Italia 2020

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EDITORIALE DI GIANFRANCO FINI

Presidente

Gianfranco FINI

www.farefuturofondazione.it

ITALIA 2020

Farefuturo è una fondazione di cultura politica, studi e analisi sociali che si pone l’obiettivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergere una nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della globalizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, di cultura, arte, storia e ambiente, con una visione dinamica dell’identità nazionale, dello sviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, sviluppare la cultura della responsabilità e del merito a ogni livello. Farefuturo si propone di fornire strumenti e analisi culturali alle forze del centrodestra italiano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nel quadro di una visione europea, mediterranea e occidentale. Essa intende operare in sinergia con le altre analoghe fondazioni internazionali, per rafforzare la comune idea d’Europa, contribuire al suo processo di integrazione, affermare una nuova e vitale visione dell’Occidente. La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113. Èun’organizzazione aperta al contributo di tutti e si avvale dell’opera tecnico-scientifica e dell’esperienza sociale e professionale del Comitato promotore e del Comitato scientifico. Il Comitato dei benemeriti e l’Albo dei sostenitori sono composti da coloro che ne finanziano l’attività con donazioni private.

fini@ farefuturofondazione.it

Segretario generale

Adolfo URSO Segretario amministrativo

Pierluigi SCIBETTA

scibetta@farefuturofondazione.it

Consiglio di fondazione Alessandro CAMPI, Rosario CANCILA, Mario CIAMPI, Emilio CREMONA, Ferruccio FERRANTI, Gianfranco FINI, Giancarlo LANNA, Vittorio MASSONE, Daniela MEMMO D’AMELIO, Giancarlo ONGIS, Pietro PICCINETTI, Pierluigi SCIBETTA, Adolfo URSO

Direttore scientifico Alessandro CAMPI

Direttore Mario CIAMPI

campi@farefuturofondazione.it

ciampi@farefuturofondazione.it

eichberg@farefuturofondazione.it

Segreteria organizzativa fondazione Farefuturo Via del Seminario 113, 00186 Roma - tel. 06 40044130 - fax 06 40044132 info@farefuturofondazione.it

www.farefuturofondazione.it

Nuova serie Anno VI - Numero 1 - gennaio/febbraio 2011

Direttore relazioni internazionali Federico Eichberg

Poste italiane S.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - 70% /Roma/Aut. N° 140/2009

urso@ farefuturofondazione.it

I TA L I A

2020 Bimestrale della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno VI - n. 1 - gennaio/febbraio 2011 - Euro 12 Direttore Adolfo Urso

Una nuova agenda per il futuro della nazione Un grande statista europeo del dopoguerra, Konrad Adenauer, disse che i «partiti esistono non per se stessi, ma per il popolo». Sembra un’affermazione scontata. Ma risulta assai meno ovvia se applicata all’Italia di questo inizio di decennio. Da molto tempo la politica pare ripiegata su se stessa, mentre l’agenda degli interventi strutturali per far ripartire un’Italia immobile, stanca e sfiduciata continua a essere desolatamente vuota. La lista dei meriti esibiti contiene solo interventi di emergenza: una volta sono i rifiuti campani, un’altra è il rischio default per i titoli pubblici. «Andiamo avanti così, fino alla prossima emergenza»? È vero senso di responsabilità verso il paese affermare «accontentiamoci, perché potevamo finire come la Grecia»? Può esserlo nella sola prospettiva del presente. Sicuramente non lo è riguardo al futuro, anche prossimo. Può essere realmente rassicurante (e coinvolgente) soltanto un discorso di questo tipo: «Proviamo a fare come la Germania, che ha tagliato tutte le spese meno quelle destinate alla ricerca e all’innovazione». Visto che siamo in tema, vale la pena ricordare un’amara verità: se c’è un paese che gli investimenti destinati alle idee dovrebbe aumentarli anziché diminuirli, questo paese è proprio l’Italia. Riserviamo alla ricerca circa la metà delle risorL’Italia dovrebbe se mediamente impiegate a tale scopo dai aumentare paesi dell’Ocse e siamo decisamente lontagli investimenti ni dal livello minimo (3% del Pil) stabilito destinati alle idee da Obiettivo Europa 2020: la percentuale in Italia è infatti dell’1,13. Questo significa che dovremo triplicare, nel giro di qualche anno, l’entità degli investimenti da destinare all’innovazione. Al di là di quello che dicono le cifre, il punto vero e drammatico è che la politica italiana ha bisogno di un salto di qualità e di mentalità. Deve passare dalle enunciazioni e dagli annunci ai fatti e all’operatività. E deve compiere un simile passo nel più breve tempo possibile perché il futuro è già cominciato nei paesi dell’area più avanzata del mondo. Quello delle scarse risorse per la ricerca non è il solo fattore di ritardo. Ce ne sono purtroppo molti altri, che concorrono, tutti insieme, a tenere cronicamente inchiodata l’Italia a irrisori livelli di crescita economica. Non può produrre nuova ricchezza un paese dove l’imposizione fiscale è tra le più alte nel mondo, dove la giungla burocratica ostacola l’attività d’impresa e tiene lontani i capitali d’investimento esteri, dove il lavoro è peggio remunerato e meno produttivo che altrove, dove le infrastrutture (viarie, por-


SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO VI - NUMERO 1 - GENNAIO/FEBBRAIO 2011

A CURA DI BRUNO TIOZZO w w w. f a r e f u t u r of o n d a zi o n e . i t

ITALIA 2020 Una nuova agenda per il futuro della nazione GIANFRANCO FINI - EDITORIALE Dieci anni per ricominciare - 4 ADOLFO URSO

STRUMENTI

Una Terza Repubblica per salvare il paese - 24 INTERVISTA a ENRICO CISNETTO di Federico Brusadelli Se la legge non è uguale per tutti, l’Italia non può crescere - 32 GUIDO TABELLINI 150 anni dopo, il Sud è ancora al palo - 44 ROBERTO PASCA DI MAGLIANO E DANIELE TERRIARCA Legalità e sviluppo, binomio indissolubile - 52 ROSALINDA CAPPELLO Italia, ultima chiamata per il treno del futuro - 58 GIUSEPPE PENNISI Ecco come l’Europa spera di cambiare rotta - 70 ALESSANDRO MULIERI

CITT¸ DEL MESSICO

Le traité de l'Elysée est-il dépassé? Convegno della Konrad Adenauer Stiftung in Francia sull’attualità del trattato di amicizia franco-tedesca 47 anni dopo la sua firma. Tra i relatori, l’ex Commissario europeo Jacques Barrot. Giovedì 20 gennaio

10 Años – Alternancia en México La Fundación Rafael Preciado Hernández evidenzia in un seminario i progressi fatti dal Messico nei campi economici, politici e sociali da quando il centrodestra per la prima volta conquistò la presidenza 10 anni fa. Mercoledì 2 febbraio

BERLINO

SIMI VALLEY

Documento Europa 2020 - 112 Piano Italia 2020 - 133

Visione e coraggio per recuperare un decennio perduto - 10 PIERCAMILLO FALASCA Non bastano i tagli lineari, si scelga la via delle riforme - 16 BENEDETTO DELLA VEDOVA e PIERCAMILLO FALASCA

PARIGI

MINUTA Viaggio al centro della ‘ndrangheta - 146 INTERVISTA a GIANLUIGI NUZZI di Clio Pedone Il pentito del postmodernismo - 154 ADRIANO SCIANCA

Umweltschutz und Wirtschaftswachstum Dibattito organizzato dalla Konrad Adenauer Stiftung sulla green economy in seguito alla conferenza sul cambiamento climatico a Cancún. Partecipa il sottosegretario all’Ambiente, Ursula Heinen-Esser. Lunedì 24 gennaio

Ronald Reagan’s Centennial Birthday Weekend La Ronald Reagan Presidential Foundation commemora il centesimo anniversario della nascita dell’ex Presidente con una serie di eventi, tra cui una cena di gala e la presentazione di un libro di Newt Gingrich. Domenica 6 – Lunedì 7 febbraio

MALM

LONDRA

La crisi dell’intellettuale mitteleuropeo nelle note di Gustav Mahler - 160 GIUSEPPE PENNISI

Helt sjukt! Il deputato moderato Johnny Munkhammar presenta un libro critico con il sistema sanitario svedese, basato sulle proprie esperienze dopo che gli era stato diagnosticato un cancro. Organizza il centro studi Timbro. Venerdì 28 gennaio

Facciamo rinascere la famiglia italiana - 78 MARIO CIAMPI

Green economy, una sfida da vincere - 84 ENRICO CANCILA Il modello tedesco tra difficoltà e ripresa - 90 GIOVANNI BOGGERO Sacrifici e coraggio: ecco la ricetta Cameron - 96 SILVIA ANTONIOLI Parigi riparte. Prima degli altri - 104 RODOLFO BASTIANELLI

How The West Was Lost L’economista Dambisa Moyo presenta il suo libro sul declino del modello occidentale presso il think-tank Policy Exchange. Lunedì 7 febbraio

BRUXELLES CITT¸ DEL CAPO The things that unite us La FW de Klerk Foundation si interroga sul significato del concetto di unità nazionale in Sud Africa. Mercoledì 2 febbraio

Europäische und globale Ordnungspolitik nach der Finanzmarktkrise Conferenza internazionale della Konrad Adenauer Stiftung sull’impatto della crisi finanziaria sulle istituzioni europee e mondiali. Martedì 8 – Giovedì 10 febbraio

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it Direttore responsabile Pietro Urso direttorecharta@gmail.com Collaboratori: Roberto Alfatti Appetiti, Rodolfo Bastianelli, Federico Brusadelli, Stefano Caliciuri, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Piercamillo Falasca, Silvia Grassi, Giuseppe Mancini, Cecilia Moretti, Alessandro Mulieri, Domenico Naso, Clio Pedone, Giuseppe Pennisi, Paolo Quercia, Giampiero Ricci, Adriano Scianca, Lucio Scudiero, Angelica Stramazzi, Bruno Tiozzo, Michele Trabucco. Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/40044130 - Fax 06/40044132 E-mail: redazione@chartaminuta.it

Segreteria di redazione redazione@chartaminuta.it Grafica ed impaginazione Giuseppe Proia Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 60, sostenitore da € 200 Versamento su c.c. bancario , Iban IT88X0300205066000400800776 intestato a Editrice Charta s.r.l. C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma

Segreteria amministrativa Silvia Rossi Tipografia Tipografica-Artigiana s.r.l. - Roma Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

www.chartaminuta.it


SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO VI - NUMERO 1 - GENNAIO/FEBBRAIO 2011

A CURA DI BRUNO TIOZZO w w w. f a r e f u t u r of o n d a zi o n e . i t

ITALIA 2020 Una nuova agenda per il futuro della nazione GIANFRANCO FINI - EDITORIALE Dieci anni per ricominciare - 4 ADOLFO URSO

STRUMENTI

Una Terza Repubblica per salvare il paese - 24 INTERVISTA a ENRICO CISNETTO di Federico Brusadelli Se la legge non è uguale per tutti, l’Italia non può crescere - 32 GUIDO TABELLINI 150 anni dopo, il Sud è ancora al palo - 44 ROBERTO PASCA DI MAGLIANO E DANIELE TERRIARCA Legalità e sviluppo, binomio indissolubile - 52 ROSALINDA CAPPELLO Italia, ultima chiamata per il treno del futuro - 58 GIUSEPPE PENNISI Ecco come l’Europa spera di cambiare rotta - 70 ALESSANDRO MULIERI

CITT¸ DEL MESSICO

Le traité de l'Elysée est-il dépassé? Convegno della Konrad Adenauer Stiftung in Francia sull’attualità del trattato di amicizia franco-tedesca 47 anni dopo la sua firma. Tra i relatori, l’ex Commissario europeo Jacques Barrot. Giovedì 20 gennaio

10 Años – Alternancia en México La Fundación Rafael Preciado Hernández evidenzia in un seminario i progressi fatti dal Messico nei campi economici, politici e sociali da quando il centrodestra per la prima volta conquistò la presidenza 10 anni fa. Mercoledì 2 febbraio

BERLINO

SIMI VALLEY

Documento Europa 2020 - 112 Piano Italia 2020 - 133

Visione e coraggio per recuperare un decennio perduto - 10 PIERCAMILLO FALASCA Non bastano i tagli lineari, si scelga la via delle riforme - 16 BENEDETTO DELLA VEDOVA e PIERCAMILLO FALASCA

PARIGI

MINUTA Viaggio al centro della ‘ndrangheta - 146 INTERVISTA a GIANLUIGI NUZZI di Clio Pedone Il pentito del postmodernismo - 154 ADRIANO SCIANCA

Umweltschutz und Wirtschaftswachstum Dibattito organizzato dalla Konrad Adenauer Stiftung sulla green economy in seguito alla conferenza sul cambiamento climatico a Cancún. Partecipa il sottosegretario all’Ambiente, Ursula Heinen-Esser. Lunedì 24 gennaio

Ronald Reagan’s Centennial Birthday Weekend La Ronald Reagan Presidential Foundation commemora il centesimo anniversario della nascita dell’ex Presidente con una serie di eventi, tra cui una cena di gala e la presentazione di un libro di Newt Gingrich. Domenica 6 – Lunedì 7 febbraio

MALM

LONDRA

La crisi dell’intellettuale mitteleuropeo nelle note di Gustav Mahler - 160 GIUSEPPE PENNISI

Helt sjukt! Il deputato moderato Johnny Munkhammar presenta un libro critico con il sistema sanitario svedese, basato sulle proprie esperienze dopo che gli era stato diagnosticato un cancro. Organizza il centro studi Timbro. Venerdì 28 gennaio

Facciamo rinascere la famiglia italiana - 78 MARIO CIAMPI

Green economy, una sfida da vincere - 84 ENRICO CANCILA Il modello tedesco tra difficoltà e ripresa - 90 GIOVANNI BOGGERO Sacrifici e coraggio: ecco la ricetta Cameron - 96 SILVIA ANTONIOLI Parigi riparte. Prima degli altri - 104 RODOLFO BASTIANELLI

How The West Was Lost L’economista Dambisa Moyo presenta il suo libro sul declino del modello occidentale presso il think-tank Policy Exchange. Lunedì 7 febbraio

BRUXELLES CITT¸ DEL CAPO The things that unite us La FW de Klerk Foundation si interroga sul significato del concetto di unità nazionale in Sud Africa. Mercoledì 2 febbraio

Europäische und globale Ordnungspolitik nach der Finanzmarktkrise Conferenza internazionale della Konrad Adenauer Stiftung sull’impatto della crisi finanziaria sulle istituzioni europee e mondiali. Martedì 8 – Giovedì 10 febbraio

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it Direttore responsabile Pietro Urso direttorecharta@gmail.com Collaboratori: Roberto Alfatti Appetiti, Rodolfo Bastianelli, Federico Brusadelli, Stefano Caliciuri, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Piercamillo Falasca, Silvia Grassi, Giuseppe Mancini, Cecilia Moretti, Alessandro Mulieri, Domenico Naso, Clio Pedone, Giuseppe Pennisi, Paolo Quercia, Giampiero Ricci, Adriano Scianca, Lucio Scudiero, Angelica Stramazzi, Bruno Tiozzo, Michele Trabucco. Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/40044130 - Fax 06/40044132 E-mail: redazione@chartaminuta.it

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Amministratore unico Gianmaria Sparma

Segreteria amministrativa Silvia Rossi Tipografia Tipografica-Artigiana s.r.l. - Roma Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

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EDITORIALE DI GIANFRANCO FINI

Presidente

Gianfranco FINI

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ITALIA 2020

Farefuturo è una fondazione di cultura politica, studi e analisi sociali che si pone l’obiettivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergere una nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della globalizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, di cultura, arte, storia e ambiente, con una visione dinamica dell’identità nazionale, dello sviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, sviluppare la cultura della responsabilità e del merito a ogni livello. Farefuturo si propone di fornire strumenti e analisi culturali alle forze del centrodestra italiano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nel quadro di una visione europea, mediterranea e occidentale. Essa intende operare in sinergia con le altre analoghe fondazioni internazionali, per rafforzare la comune idea d’Europa, contribuire al suo processo di integrazione, affermare una nuova e vitale visione dell’Occidente. La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113. Èun’organizzazione aperta al contributo di tutti e si avvale dell’opera tecnico-scientifica e dell’esperienza sociale e professionale del Comitato promotore e del Comitato scientifico. Il Comitato dei benemeriti e l’Albo dei sostenitori sono composti da coloro che ne finanziano l’attività con donazioni private.

fini@ farefuturofondazione.it

Segretario generale

Adolfo URSO Segretario amministrativo

Pierluigi SCIBETTA

scibetta@farefuturofondazione.it

Consiglio di fondazione Alessandro CAMPI, Rosario CANCILA, Mario CIAMPI, Emilio CREMONA, Ferruccio FERRANTI, Gianfranco FINI, Giancarlo LANNA, Vittorio MASSONE, Daniela MEMMO D’AMELIO, Giancarlo ONGIS, Pietro PICCINETTI, Pierluigi SCIBETTA, Adolfo URSO

Direttore scientifico Alessandro CAMPI

Direttore Mario CIAMPI

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Segreteria organizzativa fondazione Farefuturo Via del Seminario 113, 00186 Roma - tel. 06 40044130 - fax 06 40044132 info@farefuturofondazione.it

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Nuova serie Anno VI - Numero 1 - gennaio/febbraio 2011

Direttore relazioni internazionali Federico Eichberg

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urso@ farefuturofondazione.it

I TA L I A

2020 Bimestrale della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno VI - n. 1 - gennaio/febbraio 2011 - Euro 12 Direttore Adolfo Urso

Una nuova agenda per il futuro della nazione Un grande statista europeo del dopoguerra, Konrad Adenauer, disse che i «partiti esistono non per se stessi, ma per il popolo». Sembra un’affermazione scontata. Ma risulta assai meno ovvia se applicata all’Italia di questo inizio di decennio. Da molto tempo la politica pare ripiegata su se stessa, mentre l’agenda degli interventi strutturali per far ripartire un’Italia immobile, stanca e sfiduciata continua a essere desolatamente vuota. La lista dei meriti esibiti contiene solo interventi di emergenza: una volta sono i rifiuti campani, un’altra è il rischio default per i titoli pubblici. «Andiamo avanti così, fino alla prossima emergenza»? È vero senso di responsabilità verso il paese affermare «accontentiamoci, perché potevamo finire come la Grecia»? Può esserlo nella sola prospettiva del presente. Sicuramente non lo è riguardo al futuro, anche prossimo. Può essere realmente rassicurante (e coinvolgente) soltanto un discorso di questo tipo: «Proviamo a fare come la Germania, che ha tagliato tutte le spese meno quelle destinate alla ricerca e all’innovazione». Visto che siamo in tema, vale la pena ricordare un’amara verità: se c’è un paese che gli investimenti destinati alle idee dovrebbe aumentarli anziché diminuirli, questo paese è proprio l’Italia. Riserviamo alla ricerca circa la metà delle risorL’Italia dovrebbe se mediamente impiegate a tale scopo dai aumentare paesi dell’Ocse e siamo decisamente lontagli investimenti ni dal livello minimo (3% del Pil) stabilito destinati alle idee da Obiettivo Europa 2020: la percentuale in Italia è infatti dell’1,13. Questo significa che dovremo triplicare, nel giro di qualche anno, l’entità degli investimenti da destinare all’innovazione. Al di là di quello che dicono le cifre, il punto vero e drammatico è che la politica italiana ha bisogno di un salto di qualità e di mentalità. Deve passare dalle enunciazioni e dagli annunci ai fatti e all’operatività. E deve compiere un simile passo nel più breve tempo possibile perché il futuro è già cominciato nei paesi dell’area più avanzata del mondo. Quello delle scarse risorse per la ricerca non è il solo fattore di ritardo. Ce ne sono purtroppo molti altri, che concorrono, tutti insieme, a tenere cronicamente inchiodata l’Italia a irrisori livelli di crescita economica. Non può produrre nuova ricchezza un paese dove l’imposizione fiscale è tra le più alte nel mondo, dove la giungla burocratica ostacola l’attività d’impresa e tiene lontani i capitali d’investimento esteri, dove il lavoro è peggio remunerato e meno produttivo che altrove, dove le infrastrutture (viarie, por-


tuali e telematiche) sono insufficienti, dove non sono avvenute liberalizzazioni (se non nelle telecomunicazioni) ma solo privatizzazioni di monopoli pubblici per fare cassa e non per aprire il mercato dei servizi alla concorrenza, dove la mobilità sociale è in discesa, dove la natalità è tra le più basse d’Europa, dove i livelli di corruzione di politici e dirigenti pubblici sono preoccupanti, dove prospera una gigantesca economia in nero che non si traduce in ricchezza sociale, dove la criminalità organizOccorre passare zata esercita il suo potere di ricatto su vaste dalle enunciazioni aree del sud e inquina l’economia legale. ai fatti, partendo da L’elenco sarebbe ancora lungo, ma è bene ferun’idea forte dell’Italia marsi qui perché quanto detto è sufficiente a far capire che la ricreazione è finita e che non ci sono più scuse per la politica del giorno per giorno, del circo mediatico, della rissa permanente. Una grande lezione è venuta recentemente dal caso Mirafiori, che ha dimostrato quanto le forze dell’economia e del lavoro siano comunque vive nel nostro paese. Però, chiunque pretendesse di strumentalizzare politicamente un simile risultato compirebbe un’operazione arbitraria. Perché la politica ha fatto assai poco per creare le condizioni generali – quindi non solo a Torino, ma in tante altre parti d’Italia – per rendere convenienti gli investimenti di capitale nel nostro territorio. Occorre passare dalle enunciazioni ai fatti non in nome della ormai frustra retorica del “fare”, ma sulla base di una grande idea dell’Italia prossima ventura. L’obiettivo deve essere un Progetto di Italia per il 2020, il progetto di realizzare riforme che cambino profondamente il volto del nostro paese nel giro di qualche anno, liberando le energie della società e offrendo concrete opportunità di affermazione ai giovani, ai lavoratori, agli imprenditori. Poiché non ci saranno prove d’appello, occorre riscrivere subito l’agenda della politica e fissare gli appuntamenti chiave, quelli più urgenti. Al primo posto dovranno comparire la crescita economica e il futuro dei giovani, insieme con le riforme istituzionali e la necessità di superare il divario tra nord e sud. È essenziale ridurre Essenziale, per quanto riguarda la crescita, è il carico fiscale ridurre il carico fiscale su famiglie e imprese su famiglie e imrese cominciando a lavorare per una riforma triabbassando le aliquote butaria all’insegna della riduzione e della rimodulazione delle aliquote. Parallelamente, sarà necessario aumentare la competitività del sistema attraverso l’aumento della produttività del lavoro e dell’impresa, il sostegno all’internazionalizzazione delle aziende e all’innovazione dei processi produttivi, il disboscamento della giungla burocratica e la riforma del processo civile, l’accesso al credito per le piccole e medie imprese, l’incremento delle risorse da destinare alla ricerca, all’università e all’istruzione. Tutto ciò mentre dovranno essere realizzati gli obiettivi, necessariamente a più lunga scadenza, dell’ammodernamento infrastrutturale, a partire dalla differenziazione delle fonti energetiche.

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Per quanto invece riguarda i giovani, al netto dei benefici che potranno arrivare dagli auspicabili maggiori investimenti in istruzione e ricerca, bisognerà costruire un sistema di flessibilità positiva che combatta la vergogna della precarietà unita ai bassi salari e realizzare un collegamento più stretto tra scuola, università e mondo del lavoro. Occorre anche favorire l’intraprendenza dei giovani attraverso un fondo di garanzia pubblico per spingere le banche a finanziare i ragazzi che vogliano freServe una rivoluzione quentare un master all’estero, aprire un’impreetica e culturale sa, acquistare una casa. molto più profonda Indipendentemente dalle misure che potrandi quanto si pensi no essere varate nel concreto, il principio da affermare è che la questione- giovani è una delle questioni strategiche dell’Italia e che tra dieci anni – quando i ragazzi di oggi saranno adulti- dovranno poter vivere in una società che pone realmente il merito tra i suoi valori centrali. È una rivoluzione etica e culturale molto più profonda e decisiva di quello che comunemente si pensa. È bene a questo punto avvertire che sono poche le riforme a costo zero. È quindi chiaro che occorrerà spostare risorse da un settore a un altro, tagliare rami di spesa improduttivi, mettere in discussione rendite consolidate. È anche chiaro che, quello riformatore, non sarà un processo indolore perché ci sarà chi nell’immediato ci guadagnerà e chi nell’immediato ci perderà. Però deve essere altrettanto chiaro che i sacrifici di un paese non si decidono sulla base di un criterio meramente ragionieristico ma eminentemente politico. Criterio politico vuol dire trovare un accordo ampio e solido tra partiti, forze sociali, imprenditoriali, sindacali per stabilire gli obiettivi strategici, e cominciare subito a inserirli nell’agenda di Italia 2020 stabilendo le priorità necessarie con equità e giustizia. Rimboccarsi le maniche? Alcuni sicuramente diranno «ma chi ce lo fa fare?», memori forse dei tempi in cui Andreotti diceva «tanto in Italia tutto s’aggiusta» e Craxi afferFingendo che vada mava «la nave va». tutto bene, l’Italia Mi dispiace per lorsignori, ma quei tempi rischia di fare la fine non torneranno più, nel bene e nel male. della rana nella pentola In conclusione: qual è il rischio di continuare a ripetere «tutto bene madama la marchesa»? È quello di fare la fine della rana nella pentola. Questa metafora, rilanciata in un recente pamphlet dallo scrittore Olivier Clerc, s’adatta assai bene all’Italia dominata da una politica minimalista e di corto respiro. «Una rana, immersa in una pentola d’acqua che si riscalda molto lentamente, all’inizio si trova bene, ma quando l’acqua comincia a scottare non ha più le forze per saltare fuori». La morale della favola è semplice: non c’è alternativa a una politica ambiziosa e profondamente riformatrice.



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ITALIA 2020 Adolfo Urso

Un’agenda concreta per il rilancio

DIECI ANNI PER RICOMINCIARE Dopo la rivoluzione liberale mancata, il decennio che si apre ha una eredità ancora più pesante: sino al 2020 c’è ancora la possibilità di uscire dall’angolo, se si parte subito con un piano coraggioso di riforme. DI ADOLFO URSO

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I primi dieci anni di questo secolo avrebbero dovuto essere quelli del Grande Cambiamento. Così è stato per la Germania, la Francia e per molti altri paesi europei, che hanno cercato di contendere il campo ai nuovi attori della scena mondiale. E in parte ci sono riusciti. L’Italia avrebbe dovuto realizzare quella grande rivoluzione liberale che da tanto tempo attendeva e che era stata a lungo promessa. Berlusconi l’aveva già annunciata nel 1994, all’atto del primo insperato successo, e per la verità allora vi aveva seriamente tentato, con la riforma delle pensioni su cui si realizzò il ribaltone della Lega. Alla ripresa del potere, nel 2001, aveva certamente la maggioranza per farlo, e noi con lui, ma le cose non sono andate per il verso giusto, anche per le

conseguenze del terribile attentato dell’11 settembre sulla scena economica e non solo su quella militare. L’Italia, alle prese con le nuove emergenze, non seppe affrontare i nodi strutturali che da troppo tempo si trascinava, a cominciare dal debito pubblico che ora pesa su ogni prospettiva. I primi dieci anni di questo secolo sono stati anni sprecati. I divari interni si sono accresciuti e rischiano di lacerare il paese, i divari esterni anche, e rendono più difficile competere su scala globale. La protesta giovanile è la punta dell’iceberg che evidenzia gli uni e gli altri. I giovani sono infatti coloro sui quali pesano di più le mancate riforme. Protestano perché è stato scippato il loro futuro ma anche perché è stato scippato il futuro al loro paese. I numeri parlano chiaro. In que-


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sti dieci anni è aumentato il di- riducevano i divari tra le aree più vario tra giovani e adulti, sia per ricche e quelle più deboli, come quanto riguarda l’occupazione sia dimostrano i casi della Germaper quanto riguarda il reddito, e nia, con il magistrale sforzo per siamo diventati il penultimo recuperare l’est, ma anche di paese al mondo per l’occupazione Spagna e Gran Bretagna, per non giovanile, meglio solo dell’Un- parlare della Francia, in cui è gheria. È aumentato il divario prevalsa la politica di coesione. tra chi vive di rendita, cioè di In Italia, invece, il 150° annivercapitali, e chi produce reddito sario dell’Unità coincide con il attraverso il proprio lavoro, e ciò massimo divario storico. garantisce chi ha (e quindi so- Nel contempo, abbiamo perso prattutto i più anziani) a scapito terreno in ogni classifica di comdi chi fa (e quindi a scapito an- petitività: hanno perso terreno le che dei giovani). Oggi il 45% nostre università, fuori da ogni della ricchezza è nelle mani del classifica; hanno perso terreno le nostre aziende, so10% della popolazione, che peral- Nell’ultimo anno siamo lo Eni, Finmeccanica e Fiat ancora tro non l’investe resistono; hanno per creare nuova saliti al terzo posto ricchezza. per la pressione fiscale, perso terreno ricercatori, scienziati, L’Italia è un paese inventori e persino seduto, stanco, in dietro solo letterati. L’Italia cui non si investe a Danimarca e Svezia retrocede nella nel futuro, tutt’al più si amministra il presente, co- classifica delle libertà economime dimostrano i dati inquietanti che e anche in quella della coesulle scarse risorse destinate a in- sione sociale, retrocede in comnovazione e ricerca, scuola ed petitività e in produttività, nella università e sulla scarsa propen- formazione e nell’amministraziosione a fare impresa nei settori ne del fisco e della giustizia. dinamici e competitivi. L’Italia In questi dieci anni avrebbe donon investe nel futuro, come se vuto dispiegarsi la rivoluzione lifosse ancora nel Novecento, alle berale e invece nell’anno che si è prese con le lacerazioni ideologi- chiuso siamo saliti al terzo posto che e il linguaggio violento tra al mondo per la pressione fiscale gli schieramenti sembra mutuato con il 43,5% (più di noi solo Dada allora, anzi addirittura peg- nimarca e Svezia, che però forniscono in cambio ben altri servizi giorato. In queste decennio è aumentato sociali) e solo il 21,5% dei giovaanche il divario tra nord e sud, ni ha una occupazione e in molti con la sistematica sottrazione dei casi precaria, il 5% delle famifondi destinati alle aree più de- glie non riesce più a pagare il boli, come mai era accaduto pri- mutuo sulla prima casa. Se poi ma, mentre nel resto d’Europa si guardiamo alle prospettive futu-


ITALIA 2020 Adolfo Urso

FOCUS

E i consumi tornano ai livelli del 1999 Nel biennio recessivo 2008-2009 in media nel nostro paese i consumi pro capite sono tornati ai livelli del 1999. Tuttavia le famiglie italiane, nonostante il perdurare della crisi e la riduzione del reddito disponibile, si sono dimostrate vitali e reattive e dopo l’aumento del’0,9% in termini reali prevista per il 2011 il prossimo anno si registrerà la vera ripresa dei consumi (1,6%). Sono gli elementi principali che emergono dal Rapporto Consumi 2010 realizzato dall’Ufficio Studi Confcommercio. Sottolineando le conseguenze della crisi, con un “pauroso salto all’indietro che taglia il benessere fruito dai cittadini e genera aspettative negative sulle prospettive di qualità della vita”, Confcommercio evidenzia per le famiglie italiane la maggiore attenzione agli sprechi, al rapporto qualità-prezzo e il ricorso anche a quote di risparmi per contenere al massimo la perdita di benessere patita durante la crisi. Tra le voci di consumo, nel biennio 2008-2009, in calo la spesa per le vacanze (-3,2%), mobilità e comunicazioni (-3,1%), l’abbigliamento (3,1%); di contro, tengono le spese per la salute (2,5%), per elettrodomestici e IT domestico (2,4%) e quelle per beni e servizi per la telefonia (0,4%). Dal rapporto emerge come “la modesta ripresa non si è trasmessa ancora al mercato del lavoro (anche se i dati nazionali sono il risultato di una crescita occupazionale al Nord-Centro neutralizzata da una continua emorragia di posti di lavoro nel Mezzogiorno)”. E, ricorda Confcommercio, “senza una maggiore occupazione difficilmente si osserverà una curva crescente nella spesa reale per consumi. E senza consumi difficilmente ci sarà una ripresa solida”.

re i dati sono ancora più inquietanti: il debito pubblico è ormai vicino al 121% del Pil, la natalità è ferma alla metà della Francia e solo gli immigrati ci danno un po’ di respiro, le pensioni dei nostri figli non supereranno il 30% del loro reddito, il nostro sistema produttivo ha rinunciato a competere sui settori a più alta tecnologia e su quelli strategici. Il bilancio del berlusconismo è purtroppo negativo, dietro gli spot nulla o quasi. E la spazzatura di Napoli che ritorna ad invadere le strade è la parabola di un epoca. Certo, è anche colpa nostra, e non possiamo né vogliamo esentarci. È responsabilità di tutta la classe dirigente, che troppo spesso ha tirato a campare, utilizzando a parti inverse l’arma della demagogia invece di far leva sulla responsabilità. Il decennio che si è chiuso lascia troppi problemi irrisolti e nodi ancora più stretti. Far finta di nulla significa essere conniventi con la storia. Il decennio che si apre ha quindi una eredità ancora più pesante: sino al 2020 c’è ancora la possibilità di uscirne, se si parte subito e senza più fiction. La politica degli annunci lascia Napoli maleodorante, quella del sorriso si trasforma in smorfia. È necessaria una svolta a partire dalla destra, anche se fosse lacerante, purché utile al paese. È necessaria una destra davvero liberale e nel contempo solidale, laica e plurale, aperta e inclusiva, nazionale ed europea, riformista e modernizzatrice. È necessario imporre l’agenda delle riforme,

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subito e non domani, dieci cose da fare in questo 2011, da consacrare all’unità del paese, per avviare una vera politica solidale che punti a colmare il divario tra giovani e adulti, nord e sud, capitale e lavoro, e nel contempo davvero liberale, fatta di liberalizzazioni e privatizzazioni, efficienza e merito, investimenti in ricerca e innovazione, cultura e università. Futuro e libertà su questo dovrà misurarsi e questo dovrà prospettare al paese: sacrifici, certo, ma con il chiaro scopo di costruire un futuro migliore. Dieci riforme nel 2011, cento in dieci anni sino al 2020. Un’agenda ambiziosa ma necessaria fatta di cose concrete e obiettivi misurabili per superare le asticelle della competizione internazionale e farlo senza lasciare nessuno indietro e soprattutto facendo esprimere i migliori. L’Italia merita di più, dieci anni sembrano tanti, sono forse pochi per recuperare quel che non si è fatto negli ultimi cinquanta. L’Italia del 1961 celebrava il centenario sulle emozioni del miracolo economico, l’autostrada e la tv avevano unito il paese; l’Italia di questo 2011 è più divisa che mai, lacerata da chi dovrebbe unirla. Basta percorrere la Salerno-Reggio Calabria per rendersene conto, basta ascoltare Mediaset o il Tg1 per capirlo. Ci vuole tanta forza per ricominciare, ci vuole a sinistra, e soprattutto a destra. Ci vuole forza e coraggio e la convinzione di essere nel giusto. Noi sappiamo di

esserlo, non sappiamo se ne avremo abbastanza. “Un giorno, questa terra sarà bellissima”, disse Paolo Borsellino. Un giorno, forse non il nostro, ma certo anche grazie a noi.

L’Autore adolfo urso Segretario generale della Fondazione Farefuturo, già viceministro allo Sviluppo economico, è coordinatore nazionale di Futuro e Libertà per l’Italia.



Visione e coraggio per recuperare un decennio perduto DI PIERCAMILLO FALASCA

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isoccupazione, tasse, welfare, conflitto generazionale, riforme: ecco come l’Italia ha perso terreno dal 2000 ad oggi, tra occasioni mancate, politiche sbagliate e rivoluzioni liberali tradite.


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Un paese stanco e sfiduciato, in- successivi avrebbe provocato gabbiato da una politica miope e l’esplosione del debito pubblico, spesso autoreferenziale, con mentre si affermava una politica un’economia incapace di ritrova- per il Mezzogiorno ispirata ai re il cammino dell’innovazione e principi keynesiani del sostegno della crescita. Quanto è diverso il esogeno allo sviluppo, che avreb2011, l’anno del centocinquante- be finito per rendere il sud Italia simo anniversario dell’unità dipendente dall’assistenzialismo dell’Italia, dal centenario del pubblico e illuso dal mito dello 1961! Quell’Italia – che con le Stato come “creatore” di ricchezOlimpiadi di Roma mostrava al za; la generosità del sistema penmondo di aver ormai sostanzial- sionistico, in attivo grazie ad una mente colmato il gap di sviluppo demografia molto favorevole (pocon l’Europa, con la straordinaria chi anziani e molti giovani), poproduzione cinematografica tor- neva le basi per gli squilibri welnava alla ribalta culturale del faristici di oggi. Nonostante tutto questo (e non è pianeta e con la poco, in verità), sua competitività Nell’Italia ambiziosa l’Italia del 1961 industriale si afferappariva, ed in efmava in settori di del 1961, le istanze fetti era, un paese frontiera – era an- di modernizzazione ambizioso, proietcora una società artato in avanti, doretrata e frugale, prevalevano su quelle ve le istanze di ma offriva ai suoi di retroguardia modernizzazione abitanti un dinamismo ed una prospettiva futura prevalevano su quelle di retroinvidiabile. Le case si riempivano guardia. di elettrodomestici e le città di Trent’anni dopo, con la fine dei automobili (erano gli anni della regimi comunisti dell’est europeo prima Fiat 500), il tasso di scola- e lo scoppio della “bolla politica” rizzazione aumentava (nel nord della Prima Repubblica (l’acquil’analfabetismo era ormai resi- sto del consenso attraverso la produale), la famiglia usciva gra- duzione di spesa pubblica, ergo dualmente dal modello patriarca- di deficit e debito), si archiviò cerle, aprendo le porte del lavoro ex- tamente una fase storica. Dopo tra-domestico anche alle donne, un biennio di governi tecnici di le cui gonne da lì a qualche anno emergenza, fu offerta alla classe si sarebbero accorciate. I figli politica – nuova, sopravvissuta o avevano davanti a sé un orizzonte “sdoganata” – una chance impordi reddito e benessere superiore a tante di “ristrutturazione” del quello dei padri. Non tutto andò paese. Il primo centrodestra berper il verso giusto, ovviamente: lusconiano del 1994 ebbe vita proprio in quegli anni si consoli- troppo breve per rispondere a dava un sistema politico cliente- quella domanda politica di innolare e corrotto, che nei decenni vazione che lo aveva portato al

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potere (gli storici noteranno pro- le paradigmatica – e all’apertura babilmente un elemento di in- di una stagione di riforme sistecoerenza sistemica in quell’alle- miche nei grandi comparti delanza asimmetrica tra Forza Italia, l’azione pubblica, dal welfare al Alleanza nazionale e Lega Nord, diritto del lavoro, passando per le corollario della eccezionalità della grandi opere infrastrutturali. discesa in campo di Berlusconi, Se il 1994 fu una splendida illuma difficilmente potranno sca- sione, la primavera del 2001 apgionare Bossi dalla responsabilità pare, agli occhi di chi oggi l’anadi aver scelto deliberatamente la lizza, la grande occasione mancafine di quell’esperienza di gover- ta. L’esecutivo che Berlusconi no). Toccò di nuovo ad un “ceto guidò dal 2001 al 2006 operò tecnico” e poi al centrosinistra, bene in alcuni ambiti, ad esemirrobustito tra l’altro dall’ingres- pio sulla scena internazionale, so nelle sue fila di quegli stessi con un approccio atlantista moltecnici, traghettare l’Italia fuori, to diverso dall’attuale disegno filo-satrapico e parlungo il sentiero tecipando con delle riforme: pen- Dal 2001 al 2006, merito e buoni risioni, mercato del sultati all’impelavoro, stabilizza- Berlusconi non seppe gno internazionazione dei conti infondere l’atteso le contro il terropubblici, privatizrismo. Ma non zazioni, ingresso scatto di libertà seppe infondere nell’unione mone- in politica economica nella sua politica taria europea. Pur tra errori e incoerenze ideologi- economica quello scatto di liberche, quel litigioso centrosinistra tà che la maggioranza degli eletsi pose e conseguì obiettivi note- tori italiani aveva chiesto con il voli, primo tra tutti l’adesione al- voto. Non riuscì ad adempiere l’euro, raggiunti i quali esaurì fi- alla promessa “storica” di una risiologicamente la sua esperienza forma del fisco orientata al lavodi governo. Il paese sentiva l’esi- ro, alla libera intrapresa e alla fagenza di uno scossone liberale e miglia, rinunciò alla possibilità di un’iniezione di dinamismo. La di un sano “conflitto” sociale sulvittoria della Casa delle Libertà l’articolo 18 che in qualche moalle elezioni politiche del 2001, do potesse completare il sentiero apice di un ciclo positivo inaugu- della legge Biagi, si tenne lontarato già con le elezioni europee no da provvedimenti di liberalizdel 1999 e proseguito con la tor- zazione nei grandi comparti nata regionale del 2000, poneva dell’economia e da riforme orgale basi per una politica economica niche del sistema di giustizia. che avrebbe dovuto orientarsi Last but not least, permise ad una all’alleggerimento del ruolo e del componente strisciante della spepeso dello Stato – il “meno tasse sa pubblica locale – i consumi per tutti” era una sintesi elettora- intermedi della regioni e degli


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enti territoriali – di assorbire record del 43,6%, secondo i dati completamente le molte decine Ocse: solo danesi e svedesi pagadi miliardi di risparmio di inte- no più tasse degli italiani (ma ressi sul debito che l’adesione al- hanno un sistema di welfare ed una macchina amministrativa la moneta unica aveva offerto. Rientrato al potere nel 2008, do- oggettivamente più efficienti, po il biennio fallimentare del- capaci di promuovere e non ostal’Unione prodiana, Berlusconi ha colare la competitività dell’ecofatto dell’immobilismo – che dal nomia e la valorizzazione del ca2001 al 2006 era stato spesso, pitale umano). La disoccupazione ma non sempre, l’esito indeside- aumenta fino all’8,7% (cifra alla rato della dinamica politica della quale, secondo Bankitalia, anmaggioranza di centrodestra – drebbero aggiunti i lavoratori in un vero e proprio modus operandi, cassa integrazione straordinaria), sostituendo all’azione politica quella giovanile sfiora pericolouna “narrazione politica” diversa samente il 30% (a novembre 2010 ha raggiune a volte contrapto il 28,9%, reposta alla realtà. Il Il reddito del 2010 cord dal 2004). ritornello “il noNel 2010 il reddis t r o p a e s e s t a è inferiore a quello to pro capite degli uscendo dalla crisi del 2000, un salto italiani sarà in termeglio degli almini reali inferiotri”, con il quale si all’indietro inedito re a quello del è cercato negli ul- per il nostro paese 2000, un salto timi due anni di anestetizzare la discussione sulle all’indietro inedito nella storia riforme necessarie a ritrovare un dell’Italia unita. sentiero di crescita, è diventato Più che i dati relativi alla continun mantra insopportabile e auto genza, sono le fondamenta del siconsolatorio. I dati mostrano stema Italia ad essere marce: uno purtroppo il contrario: l’Italia è zoppicante sistema d'istruzione e entrata nella crisi con i più bassi formazione, che forma buone intassi di crescita d’Europa; ha af- dividualità ma che consegna al frontato il biennio horribilis con paese un capitale umano non la contrazione del reddito nazio- sempre all’altezza delle sfide della nale più marcata del continente; globalizzazione; una burocrazia ha ripreso a crescere solo dell’1% pletorica, accompagnata da una all’anno, nonostante il resto del classe politica locale e nazionale Vecchio Continente proceda a mediamente di scarso livello; una ritmi ormai doppi. Il debito giustizia lenta e iniqua; una regopubblico sfiora di nuovo il 120% lazione dei servizi professionali di del Pil, valore raggiunto, nel Do- stampo corporativo e ottocentepoguerra, solo ad inizio anni No- sco; un sistema degli ammortizvanta. La pressione fiscale in rap- zatori sociali che lascia al potere porto al Pil ha raggiunto la cifra politico intollerabili margini di

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discrezionalità, con i quali discriminare tra settore e settore, tra grandi e piccole aziende, tra lavoratori più garantiti e lavoratori privi di ogni tutela. Un decennio perduto, quello dal 2001 al 2011, ultimo atto di un cinquantennio che ha visto il paese diventare da povero e ambizioso a ricco e sfiduciato. Come un vecchio nobile decaduto che per mantenere uno stile di vita consono al suo lignaggio, vende pezzo dopo pezzo l’argenteria di famiglia, così l’Italia sembra aggrapparsi alla sua ricchezza accumulata – il patrimonio privato dei cittadini – per contrastare la bassa crescita del reddito nazionale. L’elevato livello di patrimonializzazione delle famiglie funge da welfare privato per le giovani generazioni escluse dal mercato del lavoro o tenute per effetto di legge in una condizione di pesante precarietà. Paradossalmente, il disagio giovanile non si trasforma in “scontro generazionale” perché la generazione dei garantiti e quella degli esclusi sono padre e figlio. Tramontato (e non poteva essere altrimenti) il mito del “posto fisso”, che troppi continuano strumentalmente a evocare, la politica non ha saputo offrire alle nuove leve ciò che queste chiedono: la creazione di opportunità, anche grazie all’abbattimento di quelle inique barriere all’ingresso nei grandi mercati del lavoro autonomo e dipendente. Non è un caso che, in un decennio, il tasso di occupazione della popolazione in età da lavoro (1564) è rimasto pressoché invaria-

to: era il 55,4% nel 2002, è stato del 56,8% nel 2010; la crisi recente conta poco: il valore è cambiato di poco nei dieci anni, il “massimo storico” è stato poco superiore al valore iniziale e a quello finale, il 58,7 nel 2008. Per un paese che nel 2000 sottoscrisse la Strategia di Lisbona, impegnandosi a portare il tasso di occupazione al 70% in dieci anni, anche questa suona come una clamorosa sconfitta. Di questo fallimento non c’è cartina al tornasole migliore della cosiddetta emigrazione dei talenti (termine abusato, ma in fondo efficace). Quasi 9mila laureati, tra i 25 e i 44 anni, hanno lasciato l’Italia nel 2008 (erano poco più di 3800 nel 2002). Mentre il flusso complessivo di chi si lascia l’Italia alle spalle è sostanzialmente stabile (circa 50mila all’anno dal 2002 in poi), la quota di laureati sul totale è passata dal 9,7 del 2002 al 16,6% del 2008. Si tratta del 54% circa dell’insieme degli emigranti di quella fascia d’età (il 57% circa nel centro-nord, il 47 nel sud). I dati Istat colgono il fenomeno solo parzialmente: non tutti quelli che lasciano l’Italia s’iscrivono all’anagrafe per i residenti italiani all’estero e non tutti lasciando l’Italia cambiano residenza. Altre stime credibili (quella di Confimpresa) dicono che i laureati rappresentano circa il 70% degli espatri under 40. Più che l’emigrazione intellettuale in sé, il problema è rappresentato dall’assenza di una contestuale immigrazione di talenti.


