egli dopo di aver rievocato la storia di san Giovanni, con l'epilogo della condanna a morte per aver denunciato l'adulterio del re Erode e di Erodiade, ha commentato: «Quante persone pagano a caro prezzo l'impegno per la verità. Quanti uomini retti preferiscono andare controcorrente, pur di non rinnegare la voce della coscienza, la voce della verità». “Anche nel nostro tempo”, il Papa ha ribadito con forza, “in molte parti del mondo, ci sono martiri: uomini e donne che sono imprigionati, uccisi per il solo motivo di essere cristiani. E sono in numero maggiore che nei primi secoli della Chiesa”. Ha quindi

sottolineato l’esistenza di un altro martirio, il «martirio quotidiano» di chi compie «il proprio dovere con amore, secondo la logica di Gesù, la logica del dono, del sacrificio. Quanti papà e mamme ogni giorno mettono in pratica la loro fede offrendo concretamente la propria vita per il bene della famiglia. Quanti sacerdoti, frati, suore svolgono con generosità il loro servizio per il regno di Dio. Quanti giovani rinunciano ai propri interessi per dedicarsi ai bambini, ai disabili, agli anziani...». Poi, ha aggiunto «ci sono tante persone, cristiani e non cristiani, che perdono la propria vita per la verità» sull’esempio di san Giovanni Battista, «scelto per preparare la via davanti a Gesù» e indicare al popolo il Messia. Chi non conosce,infatti, il caso di Asia Bibi, la donna pakistana di 37 anni, madre di due bambini, la cui vicenda particolare negli ultimi tempi è diventata simbolo del martirio dei cristiani nel Medio Oriente? Si sa come , durante il suo lavoro nei campi del Punjab, Asia Bibi ebbe una discussione con le sue colleghe di lavoro islamiche, le quali volevano convincerla ad abbandonare il cristianesimo e a convertirsi all'Islam. La donna difese la sua fede in Cristo crocifisso per lei, additandolo come esempio alle sue colleghe e invitandole a pensare cosa Maometto avesse fatto per loro. A seguito di questa proposta espressione di coraggiosa testimonianza cristiana, Asia fu picchiata e rinchiusa in carcere, mentre la gente insultava lei e i suoi figli. Denunciata per blasfemia è stata anche condannata a morte. Continua a pagina 2


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Segue dalla prima pagina È noto anche che il Pakistan si è reso protagonista ultimamente della promulgazione di una legge che condanna la blasfemia contro l'Islam, e possiamo ben immaginare che tipo di utilizzo se ne possa fare, anche alla luce della vicenda toccata ad Asia Bibi. Durante l'Angelus di quella Domenica il Papa, vedendo tanti giovani presenti in Piazza San Pietro, li ha così esortati: “non abbiate paura di andare controcorrente, quando vi vogliono rubare la speranza, quando vi propongono valori che sono valori avariati; quando un pasto è andato a male ci fa male, invece bisogna andare controcorrente e avere questa fierezza di andare proprio controcorrente, avanti, siate coraggiosi, andate controcorrente e siate fieri di farlo”. E’ questo un ulteriore, forte ed importante invito a non vergognarci della nostra fede da vivere sull’esempio e per rispetto del Signore Gesù, che non si è vergognato di noi, fino al punto di farsi da noi uccidere, ma anche per rispetto di coloro che per amor suo hanno donato la vita e di quanti ancora oggi rischiano la loro stessa vita per rimanere fedeli al Vangelo e testimoniare la fede in Cristo, unico Salvatore del mondo. Chi ha scelto Cristo non deve temere di professarsi suo seguace sino alla morte. Tutti abbiamo bisogno di crescere nella fede e nel coraggio, preparandoci anche ad affrontare incomprensioni, derisioni e sofferenze che sono sempre più leggere delle torture fisiche e della morte che tanti nostri fratelli nella fede patiscono in altre parti del mondo. Memori delle parole del Maestro che ha detto: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,11-12), facciamo tesoro della perenne lezione della storia che attesta come l’instaurazione e il progresso del Regno di Dio sulla terra sono indissolubilmente legati al dono della grazia misericordiosa di Cristo Salvatore e al necessario contributo della coraggiosa testimonianza di vita di quanti hanno liberamente scelto di credere e seguire Cristo.

La Chiesa è Corpo di Cristo Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Oggi mi soffermo su un'altra espressione con cui il Concilio Vaticano II indica la natura della Chiesa: quella del corpo; il Concilio dice che la Chiesa è Corpo di Cristo (cfr Lumen gentium, 7). Vorrei partire da un testo degli Atti degli Apostoli che conosciamo bene: la conversione di Saulo, che si chiamerà poi Paolo, uno dei più grandi evangelizzatori (cfr At 9,4-5). Saulo è un persecutore dei cristiani, ma mentre sta percorrendo la strada che porta alla città di Damasco, improvvisamente una luce lo avvolge, cade a terra

e sente una voce che gli dice «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Lui domanda: «Chi sei, o Signore?», e quella voce risponde: «Io sono Gesù che tu perseguiti» (v. 3-5). Questa esperienza di san Paolo ci dice quanto sia profonda l’unione tra noi cristiani e Cristo stesso. Quando Gesù è salito al cielo non ci ha lasciati orfani, ma con il dono dello Spirito Santo l’unione con Lui è diventata ancora più intensa. Il Concilio Vaticano II afferma che Gesù «comunicando il suo Spirito, costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli, chiamati da tutti i popoli» (Cost. dogm. Lumen gentium, 7). L’immagine del corpo ci aiuta a capire questo profondo legame Chiesa-Cristo, che san Paolo ha sviluppato in modo particolare nella Prima Lettera ai Corinzi (cfr cap. 12). Anzitutto il corpo ci richiama ad una realtà viva. La Chiesa non è un’associazione assistenziale, culturale o politica, ma è un corpo vivente, che cammina e agisce nella storia. E questo corpo ha un capo, Gesù, che lo guida, lo nutre e lo Don Giuseppe Imperato sorregge. Questo è un punto che vorrei

sottolineare: se si separa il capo dal resto del corpo, l’intera persona non può sopravvivere. Così è nella Chiesa: dobbiamo rimanere legati in modo sempre più intenso a Gesù. Ma non solo questo: come in un corpo è importante che passi la linfa vitale perché viva, così dobbiamo permettere che Gesù operi in noi, che la sua Parola ci guidi, che la sua presenza eucaristica ci nutra, ci animi, che il suo amore dia forza al nostro amare il prossimo. E questo sempre! Sempre, sempre! Cari fratelli e sorelle, rimaniamo uniti a Gesù, fidiamoci di Lui, orientiamo la nostra vita secondo il suo Vangelo, alimentiamoci con la preghiera quotidiana, l’ascolto della Parola di Dio, la partecipazione ai Sacramenti. E qui vengo ad un secondo aspetto della Chiesa come Corpo di Cristo. San Paolo afferma che come le membra del corpo umano, pur differenti e numerose, formano un solo corpo, così tutti noi siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo (cfr 1Cor 12,12-13). Nella Chiesa quindi, c’è una varietà, una diversità di compiti e di funzioni; non c’è la piatta uniformità, ma la ricchezza dei doni che distribuisce lo Spirito Santo. Però c’è la comunione e l’unità: tutti sono in relazione gli uni con gli altri e tutti concorrono a formare un unico corpo vitale, profondamente legato a Cristo. Ricordiamolo bene: essere parte della Chiesa vuol dire essere uniti a Cristo e ricevere da Lui la vita divina che ci fa vivere come cristiani, vuol dire rimanere uniti al Papa e ai Vescovi che sono strumenti di unità e di comunione, e vuol dire anche imparare a superare personalismi e divisioni, a comprendersi maggiormente, ad armonizzare le varietà e le ricchezze di ciascuno; in una parola a voler più bene a Dio e alle persone che ci sono accanto, in famiglia, in parrocchia, nelle associazioni.


