Toglimi le mani di dosso

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Pamphlet, documenti, storie REVERSE


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PRETESTO 1 f a pagina 63

“ Odio i lecchini, chi suggerisce di non lamentarsi e di fare buon viso a cattivo gioco: se la smettessimo di accettare tutto questo, le cose cambierebbero.”


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PRETESTO 2 f a pagina 91, 75, 92, 89

“ Perché non vuoi?” “ Su, Olga, smettila, sembri una donna perennemente mestruata...” “ Resta con me, non lasciarmi solo. Se non vuoi io non ti tocco.” “Sei una poveretta... L’unica tua possibilità sono io.” Il direttore.

f a pagina 94

“ È successo a Claudia, a Flavia che forse c’è stata, a me, a te, e in qualche modo anche a Beatrice. Perché non ci uniamo e lo incastriamo?” Olga alla collega Anna.


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f a pagina 104

“ Non voglio fare la vittima. Smettiamola di pensare che siamo sfortunate. Il letto, per chi decide di starci, è una possibilità in più.” Una collega.

f a pagina 104

“ Forse siamo noi che dobbiamo adattarci al mondo e smetterla di volerlo cambiare.” Paola.


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PRETESTO 3

f a pagina 107

“ Sei ancora giovane, non farti il sangue amaro per così poco.” Il consiglio di uno studio legale.

f a pagina 121

“ Il 99,3% dei ricatti sessuali non viene denunciato. Siamo di fronte a una rimozione collettiva.” Dati indagine Istat su un campione di 24.000 donne.


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f a pagina 121

“ Per sottrarsi alla violenza la maggior parte delle donne preferisce lasciare il posto di lavoro.�


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Š Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo Editoriale Mauri Spagnol S.p.A. Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.) Sede: Via Guerrazzi, 9 - Milano ISBN

978-88-6190-655-6

Prima edizione: settembre 2015 Published by arrangement with Marco Vigevani & Associati Agenzia Letteraria Fotocomposizione: Compos 90 S.r.l. - Milano www.chiarelettere.it blog / interviste / libri in uscita


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Olga Ricci

Toglimi le mani di dosso

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Sommario

tog l i mi l e ma n i di do s s o Il colloquio 3 Nella città bianca 9 In redazione 15 Il primo pranzo 19 Un’altra cena 23 Flavia, la praticante precaria 31 Damigelle di compagnia 37 Buonsenso e dubbi 43 Famiglie che contano 49 Vittoria, l’ex ballerina 55 Quasi in trappola 59 Il contratto 65 Vendetta 69 Tentativo di fuga 75 Anamnesi del capetto 81 Giornalisti di peso 85 La notte col Porco 91 Postumi 95 Raccontare non basta 103


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Il ritorno del direttore I compagni del sindacato Il futuro non esiste

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Postfazione. Diamo un nome alle cose

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Ringraziamenti 127 Decalogo contro le molestie sul posto di lavoro a cura di Rosa M. Amorevole

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toglimi le mani di dosso


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Nota dell’autrice Questa è una storia vera. Luoghi, nomi e dettagli sono stati cambiati per non rendere riconoscibili i protagonisti della vicenda.


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Il colloquio

Oggi il sole mi cola addosso. Strizzo gli occhi per fare sgocciolare tutta la luce. Entro in un’ampia stanza dagli affreschi color seppia e dal parquet scuro. C’è ombra dappertutto. Lui è vicino alla finestra, sta parlando al cellulare. È un uomo sulla sessantina. Ha gli occhi piccoli, il naso dritto, le guance svuotate dall’età. Mi indica la poltroncina di velluto verde, di fronte alla scrivania in noce. Mi siedo e aspetto, stringendo tra le dita la cartelletta con il curriculum. Finisce la telefonata e viene verso di me. Mi dà la mano. Buongiorno, devi essere Olga, dice. Si accomoda sulla costosa sedia ergonomica. Irrigidisce la bocca e, prima che io riesca a rispondere, continua: veniamo subito al dunque, non ho tempo da perdere. Come sai, sono appena diventato il direttore di un quotidiano nazionale che sta aprendo nuove sedi in varie città d’Italia. Mi servono giovani che conoscano il mestiere, disposti a spostarsi. Faremo contratti buoni, a tempo indeterminato, un lusso di questi tempi. Tu pensi di essere adatta? I suoi occhi mi fissano per qualche istante, poi prendono a vagare sul soffitto e si chiudono. Ha le palpebre tonde, coperte da un reticolo di capillari esplosi. Forse è uno di quei capi che non dormono mai. Con energia dico: certamente,