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Che i talenti viaggino per il globo è storia antica, ma una nazione è davvero vitale se riesce a controbilanciare l’uscita di menti brillanti con un’entrata altrettanto consistente di talentuosi stranieri. Un problema italiano, rispetto ai paesi più ricchi del pianeta, è invece la scarsa capacità di attrazione: ogni cento laureati nazionali ce ne sono 2,3 stranieri, contro una media Ocse del 10,45%. Al centocinquantesimo anno d’unità, dopo un decennio essenzialmente “berlusconiano”, l’Italia scopre di non essere più un luogo interessante e stimolante, nè per i suoi talenti, nè per quelli del mondo. Lo Stivale è attraversato da almeno cinque “fratture”: quella generazionale appena citata; quella di genere (le storture di un welfare che paga troppe pensioni e sostiene poco la maternità, l’infanzia e la cura di anziani e disabili contribuisce a scaricare sulle donne il peso della tenuta sociale); la frattura “etnica” tra italiani di lungo corso e nuovi cittadini; l’atavica frattura territoriale; infine, si va allargando la frattura tra opinione pubblica, corpi intermedi della società e classe politica. I mali del paese – è bene precisare – non sono imputabili a chi ha avuto responsabilità di governo nel recente passato, sono il frutto di successive stratificazioni, mentre le loro radici risalgono fino agli anni dorati di cui si parlava in apertura di questo contributo. Fatto sta che, al centocinquantesimo anno d’unità, l’Italia si trova di fronte al declino e chi governa

non pare avere né la forza politica, né l’esprit intellettuale per contrastare la tendenza. Il declino non è mai irreversibile, la storia umana ha smentito le teorie deterministiche sui cicli delle società e delle nazioni. Ma la storia ha anche mostrato che sfuggono alle sabbie mobili solo quei paesi le cui classi dirigenti sanno alzare lo sguardo oltre le scadenze elettorali, disegnando proposte di policy capaci di produrre i loro effetti nel tempo. Anche a costo di imporre sacrifici nel breve periodo. Si rimedia a un decennio perduto (e si onora un secolo e mezzo di storia unitaria) solo se si ha l’onestà di riconoscere il declino e la forza di offrire obiettivi concreti e visioni coraggiose per il prossimo decennio.

L’Autore piercamillo falasca Vicepresidente di Libertiamo, fellow dell’Istituto Bruno Leoni. Ha scritto con Carlo Lottieri Come il federalismo può salvare il Mezzogiorno (Rubbettino, 2008). Ha curato Dopo! Ricette per il dopocrisi (Ibl Libri, 2009).

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Non bastano i tagli lineari, si scelga la via delle riforme

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entre in Inghilterra i sacrifici sono stati attenti e mirati, in Italia si è scelto di usare il coltello grande, senza distinzione alcuna. Ma per uscire dall’impasse non basta il “bilancino” sui conti. Si doveva, e si dovrà, mettere mano a riforme concrete, se necessario anche dolorose. DI BENEDETTO DELLA VEDOVA E PIERCAMILLO FALASCA 17

Lo scorso ottobre il governo britannico guidato da David Cameron ha presentato al parlamento del Regno Unito, chiedendone ed ottenendone il voto, una manovra di bilancio che ha imposto ad ogni ministero un taglio di spesa medio del 19%. Si è trattato della più imponente ed intensa correzione di finanza pubblica dal secondo dopoguerra ad oggi – circa 94 miliardi di euro – superiore a quelle prodottesi in epoca thatcheriana. Il metodo usato è stato peculiare: a tutti i ministeri, con esclusione del ministero della Salute e quello dello Sviluppo, il primo ministro ha chiesto, in via riservata, di preparare due ipotesi di taglio, uno pari al 40% ed uno del 25% degli stanziamenti a legislazione

vigente. Ciascun dicastero è stato quindi coinvolto e responsabilizzato rispetto alle razionalizzazioni da effettuare, sulle quali ha potuto scegliere in piena autonomia. Alla fine, le riduzioni di spesa sono state minori dello sforzo richiesto, ma questo è servito a segnalare per i prossimi anni le aree di possibili tagli futuri: in un certo senso, esplicitando cosa avrebbero tagliato se il sacrificio richiesto fosse stato maggiore, i ministri si sono “autodenunciati”. Soprattutto, a partire dalle ipotesi di riduzione presentate dai singoli ministeri, il premier e il cancelliere dello Scacchiere hanno compiuto le loro scelte, “restituendo” parte del sacrificio ai ministeri, sulla base delle priorità politiche di governo.


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Quanto è diverso questo meto- egual misura, perché nessuno do da quello dei “tagli lineari” potesse politicamente obiettare. d’italica memoria! Non sono Ma così facendo, col coltello mancati nemmeno nel Regno grande, il titolare di via XX Unito i tentativi dei singoli mi- Settembre ha finito troppo nistri – così consueti nel nostro spesso per tagliare non solo il paese – di sottrarsi pubblica- grasso, ma anche l’osso: su mente ai provvedimenti draco- scuola, università o ricerca niani, sulla base di una suppo- scientifica, per fare degli esemsta eccezionalità del proprio pi, si sarebbero potuti evitare i portafoglio e dei principali pro- tagli, se il governo avesse avuto grammi di spesa che questa fi- la tempra politica di abolire le nanzia. Ma alla base del modus province inutili o di prestare la operandi britannico, che è poi la sua attenzione alla bolla di spechiave del suo successo, c’è sa che si va producendo a livello qualcosa che in Italia è mancato regionale. I tagli possono essere robusti, ma debnegli ultimi anni: bono essere seletun coordinamen- I tagli possono essere tivi. Si può essere to politico sulle diffidenti verso la scelte di “ragio- robusti, ma devono spesa pubblica nel neria”. essere mirati, perché suo complesso – Il ministro delin fondo è sano l’economia Giu- c’è differenza tra esserlo, soprattutlio Tremonti ha sprechi e investimenti to nel paese della saputo far molto bene ciò che si chiede ad un mi- “democrazia acquisitiva” – e nistro dell’Economia: far qua- chiedere che ogni ministero drare i conti, lesinare e contro- partecipi pro-quota ai sacrifici, bilanciare gli appetiti di spesa. ma non si può negare che non Non ha potuto ciò che non tutte le spese sono uguali. Ci spetta a lui fare, ma al premier: sono sprechi e ci sono investiindicare le priorità. Siccome menti, ci sono funzioni essenl’obiettivo, fondamentale e im- ziali e ci sono attività pleonastiprescindibile, era quello di che: con la logica dei tagli limantenere il deficit di bilancio neare non si governa la spesa, si entro limiti accettabili, evitan- delega all’aritmetica una scelta do che l’Italia venisse risucchia- eminentemente politica. ta in una crisi di finanza pub- I sacrifici di bilancio sono neblica – che le sue debolezze cessari per evitare di cadere, ma strutturali (l’elevato debito non consentono di risalire la pubblico e l’estrema rigidità di china: per quella servono riforalcuni grandi comparti di spesa) me. Dal 2008 ad oggi, il goverrendevano non impossibile – no Berlusconi ha invece assunto Tremonti ha scelto un metodo a propria strategia – e per la vesalomonico: togliere a tutti in rità con il contributo non se-


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condario di Tremonti – la for- al Pil ha di nuovo raggiunto la mula dell’immobilismo, accom- cifra record del 43,6%, secondo i pagnato da una narrazione irrea- dati Ocse. Solo danesi e svedesi le degli eventi. Dal mantra “sia- pagano piú tasse degli italiani mo messi meglio degli altri” ai (ma hanno un sistema di welfare tanti annunci campati in aria. ed una macchina amministrativa Contando sulla prevalenza della più efficienti di quella italiana, retorica sull’azione, si è cercata capaci di promuovere e non ostauna navigazione al riparo dalle colare la competitività dell’ecoasperità. Il ritornello “il nostro nomia e la valorizzazione del capaese è quello uscito meglio pitale umano). È necessario un dalla crisi”, con il quale si è cer- patto fiscale con i contribuenti – cato negli ultimi due anni di regole più semplici e “reinvestianestetizzare la discussione sul- mento” dei proventi della lotta le riforme necessarie, è diventa- all’evasione in premi per i conto infine insopportabile. Soprat- tribuenti leali – ma è anche opportuno riflettere tutto perché è su una riforma fiparso irresponsa- Con una pressione scale che permetta bilmente autocona tutti di pagare solatorio, laddove fiscale così elevata meno. Senza quei dati dimostrano è difficile spiegare st’ultima, con una la gravità della sipressione fiscale tuazione italiana. i tagli ai comuni così elevata, diIl debito pubblico o alla scuola pubblica venta difficile sfiora di nuovo il 120% del Pil: ripetere che lo spiegare – ad esempio – i tagli ai abbiamo ereditato dagli anni comuni o alla scuola pubblica. Ottanta suona ormai grottesco, Come rivela il Censis, tra i 15 e i avendo il centrodestra governa- 34 anni, circa 2 milioni e to per otto decimi nell’ultimo 200mila persone non studiano, decennio. Con un debito tanto non lavorano e non cercano lavoelevato, l’Italia ha finito per ce- ro: si tratta di una bomba demodere la propria sovranità finan- grafica e sociale di cui paghereziaria: anche solo un piccolo mo i costi nei prossimi decenni. rialzo dei tassi d’interesse vani- La disoccupazione è aumentata fica gli sforzi di manovre finan- fino all’8,7%, dato al quale, seziarie multimiliardarie. Nel condo Bankitalia, andrebbero programma elettorale del cen- aggiunti i lavoratori in cassa introdestra, proprio per aggredire tegrazione straordinaria: uno il debito, c’era un piano straor- strumento buono per l’emergendinario di valorizzazione del pa- za, forse, ma che dovrebbe latrimonio pubblico, ma non si é sciare spazio ad una riforma di neppure privatizzato una muni- stampo universalistico degli ammortizzatori sociali, affinché il cipalizzata. La pressione fiscale in rapporto welfare state non discrimini da

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settore a settore, tra grandi e amministrativa. La riforma in piccole aziende, tra lavoratori atto, a firma Calderoli, è invece più garantiti e lavoratori privi di mossa da un principio diverso, ogni tutela. D’altronde, la rifor- antitetico al federalismo: si ma del sistema di welfare si im- chiede allo Stato di fare il lavopone per ragioni tanto di equità, ro sporco (imporre le tasse) laquanto di efficienza: per fare un sciando che siano le regioni a esempio, l’assenza di politiche spendere. Il risultato rischia di per la famiglia è ingiusta verso essere l’aumento della spesa le donne, spesso costrette al non- pubblica al nord e l’aumento lavoro per far fronte agli oneri dell’imposizione fiscale al sud. familiari; ma è anche un danno Infine, il problema dei probleper il sistema produttivo, che mi nell’Italia di oggi: la crescita non può esprimere tutto il suo del Pil, inchiodata all’1%, menpotenziale se la partecipazione tre l’Europa unita cresce in medelle donne al mercato del lavo- dia all’1,5% e la locomotiva tedesca viaggia alro rimarrà il più meno al 2%. Epbasso d’Europa. Il federalismo fiscale pure molte delle Il cammino del federalismo fisca- va completato tentendo riforme necessarie sono a costo zero. le, che positiva- conto del monito Le liberalizzazioni mente prosegue, sono ferme (come va completato te- che arriva dalla crisi la Legge annuale nendo conto del che ha colpito la Grecia sulla concorrenza, mutato quadro di integrazione della finanza pub- istituita dal Parlamento un anblica nell’area euro e al monito no fa e non ancora presentata che viene dalla crisi greca: se gli dal governo alle Camere) o a squilibri di bilancio in un pic- metà del guado (è il caso dei colo paese destabilizzano la servizi pubblici locali, ma anGermania, è chiaro che il desti- che quello dei trasporti aerei e no della Lombardia non può es- ferroviari). Lo Stato è il grande sere isolato da quello della Ca- assente dal tavolo delle riforme nel campo delle relazioni indulabria. Un vero federalismo fiscale at- striali, dove le parti sociali motribuisce ad ogni livello di go- strano una responsabilità e un verno la responsabilità di tassa- afflato innovatore di cui la polire i cittadini e di usare quelle tica pare priva. Quest’ultima ha risorse per l’esercizio delle fun- speso settimane dividendosi in zioni assegnate, lasciando allo “Marchionne sì, Marchionne Stato centrale il compito fonda- no”. Eppure le vicende di Pomentale di ridurre le disparità migliano e Mirafiori avrebbero territoriali e personali. Questo è dovuto rappresentare un campail modo di coniugare competi- nello d’allarme: non si può conzione tra territori e disciplina fidare a lungo sul ruolo di “sup-


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IL LIBRO di Cecilia Moretti

L’odio e le rovine di una nazione Giampiero Mughini Un disastro chiamato Seconda Repubblica Mondadori 2005, 257 pp., euro 17,00 Il giudizio, in estrema sintesi, c’è già nel titolo. In Un disastro chiamato Second a Re p u b b l i c a (Mondadori 2005), Giampiero Mughini racconta, tracciando una impietosa galleria di volti e simboli, un tratto della nostra storia. La Seconda Repubblica che nacque da un «parricidio»: sulle ceneri dell’ormai svuotata Prima Repubblica, ebbe la sua livorosa inaugurazione alle otto di sera del 30 aprile 1993, quando Bettino Craxi uscì dall’hotel romano Raphael e fu salutato da sputi e monetine. «Quello che non era riuscito fino in fondo ai brigatisti rossi degli anni Settanta, di colpire lo Stato al cuore e farlo vacillare, stava riuscendo alle inchieste della magistratura»: si dissolsero i partiti che avevano fatto la storia d’Italia, si celebrarono i processi di Mani Pulite come in una sorta di violenta catarsi collettiva, si fecero largo protagonisti nuovi. Sul palco Di Pietro, Berlusconi, Bossi. Ancora Andreotti. Poi la televisione, Porta a Porta e le Veline. «A furia di esibire le loro cosce, le due regine del trash televisivo, le gemelle Lecciso, ci sono andate entrambe a presidiare le poltrone di Porta a Porta, il talk show politico che fa da canovaccio morale della storia della Seconda Repubbli-

ca, e del resto non è che abbiano fatto una cattiva figura rispetto a giornalisti e opinionisti titolati»: passato il frastuono della mischia furibonda, il tintinnio delle manette e l’orrore delle cifre della corruzione squadernate sotto gli occhi di tutti, quando, libero dai turbamenti della contemporaneità, si stagliarono con più nettezza i contorni di «un’epoca dominata da personaggi come Bettino Craxi, Enrico Berlinguer, Ugo La Malfa, o le decine di cavalli di razza della leadership democristiana», si avvertì inesorabile l’impressione di un confronto squilibrato. Il ritratto di una nazione che sembra soprattutto permeata dall’odio, slegato dalla cognizione di innocenza e colpevolezza. Odio e basta. Un sentimento che risponde al bieco istinto di saziare un risentimento invidioso e indignato, il giudizio sommario, con annessa condanna, di chi è preoccupato solo di ripulire la propria coscienza con lo scalpo di qualche potente caduto in disgrazia, come una sorta di macchina dell’odio che si abbatte senza guardare in faccia nessuno. Perlopiù con la più assoluta assenza di stile. E con il massimo scorno per chi al potere salvifico della rivoluzione in atto, a tratti, ci ha persino creduto. Così Mughini, che di questo abbaglio si pente e, quasi a penitenza, lui che la Seconda Repubblica l’ha incarnata da giornalista e personaggio televisivo, ne delinea un profilo dove emergono, impietosi, tutti i difetti. Né, d’altronde, pare che ad accoglierci ci attenda molto di meglio. Sullo sfondo un Occidente che ha ormai smarrito tutta la sua spavalderia creativa, l’Italia sembra non capire che è arrivato il momento di entrare nel terzo millennio anche con la testa. E se questa epoca è definitivamente arrivata a capolinea, è però chiaro che gli effetti delle sue rovine si faranno sentire ancora a lungo.

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plenti della politica” delle parti sociali, è tempo di imprimere una spinta modernizzatrice sul mercato del lavoro e sulle relazioni industriali. Per il mercato del lavoro, si è lasciato che il dualismo tra garantiti e non garantiti s’incancrenisse. Prima di “sposare” un lavoratore, e cioè di offrire un contratto a tempo indeterminato, le aziende contano fino a cento. E spesso poi desistono, preoccupate dell’estrema severità dello statuto dei lavoratori. A queste condizioni, è inevitabile che le imprese preferiscano i cocopro o i contratti a tempo determinato e che – nei momenti di crisi – proprio sui precari scarichino i costi delle ristrutturazioni aziendali. Noi non pensiamo che Berlusconi sia la causa – né primaria, né unica – delle difficoltà economiche del paese. Proprio per questo, a Bastia Umbra, Gianfranco Fini e Fli provarono, fotografando la realtà, ad offrire a Silvio Berlusconi e al Pdl un piano di uscita dall’empasse: un nuovo governo per ripartire di slancio, un nuovo e sintetico programma di riforme per l’economia. Berlusconi ha detto no, e poi no, scegliendo il motto “resistere, resistere, resistere”. Futuro e libertà non poteva che trarne le conseguenze, separando il proprio destino politico da chi non ha voluto riconoscere i problemi dell’Italia e la sua inadeguatezza ad affrontarli come sarebbe stato necessario. Di fronte a un centrodestra

dell’immobilismo, Futuro e libertà offre agli italiani l’alternativa di un centrodestra riformatore e liberale, moderato e tollerante. Un centrodestra consapevole che l’Italia, a un passo dal declino, ha bisogno di una politica che sappia rischiare sé stessa e la propria sopravvivenza sull’altare delle riforme concrete e dolorose che servono al paese.

L’Autore benedetto della vedova Presidente dell’associazione Libertiamo e vicepresidente vicaro del gruppo Fli alla Camera. piercamillo falasca Vicepresidente di Libertiamo, fellow dell’Istituto Bruno Leoni. Ha scritto con Carlo Lottieri Come il federalismo può salvare il Mezzogiorno (Rubbettino, 2008). Ha curato Dopo! Ricette per il dopocrisi (Ibl Libri, 2009).


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Dopo vent’anni di occasioni sprecate

Una Terza Repubblica per salvare il paese Dieci anni persi? No, venti. E oggi l’Italia dovrà affrontare una sfida da far tremare le vene ai polsi. Per vincerla, con un occhio alla Germania, serve il coraggio di prendere decisioni e di fare riforme vere. INTERVISTA A ENRICO CISNETTO DI FEDERICO BRUSADELLI

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Alle spalle non abbiamo dieci anni perduti. Ne abbiamo venti. Enrico Cisnetto, editorialista, docente di Finanza alla Luiss di Roma, presidente di Società Aperta e direttore del quotidiano online Terza Repubblica, non è tenero con la classe dirigente di questo paese. Non è tenero con la Prima Repubblica, che ha lasciato che il paese fosse travolto dalla globalizzazione, dai nuovi modelli economici, dall’euro e dal mondo post-bipolare senza preparare il terreno, senza progettare un rinnovamento di sistema. E lo è ancor meno con la Seconda, che dopo aver scaricato tutte le colpe sulla Prima, si è rinchiusa in dibattiti sterili e autoreferenziali, continuando a non vedere e non sentire i segnali che imponevano riforme e preannunciavano la crisi. Adesso, forse siamo alle porte della Terza. Che, se mai vedrà la luce, si troverà davanti a

un compito da far tremare le vene ai polsi: molto semplicemente, salvare il paese. E per farlo – magari con un occhio alla Germania – serve il coraggio di prendere decisioni e di fare riforme. Riforme vere, però. Perché con i “brodini caldi” non si va da nessuna parte. C’è chi dice che i primi dieci anni del nuovo Millennio sono stati “anni perduti”, per il sistema Italia. Un giudizio troppo severo?

No, no. Si potrebbe dire anche di peggio… E a esser “perduto” non è solo il decennio che ci siamo appena lasciati alle spalle. Direi che il fenomeno da analizzare, è che alla radice di molti se non tutti i nostri problemi, è quel meccanismo di “inversione” della nostra crescita, che ha cambiato il trend avviato nel dopoguerra. E la fase di “inversione” non avviene nel 2000, ma prima.


ITALIA 2020 intervista a Enrico Cisnetto

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Tanto che, come spartiacque, sarebbe più utile usare l’inizio degli anni Novanta. Insomma, dal 1946 fino al 1989-1990, l’Italia ha sostanzialmente vissuto una fase di crescita. E in quei decenni, siamo cresciuti come minimo al pari degli Stati Uniti e dell’Europa, e spesso anche di più. Con l’inizio degli anni Novanta, però, si è inaugurata una fase in cui siamo stati costantemente al di sotto della media europea e americana. Così, nei quindici anni che vanno dal 1992 al 2007 (inizio della crisi mondiale che ha cambiato il quadro generale) abbiamo accumulato 15 punti in meno rispetto all’Europa (un punto all’anno) e circa 35 punti

in meno nei confronti degli Usa (dunque 2,3 all’anno). Questi sono dati, sono numeri. E poi certamente se ne può dare anche una lettura politica… Ecco, a proposito di lettura: come spiegherebbe le radici di questa “inversione”?

Anche solo dal punto di vista strettamente economico, con l’Ottantanove, con la caduta del Muro e con la fine del comunismo ha avuto inizio una fase di mutamento della struttura mondiale che non è esagerato definire epocale. A Berlino è andato in scena un evento geopolitico che ha, di fatto, segnato la fine del mondo disegnato a Yalta. A questo si sono sovrapposti lo scoppio


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dirompente della globalizzazione, la rivoluzione tecnologica che ha portato l’economia dall’analogico al digitale, la finanziarizzazione dell’economia (da cui, poi, tutti quegli eccessi che gonfieranno la bolla esplosa nel 2007). E infine, per quanto riguarda l’Europa, si è aggiunto anche il trattato di Maastricht con il passaggio all’euro. In un arco di tempo molto breve è saltato un tappo. Ed è finito bruscamente il modello economico sul quale l’Italia aveva basato la sua crescita: è scesa l’importanza del lavoro ed è salita quella del capitale, è cresciuta l’importanza dei brevetti e il peso della capacità tecnologica. Non a caso, i Novanta sono gli anni della “grande dimensione” capitalistica, sono anni in cui il mercato è diventato sempre più globale e sempre più grande. Ebbene, ci troviamo davanti all’esatto contrario delle caratteristiche del capitalismo italiano, fatto di piccole imprese a basso contenuto tecnologico, con scarsa capacità di innovazione, non internazionalizzate… Insomma, è facile capire l’impatto che quei primi anni Novanta hanno avuto sul nostro sistema economico. E tutto ciò comportava, necessariamente, velocità di decisioni per essere affrontato. Ed è un caso che quest’impatto abbia coinciso con la fine, anzi con il crollo, della Prima Repubblica?

No, non è affatto un caso. Certo, il fatto “materiale” che ha segnato il tramonto del sistema è stato

Tangentopoli. Ma la fine della Prima Repubblica, a ben vedere, è arrivata per effetto della fragilità e della corrosione di un’intera classe dirigente politica ed economica, travolta dal cambiamento che si stava imponendo nel mondo e che non sapeva come fronteggiare. Avevamo un’economia abituata a gestire la minore competitività sistemica aiutandosi con la svalutazione della lira e con il debito pubblico: strumenti che, con i nuovi trattati Ue, non erano più nelle disponibilità di chi era al governo. Ma la Seconda Repubblica ha saputo trovare strumenti migliori?

Il vero problema è che la Seconda Repubblica non è nata per dare risposta a quei temi, alle nuove sfide globali. È nata come reazione ad altre questioni, la corruzione in primis, molto sentite dai cittadini ma del tutto marginali per il sistema. Un esempio: Umberto Bossi, allora leader in ascesa con la sua Lega Nord, usava dire che il debito pubblico era la somma delle tangenti pagate ai partiti. Una sciocchezza di dimensioni pazzesche! Così, si faceva passare l’idea che il nostro enorme debito fosse figlio della corruzione, quando in realtà era la certificazione contabile di un trasferimento di risorse con cui il paese aveva scelto di passare dalla cassa pubblica ai privati (intesi come pezzi di territorio, corporazioni): più dipendenti pubblici di quanto servisse, più cassa integrazione, interessi sui titoli di Stato a due cifre. Un trasferi-


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mento di ricchezza che lo Stato registrava sotto forma di debito e che la società usava per mantenere un tenore di vita assolutamente eccezionale. Gli italiani vivevano al di sopra delle loro possibilità, è vero. Ma tutti, non solo quattro politici “rubagalline”. E allora, essendo nata su queste basi e su queste argomentazioni, la Seconda Repubblica difficilmente avrebbe potuto dare risposta a quelle grandi questioni globali e riavviare la crescita del paese.

allora, siamo arrivati al 120%. E quei 14 punti, che fine hanno fatto? Ce li siamo mangiati. Mi sembra un risultato straordinario! E allora quando si racconta che abbiamo ereditato il debito dalla Prima Repubblica, si sfiora il ridicolo. Innanzitutto perché sono passati sedici anni, e il giochino di dare la colpa ai predecessori può durare poco. Ma soprattutto perché questi numeri stanno lì a spiegare che nel corso della Seconda Repubblica i problemi sono peggiorati.

E infatti non ci è riuscita… È così?

Per la verità, non ha dato risposte nemmeno a quei temi su cui era nata! I costi della politica, la giustizia, la corruzione: anni buttati anche da questo punto di vista. E figuriamoci se si sono risolte quelle questioni fondamentali. Anzi, la discussione sul modello di sviluppo non è mai stata al centro del dibattito pubblico. Almeno fino agli ultimi anni, visto che con la crisi mondiale non c’è più stata la possibilità di ignorarlo. Ma cosa avrebbe dovuto fare, la Seconda Repubblica?

La prima cosa da fare era risistemare la finanza pubblica. Negli anni Novanta, dal governo Amato in poi, abbiamo avviato le privatizzazioni per “fare cassa”. Ora, tralasciando il risultato “strategico” dell’operazione, abbiamo incassato qualcosa che, attualizzato oggi, vale 14 punti di Pil. Bene, prendiamo la situazione debitoria italiana e vediamo che dal 108% del rapporto debito/Pil di

Addirittura…

Noi siamo, tra i maggiori paesi Ocse, quelli ad aver avuto il livello recessivo più forte in questi ultimi anni. Nel 2010, anno di uscita dalla crisi, abbiamo segnato una crescita dell’uno per cento, contro una media Ue dell’1,7 e contro il 2,5 degli Usa. Persino il Giappone si è ripreso significativamente più di noi. E questo vuol dire che non solo non abbiamo recuperato le perdite della recessione, ma che stiamo tornando a non crescere con quel differenziale precedente alla crisi. Insomma, durante la crisi siamo stati tutti sulla stessa barca, e forse abbiamo anche ballato meno, dal punto di vista finanziario. Ma poi, finita la tempesta, abbiamo ripreso lo stesso passo ridotto4 rispetto ai nostri competitori. Tanto che, complessivamente, gli anni Novanta sono stati meglio dei Duemila. Mi pare chiaro che la Seconda Repubblica non ha nulla di cui menar vanto rispetto alla Prima. Anzi…

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Guardiamo avanti, all’Italia del 2020. Quale ricetta per recuperare questo tempo perduto?

Il nodo è sempre quello: cambiare modello di sviluppo. Perché tutti i temi di cui abbiamo parlato finora, e che la Prima e la Seconda repubblica non hanno saputo affrontare, sono ancora lì, che aspettano di essere risolti. Copiare non è bello, ma c’è qualche paese da cui prendere esempio, per riavviare la crescita?

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La Germania. Lì hanno capito subito che i tempi stavano cambiando e che i mutamenti mondiali non consentivano staticità. E allora, subito dopo la riunificazione, hanno preso le aziende più piccole, più marginali, meno moderne, e le hanno delocalizzate nella loro Asia: l’est. Poi, hanno concentrato tutte le risorse sulle aziende più grandi e potenzialmente più innovative. L’iniziativa, portata avanti efficacemente da Schroeder e poi proseguita da Angela Merkel con la Grosse Koalition, ha comportato 5 milioni di disoccupati. E ricordo qualche ministro del Governo Berlusconi che, nel 2005, diceva che quei numeri erano la prova che l’Italia stava meglio della Germania. Ma in realtà si trattava di un prezzo momentaneo, pagato consapevolmente, per trasformare il capitalismo renano in qualcosa di diverso e di più adatto ai tempi nuovi. Oggi, quei 5 milioni di disoccupati sono stati riassorbiti e la Germania è il paese che esce meglio di tutti dalla recessione: è il primo


ITALIA 2020 intervista a Enrico Cisnetto

esportatore e ha una crescita del 3,7%. Numeri chiari, che si commentano da soli. E non è certo questione di fortuna. Ecco, questo è un esempio che dovremmo seguire. Ma davvero non è stato fatto nulla di buono in questi anni?

Il punto è che non è stato fatto a livello sistemico: ci sono state scelte, come dire, individuali. Certamente abbiamo un pezzo di capitalismo, purtroppo minoritario, che ha iniziato ad adeguarsi ai nuovi scenari, che si è rinnovato, ha cambiato prodotto e processo produttivo, e non a caso è uscito dall’impatto della recessione. Ma il resto del capitalismo italiano, la sua parte maggioritaria, continua a rimandare la trasformazione. E ne sta già pagando le conseguenze. In questi anni, quel capitalismo ha concentrato le sue energie sul welfare di sostegno, senza mettere in discussione il modello di sviluppo: la cassa integrazione, per esempio, è una sorta di flebo somministrata ad aziende praticamente morte, con l’unico effetto di differire nel tempo il “decesso” (e posticiparne le conseguenze elettorali…). Ed è evidente che non si può pensare di risolvere tutto con le decisioni singole di qualche imprenditore. No, servono scelte politiche forti, che comportino anche capacità di spesa. E tutto ciò non vale solo per le fabbriche: non dimentichiamoci che la dimensione industriale conta solo per il 30% del Pil. Il resto è terziario.

E noi abbiamo un terziario poco “di mercato”, ipergarantito, farraginoso. Il rinnovamento del nostro modello deve necessariamente passare anche da lì. Ha parlato di capacità di spesa. Ma quanta spesa, in concreto?

Certamente non stiamo parlando di 20, 30, 40 miliardi. Qui parliamo di 300, 400 miliardi di euro. E sono soldi da spendere sull’infrastruttura materiale e immateriale del paese, che – come vediamo dalle cronache di ogni giorno – è drammaticamente arretrata. Sono soldi da spendere anche per iniziative industriali, perché no (sono keynesiano e non ho difficoltà a dire che laddove non arrivano i privati ci può arrivare il pubblico, soprattutto in certi tornanti della storia). Ma la questione è: come possiamo riuscirci, in queste condizioni? L’unica possibilità concreta è fare tre o quattro riforme strutturali che consentano di risanare le finanze pubbliche e recuperare risorse da investire. Trasformando un pezzo consistente di spesa pubblica corrente in spesa per investimenti. Proviamo a fare un breve elenco: quali riforme?

Primo: una riforma delle pensioni vera, non timida né a spizzichi e bocconi, che porti l’età pensionabile a 67 anni subito, da domani mattina, senza scalini o scaloni. Secondo: la presa d’atto che il trasferimento alle regioni della competenza sanitaria è fallito (non è pensabile che si possa

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considerare normale avere sei regioni commissariate e altre in grave difficoltà, e non solo al sud) e che la sanità va ricentralizzata e riformata. Terzo: ristrutturazione e semplificazione dell’assetto istituzionale del paese, il che significa abolire le province, dimezzare i comuni, accorpare le regioni più piccole ed eliminare soggetti pletorici di secondo piano (comunità montane, enti di bacino). Quarto: un intervento una tantum sul debito pubblico, per ridurlo e per diminuire il peso degli oneri finanziari. Un programma modesto… 30

È complicato, certo. E soprattutto serve un clima di concordia bipartisan, perché non sono riforme che si possono smontare il giorno dopo. Ma va fatto. La proposta più intelligente per ridurre il debito, secondo me, è quella – già avanzata in passato – di creare una “società veicolo” in cui lo Stato metta tutti i suoi beni mobili e immobili, i beni demaniali, quelli centrali e quelli locali, le partecipazioni. E poi, quotarla in borsa a tranche successive, emettendo titoli azionari. Con i ricavi si potrà iniziare a ridurre il debito. Ecco, questo sì che sarebbe un bel colpo di reni. Le altre proposte di cui si sente chiacchierare ogni tanto, sono brodini caldi, sono palliativi. Nulla di più. Dobbiamo metterci in testa che questo paese va riformato per davvero. Altrimenti ci penserà la speculazione internazionale, a intervenire. E sarebbero dolori, perché poi ci troveremmo co-

stretti a scelte emergenziali. Sì, sarebbe un disastro. Le potremmo chiamare “ricette per una Terza Repubblica”?

Certamente. Ma la Terza Repubblica sarà tale solo se rinnoverà l’assetto istituzionale del paese, magari in una sede alta ed evocativa, in una nuova Assemblea costituente. Senza bisogno di grandi stravolgimenti, per carità: si potrebbe mantenere un sistema parlamentare rafforzando l’esecutivo. Ma senza nemmeno i pasticci della Seconda Repubblica. Soprattutto, la Terza Repubblica dovrà avere dei presupposti chiari sul suo “progetto paese”, sull’obiettivo e su come raggiungerlo. La Terza Repubblica, insomma, non potrà che concentrarsi sulla ridefinizione della fisionomia economica italiana. Prendendo atto, ad esempio, che quelle che abbiamo demagogicamente continuato ad esaltare come la nostra “spina dorsale”, ovvero le piccole e medie imprese, così come sono oggi non servono più a molto. Ma per farlo, serve la condizione politica giusta. Serve una condizione politica che permetta di prendere decisioni. E questa condizione politica sarebbe…?

Un governo di grande coalizione, che abbia davanti a sé un orizzonte di almeno due legislature. Solo così sarà possibile “decidere”. Altrimenti, lo scenario non è certo roseo. Questo paese si avvilupperà su se stesso, in un ineluttabile declino. Lo farà con una


ITALIA 2020 intervista a Enrico Cisnetto

certa lentezza, garantita dal “cuscinetto” del nostro accumulo di patrimonio privato. Ma lo farà. Ed è pensabile che un paese possa garantirsi un (breve) futuro, solo mangiandosi quel che ha accumulato negli anni, senza produrne di nuovo? Ecco, direi che se c’è una domanda su cui costruire la Terza Repubblica, è proprio questa.

L’Intervistato

enrico cisnetto Editorialista economico, da anni descrive i processi di cambiamento del capitalismo italiano e internazionale, soprattutto in relazione alle dinamiche politiche. Già direttore di diverse testate della Rusconi, vicedirettore del quotidiano l’Informazione e vicedirettore del settimanale Panorama, ora svolge un’intensa attività di editorialista per Il Messaggero, Il Foglio, Il Gazzettino di Venezia, La Sicilia di Catania, Liberal e Il Mondo. Inoltre, ha una rubrica quotidiana nella trasmissione radiofonica Zapping (Rai Radio1). è docente di Finanza alla Scuola di Giornalismo dell’Università Luiss. è autore del volume Il gioco dell’Opa. Nel settembre 2000 è stato insignito del “Premio Capalbio” per l’economia e nel 2001 del “Premio Saint Vincent” per la divulgazione economica. è presidente di “Società Aperta”, un movimento d’opinione che intende avviare una riflessione sulla crisi strutturale del “sistema Italia”, per favorire la modernizzazione del nostro Paese promuovendo una profonda evoluzione del sistema politico e di quello socio-economico.

L’Autore federico brusadelli Giornalista di Ffwebmagazine. Collabora con il Secolo d’Italia. è laureato in Lingue e civiltà orientali.