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Corpo e membra devono essere uniti! L’unità è superiore ai conflitti, sempre! I conflitti se non si sciolgono bene, ci separano tra di noi, ci separano da Dio. Il conflitto può aiutarci a crescere, ma anche può dividerci. Non andiamo sulla strada delle divisioni, delle lotte fra noi! Tutti uniti, tutti uniti con le nostre differenze, ma uniti, sempre: questa è la strada di Gesù. L'unità è superiore ai conflitti. L’unità è una grazia che dobbiamo chiedere al Signore perché ci liberi dalle tentazioni della divisione, delle lotte tra noi, degli egoismi, delle chiacchiere. Quanto male fanno le chiacchiere, quanto male! Mai chiacchierare degli altri, mai! Quanto danno arrecano alla Chiesa le divisioni tra i cristiani, l’essere di parte, gli interessi meschini! Le divisioni tra noi, ma anche le divisioni fra le comunità: cristiani evangelici, cristiani ortodossi, cristiani cattolici, ma perché divisi? Dobbiamo cercare di portare l'unità. Vi racconto una cosa: oggi, prima di uscire da casa, sono stato quaranta minuti, più o meno, mezz'ora, con un Pastore evangelico e abbiamo pregato insieme, e cercato l'unità. Ma dobbiamo pregare fra noi cattolici e anche con gli altri cristiani, pregare perché il Signore ci doni l'unità, l'unità fra noi. Ma come avremo l'unità fra i cristiani se non siamo capaci di averla tra noi cattolici? Di averla nella famiglia? Quante famiglie lottano e si dividono! Cercate l'unità, l'unità che fa la Chiesa. L'unità viene da Gesù Cristo. Lui ci invia lo Spirito Santo per fare l'unità. Cari fratelli e sorelle, chiediamo a Dio: aiutaci ad essere membra del Corpo della Chiesa sempre profondamente unite a Cristo; aiutaci a non far soffrire il Corpo della Chiesa con i nostri conflitti, le nostre divisioni, i nostri egoismi; aiutaci ad essere membra vive legate le une con le altre da un’unica forza, quella dell’amore, che lo Spirito Santo riversa nei nostri cuori (cfr Rm 5,5).

Diventare pietre vive del Tempio dello Spirito Santo

Nell'udienza generale del 26 giugno 2013 Papa Francesco ha proseguito le sue catechesi sulla Chiesa, presentando - dopo «popolo di Dio» e «corpo di Cristo» - una terza immagine che la Costituzione dogmatica «Lumen gentium» del Concilio Ecumenico Vaticano II usa per descrivere la Chiesa: «tempio dello Spirito Santo». La catechesi è stata occasione per riflettere sulle relazioni fra il Tempio dell'Antico Testamento e la Chiesa come tempio, e per invitare ancora una volta a superare quella «stanchezza» che ci trasforma in cristiani scoraggiati e chiusi in noi stessi, distogliendoci dall'evangelizzazione. «Tempio» può sembrare a prima vista un'espressione antiquata. La parola «tempio» richiama alla mente le religioni dell'antichità, compresa quella ebraica. A Gerusalemme, «il grande Tempio di Salomone era il luogo dell’incontro con Dio nella preghiera; all’interno del Tempio c’era l’Arca dell’alleanza, segno della presenza di Dio in mezzo al popolo; e nell’Arca c’erano le Tavole della Legge, la manna e la verga di Aronne: un richiamo al fatto che Dio era stato sempre dentro la storia del suo popolo, ne aveva accompagnato il cammino, ne aveva guidato i passi». Lo scopo del Tempio era dunque «ricordare una storia»: e anche noi quando entriamo in una chiesa dovremmo ricordare la storia dell'amore del Signore per noi. Ma la Chiesa è molto di più del Tempio antico. Infatti, quello «che era prefigurato nell’antico Tempio, è realizzato, dalla potenza dello Spirito Santo, nella Chiesa: la Chiesa è la “casa di Dio”, il luogo della sua presenza, dove possiamo trovare e incontrare il Signore; la Chiesa è il Tempio in cui abita lo Spirito Santo che la anima, la guida e la sorregge». Con Papa Francesco la venuta di Gesù Cristo la risposta alla Catechesi dell’Udienza Generale domanda: «dove possiamo incontrare del 19 giugno 2013 Dio?» è diventata univoca. Dio si è fatto incontrabile nella storia nella persona di Gesù e nella Chiesa, intesa non come

edificio ma come corpo di Cristo e popolo di Dio. Se è vero che il Tempio di Gerusalemme è figura della Chiesa, è anche vero che il Tempio antico e la Chiesa come tempio dello Spirito Santo sono realtà qualitativamente diverse. «L’antico Tempio era edificato dalle mani degli uomini: si voleva “dare una casa” a Dio, per avere un segno visibile della sua presenza in mezzo al popolo. Con l’Incarnazione del Figlio di Dio, si compie la profezia di Natan al Re Davide (cfr 2 Sam 7,1-29): non è il re, non siamo noi a “dare una casa a Dio”, ma è Dio stesso che “costruisce la sua casa” per venire ad abitare in mezzo a noi». Cristo stesso si è presentato come «il Tempio vivente del Padre», e il Tempio della Trinità, la Chiesa, è «fatta non di pietre materiali, ma di “pietre viventi”, che siamo noi». Francesco ha richiamato l'attenzione su un brano della Lettera agli Efesini, dove san Paolo si rivolge così ai cristiani: voi siete, scrive, «edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo del Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito». Questo brano, ha detto il Papa, è importante perché ci aiuta a compiere un ulteriore passaggio. Il nuovo Tempio è Gesù Cristo, certo, ma è altrettanto esatto dire che con la fondazione della Chiesa ora «il tempio siamo noi, noi siamo la Chiesa vivente, il tempio vivente». Questo tempio è, afferma il Concilio, «dello Spirito Santo». Ma in che senso la presenza dello Spirito Santo qualifica e definisce il tempio che è la Chiesa? «Egli - risponde il Pontefice disegna la varietà che è la ricchezza nella Chiesa e unisce tutto e tutti, così da costituire un tempio spirituale, in cui non offriamo sacrifici materiali, ma noi stessi, la nostra vita». Non si tratta di una curiosità teologica, ma di un nuovo invito di Papa Francesco a non scambiare la Chiesa per un' istituzione meramente umana.

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Segue da pagina 3 «La Chiesa non è un intreccio di cose e di interessi, ma è il Tempio dello Spirito Santo, il Tempio in cui Dio opera, il Tempio dello Spirito Santo, il Tempio in cui Dio opera, il Tempio in cui ognuno di noi con il dono del Battesimo è pietra viva». In quanto pietre vive del nuovo Tempio noi dovremmo avere una straordinaria coscienza della nostra dignità di cristiani. Qualche volta basta togliere una singola pietra e il tempio rischia di cadere. «Questo ci dice che nessuno è inutile nella Chiesa e se qualcuno a volte dice ad un altro: ‘Vai a casa, tu sei inutile’, questo non è vero, perché nessuno è inutile nella Chiesa, tutti siamo necessari per costruire questo Tempio! Nessuno è secondario». Da questo punto di vista spirituale «tutti siamo uguali agli occhi di Dio», e - ha aggiunto Francesco - la facile obiezione «‘Senta Signor Papa, Lei non è uguale a noi» non ha più nessun senso. I ruoli sono ovviamente diversi, ma Dio ama nello stesso modo ogni mattone del tempio e considera ogni mattone indispensabile. «Questo ci invita anche a riflettere sul fatto che se manca il mattone della nostra vita cristiana, manca qualcosa alla bellezza della Chiesa. Alcuni dicono: ‘Io con la Chiesa non c’entro’, ma così salta il mattone di una vita in questo bel Tempio. Nessuno può andarsene, tutti dobbiamo portare alla Chiesa la nostra vita, il nostro cuore, il nostro amore, il nostro pensiero, il nostro lavoro». Il problema oggi, ha concluso il Papa, è la stanchezza. «Siamo pietre vive o siamo, per così dire, pietre stanche, annoiate, indifferenti? Avete visto quanto è brutto vedere un cristiano stanco, annoiato, indifferente? Un cristiano così non va bene, il cristiano deve essere vivo, gioioso di essere cristiano; deve vivere questa bellezza di far parte del popolo di Dio che è la Chiesa. Ci apriamo noi all’azione dello Spirito Santo per essere parte attiva nelle nostre comunità, o ci chiudiamo in noi stessi, dicendo: ‘ho tante cose da fare, non è compito mio’?». Questa domanda - non altre - nel Magistero di Papa Francesco è la questione essenziale.