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Toglimi le mani di dosso

non ho problemi a muovermi, ho fatto dieci traslochi in sette anni. Sono una precaria cronica. Sorrido. Lui no. Mi chiede se sono brava a scrivere. Annuisco. Vuole sapere quanto. Molto, rispondo. Di scatto parla di nuovo: datti un voto. Decido di puntare alto: nove, dico. Sento la pelle del viso arrossarsi e temo di avere peccato di presunzione. Una breve risata gli sale dall’addome gonfio, stretto nel gilet grigio principe di Galles. Mi batte sulla mano, come se ci conoscessimo da sempre: mi piaci, sei ambiziosa, ho un debole per le persone come te. Torna domani con i tuoi pezzi migliori, così vediamo se vali davvero, conclude. Lo saluto, mi alzo. Il suo telefono squilla, mi fa cenno di andare. Esco dallo studio e respiro a fondo l’aria umida di un’estate padana che non vuole finire. Il cielo è una cupola azzurra sbiadita. Per l’ennesima volta dovrò cominciare daccapo. Vengo da una televisione che sta fallendo. In cinque mesi mi hanno fatto tre contratti, per periodi sempre più brevi. Una settimana fa, senza alcun preavviso, mi hanno comunicato: chiudiamo la sede di Milano. Un trattamento di riguardo per una precaria usa e getta. Quando ho chiesto al caporedattore, confidando nel suo buonsenso, il permesso di assentarmi per il colloquio di oggi, lui mi ha risposto: no, se vuoi licenziati prima. Le sue parole mi hanno provocato un blackout improvviso. Ho cominciato a vedere nero e a pensare un elenco sterminato di insulti. A fatica ho pronunciato un va bene. Sono contento che tu abbia capito, ha detto. Stamattina, per il colloquio, ho dovuto trovare una scusa. Con voce bassa e asciutta ho spiegato al caporedattore che il carro attrezzi mi aveva portato via l’auto parcheggiata, per sbadataggine, in divieto. Lui non ha reagito. Ho dovuto chiedere esplicitamente di andare al deposito, dall’altra


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Il colloquio 5

parte della città, a riprenderla. Lui ha bofonchiato, con un certo fastidio: vai pure. Forse ha un cuore di latta, penso, mentre affondo i piedi nell’asfalto. Mi sento stanca. Succede spesso, negli ultimi mesi. Ogni volta che mi mancano le forze penso al cronista di provincia che aveva cercato di mettermi in guardia, appena finita l’università. Avevo avuto il suo numero da un amico in comune. Mi aveva consigliato di chiamarlo per chiedergli qualche dritta sul curriculum. Il cronista era stato brusco: non serve a niente quel pezzo di carta, mi aveva detto con voce nervosa. Non lo leggono. Questo è un mestiere ingiusto, non basta essere bravi, anzi è proprio inutile. Secondo te perché, dopo venticinque anni, sono ancora alla cronaca locale? Se vuoi ti mostro le inchieste che ho fatto e i premi che ho vinto. Il punto è che bisogna essere ammanicati, nessuno è lì per caso. Servono soprattutto parentele e amici importanti. Tu hai qualcuno che ti può aiutare? Poi aveva aggiunto qualcos’altro, ma io avevo spostato il cellulare dall’orecchio, aspettando che si zittisse. Prima di salutarlo, avrei voluto dirgli: a te sarà anche andata così, ma io sono diversa. È stato quel giorno che ho deciso che ce l’avrei fatta, che non sarei mai stata una sconfitta. Ho iniziato a coltivare un American dream segreto ripetendo, senza mai stancarmi, che volere è potere, basta insistere. Mi presento al secondo colloquio. Ho con me una cartelletta con dieci articoli selezionati con cura. Di alcuni conosco gli «attacchi» a memoria: li ho pensati così forte che mi sono rimasti in testa, parola per parola. Ricordo anche le versioni che ho scartato. Quando si vegeta nella palude del precariato si cerca di fare le cose al meglio ogni volta, per evitare che sia l’ultima. È un inizio che ritorna e non finisce mai.


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