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ITALIA 2020 Guido Tabellini

Se la LEGGE non è UGUALE per tutti, l’Italia non può crescere

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e regole tipiche di uno Stato di diritto e il buon funzionamento delle istituzioni sono fondamentali per lo sviluppo economico. Ecco perché il nostro paese ha perso terreno nei confronti del resto del mondo occidentale. 33 DI GUIDO TABELLINI

Parto da una premessa, che riflette una mia convinzione personale. Oggi la sfida principale per l’Italia è lo sviluppo economico. Dagli anni Sessanta a oggi, la crescita italiana è diminuita costantemente. La figura 1 illustra la crescita economica cumulata del reddito pro capite dell’Italia negli ultimi cinque decenni. Negli anni del boom economico, in un decennio il reddito dell’italiano medio è cresciuto del 55%. Negli anni Ottanta, la crescita si è più che dimezzata, e nell’ultimo decennio la crescita cumulata è addirittura negativa (escludendo la profonda recessione del 2009, il Pil pro capite tra il 2000 e il 2008 è rimasto praticamente stagnante). Il rallenta-

mento dell’economia italiana è avvenuto non solo in assoluto, ma anche nei confronti con altri paesi. Negli anni Settanta e Ottanta l’Italia cresceva più di Francia e Germania. Da metà anni Novanta in avanti, invece, l’Italia cresce meno dei nostri due vicini (anche molto meno, negli anni 2000). I giovani sono coloro che più di ogni altro stanno pagando le conseguenze del declino economico, e la recessione di questi anni peggiora ulteriormente le cose. Secondo le stime di Banca d’Italia, i diplomati o laureati entrati nel mercato del lavoro negli ultimi 45 anni percepiscono una retribuzione lorda più o meno uguale, in termini reali, a quella di quando


mi sono laureato io, circa trent’anni fa. La figura 2 illustra la quota di giovani occupati tra i 15 e i 34 anni, sul totale della popolazione in quella stessa fascia di età. Per molti giovani, l’età di ingresso sul mercato del lavoro si è allontanata avanti negli anni, e la recessione mondiale ha fatto ulteriormente salire la disoccupazione giovanile. La descrizione dei problemi economici dell’Italia può facilmente

continuare. La crescita della produttività del lavoro si è praticamente arrestata a partire dalla fine degli anni Novanta. Questo è un sintomo delle difficoltà ad allocare le risorse in modo efficiente, ma anche di una minor propensione agli investimenti rispetto al passato. La figura 3 illustra l’andamento dell’accumulazione di capitale in alcuni paesi europei. Dal 2002 in avanti l’Italia investe meno degli altri grandi paesi del-

Figura 1 - Crescita cumulata del PIL pro capite in Italia Per decennio (1960-2009)

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Figura 2 - Tasso di attività giovanile: 15-34 anni Elaborazione du dati ISTAT


ITALIA 2020 Guido Tabellini

l’area Euro, e la recessione recente ha riportato gli investimenti ai valori di fine anni Novanta. Al tempo stesso, il paese stenta ad attrarre risorse dall’estero. Gli investimenti diretti dall’estero verso il nostro paese rimangono su livelli storicamente molto bassi (nel 2009 l’Italia ha attratto solo circa il 5% degli investimenti stranieri nell’Unione europea – dati Unctad). È risaputo che l’Italia non attrae talenti dal resto del mondo. Al contempo, molti dei nostri giovani migliori emigrano all’estero: come evidenziato nella figura 4, che si riferisce alla composizione dell’emigrazione verso gli Stati Uniti, la quota di laureati tra i nostri emigranti è più alta che negli altri paesi europei. È opinione comune che per rilanciare lo sviluppo del nostro paese servano innanzitutto riforme economiche: investimenti in infrastrutture, liberalizzazioni nei ser-

vizi e nei mercati dei prodotti, una legislazione del lavoro più moderna e più attenta alle esigenze delle imprese che competono sui mercati internazionali, una riforma fiscale per ridurre le distorsioni che oggi gravano sui fattori produttivi e soprattutto sul lavoro. Tutto ciò è sicuramente vero. Ma credo che oggi i problemi economici dell’Italia riflettano anche un problema più generale, di tipo culturale. E cioè la diffusione di valori, atteggiamenti, credenze, che ostacolano il buon funzionamento di un’economia di mercato in uno Stato di diritto, e il buon funzionamento delle istituzioni pubbliche in una democrazia liberale. Può forse sembrare strano che un economista attribuisca alla cultura la causa di problemi economici. In realtà, un numero crescente di ricerche economiche segue proprio questa strada.

Figura 3 - Accumulazione lorda di capitale fisso. Indice (1999 Q1=100) Escluso il settore costruzioni, valori a prezzi costanti, destagionalizzati

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Istituzioni e sviluppo economico

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Il punto di partenza è l’osservazione, ricordata anche in un recente convegno presso la nostra università, che le regole tipiche di uno Stato di diritto e il buon funzionamento delle istituzioni sono fondamentali per lo sviluppo economico. La tutela dei diritti di proprietà, l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la protezione dall’abuso da parte dei governi, spiegano la differenza tra i paesi ricchi e quelli poveri più di qualunque altra variabile economica, sociale, o geografica. È questa una delle conclusioni centrali cui è giunta la letteratura recente sullo sviluppo economico comparato. Le istituzioni sono rilevanti non solo per raggiungere e mantenere elevati livelli di sviluppo economico. Sono anche una variabile centrale per spiegare la specializzazione produttiva dei paesi e i flussi di commercio internazionale. L’evidenza empirica e i con-

fronti internazionali hanno evidenziato che il buon funzionamento delle istituzioni è una fonte importante di vantaggi comparati, quantitativamente più importante del capitale umano e del capitale fisico messi insieme. I paesi dove le istituzioni tipiche di uno Stato di diritto, e in particolare la giustizia, funzionano meglio, tendono a specializzarsi in settori produttivi più sofisticati, dove i rapporti contrattuali sottostanti l’attività produttiva sono più complessi, e dove quindi c’è una maggiore esigenza di buone istituzioni che sostengano e regolino gli scambi economici. I risultati di queste ricerche non hanno solo un interesse accademico, ma sono centrali per comprendere e affrontare i problemi economici dell’Italia. Il buon funzionamento della pubblica amministrazione e l’efficacia dell’azione di governo non sono certo un vantaggio comparato del nostro paese. La figura 5 illustra

Figura 4 - Quota di laureati fra gli emigranti negli USA, in rapporto alla quota di laureati nella popolazione del Paese di origine, anno 2007 Fonte: ACS


ITALIA 2020 Guido Tabellini

le percezioni circa l’efficacia nell’azione di governo di vari paesi, intesa come qualità e indipendenza del servizio pubblico e civile, qualità dell’implementazione delle politiche pubbliche, credibilità del governo nell’implementazione. L’Italia è sistematicamente molto indietro nelle classifiche internazionali, vicina a paesi con un livello di sviluppo economico molto inferiore al nostro, come il Sudafrica, e peggio di paesi africani come il Botswana. Se teniamo conto delle differenze di reddito pro capite tra paesi, per rendere più confrontabili questi indicatori, l’Italia si situa al centoquindicesimo posto al mondo, vicino a paesi come Zambia e Arabia Saudita. Le carenze del nostro paese sono particolarmente pronunciate nel settore della giustizia. I tempi medi della giustizia civile (definiti come giorni necessari a far valere un contratto) sono quattro volte più lunghi rispetto agli Sta-

ti Uniti, e più o meno allineati con quelli di paesi come Trinità e Tobago (fonte Banca Mondiale 2010). In base all’evidenza empirica sopra riportata, queste caratteristiche del nostro paese contribuiscono a spiegare la specializzazione produttiva dell’Italia in settori tecnologicamente poco avanzati e particolarmente esposti alla concorrenza dei paesi emergenti. Il capitale sociale

Ma il buon funzionamento delle istituzioni riflette anche gli atteggiamenti culturali dei cittadini, e non solo le istituzioni formali o le condizioni politiche. Un’abbondante letteratura empirica e storica sottolinea il ruolo del capitale sociale, inteso come diffusione di valori e atteggiamenti culturali quali la fiducia generalizzata, il senso civico, il rispetto per le istituzioni, la moralità generalizzata (in contrapposizione con la lealtà nei confronti di un clan o di una cerchia

Figura 5 - Efficacia dell’azione di governo, indice KKZ 2009 Indice (-2.5, -2.5). Fonte: WB World Governance Indicators

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ristretta di amici e parenti). Il capitale sociale inteso in questo senso facilita la convivenza sociale, agevola le transazioni in un’economia di mercato o all’interno di organizzazioni complesse, e induce una partecipazione politica attiva e indirizzata al benessere collettivo anziché agli interessi di parte. Nei confronti internazionali, vi è ampia evidenza empirica che la pubblica amministrazione e le istituzioni pubbliche funzionano meglio nei paesi in cui vi è più fiducia generalizzata, più senso civico e più rispetto per il prossimo. Questi studi tendono anche a escludere la causalità inversa, almeno nella sua forma più semplice (dal buon funzionamento delle istituzioni al capitale sociale). Gli atteggiamenti culturali infatti riflettono condizioni storiche pre-esistenti, quali il livello di istruzione delle generazioni precedenti, la fede religiosa, o le caratteristiche delle istituzioni politiche prevalenti alcuni secoli prima. I confronti internazionali sono spesso difficili da interpretare: le differenze tra paesi sono così ampie che può esservi il sospetto che la correlazione tra cultura e funzionamento delle istituzioni sia dovuta a variabili omesse. Tuttavia, gli stessi risultati si ottengono nel confrontare aree tra loro omogenee, come gli Stati all’interno degli Stati Uniti o le regioni europee. Negli Stati americani dove vi è più capitale sociale (tipicamente quelli dove è più diffusa la religione protestante), gli indicatori di buon governo riferiti

all’amministrazione statale sono più elevati. E all’interno dei paesi europei, lo sviluppo economico e la crescita sono più elevati nelle regioni con una più lunga tradizione di governo democratico, e che oggi hanno più capitale sociale. Infine, il capitale sociale contribuisce a spiegare la specializzazione produttiva e i flussi di commercio internazionale, confermando che anche gli atteggiamenti culturali, e non solo le istituzioni, sono fonte di vantaggi comparati. In particolare, il capitale sociale induce i paesi a specializzarsi nei settori produttivi più sofisticati, esattamente come il buon funzionamento della giustizia. Inoltre l’effetto del capitale sociale sulla specializzazione produttiva è più forte proprio nei paesi dove la giustizia è più debole, e quindi dove c’è più bisogno di fiducia reciproca, suggerendo che le istituzioni informali si sostituiscono a quelle formali nel facilitare le transazioni economiche. Anche da questo punto di vista, l’Italia non è messa bene. Alcune regioni italiane sono particolarmente ricche di capitale sociale, grazie ad una tradizione di partecipazione alla vita cittadina che risale ai tempi dell’Italia dei comuni. Tuttavia, la fiducia e il rispetto nei confronti delle istituzioni tipiche dello Sstato di diritto sono assai meno diffusi rispetto ad altri paesi che hanno raggiunto un livello comparabile di benessere economico. La figura 6 illustra la fiducia nelle regole della società, con particolare riferimento al rispetto dei contratti e dei diritti


ITALIA 2020 Guido Tabellini

di proprietà, alla qualità della polizia e della magistratura, alla probabilità di crimine e violenza. Anche su questa dimensione l’Italia è allineata con i valori tipici di Stati africani, e ben al di sotto degli altri paesi europei. Queste carenze nel funzionamento delle istituzioni pubbliche e la scarsa fiducia nello Stato alimentano fenomeni di illegalità diffusa. L’economia sommersa in Italia è stimata intorno a un quarto del Prodotto interno lordo, quasi il triplo rispetto a paesi come la Svizzera e gli Stati Uniti. Si stima che nel 2007 l’evasione fiscale abbia sottratto al fisco oltre 100 miliardi di euro, pari circa il 60% dell’intero gettito dell’Irpef. La cultura e il capitale sociale si riflettono anche nell’organizzazione delle imprese. Alcune re-

centi ricerche hanno confrontato le pratiche manageriali in un ampio campione di imprese localizzate in paesi diversi. È emerso che, nelle aree in cui vi è evidenza di una maggiore diffusione di capitale sociale, le imprese adottano una struttura organizzativa più decentrata e meno gerarchica. Ciò ha conseguenze economiche rilevanti, perché il decentramento è spesso condizione necessaria per consentire la crescita dimensionale delle imprese. E la crescita delle imprese più efficienti, a sua volta, è uno dei principali canali attraverso cui può crescere la produttività aggregata, man mano che le risorse si spostano dalle imprese meno efficienti a quelle più produttive. In altre parole, il capitale sociale abbassa i costi organizzativi alla crescita dimen-

Figura 6 - Fiducia nello stato di diritto, indice KKZ 2009 Indice (-2.5, -2.5). Fonte: WB World Governance Indicators

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sionale delle imprese, e per questa ragione può favorire lo sviluppo economico. Inoltre, vi è evidenza empirica che il decentramento organizzativo è complementare alle nuove tecnologie informatiche: dove vi è più decentramento, è più facile sfruttare pienamente i vantaggi delle nuove tecnologie. Ciò può contribuire a spiegare i risultati aggregati sopra menzionati, che evidenziano come il capitale sociale sia un vantaggio comparato che porta a specializzarsi in settori più avanzati (dove tipicamente è maggiore l’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche). Anche questi risultati della ricerca empirica sono rilevanti per l’Italia, dove prevalgono le imprese di piccole e medie dimensioni. La figura 7 illustra le dimensioni medie delle imprese di alcuni paesi europei. Le piccole dimensioni delle imprese italiane non sono dovute solo ai settori di specializzazione. Anche all’interno di settori omogenei, le imprese italiane sono tendenzialmente più piccole che nel resto d’Europa. Vi sono molti fattori che possono ostacolare la crescita delle imprese italiane, e quindi la riallocazione di risorse verso le imprese più efficienti. Tra questi è probabile che vi siano anche i vantaggi organizzativi di un’impresa più piccola, in un contesto culturale, sociale e istituzionale che scoraggia il decentramento di responsabilità e rende più difficili le relazioni industriali. Infine, il capitale sociale, inteso come rispetto e fiducia per il pros-

simo e per le istituzioni, ha effetti rilevanti sul funzionamento delle istituzioni democratiche. Un problema fondamentale, in tutte le democrazie, è come indurre i rappresentanti politici a perseguire l’interesse generale, anziché interessi di parte o personali. In ultima istanza, ciò dipende soprattutto dal comportamento degli elettori. È ben documentato come, dove vi è più capitale sociale, gli elettori sono più attenti e informati, e più disposti a mobilitarsi per punire gli abusi. Ciò è confermato anche dall’evidenza empirica del nostro paese: nei distretti elettorali in cui è più diffusa la solidarietà verso il prossimo (misurata ad esempio dalle donazioni di sangue), gli elettori sono più propensi a punire gli episodi di corruzione politica o di azzardo morale da parte dei loro rappresentanti politici. È probabile che un atteggiamento elettorale tollerante nei confronti della corruzione, insieme all’operare lento della giustizia, contribuisca a spiegare perché la corruzione sia così diffusa nel nostro paese. La figura 8 illustra l’andamento temporale dei rankings dell’Italia nei confronti internazionali, con riferimento alle percezioni circa la diffusione di fenomeni di corruzione. Negli ultimi anni i rankings sono ulteriormente peggiorati, e collocano l’Italia al sessantasettesimo posto, dietro Cuba e Turchia. Non è un caso se, in un ambiente di illegalità diffusa, scarsa fiducia nelle istituzioni e cattivo funzionamento della giustizia, il crimine organizzato riesce a controllare


ITALIA 2020 Guido Tabellini

Figura 7 - Numero medio di addetti per impresa, per settore di appartenenza Elaborazione su dati Eurostat

il territorio nelle aree più deboli del paese e magari espande la sua attività economica anche nelle regioni più ricche, nonostante i grandi sforzi anche recenti per contrastarlo (secondo le stime di Confesercenti, il volume di attività economica riconducibile al crimine organizzato nel nostro paese è circa il 7% del Pil). Oltre a essere un fenomeno macroscopico di sostituzione delle norme legali con altri codici di comportamento, le organizzazioni criminali approfittano della diffusa infrazione delle norme: ad esempio il riciclaggio dei proventi da attività criminali è più facile se una analoga domanda di riciclaggio emerge anche da altre forme di illecito meno estreme, come l’evasione fiscale o la corruzione. A questa vasta domanda di riciclaggio fa fronte lo sviluppo di numerosi strumenti per ripulire i redditi illeciti. Inoltre, le organizzazioni criminali offrono alle im-

prese servizi in sostituzione di quelli legali, come lo smaltimento illegale di rifiuti industriali, o la contraffazione. Infine, ricerche recenti mostrano come l’estorsione e il pizzo sono più facili da imporre se l’esercente o l’impresa, evadendo tasse e norme sul lavoro, preferisce non rivolgersi alla magistratura per timore di ispezioni e controlli. Tutti questi fenomeni si rinforzano vicendevolmente. Usando il gergo degli economisti potremmo dire che ci troviamo in un “equilibrio inefficiente”, cioè in una situazione in cui gli incentivi individuali e le aspettative circa i comportamenti altrui sono allineati e spingono i singoli ad agire in modo controproducente per la collettività. L’illegalità diffusa riduce l’efficacia della giustizia e la probabilità di essere sanzionati, alimentando la convenienza di condotte illecite; l’evasione fiscale è un cuscinetto che permette di

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Figura 8 - Corruption perception index, ranking dell’Italia Fonte: Trasparency International

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mantenere situazioni di inefficienza e eccessiva frammentazione della struttura produttiva, riducendo la competitività sui mercati aperti; la prevalenza della fedeltà rispetto al merito fa fuggire le persone di talento. Questa situazione non è l’unica possibile, tuttavia. Vi è anche un equilibrio migliore, in cui al singolo conviene rispettare le regole perché tutti gli altri lo fanno. Per passare dall’equilibrio cattivo a quello buono, deve esservi una trasformazione collettiva, che induca un numero sufficientemente ampio di individui a cambiare il loro comportamento. Tipicamente questa trasformazione si accompagna a mutamenti negli atteggiamenti culturali, nelle norme sociali, a lungo andare anche nei valori. Vi sono esempi storici di queste trasformazioni sociali. All’inizio del secolo scorso, gli Stati Uniti erano un paese estremamente corrotto, dove i governi locali strapagavano per l’acquisto di beni e

servizi in cambio di bustarelle, gli scandali economici dei robber barons erano all’ordine del giorno, la criminalità organizzata si era sostanzialmente impadronita di alcune città. Eppure, anche grazie a un rilevante sforzo giudiziario e legislativo e all’attenzione dei media, gradualmente le cose cambiarono e oggi gli Stati Uniti sono spesso presi a modello in quanto a senso civico e rispetto per le istituzioni. Estratto dal discorso di inaugurazione dell’Anno accademico 2010/2011

L’Autore guido tabellini Laureato in Economia presso l'Università di Torino. Ha conseguito il PhD in Economics alla Ucla. è professore di economia presso l’Università Bocconi dal 1994. Prima di rientrare in Europa, ha insegnato a Stanford e alla Ucla. è Rettore dell’Università dal novembre 2008.




ITALIA 2020 Roberto Pasca Di Magliano e Daniele Terriarca

150 anni dopo, il Sud è ancora al palo Anni di politiche sbagliate e di assistenzialismo deleterio non sono riusciti a far recuperare il terreno perduto al Meridione. Anzi, le regioni del sud hanno visto crescere ulteriormente il divario che le separa dal nord. Urge un cambiamento di marcia deciso che renda l’Italia meridionale più moderna e attrattiva nei confronti dei capitali stranieri. DI ROBERTO PASCA DI MAGLIANO E DANIELE TERRIARCA 45

Il complesso scenario economico italiano, aggravato dalle conseguenze della crisi finanziaria, pone ancora una volta in primo piano la questione di un paese ancorato a due differenti velocità di sviluppo come se il divario tra un Mezzogiorno in difficoltà e un centro-nord in linea con l’Europa fosse ineluttabile. Fin dall’unità d’Italia, sul piano istituzionale, si è cercato di porre rimedio a tale situazione attraverso ingenti stanziamenti di risorse pubbliche. Misure che sono risultate deludenti come evidenziano l’inasprimento dei divari tra le regioni settentrionali e quelle meridionali ed anche le diseguaglianze interne alle stesse aree del Mezzogiorno. Dall’analisi delle difficoltà strutturali che opprimono il sud ita-

liano, sia in termini di struttura produttiva che di elementi di “fragilità”, devono identificarsi quegli elementi di discontinuità indispensabili per attuare nuove e più efficaci linee di azione. La priorità è permettere al Mezzogiorno di intraprendere un autonomo e responsabile percorso di sviluppo e, quindi, valorizzare i tanti elementi positivi comunque presenti in questi territori. Nascita e consolidamento della “questione meridionale”

Nel Mezzogiorno si è sempre concentrata una densità demografica superiore al suo contributo alla formazione della ricchezza nazionale. Attualmente nell’area vive oltre il 30% della popolazione italiana, ma vi si realizza meno di un quarto del prodotto interno


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lordo e i livelli di Pil pro capite economiche, ha cercato di limare oscillano tra il 55 e il 60% di i livelli di sviluppo tra le regioni quelli medi delle altre regioni (D. ma i risultati sono stati deludenti Franco, 2010). Questo spiega poiché tale politica ha consolidaquanto sia difficile attuare politi- to una mentalità assistenziale, diche pragmatiche, mirate alla cor- pendente dall’intervento pubblirezione delle mancanze struttura- co e poco interessata a trarre vanli e comportamentali, senza inci- taggio dalla crescita del mercato. dere negativamente sulla ricerca La problematica territoriale appadi consenso politico. Situazione re ancora più rilevante se inquache ha agevolato la patologica drata nella sfavorevole congiuntura internazionale dove la nostra abitudine all’assistenzialismo. A seguito dell’unità d’Italia, le nazione si è trovata ad affrontare differenze tra il Regno delle due numerose difficoltà ereditate daSicilie e il resto del territorio ap- gli squilibri macroeconomici e fiparvero evidenti in termini di nanziari tra il 2008 e il 2009. Lo scorso anno l’attiqualità della vita, di organizzazione I livelli di Pil pro capite vità produttiva italiana ha segnato civile e di dotaziouna battuta d’arrene di capitale fisso al sud oscillano sto di cui il magsociale. A livello tra il 55 e il 60% giore contributo è di Pil pro capite, però, non esisteva- di quelli medi delle altre dovuto alle regioni settentrionali, con no grossi divari: regioni italiane una vocazione gli elementi più rilevanti riguardavano le ampie prettamente “industriale”, mensperequazioni della ricchezza nel- tre al centro una lieve contrazione le singole regioni meridionali ri- dei servizi si è tradotta in una minore flessione del prodotto interspetto a quelle del centro-nord. Alcuni studi1 mostrano come la no lordo. L’andamento meno nenascita dei differenziali economi- gativo del Pil meridionale può ci può essere storicamente scom- essere spiegato da una serie di posta in 4 fasi: la prima va dal motivi quali il maggiore contri1881 al 1914 (il Pil pro capite buto delle amministrazioni pubmeridionale scende all’80% ri- bliche al valore aggiunto regionaspetto a quello nazionale), la se- le, il basso grado di internazionaconda si osserva durante il regime lizzazione e la presenza di un fascista, la terza tra il 1951 e i “sommerso” superiore rispetto alprimi anni Settanta (dove la for- la media italiana2. chetta tra le due aree raggiunge i livelli massimi), mentre l’ultima I “mali” del Mezzogiorno si concentra dagli shock petroliferi Crescita economica, capitale alla metà del 2000. umano e legalità sono gli ingrePer decenni lo Stato, attraverso le dienti che hanno ovunque sesue articolazioni istituzionali ed gnato il successo di un paese o


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di una regione nella sua ambizione verso lo sviluppo, questo perché il mancato progresso deriva da insufficienti investimenti in capitale umano e sociale. Esistono quindi dei “mali” nel Meridione che impediscono l’avvio di un processo virtuoso e duraturo nel tempo.

nistrazione e delle banche, di oltre il 20%3. Una buona parte di questa componente nascosta è spiegata dal lavoro non regolare la cui incidenza sul totale della forza lavoro raggiunge quasi la soglia del 20% nel Meridione contro l’8,9% del nord e il 10,2% del centro.

Criminalità ed economia sommersa Le difficoltà della crescita economica Le difficoltà di fare impresa al e i ritardi a livello europeo Sud sono spesso aggravate dalla Lo scenario nella prima metà del presenza della criminalità orga- 2010 e le previsioni di medio penizzata che, oltre ad alterare la riodo confermano il manteniconcorrenza, accresce i costi per mento dei divari territoriali. Sele aziende e i cittacondo alcune stidini favorendo an- Il nord si aggancerà alla me, per il prossiche l’erogazione ilmo biennio saranlegale del credito ripresa internazionale. no le regioni cen(a danno delle fa- Il sud continuerà tro-settentrionali sce più deboli). La ad agganciarsi primalavita, che ha a pagare lo scotto ma alla ripresa infatto la storia di dei ritardi strutturali ternazionale menmoltissime regioni tre quelle merimeridionali, si estende su molti dionali pagheranno ancora una settori alimentando dinamiche volta quei ritardi strutturali che di corruzione sia tra i privati che da sempre ne condizionano lo svitra le amministrazioni pubbli- luppo economico. che, ripercuotendosi sugli oneri Deve essere anche considerato della collettività e sulla crescita che, accanto ai divari “verticali”, economica. nelle stesse aree meridionali è Tra i problemi che limitano le possibile osservare differenti lipossibilità del Mezzogiorno va velli di crescita. Se da un lato ci anche evidenziata la vertiginosa sono regioni che traggono beneeconomia sommersa, fonte a sua fici dal turismo e da alcune forvolta di illegalità. Le stime effet- me di industrializzazione, daltuate dall’Istat mostrano come l’altro permangono carenze innel 2008 il valore aggiunto gene- frastrutturali o di diffusa crimirato dalla componente irregolare nalità che, congiuntamente ad delle attività economiche è com- altre criticità, rendono ancor più preso in una forbice tra i 255 e i difficile un percorso univoco di 275 miliardi di euro ed ha un pe- sviluppo4. so sul Pil nazionale, depurato dai Oltre a questo divario nazionale, contributi della pubblica ammi- appare ancor più rilevante evi-

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denziare che se alcune delle re- do la già scarsa attrattività del gioni europee in ritardo di svi- nostro paese nei confronti dei caluppo (con struttura economica pitali stranieri. Se negli anni simile a quella italiana) si sono l’Unione europea è divenuta collocate su un percorso di cre- l’area in cui si sono concentrate scita verso i valori medi comuni- maggiormente le attività delle tari, quelle meridionali hanno imprese multinazionali (Imn), perso ulteriormente terreno ne- l’Italia gioca ancora un ruolo segli ultimi anni. I dati Eurostat5 condario in questo processo. mostrano, infatti, come il Pil Un recente studio sui flussi di pro capite del sud non solo si capitale mostra che le regioni colloca su livelli più bassi rispet- italiane “soffrono di un duplice to alla media ma anche che l’evo- svantaggio: hanno caratteristiluzione di questa variabile, tra il che che le rendono poco attraen2000 ed il 2007, ha presentato ti per gli investitori stranieri e un tasso di crescita inferiore ri- attraggono meno Ide (investimento diretto alspetto alle altre l’estero) rispetto aree “periferiche” L’elevata tassazione alle altre regioni della Ue. europee con caratS u l l a t e m a t i c a incide sui margini teristiche simili”7 della riduzione dei operativi e scoraggia divari territoriali (vedi Spagna). appare opportuno la localizzazione delle A livello nazionale, citare l’esperienza imprese multinazionali è ormai noto che di politica econol’esistenza di una mica tedesca a seguito della cadu- burocrazia farraginosa produce ta del muro di Berlino. Il tratto una crescita dei costi per le imcomune delle due strategie go- prese aumentando di conseguenvernative è l’utilizzo massiccio za anche il grado di incertezza; aldi risorse pubbliche6 ma i risul- lo stesso modo un’elevata tassatati appaiono completamente zione va ad incidere sui margini differenti. Dal 1989 al 2009, le operativi scoraggiando la scelta regioni tedesche in “ritardo di di localizzazione delle imprese sviluppo” hanno fatto registrare multinazionali. Su scala territouna crescita del Pil pari al riale, invece, i driver positivi per 163%, di quattro volte maggio- l’attrazione sono principalmente re rispetto a quella dei Länder le infrastrutture e le attività di ridell’ovest, contribuendo a circa cerca e sviluppo (R&S). il 20% della ricchezza nazionale. La presenza di fattori di natura “territoriale” tende ovviamente a tracciare una differente polarizL’insufficiente attrattività zazione delle Imn nei confini nainternazionale Le debolezze territoriali tendono zionali. Circa il 51,9% delle ima riflettersi anche sulla competi- prese a partecipazione estera si tività internazionale, peggioran- concentra in Lombardia, un altro


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31,6% in Emilia Romagna, Lazio e Veneto mentre le regioni meridionali raggiungono complessivamente un modesto 4,4% (Mariotti & Mutinelli, 2010). Di particolare importanza anche il fatto che nelle regioni meridionali, salvo alcune eccezioni, si osserva una maggiore incidenza delle partecipazioni nei settori labour intensive e quindi più esposti alla concorrenza dei paesi in via di sviluppo. Il capitale umano Le nuove teorie della crescita fanno del capitale fisso sociale (infrastrutture fisiche e capitale umano) il motore dello sviluppo. La presenza di grandi opere e servizi in una determinata area geografica tende a valorizzare la presenza delle risorse naturali accrescendo la dimensione del mercato e facilita l’insediamento delle imprese attratte dalla disponibilità di capitale umano qualificato (F. Forte, 2010). In assenza di tali elementi, non si innescheranno circoli virtuosi di crescita e, di conseguenza, resteranno immutati i divari di natura economica e sociale. Ponendo particolare attenzione al capitale umano, lo strumento migliore per promuoverne una rapida diffusione, e un continuo accrescimento, è senza dubbio l’istruzione. Gli effetti diretti sono evidenti, persone maggiormente istruite raggiungono una posizione lavorativa migliore e, in media, salari più elevati rispetto agli individui con una formazione di base.

IL FILM

I veri valori del meridione lberto, responsabile dell’ufficio postale di una cittadina della Brianza, sotto pressione della moglie Silvia, è disposto a tutto pur di ottenere il trasferimento a Milano. Anche fingersi invalido per salire in graduatoria. Ma il trucchetto non funziona e per punizione viene trasferito in un paesino della Campania, il che per un abitante del nord equivale a un vero e proprio incubo. Rivestito di pregiudizi, Alberto parte da solo alla volta di quella che ritiene la terra della camorra, dei rifiuti per le strade e dei “terroni” scansafatiche. Con sua immensa sorpresa, Alberto scoprirà invece un luogo affascinante, dei colleghi affettuosi, una popolazione ospitale e un nuovo e grande amico, il postino Mattia, al quale darà una mano per riconquistare il cuore della bella Maria. Il problema ora però è un altro: come dirlo a Silvia? Già, perché da quando è partito, non solo il loro rapporto sembra rifiorito, ma agli occhi dei vecchi amici del nord Alberto è divenuto un vero e proprio eroe.

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Sin dagli inizi del nuovo millen- beneficiari dei risultati concreti. nio, le regioni meridionali han- Purtroppo la politica cade sovenno registrato un notevole incre- te in questa trappola perché atmento del tasso di scolarizzazio- tratta dal consenso che si presune, accompagnato però da un pa- me insito nelle politiche di aiuto. rallelo aumento del tasso di ab- Se, nonostante il fiume di finanbandono dovuto alle condizioni ziamenti (nazionali ed europei) i di degrado sociale e familiare divari con il centro-nord non so(Svimez, 2010). Evidenti gli im- no migliorati, vuol dire che le popatti anche sul livello di disoc- litiche di sviluppo non hanno cupazione il cui valore mostra colto nel segno e questo perché un andamento tendenziale supe- non sono state capaci di mobilitariore a quello registrato nelle zo- re la società civile. ne centro-settentrionali. Tale fe- Occorre una netta discontinuità nomeno va a ingrandire quella rispetto al passato. Gli investitori parte della disoccupazione defi- privati sono distorti nelle loro scelte dalla ricerca nita come “gridi contributi pubgia”8, nella quale Manca una valida blici e non riescono confluiscono coloro che non cerca- cabina di regia tra Stato a realizzare progetti economicamente no lavoro, disoc- e regioni che stimoli validi e duraturi cupati impliciti e nel tempo. Gli imlavoratori poten- il tessuto locale pieghi finanziari in ziali, serbatoio e l’occupazione opere pubbliche naturale per i fesono carenti, mal gestiti e lenti nomeni di occupazione illegale. nella loro realizzazione. Discontinuità, nuove politiche e Allo Stato e alle regioni deve essere demandata solo la definiregole virtuose A distanza di anni, le politiche zione delle priorità d’intervento economiche adottate per il sud e la destinazione di risorse pubsembrano non aver condotto a ri- bliche ai singoli progetti a titosultati soddisfacenti, a nulla sono lo d’incentivazione mentre la seserviti gli ingenti interventi sta- lezione e valutazione dei progettali generati attraverso la canaliz- ti di sviluppo, che ambiscono zazione di risorse pubbliche. agli aiuti pubblici, dovrebbe esManca, infatti, una valida cabina sere gestita da un’agenzia tecnidi regia tra Stato e regioni in gra- ca, dotata di elevata e indiscussa do di coordinare le differenti atti- professionalità, così da attrarre vità con l’obiettivo di stimolare il capitali privati in co-finanziatessuto produttivo locale e l’occu- mento con i fondi pubblici destinati allo sviluppo. L’afflusso pazione. Lo sviluppo non si crea dall’alto di capitali esteri potrebbe anche distribuendo aiuti a pioggia, non essere favorito dalla creazione di finalizzati e senza pretendere dai zone franche a “burocrazia zero”,


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detassando i nuovi investimenti e semplificando le procedure amministrative. Le nuove politiche di sviluppo per le aree svantaggiate dovranno essere governate da un mix di aiuti (tra incentivi economici e agevolazioni fiscali) mirati all’attrazione di investimenti produttivi, accompagnati da una fonte di finanziamento di nuovi progetti d’impresa e dalla realizzazione di infrastrutture funzionali allo sviluppo locale. Lo sviluppo però non si costruisce a tavolino e non si impone sulla testa delle popolazioni ma richiede una condivisione e maturazione nelle scelte individuali, deve percorrere strade adottate in autonomia senza preconcetti disegni di organismi superiori. Per realizzare questi obiettivi occorre che le istituzioni siano responsabilizzate nelle loro scelte al fine di stimolare l’impegno alla crescita del capitale umano, impedendo una lievitazione incontrollata della spesa pubblica attraverso misure inefficaci. È su queste basi che si può sperare che il senso civico e le responsabilità individuali estirpino gradualmente i poteri malavitosi e che si formi un ambiente favorevole allo sviluppo, alla valorizzazione delle risorse che pur si celano nelle realtà depresse.

Note

1 V. Daniele e P. Malanima, Il prodotto

delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004), Rivista di Politica Economica (Marzo-Aprile, 2007). 2 M. Bella e L. Patrignani (2010), Aggiornamento delle analisi e delle previsioni del Pil nelle regioni italiane, Confcommercio. 3 Confindustria (2010), Le sfide della politica economica per rafforzare la crescita italiana. 4 V. Valli (2005), Politica Economica, Carocci. 5 Eurostat, Regional Yearbook, (2010). 6 La Cassa del Mezzogiorno dal 1951 al 1992 ha impiegato circa 140 miliardi di euro. Solamente negli ultimi 5 anni la somma stanziata è stata pari a 70 miliardi di euro (sotto forma di investimenti agevolati). 7 R. Basile, L. Benfratello e D. Castellani (2009), Le determinanti della localizzazione delle imprese multinazionali: l’attrattività dell’Italia nel contesto europeo. 8 “Rapporto Svimez 2010 sull’economia del Mezzogiorno”.

L’Autore roberto pasca di magliano Professore ordinario di Economia politica ed Economia della crescita – La Sapienza, Università di Roma. daniele terriarca Dottorando in Sviluppo economico, finanza e cooperazione internazionale – La Sapienza, Università di Roma.

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Legalità e sviluppo, binomio indissolubile

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on l’avvento di Ivan Lo Bello alla presidenza di Confindustria Sicilia, le imprese dell’isola hanno intrapreso un difficile percorso di trasparenza che potrebbe finalmente rilanciare l’economia siciliana e liberarla dalle spire mortali della criminalità. DI ROSALINDA CAPPELLO 53

È difficile pensare allo sviluppo e alla crescita prescindendo dalla legalità. Non c’è sviluppo laddove la criminalità organizzata controlla saldamente territorio e attività economiche, perché la legge della mafia strozza in una morsa inesorabile il futuro della comunità in cui è radicata. Proprio a partire da quest’assunto è iniziata la sfida di Ivan Lo Bello, a capo di Confindustria Sicilia dal 2006, alle infiltrazioni mafiose nel sistema imprenditoriale isolano. Neopresidente di Unicredit Leasing e presidente della Camera di commercio di Siracusa, l’imprenditore siciliano è fortemente convinto che trasparenza e sviluppo siano un binomio indissolubile e che la connivenza impaurita o complice per interesse fa il male del territorio in cui la mafia si muove indisturbata. Il perpetuar-

si di un sistema di acquiescenza e sudditanza verso le dinamiche mafiose non fa che l’interesse esclusivo di questa struttura criminale parassitaria che succhia linfa vitale al corpo sociale. I numeri raccontano che le aziende assorbite nell’orbita di Cosa nostra hanno una vita più breve. Secondo uno studio, l’azienda che fa affari con la mafia sopravvive al massimo dieci anni. Quest’ultima – sono le parole di Antonello Montante, delegato per i Rapporti con le Istituzioni preposte al controllo del territorio, vicino a Lo Bello e recentemente oggetto di minacce – prima entra nel suo capitale, poi le impone i suoi fornitori, quindi ne diventa socio e, quando l’impresa va in crisi, la acquista. Se all’imprenditore va bene, lo Stato gliela confisca, se gli va male ci rimette la vita. Se


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la mafia cerca di coinvolgerti, la miscela di clientelismo, assil’unica via di salvezza è collabo- stenzialismo, parassitismo e corruzione che, condizionando il lirare subito con le istituzioni. E così, da oltre quattro anni, Lo bero mercato, penalizza l’efficienBello ha messo in atto una rivo- za, l’innovazione e la qualità e luzione copernicana all’interno blocca di fatto lo sviluppo econodell’associazione degli imprendi- mico dell’isola? Per Lo Bello la tori siciliani, introducendo un soluzione è tutt’altro che semplicodice etico che impone agli im- ce perché figlia di una situazione prenditori aderenti all’organizza- complessa. L’importante, però, è zione da lui guidata di denuncia- avviare un percorso che sciolga i re gli estorsori se non vogliono nodi di alcune questioni struttuessere espulsi per connivenza. rali strategiche. Sul nostro terriNon solo, ma le realtà imprendi- torio, a causa di politiche sbagliatoriali siciliane sono tenute a co- te, sostanzialmente redistributive stituirsi parte civile contro le e assistenziali con una forte connotazione clienteaziende processate lare, infatti, si è per mafia. Questa Le imprese possono consolidata una l’unica strada per cultura che ha trasalvaguardare la fare molto, ma è smesso alla società legalità e garanti- necessario che anche siciliana il messagre lo sviluppo: gio per cui l’unica scardinare il siste- la politica si doti prospettiva di crema di connivenze, di un codice etico scita sociale ed ecodi omertà e di paura su cui può contare il gran- nomica passasse attraverso la cade fratello mafioso, lavorando sul pacità di inserirsi in queste reti consolidamento della cultura assistenziali e clientelari. E questo ha reso molto debole la della legalità. Ma perché questa battaglia sia cultura del mercato, del merito, vittoriosa occorre che anche la la capacità di competere con repolitica si doti di un codice etico. gole certe e chiare. Tutto questo Per Lo Bello alla politica, sia a li- ha avuto effetti economici rilevello centrale sia – soprattutto – vanti in quanto ha generato una a livello locale, servirebbe una ri- dimensione pubblica ipertrofica. voluzione culturale in grado di Basti pensare che le amministraportare a un salto di qualità. Dal zioni pubbliche siciliane nel loro momento che oggi la forza delle complesso pesano sul Pil regioorganizzazioni criminali è la poli- nale per il 35%, mentre in Lomtica, occorre che essa si doti di un bardia e in Veneto per il 12%. codice di autoregolamentazione e Quindi, c’è una società e un pezche dia un segnale forte della vo- zo del mondo dell’impresa intrilontà di emarginare tutti i sog- so di quella cultura parassitaria, che dipende in maniera molto getti che continuano a colludere. Ma com’è possibile spezzare quel- forte dal pubblico e non è in gra-


ITALIA 2020 Rosalinda Cappello

IL LIBRO di Cecilia Moretti

Una “scossa” per rianimare il sud Francesco Delzio La scossa Rubbettino 2010, 90 pp., 10 euro «Rassegnazione etnica». Questo è l’atteg giamento che pericolosamente troppo spesso serpeg gia verso un Sud tristemente in agonia. Un Meridione d’Italia che va indietro anziché avanti e registra cifre da fare impallidire anche i più ottimisti. Ma non tutto è perduto, perché le risorse del Mezzogiorno e il suo straordinario patrimonio di bellezza possono ancora essere salvati. Francesco Delzio, «meridionale di nascita e “sudista” per passione», spiega qual è la sua soluzione: uno shock, una terapia d’urto da applicare con la massima urgenza. Nel suo agile ed efficace pamphlet La scossa, Delzio lancia sei proposte d’impatto, che come una sorta di brusca scarica elettrica potrebbero riuscire a rianimare il Sud sempre più intorpidito. «Le fertili terre si desertificano, le industrie svaniscono, la giostra della vita rallenta il ritmo fin quasi a fermarsi. Fuggono uomini, capitali, speranze. Si materializza l’eutanasia di un intero popolo che decide di abbandonare il futuro e la speranza dello sviluppo, che sceglie di uscire dalla storia e dalla sua rincorsa alle “magnifiche sorti e progressive” per ripiegare sul passato. Convinto che il meglio sia decisamente alle spalle». Di fronte a questo tetro spettacolo la cosa più pericolosa da fare è resta-

re immobili. Serve, invece, uno scatto d’orgoglio. Bisogna che le genti meridionali ritrovino il coraggio di immaginare il proprio futuro libero dall’assistenzialismo e dai vincoli pubblici, e la capacità di pensare una strategia-paese che liberi le energie del Mezzogiorno con un corretto uso dei fondi pubblici, ma senza prescindere dai privati. Sei proposte disarmanti nella loro concretezza: fare del sud una No Tax area, ovvero una zona dove non si danno più incentivi alle imprese, ma non sovraccaricata di tasse; azzerare la burocrazia asfissiante; detassare le facoltà scientifiche per favorirne la frequentazione; incentivare la flessibilità, superando le gabbie salariali a favore di contratti innovativi; intentare una «guerra totale» contro l’irresponsabilità degli amministratori locali. Mettendo in pratica questi dettami il sud potrà, allora, finalmente diventare un luogo attivo d’Europa, un territorio conveniente e dunque attrattivo per le imprese. Altrimenti, con una crescita pari a circa un sesto della media italiana, un Pil per cittadino meridionale che è poco più che la metà di quello di un settentrionale e un numero di giovani che se ne vanno in cerca di fortuna al Nord in costante crescita, il sud corre fatalmente il rischio dell’“incubo di Petra”, «la metafora di una società involuta fino alla desertificazione, la proiezione di una clamorosa sconfitta nella storia dello sviluppo occidentale». Ma le ricette per la cura ci sono. Basta trovare la forza di volontà per metterle subito in pratica, lasciandosi una buona volta alle spalle ogni sterile vittimismo e tutto il dannoso spirito di rassegnazione. Il sud non è una “palla al piede”, ma un motore dalle potenzialità incredibili. Basta solo crederci. E farlo funzionare.