Sono nate cose nuove?

“Quindi se uno è in Cristo, è creatura nuova; le vecchie cose sono passate, ne sono nate di nuove” (seconda lettera ai Corinzi 5,17). Chiaro. Semplice. Comprensivo, non tanto. Discutibile, sicuramente. Veritiero…ai posteri l’ardua sentenza. Ogni incontro della Comunità sposi di Ravello, è uno stimolo alla riflessione sul nostro vero essere testimoni in Cristo e il rigo sovrastante, oggetto del nostro ultimo incontro, non è stato da meno degli altri. Un interrogativo che da oltre duemila anni, dovrebbe essere cosa certa, ancora è oggetto di discussione. Con la venuta di Gesù Cristo e il Battesimo in spirito Santo, ogni creatura è NUOVA, perché mondata dal peccato originale, inoltre, gli altri sacramenti, purificano (la comunione, la riconciliazione, l’unzione degli infermi) e confermano (la cresima e il matrimonio) la crescita del cristiano cattolico in questo status di “novità”, eppure c’è qualcosa che non va. Continuamente ci sentiamo ripetere e contestualmente siamo educati, all’importanza della preghiera (singola, in famiglia, in comunità); siamo esortati ad essere annunciatori del Vangelo e testimoni, con la nostra vita, dell’Amore paterno che Dio Padre non ci ha mai negato; non ci mancano icone cui far riferimento (da San Pietro Apostolo a Giovanni Paolo II) e non difettiamo più di mezzi, né di comunicazione, (carta stampata, internet) né di espressione (qualità carismatiche e conoscenze multilinguistiche). Dalla piccola Galilea, nel corso del tempo è stato attraversato il mondo: tutti sanno, tutti conoscono, però pochi operano. Dopo la breve esposizione dei nostri catechisti, la condivisione comunitaria ha forse centrato il fulcro del problema. Tutti ci siamo dichiarati disposti alla testimonianza al meglio delle nostre capacità nel contesto in cui ci troviamo con buona pace delle Massimo Introvigne nostre coscienze, e tutti ci siamo conferLa Bussola Quotidiana mati inadeguati all’Annuncio. Ovviamen-

te non siamo le persone più adatte alla proclamazione della Parola, e per fortuna ci sono gli ecclesiastici ad occuparsene, tuttavia non è la mancanza di impegno a renderci inadempienti quanto la pigrizia nell’accogliere gli stimoli ricevuti. Come Comunità ci siamo svegliati lentamente dal nostro torpore, ci sono voluti degli anni affinché tra di noi s’instaurasse la confidenza che ci ha portato ad identificarci in quella che adesso è la nostra forza: l’unione. Dall’incontro quindicinale, siamo gradualmente passati al ritrovo per il rosario, alla preghiera comunitaria, all’aiuto reciproco, e anche allo scontro frontale con chi ci considera una setta o chissà che altro. La pazienza degli educatori ci ha indirizzato verso uno stile di vita che senza tradire le nostre tradizioni, ci ha fatto comprendere l’importanza dei segni liturgici e la gestione familiare dell’autorità educativa e non impositiva. Molti hanno confermato che il rapporto con la famiglia, seppur ancora burrascoso, tende al miglioramento. Abbiamo attraversato lutti e festeggiato nozze d’argento, siamo stati capaci di ritrovarci prima come persone e poi finalmente come cristiani più consapevoli della loro fede e della loro missione. Non mancano gli screzi, anche all’interno del gruppo, la nostra natura è pur sempre miseramente umana. La perfezione è molto lontana, comunque il cammino è avviato e non siamo soli. La guida spirituale di Don Silvio e le lettere d’amicizia ci offrono lo spunto di riflessione su noi stessi, prima che il giudizio sugli altri e il loro operato; i catechisti ci danno una prova tangibile del loro impegno, lasciano tutto e percorrono i chilometri pur di non lasciarci soli; il parroco ci coinvolge in tutte le attività di parrocchia, ci richiama all’ordine e ci chiama per nome, conosce ciascuna delle sue pecore, quelle che vengono e tutte quelle che non vengono. La Fraternità stessa con la promessa eucaristica e il mandato agli adoratori, premia il nostro


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impegno; il pellegrinaggio a Pompei e l’udienza da Papa Francesco poi, hanno lasciato in chi di noi ha avuto la possibilità di parteciparvi, una gioia che è stata contagiosa per chi, si è dovuto accontentare del racconto. In fondo neanche Dio Padre, ci ha mai chiesto il sacrificio che Lui stesso ha fatto per noi, e allora perché non impegnare un po’ di quel coraggio che tutti i giorni dimostriamo di avere nelle insidie quotidiane, per la causa della Fede? Cristo è già morto per noi, il Suo sacrificio, ci ha reso “nuove cose”, non lasciamo che l’oblio dell’indifferenza accomuni l’indecisione e la pigrizia, la strada è insidiosa e s’inciampa spesso, tuttavia la mano che ci aiuterà ad alzarci, anche se non sempre ci capita di vederli, è lì tesa che attende solo di essere afferrata.

Cioffi Patrizia Solennità del Corpo e del Sangue di Cristo Domenica 2 Giugno 2013 abbiamo celebrato la Solennità del Corpo e del Sangue di Cristo. Le Celebrazioni nell’anno della Fede, nel cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II, hanno assunto un significato particolare per la Solenne Adorazione Eucaristica presieduta da Papa Francesco alle ore 17,00 in San Pietro che si è estesa in contemporanea in tutto il mondo, coinvolgendo le Cattedrali e le parrocchie di ogni diocesi. Anche qui a Ravello, in Duomo, dalle ore 17,00 alle ore 18,00 ci siamo uniti in preghiera ed in adorazione del Santissimo Sacramento, seguendo il libretto preparato in Vaticano; abbiamo alternato momenti di silenzio per l’adorazione personale alla recita dei brani scelti e delle preghiere scritte dai Pontefici: Pio XII,beato Giovanni XXIII, Paolo VI,Giovanni Paolo I, beato Giovanni Paolo II,Benedetto XVI, per unirci spiritualmente alle due speciali intenzioni di preghiera chieste da Papa Bergoglio: “ l’auspicio che la Chiesa si presenti dinanzi al mondo sempre più bella, santa ed immacolata; e che la Parola porti misericordia e rinnovato impegno nell’amore,dando un senso al dolore ed alla sofferenza, restituendo gioia e serenità. In particolare,abbiamo unito le forze nella preghiera, per aiutare la Chiesa ad af-

frontare con determinazione ed audacia i temi della sofferenza per le nuove schiavitù e le guerre, la tratta delle persone, il narcotraffico, l’emarginazione, la violenza contro le donne ed i bambini”. Alle ore 18,00,a conclusione dell’Adorazione è cominciata la recita del Rosario Eucaristico, seguito alle ore 18,30 dalla Santa Messa,presieduta da Padre Antonio Petrosino e concelebrata da Don Carmine Satriano. Molti i fedeli presenti, anche i fanciulli che hanno ricevuto quest’anno la Prima Comunione a cui principalmente si è rivolto Padre Antonio durante l’Omelia. Egli ha spiegato il significato della Solennità del Corpo e del Sangue di Gesù, spezzato e donato per la salvezza di tutti gli uomini. Come il cibo materiale ci nutre e si trasforma per noi in nutrimento ed energie vitali, così, ha spiegato Padre Antonio, il Pane Consacrato diventa per noi Nutrimento, Cibo Spirituale che cambia la nostra vita nella stessa vita di Cristo; è necessario però avere fede , credere nel Grande Mistero e collaborare con Cristo! Solo allora vedremo cambiare tutta la nostra esistenza e saremo in grado di amare Dio ed i nostri fratelli fino a dare la propria vita per essi come, ha fatto Gesù stesso! Infine Padre Antonio, spiega il miracolo Eucaristico di Lanciano. Un religioso nella prima metà dell’VIII secolo, mentre celebrava l’Eucaristia ha dubitato della presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù nel pane e nel vino, a quel punto essi si sono trasformati realmente in Carne ed in Sangue sotto gli occhi del frate. Padre Antonio ha spiegato ancora come nel tempo siano state fatte delle analisi dei tessuti della Carne ancora presente a Lanciano, e come essi hanno rivelato che si tratta proprio di un frammento di un cuore umano dell’età di Gesù. Ciò significa che Gesù ci ama con un Amore sentito, tenero e delicato ed Egli è veramente presente nell’Ostia e nel Vino Consacrati, per avvolgerci nel suo abbraccio per Amarci di Vero Cuore, perciò, non dobbiamo mai stancarci di Adorare Gesù

Eucaristia. Al termine della Celebrazione Eucaristica,alle ore 19,30,come di consueto, c’è stata la Processione del Corpus Domini per le vie del paese . Hanno partecipato alla Processione i fanciulli della Prima Comunione, con serietà, rispetto e devozione , seguiti dai bambini vestiti da “angioletti”, accompagnati dai genitori; erano inoltre presenti i componenti le Associazioni:della Confraternita del Santissimo Nome di Gesù e della Beata Vergine del Carmelo, dell’Azione Cattolica, e del Terz’Ordine Francescano, infine i fedeli con la candela accesa. Alle spalle del Santissimo, le autorità , la banda ed il coro. La Processione, partendo dal Duomo, ha percorso Viale Wagner, Via San Giovanni del Toro, dove ci sono state le due soste : una ai “Giardini della Principessa di Piemonte, l’altra alla Chiesa di San Giovanni”, per una preghiera, il canto del “Tantum Ergo” e la Benedizione.Altra sosta per la preghiera e la Benedizione, alla Chiesa di Sant’Agostino, oggi Sacrario dei Caduti, a Piazza Fontana. La Processione è proseguita fino a Piazza Duomo, dove il Celebrante si è spostato verso Scala per impartire la Benedizione. Dopo l’ultima sosta a Via Boccaccio, siamo tornati in Duomo dove la Celebrazione si conclusa con la Benedizione finale. Alcune considerazioni da fare, una è che la Processione del Corpus Domini è molto sentita da tutti i fedeli che vi partecipano con vera devozione, l’altra cosa molto bella da segnalare è con “quanto entusiasmo, fede , gioia e devozione” molti giovani ravellesi compongono i “ tappeti di fiori”. Quest’anno erano molto belli! A tutti loro un vivo apprezzamento, soprattutto tenendo presente le cattive condizioni atmosferiche dei giorni precedenti che senz’altro avranno creato problemi nel reperire i petali. Il Sacramento dell’Eucaristia che abbiamo celebrato ed adorato nella Solennità del Corpus Domini, possa essere per tutti i fedeli “Fonte e Culmine” del cammino di fede. Giulia Schiavo


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Cultura: una risorsa per la crescita

La definizione di" risorsa" spesso si associa alla parola "economica". In tempi come questi che stiamo vivendo si sente parlare di ricerca delle risorse economiche per affrontare i problemi. Le risorse che provengono dalla diffusione della cultura sono spesso sottovalutate perche' e' piu' difficile averne un riscontro nel breve periodo e quindi quasi impossibile da quantizzare in termini economici. Ma il valore di una crescita culturale di base di una comunita' ha sempre prodotto ricchezza per la stessa comunita' e per quelle limitrofe. Basta leggere i libri di storia dei bambini delle elementari per comprendere come l'aumento della cultura media di un popolo nel campo delle conoscenze scientifiche, delle discipline artistiche (pittura, recitazione, danza, arti visive, ecc.), dell' istruzione di base, delle lingue straniere, dell'uguaglianza dei diritti sociali, del rispetto per le culture religiose altrui, ecc. vada di pari passo con il benessere economico della collettività. Quando un governo taglia i fondi per la cultura e/o della ricerca per "risparmiare" ,in pratica taglia le possibilità di crescita di una comunità e di conseguenza anche la crescita della ricchezza dei cittadini. Le guerre si sono sempre basate sulla disinformazione e sul mancato accesso ad una istruzione di base per la popolazione. La scoperta del fuoco, l'invenzione della ruota,il rinascimento, l'illuminismo, l'abolizione della schiavitu', la fine dell'apartheid, e mille altri esempi che la storia ci trasmette, sono momenti di conquista pacifica dovuti principalmente all'aumento del livello culturale medio della popolazione in una determinata area geografica. Una buona formazione culturale di base contribuisce ad una maggiore possibilita' di inserimento nel mondo del lavoro ed una maggiore risorsa economica per l'intera comunita', oltre che all’insegnamento che la guerra non è la soluzione per nessuno dei problemi. La famiglia svolge un ruolo im-

portantissimo nella formazione culturale dei giovani. E' li' che si impara il rispetto per le idee diverse dalle proprie, l' importanza per un' istruzione adeguata, dove si coltivano i primi interessi culturali. Laddove mancano questi imput sia lo stato che le istituzioni locali coadiuvate dalle associazioni culturali e sportive no profit ,lavorano per fornire degli stimoli che aiutano i ragazzi nella loro formazione. Uno degli ostacoli maggiori nella crescita culturale dei giovani sono i giovani stessi. Alcuni di loro hanno coraggio e crescono senza pregiudizi. Altri hanno paura dei cambiamenti ed allora si uniscono in gruppo e deridono ed offendono chi invece vuole crescere piu' di loro. Chiamano secchione chi si appassiona allo studio, chiamano femmina i maschi che fanno danza, chiamano maschiacci le donne a cui piace il culturismo, eccetera. Ci sono voluti secoli perche' sia agli uomini che alle donne fossero offerte le stesse opportunità ed ancora c' e' molta strada da fare, ma se gli adulti non trasmettono ai giovani l'importanza dello studio, del rispetto per gli interessi altrui, se gli adulti non riprendono i propri figli quando offendono i loro coetanei che hanno piu' coraggio di loro a vivere le proprie passioni, se gli adulti non fanno gli adulti e lo stato non si occupa abbastanza dei suoi cittadini promuovendo la cultura come base fondamentale per la crescita, la qualità della vita di una comunità sarà sempre mediocre. Il vantaggio economico o il pareggio di bilancio non può essere l’unico obiettivo da raggiungere per le istituzioni . La maggior parte delle iniziative culturale, sportive, sociali, artistiche, si realizzano grazie al volontariato che è sempre una delle risorse più importanti di una comunità. Ha effetti economici positivi notevoli, senza costi di base. Il motore del volontariato è la coscienza e quella non si puo’ misurare in termini economici. Educazione al rispetto delle scelte altrui , una buona formazione culturale , uniti al buon esempio, contribuiscono alla crescita di una coscienza che porta ad interagire gli uni con gli altri per lo sviluppo del sociale contribuendo notevolmente alla crescita di una

comunita’ con risvolti positivi anche dal punto di vista economico. Questa non è teoria, è storia. E’ la storia dell’Europa che ha visto i suoi momenti più belli quando la crescita culturale di alcune aree geografiche particolari era al massimo, coinvolgendo di riflesso anche le civiltà limitrofe. L’Italia è stata protagonista assoluta di una formazione culturale sempre in anticipo sui tempi rispetto agli altri e con maestri che hanno stimolato la formazione culturale di moltissimi altri che sono diventati maestri a loro volta, in tutto il mondo. Studiando la storia del nostro paese, diventa facile capire che la strada giusta da seguire per una crescita sociale, con positivi risvolti anche nel campo economico, principale preoccupazione di tutti i governi soprattutto in questi periodi, è promuovere la formazione culturale dei cittadini, senza distinzione di classi sociali o altro, senza imporre limiti all’istruzione come ad esempio lo si fa con il numero chiuso per l’iscrizione all’università. Limitare l'accesso all’ universita' solo a chi ha avuto la fortuna di frequentare delle buone scuole e quindi di presentarsi ai test di accesso alle varie facolta' con una buona preparazione di base e' di per se' un ingiustizia sociale, che limita la possibilita' di crescita culturale del singolo a chi ha avuto piu' possibilita' di altri suoi coetanei. Una facolta’ universitaria offre stimoli diversi dalla scuola secondaria di primo grado e limitarne l’accesso preclude a molti quel diritto all’istruzione che diventa poi una risorsa per la comunità intera. Abbiamo un Presidente che ci onora e che sottolinea sempre il privilegio che abbiamo noi Italiani di vivere in uno dei più bei paesi più belli del mondo. In momenti difficili come questi, ricordare il valore ed i sacrifici fatti da chi è venuto prima di noi incoraggiando i giovani di oggi a crescere culturalmente seguendo le orme dei nostri padri, è il miglior stimolo per guardare avanti con coraggio e sforzarsi di fare il nostro meglio per contribuire a lasciare ai nostri figli un posto migliore per loro e per le generazioni che verranno.