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do di sfruttare le risorse per inve- tanto è radicata e mimetizzata stimenti o per delineare strate- nel territorio in cui opera. Come gie. Ciò ha spinto le aziende a ha ricordato recentemente Lo posizionarsi su mercati regola- Bello, le mafie tendono a camufmentati dalla pubblica ammini- farsi nell’economia legale e a cerstrazione, protetti, poco aperti care un punto d’incontro con alla concorrenza e quindi ha reso quella parte del mondo imprendeboli le imprese che stavano sul ditoriale, specialmente nei settomercato, con effetti distorsivi sul ri dei mercati protetti, cioè fuori dalla concorrenza, che spera di mercato del lavoro. Uno scenario non certo incorag- trovare in Cosa Nostra un appoggiante, ma una via d’uscita c’è ed gio che lo renda più competitivo. è quella di smantellare questa di- Una forza destinata a durare pomensione pubblica ipertrofica e co, visto che le aziende poggiate di mettere al bando le politiche su queste basi fragili e artefatte redistributive assistenziali che sono deboli e falliscono in tempi rapidi. Oggi, la negli ultimi anni, nuova frontiera è nonostante minori Mercato e regole sono in un nuovo raprisorse pubbliche, porto tra mafia ed hanno continuato gli unici elementi economia, con la sulla stessa strada con i quali il Meridione mafia che tende a indebitando le farsi garante di alamministrazioni può superare cuni processi ecolocali. Per Lo Bel- le logiche clientelari nomici regolatori lo la sfida per il Sud è rappresentata dal mercato e del mercato o addirittura essa dalle regole. Sono gli unici ele- stessa impresa. La mafia, contimenti su cui il Meridione può co- nua ancora il presidente di Construire un percorso di superamen- findustria Sicilia, tende a lasciare to della mentalità e della cultura alle cosche minori, spesso esterne clientelare, che passa attraverso il a Cosa Nostra, la pratica dei vecdisboscamento dei mercati pro- chi affari illeciti per dedicarsi ad tetti e irregolari che si sono costi- attività in apparenza pulite. «I tuiti nel tempo. Un percorso che mafiosi di rango e consolidata può generare anche un potentissi- tradizione non sparano più – dimo antidoto alle organizzazioni chiara Lo Bello – e non chiedono mafiose che si basano anche su nemmeno il pizzo ma sono imconvenienze quotidiane. Quindi, prenditori che hanno monopolizl’exit strategy qui è l’agevolazione zato una fetta di settori come i del mercato, in modo tale da ri- trasporti, il calcestruzzo, il movidurre il peso del settore pubblico mento terra e alcuni servizi alle e introdurre regole ferree e serie imprese». Una forza di penetrazione che, olda far rispettare. La lotta alla mafia impone uno tre l’azione della politica, richiesforzo integrato su più fronti de uno sforzo anche sul fronte


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della responsabilità individuale di ciascuno, cittadino o imprenditore che sia, utile a innescare e consolidare una prospettiva nuova. C’è però bisogno, sostiene Lo Bello, di choc sistemici. Infatti, attualmente una parte significativa, anche se non più maggioritaria, del mondo imprenditoriale si muove dentro quella cultura assistenziale e clientelare, non pensa che il luogo in cui si produce ricchezza sia il mercato, ma crede che la ricchezza si produca attraverso rapporti politici o collusioni con la mafia. Un segnale positivo è che gli operatori attivi sul mercato cominciano a rendersi conto che i colleghi che colludono con la mafia o trafficano con la pubblica amministrazione danneggiano l’intera categoria economica. Si è raggiunta la consapevolezza, nel segmento di aziende che si misurano con il mercato e si internazionalizzano, che l’imprenditore viene valutato per la sua capacità di fare buoni prodotti, di venderli a consumatori sparsi per il mondo. Queste aziende comprendono che il sistema attuale non li fa competere ad armi pari con i concorrenti di altri paesi o di altre regioni italiane a causa del peso della cattiva politica, della cattiva amministrazione e di una cultura mafiosa che sul territorio è un condizionamento forte. Ma ancora non è abbastanza, secondo il numero uno di Confindustria Sicilia. Per agevolare la cultura della legalità occorre far capire ai cittadini e agli imprenditori che quel sistema in cui so-

no stati immersi finora non è più conveniente. E a chi lo critica perché parla di convenienze e non di convinzioni etico-morali, risponde che pur avendo una fortissima carica morale e una passione civile, sa benissimo come si convince la gente. La si convince facendole capire che il sistema in cui la redistribuzione avveniva con risorse pubbliche ha creato un debito pubblico enorme che sta portando il Mezzogiorno a un disastro finanziario, con conseguenze nefaste per i cittadini e per le imprese. Lo sforzo deve essere dunque quello di far capire ai cittadini che supportare quel sistema creerà un’ipoteca sulla loro vita e su quella dei loro figli. Maturando questa consapevolezza, la gente troverà più costruttivo aderire a una cultura fatta di nuovi valori. Senza tralasciare il fatto che – più della sanzione giudiziaria – la gogna sociale, il rischio di espulsione da Confindustria, funziona da valido deterrente se questa procedura viene applicata con rigore e continuità.

L’Autore rosalinda cappello Giornalista, è redattore di Ffwebmagazine, il periodico online della Fondazione Farefuturo. Collabora con il Secolo d’Italia.

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Tra difficoltà interne e vincoli europei

Italia, ultima chiamata per il treno del futuro La politica economica italiana non ha alternativa al muoversi nel solco segnato da un lato da Europa 2020 e dall’altro dal nuovo Patto di crescita e di stabilità. DI GIUSEPPE PENNISI

Oscar Wilde amava dire che gli economisti sanno fare previsioni buone rispetto al passato ma hanno difficoltà a farne per l’avvenire. In un certo senso, l’esteta britannico aveva ragione: la “triste scienza” è stata concepita per analizzare e spiegare fenomeni, non può essere utilizzata come una sfera di cristallo per scrutare il futuro. Sotto il profilo tecnologico, i modelli econometrici macroeconomico di norma sono a 24-36 mesi; i modelli intersettoriali sono di solito statici o al massimo di statica comparata (ossia raffrontano due situazioni analoghe in momenti differenti); gli stessi strumenti basati su cicli lunghi (Kondratev, Minsky) sono mere estrapolazioni di tendenze rilevate nel passato. Quindi, tentare di descrivere quale sarà l’Italia nel 2020, e quale il percoso per arrivarvi, è una missione impossibile. È fattibile, però, delineare, in modo qualitativo piuttosto che quantitativo, alcune linee da se-

guire per uscire dalla stagnazione che ha caratterizzato gli ultimi 15 anni e andare verso un processo di crescita inclusiva che dia priorità alla coesione sociale. Alcune proposte vengono lanciate in questo articolo che intende essere spunto per una riflessione ed un dibattito collegiale. Lo scenario internazionale

Il contesto in cui possono muoversi Europa ed Italia è delineato chiaramente nel Global Outlook, lo studio annuale sull’economia internazionale prodotto dall’Istituto affari internazionali (Iai), pubblicato a fine 2010. Un grafico è particolarmente eloquente: quello in cui alcuni istogrammi illustrano la prevista evoluzione dei consumi mondiali tra due gruppi di paesi dal 2007 al 2025. Il primo comprende Stati Uniti, Giappone, Francia, Italia. Il secondo Cina, India, Russia, Brasile, Messico, Corea del Sud. La Russia – aquila a due facce – appartiene ad

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ambedue in quanto sia “sviluppa- sulle politiche di crescita diffeta” sia ancora “emergente”. Nel renti da quelle basate su una 2007, il primo gruppo rappresen- massiccia liberalizzazione nei sertava il 43% dei consumi mondia- vizi (di ardua attuazione a ragioli ed il secondo il 24%. Nel 2025 ne delle ricadute occupazionali, – in base alle previsioni economi- almeno di breve periodo). che Iai (che tengono conto, a loro volta, di quelle di una ventina di Il contesto europeo modelli) – il secondo gruppo as- Il contesto europeo è caratterizzasorbirà il 40% dei consumi mon- to da due elementi in apparenza diali, il secondo il 37%. Nella lo- contrastanti: a) il documento Euro cruda semplicità, queste due ropa 2020, varato dal Consiglio cifre fanno toccare con mano il Europeo la primavera scorsa per processo di trasformazione econo- sostituire la Strategia di Lisbona mica in atto. Mentre, come ci ri- del marzo 2000; b) la revisione cordava Angus Maddison prima del Patto di crescita e di stabilità. di morire solo poSu ambedue si stachi mesi fa, dal- La crisi ha messo glia lo spettro della l’inizio dell’Ottocrisi dell’unione c e n t o ( q u a n d o a nudo le gravi carenze monetaria europea l’economia di sus- di un’economia di cui negli ultimi sistenza impervermesi si sono avuti sava in tutto il già resa fragile segnali eloquenti mondo e la som- dalla globalizzazione che hanno comporma del Pil di Intato il salvataggio dia e Cina era pari al 45% circa dal rischio di insolvenza del debidi quello mondiale), le innovazio- to sovrano di Stati come la Grecia ni tecnologiche (meccanica, elet- e l’Irlanda, ed il timore che il tricità, telefonia) sono state per contagio della crisi finanziaria due secoli monopolio di un ri- europea si estenda ad altri Stati stretto gruppo di paesi del nord dell’area dell’euro. del mondo (Europa e Stati Uniti), La crisi economica internazionale oggi la nuova ondata di innova- – afferma Europa 2020 – ha meszioni legate alla tecnologia del- so a nudo le gravi carenze di l’informazione e comunicazione un’economia già resa fragile dalla ha quasi abbattuto le distanze di globalizzazione, dal depauperatempo e di spazio, spezzando il mento delle risorse e dall’invecmonopolio della creatività, e chiamento demografico. La Comdell’innovazione. missione europea dichiara che Il percorso del riequilibrio è reso questi ostacoli possono essere supiù difficile, specialmente per perati, se l’Europa decide di optaUsa ed Ue, dall’esplosione del de- re per un mercato “più verde e bito pubblico innescata o aggra- innovativo”. La strategia indivivata dalla crisi finanziaria iniziata dua le seguenti priorità: sostenere nel 2007 – una pesante ipoteca le industrie a bassa emissione di


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CO2, investire nello sviluppo di grammi per migliorare le condinuovi prodotti, promuovere zioni e l’accesso ai finanziamenti l’economia digitale e modernizza- nel settore della R&S, l’introdure l’istruzione e la formazione. zione in tempi rapidi dell’InterEuropa 2020 propone cinque net ad alta velocità e il maggiore obiettivi quantitativi, compreso ricorso alle energie rinnovabili. l’innalzamento del tasso di occu- È utile confrontare il documento pazione ad almeno il 75% della Europa 2020 con i Protocolli di popolazione in età da lavoro Lisbona di dieci anni prima e dall’attuale 69% e l’aumento del- porre l’accento sul ruolo che ha la spesa per ricerca e sviluppo al avuto l’Italia nella loro formula3% del Prodotto interno lordo. zione (a fine gennaio 2010 il miAttualmente quest’ultima rap- nistro per le Politiche comunitapresenta soltanto il 2% del Pil, rie ha inviato una nota dettagliaun livello di gran lunga inferiore ta a Bruxelles: l’enfasi su istruzioa quello di Usa e Giappone. La ne, formazione, ed equità erano punti centrali del nuova strategia documento italiapropone di ridurre La spesa per ricerca no). Gli obiettivi il tasso di povertà sono meno ambidel 25% per aiuta- e sviluppo in Europa re circa 20 milioni è di gran lunga inferiore ziosi: l’esperienza ha insegnato a non di persone ad uscivolare troppo in re dall’indigenza. rispetto a quella alto se si hanno il Nel campo del- di Usa e Giappone corpo e le ali di un l’istruzione, Europa 2020 vuole portare il tasso di calabrone. Già nel 2005, il Rapabbandono scolastico al di sotto porto Kok aveva messo a nudo il del 10% (dall’attuale 15%) e ac- vero e proprio “incubo burocraticrescere in maniera significativa co” che era diventato la Strategia (dal 31% al 40%) la percentuale di Lisbona con oltre 40 parametri dei giovani trentenni con (e decine di indicatori da monitorare); da allora, la procedura era un’istruzione universitaria. Il documento propone che i go- stata semplificata anche seguendo verni concordino obiettivi nazio- il Pico (Programma per l’innovanali che tengano conto delle con- zione, la competitività e l’occupadizioni di ciascun paese, aiutando zione) presentato dall’Italia nelnel contempo l’Ue nel suo insie- l’autunno 2005. Europa 2020 si me a raggiungere i suoi traguar- pone più come uno metodo per di. La Commissione controllerà i individuare strumenti che per progressi compiuti e, in caso di lanciare obiettivi. Tuttavia, il do“risposta inadeguata”, formulerà cumento non sembra tenere adeun monito. Europa 2020 indivi- guatamente conto di una carattedua sette iniziative prioritarie per ristica e dell’Italia e di molti altri stimolare la crescita e l’occupa- Stati dell’Ue, specialmente dei zione. Tra queste figurano i pro- neocomunitari: una struttura di

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produzione basata su piccole e I dilemmi per la politica economica italiana medie imprese. La revisione del Patto di crescita La politica economica italiana e stabilità e le misure ad esso col- non ha alternativa al muoversi legate – quali la creazione di tre nel solco segnato da un lato da Agenzia europee per la regolazio- Europa 2020 e dall’altro dal nuone e la vigilanza dei mercati fi- vo Patto di crescita e di stabilità nanziari ed assicurativi e, soprat- e strumenti collegati. All’inizio tutto, l’istituzione di un fondo del 2011, dopo circa tre lustri di europeo “di stabilità”, essenzial- stagnazione, secondo l’ultimo mente per il salvataggio di Stati Annuario Istat e la più recente a rischio d’insolvenza sul proprio documentazione del ministero debito sovrano – paiono andare dell’Economia e delle finanze, in una direzione differente da l’Italia si mostra come un paese quella di Europa 2020. Mentre il che, a ragione della propria strutdocumento sulla crescita e l’in- tura produttiva e delle caratteristiche del proprio novazione è essensistema di servizi zialmente espan- Il nuovo patto finanziari, è riuscisionista, il nuovo to a scansare le imPatto (all’esame contempla sanzioni plicazioni peggiori dei capi di Stato e più severe per chi non della crisi finanziadi governo dell’Ue a metà di- rispetta il contenimento ria (fallimenti a cacembre) contem- dei disavanzi di bilancio tena di banche e società di assicurapla misure e sanzioni più severe in materia di zioni) ma con un reddito pro-cacontenimento dei disavanzi di pite immobile, un aumento del bilancio e di rapporto tra stock di divario tra “chi ha e chi non ha” debito pubblico e Pil, ambedue (su base principalmente territocresciuti a dismisura dal 2007 riale), un tasso di disoccupazione (quando è scoppiata la crisi fi- ancora inferiore alla media Ue ma nanziaria che dagli Usa ha colpi- che tende verso il 10% di coloro to specialmente l’Ue). In effetti, che vogliono e possono lavorare, tuttavia, si tratta di strategie un indebitamento netto delle complementari: è arduo, infatti, pubbliche amministrazioni attorconcepire ed attuare strategie di no al 5% del Pil ed uno stock di crescita al di fuori di un quadro debito pubblico che minacciosadi stabilità finanziaria, senza la mente avanza verso il 120% del stabilità finanziaria, infatti, au- Pil. L’alveo è stretto in quanto menterebbe l’avversione al ri- per restare in linea con gli obietschio di consumatori, rispar- tivi europei (e per non essere permiatori e investitori, le stesse cepiti come “soggetti a rischio” politiche pubbliche farebbero dai mercati finanziari), non solacilecca per mancanza di una mente il deficit annuale di bilancio dovrà essere azzerato ma il bussola.


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FOCUS

Il Patto di stabilità e crescita dell’Ue Il Patto di stabilità e crescita è un quadro di norme per il coordinamento delle politiche di bilancio nazionali nell’ambito dell’Unione economica e monetaria (Uem). È stato creato a tutela della solidità delle finanze pubbliche, importante requisito per il corretto funzionamento dell’Uem. Il Patto si articola in una parte preventiva e in un parte dissuasiva. La parte preventiva Secondo le disposizioni di carattere preventivo, gli Stati membri devono presentare programmi annuali di stabilità (o di convergenza) indicanti come intendono conseguire o salvaguardare posizioni di bilancio sane a medio termine, tenendo conto dell’incidenza finanziaria dell’invecchiamento demografico. La Commissione valuta questi programmi e il Consiglio esprime un parere in proposito. La parte preventiva del patto prevede due strumenti che possono essere utilizzati per evitare la formazione di disavanzi “eccessivi”. Il Consiglio, su raccomandazione della Commissione, può attivare la procedura di allarme preventivo rivolgendo un formale avvertimento (early warning) allo Stato membro nel quale rischia di determinarsi un disavanzo eccessivo. La Commissione può richiamare uno Stato membro al rispetto degli obblighi del Patto di stabilità e crescita formulando apposite raccomandazioni di politica economica (early policy advice). La parte dissuasiva Gli elementi dissuasivi del patto sono quelli previsti dalla procedura per i disavanzi eccessivi, che scatta quando il disavanzo supera la soglia del 3% del Pil prevista dal trattato. Se ritiene che vi sia un disavanzo eccessivo ai sensi del trattato, il Consiglio formula delle raccomandazioni agli Stati membri interessati affinché adottino delle misure correttive, indicando un termine entro cui riassorbire il deficit. L’inosservanza delle raccomandazioni fa scattare le ulteriori fasi della procedura, che può giungere, per gli Stati membri dell’area dell’euro, fino alla comminazione di sanzioni. Sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche A causa dell’invecchiamento della popolazione, dovuto al fatto che le persone vivono più a lungo e hanno un minor numero di figli, gli Stati membri dell’Ue si trovano di fronte al problema di garantire la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche, in considerazione dell’incidenza che tale fenomeno ha sui bilanci. Per affrontare questa sfida e tenendo conto della centralità del tema della sostenibilità a lungo termine nella riforma del Patto di stabilità e crescita operata nel 2005, vengono elaborate proiezioni di bilancio comuni a lungo termine a livello di Ue, e la situazione relativa ai singoli Stati membri viene sottoposta a controlli e valutazioni. Un’analisi esaustiva è contenuta nella relazione sulla sostenibilità. La sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche viene presa in considerazione anche nella valutazione dei programmi di stabilità e convergenza.

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rapporto tra stock di debito pub- elemento di forza (come sottoliblico e Pil dovrà velocemente an- neato dalla Fondazione Edison) dare verso il 60%. Ciò implica un durante la crisi potrà verosimilsaldo primario attivo di bilancio mente diventare elemento di de(ossia risultato di esercizio al net- bolezza nell’uscita dalla crisi e nel to del servizio del debito) almeno futuro dell’economia mondiale. del 5% del Pil l’anno per i prossi- La Germania mostra di essere riumi dieci anni. Dato che tale scita ad aumentare il grado d’inobiettivo non può essere raggiun- ternazionalizzazione (ora il dopto tramite un aumento della pres- pio di quello dell’Italia mentre sione tributaria e contributiva era pari al nostro nel 1995-1999) (nell’insieme dell’Ocse, l’Italia ha tramite un processo di concentrala seconda più alta dopo quella zioni aziendali in cui servizi e della Francia) si dovrà perseguire manifatturiero sono stati integrauna strategia rigorosa della ridu- ti nelle stesse imprese al fine di zione della spesa pubblica. Come aumentare la competitività tramite una più effifarlo senza mettere cace catena del vaulteriormente in Il metodo dei tagli lore. Gli anni Nopericolo la coesiovanta – ricordiane sociale è il pro- lineari per la spesa molo – sono stati blema centrale di pubblica ha il fiato quelli della conquesti anni. centrazione del siIn primo luogo, corto e mina crescita stema bancario itanon è solamente la economica e coesione liano (composto alelevata pressione tributaria e contributiva a rende- l’inizio del periodo da circa 600 re impraticabile un suo ulteriore istituti) attorno a cinque-sei poli. aumento (frenerebbe la già bassa La politica pubblica dovrebbe crescita economica) ed aggrave- adesso favorirne uno analogo nel rebbe le difficoltà di coesione so- manifatturiero e nei servizi. La ciale in quanto graverebbe prin- semplificazione normativa e le licipalmente sul lavoro dipenden- beralizzazioni sono gli strumenti te), ma le riduzioni della spesa – principe per farlo: oggi il grovilo quantizza un recente lavoro glio di norme e regolamenti è taempirico del servizio studi della le che piccole e medie imprese Banca centrale europea – hanno, italiane si trasferiscono non solo se ben modulate, un buon effetto in Stati neocomunitari dell’Euromoltiplicativo su consumi, inve- pa dell’est ma nello stesso Canton stimenti ed occupazione, un ef- Ticino e nel francese departement fetto maggiore del deficit financing Rhones-Alpes quasi ai confini di stampo keynesiano. Occorre con il Piemonte. Appare urgente tenere presente che la struttura una sunset legislation (normativa produttiva del paese, costituita del tramonto) che, dopo un certo da piccole e medie imprese spe- numero di anni, imponga il decacialmente nel manifatturiero, da dimento di leggi e regolamenti se


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non approvati di nuovo dall’auto- – sarà essenziale rivalorizzare il rità politica (Parlamento, Consi- servizio studi della Ragioneria glio regionale, o provinciale o co- generale dello Stato (che è stato creato alcuni anni fa appositamunale). In secondo luogo, il metodo delle mente a questo scopo) ed i servizi “riduzioni lineari” per la spesa studi dei due rami del Parlamenpubblica (ridurre ciascun eserci- to. zio finanziario della medesima percentuale le spese di ciascun La selettività della spesa ministero, regione, provincia, co- Una selettività delle politiche di mune) ha il fiato corto e, parados- spesa non deve restare declamatosalmente, mina sia la crescita eco- ria o non può limitarsi all’indivinomica sia la coesione sociale in duazione delle sacche di ineffiquanto non attacca che molto in- cienza e di privilegio. Deve anche direttamente le sacche di ineffi- essere positiva. Si possono procienza e di privilegio. Occorre porre due obiettivi, in linea con adottare un metoquelli europei: do selettivo. Si è Gli anni Novanta videro crescita ed innovatentato, di mutuazione, da un canre, non con grandi la concentrazione to, coesione sociaesiti, le Spending re- del sistema bancario le, dall’altro. views britanniche Una linea interesma si è posta poca italiano attorno sante emerge dalle attenzione al Pro- a cinque-sei poli analisi relative ai gramme de rationali“miracoli econozation des choix budgettaires grazie mici” del secondo dopoguerra. A al quale la Francia degli anni Ot- mio avviso, sono specialmente sitanta è passata da una situazione gnificativi i lavori di Charles di deficit crescenti e svalutazioni Kindleberger, economista così periodiche al Patto del Louvre del noto da non richiedere presenta1987 con il quale veniva stabilito zione, e di Ferenc Jánossy, genero (a conti risanati) il cambio fisso di Lukacs e di formazione matetra franco francese e marco tede- matico-ingegneristica prima che sco. Caratteristiche del Programme economica. Scritti a pochi anni di erano la selettività e la trasparen- distanza l’uno dell’altro, ma senza za poiché gli studi e le analisi che che i due autori avessero conoportavano a tagli selettivi veniva- scenza l’uno dei lavori dell’altro, i no pubblicati in un periodico libri di Kindleberger e Jánossy edito da La Documentation Fran- individuano nella qualità della çaise e diventavano oggetto di di- forza lavoro – e quindi dell’istrubattito specializzato (in seminari zione e della formazione (ma antecnici) e pubblico (sulla stampa). che delle politiche sanitarie, preQuale che sia la strada scelta – videnziali e del mercato del lavoSpending reviews o Programme de ro) – la determinante principale rationalization des choix budgettaires dei “miracoli economici”. Kin-

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dleberger guarda esclusivamente formazione del capitale umano, all’Europa occidentale, e con at- nonché su quella del funzionatenzione particolare all’Italia. Já- mento del mercato del lavoro, nossy che lavorava in Ungheria e della politica della salute e del siscriveva in magiaro guarda pure stema previdenziale. La differenza all’esperienza del “miracolo” (po- tra l’analisi di Kindleberger e co noto in Occidente) del proprio quella di Jánossy deriva principaese centroeuropeo. Mentre palmente dal fatto che i due ecoKindleberger costruisce un mo- nomisti operavano in contesti dello esplicativo per comprendere concettuali e socio-politici (oltre come si sia stato innescato il “mi- che economici) differenti. Per racolo economico”, le analisi di Kindleberger, che lavorava in Jánossy (per quanto basate su sta- un’economia di mercato, il mertistiche rudimentali, rispetto alla cato, con i suoi segnali, avrebbe dotazione di cui disponeva Kin- agevolato i ri-aggiustamenti tra dleberger) riguardano non solo formazione e capitale umano, da un lato, e struttura come e perché i produttiva ed oc“miracoli econo- Per Kindleberger, cupazionale (le remici” si sono avgole e le prassi per viati ma anche co- il mercato agevola la sua utilizzaziome e perché si so- i riaggiustamenti ne). Per Jánossy, no affievoliti e che lavorava in spenti. Individua tra capitale umano un’economia “a sola ragione nella e formazione cialismo reale”, indiscrasia tra capitale umano (da considerarsi come vece, tale ri-aggiustamenti sarebcambiamento strutturale delle bero dovuti essere il risultato delconoscenze provocato dalla divi- la programmazione, dunque sione del lavoro , non di una cre- dell’azione politica. scita generale derivante dalla L’interessante intuizione di Jásommatoria delle conoscenze in- nossy ha suscitato un certo dibatdividuali), da un lato, e struttura tito tra economisti europei nella produttiva ed occupazionale, prima parte degli anni Settanta, dall’altro; in altri termini quando ma è stata presto coperta da una il capitale umano non è più in li- fitta coltre di oblio. Un’ipotesi nea con le trasformazioni della analoga a quella di Jánossy è stata struttura della produzione e del formulata di recente, pur senza mercato del lavoro, la spinta che fare riferimento agli ormai riteha dato vita al “miracolo” si esau- nuti vecchi lavori dell’economista risce e si torna su una tendenza di ungherese, dal premio Nobel Jalungo periodo fatta di adatta- mes Heckman della Università di menti continui, per tentativi, er- Chicago e da Bas Jacobs della rori e correzioni. Quindi, l’indi- Università di Tilburg – due cencazione di una politica economica tri di ricerca strettamente incarbasata su una politica attiva della dinati nel pensiero economico


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neo-classico di economia di mer- te per sistemi o regimi previdencato: la loro analisi individua il ziali che incentivano a lasciare la rallentamento di lungo periodo vita produttiva in età relativadell’Ue nella carenze delle politi- mente giovane. Da queste analisi che della formazione e di utilizza- si può partire per giungere a inzione di capitale umano, politi- dicazioni più specifiche sia in che che dovrebbero essere “re-in- materia di riduzioni di bilancio ventate” anche a ragione dell’in- sia, infine, di politiche attive per vecchiamento della popolazione. l’inclusione sociale: va in questa “Occorre riconoscere la comple- direzione, pur senza fare riferimentarità dinamica della forma- mento al sostrato analitico, il Piazione di competenze”, “è necessa- no d’azione per l’occupabilità dei rio espandere l’investimento nei giovani presentato di recente dai più giovani, dove si hanno mag- ministeri del Lavoro e dell’Istrugiori rendimenti in termini sia di zione ed intitolato Italia 2020. efficienza sia di distribuzione del reddito, rispetto a Le politiche attive quello per la riqua- Italia 2020 dell’inclusione lificazione dei laPer individuare voratori anziani”, è un piano d’azione cosa fare in mate“tentare di rime- per l’occupabilità ria di politiche atdiare più tardi nel tive, è particolarciclo vitale a caren- dei giovani presentato mente utile un laze di competenze è da Lavoro e Istruzione voro di David spesso inefficace”. Card (Università Heckman e Jacobs sottolineano della California a Berkeley), Jo(con toni analoghi a quelli di Já- chen Kluve (Iza, ossia Istituto fenossy) come la formazione di ca- derale tedesco per lo studio del pitale umano venga frustrata se il lavoro) e Andrea Weber (Univerresto delle politiche economiche sità di Mannhein) pubblicato sul ha l’effetto di abbassare i rendi- numero di novembre di The Ecomenti dell’istruzione e della for- nomic Journal. Il lavoro copre un mazione: ad esempio, alti tassi periodo lungo – dal 1995 (massimarginali d’imposizione tributa- ma diffusione delle politiche ”atria e ammortizzatori occupazio- tive”) al 2007 (lo scoppio della nali e sociali molto generosi ridu- crisi) – ed esamina l’impatto di cono i tassi di partecipazione alla 199 programmi sulla base di 97 forza lavoro e le ore effettivamen- studi empirici al fine di trarne te lavorate con la conseguenza di implicazioni di politica legislatiuna utilizzazione del capitale va e di allocazione di risorse. Coumano più bassa dell’ottimale. La pre, quindi, un arco di tempo regolamentazione del mercato del molto più ampio ed un campione lavoro può avere, in ceri casi, ef- di “casi di studio” molto più vafetti negativi analoghi. Osserva- sto di quelli di solito utilizzati in zioni analoghe possono essere fat- analisi di centri di ricerca nazio-

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nali o negli stessi studi comparati di organizzazioni internazionali come l’annuale Employment Outlook dell’Ocse. Inoltre, nel lavoro viene impiegata una metodologia statistica piuttosto elaborata per ricavare una tassonomia (ossia una casistica di politiche) tramite la quale categorizzare i 1999 programmi e giungere a stime quantitative omogenee di impatti. La conclusione è che le politiche “attive” meno efficaci sono quelle imperniate su programmi d’occupazione nel settore pubblico (per intenderci, i lavori socialmente utili o di pubblica utilità). Abbastanza efficaci, invece, le misure di assistenza alla ricerca di un impiego. Mentre, nel breve periodo, la formazione e la riqualificazione sembrano avere impatti modesti, dopo due-tre anni paiono avere risultati significativi. Ciò ha implicazioni significative pure per l’Italia. Nonostante il Libro Bianco sul futuro modello del modello sociale del paese (e lavori che ne hanno costruito il sostato, quali i saggi La Società Attiva di Maurizio Sacconi, Paolo Reboani e Michele Tiraboschi e Flessibilità e sicurezze curato da Salvatore Pirrone per l’Arel) mostrino una convergenza su strategie quali quelle riassunte (anche da parte di culture politiche differenti), in pratica gran parte della spesa pubblica per ammortizzatori occupazionali è per politiche passive di sostegno del reddito, nel cui ambito hanno assunto un ruolo sempre maggiore quelle in deroga (ossia per categorie tradizionalmente al di fuori dal

comparto degli ammortizzatori). Siamo, però, riusciti a smaltire una percentuale molto significativa dei programmi d’occupazione del settore pubblico: ItaliaLavoro Spa, la principale agenzia in questo campo, ha ri-tarato la propria attività da gestore di lavoratori socialmente utili e di pubblica utilità (tramite società miste) a supporto tecnico dei centri per l’impiego, la cui efficacia viene riportata in graduale ma progressivo miglioramento. Non fanno difetto le risorse per la formazione e la riqualificazione; tuttavia, dati recenti indicano che le regioni dove le esigenze sono maggiori (quelle del sud e delle isole) sono in grande ritardo nell’utilizzazione di fondi europei (che rischiano di essere convogliati verso altri Stati dell’Ue). Inoltre, qualità, rilevanza ed efficacia spesso lasciano a desiderare, come suggerito tra l’altro da un serie di saggi nel n. 46 della Rassegna italiana di valutazione (il periodico dell’Associazione italiana di valutazione, Aiv) in uscita in queste settimane. Nel silenzio dell’Isfol (da anni ibernato con 600 dipendenti – istituto che meriterebbe attenzione nell’ambito di un Programme de rationalization des choix budgettaires) si può contare sul pregevole lavoro dell’Invalsi e di iniziative come quelle dell’Aiv.


ITALIA 2020 Giuseppe Pennisi

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L’Autore giuseppe pennisi Componente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, insegna all’Università Europea di Roma ed all’Università di Malta a Roma.

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Le strategie dell’Ue per il 2020

Ecco come l’Europa spera di cambiare rotta

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opo il sostanziale fallimento della Strategia di Lisbona, l’Unione europea rilancia le proprie ambizioni con Europa 2020. Consapevole che potrebbe essere l’ultimo treno per lo sviluppo. DI ALESSANDRO MULIERI

L’Italia, il vero malato d’Europa, titolava una famosa edizione dell’Economist di qualche anno fa dedicata ai problemi strutturali del nostro paese. A qualche anno di distanza, purtroppo, la diagnosi dell’importante settimanale britannico conserva la sua attualità. Il Belpaese è paralizzato. Non cresce da ben 10 anni e fatica a trovare la strada della ripresa. Poi c’è l’Europa. Il Vecchio Continente è stato investito dalla crisi e l’Unione europea non sembra proprio in uno dei suoi momenti più rosei. Eppure, perfino il più severo degli euroscettici è ormai costretto ad ammetterlo: il rapporto tra quello che si decide a Bruxelles e nelle altre grandi capitali europee è ormai strettissi-

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mo. E non c’è crisi greca o irlandese che tenga. In alcuni settori, a dettare l’agenda sono ormai i famosi eurocrati che affollano i grigi enormi edifici della zona est della capitale belga. In altri, l’influenza di Bruxelles fatica ancora ad affermarsi ma sembra inesorabilmente destinata a crescere. Comunque la si voglia mettere, spiegava l’Economist lo scorso 7 dicembre, tornare indietro sarebbe ormai follia e comporterebbe più danni e costi di quelli che ci sono nella situazione attuale. Ergo, non converrebbe a nessuno. Questo, più di ogni altro argomento, rende l’Unione europea molto più centrale di quanto sia disposto ad ammettere qualsiasi governo nazionale,


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con buona pace di Angela Mer- progetto, rilanciando la nuova kel. E rende i settori in cui l’Eu- strategia Europa 2020. Che cosa ropa sembra avere meno voce in prevede questa nuova agenda sobase ai trattati, i veri ambiti in cio-economica e quali sono i suoi cui si giocherà la sfida dei prossi- obiettivi? Innanzitutto, il nuovo patto per far crescere l’Europa si mi anni. La strategia di Lisbona è uno di ridimensiona nella formulazione quei casi. È un simbolo di ciò dei propri intenti. Scopo princiche in Europa si vorrebbe ma an- pale è ora quello di raggiungere cora non si riesce ad ottenere. Ed una crescita “intelligente, sosteè un caso in cui i nomi racconta- nuta e inclusiva” attraverso un no un trend. Inaugurato nel 2000 maggiore coordinamento delle durante un summit nella capitale politiche nazionali ed europee. portoghese, l’accordo era destina- Tra le altre cose, è prevista una to a fare del Vecchio Continente crescita di 6 punti (dal 69 al la più dinamica e competitiva 75%) del tasso di occupazione tra le persone comeconomia del mondo, capace di La strategia di Lisbona prese tra 20 e 64 anni e il raggiuncrescita sostenibigimento del target le e maggiore coe- era destinata a fare del 3% di investisione sociale. Tra dell’Europa la più menti in ricerca e le altre cose, i leader europei fissa- dinamica e competitiva sviluppo (stesso obiettivo, non ragvano come obiet- economia del mondo giunto, di Lisbotivi per il 2010 un aumento del tasso di occupa- na). E non finisce qua. Il patto zione al 70%, una percentuale di prevede una riduzione del 20% investimenti in ricerca e svilup- delle emissioni CO2 rispetto al po del 3% del Pil europeo e au- 1990, un utilizzo delle rinnovaspicavano sostenibilità ambienta- bili pari al 20% del consumo tole e riduzione della povertà. tale di energia e un 20% di creUn passo più lungo della gam- scita dell’efficienza energetica. Ci ba, dichiarava il report Cox nel sono infine due nuove priorità: la 2005. «Un fallimento malgrado riduzione dal 15 al 10% del tasqualche successo sparso», sen- so di abbandono scolastico tra i tenziava il primo ministro sve- giovani e una diminuzione del dese Fredrik Reinfeldt nel 25% del numero di persone sotto 2009, rivolgendosi ai giornalisti la soglia minima di povertà. che lo intervistavano sulla pros- Europa 2020 è essenzialmente sima presidenza di turno svedese una proposta che è stata avanzata dell’Unione. e resa possibile dalla CommissioA dieci anni da quel summit, ne europea e, infine, accettata dal’agenda di Lisbona è diventata gli Stati. E ovviamente c’è già quella di Bruxelles e la Commis- chi vocifera che sarà un fallimensione è entrata a gamba tesa nel to come è stata Lisbona. Tutta-


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via, il nuovo progetto della milioni 222 mila occupati, masCommissione è anche un’occasio- simo storico dal 2002. Questo è ne d’oro per il rilancio dell’eco- stato possibile grazie a riforme nomia europea dopo una crisi de- come il pacchetto Treu e la legge vastante da cui il Vecchio Conti- Biagi, varate tra la fine degli annente sta appena cominciando ad ni Novanta e l’inizio del 2000 uscire. Soprattutto, è una grande allo scopo di flessibilizzare il occasione per quegli Stati mem- mercato del lavoro. Tuttavia, bri che si trovano in situazioni stando ai dati dell’Istat, l’attuale economiche più fragili e faticano tasso di occupazione in Italia è a mettere in moto la ripresa. Ita- fermo al 57,5%, ben 7 punti sotlia docet. Il Belpaese ha fatto poco to l’attuale media Ue e ben 17 per rispettare i parametri fonda- punti al di sotto di quello che samentali della strategia di Lisbo- rebbe richiesto dalla strategia na e ha molto da fare per rag- Europa 2020 fra 10 anni. giungere quelli di Europa 2020. Soprattutto, poco è stato fatto per accompagnare Oggi, è tra gli ultimi in almeno 3 Nei prossimi dieci anni, la flessibilizzazione del mercato del dei 5 obiettivi prelavoro con riforme visti dall’accordo, l’Unione europea strutturali e amma presenta debo- prevede di portare mortizzatori solezze anche negli ciali a tutela delle altri due. Tutta- il tasso di occupazione fasce più deboli via, in questa fase dal 69 al 75% nel mercato del di grande cambiamento politico in Italia, Europa lavoro (ad esempio i giovani). È 2020 è una grande opportunità. difficile pretendere un mercato E allora, vediamo punto per pun- del lavoro più flessibile, se il sito che cosa è stato fatto nel no- stema è ingessato da ordini, corstro paese per stare al passo con porazioni e clientelismi, gli stila strategia di Lisbona nel decen- pendi sono bassissimi e totalnio 2000-2010 e che cosa si do- mente sproporzionati rispetto al vrebbe fare per raggiungere gli costo della vita in continuo aumento ed è assente una politica obiettivi di Europa 2020. La strategia Europa 2020 preve- complessiva degli ammortizzatode di portare il tasso di occupa- ri sociali. In un sistema bloccato zione in Europa dal 69 al 75%. come quello italiano, una delle L’Isfol (Istituto per lo sviluppo prime parole d’ordine dovrebbe della formazione professionale essere “liberalizzazione”. L’obietdei lavoratori) ha recentemente tivo principe dovrebbe essere presentato un dossier in cui spiega quello di mirare a una crescita che in Italia l’occupazione ha della produttività attraverso ricontinuato ad aumentare nei pri- forme strutturali come la dimimi dieci anni del 2000, raggiun- nuzione del costo del lavoro, una gendo nel 2008 il picco di 23 massiccia dose di liberalizzazioni

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FOCUS

Dato record per i giovani disoccupati

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Secondo i dati del novembre 2010, il tasso di disoccupazione giovanile (1524 anni) è salito al 28,9%, il livello più elevato dal gennaio del 2004, ovvero dall'inizio delle serie storiche mensili. Lo ha comunicato l'Istat in base a dati destagionalizzati e a stime provvisorie. Il tasso di disoccupazione giovanile ha quindi segnato un aumento di 0,9 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 2,4 punti percentuali rispetto a novembre 2009. Il tasso di disoccupazione a novembre rimane sostanzialmente stabile all'8,7%, lo stesso livello registrato a ottobre, anche se fuori dagli arrotondamenti si nota un lievissimo calo (dall'8,729% all'8,678%). Anche in questo caso si tratta del dato più alto dal gennaio del 2004. In confronto a novembre 2009 il tasso di disoccupazione registra un aumento di 0,4 punti percentuali. Più in particolare, il numero delle persone in cerca di occupazione risulta in diminuzione dello 0,4% (-9 mila unità) rispetto ad ottobre e in aumento del 5,3% rispetto a novembre 2009 (+110 mila unità). Inoltre la disoccupazione maschile risulta in diminuzione del 2,1% rispetto al mese precedente e in aumento del 5,5% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Il numero di donne disoccupate aumenta dell'1,5% rispetto a ottobre e del 5% rispetto a novembre 2009.

in settori che vanno dai trasporti alle poste, innalzamento della competizione (ad esempio nel sistema bancario) e nuove misure per gli ammortizzatori sociali. Infine la politica dovrebbe occuparsi del dato mostruoso della disoccupazione giovanile. Secondo un rapporto Istat del luglio 2010, quasi il 30% dei giovani tra i 19 e i 24 anni in Italia è senza lavoro. Il problema dell’aumento dell’occupazione è legato a doppio filo all’aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo. Come evidenziato dall’Oecd nel 2010, il nostro paese è agli ultimi posti per investimenti in ricerca e innovazione. In questi settori spendiamo appena l’1,1% del Pil (corrispondente alla metà della media dei paesi del G7), con una crescita talmente bassa che nell’arco di un decennio non ha superato mezzo punto percentuale. Nella prima decade del 2000 è stato fatto molto poco. Malgrado la retorica puntualmente rispolverata da tutti gli schieramenti soprattutto in periodi pre-elettorali, la spesa in questi settori non è mai cresciuta e, al di là di qualche misura sparsa volta ad incentivare investimenti in ricerca e innovazione nel privato, è mancato un piano sistematico di incentivi fiscali o amministrativi alle aziende del Belpaese che rischiano in questo settore. Le imprese italiane, sempre secondo l’Ocse, contribuiscono a uno scarso 43% degli investimenti in ricerca e innovazione. Senza contare la situazione dram-