Marco Rossetto


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Un mio maestro La mia Olivetti lettera 32 atterra un giorno qualsiasi di molti anni fa sul tavolo del soggiorno. Insolita come una navicella aliena, spalancata una bocca d'acciaio, mi osserva con la stessa capacità di mimetizzazione di un camaleonte ed occhieggia simpatica nel suo discreto color verde oliva, con la dentatura di piccoli timbri pronti a schizzare sui fogli bianchi e ad imprimere i pensieri . Una risma di fogli separata in più tronconi sta infilata nelle mascelle con la stessa fastidiosa imprevedibilità dei rimasugli di cibo in una chiostra dentaria apparentemente pulita, la rotella per posizionarli e bloccarli alla sbarra, mi gira fra le dita più volte. Con loro ho quasi dimestichezza, è il nastro che invece ogni tanto fuoriesce dalle pinze guida con la stessa incorreggibilità di un bambino troppo vivace. Ma adoro quello straordinario strumento monocorde, quel ticchettio da catena industriale. La lentezza la fa da padrona,scrivere correttamente anche una sola parola è difficile e frutto di una ricerca che vede negli occhi il mirino e nell'indice, prevalentemente, un proiettile impazzito, un missile intelligente sfuggito a qualsiasi controllo. La difficoltà si traduce in una dislessia da battitura, oggi si direbbe più agilmente digitazione errata. Ma nonostante tutto, ho ansia di produzione ed in quella fornace gelida e senza scintille, cominciano a cuocere i miei primi scritti, spesso imprecisi, dalla stampa più o meno evanescente, colpa della mancanza di forza nella battitura o dell'incaglio del nastro, simile ad un'ancora impigliata al fondale. Le righe nere vengono di tanto in tanto disturbate da un improvviso rossore,una ferita asciutta, come uno sbotto di sangue, un fiotto. L'inchiostro rosso fa la sua inopportuna comparsata. I miei fogli, disordinatamente conquistati da una marcia di parole multicolor ed imprecise, contengono di tutto:racconti, favole, piccole poesie. Ma rimane un problema:la mancanza di velocità, di destrezza, di agilità. E' autunno: il pomeriggio si scioglie precoce nella

sera, le diciannove più o meno. La porta della nostra casa è scossa da un bussare che è ormai familiare da mesi come un rintocco di campana: l'ora di visita, solitamente, è sempre la stessa. Padre Vincenzo ha un modo di bussare inconfondibile, lo aspettiamo con gioia per accoglierlo, perché ci faccia compagnia e, se è il caso, perché ci prepari i suoi famosissimi spaghetti ai sette odori. Anche quella sera, la sua figura alta ed elegante, attra-

versa il nostro ingresso con un bel sorriso. Mi trova seduta in soggiorno, dietro la macchina da scrivere, sostenuta dal mio disperato tentativo di velocizzare gli inciampi, di trasformare il trotto in cavalcata. I fogli, alcuni intonsi, altri sgualciti come lenzuola dopo una notte insonne, si accumulano a lato della macchina da scrivere in una pila infelice. Padre Vincenzo mi chiede di mostrargli come scrivo: prova a dettarmi un testo, sono lenta, il mio indice gira intorno cercando la consonante o la vocale necessaria a riempire la carie della parola. Sorride con la consapevolezza della mia imprecisione e giustificando il ritardo che intercorre fra il suono della sua voce e il tonfo sul foglio. Il suo primo consiglio è un esercizio di memoria: devo posizionare otto dita sulla tastiera, esclusi i pollici, e lasciando liberi dalle dita solo i tasti centrali, per intenderci la g a sinistra e la lettera h a destra e memorizzare la posizione di tutte le altre lettere senza mai muovere le otto di base, utilizzate a mo’ di punti cardinali. Serviranno un po' di giorni per imparare

la tastiera a memoria e come raggiungere tutte le lettere senza mai staccare le mani dalla macchina, ma posso riuscirci. Dopo qualche giorno mi chiede di dargli un nastro adesivo, nero o bianco opaco, glielo procuro non riuscendo a capire le sue intenzioni. Con estrema semplicità lui taglia il nastro adesivo in tanti piccoli quadrati e attacca le porzioni su tutta la tastiera, rendendola " cieca". Prende un libro, ricordo che era un opuscolo su qualche Santo, se non sbaglio un'agiografia e mi dice di ricopiarne ogni pagina senza mai guardare la tastiera ma solo ricordando a memoria la posizione delle lettere. Lui aspetterà una settimana per vedere i miei progressi. Sono stati pomeriggi lunghissimi in cui mi sono esercitata con grande attenzione e dedizione. Una settimana dopo, all'incirca, pur commettendo ancora qualche errore, sono in grado di far ignorare letteralmente ai miei occhi la tastiera e di fiutare la posizione delle lettere con la mente e a velocità. Ed ancora oggi è questo il mio sistema grazie al quale riesco a scrivere perfettamente. Questo ricordo, che magari potrà essere stato per molti più o meno noioso, mi fa pensare alla logica con cui molti avvenimenti, persone, accadimenti, si incastrano come tasselli per costruire il domani. Senza dare una definizione retorica paragonerei il domani ad una porta chiusa dietro la quale stiamo accucciati per un periodo più o meno lungo. La maniglia per spalancarla è posizionata incredibilmente in alto, sembra quasi irraggiungibile, ma guardando meglio, dietro quella porta, oltre a noi, stanno accumulate migliaia di cose che ci sono arrivate in passato apparentemente senza logica. Ci basta allungare il passo, salire sulla catasta di cose che ci sembravano dapprima inutili, non indispensabili e che poi improvvisamente trovano la loro giusta collocazione. Il domani è spalancare quella porta premendo sulla maniglia con tutta la forza che ci viene dal passato.

Emilia Filocamo


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L’Athos mi è parso uno smeraldo “Oh, Agion Oros!” “Oh, Sacro Monte!” E’ con queste parole che i monaci dell’Athos, nelle rare occasioni in cui lasciano la Montagna, esprimono la gioia del ritorno alla loro santa dimora. Padre Basilio Gondikakis, igumeno del monastero di Iviron e teologo di fama mondiale, scrive che ogni ritorno al Monte Athos si rivela una mistagogia. L’Athos gli appare come uno smeraldo, uno smeraldo che brilla, all’esterno, del verde intenso dei suoi boschi, e interiormente “di una luce spirituale abbacinante, una fragranza simile a quella che ha inondato l’Universo il giorno della Resurrezione”. Padre Giorgio, archimandrita del monastero di Grigoriou, definisce il Monte Athos “la Porta del Cielo”, l’oasi cristiana “dove tutto chiama a una conversione”. E Padre Emiliano Vafeides - l’igumeno che nel 1973 abbandonò le Meteore assediate dal turismo, andando a popolare, insieme ai suoi discepoli, il monastero athonita di Simonos Petra - lo esalta come il “crogiolo dove i monaci, in virtù della preghiera del cuore, infiammano in modo incessante il loro eros divino”. Il profondo amore che i monaci athoniti professano verso il luogo che abitano è perfettamente comprensibile. Ma come si spiega la misteriosa attrazione che la Santa Montagna esercita sui pellegrini che ogni anno vi arrivano da tutto il mondo? Il professor Graham Speake, docente nell’Università di Oxford, è un veterano dell’Athos, cui ha dedicato uno splendido libro, Renewal in Paradise, vincitore del Critico’s Prize per l’anno 2002. Eppure, scrive di non saper spiegare i motivi per cui si sente tanto affascinato da questo luogo. Forse il segreto dell’Athos sta nelle cose semplici di cui è fatto: preghiera, umiltà, lavoro, silenzio, liturgia. Proprio così era descritto quando ebbi modo di sapere della sua esistenza E improvvisamente, nella mia anima

indifferente e smarrita si aprì uno spiraglio: dovevo andare lì, nell’ultima oasi spirituale della Cristianità, per pregare insieme a un eremita. Nella mia vita ho vissuto di molti sogni, rimasti per lo più tali; ma questo si è realizzato, perché al Monte Athos ho conosciuto - e ogni anno mi onoro di trascorrere qualche giorno insieme a loro - gli ultimi asceti della Cristianità. Sono le uniche persone con le quali non parlo mai di me stesso. Non sanno niente di me, salvo che sono italiano e che sono sposato. Io, a mia volta, non so quasi niente di loro. Succede, in situazioni simili, che le anime che si incontrano possano vibrare per un nonnulla: un sorriso, un’affinità appena accennata, il comune amore per un letterato.