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matica in cui versa il comparto per-agevolati soltanto nel mopubblico della ricerca. Serve allo- mento in cui cominciano a lavora innanzitutto una politica di rare guadagnando una cifra staincentivi alle imprese che inve- bilita. Ovviamente gli aumenti stono in ricerca. Inoltre, è neces- da soli non bastano e devono essario sfrondare l’università e la sere accompagnati da più spesa ricerca pubblica italiana da logi- nella ricerca e maggiore qualità che baronali, clientelistiche e as- dell’insegnamento universitario. sistenzialistiche che sono le prin- La politica ambientale italiana va cipali cause di sprechi e mancan- meglio di altri settori, ma il faza di efficienza. La riforma Gel- moso obiettivo 20/20/20 da reamini tenta di fare qualcosa in lizzare entro il 2020, (-20% di questo senso. Ma non è abbastan- emissioni di gas effetto serra, za. E il fatto che l’unica universi- +20% di risparmio energetico e tà italiana a figurare tra le prime +20% di consumo di fonti rinduecento università mondiali sia novabili sul totale dell’energia consumata), è anuna privata, e cioè la Bocconi, deve Per ridurre le emissioni c o r a l o n t a n o . Stando ai dati delfar riflettere. Anl’Enea, il consumo che in questo caso di CO2 e incentivare di energia da rinbisogna essere co- l’efficienza energetica novabili è cresciuraggiosi. Innanzito nel 2009 del tutto, è giusto au- sono necessari 16% arrivando a mentare i fondi interventi strutturali coprire un quinto pubblici alla ricerca e stoppare i cosiddetti finan- del consumo lordo complessivo ziamenti a pioggia. Le università di energia. Tuttavia, bisogna fare devono essere finanziate in base a attenzione a mantenere il trend criteri rigidi di giudizio sulla positivo promuovendo politiche propria attività di ricerca (questi di incentivi alle aziende che inultimi due aspetti sono nella ri- vestono in rinnovabili. Sempre forma Gelmini, ma bisogna ve- stando all’Enea, passi avanti sono dere se e come verranno messi in stati fatti nella riduzione di pratica). Inoltre, bisogna avere il emissioni CO2 e nell’efficienza coraggio di avanzare proposte energetica. Le prime sono dimiestreme. Una di queste, potrebbe nuite del 6,9% tra il 2008 e il essere l’innalzamento delle tasse 2009 soprattutto per effetto deluniversitarie, accompagnandolo la crisi economica. Tuttavia, sono con un sistema di prestiti statali necessari interventi strutturali simile a quello che c’è in Inghil- del sistema energetico per manterra. Secondo questo modello, tenere costante questa riduzione. gli studenti accedono a prestiti In campo di efficienza energetica, agevolati da parte dello Stato per qualcosa è stato fatto. Ad esempagarsi gli studi e cominciano a pio, il governo ha realizzato una ripagare questi prestiti a tassi su- misura che garantisce detrazioni

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del 55% per imprese e soggetti mento solo al sud Italia: in Camprivati che attuino interventi di pania, Sicilia, Calabria e Puglia riqualificazione energetica degli la percentuale sale al 25%, vale a edifici (tra l’altro la norma è stata dire che un ragazzo su quattro prorogata al 31 dicembre 2011). abbandona la scuola dopo la liMisura sacrosanta cui dovrebbero cenza di terza media. Incentivare la scolarizzazione e fermare il feseguirne altre nello stesso senso. Per realizzare l’obiettivo del nomeno dell’abbandono scolasti20/20/20 serve moltissimo lavo- co devono essere obiettivi prioriro e, anziché puntare ad assurde tari di una nuova azione politica richieste di ridimensionamento in cui cultura e istruzione giocadegli obiettivi europei, come ha no un ruolo determinante. Un fatto il governo italiano nel esempio per tutti. È fondamenta2008, bisogna rimboccarsi le le avvicinare di più il mondo maniche. Recentemente, uno dell’istruzione e dell’università a studio dedicato alla green econo- quello del lavoro. Una delle strategie per contramy e al risparmio stare l’abbandono energetico realiz- L’Italia ha bisogno scolastico è far cazato da Confindupire a chi viene da stria in collabora- di una rivoluzione zione con l’univer- liberale per raggiungere realtà sociali più fragili che studiare sità Bicocca di Milano ha spiega- gli obiettivi comunitari s e r v e a n c o r a a qualcosa nel nostro to come gli obiet- del prossimo decennio paese e che si stutivi 20/20/20 potrebbero diventare una grande dia anche perché si acquisiscono occasione di stimolo per il Siste- delle capacità che poi verranno ma-paese. Lo sviluppo di una gre- sfruttate e valorizzate nel mondo en economy potrebbe portare posti del lavoro. Insomma, più profesdi lavoro e aumento della pro- sionalizzazione della formazione scolastica e universitaria. E diduttività a costo zero. Per quanto riguarda il tasso di plomi e lauree che tornino a esseabbandono scolastico, secondo re effettive qualifiche per il monuno studio di Bankitalia il nostro do del lavoro, e non semplici paese ha un’incidenza dell’abban- pezzi di carta. dono scolastico precoce tra le più Il problema della povertà è legaelevate d’Europa. Una cifra che to a molti dei temi che sono già riguarda il 20% dei giovani tra i stati affrontati. Affrontare e ri18 e i 24 anni e che pone il no- solvere gran parte dei nodi che stro Paese ben 5 punti al di sopra fanno parte della strategia di Eudella media Ue e 10 punti al di ropa 2020 dovrebbe automaticasopra dell’obiettivo del 10% en- mente incidere sui livelli di potro il 2020. I dati diventano an- vertà nel nostro paese. Come sotcora più preoccupanti se, fuori tolineato dai dati Istat su povertà dalla media nazionale, si fa riferi- assoluta e relativa e dal rapporto


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Caritas-Zancan sulla povertà, in Italia ci sono più di 8 milioni di individui che vivono sotto la soglia della povertà un dato che è cresciuto nel tempo e che è probabilmente destinato a crescere anche in futuro. L’attuale situazione economica nel nostro paese e la crisi globale hanno contribuito ad aumentare i fenomeni di povertà relativa di molte famiglie che prima appartenevano al ceto medio e adesso scivolano pericolosamente verso condizioni economiche e sociali particolarmente disagiate. Insomma, quello che serve all’Italia è una rivoluzione liberale all’insegna delle proposte di Europa 2020. Una rivoluzione che parta dalle liberalizzazioni, passi attraverso un aumento degli investimenti in ricerca e innovazione (sia del settore privato che pubblico) e guardi all’ambiente e alla formazione come obiettivi primari. Serve insomma un paese più dinamico che chiuda i conti con certi provincialismi ideologici e anacronismi strutturali e si proietti verso l’Europa. Basta baroni, corporazioni, sindacati, capipopolo dell’ultima ora che dicono no a tutto o sì solo a quello che li interessa personalmente. Basta lamentazioni su quanto potremmo essere bravi e quanto non riusciamo a esserlo. Occorre passare all’azione e risollevare questo paese rendendolo più europeo. Poche settimane fa, in un convegno tenutosi all’Università libera di Bruxelles sul tema eloquente “La transizione italiana verso il quadro europeo”, uno

studioso tedesco commentava cosi la situazione italiana: «L’ossessione di molti Italiani che ci sia un “anomalia italiana” rischia di diventare un alibi per l’immobilismo della Penisola». I mantra, si sa, sono formule che si ripetono molte volte allo scopo di ottenere un effetto desiderato. Tuttavia, quando si ottiene ciò che si desidera, cessano di avere senso. Approssimandosi la fine della Seconda Repubblica, non sarà forse il caso di abolirli?

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L’Autore ALEssAndro MuLiEri Ha conseguito un master in Studi europei e politica comparata alla London School of Economics. Sta lavorando come assistente di ricerca e dottorando all’Università di Lovanio nell’ambito di un progetto di ricerca multi. Ha lavorato per 4 anni a Roma come giornalista presso l’agenzia di stampa Dire. Si occupa di affari europei per il portale www.glieuros.eu.



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Tra società ed economia

Facciamo rinascere la famiglia italiana

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onostante le innegabili difficoltà, il nucleo familiare è un soggetto forte e non va salvaguardato come una specie in via di estinzione. Bisogna superare l’approccio assistenazialista e rilanciare il ruolo sociale del luogo principe del patto tra generazioni. DI MARIO CIAMPI

La famiglia, in tutte le società umane, ha la finalità di andare oltre il presente. È un ponte tra passato e futuro, è il luogo principe del patto tra generazioni. Per giunta, in Italia ancora oggi la famiglia ha un ruolo centrale nell’identità, nel costume e nella cultura popolare. Eppure, al di là della retorica dei riconoscimenti formali, alla famiglia il nostro paese non ha mai dedicato una strategia mirata e definitiva. Quello che si è fatto, semmai, è promuovere una politica sociale, di solidarietà momentanea e puntuale, e non una politica familiare. La famiglia pertanto è stata sempre vista come un soggetto debole, bisognosa

di aiuti e sovvenzioni. Ne è conseguito che gli interventi a favore della famiglia nel nostro paese si sono sempre caratterizzati per un approccio assistenzialista. Inevitabilmente, si è delineata un’immagine della famiglia quale specie in via di estinzione, meritevole di essere salvaguardata. Ma la famiglia non è un soggetto debole, casomai è un soggetto indebolito da un sistema che non la agevola e che la penalizza, soprattutto sul piano fiscale. Essa rappresenta una risorsa per la società e per lo Stato. Non sempre produce una “ricchezza” direttamente in termini monetari, anche se non si può esclu-

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dere l’impatto che ha sui consu- comunità di destino. Le relaziomi, l’impiego di forza-lavoro al ni che nascono nella famiglia, se suo interno, l’attività di assi- vi sono condizioni minime di stenza spesso svolta in via sussi- funzionamento, si ripercuotono diaria. È innegabile che la fami- positivamente sulla società civiglia quale corpo intermedio tra le determinando ottimismo e fiindividuo e società assorbe in ducia. La famiglia pertanto non prima battuta tutti i problemi solo consuma, ma investe natueconomici e sociali dei membri ralmente in beni relazionali ovche la compongono, svolgendo vero in rapporti che abituano le un ruolo sussidiario rispetto al- persone a relazionarsi agli altri lo Stato e sgravando la colletti- in un atteggiamento di collabovità di molti oneri assistenziali. razione. La si può considerare una socie- Tuttavia, queste evidenze non si tà naturalmente predisposta al traducono in una legislazione, servizio della persona umana: in anche fiscale, che riconosca alla famiglia una proquesto senso, depria soggettività ve essere conside- La famiglia non è solo tributaria, al pari rata un soggetto di tutte le altre non solo sociale un soggetto sociale ma pure econo- ma economico, avendo formazioni sociali, che siano profit o mico, avendo tratti distintivi tratti distintivi analoghi no profit. Il sistema di tassazione del tutto analo- a quelli di un’impresa infatti guarda ai ghi a quelli di un’impresa. Certo, si tratta di singoli individui quali soggetti un’impresa sui generis perché, d’imposta: l’appartenenza a un oltre ad operare nel settore dei nucleo familiare è fiscalmente servizi alla persona in generale, rilevante soltanto in modo indiè mossa da un intento di reci- retto, attraverso deduzioni e deprocità e gratuità e non di cor- trazioni che non tengono conto rispettività1. La famiglia, come dei reali bisogni di una famil’azienda, produce un capitale, glia. Talvolta si arriva al punto che è innanzitutto un capitale di scegliere la convivenza more sociale. È nella famiglia, infatti, uxorio o perfino di simulare la in questo luogo di socializzazio- separazione per ottenere alcuni ne primaria, che le persone ac- vantaggi economici immediati: quisiscono e praticano quelle si pensi ai criteri di formazione relazioni sociali incentrate sulla di alcune graduatorie pubbliche fiducia reciproca e sulla coope- che di fatto sembrano quasi prirazione. È qui che il singolo vilegiare i nuclei monogenitoscopre le ragioni dell’interdi- riali. È paradossale pensarlo pendenza tra persone, è qui che quando in America si stanno comprende indirettamente le ponendo il problema inverso. ragioni del vivere comune, della Lo chiamano marriage gap: si


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tratta della disuguaglianza crescente tra sposati e non sposati a vantaggio dei primi sui secondi. Il matrimonio, al di là dell’Atlantico, sarebbe uno dei principali fattori di benessere sociale ed economico2. In Italia spesso è visto, al contrario, come una scelta difficile e comunque da dilazionare nel tempo. Oltre alle ragioni economiche e materiali finora analizzate, esistono delle ragioni culturali che hanno determinato una “disaffezione” verso la famiglia e una generalizzata paura di procreare dovuta soprattutto alla carenza di speranza nel futuro. È la crisi di un paese in deficit di futuro che si va cronicizzando a causa di una carenza patologica di visione di lungo termine nelle classi dirigenti del paese. Come si evince dall'ultimo Rapporto Cisf sulla famiglia, in Italia il 53,4% delle famiglie non ha figli. Ne consegue un forte invecchiamento della popolazione tale da compromettere il cosiddetto “rimpiazzo generazionale”: è quello che Dumont, parlando dell’Europa, ha definito l’“inverno demografico”. Le ripercussioni di questo declino demografico, al momento poco evidenti, si hanno sul piano sociale e sul piano previdenziale. Sul piano sociale per il fatto che sarà sempre più scarsa la rete di solidarietà intergenerazionale costituita dalla famiglia, con una ricaduta sullo Stato delle necessità di cura e di assistenza degli anziani e dei disabili, oggi per la

IL LIBRO

Lessico familiare Vita affettiva in famiglia Bruna Grasselli, Patrizia Ciccani Cittadella Editore euro 12,00 Questo volume si propone di rappresentare le relazioni affettive nel contesto familiare per avvicinare alla comprensione di questo dominio complesso e generativo di esperienza emotiva e sociale, con il contributo del linguaggio narrativo, di storie, di reti simboliche. Con specifico riferimento alla ricerca e agli studi di Ferdinando Montuschi sullo sviluppo della competenza affettiva vengono proposti i diversi luoghi e modi di interazione, di comunicazione, di sviluppo di benessere, di creatività generativa, di intimità. L'intento delle autrici è dialogare con i genitori e gli educatori sull'intreccio di sentimenti per individuare altre variabili di riflessione sui desideri, gli affetti, i conflitti, le risorse che il vivere insieme genera, sollecita, possiede.

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maggior parte a carico delle famiglie. Sul piano previdenziale, invece, sarà sempre più difficile e oneroso un trattamento pensionistico ai giovani lavoratori di oggi e di domani, in mancanza di un significativo cambio generazionale. Il dato che più di tutti dovrebbe far riflettere la politica è che ancora oggi il numero dei figli generati è inferiore a quello dei figli desiderati3. Le ragioni di questo sono sicuramente molteplici e meritano una riflessione attenta. Spesso i figli sono visti come un costo ed è innegabile che allevare un figlio e garantire il suo sviluppo come persona comporti dei sacrifici, anche di natura economica. Tuttavia, i figli non sono una merce e ancor meno un bene di consumo. Costituiscono sicuramente un bene, in quanto esprimono il desiderio di una nuova vita e arricchiscono la famiglia di beni immateriali che si riversano anche sulla comunità. Per questo motivo, come sottolinea l’economista Campiglio, i figli apportano un beneficio sociale, anzi sono essi stessi un bene comune, della coppia che li genera e della collettività che li accoglie. Tuttavia, se è vero che la decisione di avere dei figli rientra nella sfera più intima di una coppia, lo stesso non si può dire della natalità. Questo aspetto non può essere riportato e circoscritto alla dimensione privata perché ha una rilevanza pubblica. Per questo motivo, è sempre più necessario un welfare che

guardi alla famiglia come soggetto unico e che garantisca le relazioni familiari in quanto bene di interesse generale. Un altro aspetto problematico è la carenza di servizi alla famiglia. Anche qui l’intento dovrebbe essere quello di consentire alla famiglia di essere veramente un soggetto forte e di rappresentare una risorsa per la società, perseguendo più agevolmente i suoi obiettivi senza snaturarsi. Non è soltanto un problema di quantità dei servizi, comunque non sufficiente, ma anche di qualità e provenienza. Si tratta di ripensare una rete di “servizi personalizzati”, aperta ai privati e al terzo settore, e caratterizzata da professionalità e competenze: è impensabile che si sia costretti ad affidare i figli e gli anziani a personale il più delle volte privo della professionalità adeguata. Altra grande questione che andrebbe seriamente considerata riguarda le misure di conciliazione lavoro-famiglia. La percentuale di donne italiane occupate è bassa, le retribuzioni sono minori rispetto a quelle degli uomini e molto spesso hanno lavori precari o comunque posizioni vulnerabili. Ma il dato veramente preoccupante è il livello di inattività delle donne (che include anche quelle che hanno rinunciato a cercare lavoro) che è del 63,7%. Oltretutto, il tema dell’occupazione femminile è strettamente legato a quello della natalità: dove la


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donna dispone di un lavoro e di uno stipendio proprio, si rapporta alla maternità in maniera più serena, responsabile e generosa. Una conferma ci arriva dall’esperienza francese dove su 10 donne 6 sono occupate e il tasso di fecondità è di due figli per donna. Anche in Italia urge quindi un sistema di interventi che incentivi quello che Maurizio Ferrera ha definito il “vero motore” dell’economia mondiale: l’occupazione femminile4. La prospettiva deve essere quella di un nuovo sistema che preveda, oltre agli sgravi per chi assume una donna, la riduzione dei costi della maternità per le aziende. Anche su questo aspetto bisogna avere il coraggio di intraprendere una prospettiva nuova, ricollegata a quel sistema relazionale che è la famiglia. Si tratterà di pensare a delle soluzioni per la “madre che lavora” e non più per la “lavoratrice madre”: una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro, con una gestione autonoma dei tempi di lavoro; un sensibile aumento dei servizi alla prima infanzia; la costruzione di nuovi asili nido; l’ampliamento della diffusione del part-time. In definitiva, l’Italia ha bisogno di una vera politica per la famiglia, che non si riduce a provvedimenti di tipo fiscale, peraltro annunciati e poi sistematicamente rinviati. Il suo futuro dipende molto da questo, da qui ripartirà la sua speranza e il suo rilancio.

Note 1

Cfr. Bruni – Zamagni, Economia civile, Bologna 2004. 2

Cfr. Marco Faraci, ‘Marriage gap’. Una nuova divisione “di classe”?, in www.libertiamo.it, 5 ottobre 2010. 3

Questo dato è stato confermato dall’ultimo rapporto Cisf sulla famiglia, ma nel 2003 era stato già evidenziato da un’indagine Cnel-Istat.

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Il Fattore “D”. Perché il lavoro delle donne farà crescere l’Italia, Milano 2008.

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L’Autore Mario CiaMpi Direttore della fondazione Farefuturo e presidente di Farefuturo editore. è docente di Storia delle istituzioni politiche all’Università “G. Marconi” di Roma. Ha ricoperto l’incarico di coordinatore della Scuola di formazione politica di Alleanza Nazionale.



ITALIA 2020 Enrico Cancila

GREEN ECONOMY, UNA SFIDA DA VINCERE

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a crisi economica deve essere un momento per ripensare i rapporti fra capitalismo e società e per giungere ad una sostenibilità dello sviluppo. Francia e Gran Bretagna lo hanno capito, l’Italia non ancora. Ma c’è ancora tempo per rimediare e sfruttare appieno le nostre potenzialità.

DI ENRICO CANCILA 85

L’Italia che guarda al futuro è un paese che, imparando dagli errori che la storia le ha insegnato, vuole concedersi una seconda possibilità di ragionare sullo sviluppo del proprio territorio e sul suo ruolo nei nuovi equilibri geopolitici che la globalizzazione sta imponendo. Seconda possibilità che significa pensare a un modello di sviluppo radicalmente nuovo che dialoghi con l’ambiente valorizzando le peculiarità del nostro paese insite sia nella bellezza del nostro territorio che nelle tipicità ed unicità del made in Italy. Potenzialità riconosciute, peraltro, da tutti e che il mondo ci ammira. Salvaguardia e sicurezza del territorio, efficienza nell’utilizzo delle risorse, prodotti e servizi maggiormente ecosostenibili, fonti ener-

getiche rinnovabili sono alcune delle principali sfide che si devono incrociare con il percorso di crescita economica del nostro paese per porre le basi per una sostenibilità dello sviluppo. Sostenibilità dello sviluppo che, nella nostra visione, deve rinunciare all’ideologica utopia ambientalista che ha creato vincoli, ma che porti ad un patto per l’ambiente che crei opportunità. Per giungere ad un risultato così ambizioso non si può però prescindere dalla condivisone delle scelte, come ben illustra Jeremy Rifkin nelle pagine finali del suo libro La civiltà dell’empatia: “A un certo punto ci renderemo conto che condividiamo lo stesso pianeta, che siamo tutti coinvolti e che le sofferenze dei nostri vicini non sono diverse dalle nostre. Allora


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recriminazioni e rivendicazioni sultato ambientale di prospettiva non serviranno a risolvere l’enor- comparato al nostro sistema promità della crisi (energetica ed duttivo ed al nostro territorio. ambientale ndr). Solo un’azione D’altro canto la crisi economica concertata che stabilisca un senso globale deve essere un momento collettivo di affiliazione con l’in- per ripensare i rapporti fra capitera biosfera potrà assicurarci un talismo e società e per giungere futuro. Ma per questo ci servirà ad una sostenibilità dello sviluppo. A livello europeo quando una coscienza biosferica”. Traducendo questa visione in una Sarkozy parla di “andare oltre il guida “passo dopo passo” è evi- Pil” e quando Cameron parla di dente il significato di cercare un “economia della felicità”, pongopercorso partecipato e condivisi- no l’accento su un ragionamento bile di scelte che responsabilizzi- di questo tipo ponendo le basi no e rendano consapevoli le per- per una revisione dei rapporti fra sone ed i territori. Per raggiun- economia, ambiente ed equità sociale. In questo gere un alto grado contesto l’ambiendi sostenibilità è Nonostante turismo te non può che esnecessaria, dunsere considerato un que, una chiara e prodotti tipici locali, tassello fondamenstrategia, una pia- la relazione con tale per ristabilire nificazione puntuale di area vasta il territorio non è stata un corretto rapporto fra uomo e naed un processo at- una perfetta simbiosi tura e per giungere tento di partecipazione e consapevolezza. Azioni ad un livello elevato di benessere intraprese senza essere incornicia- sociale, di qualità della vita. te in una regia accurata non pos- Questo corretto rapporto è anche sono, inevitabilmente, creare la via delineata dalla civiltà delquell’empatia, per utilizzare un l’empatia, via che deve coprire termine di Rifkin, necessaria a essenzialmente due sfere di increare un moltiplicatore, un ef- fluenza: il nostro rapporto con il fetto sistema, verso il comune territorio, la nostra capacità di obiettivo della sostenibilità dello “fare” green economy. sviluppo. Una seconda possibilità per l’Ita- Ambiente e territorio lia significa, quindi, la ricerca di Italia è sinonimo di turismo e di un clima di dialogo e di una rin- prodotti tipici locali, ma, non si novata capacità di programma- può certo dire che la relazione zione sistemica. Significa dotare con il nostro territorio sia stata l’Italia di soluzioni applicabili una perfetta simbiosi. Da un lato chiare e condivise che riescano a una gestione dell’ambiente, codare risposte concrete e quantifi- me nel caso della produzione dei cabili che possano identificare le rifiuti, non sempre esemplare e idee che portino il migliore ri- con il, sempre presente, rischio


ITALIA 2020 Enrico Cancila

di “ecomafia”, dall’altro, un territorio fragile, contraddistinto da un elevato rischio idrogeologico e da una conseguente, e tristemente nota, franosità che, anno dopo anno, si manifesta puntualmente con eventi drammatici. In questo senso la nostra “storia” merita una lettura attenta perché la ricetta dell’ Italia del futuro deve radicalmente cambiare alcuni meccanismi, sia economici che politici, che palesemente non funzionano. Per esempio, nessuno ha mai fatto i calcoli delle perdite economiche, in termini di minor turismo, o minore vendita di prodotti tipici, quando si manifesta un problema ambientale serio come nel napoletano. Sicuramente l’impatto economico risulta di dimensioni rilevanti. L’ambiente ha, dunque, un valore economico fondamentale che può essere rilevato, purtroppo con maggior evidenza solo quando si manifesta una situazione di reale emergenza. Allora, mettere in sicurezza il territorio, preservare la biodiversità, è un “costo” oppure è un “costo evitato”? Se questo costo potesse essere pagato attraverso i fondi provenienti dalla lotta alle ecomafie piuttosto che da imposte atte allo scopo (come per esempio la tassa per entrare con il proprio mezzo in alcune città europee, Milano inclusa) si creerebbe un ottimo legame con il doveroso principio “chi inquina paga”, dimostrando che l’ambiente non è un costo ma semplicemente un investimento.

FOCUS

Quando la mafia inquina l’ambiente Il fenomeno delle “ecomafie” costituisce un paradigma della strategia della moderna criminalità organizzata e la presenza delle organizzazioni criminali non si manifesta più unicamente attraverso il compimento di delitti di sangue: i delitti “strutturali” di queste organizzazioni sono oggi quelli, silenziosi, della penetrazione nell’economia e nel mercato. La mafia si inserisce in qualsiasi traffico, lecito o illecito, purché sia redditizio e consenta di investire il danaro guadagnato illegalmente. Quest’opera di inserimento nel mercato ha trovato in alcuni settori economici di rilevante ricaduta ambientale, come il ciclo dei rifiuti e l’attività edilizia, un terreno fertile. Le mafie hanno saputo approfittare della carenza nel nostro ordinamento di norme incriminatrici, della eccessiva mitezza di alcune delle sanzioni penali in materia di tutela dell’ambiente, e delle difficoltà di controllo da parte di regioni ed enti locali. Come per il delitto d’associazione per delinquere, anche in quest’ambito ci troviamo di fronte ad una situazione di legalità variabile, che consente lo spostamento delle sostanze inquinanti e delle conseguenti attività criminali verso i paesi privi di disciplina sanzionatoria o muniti di una disciplina più permissiva rispetto a quella d’altri paesi.

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Se l’aspetto legato all’economia è Ambiente fra mercato e territorio da rivedere anche quello politico Il mondo produttivo si sta muonecessita un ripensamento. Rifor- vendo a grandi passi verso mermare lo Stato per costruire catene cato sempre più eco efficienti e la di governo dell’ambiente più cor- domanda di prodotti, servizi e te (eliminando le provincie per tecnologie “verdi” sta aumentanesempio) vorrebbe dire, infatti, do con ritmi mai visti sino ad maggior controllo sulla catena ora. È chiaro che la capacità di delle responsabilità e minori vin- dare risposte a queste nuove niccoli burocratici. Questi due chie di mercato passa da ragionaaspetti sono elementi di elevata menti che includono l’intero sicriticità nel governo dell’ambien- stema economico: dalla fase di rite e non possono essere risolti con cerca ed innovazione sino alla fasemplicità e senza doverose rifles- se di proposta, di vendita ed insioni proprio nel momento in cui gresso nel mercato di riferimensi parla di riforma federale dello to. L’economia verde pervade stato italiano. tutti i settori proEntrambe le ri- Tutela delle aree rurali, duttivi: dalla proflessioni sono solo duzione di tecnoesempi da cavalca- sostenibilità dei centri logie più verdi alla re per una “secon- urbani, biodiversità: vendita di prodotti da vita” del nostro ecocompatibili sipaese che riduca i ecco come creare no alla corretta gecasi di mala ge- occupazione e sviluppo stione di determistione del territonati aspetti delrio, anche creando opportunità di l’ambiente come i rifiuti e l’enersviluppo mirate. Opportunità gia. In un contesto così ampio che possono essere viste solamen- abbiamo la fortuna di avere già te se ragioniamo proiettandoci risorse ed aziende all’avanguardia verso il futuro e non rimanendo che dobbiamo incentivare ma alla politica della gestione del d’altronde abbiamo anche l’esipresente. Salvaguardia della bio- genza di creare un sistema: intere diversità, riqualificazione indu- filiere che possano affrontare la striale, sostenibilità dei centri ur- sfida, sia nel mercato interno, sia bani, tutela e valorizzazione delle esportando i nostri prodotti di aree rurali sono tutti temi che avanguardia ambientale all’estepossono creare occupazione e ro. Pensiamo quindi ad azioni di progettualità se non vengono vi- miglioramento complessivo sti come “costi” ma come inve- dell’economia ambientale. Riustimenti. nire in un’unica visione strategiInvestimenti che sono fondamen- ca l’efficacia delle leggi ambientali per costruire una visione del tali, i temi dell’eco innovazione e futuro che porti i nostri figli a della ricerca, dell’ecodesign, delgodere di un’Italia migliore di la fiscalità e premialità verde, quella che viviamo noi oggi. dell’efficienza dei mercati dei ri-


ITALIA 2020 Enrico Cancila

fiuti, della qualificazione ambientale dei prodotti italiani, del risparmio energetico è la sfida che dobbiamo cogliere. L’Economia verde ci pone davanti ad un bivio: o procediamo e operiamo delle scelte credibili, trasparenti e condivise che portino sia l’interesse economico che quello dell’ambiente oppure rimaniamo nell’Italia della burocrazia, dell’incertezza dell’interpretazione normativa e del risultato presunto. Una visione strategica di sistema nuova sulla green economy può voler dire sostenere nuovi settori e nuove filiere produttive anziché fondarsi esclusivamente sui tradizionali settori trainanti come anche altri paesi europei hanno fatto (basti pensare agli investimenti della Germania nella filiera del fotovoltaico). Dobbiamo con coraggio cogliere la sfida senza preclusioni ragionando collegialmente con le tante forze e risorse che già nel paese operano portando innovazione ed idee importanti. L’importante è che scelta una strategia questa venga portata avanti con convinzione e con continuità. Convinzione e continuità che sono, fra l’altro, elementi fondamentali per attirare l’interesse di imprenditori e di capitali stranieri. Brevi riflessioni

Da queste brevi riflessioni emerge una visione in cui l’ambiente è imprescindibilmente collegato ad un sistema di riforme importanti che, di fatto, sono da più parti auspicate su molti versanti: dalla fiscalità alla giustizia. Giungere ad

un’Italia del futuro richiede il coraggio del cambiamento nel sistema del governo del territorio, nella definizione di fondi importanti anche derivanti dal principio “chi inquina paga”, nell’incentivare ricerca ed innovazione industriale per prodotti basati sull’ecodesign in un paese caratterizzato da piccole e medie imprese, nell’investire in filiere nuove in particolare nel campo dell’energia e del risparmio energetico. Tanti sono gli elementi sui quali indicare una via attrattiva e coesa al paese che possa essere anche un viatico per ricomporre ed attrarre i giovani e le forze vive a ragionare insieme sul nostro futuro, anche perché l’ambiente non è che il futuro dei nostri giovani. Inoltre se non ci fermiamo al presentismo e ad un ancoramento totale al paradigma economico nato nel dopoguerra ma scrutiamo l’orizzonte potremmo intravedere in questi cambiamenti anche interessanti risvolti economici e di posizionamento del nostro paese in un equilibrio geopolitico in continuo mutamento.

L’Autore enrico cancila Responsabile delle politiche ambientali della fondazione Farefuturo. Economista esperto di gestione dell’ambiente, coordina progetti di rilevanza nazionale ed europea sui temi connessi allo sviluppo sostenibile.

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ITALIA 2020 Giovanni Boggero

Il modello tedesco tra difficoltà e ripresa

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ncora una volta la Germania ha dimostrato di saper reagire alla crisi globale meglio degli altri paesi occidentali. Merito di un’economia solida e di un’azione di governo che, nonostante alcune perplessità, si è mostrata all’altezza della sfida da affrontare. 91

DI GIOVANNI BOGGERO

Non c’è pace per Angela Merkel. Prima le turbolenze scatenate dalla crisi finanziaria e le stampelle per il sistema bancario tedesco; poi il lento ed inesorabile tracollo dei bilanci pubblici con l’indigesto bailout degli Stati periferici. L’era-Merkel passerà alla storia per la gestione delle emergenze, una gestione non sempre impeccabile, costellata da dubbi ed incertezze, che nell’ultimo anno e mezzo hanno avvolto la Repubblica federale in un turbinio di critiche da parte dei vicini più sospettosi, sempre pronti ad agitare lo spettro del Lebensraum (lo “spazio vitale”, di memoria nazionalsocialista), ogniqualvolta la Germania abbia osato chiarire di non

voler metter mano al portafoglio per errori commessi da altri paesi. Diffidenza e rancore si mescolano insomma come ai tempi della riunificazione, quando ai leader europei, da Andreotti alla Thatcher, si parò innanzi l’incubo di una nuova espansione tedesca. Eppure, lontano dai corridoi di Bruxelles, dove la signora Merkel è nota con il soprannome di Madame Non, il cancelliere tedesco non è poi molto più popolare. A Berlino molti esponenti della nuova coalizione democristianoliberale le rimproverano esattamente l’opposto. Di aver ceduto alle sirene francesi, che fin dall’inizio della trattativa sul nuovo Patto di stabilità spingevano per


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una clausola di salvataggio ampia ed ora, da strumento temporaneo, e generosa. In particolar modo, diverrà permanente dal 2013. La l’Fdp del ministro degli Esteri dizione della nuova norma sarà Westerwelle ha avanzato nume- stringente e restrittiva, ha prorose critiche al modus operandi del messo il cancelliere, in vista di cancelliere. Segno che l’ostentato un’approvazione in sede parlaattendismo della signora Merkel, mentare che si preannuncia non mascherato da misurata pondera- priva di ostacoli. zione dei fatti comincia ad infa- In realtà, ancora una volta la sistidire anche coloro i quali avreb- gnora Merkel è dovuta scendere a bero dovuto esserne gli alleati più più miti consigli dopo le pressiostretti. I liberali hanno spinto fi- ni dell’Eliseo e del primo minino all’ultimo per l’inserimento stro lussemburghese Juncker. nei Trattati di un meccanismo di Dopo l’accantonamento delle ristrutturazione del debito in sanzioni automatiche, anche il grado di coinvolgere parzialmen- progetto di ristrutturazione del debito con “clausote anche gli obbligazionisti privati, I liberali dell’Fdp hanno le di azione collettiva” sarà destinato banche in testa. Il ad un’applicazione rischio non può avanzato numerose meramente evenessere eliminato critiche al modus tuale, stando alla ope legis, spiegavano alcuni parla- operandi del cancelliere nuova lettera del Trattato. Tutto si è mentari dell’Fdp, sui temi economici insomma svolto illustrando la proposta elaborata dal celebre econo- non molto diversamente da quanmista Hans-Werner Sinn per to accadde due anni fa, quando in l’Istituto di ricerca economica di piena crisi finanziaria il cancellieMonaco (Ifo). Chi investe i propri re scandì: «Il benessere ha bisoquattrini in titoli di Stato deve gno di crescita e la crescita di lisapere che potrà perderli, in par- bertà, all’uopo anche quella di ticolar modo se sceglie bond greci fallire». Ricordiamo tutti come o irlandesi. La concorrenza tra ti- andò a finire. Di concerto con toli di Stato non può essere svilita l’allora ministro delle Finanze soné da un fondo comune elefantia- cialdemocratico Peer Steinbrück co, che garantisca a tutti i costi la e sotto dettatura del Ceo di Deutsolvibilità degli Stati membri, né sche Bank Joseph Ackermann, il da eurobond che annullino gli spre- cancelliere varò il più grande paad favorevoli alla Germania, né racadute finanziario che fosse mai infine da una monetizzazione del stato lanciato in sessant’anni di debito da parte della Bce, che vita della Repubblica federale. avrebbe l’effetto di aumentare i Non molto diverso per le tasche rischi di inflazione. D’altro canto, del contribuente tedesco è stato al vertice di metà dicembre il l’esito della crisi greca. Dopo un consenso per il fondo si è trovato lungo tergiversare che aveva reso


ITALIA 2020 Giovanni Boggero

l’aria tra Berlino e Atene insop- nutrita serie di misure volte a portabilmente pesante, la signora stringere i cordoni della borsa e a Merkel diede l’abbrivio ad un produrre nuovo gettito da qui fipacchetto di aiuti e garanzie, sul- no al 2014. Al di là delle nuove la cui costituzionalità la Corte co- imposte sulle compagnie aeree, stituzionale di Karlsruhe deve sulle società energetiche e all’auancora pronunciarsi in maniera mento della tassa sul tabacco, quasi quattro milioni di euro definitiva. E si badi, quello tedesco non è so- l’anno verranno risparmiati elilo orgoglio nazionalista per un minando il sussidio parentale per modello economico che, pur pie- chi guadagna più di 250.000 euno di difetti e storture, mostra di ro se single o 500.000 euro se cofunzionare, ma è vera e propria niugato. Sussidio parentale che cultura del pareggio di bilancio verrà meno anche per i percettori di stampo minghettiano, per ri- di Hartz IV, prestazione frutto di manere agli illustri epigoni di ca- un accorpamento ideato dall’ex gabinetto di Gersa nostra. Nonohard Schröder ed stante la Germania Nel 2010 il paese erogata ai disoccuabbia una spesa pati di lungo pepubblica strabor- è cresciuto a ritmi riodo, nonché ai dante e un alto de- da record (3,6%), lavoratori con enbito pubblico in trate molto basse. termini assoluti, il grazie soprattutto Marginale invece paese macina svi- alle esportazioni l’intervento sulla luppo. E nel 2010 l’ha fatto a ritmi da record: con sterminata pletora di sovvenzioni una crescita economica al 3,6%, e di incentivi, che molti econoper buona parte trainata dall’ex- misti intravedevano come strada maestra per eliminare sprechi ed port, è il miglior dato dal 1990. Non per questo, però, l’esecutivo inefficienze. Il parziale ingresso ha giudicato opportuno lasciare in borsa di Deutsche Bahn è stato che il deficit lievitasse. E ciò anche ancora una volta rinviato. per ottemperare alla nuova norma La lieve correzione verso l’alto del costituzionale che impone un bi- contributo riservato ai figli del lancio federale in pari entro il medesimo sussidio è invece stata 2016. Quest’anno i nuovi debiti clamorosamente cassata a metà toccheranno la vetta dei 50 mi- dicembre dal Bundesrat, la Caliardi di euro; un dato positivo se mera degli esecutivi dei Länder, raffrontato alle previsioni estive dove il governo federale non ha del ministero delle Finanze, ne- più la maggioranza dopo la scongativo se si considera che si tratta fitta subita in Nordrhein-Westfadi uno dei livelli di indebitamen- len nelle elezioni del maggio to più elevati dai tempi della riu- scorso. Troppo esiguo l’aumento, nificazione. Di qui l’approvazio- ha accusato l’opposizione, che inne, nel novembre scorso, di una sieme con i sindacati ha sfilato

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FOCUS

Brevi di economia europea

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Il Pil reale dell'area Ocse nel terzo trimestre del 2010 è cresciuto dello 0,6% con una flessione dello 0,9% sul trimestre precedente. In particolare, rivela la nota dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, gli investimenti lordi hanno contribuito per lo 0,2% alla crescita complessiva del Pil ma hanno mostrato una flessione di mezzo punto sul dato del secondo trimestre. I consumi privati sono stati ancora la componente principale della crescita del prodotto con un contributo dello 0,4% mentre la variazione delle scorte ha contribuito per lo 0,3 per cento. Per il terzo trimestre consecutivo le esportazioni nette hanno compresso la crescita del Pil (-0,3% nel terzo trimestre del 2010). ***** L'economia tedesca nel 2010 e' cresciuta al livello record del 3,6%. Lo rivelano le stime dell'ufficio nazionale di statistica. Nel 2009 il Pil aveva subito una contrazione del 4,7%. "Siamo cresciuti il doppio ripsetto alla media europea" commenta il ministro dell'Economia, Rainer Bruederle, aggiungendo che nel 2010 il numero di occupati e' salito al livello record di 40,5 milioni di unita'. Nel frattempo il deficit pubblico e' cresciuto al 3,5% del Pil a 88,57 miliardi di euro, sulla scia delle misure di stimolo decise nel corso della recessione.

per le strade di Berlino contro i tagli del governo. A differenza di quanto possa pensare un lettore italiano impregnato di bicameralismo perfetto, la distonia tra maggioranza al Bundestag e maggioranza al Bundesrat non è in realtà nulla di patologico in Germania, ma al contrario una costante della politica tedesca dal 1949 ad oggi. La necessità di raggiungere compromessi con le opposizioni al governo in diversi Länder rende il lavoro del cancelliere indubbiamente più impervio, ma svolge una imprescindibile funzione di tutela del principio federale e delle minoranze. Il rischio di compromettere l’azione di governo definita nel patto con gli elettori però resta. Ed è proprio questo che sta accadendo in questi mesi, in particolar modo su un fronte caldo come quello del rinvio del phase-out nucleare. Socialdemocratici, ecologisti ed estrema sinistra sostengono che sia costituzionalmente necessario l’assenso del Bundesrat, mentre la maggioranza giallo-nera crede di poter procedere anche senza l’avallo degli esecutivi regionali. Uno scontro istituzionale, destinato prevedibilmente a giungere sul tavolo della Corte Costituzionale. Ma la partita vera si gioca tutta all’interno della coalizione. Dopo poco più di un anno di governo, il nuovo gabinetto della signora Merkel può vantare ben pochi punti messi a segno. La litigiosità del suo esecutivo ha infatti reso impossibile prendere le decisioni che la maggior parte degli eletto-


ITALIA 2020 Giovanni Boggero

ri moderati si attendeva. In particolar modo è l’alleggerimento fiscale il grande assente del primo anno di legislatura. La tanto sbandierata rivoluzione tributaria si fa attendere. Il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble vuole privilegiare il risanamento dei conti e teme che una sforbiciata alle aliquote possa compromettere l’andamento delle entrate. Ecco perché, al momento, l’esecutivo è passato ad accarezzare l’ipotesi di una mera semplificazione fiscale. Anche su di essa però non c’è ancora un accordo di massima tra le forze politiche, che hanno quindi posticipato la decisione. Il continuo procrastinare si riflette negativamente anche nei sondaggi, che dipingono un quadro demoscopico davvero desolante per l’attuale governo. L’Unione di Cdu e Csu, pur confermandosi primo partito, è data intorno al 31-32% dei consensi, mentre gli alleati dell’Fdp hanno polverizzato il proprio consenso, finendo pericolosamente a ridosso della soglia di sbarramento del 5%. Il malumore dell’elettorato liberale si deve per buona parte all’ombra gettata dalla signora Merkel, riuscita finora nell’impresa di arginarne l’esprit liberista; ma anche alla leadership poco gradita di Guido Westerwelle, richiesto già più volte di dimettersi da presidente del partito. I socialdemocratici, stabili al 27%, devono fare i conti con la mancanza di un leader e perdono terreno a favore degli ecologisti, galoppati in dodici mesi fino ad oltre il 20%. Anche senza l’appoggio del-

l’estrema sinistra, ferma al 10%, l’alleanza rosso-verde avrebbe oggi i numeri per governare il paese. Il primo vero banco di prova per dimostrare di esserne in grado saranno le elezioni in sette Länder tra marzo e settembre. Per la signora Merkel potrebbe essere una Caporetto.

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L’Autore giovanni boggero Si è occupato di questioni legate alla Germania per la Fondazione Magna-Carta, Il Riformista ed Il Foglio. è stato intern presso la Hannoversche Allgemeine Zeitung. Collabora con l’Aspen Institute Italia, l’Istituto Bruno Leoni e Formiche. .



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Sacrifici e coraggio: ecco la ricetta Cameron

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entre gli studenti protestano per l’aumento delle tasse universitarie, il governo liberal-conservatore continua il difficile cammino delle riforme per uscire dalla crisi. Nonostante i tagli in altri settori, però, Londra continua a puntare con convinzione su sanità, ricerca e ambiente. DI SILVIA ANTONIOLI 97

Il 10 novembre, a Londra, un gruppo di studenti e docenti si sono fatti strada, con la forza, dentro il quartier generale del partito conservatore inglese, nella torre Milbank sulla riva nord del Tamigi, nel cuore della città. Questo gruppo si era distaccato pochi minuti prima da un corpo di circa 50mila studenti e professori coinvolti in una marcia di protesta contro la coalizione formata dai Conservatori e dal Partito liberaldemocratico (Lib-Dem), alle redini del potere in Inghilterra dalla scorsa primavera. La marcia era stata intesa come una protesta pacifica, eppure è sfociata in imprevista violenza con tanto di atti di vandalismo e feriti. Simili proteste si sono ripetute in diverse città del Regno Unito nei mesi di novembre e dicembre.

Il 10 dicembre, l’ennesima protesta nel centro di Londra ha toccato un nuovo apice, con 200mila partecipanti, circa 50 feriti e più di 30 arresti. La macchina che conduceva Carlo d’Inghilterra e la consorte Camilla verso il London Palladium è stata attaccata dagli studenti a Regent Street. Il finestrino della macchina è stato frantumato e la duchessa è stata fisicamente aggredita con un bastone, secondo alcuni. La poverina deve aver pensato che l’episodio si sarebbe potuto trasformare in un vero e proprio linciaggio. Fortunatamente non èstato cosí. La rabbia ha però asssunto livelli a volte davvero spaventosi. Ma a cosa sono dovute queste proteste? Da dove provengono quest’ira e questa violenza? Il 9 dicembre il Parlamento in-


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glese ha votato a favore dell’au- poi detto orgoglioso di una riformento delle tasse universitarie da ma progressiva che permetterà di 3.290 sterline a 6.000 sterline, mantenere un’istruzione superioin alcuni casi particolari fino a re di alta qualità nel lungo ter9.000 sterline all’anno a partire mine. dal 2012. La mozione sarà poi Il malumore degli studenti ha le sue giustificazioni. La violenza no. votata nella camera dei Lord. Questa è solo una delle numerose Questa riforma permetterà a poco riforme che il governo Cameron meno del 25% degli studenti, cercherá di implementare in mo- quelli tra loro con un reddito fado da tagliare l’esorbitante debi- miliare inferiore alle 25mila sterto pubblico accumulato nel corso line all’anno, di pagare tasse unidegli ultimi anni e terribilmente versitarie leggermente inferiori a aggravato dalla crisi finanziaria quanto facevano in precedenza. Studenti con un reddito familiare del 2008-2009. «Non è giustio far pagare alla fino a 42mila sterline l’anno potranno accedere a prossima generaborse di studio. zione gli errori di L’azione di governo Quindi, effettivaaltri», ha detto la mente, la riforma segretaria di un di David Cameron sindacato degli punta a ridurre il debito segue un criterio di progressività. studenti arringanIl resto degli studo la folla in pro- pubblico, aggravato denti sarà sì cotesta. dalla crisi economica stretto a pagare coGli studenti si sono dimostrati indignati soprat- sti maggiori, ma le condizioni tutto dalla decisione dei parla- per rimborsare il prestito univermentari del partito Lib-Dem di sitario concesso dallo Stato una votare a favore di questa misura. volta entrati nel mondo del lavoNick Clegg, il carismatico leader ro sarà, anche in questo caso, più del partito, aveva promesso in progressivo che in precedenza. I campagna elettorale che si sareb- laureati cominceranno a ripagare be opposto ad ogni misura relati- il debito solo una volta raggiunto va all’aumento delle tasse univer- uno stipendio annuale superiore sitarie. Eppure il 9 dicembre ha alle 21mila sterline all’anno. Il votato a favore di questo provve- debito rimarrà senza interessi fino a che, e se, lo studente riceverà dimento. Anche Vince Cable, il Lib-Dem uno stipendio pari o superiore alministro dell’Industria del gover- le 40mila sterline all’anno, caso no Cameron, aveva promesso di in cui il debito maturerà un intevotare contro ogni aumento. Ma resse del 3% annuo. Ogni rimadopo aver dichiarato qualche nenza del debito sarà estinta dopo giorno prima del voto che forse 30 anni dalla laurea. si sarebbe astenuto, il 9 dicem- Votare questa mozione, andando bre ha votato a favore. Cable si è contro una promessa elettorale, è


ITALIA 2020 Silvia Antonioli

stato fino ad ora il più alto prez- i tagli necessari per il risanamenzo politico da pagare per i Lib- to dei conti ed il rilancio delDem. La loro astensione dal voto l’economia inglese. avrebbe causato la prima seria Il 20 ottobre il ministro delle Fiparalisi di un governo di coali- nanze, durante la revisione del zione su cui molti sono ancora budget, ha fornito maggiori dettagli sulle riforme che il suo goverscettici. E solo con un governo di coalizio- no si appresta a proporre. «Oggi ne unito sarà possibile implemen- è il giorno in cui il Regno Unito tare una serie di imponenti misu- fa marcia indietro dal baratro», re economiche che permettano al ha dichiarato il ministro. Regno Unito di riemergere dalla Di tagli ce ne sono davvero per crisi degli ultimi anni. Il governo tutti: dalle università al welfare, Cameron è entrato in carica in dalle pensioni dei parlamentari uno dei momenti più difficili del- alla regina stessa. l’ultimo decennio per l’Inghilter- Ogni dipartimento ministeriale dovrà mirare a tara, con le casse gli della spesa pari pubbliche quasi Tagli per 81 miliardi: al 19% in media, vuote, il debito ai secondo i calcoli massimi storici ed ecco la ricetta shock del ministro. una ripresa econo- per rimettere Tra le riforme più mica fragile. importanti e più George Osborne, il l’economia inglese contestate, ci sono neoeletto ministro in carreggiata quelle del welfare delle Finanze del governo Cameron, aveva annuncia- e della pubblica amministrazioto sin da giugno scorso un piano ne, in aggiunta alla riforma delambizioso: ridurre la spesa pubbli- l’istruzione superiore. ca di 81 miliardi di sterline per ta- I fondi per la sanità, gli aiuti ingliare il debito pubblico pari al ternazionali, la ricerca e i fondi 10,1% del Pil quest’anno, al 2,1% per l’ecologia, invece, sono rimadel Pil nell’anno fiscale 2014- sti immuni dalle decurtazioni o addirittura rimpinguati. 2015, ovvero a fine legislatura. Osborne aveva reso noto che la Per il welfare, che rappresenta riduzione del bilancio avrebbe quasi un terzo della spesa pubblipesato per due terzi sui tagli alla ca del governo del Regno Unito, spesa e solo per un terzo sull’au- Osborne ha proposto un taglio di 18 miliardi di sterline, da ragmento di tasse. La reazione al suo annuncio di giungere entro il 2014-2015. giugno era stata piuttosto positi- Questo sarà implementato tramiva, inaspettatamente mite, consi- te una riduzione di contributi di derando i sacrifici che comporta- vario tipo, tra i quali un limite va. Eppure sembrava che la mag- di un anno per le indennitá di gior parte della popolazione malattia e limiti ai contributi avesse in qualche modo accettato per gli alloggi.

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Sarà anche introdotto un limite che ci saranno anche dei licenziasui contributi ai nuclei familiari menti. Alcuni dei quango, orgaper fare in modo che nessuna fa- nismi semi-indipendenti finanmiglia possa ricevere somme su- ziati dal governo, saranno aboliperiori a quanto la stessa guade- ti. Degli asset del governo sarangnarebbe se i suoi membri lavo- no venduti ed altri integrati. I rassero. Osborne ha sottolineato fondi dei comuni subiranno forti che le nuove riforme daranno un riduzioni. L’età pensionabile sarà elevata prima del previsto: a 66 incentivo al lavoro. Il sistema ha fino ad ora fallito, anni entro il 2020. I contributi intrappolando milioni di persone degli impiegati statali aumentee spingendole a dipendere da ranno del 3%. contributi per tutta la vita sem- Il ministero degli Interni e il miplicemente perché lavorare paga nistero della Giustizia vedranno calare i fondi a loro disposizione di meno. I tagli sul welfare hanno fatto di- del 23% in 4 anni. Il budget delle forze dell’ordine chiarare ad alcuni diminuira del 4% membri dell’op- Nei prossimi quattro all’anno ed il fiposizione che la nanziamento delle riforma del budget anni verranno tagliati forze anti-terroripeserà più grave- 500mila posti pubblici smo scenderà in mente sui meno misura leggermenabbienti. Ma il anche con l’aumento te inferiore. governo ha rispo- dell’età pensionabile I sussidi per i trasto che cercherà per lo più di limitare gli sprechi. sporti pubblici scenderanno ed i Del resto, questo settore assorbe viaggiatori potrebbero vedere augran parte della spesa pubblica mentate le tariffe di circa il 10% ed evitare o minimizzare tagli di nei prossimi 4 anni. questo tipo avrebbe voluto dire Fortunatamente non ci sono solo che tutti gli altri dipartimenti tagli nel budget 2010. avrebbero dovuto subire detra- I Tories hanno tenuto fede ad una zioni molto superiori a quelle promessa elettorale: quella di proteggere la sanità. Una mossa, previste. La Pubblica Amministrazione questa, che alcuni hanno criticasubirà una decurtazione di 6 mi- to dato che sotto il governo labuliardi di sterline nel corso della rista questo settore ha subito amlegislatura. Quasi mezzo millio- pli incrementi. Evitare tagli qui, ne di posti pubblici saranno eli- vuol dire colpire più duramente minati nei prossimi 4 anni, in altrove. una delle misure definite più Il governo ha deciso di protegger drastiche dal ministro stesso, il le scuole, incrementando i fondi quale ha spiegato che la maggior di 4 miliardi di sterline mentre parte dei tagli avverrà tramite il il budget per le università diminaturale turnover ma ha chiarito nuirà.


ITALIA 2020 Silvia Antonioli

Downing Street ha anche deciso di continuare ad investire in nuove infrastrutture: 30 miliardi finanzieranno nuovi progetti nel mondo dei trasporti. Uno tra questi è il Crossrail a Londra, la costruzione di vitali reti ferroviare per snellire il traffico della capitale inglese. Osborne ha anche previsto aumenti per gli aiuti internazionali per tenere fede agli impegni precedentemente presi che prevedevano fondi pari allo 0,7% del Pil. L’esecutivo immetterà inoltre capitali per progetti per l’ambiente e l’energia. Un miliardo di sterline sarà investito per un progetto sperimentale per una centrale elettrica alimentata da carbone verde, la quale permetterà di ridurre le emissioni di gas serra. Altri fondi saranno dedicati all’istituzione di una banca per l’investimento ambientale (Green Investment Bank), per lo sviluppo di energia eolica off-shore e per incentivi all’utilizzo di energia alternativa. Riforme e tagli notevoli eppure non sufficienti a colmare il debito pubblico e così il governo si è trovato costretto a proporre aumenti di alcune tasse, cercando allo stesso tempo di non deprimere l’economia. Osborne ha annunciato un aumento dell’Iva dal 17,5% al 20% a partire da gennaio 2011. Ha implementato un incremento dell’imposta sulle plusvalenze dal 18% al 25% per i redditi più alti, lasciando l’imposta invariata per coloro che hanno redditi medi e bassi. Ha previsto una nuova

FOCUS

I big europei chiedono più rigore nel bilancio Un documento firmato dai big dell’Unione europea indirizzato al presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, per chiedere il congelamento del budget Ue. La lettera è firmata dal primo ministro inglese, David Cameron, dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, e dal presidente francese Nicolas Sarkozy, insieme al primo ministro olandese Mark Rutte e dal premier finlandese Mari Kiviniemi. Tra i firmatari del documento non c’è l’Italia. Il nostro paese, infatti, pur condividendo l’esigenza di rigore per il bilancio comunitario, avrebbe espresso perplessità dovute principalmente al rischio di un mancato rispetto delle prerogative della Commissione, che il prossimo giugno formulerà le sue proposte sul bilancio. Nella lettera inviata a Barroso, Cameron, Merkel e Sarkozy chiedono che la spesa per il budget comunitario dal 2014 al 2020 sia più contenuta: in particolare, l’aumento annuale del bilancio Ue dovrà essere inferiore al tasso dell'inflazione. I paesi membri, spiegano i firmatari del documento, non possono infatti permettersi un aumento delle tasse in questo momento di grave crisi economica nel quale i cittadini sono già costretti a enormi sacrifici. Gran Bretagna, Germania e Francia sottolineano infatti che il budget comunitario 2014-2020 arriva in un momento in cui i 27 paesi membri stanno facendo degli sforzi straordinari per mantenere debito e deficit su un livello sostenibile. Le finanze europee “non possono non tenere conto” di questi sforzi.

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tassa sulle banche tramite la quale si aspetta di riscuotere 8,3 miliardi di sterline in 4 anni. Il Partito laburista ha fatto pressioni sul governo per aumentare tale imposta ma il ministro delle Finanze sta cercando di normalizzare il rapporto tra governo e banche. «Vogliamo che le banche contribuiscano giustamente ma allo stesso modo non vogliamo che vadano all’estero», ha spiegato il ministro delle Finanze, puntualizzando che centinaia di migliaia di posti di lavoro nel Regno Unito dipendono dalla competitività del paese nel settore finanziario. Per evitare un esodo delle imprese verso paesi con regimi fiscali più vantaggiosi, ha reso noto che metterà in atto una sostanziale alleggerimento del regime fiscale societario. L’imposta sulle imprese scenderà dal 28% attuale, al 24% entro il 2014. Questa misura, valutata positivamente da esperti in materia fiscale e dalle imprese, permetterà di porre fine, o per lo meno rallentare, l’esodo. Ma sarà abbastanza per supportare la fragile ripresa? Il compito del governo è chiaro: risanare il debito, supportare l’economia e soddisfare l’elettorato. Più facile a dirsi che a farsi. Applicare tagli e stimolare l’economia allo tempo stesso è una missione quasi impossibile. È un sottile gioco di equilibri ed ogni mossa sbagliata potrebbe provocare rivolte e risentimenti. Il problema è che anche le mosse

giuste potrebbero causare disordini. Il pubblico inglese sembra ora molto più suscettibile rispetto all’estate scorsa. Le proteste continueranno per molti mesi, non c’è dubbio. Nuove elezioni però sono lontane e il nuovo governo può permettersi ora di mettere in atto le misure piu dolorose nel breve termine, convinto com’è che porteranno beneficio nel medio-lungo termine. Il successo di Cameron & co. si misurerà in ultima istanza sull’unità della coalizione e sulla capacità di implentare con successo queste riforme .

L’Autore silvia antonioli Corrispondente per l’agenzia di stampa Reuters. Esperta di politica e cultura dell’America Latina, lavora come commodities’ markets reporter per la casa editrice Euromoney.




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La risposta francese alla crisi

Parigi riparte. Prima degli altri Il sistema sociale ed economico francese ha resistito agli effetti della recessione meglio di altri paesi, grazie alla tenuta dei consumi e agli stimoli del governo. E iniziano a farsi sentire anche gli effetti benefici del piano di investimenti varato da Sarkozy. DI RODOLFO BASTIANELLI

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In questi mesi si è molto discusso su quali soluzioni si dovessero adottare per fronteggiare la grave crisi finanziaria che sta mettendo a rischio la stabilità e lo stesso futuro dell’economia europea. Le tensioni causate prima dall’elevato disavanzo pubblico greco che hanno portato Atene sull’orlo del default, poi dalla situazione debitoria delle banche irlandesi risoltasi con la concessione di un prestito di oltre 85 miliardi di euro a Dublino ed infine dalla possibile espansione anche al Portogallo ed alla Spagna, hanno fatto discutere se la via da seguire fosse esclusivamente quella del rigore nei conti pubblici, oppure se questa si potesse perseguire senza rinunciare all’introduzione di provvedimenti che siano in grado di favorire la crescita. Un esempio di come si può unire il varo

di una severa politica di stabilità all’applicazione di misure di stimolo all’economia viene dalla Francia, dove Sarkozy due anni fa ha introdotto un pacchetto di disposizioni per favorire la ripresa. Il quadro economico francese e le misure di rilancio varate dal governo

A differenza di quanto accaduto altrove, l’economia della Francia ha retto l’impatto della recessione e della crisi finanziaria che ha colpito il sistema internazionale negli ultimi tre anni. Questo è stato dovuto sia alla sostanziale tenuta dei consumi che alla politica di stimoli attuata dal governo che ha mitigato gli effetti della contrazione economica globale. Inoltre, le banche francesi, pur se esposte verso quei paesi considerati a rischio, si sono co-


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munque confermate solide da- endosi, Sarkozy nel dicembre di vanti alle turbolenze dei mercati, due anni fa ha varato un piano di come confermato dal superamen- rilancio per il biennio 2009to degli stress test da parte dei 2010 da 26 miliardi di euro inquattro principali istituti di cre- centrato sugli investimenti. Dadito del paese. Il rallentamento vanti alla prospettiva di una reha pesato soprattutto sulla disoc- cessione globale i cui effetti si cupazione, passata dal 7,4% del annunciavano pesanti, Parigi ha 2008 a quasi il 10% di quest’an- pensato che la soluzione migliore no, la quale ha colpito principal- fosse quella di stimolare l’economente le fasce più giovani della mia nazionale favorendo la reapopolazione e questo in un paese lizzazione di una serie di progetti dove già in precedenza i livelli di e questo anche a costo di gravare occupazione giovanile restavano sul deficit pubblico. Ed alle critisensibilmente inferiori a quelli che avanzate da alcuni economisti degli altri membri dell’Ocse. per cui il piano presentato avrebbe comportato un Non va però diaumento del rapmenticato come I sistemi di protezione porto deficit/Pil, il in Francia i sistegoverno francese mi di protezione sociale sono riusciti ha risposto sostesociale siano co- a controllare nendo che il magmunque riusciti a gior tasso di crescicontrollare le con- le conseguenze ta realizzato grazie seguenze negative negative della crisi alle misure contedella congiuntura, tanto che nel paese, secondo le nute nel provvedimento avrebbe stime, il livello di persone espo- agevolato il rientro entro i paraste al rischio della povertà a cau- metri fissati dall’Unione europea, sa della crisi resta decisamente sottolineando inoltre come in un inferiore rispetto alle altre econo- quadro di stagnazione il varo di misure restrittive poteva avere efmie sviluppate. Tuttavia, come sottolineano gli fetti negativi sull’economia e faanalisti, il sistema degli aiuti ga- vorire una spirale deflazionista e rantiti dal welfare francese, se da depressiva. I punti salienti del un lato funziona come valido piano illustrato da Sarkozy incluammortizzatore in momenti di dono misure per la realizzazione frenata dell’economia, dall’altro, di diverse infrastrutture – tanto proprio per la sua generosità, che le aziende pubbliche francesi presenta il difetto di aver creato vedranno incrementato il loro una fascia di “assistiti” dallo Sta- budget di circa il 35% rispetto al to per i quali risulta più vantag- 2008 – piani per la costruzione gioso ricevere gli aiuti che inse- di alloggi unitamente a misure rirsi sul mercato del lavoro. In tese a favorire l’occupazione ed a questo contesto e con un quadro sostenere la ricerca e l’istruzione. economico che stava già contra- Riguardo al primo punto è pre-


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L’economia francese negli ultimi quattro anni

Fonte: Fondo Monetario Internazionale, Economist Intelligence Unit, Standard & Poor’s

visto che l’azienda elettrica Edf si impegni non solo nel miglioramento della rete di distribuzione al fine di rispondere meglio alle richieste degli utenti, ma anche nella produzione di energie rinnovabili, mentre allo stesso modo il gruppo Gaz de France (Gdf) avvierà un programma di ammodernamento dei suoi sistemi, investendo nella realizzazione una cifra pari a 200 milioni di euro. Ma sono soprattutto le ferrovie a rivestire un posto di primo piano nei programmi di rilancio dell’economia espressi dall’Eliseo, dato che, stando a quanto previsto nel piano, ai fondi già stanziati per la Sncf si aggiungeranno altri 300 milioni di euro per consentire la costruzione di nuove stazioni e migliorare i sistemi di informazione. Un’analoga attenzione è stata poi rivolta alle grandi opere pubbliche che dovrebbero portare alla realizzazione di quattro nuove linee ferroviarie ad alta velocità, alla costruzione del canale Seine Nord per agevolare i traffici commerciali tra Francia, Belgio, Olanda e Germania ed alla modernizzazione delle arterie stradali.

E proprio per consentire a questi progetti di prendere il via, il governo, davanti ad un quadro in cui l’accesso al credito per le imprese stava diventando problematico, ha deciso di attingere al fondo di risparmio della Casse de Depôts et Consignations, la quale può concedere dei finanziamenti alle società interessate a presentare un progetto ed agli enti locali che intendono sostenerne la realizzazione, nonché facilitare alle aziende il rimborso dei crediti d’imposta ed accelerare il pagamento delle commesse da parte dell’amministrazione statale per quelle piccole e medie imprese che hanno contratti di appalto militari. Anche l’edilizia e l’industria automobilistica, particolarmente esposte agli effetti negativi in questa difficile fase congiunturale, sono tra i settori verso i quali si è concentrato il piano dell’Eliseo. Per ridare slancio alle imprese del comparto immobiliare, il governo ha prima stanziato oltre 600 milioni di euro per agevolare la ristrutturazione ed il rinnovamo degli edifici urbani, poi un’ulteriore somma di 200 mi-

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lioni per la costruzione di edifici tate le pensioni minime per gli popolari, mentre per agevolare anziani che si trovano in condil’acquisto di nuove abitazioni il zioni svantaggiate mentre la perpiano prevede la possibilità di centuale dell’assegno per quelle ottenere dei prestiti a tasso zero di reversibilità dovrebbe aumenper coprire fino ad un terzo del tare dal 54% al 60% entro il prezzo dell’immobile. Riguardo 2010. Il varo di questo pacchetto invece alle aziende automobili- di stimolo per l’economia tuttastiche, il cui peso riveste un’im- via non significa che la Francia portanza fondamentale nell’eco- non abbia prestato attenzione nomia nazionale, le misure intro- all’equilibrio dei conti pubblici. dotte vanno dai contributi alla Le tensioni sui mercati causate rottamazione per l’acquisto di dalle crisi finanziarie di alcuni nuove vetture ecologiche unita- paesi europei hanno infatti spinmente al sostegno per le banche to il governo francese a presentafinanziatrici dei due maggiori re un piano di austerity del valore di oltre 100 migruppi industriali liardi di euro per R e n a u l t e P s a Il governo francese ridurre il rapporto Peugeot Citroën. Nelle intenzioni ha presentato un piano deficit/Pil dall’8% al 3% nei prossimi di Sarkozy le mi- da 100 miliardi tre anni. Le misure sure a sostegno previste per contedel mondo im- per ridurre il rapporto nere il disavanzo prenditoriale do- deficit/Pil al 3% includono il convrebbero portare poi anche ad una ripresa dell’oc- gelamento delle spese statali ed cupazione, per favorire la quale il il taglio di centomila dipendenti pacchetto ha introdotto la totale pubblici nel prossimo triennio esenzione dalle imposte aziendali unitamente all’eliminazione di per le imprese con meno di dieci alcune esenzioni fiscali precedendipendenti che procederanno a temente concesse, anche se il predelle assunzioni, subordinando mier Fillon ha escluso che si properò la concessione degli incenti- cederà ad un rialzo delle imposte vi all’impegno da parte degli im- in quanto questo potrebbe avrebprenditori a non delocalizzare i be effetti negativi sulla ripresa, loro impianti in quei paesi dove mentre un ulteriore effetto posiil costo del lavoro risulta inferio- tivo sui conti dovrebbe arrivare dalla riforma delle pensioni rere a quello francese. Infine, nel documento dell’Eliseo centemente approvata dal Parlanon manca l’attenzione alle pro- mento. Ma per la realizzazione blematiche sociali, un tema que- degli obiettivi del piano di risasto che assume una particolare ri- namento, sarà fondamentale raglevanza nelle fasi di stagnazione giungere un tasso di crescita sueconomica. Secondo quanto fissa- periore al 2% annuo, una stima to dal piano, saranno incremen- ritenuta però da diversi economi-


ITALIA 2020 Rodolfo Bastianelli

sti quantomai ottimistica, visto il probabile rallentamento della ripresa. In questi anni si è spesso parlato della Francia sia per le proposte politiche che per le soluzioni economiche avanzate Oltralpe, anche se non sono mancati i critici che hanno parlato di “declino” del modello francese. In realtà, ad una più attenta analisi, la situazione si presenta invece assai più complessa. Perché se da un lato è vero che il quadro francese presenta alcuni elementi negativi tra cui uno dei più bassi livelli di occupazione nell’Unione europea ed uno dei più corti orari di lavoro tra i paesi industrializzati uniti alla presenza di un regime fiscale non certo vantaggioso per gli investimenti esteri, dall’altro è però innegabile che la Francia già dagli anni Settanta sia stata all’avanguardia nella realizzazione di grandi opere pubbliche ed importanti infrastrutture, ricavi l’80% del suo fabbisogno energetico dall’energia nucleare ed abbia aziende di primo piano nei settori delle comunicazioni e della tecnologia. Non va poi dimenticato come la Francia abbia sempre posto una particolare attenzione alla cultura utilizzandola anche come strumento della sua politica estera, come dimostra la decisione presa su iniziativa di Parigi nel 1970 di istituire l’Organizzazione internazionale della francofonia, un organismo che raggruppa oltre cinquanta Stati e che si propone di valorizzare l’identità e la lingua francese nel mondo. Gli anni della grandeur appartengono forse

al passato. Ma la Francia resta tuttora la quinta potenza economia mondiale ed uno degli attori principali della scena politica internazionale.

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L’Autore rodolfo bastianelli Esperto di questioni internazionali, collabora con la rivista dello Stato Maggiore della Difesa Informazioni della difesa. Collabora inoltre con Liberal, Affari esteri, Rivista marittima ed il periodico dello Iai Affari internazionali. Ha collaborato anche con Ideazione e la rivista Acque&Gerre.


gli strumenti di

2011-2020, è il decennio della svolta necessaria. L’Italia e l’Europa non possono più perdere tempo. Dopo i primi dieci anni del secolo, persi tra crisi economiche e tensioni internazionali, terrorismo e bolle finanziarie, il Vecchio continente non può più permettersi di sbagliare. Ecco, allora, che Roma e Bruxelles lanciano piani di azione decennali, attraverso i quali raggiungere obiettivi socioeconomici non più procrastinabili. Europa 2020, che subentra alla fallita Strategia di Lisbona, è un piano organico e variegato, con obiettivi a lungo termine molto ambiziosi. Italia 2020, invece, è un provvedimento elaborato di concerto dai ministeri del Lavoro e dell’Istruzione, indirizzato esclusivamente ai giovani, per garantire loro un più facile accesso nel mondo del lavoro. Due strategie ambiziose e difficili da portare a termine ma che, a quanto pare, non ammettono fallimenti.


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EUROPA 2020 Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva

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1. UNA FASE DI TRASFORMAZIONE La crisi ha vanificato i nostri recenti progressi La recente crisi economica è un fenomeno senza precedenti per la nostra generazione. I progressi costanti dell’ultimo decennio in termini di crescita economica e creazione di posti di lavoro sono stati completamente annullati: il nostro Pil è sceso del 4% nel 2009, la nostra produzione industriale è tornata ai livelli degli anni ‘90 e 23 milioni di persone, pari al 10% della nostra popolazione attiva, sono attualmente disoccupate. Oltre a costituire uno shock enorme per milioni di cittadini, la crisi ha evidenziato alcune carenze fondamentali della nostra economia e ha reso molto meno incoraggianti le prospettive di una crescita economica futura. La situazione ancora fragile del nostro sistema finanziario ostacola la ripresa, viste le difficoltà incontrate da famiglie e imprese per ottenere prestiti, spendere e investire. Le finanze pubbliche hanno subito un forte deterioramento, con deficit medi pari al 7% del Pil e livelli di debito superiori all’80% del Pil: due anni di crisi hanno cancellato un ventennio di risanamento di bilancio. Durante la crisi il nostro potenziale di crescita si è dimezzato. Un gran numero di piani d’investimento, talenti e idee rischia di andare perso per le incertezze, la stasi della domanda e la mancanza di finanziamenti.

Le carenze strutturali dell’Europa sono state messe in evidenza Uscire dalla crisi è certamente la priorità immediata, ma è ancora più importante non cercare di tornare alla situazione precedente alla crisi. Anche prima della crisi, c’erano molti settori in cui l’Europa non progrediva con sufficiente rapidità rispetto al resto del mondo: il tasso medio di crescita dell’Europa era strutturalmente inferiore a quello dei nostri principali partner economici, in gran parte a causa del divario di produttività che si è andato accentuando nell’ultimo decennio. Il fenomeno è largamente dovuto alle differenze tra le imprese, a cui si aggiungono investimenti di minore entità nella R&S e nell’innovazione, un uso insufficiente delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la riluttanza all’innovazione di alcuni settori delle nostre società, ostacoli all’accesso al mercato e un ambiente imprenditoriale meno dinamico; nonostante i progressi registrati, i tassi di occupazione in Europa – 69% in media per le persone di età compresa tra 20 e 64 anni – sono ancora nettamente inferiori rispetto ad altre parti del mondo. Solo il 63% delle donne lavora contro il 76% degli uomini. Solo il 46% dei lavoratori più anziani (55-64 anni) è ancora in attività, contro più del 62% negli Stati Uniti e in Giappone. Inoltre, le ore lavorative degli Europei sono inferiori del 10%, in media, a quelle dei loro omologhi statunitensi o giapponesi; l’invecchiamento della popolazione si sta accelerando. Con l’ondata di pensionamenti dei figli del baby boom, la popola-


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zione attiva dell’Ue inizierà a diminuire dal 2013/2014. Attualmente il numero di ultrasessantenni aumenta a una velocità doppia rispetto a prima del 2007 (circa due milioni in più ogni anno contro un milione in precedenza). La diminuzione della popolazione attiva e l’aumento del numero di pensionati eserciteranno una pressione supplementare sui nostri sistemi assistenziali.

Le sfide globali si accentuano L’Europa deve cercare di ovviare alle proprie carenze strutturali in un mondo in rapida evoluzione, che per la fine del prossimo decennio avrà subito una trasformazione radicale. Le nostre economie sono sempre più interdipendenti. L’Europa continuerà a trarre vantaggio dal fatto che la sua economia è una delle più aperte del mondo, ma dovrà far fronte alla concorrenza in aumento delle economie sviluppate e emergenti. Paesi come la Cina o l’India stanno investendo massicciamente nella ricerca e nella tecnologia per far salire le loro industrie nella catena del valore e “irrompere” (prepotentemente) nell’economia mondiale. Questo mette a dura prova la competitività di certi settori della nostra economia, ma ogni minaccia rappresenta al tempo stesso un’opportunità. A mano a mano che questi paesi si sviluppano, si apriranno nuovi mercati per molte imprese europee. Le finanze mondiali hanno ancora bisogno di misure correttive. La disponibilità di “credito facile”, la tendenza a pensare a breve termine e l’assunzione di rischi eccessivi sui mercati finanziari di tutto il mondo hanno incoraggiato un comportamento speculativo,

dando luogo a una crescita alimentata da bolle speculative e a notevoli squilibri. L’Europa sta cercando soluzioni globali da cui scaturisca un sistema finanziario efficiente e sostenibile. Le sfide relative al clima e alle risorse richiedono misure drastiche. La forte dipendenza dai combustibili fossili, come il petrolio, e l’uso inefficiente delle materie prime espongono i nostri consumatori e le nostre imprese a dannosi e costosi shock dei prezzi, minacciando la nostra sicurezza economica e contribuendo al cambiamento climatico. L’espansione della popolazione mondiale da 6 a 9 milioni di persone accentuerà la concorrenza mondiale per le risorse naturali ed eserciterà pressioni sull’ambiente. L’Ue deve intensificare i contatti con altre parti del mondo per cercare una soluzione globale ai problemi connessi al cambiamento climatico attuando al tempo stesso la strategia per il clima e l’energia in tutto il suo territorio.

L’Europa deve agire per evitare il declino Possiamo trarre diversi insegnamenti dalla crisi: le 27 economie dell’Ue sono estremamente interdipendenti: la crisi ha evidenziato gli stretti collegamenti e le ricadute tra le nostre economie nazionali, specialmente nell’area dell’euro. Le riforme (o la mancanza di riforme) in un paese hanno ripercussioni sulla situazione di tutti gli altri, come dimostrano i recenti avvenimenti; a causa della crisi e dei notevoli vincoli a livello di spesa pubblica, inoltre, è ora più difficile per gli Stati membri erogare finanziamenti sufficienti per le infrastrutture di base di cui hanno bisogno in settori come i trasporti e

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l’energia, non solo per sviluppare le proprie economie, ma anche per aiutarle a partecipare pienamente al mercato interno. Il coordinamento nell’Ue funziona: la risposta alla crisi è la prova che un’azione concertata a livello dell’Unione risulta nettamente più efficace, come abbiamo dimostrato mediante l’azione comune volta a stabilizzare il sistema bancario e l’adozione di un piano europeo di ripresa economica. In un mondo globale, nessun paese può affrontare efficacemente le sfide se agisce da solo. L’Ue conferisce un valore aggiunto sulla scena mondiale. L’Ue influirà sulle decisioni politiche mondiali solo se agirà all’unisono. Il potenziamento della nostra rappresentanza esterna dovrà andare di pari passo con un maggiore coordinamento interno. La crisi non è stata solo un episodio isolato, tale da consentirci un ritorno alla precedente normalità. Le sfide a cui si trova di fronte l’Unione sono più temibili rispetto al periodo che ha preceduto la recessione, mentre il nostro margine di manovra è limitato. Per di più, il resto del mondo non rimane certo fermo a guardare. Il ruolo rafforzato del G20 ha dimostrato il sempre maggior potere economico e politico delle economie emergenti. L’Europa si trova di fronte a scelte chiare ma difficili. Possiamo affrontare insieme la sfida immediata della ripresa e le sfide a lungo termine (globalizzazione, pressione sulle risorse, invecchiamento della popolazione) in modo da compensare le recenti perdite, riacquistare competitività e porre le basi per una curva crescente di prosperità nell’Ue (“ripresa sostenibile”). L’altra possibilità è proseguire le riforme a

un ritmo lento e scarsamente coordinato, nel qual caso rischiamo, a termine, una perdita permanente di ricchezza, un debole tasso di crescita (“ripresa fiacca”), livelli di disoccupazione elevati accompagnati da disagio sociale e da un relativo declino sulla scena mondiale (“un decennio andato in fumo”).

L’Europa ce la può fare L’Europa vanta molti punti di forza: possiamo contare sul talento e sulla creatività dei nostri cittadini, su una solida base industriale, su un terziario dinamico, su un settore agricolo prospero e di alta qualità, su una forte tradizione marittima, sul nostro mercato unico e sulla moneta comune, così come sulla nostra posizione come primo blocco commerciale del mondo e principale destinataria degli investimenti esteri diretti. Ma possiamo contare anche, ad esempio, sui nostri forti valori e sulle nostre solide istituzioni democratiche, sulla nostra considerazione per la coesione e la solidarietà economica, sociale e territoriale, sul nostro rispetto dell’ambiente, sulla nostra diversità culturale e sul rispetto della parità fra i sessi. Molti dei nostri Stati membri figurano tra le economie più innovative e sviluppate del mondo, ma per ottenere i migliori risultati l’Europa deve agire in modo collettivo, in quanto Unione. L’Ue e i suoi Stati membri hanno sempre raccolto le sfide poste in passato dagli avvenimenti di maggiore rilievo. Negli anni ‘90 l’Europa ha lanciato il mercato unico più vasto del mondo, sostenuto da una moneta comune. Solo pochi anni fa, l’adesione di nuovi Stati membri ha mes-


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so fine alla divisione dell’Europa, mentre altri paesi iniziavano il percorso verso l’adesione o verso relazioni più strette con l’Unione. Negli ultimi due anni, le misure comuni adottate al culmine della crisi mediante il piano europeo di ripresa hanno contribuito a scongiurare il tracollo economico, mentre i nostri sistemi assistenziali hanno attenuato in parte le conseguenze negative per i cittadini. L’Europa è capace di agire in tempo di crisi e di adeguare le sue economie e società. Oggi gli Europei si accingono ancora una volta a vivere una fase di trasformazione per far fronte all’impatto della crisi, alle carenze strutturali del nostro continente e all’accentuarsi delle sfide globali. In tale contesto, la nostra uscita dalla crisi deve segnare il nostro ingresso in una nuova economia. Per garantire alla nostra generazione e a quelle future una vita in salute e di ottima qualità, sostenuta dai modelli sociali unici dell’Europa, dobbiamo agire. Abbiamo bisogno di una strategia che trasformi l’Ue in un’economia intelligente, sostenibile e inclusiva caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. La strategia Europa 2020 risponde a questa esigenza. Questo programma, destinato a tutti gli Stati membri, tiene conto delle diverse esigenze, dei diversi punti di partenza e delle diverse specificità nazionali, al fine di promuovere la crescita per tutti. 2. UNA CRESCITA INTELLIGENTE, SOSTENIBILE E INCLUSIVA Che Europa vogliamo nel 2020? Europa 2020 deve essere incentrata su tre priorità1: crescita intelligente – svilup-

pare un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione; crescita sostenibile – promuovere un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva; crescita inclusiva – promuovere un’economia con un alto tasso di occupazione, che favorisca la coesione economica, sociale e territoriale. Queste tre priorità, che si rafforzano a vicenda, delineano un quadro dell’economia di mercato sociale europea per il XXI secolo. È opinione diffusa che l’Ue debba concordare un numero limitato di obiettivi principali per il 2020 onde guidare i nostri sforzi e i nostri progressi. Questi obiettivi devono rispecchiare il tema di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Devono essere misurabili, riflettere la diversità delle situazioni degli Stati membri e basarsi su dati sufficientemente attendibili da consentire un confronto. Su queste basi sono stati selezionati i seguenti traguardi, la cui realizzazione sarà fondamentale per il nostro successo da qui al 2020: il tasso di occupazione delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni dovrebbe passare dall’attuale 69% ad almeno il 75%, anche mediante una maggior partecipazione delle donne e dei lavoratori più anziani e una migliore integrazione dei migranti nella popolazione attiva; l’obiettivo attuale dell’Ue per gli investimenti in R&S, pari al 3% del Pil, è riuscito a richiamare l’attenzione sulla necessità di investimenti pubblici e privati, ma più che sul risultato si basa sui mezzi utilizzati per raggiungerlo. È chiara l’esigenza di migliorare le condizioni per la R&S privata nell’Ue, cosa che molte delle misure pro-

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poste nella presente strategia faranno. È altrettanto evidente che mettendo insieme R&S e innovazione amplieremmo la portata della spesa, che diventerebbe più mirata verso le operazioni commerciali e i fattori di produttività. La Commissione propone di mantenere l’obiettivo al 3% definendo al tempo stesso un indicatore tale da riflettere l’intensità in termini di R&S e innovazione; ridurre le emissioni di gas a effetto serra almeno del 20% rispetto ai livelli del 1990 o del 30%, se sussistono le necessarie condizioni2; portare al 20% la quota delle fonti di energia rinnovabile nel nostro consumo finale di energia e migliorare del 20% l’efficienza energetica; un obiettivo in termini di livello d’istruzione che affronti il problema dell’abbandono scolastico riducendone il tasso dall’attuale 15% al 10% e aumentando la quota della popolazione di età compresa tra 30 e 34 anni che ha completato gli studi superiori dal 31% ad almeno il 40% nel 2020; il numero di Europei che vivono al di sotto delle soglie di povertà nazionali dovrebbe essere ridotto del 25%, facendo uscire dalla povertà più di 20 milioni di persone3. Questi traguardi sono connessi tra di loro. Livelli d’istruzione più elevati, ad esempio, favoriscono l’occupazione e i progressi compiuti nell’aumentare il tasso di occupazione contribuiscono a ridurre la povertà. Una maggior capacità di ricerca e sviluppo e di innovazione in tutti i settori dell’economia, associata ad un uso più efficiente delle risorse, migliorerà la competitività e favorirà la creazione di posti di lavoro. Investendo in tecnologie più pulite a basse emissioni di carbonio si proteggerà

l’ambiente, si contribuirà a combattere il cambiamento climatico e si creeranno nuovi sbocchi per le imprese e nuovi posti di lavoro. La nostra attenzione collettiva deve concentrarsi sul raggiungimento di questi traguardi. Occorreranno una leadership forte, un impegno adeguato e un meccanismo di realizzazione efficace per modificare atteggiamenti e prassi nell’Ue onde ottenere i risultati sintetizzati in questi obiettivi. Questi obiettivi sono rappresentativi, non limitativi, e danno un’idea generale della misura in cui, secondo la Commissione, l’Ue dovrebbe essersi conformata ai parametri principali da qui al 2020. Questi obiettivi non rappresentano un approccio unico, “valido per tutti”. Ciascuno Stato membro è diverso e l’Ue a 27 è meno omogenea di quanto non fosse dieci anni fa. Nonostante le disparità in termini di livelli di sviluppo e tenore di vita, la Commissione ritiene che i traguardi proposti si adattino a tutti gli Stati membri, vecchi e nuovi. Gli investimenti in ricerca e sviluppo, innovazione, istruzione e tecnologie efficienti sotto il profilo delle risorse comporteranno vantaggi per i settori tradizionali, per le zone rurali e per le economie di servizi altamente specialistici, rafforzando la coesione economica, sociale e territoriale. Per garantire che ciascuno Stato membri adatti la strategia Europa 2020 alla sua situazione specifica, la Commissione propone che questi traguardi dell’Ue siano tradotti in obiettivi e percorsi nazionali onde rispecchiare la situazione attuale di ciascuno Stato membro e il livello di ambizione che è in grado di raggiungere nell’ambito di uno sforzo globale


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su scala Ue per conseguire questi traguardi. In aggiunta alle iniziative degli Stati membri, la Commissione proporrà un’ambiziosa serie di azioni a livello di Ue volte a porre nuove basi, più sostenibili, per la crescita. Le misure a livello di Ue e quelle nazionali dovrebbero rafforzarsi a vicenda.