Non so dire perché io e Agathangelos ci siamo sentiti affratellati dopo poche parole, ma sono fiero di essere diventato amico di uno dei più rigorosi fra gli asceti dell’Athos. Che cosa provo quando sto insieme a lui? Al solo vederlo, mi sento pervaso da un’inspiegabile forza spirituale. Perché aveva ragione l’Abbà Isacco: più un uomo fugge dal mondo, più gli altri si sentono attratti da lui. Agathangelos è un russo di trentotto anni, alto e magro, con occhi azzurrissimi in un volto sereno e gioioso. Vive a Yannakopoula, una landa solitaria della Vigla, la punta estrema della penisola athonita. Ha scelto di dimorare lì per ricostruire la chiesetta ormai diruta e il kellì, non più abitato da

circa cinquant’anni. Credo che chiunque avrebbe cercato di sistemare prima il kellì - la piccola abitazione attigua alla chiesa - poi quest’ultima. Invece Agathangelos ha fatto il contrario: quest’anno ha ultimato la ricostruzione della chiesetta dedicata a San Giorgio, continuando a dimorare in una baracca realizzata con legno e altri materiali di fortuna. Non possiede nulla; si ciba quasi esclusivamente di ortaggi, pesce e miele, e veste un rason stinto e rattoppato; ha vinto ogni vanità, perché nella sua anima dimora il Signore, che lo colma di ogni gioia. Come lo scorso anno, mi ha portato da un altro grande asceta, Isaac, il monaco che vive e si cura di Agios Petros, il luogo in cui visse il primo eremita di cui si abbiano notizie storiche, San Pietro l’Athonita. Abbraccio Isaac e gli dico che ho pregato tutte le sere tenendo in mano il komboskini che mi aveva donato l’anno precedente. Il suo volto, pervaso da una dolcezza divina, si apre al sorriso, come se già lo sapesse; gli uomini che incontrano Dio ogni giorno vedono l’invisibile. Andiamo in chiesa e preghiamo prima separatamente, poi tutti insieme. Quando esco, ho la sensazione che la mia anima si sia espansa; mi sento leggero, immateriale, immerso in un bagno di euforizzante atemporalità. Il pergolato ombroso, il tavolo di legno consumato dagli anni, il tè che l’asceta di Agios Petros - unica concessione al “lusso” - fa arrivare direttamente dall’India. Dopo una mezz’oretta di serena e cordiale conversazione, mi scappa una frase che Isaac interpreta come un complimento. Mi fissa immediatamente: “Lascia stare. Hai sentito parlare dello iero-Trifone? Lui sì che è un esempio da seguire. Superati i novant’anni, aveva tutti gli acciacchi possibili, eppure era sempre gioioso, sempre socievole. Prima di morire, a novantatre anni, era malato in tutto il corpo; ma la


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sua anima godeva di ottima salute, era diventata purissima”. Già: purissima. Non faccio fatica a crederci. Niente purifica come la solitudine nel Signore. Quando si è soli, non c’è alternativa: o si ha l’inedia, dentro di sé, o la pienezza dell’Assoluto. La solitudine è un vaso che può rimanere vuoto, o riempirsi delle cose essenziali che hanno preceduto l’uomo nella Creazione: la Natura, i suoi colori, i suoi profumi, la sua quiete. Cala un meraviglioso silenzio. Il silenzio, che nel mondo è fonte di inquietudine, di paura, qui è la norma e ha molteplici significati: vuol dire pace, rispetto, contemplazione; il silenzio è lo strumento afono con il quale il monaco trasforma il vuoto apparente in una comunione col Tutto. Quale linguaggio, quali parole sarebbero in grado di trasmettere la suggestione di sentirsi immerso nella celeste bellezza del Creato? Non ci sono asceti chiacchieroni, o impazienti. Si prendono il loro tempo, non ne sono schiavi. La loro conversazione è una melodia. Parlano tutti lentamente, con dolcezza; è al cospetto di uomini come Agathangelos ed Isaac che prendi coscienza di quanto sia importante saper dosare le parole e le pause quando intavoli una conversazione, e come possa diventare facile comunicare nella piena comprensione di ciò che si dice. Al tempo stesso, in luoghi dell’anima come Agios Petros hai la prova dell’insufficienza delle parole ad esprimere la condizione inesplicabile dello stato mistico dell’esichia, della gioia dell’anima quando si sente in comunione con l’Assoluto. Quando parla Dio, tutto è ridotto al silenzio. Guardo Agathangelos e Isaac e penso che vigilano sulla loro anima, non sul conto in banca, le scadenze, l’onore, l’ambizione, la fama. Con me, parlano di Dio, ma anche dei loro piccoli crucci; con serenità, perché non temono il mio giudizio, non vogliono la mia approvazione. Si sono affezionati a me, come io a loro; ma la mia voce dura poco, lo spazio di qualche giorno, poi essi torneranno a sentire la voce che parla ad ogni uomo che abbia scelto la completa solitudine per un fine più alto. E’ una voce che non parla alla testa, che non può essere ascoltata se non da chi la cerca; perché parla al cuore, e solo lì può essere percepita.

Prepariamo la Festa Patronale

Il 25 giugno scorso la comunità parrocchiale di S. Maria Assunta ha iniziato il mese di preghiera in preparazione della festa di S. Pantaleone, patrono di Ravello, in un’ottica un po’ diversa rispetto agli altri anni. Stiamo, infatti, vivendo l’Anno della Fede, indetto da Papa Benedetto XVI nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, per avviare una nuova evangelizzazione che deve riguardare non solo chi non ha mai conosciuto Gesù e il suo messaggio di salvezza ma anche noi, che, distratti da un quotidianità che non mette al primo posto la Chiesa, stiamo dimenticando l’Amore di Dio misericordioso. Per questo motivo, come Comunità Ecclesiale, si è pensato di vivere un momento p art ico l a rm en te intenso per ravvivare la nostra Fede e di farlo particolarmente nel mese di preparazione alla festa patronale di S. Pantaleone. È stata fatta questa scelta perché l’esempio del Martire di Nicomedia, la cui reliquia ha accresciuto, con l’evento miracoloso della sua liquefazione, la fede dei nostri antenati, ci offre un alto esempio di fede vissuta fino al massimo della donazione di sé, il martirio. Chi meglio di S. Pantaleone può illuminare il nostro cammino, a volte incerto, a volte addirittura interrotto, sulla strada della riscoperta di Gesù, fattosi uomo per liberare l’uomo dalla morte e dal peccato. S. Pantaleone, che aveva conosciuto l’incertezza della fede pagana ma anche la gioia della scoperta della Verità, che ci rende liberi, ha testimoniato ogni giorno della sua vita questa fede nel Cristo, in cui tutti siamo fratelli; la sua missione di testimone si unì al servizio nel prossimo sofferente e lui medico dei corpi ben presto divenne medico delle anime. Per favorire la Armando Santarelli partecipazione alla preghiera il Parroco

ed il Consiglio Pastorale hanno scelto di raggiungere tutte le famiglie della Comunità con un messaggio particolare. È stato, infatti, consegnato ad ogni famiglia un plico che contiene il messaggio con cui si spiega l’iniziativa, la Coroncina in onore di S. Pantaleone e un maneggevole testo sull’Anno della Fede. Questo sussidio, pubblicato da “il Seminatore”, è un’agevole guida per conoscere a fondo il Concilio Vaticano II, da cui è iniziata la grande primavera della Chiesa. Dopo una breve introduzione, infatti, con cui gli autori descrivono lo stato della nostra fede, che per alcuni è il semplice rispetto di regole, per altri è un modo di vivere che riguarda solo ciò che accade in c h i e s a (volutamente con la “c” minuscola) ma per pochi è la scelta consapevole di vivere la vita alla luce del Vangelo, vi è una veloce carrellata su argomenti che richiamano l’essere cristiani e soprattutto una sintesi dei documenti più importanti del Concilio. Interessante, poi, la rilettura del “Credo” con profonde note di commento che attualizzano ciò che, forse anche distrattamente, recitiamo durante le celebrazioni liturgiche. Il “Credo”, infatti, è, come suggeriscono gli autori, “l’affermazione delle verità in cui la Chiesa crede. I cristiani dei primi secoli lo ripetevano tutti i giorni, per ricordare le verità in cui avevano affermato di credere con il Battesimo”. Piccoli gesti durante le nostre liturgie concorrono a sottolineare in quest’Anno l’importanza di credere nelle verità della Fede: dall’inizio dell’Anno della Fede, per esempio, si canta prima e dopo il “Credo” l’antifona “Credo, Signore, accresci la mia fede” e a conclusione dell’Adorazione settimanale viene recitato il “Credo”.

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spirituale alla Festa del 27 Luglio, solennità del martirio del santo, che secondo la tradizione si svolge dal 25 giugno al 25 luglio, in quest’anno della Fede sia caratterizzata da una maggiore partecipazione alla celebrazione liturgica quotidiana, presenziata dai vari gruppi e associazioni parrocchiali e dalle comunità ecclesiali del nostro territorio. A quanti sono comprensibilmente impediti chiediamo almeno di associarsi, pregando in famiglia e utilizzando anche il testo ufficiale delle preghiere in onore del nostro patrono. Per favorire la preghiera e la catechesi nelle case, perciò, è consegnato il testo della Coroncina e un agile libretto che contiene la sintesi della dottrina del Concilio Vaticano II. Con la fiduciosa speranza che questo invito sia favorevolmente accolto e trovi una solidale concreta risposta, chiediamo in preghiera a San Pantaleone che ci ottenga da Dio, uno e Trino, uno spirito di viva fede, una ferma speranza di salvarci per i meriti di Gesù Cristo e un ardente amore verso Dio e verso i fratelli. Con fraterno affetto. Ravello, 22 giugno 2013 Il Parroco e il Consiglio Pastorale

A chiusura della guida, infine, c’è una rielaborazione del credo di NiceaCostantinopoli, che permette ad ogni cristiano di acquisire maggiore coscienza di ciò che professa. Per questo motivo il mese di preghiera in onore di San Pantaleone è una grande occasione per accrescere la nostra fede alla scuola del nostro Protettore, che continua a testimoniare il suo amore per noi in Cristo attraverso il prodigio della liquefazione del suo sangue. La Chiesa loda le grandi opere di Dio quando si ritrova in Cristo presente nel Pane e nel Vino, quindi durante la celebrazione liturgica, ed è, quindi, auspicabile una partecipazione sentita e responsabile alla celebrazione liturgica che caratterizzerà questo mese, a cui sono invitati a partecipare anche i gruppi e le associazioni di Ravello e le Comunità Ecclesiali del territorio vicino. Raggiungere con il messaggio e i due sussidi tutte le famiglie ha significato dare la possibilità anche a chi, infermo o impossibilitato a partecipare alla liturgia eucaristica quotidiana, ad unirsi alla Comunità nella lode di Dio, affinché, per intercessione del Santo Martire Pantaleone, si ottenga, oltre alle grazie necessarie 100 giorni da Papa alla vita di ogni fedele, anche quella di una rinnovata evangelizzazione di Ravello Francesco e il pontificato dei gesti con la riscoperta di una fede matura e “Abbiamo conquistato il cielo come gli responsabile. uccelli e il mare come i pesci, ma dobbiaMaria Carla Sorrentino mo imparare di nuovo il semplice gesto di camminare sulla terra come fratelli”. Le parole di Martin Luther King che sinInvito alle famiglie tetizzano il pensiero di san Francesco, ma che ci fanno anche comprendere che i Carissimi, nell’Anno della Fede, che la Chiesa sta gesti, anzi l’enciclica dei gesti di papa vivendo nel 50° anniversario del Concilio Francesco, mirano a farci capire la possiVaticano II, la festa in onore di San Pan- bilità di camminare come fratelli l’uno taleone, Patrono di Ravello, massima accanto all’altro. Si inchina, si inginocespressione della fede cristiana del nostro chia e abbraccia. popolo, costituisce l’occasione propizia Tre gesti ci dicono che è l’uomo ad andaper ravvivare e consolidare la nostra ade- re incontro all’altro. 100 giorni fa quel sione a Cristo Signore. Il giovane medico primo gesto, quell’inchino spontaneo, di Nicomedia, che dopo aver conosciuto profondo e umile di fronte ad una piazza l’incertezza della fede pagana ha avuto la San Pietro stracolma di persone ad indigioia di scoprire la Verità di Cristo che ci care la comunione ecclesiale. Il secondo rende liberi, con la sua coraggiosa testi- straordinario gesto, inginocchiarsi davanmonianza di vita, culminata nel martirio, ti a 12 ragazzi e ragazze di diverse nazioci stimola a percorrere la strada indicata nalità, il giovedì santo, per lavare i loro dal Vangelo di Gesù. La preparazione piedi durante la Messa in Coena Domini

al carcere minorile di Casal del Marmo. Un gesto d’amore, che ci ricorda san Francesco che bacia il lebbroso. Vite ferite, vite rifiutate, vite graffiate dalla ferocia della vita stessa, vite emarginate... Con questo gesto il Papa li ha posti al centro dell’attenzione del suo cuore, al centro del nostro agire. Anche queste sono le periferie che bisogna raggiungere, percorrere e vivere. Il terzo gesto, l’abbraccio al bambino portatore di handicap. In mezzo a migliaia di persone fermare la macchina e accorgersi degli ultimi. Anche qui viene in mente Francesco d’Assisi che attraversando le città chiama le persone che incontra fratelli, non estranei. È l’enciclica dell’umanità animata da una spiritualità che s’incarna nella storia, non è l’inchiostro dei discorsi che prima o poi sbiadisce, è l’inchiostro dei gesti che scolpisce la vita dei credenti, dei distanti e dei distratti. Un’enciclica che ci riporta a quello che san Bonaventura diceva di Francesco: non era tanto un uomo che pregava ma un uomo fatto preghiera, non era tanto un uomo che parlava ma un uomo fatto parola, tanto che amava dire: “è preferibile uno semplice e privo di lingua, ma capace di spingere gli altri al bene col suo buon esempio” (FF. 1137) e Frate Elia, uno dei primi biografi di san Francesco, annotava: “Edificava gli uditori non meno con l’esempio che con la parola, si potrebbe dire divenuto tutto lingua”(FF. 488). Vengono in mente una serie infinita di gesti naturali compiuti da papa Francesco in questi 100 giorni di pontificato: ritirare i bagagli in albergo, pagare il conto, scambiare zucchetto con un pellegrino, fare il gesto del pollice in su, telefonare all’edicolante in argentina, stringere la mano alle guardie svizzere e ai gendarmi, camminare tra i fedeli sotto la pioggia, lavare e baciare i piedi ai detenuti, collegarsi via webcam sulla tomba di San Francesco d'Assisi e inviare una preghiera tramite tablet... 100 giorni per centinaia di gesti e quasi 100 giorni mancano all'incontro degli incontri: Papa Francesco e San Francesco, chissà cosa si diranno e chissà con quale gesto ci sorprenderà.