Crescita intelligente – un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione Una crescita intelligente è quella che promuove la conoscenza e l’innovazione come motori della nostra futura crescita. Ciò significa migliorare la qualità dell’istruzione, potenziare la ricerca in Europa, promuovere l’innovazione e il trasferimento delle conoscenze in tutta l’Unione, utilizzare in modo ottimale le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e fare in modo che le idee innovative si trasformino in nuovi prodotti e servizi tali da stimolare la crescita, creare posti di lavoro di qualità e contribuire ad affrontare le sfide proprie della società europea e mondiale. Per raggiungere lo scopo, tuttavia, la nostra azione deve essere associata a imprenditoria, finanziamenti e un’attenzione particolare per le esigenze degli utenti e le opportunità di mercato. L’Europa deve agire sui seguenti fronti: innovazione: la spesa europea per l’R&S è inferiore al 2%, contro il 2,6% negli Stati Uniti e il 3,4% in Giappone, soprattutto a causa dei livelli più bassi di investimenti privati. Non contano soltanto gli importi assoluti spesi in R&S: l’Europa deve concentrarsi sull’impatto e sulla composizione della spesa per la ricerca e migliorare le condizioni per l’R&S del settore privato

nell’Unione. La nostra quota meno elevata di imprese ad alta tecnologia giustifica per metà il divario fra noi e gli Stati Uniti; istruzione, formazione e formazione continua: un quarto degli studenti ha scarse capacità di lettura, mentre un giovane su sette abbandona troppo presto la scuola e la formazione. Circa il 50% raggiunge un livello di qualificazione medio, che però spesso non corrisponde alle esigenze del mercato del lavoro. Meno di una persona su tre di età compresa tra 25 e 34 anni ha una laurea, contro il 40% negli Stati Uniti e oltre il 50% in Giappone. Secondo l’indice di Shangai, solo due università europee figurano tra le prime 20 del mondo; società digitale: la domanda globale di tecnologie dell’informazione e della comunicazione rappresenta un mercato di 8 000 miliardi di euro, di cui però solo un quarto proviene da imprese europee. L’Europa accusa inoltre un ritardo per quanto riguarda l’internet ad alta velocità, che si ripercuote negativamente sulla sua capacità di innovare, anche nelle zone rurali, sulla diffusione delle conoscenze online e sulla distribuzione online di beni e servizi. Le misure adottate nell’ambito di questa priorità permetteranno di esprimere le capacità innovative dell’Europa, migliorando i risultati nel settore dell’istruzione e il rendimento degli istituti di insegnamento e sfruttando i vantaggi che una società digitale comporta per l’economia e la società. Queste politiche devono essere attuate a livello regionale, nazionale e dell’Ue.

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Crescita sostenibile – promuovere un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva Crescita sostenibile significa costruire un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse, sostenibile e competitiva, sfruttare il ruolo guida dell’Europa per sviluppare nuovi processi e tecnologie, comprese le tecnologie verdi, accelerare la diffusione delle reti intelligenti che utilizzano le TIC, sfruttare le reti su scala europea e aumentare i vantaggi competitivi delle nostre imprese, specie per quanto riguarda l’industria manifatturiera e le PMI, e fornire assistenza ai consumatori per valutare l’efficienza sotto il profilo delle risorse. In tal modo si favorirà la prosperità dell’Ue in un mondo a basse emissioni di carbonio e con risorse vincolate, evitando al tempo stesso il degrado ambientale, la perdita di biodiversità e l’uso non sostenibile delle risorse e rafforzando la coesione economica, sociale e territoriale. L’Europa deve agire sui seguenti fronti: competitività: l’Ue è diventata prospera grazie al commercio, esportando in tutto il mondo e importando tanto fattori di produzione quanto prodotti finiti. Le forti pressioni sui mercati di esportazione ci impongono di migliorare la nostra competitività nei confronti dei nostri principali partner commerciali mediante una produttività più elevata. Dovremo affrontare il problema della competitività relativa nell’area dell’euro e nell’intera Ue. L’Ue ha aperto la strada per quanto riguarda le soluzioni verdi, ma la sua posizione di leader è minacciata dai suoi principali concorrenti, in particolare la Cina e l’America

settentrionale. L’Ue deve conservare la sua posizione di leader sul mercato delle tecnologie verdi per garantire l’uso efficiente delle risorse nell’intera economia, eliminando al tempo stesso le strozzature nelle principali infrastrutture di rete e rilanciando quindi la nostra competitività industriale; lotta al cambiamento climatico: per conseguire i nostri obiettivi dobbiamo ridurre le emissioni molto più rapidamente nel prossimo decennio rispetto a quello passato e sfruttare appieno il potenziale delle nuove tecnologie, come le possibilità di cattura e sequestro del carbonio. Un uso più efficiente delle risorse contribuirebbe in misura considerevole a ridurre le emissioni, a far risparmiare denaro e a rilanciare la crescita economica. Questo riguarda tutti i comparti dell’economia, non solo quelli ad alta intensità di emissioni. Dobbiamo inoltre aumentare la resistenza delle nostre economie ai rischi climatici, così come la nostra capacità di prevenzione delle catastrofi e di risposta alle catastrofi; energia pulita ed efficiente: se conseguiamo i nostri obiettivi in materia di energia, risparmieremo 60 miliardi di euro di importazioni petrolifere e di gas da qui al 2020. Non si tratta solo di un risparmio in termini finanziari, ma di un aspetto essenziale per la nostra sicurezza energetica. Facendo ulteriori progressi nell’integrazione del mercato europeo dell’energia si potrebbe aggiungere uno 0,6% supplementare all’0,8% del Pil. La sola realizzazione dell’obiettivo Ue del 20% di fonti rinnovabili di energia potrebbe creare oltre 600 000 posti di lavoro nell’Unione che passano a oltre 1 milione se si aggiunge l’obiettivo del 20% per


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quanto riguarda l’efficienza energetica. Agire nell’ambito di questa priorità significa rispettare i nostri impegni di riduzione delle emissioni in modo da massimizzare i benefici e ridurre al minimo i costi, anche mediante la diffusione di soluzioni tecnologiche innovative. Dobbiamo inoltre cercare di scindere la crescita dall’uso dell’energia e di diventare un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, il che conferisce all’Europa un vantaggio competitivo riducendone al tempo stesso la dipendenza dalle fonti estere di materie prime e prodotti di base. Crescita inclusiva – un’economia con un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione economica, sociale e territoriale Crescita inclusiva significa rafforzare la partecipazione delle persone mediante livelli di occupazione elevati, investire nelle competenze, combattere la povertà e modernizzare i mercati del lavoro, i metodi di formazione e i sistemi di protezione sociale per aiutare i cittadini a prepararsi ai cambiamenti e a gestirli e costruire una società coesa. È altrettanto fondamentale che i benefici della crescita economica si estendano a tutte le parti dell’Unione, comprese le regioni ultraperiferiche, in modo da rafforzare la coesione territoriale. L’obiettivo è garantire a tutti accesso e opportunità durante l’intera esistenza. L’Europa deve sfruttare appieno le potenzialità della sua forza lavoro per far fronte all’invecchiamento della popolazione e all’aumento della concorrenza globale. Occorreranno politiche in favore della parità fra i sessi per aumentare la partecipazione al mercato del lavoro in modo da favorire la crescita e la coesione

sociale. L’Europa deve agire sui seguenti fronti: occupazione: il cambiamento demografico provocherà prossimamente una diminuzione della forza lavoro. Attualmente solo due terzi della popolazione in età lavorativa hanno un posto di lavoro, rispetto a oltre il 70% negli Usa e in Giappone Il tasso di occupazione delle donne e dei lavoratori più anziani è particolarmente basso. I giovani sono stati duramente colpiti dalla crisi (tasso di disoccupazione di oltre il 21%). Si rischia seriamente che le persone escluse dal mondo lavorativo o non fortemente legate ad esso vedano peggiorare la loro situazione occupazionale. Competenze: circa 80 milioni di persone hanno scarse competenze o solo competenze di base, ma l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita avvantaggia soprattutto le persone più istruite. Da qui al 2020 saranno creati 16 milioni di posti altamente qualificati, mentre i posti scarsamente qualificati scenderanno di 12 milioni. L’allungamento della vita lavorativa presuppone anche la possibilità di acquisire e sviluppare nuove competenze durante tutto l’arco della vita. Lotta alla povertà: prima della crisi erano a rischio di povertà 80 milioni di persone, tra cui 19 milioni di bambini. L’8% della popolazione attiva non guadagna abbastanza e vive al di sotto della soglia di povertà. I disoccupati sono particolarmente a rischio. Le misure adottate nell’ambito di questa priorità consisteranno nel modernizzare e potenziare le nostre politiche in materia di occupazione, istruzione e formazione e i nostri sistemi di protezione sociale au-

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mentando la partecipazione al mercato del lavoro e riducendo la disoccupazione strutturale, nonché rafforzando la responsabilità sociale delle imprese. L’accesso alle strutture per l’infanzia e alle cure per le altre persone a carico sarà importante al riguardo. In tale contesto sarà fondamentale applicare i principi della flessicurezza e consentire alle persone di acquisire nuove competenze per adeguarsi alle mutate condizioni e all’eventuale riorientamento professionale. Occorrerà un impegno considerevole per lottare contro la povertà e l’esclusione sociale e ridurre le disuguaglianze in termini di salute per far sì che la crescita risulti vantaggiosa per tutti. Sarà altrettanto importante per noi essere in grado di favorire un invecchiamento attivo e in buona salute onde garantire una coesione sociale e una produttività più elevata. 3. ANELLI MANCANTI E STROZZATURE Per realizzare gli obiettivi della strategia occorre mobilitare tutte le politiche, gli strumenti, gli atti legislativi e gli strumenti finanziari dell’Ue. La Commissione intende potenziare le politiche e gli strumenti principali, come il mercato unico, il bilancio e l’agenda economica esterna dell’Ue, per concentrarsi sulla realizzazione degli obiettivi di Europa 2020. Le proposte operative volte a garantire il loro pieno contributo alla strategia sono parte integrante di Europa 2020.

3.1. Un mercato unico per il XXI secolo Un mercato unico più forte, approfondito ed esteso è fondamentale per la crescita e la creazione di posti di lavoro. Le tenden-

ze attuali, tuttavia, denotano un rallentamento dell’integrazione e una certa disillusione nei confronti del mercato unico. La crisi ha inoltre suscitato tentazioni di nazionalismo economico. La vigilanza della Commissione e un comune senso di responsabilità degli Stati membri hanno impedito che si scivolasse verso la disintegrazione. Occorre però un nuovo slancio, un reale impegno politico, per rilanciare il mercato unico mediante la rapida adozione delle iniziative di cui sopra. Questo impegno politico richiederà una serie di misure per ovviare alle carenze del mercato unico. Le imprese e i cittadini si scontrano quotidianamente con le strozzature che ostacolano tuttora le attività transfrontaliere nonostante l’esistenza giuridica del mercato unico e si rendono conto che l’interconnessione delle reti è insufficiente e che l’applicazione delle regole del mercato unico rimane disomogenea. Spesso le imprese e i cittadini hanno ancora a che fare con 27 sistemi giuridici diversi per la stessa transazione. Mentre le nostre imprese devono ancora far fronte a una realtà quotidiana di frammentazione e regole divergenti, i loro concorrenti cinesi, statunitensi o giapponesi si avvalgono pienamente dei vantaggi conferiti dai loro vasti mercati nazionali. Il mercato unico è stato pensato prima dell’avvento di internet, prima che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione diventassero il principale motore di crescita e prima che i servizi acquisissero una tale predominanza nell’economia europea. La comparsa di nuovi servizi


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(contenuti e media, sanità, misurazione intelligente del consumo di energia, ecc.) racchiude un potenziale enorme, che tuttavia potrà essere sfruttato solo se l’Europa ovvierà alla frammentazione che attualmente blocca il flusso di contenuti online e l’accesso da parte di consumatori e imprese. Per orientare il mercato unico verso il raggiungimento degli obiettivi di Europa 2020, l’Unione dovrà garantire il corretto funzionamento e collegamento dei mercati, in modo da trasformare la concorrenza e l’accesso da parte dei consumatori in fattori di stimolo per la crescita e l’innovazione. Occorre creare un mercato unico aperto per i servizi in base alla direttiva sui servizi, garantendo al tempo stesso la qualità dei servizi forniti ai consumatori. La piena attuazione della direttiva sui servizi potrebbe aumentare gli scambi di servizi commerciali del 45% e gli investimenti esteri diretti del 25%, con un conseguente incremento del Pil compreso tra lo 0,5% e l’1,5%. Occorre migliorare l’accesso delle Pmi al mercato unico e promuovere l’imprenditoria mediante iniziative politiche concrete, tra cui la semplificazione del diritto societario (procedure fallimentari, statuto della società privata, ecc.), e iniziative che consentano agli imprenditori falliti di ricominciare un’attività. Il coinvolgimento dei cittadini è necessario ai fini della loro piena partecipazione al mercato unico. In tal senso, occorre offrire loro maggiori possibilità e dare loro maggiori garanzie per quanto riguarda l’acquisto di beni e servizi oltrefrontiera, soprattutto online, Attuando la politica di concorrenza, la

Commissione farà in modo che il mercato unico rimanga un mercato aperto, assicurando anche in futuro pari opportunità alle imprese e lottando contro il protezionismo nazionale. Ma la politica di concorrenza darà un ulteriore contributo al conseguimento degli obiettivi di Europa 2020. La politica di concorrenza garantisce che i mercati creino condizioni favorevoli all’innovazione, impedendo ad esempio le violazioni dei diritti di brevetto e di proprietà. Impedire gli abusi di mercato e gli accordi anticoncorrenziali tra imprese significa fornire le garanzie necessarie per incentivare l’innovazione. Anche la politica sugli aiuti di Stato può dare un contributo attivo e costruttivo agli obiettivi di Europa 2020 stimolando e sostenendo le iniziative riguardanti tecnologie più innovative, più efficienti e più verdi e agevolando parallelamente l’accesso al sostegno pubblico per gli investimenti, al capitale di rischio e ai finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo. Per eliminare le strozzature esistenti nel mercato unico, la Commissione proporrà misure volte a: rafforzare le strutture affinché le misure del mercato unico, tra cui la regolamentazione delle reti, la direttiva sui servizi e il pacchetto sulla regolamentazione e la vigilanza dei mercati finanziari, siano attuate in modo tempestivo e corretto, garantirne un’applicazione efficace e risolvere rapidamente gli eventuali problemi; accelerare l’attuazione del programma “Regolamentazione intelligente”, anche valutando la possibilità di un più ampio uso dei regolamenti anziché delle direttive, avviando una valutazione expost della normativa vigente, proseguen-

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do il monitoraggio del mercato, riducendo gli oneri amministrativi, rimuovendo gli ostacoli fiscali, migliorando il clima imprenditoriale, in particolare per le Pmi, e sostenendo l’imprenditoria; adeguare la legislazione europea e nazionale all’era digitale per favorire la circolazione dei contenuti con un alto grado di affidabilità per consumatori e imprese. A tal fine occorre aggiornare le norme su responsabilità, garanzie, fornitura e risoluzione delle controversie; agevolare e rendere meno onerosa per imprese e consumatori la conclusione di contratti con partner di altri paesi dell’Ue, segnatamente offrendo soluzioni armonizzate per i contratti stipulati con i consumatori, introducendo clausole contrattuali tipo a livello di Ue e facendo progressi verso una legge europea facoltativa in materia di contratti; agevolare e rendere meno onerosa l’applicazione dei contratti per imprese e consumatori e riconoscere le sentenze e i documenti emessi da giudici di altri paesi dell’Ue.

3.2. Investire nella crescita: politica di coesione, mobilitare il bilancio dell’Ue e i finanziamenti privati La coesione economica, sociale e territoriale rimarrà al centro della strategia Europa 2020 per garantire che tutte le energie e tutte le capacità vengano mobilitate e orientate verso la realizzazione delle priorità della strategia. La politica di coesione e i fondi strutturali, già importanti di per sé, sono meccanismi fondamentali per realizzare le priorità di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva negli Stati membri e nelle regioni.

La crisi finanziaria ha inciso in misura considerevole sulla capacità delle imprese e dei governi europei di finanziare investimenti e progetti innovativi. La realizzazione degli obiettivi di Europa 2020 presuppone un contesto normativo che renda i mercati finanziari efficienti e sicuri. L’Europa deve fare tutto il possibile per utilizzare i suoi mezzi finanziari ed esplorare nuove piste combinando finanziamenti privati e pubblici e creando strumenti innovativi per finanziare gli investimenti necessari, come ad esempio i partenariati pubblicoprivato (PPP). La Banca europea per gli investimenti e il Fondo europeo per gli investimenti possono contribuire a sostenere un “circolo virtuoso” in cui l’innovazione e l’imprenditoria siano utilmente finanziate dagli investimenti iniziali fino alla quotazione sui mercati azionari, in partenariato con le numerose iniziative e programmi pubblici già in corso a livello nazionale. Il quadro finanziario pluriennale dell’Ue dovrà rispecchiare anche le priorità di crescita a lungo termine. Una volta concordate le priorità, la Commissione intende integrarle nelle sue proposte per il prossimo quadro finanziario pluriennale previsto l’anno prossimo. La discussione non dovrebbe riguardare soltanto i livelli di finanziamento, ma anche il modo in cui i vari strumenti di finanziamento come i fondi strutturali, i fondi di sviluppo rurale e agricolo, il programma quadro di ricerca e il programma quadro per la competitività e l’innovazione (Cip) devono essere strutturati per la realizzazione degli obiettivi di Europa 2020 in modo da


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massimizzare l’impatto e garantire l’efficienza e il valore aggiunto dell’Ue. Sarà importante trovare il modo di aumentare l’impatto del bilancio Ue che, seppur limitato, può avere un notevole effetto catalizzatore a condizione di essere opportunamente mirato. La Commissione proporrà misure volte a sviluppare soluzioni di finanziamento innovative per sostenere gli obiettivi di Europa 2020 sfruttando appieno la possibilità di migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’attuale bilancio dell’Ue mediante una definizione più mirata delle priorità e un migliore allineamento della spesa dell’Ue con gli obiettivi di Europa 2020, onde ovviare all’attuale frammentazione degli strumenti di finanziamento dell’Unione (ad esempio, R&S e innovazione, investimenti infrastrutturali chiave nelle reti transfrontaliere dell’energia e dei trasporti e tecnologia a basse emissioni di carbonio). Occorre inoltre cogliere l’occasione offerta dalla revisione del regolamento finanziario per sviluppare le potenzialità degli strumenti finanziari innovativi, garantendo al tempo stesso una sana gestione finanziaria; creando nuovi strumenti di finanziamento, in particolare in cooperazione con la Bei, il Fei e il settore privato, per rispondere alle esigenze non ancora soddisfatte delle imprese. Nell’ambito del prossimo piano per la ricerca e l’innovazione, la Commissione coordinerà un’iniziativa con la Bei e il Fei onde reperire capitali supplementari per finanziare le imprese innovative e in espansione; dotando l’Europa di un mercato del venture capital veramente efficiente, in modo da facilitare considerevolmente

l’accesso diretto delle imprese ai mercati dei capitali e cercando incentivi per i fondi del settore privato tali da rendere disponibili finanziamenti per le imprese startup e per le Pmi innovative.

3.3 Utilizzare i nostri strumenti di politica estera La crescita globale offrirà nuove opportunità agli esportatori europei e un accesso competitivo alle importazioni vitali. Tutti gli strumenti della politica economica esterna devono essere utilizzati per stimolare la crescita europea mediante la nostra partecipazione a mercati aperti ed equi di tutto il mondo. Ciò vale per gli aspetti esterni delle nostre politiche interne (energia, trasporti, agricoltura, R&S, ecc.), e in particolare per il commercio e il coordinamento delle politiche macroeconomiche internazionali. Un’Europa aperta, che funzioni in un contesto internazionale basato su regole, è il modo migliorare per sfruttare i benefici della globalizzazione onde rilanciare la crescita e l’occupazione. Al tempo stesso, l’Ue deve affermarsi maggiormente sulla scena mondiale, svolgendo un ruolo guida nel forgiare il futuro ordinamento economico mondiale in sede di G20, e tutelare gli interessi europei utilizzando attivamente tutti gli strumenti di cui dispone. La crescita che l’Europa deve generare nel prossimo decennio dovrà provenire in parte dalle economie emergenti, le cui classi medie sviluppano e importano beni e servizi per i quali l’Unione europea gode di un vantaggio comparativo. In quanto primo blocco commerciale del mondo, per prosperare l’Ue deve essere aperta al-

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l’esterno e prestare la massima attenzione a ciò che le altre economie sviluppate o emergenti fanno per prevedere le tendenze future o adeguarvisi. Dobbiamo prefiggerci in via prioritaria di agire in sede di Omc e a livello bilaterale onde migliorare l’accesso al mercato per le imprese dell’Ue, comprese le PMI, e garantire loro condizioni di parità rispetto ai nostri concorrenti esterni. Dobbiamo inoltre rendere più mirati e razionali i nostri dialoghi normativi, in particolare in settori nuovi come il clima e la crescita verde, ampliando per quanto possibile la nostra influenza a livello mondiale mediante la promozione di equivalenza, riconoscimento reciproco e convergenza sulle principali questioni normative, nonché l’adozione delle nostre norme e dei nostri standard. La strategia Europa 2020 non si applica solo all’interno dell’Ue, ma può racchiudere notevoli potenzialità per i paesi candidati e per i nostri vicini e aiutarli ad ancorare maggiormente i loro processi di riforma. Ampliando il territorio in cui vengono applicate le norme Ue si offriranno nuove opportunità all’Ue e ai paesi limitrofi. Uno degli obiettivi più importanti dei prossimi anni consisterà inoltre nell’allacciare relazioni strategiche con le economie emergenti per discutere degli aspetti di comune interesse, promuovere la cooperazione normativa e di altro tipo e risolvere le questioni bilaterali. Le strutture alla base di queste relazioni dovranno essere flessibili e improntate a principi più politici che tecnici. Nel 2010 la Commissione elaborerà una strategia commerciale per l’Europa 2020 che comprenderà: un forte accento sulla

conclusione dei negoziati commerciali multilaterali e bilaterali in corso, in particolare quelli con il maggior potenziale economico, e una migliore applicazione degli accordi esistenti, con particolare attenzione alle barriere non tariffarie agli scambi; iniziative di apertura commerciale per i settori del futuro, come prodotti e tecnologie “verdi” e prodotti e servizi ad alta tecnologia, così come per la standardizzazione internazionale, specialmente nei settori di crescita; proposte di dialoghi strategici ad alto livello con i partner principali per discutere di questioni strategiche come l’accesso al mercato, il quadro normativo, gli squilibri globali, l’energia e il cambiamento climatico, l’accesso alle materie prime, la povertà nel mondo, l’istruzione e lo sviluppo. La Commissione punterà inoltre a potenziare il Consiglio economico transatlantico con gli Stati Uniti e il dialogo economico ad alto livello con la Cina e ad approfondire le sue relazioni con il Giappone e la Russia; una relazione sugli ostacoli al commercio e agli investimenti, presentata per la prima volta nel 2011 e poi ogni anno prima del Consiglio europeo di primavera, sui modi per migliorare l’accesso al mercato e il contesto normativo per le imprese dell’Ue. L’Ue opera a livello globale e prende molto sul serio le sue responsabilità internazionali. L’Unione ha dato vita ad un vero e proprio partenariato con i paesi in via di sviluppo per eliminare la povertà, promuovere la crescita e conseguire gli obiettivi di sviluppo del millennio (Osm). In futuro dovremo adoperarci con maggiore impegno per approfondire le strette relazioni di partenariato che ci legano all’Afri-


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ca. Ciò si inserirà in uno sforzo più ampio volto ad incrementare gli aiuti allo sviluppo e a migliorare l’efficacia dei nostri programmi di assistenza, in particolare mediante una divisione razionale dei compiti con gli Stati membri e una migliore integrazione degli obiettivi di sviluppo in altre politiche dell’Unione europea. 4. USCITA DALLA CRISI: PRIMI PASSI VERSO IL 2020 Per combattere la crisi, si è fatto ampiamente e risolutamente ricorso a strumenti politici. La politica di bilancio ha avuto, ove possibile, un ruolo espansivo e controciclico; i tassi di interesse sono stati ridotti ai minimi storici, mentre al settore finanziario è stata fornita liquidità come mai in precedenza. I governi hanno dato un consistente appoggio alle banche, mediante garanzie o ricorrendo alla ricapitalizzazione oppure attraverso la rimozione dai bilanci degli attivi deteriorati. Altri settori dell’economia sono stati sostenuti mediante il quadro di riferimento temporaneo, ed eccezionale, per le misure di aiuto di Stato. Tutte queste azioni sono state, e ancora sono, giustificate, ma non possono essere mantenute per sempre. Non è possibile sostenere elevati livelli di debito pubblico a tempo indeterminato. Il perseguimento degli obiettivi proposti per “Europa 2020” deve basarsi su una strategia di uscita credibile che riguardi tanto la politica di bilancio e monetaria quanto il sostegno diretto fornito dai governi ai settori economici, in particolare al settore finanziario. È importante che, nel quadro di questa strategia di uscita, le diverse politiche e i diversi strumenti di aiuto venga-

no abbandonati seguendo un certo ordine. Un coordinamento rafforzato delle politiche economiche, in particolare all’interno dell’area dell’euro, dovrebbe portare al successo di una strategia di uscita globale.

4.1. Definizione di una strategia di uscita credibile Poiché le incertezze sulle prospettive economiche e le fragilità del settore finanziario non sono del tutto fugate, le misure di sostegno possono essere abbandonate solo quando la ripresa economica avrà una propria autonomia e quando sarà stata ripristinata la stabilità finanziaria4. Il ritiro delle misure temporanee inerenti alla crisi dovrebbe essere coordinato e tenere conto delle possibili ricadute negative tanto nei vari Stati membri quanto relativamente all’interazione tra i diversi strumenti politici. Occorre che siano riapplicate le consuete norme in materia di aiuti di Stato, innanzitutto ponendo termine al quadro di riferimento temporaneo per le misure di aiuto di Stato. Un tale approccio coordinato dovrebbe basarsi sui seguenti principi: il ritiro dello stimolo di bilancio dovrebbe iniziare non appena la ripresa si mostra stabile. Tuttavia, il calendario potrebbe differire da un paese all’altro ed è quindi necessario che vi sia un forte coordinamento a livello europeo; il sostegno di disoccupazione a breve termine dovrebbe cominciare ad essere gradualmente eliminato solo quando si sarà appurato che vi è stata una duratura svolta nella crescita del Pil e che di conseguenza, entro tempi fisiologici, anche l’occupazione avrà cominciato a crescere;

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la graduale eliminazione dei regimi di sostegno settoriale dovrebbe iniziare in tempi brevi. Questo perché tali regimi implicano notevoli costi di bilancio, perché si ritiene che essi abbiano globalmente realizzato i loro obiettivi, nonché in considerazione dei loro possibili effetti di distorsione sul mercato unico; il sostegno a favore dell’accesso ai finanziamenti dovrebbe essere mantenuto fintanto che non si vedano chiari segni del fatto che le condizioni di finanziamento a favore delle imprese sono tornate globalmente alla normalità; il ritiro del sostegno al settore finanziario, a partire dai regimi statali di garanzia, dipenderà dallo stato dell’economia in generale e dalla stabilità del sistema finanziario in particolare.

4.2. Riforma del sistema finanziario Una priorità fondamentale nel breve termine sarà quella di ripristinare un settore finanziario solido, stabile e sano, capace di finanziare l’economia reale. Questo richiederà la piena attuazione degli impegni del G20 nei tempi stabiliti. Sarà necessario, in particolare, realizzare cinque obiettivi: attuare le riforme concordate in materia di vigilanza del settore finanziario; colmare le lacune normative e promuovere così la trasparenza, la stabilità e la responsabilità, in particolare per quanto riguarda i derivati e l’infrastruttura del mercato; completare il rafforzamento delle norme prudenziali, contabili e in materia della tutela dei consumatori sotto forma di un’unica normativa europea che si occupi adeguatamente di tutti i soggetti e i mercati finanziari; rafforzare la governance delle istituzioni finanziarie, al fine di

trovare una soluzione ai punti deboli individuati nel corso della crisi finanziaria nell’ambito dell’individuazione e della gestione del rischio; mettere in moto una politica ambiziosa che ci consenta in futuro di prevenire più efficacemente e, se necessario, gestire meglio le eventuali crisi finanziarie e che valuti la possibilità - in considerazione della specifica responsabilità del settore finanziario nell’attuale crisi – che dal settore finanziario giungano adeguati contributi.

4.3. Mirare ad un intelligente risanamento del bilancio per una crescita a lungo termine Affinché sia possibile ripristinare le condizioni per una crescita e un’occupazione sostenibili è indispensabile che le finanze pubbliche siano sane ed è quindi necessario che vi sia una strategia di uscita globale. Una tale strategia implicherà il progressivo ritiro del sostegno anti-crisi a breve termine e l’introduzione di riforme a medio e lungo termine volte a promuovere la sostenibilità delle finanze pubbliche e a incentivare la crescita potenziale. Il patto di stabilità e crescita offre il giusto contesto per attuare strategie di uscita a livello di bilancio e gli Stati membri stanno definendo strategie di questo tipo nel quadro dei loro programmi di stabilità e convergenza. Per la maggior parte dei paesi, il 2011 dovrebbe, di norma, segnare l’inizio del risanamento di bilancio, mentre, in linea di massima, il processo volto a portare i disavanzi al di sotto del 3% del Pil dovrebbe essere completato entro il 2013. Tuttavia, è possibile che in diversi paesi la fase di risanamento debba avere


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inizio prima del 2011 con la conseguenza che in questi casi il ritiro del sostegno temporaneo anti-crisi e il risanamento di bilancio debbano avere luogo contemporaneamente. Al fine di incentivare il potenziale di crescita economica dell’Ue e promuovere la sostenibilità dei nostri modelli sociali, il risanamento delle finanze pubbliche perseguito nell’ambito del patto di stabilità e crescita impone che siano definite priorità e che vengano operate scelte difficili: il coordinamento a livello di Ue può aiutare gli Stati membri in questo compito e contribuire a far fronte alle ricadute negative. Inoltre, la composizione e la qualità della spesa pubblica svolgono un ruolo importante: i programmi di risanamento del bilancio devono privilegiare fattori di crescita come l’istruzione e lo sviluppo di competenze, la R&S e l’innovazione nonché gli investimenti nelle reti, ad esempio nell’internet ad alta velocità e nelle interconnessioni energetiche e di trasporto, che sono i settori tematici principali della strategia Europa 2020. Anche le entrate di bilancio hanno il loro peso e bisognerebbe dedicare un’attenzione particolare anche alla qualità del sistema delle entrate/dei tributi. Nei casi in cui sia necessario aumentare le tasse, questo dovrà essere fatto, ove possibile, rendendo al tempo stesso il sistema tributario più favorevole alla crescita. Ad esempio, bisognerebbe evitare di aumentare la pressione fiscale sul lavoro, come invece è stato fatto in passato con gravi conseguenze sull’occupazione. Gli Stati membri dovrebbero piuttosto cercare di spostare il carico dalle tasse sul lavoro alle tasse

energetiche e ambientali, nell’ambito di un sistema fiscale più “verde”. Il risanamento di bilancio e la sostenibilità finanziaria a lungo termine non possono prescindere da importanti riforme strutturali, in particolare in materia di pensioni, di sanità, di protezione sociale e di sistemi di istruzione. L’amministrazione pubblica dovrebbe cogliere questa occasione per potenziare l’efficienza e la qualità del servizio. La politica in materia di appalti pubblici deve garantire l’uso più efficace dei fondi pubblici e i mercati degli appalti pubblici devono essere mantenuti aperti a livello di Ue.

4.4 Coordinamento all’interno dell’Unione economica e monetaria Per gli Stati membri che hanno adottato l’euro, la moneta comune ha rappresentato una valida protezione contro le turbolenze dei tassi di cambio. Ma la crisi ha anche rivelato l’entità dell’interdipendenza tra le economie dell’area del’euro, in particolare in campo finanziario, con il conseguente aumento delle probabilità di effetti di ricaduta. Modelli di crescita diversi portano talvolta all’accumulo di debiti pubblici insostenibili e di conseguenza a una pressione sulla moneta unica. La crisi ha dunque amplificato alcune delle sfide cui l’area dell’euro deve far fronte, ad esempio la sostenibilità delle finanze pubbliche e della crescita potenziale, ma anche il ruolo destabilizzante degli squilibri e dei divari in materia di competitività. Vincere queste sfide nell’area dell’euro è importantissimo ed urgente affinché si assicuri la stabilità e una crescita sostenibile che produca occupazione. Per far

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fronte a tali sfide è necessario un più stretto coordinamento delle politiche, che preveda: la definizione di un contesto finalizzato ad esercitare una vigilanza più approfondita e più ampia sui paesi dell’area dell’euro: oltre al rafforzamento della disciplina di bilancio, la vigilanza economica deve essere rivolta anche agli squilibri macroeconomici e agli sviluppi della competitività, in particolare al fine di agevolare una stabilizzazione indotta mediante scelte politiche; la definizione di un contesto finalizzato a rispondere alle minacce imminenti che incombono sulla stabilità finanziaria dell’area dell’euro nel suo insieme; un’adeguata rappresentanza esterna dell’area dell’euro che permetta di affrontare con determinazione le sfide globali di carattere economico e finanziario. La Commissione formulerà proposte per tradurre in pratica questi spunti. 5. RISULTATI: UNA GOVERNANCE PIÙ FORTE Per giungere al cambiamento trasformazionale, la strategia Europa 2020 dovrà essere maggiormente concentrata, fissarsi obiettivi chiari e disporre di dati comparativi trasparenti per la valutazione dei progressi. Ciò richiederà un solido quadro di governance che consenta di utilizzare gli strumenti a disposizione in modo da garantire una realizzazione efficace entro termini prestabiliti.

5.1. Proposta di strutturazione della strategia Europa 2020 La strategia dovrebbe essere incentrata su un approccio tematico e su una vigilanza a livello di singoli paesi più mirata. Ci si gio-

verà a tal fine dei punti di forza di strumenti di coordinamento già esistenti. Più specificamente: Un approccio tematico dovrebbe far sì che l’attenzione si concentri sui temi individuati alla sezione 2, in particolare sul raggiungimento dei 5 obiettivi principali. Lo strumento principale dovrebbe essere rappresentato dal programma della strategia Europa 2020 e dalle sue iniziative faro, che richiedono un’azione a livello tanto dell’Ue quanto degli Stati membri (cfr. sezione 2 e allegati 1 e 2). L’approccio tematico riflette la dimensione Ue, mostra chiaramente l’interdipendenza delle economie degli Stati membri e consente una maggiore selettività a favore di iniziative concrete che fanno avanzare la strategia e contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi principali a livello Ue e a livello nazionale. Relazioni sui singoli paesi dovrebbero fornire un contributo alla realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020 poiché aiuterebbero gli Stati membri a definire e attuare strategie di uscita, a ripristinare la stabilità macroeconomica, ad individuare le strozzature a livello nazionale e a riportare le economie alla sostenibilità in materia di crescita e di finanze pubbliche. Le relazioni sui paesi non prenderebbero in considerazione solo la politica di bilancio, ma anche questioni macroeconomiche fondamentali relative alla crescita e alla competitività (cioè gli squilibri macroeconomici). Ci si dovrebbe così accertare che vi sia un approccio integrato alla definizione e all’attuazione delle politiche, approccio fondamentale per sostenere le scelte che gli Stati membri dovranno operare, viste le limitazioni alle loro finanze pubbli-


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che. Un’attenzione particolare verrà rivolta al funzionamento dell’area dell’euro e all’interdipendenza tra Stati membri. A tal fine, le relazioni e le valutazioni concernenti la strategia Europa 2020 e quelle relative al patto di stabilità e crescita (Psc) verranno elaborate simultaneamente in modo da unificare mezzi e obiettivi, pur mantenendo separati gli strumenti e le procedure separati e conservando l’integrità del Psc. Ciò significa proporre allo stesso tempo i programmi annuali di stabilità o di convergenza e i programmi di riforma razionalizzati, che ciascuno Stato membro dovrà stilare per definire le misure da adottare al fine di riferire sui progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi così come nell’attuazione delle principali riforme strutturali volte ad eliminare le strozzature che ostacolano la crescita. Entrambi questi programmi, che dovrebbero contenere i necessari riferimenti incrociati, dovrebbero essere sottoposti alla Commissione e agli altri Stati membri nell’ultimo trimestre dell’anno. Il Consiglio europeo per il rischio sistemico (Esrb) dovrebbe presentare a scadenze regolari relazioni sui rischi macrofinanziari: tali relazioni saranno un contributo importante alla valutazione globale. La Commissione valuterà i programmi e riferirà circa i progressi registrati nella loro attuazione. Un’attenzione particolare verrà rivolta alle sfide cui deve far fronte l’Unione economica e monetaria. In questo modo il Consiglio europeo disporrebbe di tutti gli elementi necessari per adottare decisioni. In effetti, il Consiglio disporrebbe di un’analisi della situazione economica e di quella occupaziona-

le, di un quadro globale dei bilanci, nonché di una panoramica delle condizioni macrofinanziarie e dei progressi compiuti nei programmi tematici per ciascuno Stato membro e potrebbe inoltre passare in rassegna lo stato complessivo dell’economia dell’Ue.

Orientamenti integrati La strategia Europa 2020 assumerà ufficialmente la forma di un ristretto numero di orientamenti “Europa 2020” integrati (che integrano gli orientamenti in materia di occupazione e gli indirizzi di massima per le politiche economiche), che andranno a sostituire i 24 orientamenti esistenti. Questi nuovi orientamenti rispecchieranno le decisioni del Consiglio europeo e integreranno gli obiettivi concordati. Facendo seguito, come previsto dal trattato, al parere del Parlamento europeo sugli orientamenti in materia di occupazione, gli orientamenti dovrebbero essere approvati a livello politico dal Consiglio europeo di giugno prima di essere adottati dal Consiglio. Una volta adottati, gli orientamenti dovrebbero rimanere prevalentemente immutati fino al 2014, affinché l’attenzione resti concentrata sulla loro attuazione. Raccomandazioni politiche Agli Stati membri verranno rivolte raccomandazioni politiche tanto nel contesto dell’elaborazione di relazioni per paese quanto nel contesto dell’approccio tematico della strategia Europa 2020. Nel quadro della vigilanza a livello di singoli paesi, le raccomandazioni saranno formulate sotto forma di pareri sui programmi di

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stabilità/convergenza ai sensi del regolamento (Ce) n. 1466/97 del Consiglio e saranno accompagnate da raccomandazioni formulate nell’ambito degli indirizzi di massima per le politiche economiche(articolo 121, par. 2). La parte tematica dovrebbe includere raccomandazioni in materia di occupazione (art. 148) e raccomandazioni per paese relative ad altre questioni tematiche selezionate (es.: sul clima imprenditoriale, l’innovazione, il funzionamento del mercato unico, l’energia/cambiamento climatico ecc.). Entrambi i tipi di raccomandazioni, avendo implicazioni macroeconomiche, potrebbero egualmente essere formulate come raccomandazioni nell’ambito degli indirizzi di massima per le politiche economiche di cui sopra. Questa impostazione predisposta per le raccomandazioni contribuirà anche a garantire la coerenza tra il quadro macroeconomico/di bilancio e i programmi tematici. Le raccomandazioni formulate nel quadro della vigilanza a livello di singoli paesi dovrebbero riguardare questioni con notevoli implicazioni macroeconomiche e di finanza pubblica, mentre le raccomandazioni formulate nel quadro dell’approccio tematico dovrebbero fornire suggerimenti specifici su questioni microeconomiche e occupazionali. Tali raccomandazioni dovrebbero essere abbastanza precise e indicare, di norma, un lasso di tempo entro il quale si ritiene che lo Stato membro interessato debba agire (es.: due anni). Lo Stato membro dovrebbe allora indicare le azioni che intende intraprendere per attuare la raccomandazione. Laddove uno Stato membro, al termine del lasso di tempo indicato, non ab-

bia adeguatamente reagito ad una raccomandazione politica del Consiglio o abbia condotto politiche contrarie al suggerimento ricevuto, la Commissione può formulare un avvertimento politico (art. 121, par. 4).

5.2. Ruoli dei vari soggetti interessati È essenziale che vi sia una collaborazione volta al raggiungimento di questi obiettivi. Nelle nostre economie interconnesse, la crescita e l’occupazione conosceranno una ripresa solo se tutti gli Stati membri si muoveranno in questa direzione, tenendo conto delle loro circostanze specifiche. Abbiamo bisogno di una maggiore titolarità. Il Consiglio europeo dovrebbe orientare globalmente la strategia, basandosi sulle proposte della Commissione che obbediscono ad un unico principio fondamentale: il chiaro valore aggiunto dell’Ue. Il ruolo del Parlamento europeo è particolarmente importante a tale riguardo. Anche il contributo delle parti interessate a livello nazionale e regionale e delle parti sociali deve assumere un’importanza maggiore. L’allegato 3 riporta una panoramica dell’iter politico e del calendario della strategia Europa 2020.

Piena titolarità da parte del Consiglio europeo Il Consiglio europeo, che attualmente rappresenta l’ultimo elemento del processo decisionale della strategia, dovrebbe invece avere un ruolo guida in tale strategia, poiché è l’organismo che garantisce l’integrazione delle politiche e che gestisce l’interdipendenza tra gli Stati membri e l’Ue.