P. Enzo Fortunato San Francesco Patrono d’Italia


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23 e 24 luglio - Convegno di Studi Ravello nel Settecento: Chiesa, Società, Istituzioni L’Associazione per le Attività Culturali del Duomo di Ravello, in occasione della festa patronale di San Pantaleone, ha programmato il consueto Convegno di Studi, quest’anno dal titolo Ravello nel Settecento: Chiesa, Società, Istituzioni, che si terrà nel magnifico complesso della SS. Annunziata nei giorni 23 e 24 luglio 2013. Un appuntamento fisso che permette ogni anno di fare luce su molti aspetti religiosi, sociali, cultuali e civili del nostro territorio nei secoli passati. Il Convegno del 2013, che idealmente si collega all’Incontro del 2012 dal titolo Ravello nel Settecento: dal Romanico al Barocco, nel corso del quale furono definiti alcuni caratteri generali della società ravellese e costiera nel XVIII secolo, sarà circoscritto ad alcuni settori specifici della società ravellese nel secolo dei “Lumi”. La vita della Chiesa particolare e il contesto sociale in cui essa operava sarà oggetto degli interventi di Crescenzo Paolo Di Martino, Archivista e Cultore di storia patria, che si occuperà della legislazione sinodale del vescovo calabrese Giuseppe Maria Perrimezzi, e di Don Luigi Di Martino, già Direttore della Biblioteca “Alessandro VII” dell’Arcidiocesi di Siena e Paleografo Diplomatista, che affronterà il tema Ravello durante gli episcopati di Nicola Guerriero e di Antonio Maria Santoro. Nel periodo di presulato del vescovo Santoro giungerà nella Diocesi di RavelloScala anche il Santo per eccellenza del Settecento Meridionale, Alfonso Maria de’Liguori, che inciderà profondamente nella vita degli abitati costieri, con un’intensa attività di evangelizzazione. Alle circostanze del suo arrivo tra le nostre genti e al singolare contributo offerto alla Diocesi Ravello-Scala sarà dedicato l’intervento di Don Giuseppe Imperato,

che fin dagli anni Settanta si è occupato di questo tema con dovizia di particolari, studiando in particolare il contributo fornito da Don Giuseppe Pansa, nipote e curatore dell’opera del più noto zio Francesco Maria, autore dell’Istoria dell’Antica Repubblica di Amalfi e delle sue città, pubblicata nel 1724 in Napoli. Sull’ultimo vescovo diocesano residente, Silvestro Miccù, tra Ancien Regime e Rivoluzione, offrirà un ritratto il giovane studioso Pierandrea Cavaliere. A chiudere il segmento religioso, si segnalano gli interventi sui rapporti tra i Vescovi della diocesi di Ravello e la Puglia nel Settecento, del teologo Stefano Zizzi, e lo studio di carattere araldico-sfragistico di Maurizio Ulino. Sull’aspetto cultuale, sul quale già lo scorso anno offrì una rassegna più o meno particolareggiata, Salvatore Amato approfondirà una devozione del Settecento ravellese, che costituisce un novità assoluta rispetto ai secoli precedenti e successivi, e cioè quella tributata a San Gennaro, patrono del Regno di Napoli e della sua capitale. Gli aspetti della vita civile e sociale saranno invece oggetto degli studi di Donato Sarno su Illuministi e giacobini a Ravello nel XVIII secolo, di Angelandrea Casale, sul sedile dei nobili di Ravello nel Settecento, e di Fabio Paolucci, da qualche anno ricercatore presso l’Archivio del Capitolo di San Pietro in Vaticano, che, per la prima vol-

ta, presenterà lo studio di una fonte di primaria importanza per la ricostruzione dei contesti economicosociali del Settecento meridionale, il Catasto Onciario borbonico. A completare la struttura del Convegno, ampio spazio sarà dedicato alla sezione storico-artistica ed architettonica, con i contribuiti di Antonio Milone sulla Porta di Barisano e i suoi restauri tra Settecento e Ottocento, di Antonio Braca su Il cassettonato del duomo di Amalfi e la penetrazione del Solimenismo in costa d'Amalfi, di Annamaria Parlato sull’Argenteria sacra del Settecento nel Duomo di Ravello e di Luigi Buonocore, che affronterà il complesso tema Rifacimenti e trasformazioni delle frabbriche religiose diocesane. Insomma, anche quest’anno il programma offre ampi spunti di riflessione e mira a valorizzare le giovani e qualificate competenze del territorio costiero, supportate da studiosi di consolidata preparazione e consueta disponiblità.

Salvatore Amato

Don Giuseppe Imperato Storico Cultore Pastore Il 25 luglio 2013, alle ore 20.30, presso il Duomo di Ravello, in occasione del decennale della morte di Don Giuseppe Imperato senior, l’Associazione “Ravello Nostra” presenterà il volume degli Atti della Giornata di Studio “Don Giuseppe Imperato: Storico Cultore Pastore”, celebrata il 28 dicembre 2008. Al termine si terrà il Concerto d’Organo del Maestro Lorenzo Fragrassi con brani scelti della migliore tradizione musicale europea.


CELEBRAZIONI DEL MESE DI LUGLIO GIORNI FERIALI Ore 18.30: Santo Rosario Ore 19.00: Santa Messa PREFESTIVI E FESTIVI Ore 19.00: Santo Rosario Ore 19.30: Santa Messa GIOVEDI’ 4-11-18 LUGLIO: Adorazione Eucaristica dopo la Santa Messa 3 LUGLIO: FESTA DI SAN TOMMASO APOSTOLO 7 LUGLIO: XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00 - 10.30 - 19.30: Sante Messe 11 LUGLIO: SAN BENEDETTO PATRONO D’EUROPA 13-15 LUGLIO: Triduo di preparazione alla festa della B.V. del Carmine 14 LUGLIO: XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00 - 10.30 - 19.30: Sante Messe 16 LUGLIO: MEMORIA DELLA B.V. DEL MONTE CARMELO Ore 19.00: Santa Messa e processione PROGRAMMA DEI FESTEGGIAMENTI PATRONALI 17-25 Luglio – Novenario: Ore 19.00: Santo Rosario e Coroncina Ore 19.30: Santa Messa 23-24 Luglio ore 09.30 - Complesso Monumentale della SS. Annunziata: Nono Convegno di Studi “Ravello nel Settecento: Chiesa, Società, Istituzioni” a cura dell’Associazione per le Attività Culturali del Duomo di Ravello. 25 Luglio: ore 20.30 - Duomo: Presentazione degli Atti della Giornata di Studio: “Don Giuseppe Imperato: Storico Cultore Pastore”, a cura dell’Associazione “Ravello Nostra”. Seguirà il Concerto d’Organo del Maestro Lorenzo Fragassi. 26 LUGLIO: VIGILIA FESTIVA Ore 08.30: Il Pregiato Gran Concerto Musicale “Città di Francavilla Fontana” (BR), diretto dal M° Ermir Krantja, darà inizio ai festeggiamenti con marce sinfoniche in piazza Duomo. Seguirà il giro del paese. Ore 12.00: Matinée nei giardini di Palazzo Rufolo. Ore 19.00: Omaggio al Sacrario dei Caduti. Ore 20.00: Liturgia della Luce, Esposizione della statua del Santo Patrono e canto dei Vespri, presieduti da S.Em.za Rev.ma Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Ore 21.00: Programma di musica sinfonica ed operistica in Piazza Duomo, artisticamente illuminata dalla ditta “Donnarumma” di Pimonte (NA). 27 LUGLIO: SOLENNITA’ LITURGICA Ore 7.30 - 9.00 - 12.00: Sante Messe Comunitarie. Ore 10.30: Solenne Celebrazione Eucaristica presieduta da S.Em.za Rev.ma Antonio Cañizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Ore 12.00: Matinée in Piazza Duomo. Ore 19.00: Messa Vespertina cui seguirà la processione per le vie del paese. Ore 21.45: Grande spettacolo pirotecnico curato dalla rinomata ditta “Cav. Giovanni Boccia”da Palma Campania (NA). Seguirà uno scelto programma lirico-sinfonico, eseguito dal sullodato Gran Concerto Musicale “Città di Francavilla Fontana” con cui si concluderanno i festeggiamenti.


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