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Sempre mantenendo uno sguardo sull’attuazione del programma Europa 2020, nel corso delle sue future riunioni il Consiglio europeo potrebbe concentrarsi su temi specifici (es.: ricerca e innovazione, sviluppo di competenze) dando indicazioni di massima e fornendo i necessari impulsi.

Consiglio dei ministri Le pertinenti formazioni del Consiglio dovrebbero occuparsi dell’attuazione del programma Europa 2020 e del raggiungimento degli obiettivi nei settori di cui sono responsabili. Nel quadro delle iniziative faro, gli Stati membri saranno invitati, nell’ambito delle varie formazioni del Consiglio, ad intensificare gli scambi di informazioni sulle buone pratiche a livello di politiche. Commissione europea La Commissione effettuerà annualmente il monitoraggio della situazione sulla base di un gruppo di indicatori relativi ai progressi compiuti verso l’obiettivo di un’economia intelligente, verde e inclusiva che porti ad alti livelli di occupazione, di produttività e di coesione sociale. La Commissione presenterà una relazione annuale sui risultati ottenuti nell’ambito della strategia Europa 2020 concentrandosi sui progressi compiuti verso i traguardi principali e valuterà le relazioni per paese e i programmi di stabilità e convergenza. Nel quadro di questo processo, la Commissione presenterà raccomandazioni o avvertimenti politici, formulerà proposte politiche per il raggiungimento degli obiettivi della strategia e presenterà una

valutazione specifica dei progressi compiuti all’interno dell’area dell’euro. Parlamento europeo Il Parlamento europeo dovrebbe svolgere un ruolo importante nella strategia, non solo in qualità di colegislatore, ma anche in quanto forza trainante per la mobilitazione dei cittadini e dei loro parlamenti nazionali. Il Parlamento potrebbe ad esempio, sfruttare la prossima riunione con i parlamenti nazionali per discutere del suo contributo alla strategia Europa 2020 e comunicare congiuntamente opinioni al Consiglio europeo di primavera. 131

Autorità nazionali, regionali e locali Tutte le autorità nazionali, regionali e locali dovrebbero attuare il partenariato coinvolgendo strettamente i parlamenti, ma anche le parti sociali e i rappresentanti della società civile tanto nell’elaborazione dei programmi nazionali di riforma quanto nella loro attuazione. L’instaurazione di un dialogo permanente tra vari livelli di governo porterebbe le priorità dell’Unione più vicino ai cittadini, rafforzando così la titolarità necessaria per il successo della strategia Europa 2020. Parti interessate e società civile Inoltre, anche il Comitato economico e sociale e il Comitato delle Regioni dovrebbero essere maggiormente coinvolti. Lo scambio di buone pratiche, l’analisi comparativa (benchmarking) e la creazione di reti - che diversi Stati membri hanno promosso – si sono rivelati anch’essi utili strumenti per la creazione della titolarità e per stimolare il dinamismo attorno all’esigenza di riforme. Il successo della


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nuova strategia dipenderà quindi fortemente dalla capacità delle istituzioni dell’Unione europea, degli Stati membri e delle regioni di spiegare chiaramente perché le riforme sono necessarie (e inevitabili per mantenere la nostra qualità di vita e garantire i nostri modelli sociali), a quali traguardi vogliono giungere l’Europa e i suoi Stati membri entro il 2020 e quale contributo essi si aspettano dai cittadini, dalle imprese e dalle loro organizzazioni rappresentative. Riconoscendo l’esigenza di tenere conto delle circostanze e delle tradizioni nazionali, la Commissione proporrà un’opportuna serie comune di strumenti di comunicazione. 6. DECISIONIPERILCONSIGLIO EUROPEO La Commissione propone che il Consiglio europeo, nella sua riunione di primavera 2010: concordi sulle priorità tematiche della strategia Europa 2020; fissi i cinque obiettivi principali proposti nella sezione 2 del presente documento relativi agli investimenti in R&S, all’istruzione, all’energia/cambiamento climatico, al tasso di occupazione e alla riduzione della povertà, definendo i traguardi che l’Europa intende raggiungere entro il 2020; inviti gli Stati membri ad un dialogo con la Commissione europea al fine di tradurre questi obiettivi Ue in obiettivi nazionali che siano oggetto di decisioni al Consiglio europeo di giugno, tenendo conto delle circostanze nazionali e dei diversi punti di partenza; inviti la Commissione a presentare proposte per le iniziative faro e chieda al Consiglio (e alle sue formazioni) di adottare, su queste basi, le decisioni ne-

cessarie per l’attuazione di tali iniziative; concordi di rafforzare il coordinamento della politica economica per promuovere le ricadute positive e per rispondere più efficacemente alle sfide dell’Unione; che a tal fine esso approvi la combinazione delle valutazioni tematica e per paese, come proposto nella presente comunicazione, pur mantenendo strettamente l’integrità del patto; e che esso dedichi un’attenzione particolare al rafforzamento dell’UeM; esorti tutte le parti interessate (es.: parlamenti nazionali/regionali, autorità regionali e/o locali, parti sociali e società civile, senza dimenticare i cittadini europei) a fornire un contributo all’attuazione della strategia, lavorando in partenariato e adottando iniziative nei settori di cui sono responsabili; chieda alla Commissione di monitorare i progressi e di riferire annualmente al Consiglio europeo di primavera riguardo ai progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi, includendo un’analisi comparativa internazionale e lo stato di avanzamento dell’attuazione delle iniziative faro. La Commissione propone inoltre che, nelle sue riunioni successive, il Consiglio europeo: previo parere del Parlamento europeo, approvi gli orientamenti integrati proposti, che costituiscono il supporto istituzionale della strategia Europa 2020; convalidi gli obiettivi nazionali dopo reciproche verifiche che ne garantiscano la coerenza; affronti temi specifici valutando la situazione dell’Europa e le possibilità di accelerazione dei progressi. Una prima discussione sul tema della ricerca e innovazione potrebbe avere luogo nella riunione di ottobre sulla base di un contributo della Commissione.


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ITALIA 2020 Piano di azione per l’occupabilità dei giovani attraverso l’integrazione tra apprendimento e lavoro. Presentato dai ministeri del Lavoro e dell'Istruzione Le nostre priorità per la piena occupabilità dei giovani Per la piena occupabilità dei nostri giovani abbiamo individuato sei aree di intervento, che riteniamo prioritarie e che ci proponiamo di implementare rapidamente, secondo una visione integrata e con il concorso di tutti gli attori coinvolti, affidando il compito di impulso, coordinamento e monitoraggio a una “cabina di pilotaggio” condivisa. Siamo convinti che questa visione integrata e il metodo della collaborazione istituzionale costituiscano strumenti imprescindibili per innalzare le competenze chiave di cittadinanza di ogni persona e favorirne la crescita umana, culturale e sociale per tutto il corso della vita.

Facilitare la transizione dalla scuola al lavoro La difficile transizione dal mondo dell’istruzione e della formazione a quello del lavoro è una delle principali criticità del nostro Paese evidenziata in tutti i benchmark internazionali. Esiste, innanzitutto, una questione di “tempi” della transizione che sono eccessivamente lunghi e che alimentano preoccupanti fenomeni di disoccupazione, anche intellettuale, di lunga durata. Allarmanti sono gli esiti della transizione: la percentuale di lavoratori con diploma o

laurea che è utilizzata in maniera non coerente con i propri titoli di studio è la più alta d’Europa. Ancora troppi sono i giovani che, senza orientamento e sostegno da parte delle scuole e delle istituzioni, concentrano le loro scelte su percorsi formativi deboli che non potranno dare sbocchi sul mercato del lavoro. Una seconda questione attiene ai “modi” della transizione. La ricerca del lavoro avviene prevalentemente attraverso reti amicali e informali che, non di rado, operano ai limiti della legalità. Ancora bassa è la percentuale di lavoratori intermediata dai centri pubblici per l’impiego e dalle agenzie private abilitate a operare nel mercato del lavoro in funzione di precisi regimi autorizzatori o di accreditamento. Poco e male presidiata è anche la transizione tra i vari gradi e ordini dei percorsi educativi di istruzione e di formazione che genera rilevanti fenomeni di abbandono e dispersione, anche per l’incapacità di orientare i giovani alla scelta di percorsi coerenti con le proprie attitudini e potenzialità. La riduzione dei tempi di transizione generazionale dalla scuola alla vita professionale e il contenimento dei fenomeni di job mismatch richiedono un insieme di interventi integrati e strutturati di politiche attive del lavoro che rendano più fluidi e trasparenti i meccanismi che regolano l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e che anticipino il contatto tra lo studente e l’impresa lungo tutto il percorso scolastico e formativo e quello universitario. È importante potenziare la rete degli operatori, autorizzati o accreditati, presenti sul mercato del lavoro, contrastare i cana-

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li informali che operano al di fuori del sistema, rilanciare la borsa continua nazionale del lavoro. Ancor più decisivo è che attività di orientamento al lavoro e di vero e proprio career service si sviluppino direttamente all’interno degli istituti scolastici e delle università come previsto dalla Legge Biagi, sfruttando a dovere la posizione privilegiata degli istituti di istruzione e formazione nell’indicare alle aziende i giovani in possesso del curriculum scolastico e universitario più adatto al profilo ricercato. Nello stesso tempo, questa attività può rappresentare per le scuole e le università uno straordinario sensore della qualità e coerenza della loro offerta formativa rispetto alle richieste del tessuto produttivo circostante e degli studenti. Il potenziamento di questo insieme di attività contribuisce a ridurre preventivamente il rischio della inoccupazione e della disoccupazione giovanile di lunga durata e a limitare il rischio che le competenze acquisite non siano coerenti con la domanda del mercato. La sfida deve tuttavia essere più ambiziosa e strutturale. Non basta creare strutture di placement nelle scuole e nelle università per garantire un solido futuro occupazionale ai nostri giovani. Sono le scuole e le sedi universitarie a dover svolgere a livello istituzionale, e con il coinvolgimento attivo di tutti i docenti e delle famiglie, un ruolo insostituibile di “intermediazione” tra i giovani e la società formandoli e preparandoli adeguatamente all’inserimento nel mondo del lavoro. Allo stesso tempo è necessario diffondere efficienti servizi di orientamento rivolti alle famiglie e ai giovani che si accingono a

compiere le scelte relative agli studi sin dai primi cicli del sistema educativo. Allo studente che si appresta a iscriversi a un corso universitario è importante che sia fornito un quadro completo dell’inserimento lavorativo del laureato e della richiesta del mercato del lavoro di persone con le competenze fornite dalla facoltà scelta, perché non si alimentino speranze ed equivoci che si scoprono tali solo alla conclusione degli studi, generando una diffusa frustrazione e una inevitabile insoddisfazione professionale e personale. Per essere effettivamente strumentali all’obiettivo della lotta alla disoccupazione e di uno stabile inserimento nel mercato del lavoro, i processi formativi e di orientamento devono porsi al di là della trasmissione tradizionale del sapere (e cioè del sapere inteso come complesso di conoscenze culturali e tecniche per lo svolgimento di una determinata attività lavorativa). Essi dovranno sempre più incidere sia sulla concreta applicazione del sapere in un dato contesto organizzativo sia sulle modalità di inserimento ambientale nei processi di produzione di beni o servizi. Moderne leve di placement possono essere, in questa prospettiva, i percorsi educativi di istruzione e formativi in alternanza scuola lavoro e, in questo contesto, particolarmente, in apprendistato che consentono, con esperienza pratica e in un assetto produttivo autentico, il conseguimento di un titolo di studio. Come nel caso dell’apprendistato per l’esercizio del diritto dovere di istruzione e formazione, che consente l’acquisizione di una qualifica del secondo ciclo. E ancor di più come nel


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caso dell’apprendistato di alta formazione che è indirizzato sia ai percorsi tecnico professionali sia alla acquisizione di un titolo universitario e persino di un dottorato di ricerca. In questa prospettiva, pare utile recuperare all’interno delle istituzioni scolastiche e delle università figure docenti specificamente deputate al tutoraggio personalizzato, al counselling e all’holding dei giovani coinvolti nei percorsi formativi in alternanza. Figure docenti tali che assicurino anche un costante rapporto di co- progettazione formativa con i tutor aziendali dei ragazzi. Alla base dei veri percorsi di educazione e formazione in assetto lavorativo esiste l’opportunità di trasferire al giovane le prime basi della cultura del diritto e del dovere, della responsabilità, dell’etica, della organizzazione, compresi i rapporti relazionali e il rispetto degli altri. Una promozione della cultura del lavoro e dell’organizzazione aziendale, sin dalle più giovani età, potrà generare altresì un sistema di formazione continua davvero efficace, aumentandone i benefici per i lavoratori e per le imprese. Il sistema educativo di istruzione e di formazione potrà svolgere al meglio questo ruolo fondamentale di intermediazione se saprà spostare l’attenzione dalle procedure ai risultati e, prima ancora, al destinatario. Piuttosto che concentrarsi unicamente sui fattori formali e burocratici dei percorsi formativi (durata, procedure, sedi fisiche), l’attenzione deve essere diretta alle conoscenze, abilità e competenze che la persona ha acquisito ed è in grado di dimostrare.

I sistemi educativi di istruzione e formazione devono adattarsi ai bisogni individuali predisponendo piani di studio personalizzati, rafforzare l’integrazione con il mercato del lavoro, rendere trasparenti e mobili le qualifiche, migliorare il riconoscimento dell’apprendimento non–formale e anche di quello informale, consentire l’acquisizione di professionalità realmente spendibili, educare i giovani ad affrontare con senso critico la realtà che li circonda. In futuro sarà importante superare il tradizionale percorso formativo rigido e standardizzato, a favore di percorsi di studio flessibili e personalizzati, anche durante l’istruzione secondaria. Per ricomporre le esperienze formative – in aula, in assetto lavorativo, in apprendistato, negli ambienti di lavoro – uno strumento chiave è il Libretto formativo del cittadino. Introdotto dalla Legge Biagi, il suo utilizzo è ancora oggi limitato a una sperimentazione in poche Regioni italiane. Il libretto formativo è uno strumento per la certificazione delle competenze che mette in trasparenza le qualifiche, facilitando il dialogo tra sistemi formativi e mercato del lavoro, e ponendo al centro la persona. La compilazione del libretto formativo rappresenta una opportunità per dare un senso ai percorsi e alle esperienze di formazione, non sempre apparentemente coerenti e spendibili. Lo stesso libretto formativo dovrà contenere anche la storia scolastica, i traguardi formativi e le competenze acquisite anche al di fuori del sistema educativo, senza soluzione di continuità tra percorso scolastico e percorsi

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di professionalizzazione, in modo da avvicinare nel concreto studio e lavoro, scuola e impresa, servizio educativo alla persona e servizio sociale e professionale, tutor scolastici e tutor aziendali e professionali. Da ultimo si avverte l’esigenza di punti di riferimento esterni al sistema scolastico, che, superando la tradizionale autoreferenzialità della nostra formazione, aiutino a capire le differenze presenti sul territorio nazionale e individuino le criticità da curare. A questo proposito è cruciale cogliere l’occasione per sostenere la sfida di un sistema educativo di istruzione e di formazione di qualità e della prevenzione contro gli abbandoni scolastici con riferimento alle peculiari realtà delle regioni meridionali. In questo senso, l’istituzione di un sistema di valutazione nazionale che, in continuo feed back con le istituzioni scolastiche e i docenti, compia rilevazioni e monitoraggi costanti attraverso adeguate strumentazioni docimologiche aiuterebbe nella conoscenza della realtà della formazione in Italia e, soprattutto, porrebbe le condizioni per interventi finanziari, culturali e didattici di sostegno, recupero e sviluppo che non sarebbero, per lo più come ora, uniformi e a pioggia, ma legati alle effettività dei contesti e molto mirati ai problemi da risolvere. Una capillare indagine a livello nazionale per la rilevazione dei fabbisogni professionali delle imprese, anche attraverso la valorizzazione delle periodiche rilevazioni Excelsior, potrebbe infine rappresentare uno strumento utile per progettare con il concorso delle parti sociali e del sistema delle imprese i percorsi educativi e formativi in modo più efficace, anche razionaliz-

zando l’utilizzo dei fondi pubblici e privati destinati a tale scopo. Allo stesso tempo, confidiamo nell’impegno e nella capacità di scuole e università di utilizzare al meglio gli strumenti che già oggi sono individuati dalla normativa scolastica e universitaria vigente per la consultazione, a livello locale, delle esigenze sentite dal mondo produttivo.

Rilanciare l’istruzione tecnico-professionale Un altro grave limite del nostro Paese nella competizione internazionale è rappresentato dalla mancanza di profili tecnici e professionali intermedi e superiori. Il deficit di tecnici intermedi è stimato in 180mila unità. Si assiste così al paradosso di imprese che non trovano la forza lavoro qualificata di cui hanno bisogno per competere sui mercati internazionali e di giovani in condizioni di disoccupazione o sotto-occupazione perché dotati di competenze che non servono al mercato del lavoro o che, comunque, risultano spendibili unicamente in settori e ambiti a bassa crescita occupazionale. L’istruzione tecnica rappresenta una opportunità per i giovani e per le imprese, ma soprattutto una necessità per il Paese. La ripresa economica non potrà prescindere dalla rinascita del settore manifatturiero e del made in Italy che sono storicamente collegati agli istituti tecnici. Questa grave anomalia impone, per un verso, il potenziamento delle azioni di orientamento e, per l’altro verso, la riorganizzazione, il rilancio e la riqualificazione della istruzione tecnica, che va sviluppata sino a livello terziario con la costitu-


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zione degli istituti tecnici superiori nelle aree tecnologiche più strategiche per l’innovazione e la competitività, soprattutto delle piccole e medie imprese, anche mediante il ricorso all’apprendistato di alta formazione e, soprattutto, la costruzione di percorsi formativi e di istruzione tecnica e professionale nei luoghi di lavoro e in assetto lavorativo. Queste scelte contribuiranno a ridurre significativamente, da un lato, l’astrattezza della cultura scolastica e, dall’altro, il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, migliorando l’occupabilità dei giovani e la permanenza nel mercato del lavoro degli adulti. L’istruzione tecnica richiede adattamento e miglioramento, ma è essenziale che il suo impianto e la sua identità siano riconoscibilmente distinte sia da quelle tipiche del filone liceale (liceo tecnologico compreso) sia da quelle che qualificano i percorsi graduali e continui dell’istruzione e formazione professionale. Questo naturalmente non esclude, ma anzi esige, allo stesso tempo, insieme alla loro massima non sovrapposizione, la più ampia integrazione possibile tra i sistemi. La preoccupazione deve essere mantenuta particolarmente alta e viva soprattutto nei rapporti che devono intercorrere tra percorsi di istruzione tecnica quinquennale, di istruzione professionale statale altrettanto quinquennale e di istruzione e formazione professionale regionale previsti ormai, in alcune Regioni, e distribuiti in una durata tra i tre e i sette anni. Senza questa accorta integrazione/distinzione dei percorsi della istruzione tecnica e della istruzione e formazione professionale, d’altra parte, la scommes-

sa di una formazione professionale non universitaria post secondaria risulterebbe del tutto pregiudicata e un settore formativo che esiste in tutti i paesi del mondo non potrebbe mai vedere la luce e irrobustirsi come merita al servizio dei ragazzi e del Paese. La riqualificazione degli studi tecnici e professionali passa, necessariamente, attraverso la riqualificazione della classe docente. È opportuno sviluppare un piano nazionale per lo sviluppo della cultura tecnica che rafforzi l’orientamento, migliori la governance, sviluppi i percorsi di aggiornamento innovativi per gli insegnanti, adegui i programmi alle innovazioni scientifiche e tecnologiche, modernizzi i laboratori in stretto collegamento con la domanda del settore produttivo, rafforzi l’esperienza stage – tirocinio – alternanza e il raccordo scuola – impresa attraverso l’istituzione dei nuovi comitati tecnico scientifici. In questa direzione si dovranno consolidare le innovazioni introdotte con la riforma della istruzione tecnica, che prevede l’istituzione di comitati tecnico-scientifici, finalizzati a rafforzare il raccordo sinergico tra gli obiettivi educativi della scuola, le esigenze del territorio e i fabbisogni professionali espressi dal mondo produttivo. I comitati tecnico-scientifici prevedono una composizione paritetica di docenti ed esperti del mondo del lavoro, delle professioni e della ricerca scientifica e tecnologica, con funzioni consultive e di proposta per la organizzazione delle aree di indirizzo e l’utilizzazione degli spazi di autonomia e flessibilità nella organizzazione

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della offerta didattica. Questi comitati tecnico-scientifici dovranno formulare i criteri per l’individuazione di esperti del mondo del lavoro e delle professioni, di cui gli istituti tecnici potranno avvalersi, attraverso la stipula di contratti d’opera, per arricchire l’offerta formativa con specifiche attività didattiche che richiedono competenze specialistiche. In questo modo, si possono coinvolgere nell’insegnamento un commercialista, un imprenditore, un avvocato, un contabile, anche non abilitati. 138

Rilanciare il contratto di apprendistato I rapporti di monitoraggio indicano che solo 20 apprendisti su 100 ricevono una qualche forma di formazione. Davvero troppo poco per un contratto dalle enormi potenzialità in termini di sostegno della qualità e produttività del lavoro. Lungi dall’essere un “semplice” contratto di lavoro, l’apprendistato rappresenta in effetti un innovativo strumento di placement, fondato sulla integrazione tra sistema educativo e formativo e mercato del lavoro, che supera la vecchia, quanto artificiosa distinzione tra formazione “interna” e formazione “esterna” all’impresa e consente ai giovani un rapido e stabile ingresso nel mondo del lavoro. Eppure, delle tre tipologie introdotte dalla legge Biagi risulta operativo – pur con marcate differenziazioni a livello regionale e settoriale – solo l’apprendistato professionalizzante, volto cioè al conseguimento di una qualificazione contrattuale attraverso una formazione sul lavoro e la acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali.

Del tutto virtuale, in assenza delle necessarie intese tra Stato e Regioni, è l’apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione. Uno schema che pure, se messo a regime, potrebbe consentire l’acquisizione di una qualifica professionale – e cioè di un titolo di studio – ai molti giovani che sono assunti in apprendistato con al massimo la licenzia media (ben il 54, 5%, a cui va aggiunto un 3% senza alcun titolo) e consentire altresì di contrastare efficacemente la dispersione scolastica. Lo stesso può dirsi per l’apprendistato di terzo livello, finalizzato al conseguimento di un diploma o di un titolo di alta formazione, compresi i dottorati di ricerca. Una opportunità unica, specie per le nostre piccole e medie imprese, per investire con costi ragionevoli nella ricerca e nella innovazione, ma utilizzata, di fatto, solo nell’ambito di un progetto sperimentale da tempo concluso e che ha visto il coinvolgimento di non più di mille apprendisti. Il contratto di apprendistato continua così a rimanere, nella stragrande maggioranza dei casi, un semplice contratto di lavoro temporaneo senza alcuna valorizzazione della componente formativa pure astrattamente prevista e, anzi, indicata dalla legge come elemento caratterizzante del modello contrattuale in questione. È quindi nostra intenzione sostenere e premiare le iniziative che le università vorranno intraprendere per sviluppare progetti di innovazione didattica che sappiano cogliere questa grande opportunità. Decisivo, per il sostegno al sistema produttivo e il rafforzamento delle competenze dei nostri giovani, è dunque il rilan-


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cio del contratto di apprendistato che non potrà non passare da una maggiore valorizzazione della componente della formazione aziendale e dal maggiore coinvolgimento delle parti sociali e della bilateralità. Gli sforzi delle regioni dovrebbero concentrarsi, per contro, sul rilancio dell’apprendistato per il diritto – dovere e per l’acquisizione di un diploma o di un titolo di studio universitario.

Ripensare l’utilizzo dei tirocini formativi, promuovere le esperienze di lavoro nel corso degli studi, educare alla sicurezza sul lavoro, costruire sin dalla scuola e dalla università la tutela pensionistica I tirocini formativi e di orientamento hanno svolto un ruolo fondamentale per avvicinare, anche in una ottica di placement, le sedi della istruzione e della formazione al mercato del lavoro. Per lungo tempo hanno rappresentato – assieme ai contratti di formazione e lavoro e all’apprendistato – uno dei pochi canali di inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Accanto a buone prassi si registrano, tuttavia, fenomeni di preoccupante degenerazione dei tirocini formativi e di orientamento che, non di rado, sono utilizzati come canale di reclutamento di forza lavoro a basso costo senza alcuna valenza formativa o anche solo di vero e proprio orientamento. Il loro utilizzo, pertanto, può e deve essere ripensato e rivalutato soprattutto alla luce della più recente evoluzione del quadro legale che ha previsto molteplici modalità di inserimento agevolato dei giovani nel mercato del lavoro. L’introduzione dei contratti di inserimen-

to al lavoro e del nuovo apprendistato, in uno con la messa a disposizione del mondo delle imprese di contratti a orario ridotto, modulato e flessibile (part-time, lavoro a coppia, lavoro intermittente), non può che spingere verso un recupero della componente formativa e di orientamento dei tirocini soprattutto nell’ambito dei percorsi educativi e formativi. La funzione dei tirocini formativi e di orientamento va rilanciata slegandola dalle eccessive restrizioni imposte dai percorsi universitari che, prevedendo troppo spesso un numero di ore eccessivamente ridotto, degli obblighi burocraticamente gravosi e una formazione lontana dalle esigenze reali, allontanano le aziende dall’utilizzo di uno strumento assai utile anche per loro, oltre che per i ragazzi, per conoscere dei possibili futuri candidati a un posto di lavoro. Gli stage vanno perciò resi flessibili e modellabili nei contenuti come nella durata. Resta in ogni caso imprescindibile la responsabilità delle università, quali soggetti promotori, nel vigilare sul buon andamento dei progetti formativi avviati dagli studenti all’interno delle aziende. Altrettanto importanti sono ulteriori iniziative che consentano ai giovani studenti di svolgere precocemente esperienze di lavoro, anche occasionali, durante i percorsi scolastici e universitari. Il lavoro occasionale di tipo accessorio, previsto dalla riforma Biagi e notevolmente ampliato con le successive modifiche legislative, offre oggi agli studenti la possibilità di svolgere lavori in tutti i settori economici durante le vacanze, nei periodi festivi e nel fine settimana.

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Crediamo molto nello strumento dei “buoni lavoro”, il lavoro occasionale di tipo accessorio regolato dalla legge Biagi. Per gli studenti si tratta non solo di una occasione di reddito, ma anche di una possibilità in più di avvicinamento consapevole e informato al mondo del lavoro imparandone le regole, i contesti, le possibilità di inserimento e crescita occupazionale. Il collegamento stabile tra la scuola e il mondo del lavoro, anche attraverso tirocini ed esperienze di lavoro, assume un ruolo decisivo per promuovere e sostenere lo sviluppo e la diffusione della cultura della prevenzione negli ambienti di vita, studio e lavoro. In questa prospettiva l’educazione alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro può infatti assumere, nel complesso della programmazione didattica delle scuole dell'autonomia, una valenza concreta tale da consentire la sperimentazione di nuove metodologie a sostegno della sicurezza dei lavoratori al fine di garantirne una occupazione di qualità. Un contatto anticipato con il mondo del lavoro aiuta infine i giovani a comprendere in tempo utile l’importanza di costruire il proprio futuro pensionistico che non potrà non essere condizionato dal monte contributivo versato. Fondamentale è il concorso di forme di previdenza complementari e anche il riscatto degli anni di studio universitario equiparandoli a periodi lavorativi utili ai fini pensionistici che si possono sommare alle prime esperienze di lavoro (a partire dai buoni lavoro per i giovani studenti al di sotto dei 25 anni) in un conto previdenziale unitario.

Ripensare il ruolo della formazione universitaria La riqualificazione degli studi tecnici e professionali secondari e superiori deve procedere di pari passo con un complessivo ripensamento della qualità e della funzione degli studi universitari. L’iscrizione di massa dei nostri diplomati alla università non risponde alle reali esigenze del mondo del lavoro e neppure alle prospettive di crescita degli stessi studenti che, in numero rilevante, abbandonano l’università già dopo il primo anno complicando con ciò i percorsi di transizione al mondo del lavoro. A rischio, tuttavia, è la stessa identità delle istituzioni universitarie che, per supplire alla mancanza di un forte sistema nazionale dell’istruzione tecnica e professionale superiore, hanno perso parte del loro prestigio e della loro autorevolezza. Sempre meno sono così i laureati che trovano una occupazione attinente alla formazione ricevuta. Più della metà dei laureati svolge un lavoro dove è richiesta genericamente una laurea o è sottooccupato in mansioni e compiti che non richiedono neppure la laurea. Più di una riflessione merita poi il fatto che la maggior parte di coloro che ottengono la laurea di primo livello sceglie di proseguire gli studi nel biennio specialistico. Le istituzioni comunitarie hanno da tempo dichiarato di voler fare dell’Europa l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo. Centrale, in questa prospettiva, oltre che la costituzione di un sistema della alta formazione professionale successivo e collegato all’istruzione tecnico-professionale,


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è il ruolo della ricerca scientifica e del sistema universitario in generale. Per fronteggiare questa sfida, oggi più che mai decisiva per competere sui mercati globali e coniugare gli obiettivi di innovazione e crescita con quelli del pieno e proficuo sviluppo della persona, l’università italiana deve colmare i gravi ritardi sin qui accumulati, come evidenziano inesorabilmente i benchmarking internazionali. Tutte le componenti del sistema universitario, a partire da chi ha le responsabilità di direzione e indirizzo politico, devono saper cogliere con coraggio e senza pregiudiziali ideologiche la richiesta di rinnovamento, rendersi trasparenti nella condotta e nei risultati, dimostrare con la forza dei fatti di saper progettare assieme il futuro del nostro Paese. Per prima cosa, si tratta di portare a compimento un percorso, già avviato, di semplificazione e riduzione del numero dei corsi di laurea triennale. La loro finalità non è infatti quella di incanalare i giovani in percorsi precocemente specializzati e forzatamente professionalizzanti, ma di fornire basi ampie, solide, approfondite sulle quali ciascuno potrà innestare la propria vocazione particolare secondo le scelte di vita personali. Il titolo triennale deve garantire salde conoscenze di metodo e di contenuto, presupposto imprescindibile sia per chi decide di impegnarsi subito nel mondo del lavoro sia per chi prosegue negli studi. Il processo di revisione dei corsi di studio sta dando i primi frutti e va ulteriormente accelerato, prestando attenzione alla progettazione di una offerta formativa attenta ai risultati di apprendimento e ai fabbi-

sogni occupazionali del territorio. Ci aspettiamo che alla logica tutta accademica e autoreferenziale della proliferazione dei corsi si sostituisca in tempi rapidi una reale valutazione delle esigenze degli studenti e del mondo del lavoro, con l’abolizione di corsi di studio incapaci di rispondere agli elevati standard formativi che sono oggi indispensabili. Dobbiamo abbandonare la vecchia concezione del titolo di studio universitario come punto di arrivo unico e finale nella carriera e nella vita degli studenti e incentivare piuttosto le università a prevedere una offerta formativa coerente con l’idea di apprendimento lungo l’intero ciclo di vita con percorsi formativi e di approfondimento anche per chi è già entrato nel mondo del lavoro, in modo da valorizzare (anche in termini di investimento reciproco) il legame di appartenenza con la propria università. È necessario superare una volta per tutte la sterile contrapposizione tra studi universitari professionalizzanti e non. In un quadro di grande evoluzione dei profili professionali, che richiede spesso la combinazione di conoscenze e abilità diverse tra loro, la laurea triennale va considerata, appunto, come parte di un percorso formativo destinato a durare tutta una vita. A tutti va garantita la possibilità di acquisire competenze ulteriori e diverse rispetto a quelle previste dal corso di laurea, sia dando impulso, come si diceva, alla formazione permanente sia approntando corsi brevi su argomenti specifici che possono essere seguiti anche durante gli anni di studio universitario. Si vuole così incoraggiare la formazione

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interdisciplinare durante, e non solo dopo, i tradizionali anni universitari, permettendo anche la frequenza di corsi e lauree parallele, anche tra loro molto diverse. Va quindi strutturata una offerta formativa versatile e destrutturata, che ribalti la tradizionale formazione “monocorso” e che associ alla storica e necessaria formazione del senso critico naturalmente universitaria, la conquista di competenze tecniche concrete e immediatamente spendibili in situazioni di lavoro. È in questa chiave di lettura che vanno intese le direttive per la riorganizzazione dei corsi di studio e le linee di indirizzo per la programmazione delle università nel prossimo triennio 2010-2012. Aprire i dottorati di ricerca al sistema produttivo e al mercato del lavoro Le aziende italiane non conoscono e non utilizzano i dottorati di ricerca. Nei Paesi che primeggiano nella competizione internazionale le aziende utilizzano – e finanziano generosamente – i dottorati di ricerca quale straordinaria opportunità per innovare e crescere; per reclutare i migliori talenti e investire sulle competenze di eccellenza richieste dai nuovi mercati del lavoro. In Italia, per contro, il destino del dottore di ricerca è, nella migliore delle ipotesi, la carriera accademica. Formati per il “mercato” autoreferenziale della università i non pochi dottori di ricerca che non accedono alla carriera accademica rimangono disoccupati e sono costretti, dopo una lunga attesa, a lavori modesti, perché dotati di attitudini e skill non particolarmente apprezzati dal mondo del lavoro, e, conseguentemente, con livelli retributivi e di produt-

tività che non si differenziano da quelli dei semplici laureati. Occorre superare questa grave anomalia, che genera un vero e proprio circolo vizioso e priva il Paese di un rilevante bacino per sostenere la ricerca nel settore privato, per formare figure professionali strategiche per le imprese e le professioni, per dotare il Paese di una nuova classe dirigente. Nel contesto di una rinnovata concezione della alta formazione universitaria e della ricerca, anche a sostegno della innovazione e della crescita del sistema produttivo e non solo nell’ottica limitata della carriera universitaria, assume una importanza strategica un ripensamento del dottorato di ricerca e del post-dottorato che devono drasticamente aprirsi verso il mercato del lavoro e quello delle professioni. È importante che il valore scientifico del dottorato sia alto e internazionalmente riconosciuto come tale, oltre che spendibile, ove serva, sul mercato del lavoro. Il dottorato costituisce infatti il grado più alto di specializzazione offerto dalla università, sia per chi intende dedicarsi alla ricerca sia per chi desidera entrare nel mondo produttivo dotato di competenze e capacità progettuali e di ricerca di particolare peso. La situazione attuale presenta alcune evidenti criticità. I corsi di dottorato sono oltre 2.200, con una media di appena 5,6 iscritti per corso: si tratta di una frammentazione davvero eccessiva, che non consente di creare quella comunità di giovani studiosi impegnati in uno specifico ambito di ricerca che costituisce la vera forza dei dottorati.


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Sono già in corso attività finalizzate ad allocare i fondi per il dottorato, d’ora in poi, solo per corsi attivati da sedi in possesso di competenze qualitativamente e quantitativamente adeguate, di strutture di ricerca all’altezza del compito e di una organizzazione dei corsi che eviti la frammentazione e la dispersione. I finanziamenti pubblici dovranno altresì premiare, in una logica di co- finanziamento e moltiplicazione delle (poche) risorse, quei dottorati che sapranno reperire finanziamenti privati, quale sicuro indice, tra gli altri, della qualità del percorso di formazione e ricerca offerto. Nella loro ventennale esperienza, i dottorati di ricerca italiani si sono caratterizzati, spesso in negativo, come mere scuole autoreferenziali di formazione e cooptazione di futuri professori, più che come centri di ricerca e avanzamento delle conoscenze del sistema produttivo del Paese. Non sorprende, proprio per questo motivo, la circostanza che i dottorati di ricerca italiani siano stati, salvo alcune limitate eccezioni, sostanzialmente incapaci di attrarre e convogliare non solo significativi finanziamenti privati, ma anche robuste collaborazioni con il tessuto produttivo locale e nazionale. A livello internazionale, solo pochi Paesi mantengono oggi la qualificazione della attività del dottorando di ricerca in termini di semplice studio. Tra i trentasette membri del c.d. “processo di Bologna” solo dieci Paesi (tra cui, oltre all’Italia, la Russia, il Regno Unito, l’Irlanda e la Repubblica Ceca) mantengono ancora per il dottorando la qualifica di “studente”, là dove in ben ventidue Stati (tra cui Austria,

Belgio, Germania, Spagna, Svezia, Svizzera) lo status di dottorando indica un mix tra studio e lavoro. In tre Stati (Danimarca, Olanda e Bosnia-Herzegovina) il dottorando assume invece la qualifica di lavoratore dipendente, al pari di quanto previsto oggi dalla Legge Biagi, per i dottorati in apprendistato. Il dottorato deve inoltre acquisire una dimensione sempre più internazionale e favorire la mobilità dei giovani. Oggi meno del 5% dei dottorandi attivi in Italia proviene dall’estero. È necessario intervenire su questo fronte, anche semplificando le procedure di ingresso e di selezione, e recepire prontamente le indicazioni che ci provengono dall’Europa in vista della creazione di una European Research Area volta a facilitare la libera circolazione degli studiosi. La dimensione internazionale dei dottorati va incentivata anche “in uscita”. È cioè necessario che il maggior numero possibile di dottorandi italiani, indipendentemente dalla specializzazione, segua una parte del proprio percorso formativo all’estero, avendo a che fare con prassi, metodi e teorie spesso sconosciute alla nostra accademia, ma che amplierebbero l’orizzonte e il network della futura classe dirigente italiana.

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Minuta L’INTERVISTA

Viaggio al centro della ‘ndrangheta Intervista a Gianluigi Nuzzi di Clio Pedone LETTERATURA

Il pentito del postmodernismo Adriano Scianca MUSICA

La crisi dell’intellettuale mitteleuropeo nelle note di Gustav Mahler Giuseppe Pennisi



Intervista a Gianluigi Nuzzi di Clio Pedone

Viaggio al centro della ‘ndrangheta

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Per la prima volta un libro entra nel retrobottega della criminalità calabrese, rompendo un silenzio che sembrava aver coinvolto anche il nord. Tra clamorose rivelazioni e immancabili polemiche, ecco cos’è (e come agisce) la mafia più potente e meno conosciuta d’Italia.

«Questo non è un saggio tecnico sulla ‘ndrangheta, ma sulla sua capacità di entrare nel corpo Italia e fagocitarne le cellule sane». Così Gianluigi Nuzzi definisce il suo ultimo saggio-inchiesta, costruito sulle testimonianze del pentito Giuseppe Di Bella, «che è come una sonda calata in un pozzo per capire se chi è caduto può uscire, se c’è spazio di manovra». Volto noto dei salotti Tv della politica (da quest’anno autore de L’Infedele) e celebre penna del quotidiano Libero, Nuzzi sale alla ribalta con Vaticano S.p.A., primo libro italiano definito dal Financial Times “il saggio più letto in Italia nel 2009”. Negli ultimi anni i suoi scoop hanno fatto

scandalo e determinato nuove indagini, come nel caso della guerra tra l’ex ministro Vincenzo Visco e l’ex numero uno della Guardia di Finanza Roberto Speciale, le intercettazioni di Piero Fassino e Giovanni Consorte e quelle di Gianpiero Fiorani e Antonio Fazio nell’inchiesta sulle scalate Bnl e Antonveneta o, più recentemente, quelle dell’allora premier Romano Prodi. Metastasi è “il primo libro che entra nel retrobottega della ‘ndrangheta”, ha detto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri; Nuzzi ha avuto il coraggio di “rompere dei silenzi”, perché, puntualizza, “il silenzio confina con la complicità”.


L’INTERVISTA

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Un uomo che decide di condurla, e con lei i suoi lettori, all’inferno, accanto a lui il suo bambino, già abbastanza cresciuto per capire tutto. Cosa ha provato al primo incontro col collaboratore di giustizia Giuseppe Di Bella?

Quando hai un incontro al buio di questo tipo ti aspetti di tutto. Metti tutto in conto. Può succedere che non venga nessuno. Che chi ti attende sia un impostore, mi ricordo che negli anni Novanta il bancarottiere Roberto De Gaetano, dopo mesi di latitanza, volle che lo accompagnassi a costituirsi in carcere. Non lo avevo mai visto né sentito prima. Mi chiamò chiedendomi se ero disponibile a portarlo dietro le sbarre e ad intervistarlo. Dissi di

sì. Sotto la redazione del Giornale, dove lavoravo, De Gaetano mi mostrò anche i documenti perché non esistevano foto di lui. Ecco, accade di tutto. Mai, però, mi sarei immaginato che si presentasse all’appuntamento con il figlio! Di Bella si è autodefinito un “fantasma a tempo che al 99,9% sarà ucciso”, così ha deciso di parlare e di raccontare i segreti più reconditi della ‘ndrangheta. C’è stato un momento in cui ha dubitato dell’attendibilità della sua fonte?

Il dubbio sull’attendibilità di Di Bella permane. Sarà la magistratura a fare chiarezza. Di certo, a oggi, dobbiamo registrare sia le smentite di alcune delle persone chiamate

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Intervista a Gianluigi Nuzzi di Clio Pedone

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in causa da Di Bella, sia le dichiarazioni di alcuni magistrati che sottolineano la credibilità di questo pentito. Ne riporto alcune per completezza. «Giuseppe Di Bella è stato un ottimo collaboratore di giustizia, è stato capitalizzato con il massimo, ritenuto sicuramente attendibile quindi non si discute della qualità del collaboratore». Questa frase è del sostituto procuratore Alberto Cisterna, in un’intervista a Radio24 di Oscar Giannino, trasmessa il 7 dicembre 2010. Ancora: «Sia da me, sia dai giudici, Di Bella è stato ritenuto credibile. Vi sono stati riscontri obiettivi con le indagini dei carabinieri, il suo contributo è stato fondamentale». Parole di Galileo Proietto, pm della Procura della Repubblica di Milano in un’intervista alla Gazzetta di Lecco del 4 dicembre.

portare un criminale sulla strada della collaborazione.

La storia dell’iniziazione del pentito Di Bella è simile a quella di altri ex ‘ndranghetisti, mafiosi, camorristi e criminali. Quanto pesa, secondo lei, il contesto sociale rispetto alle scelte che poi determinano il destino di un uomo?

In Lombardia e non in Calabria, in Campania, in Sicilia o in Puglia. La ‘ndrangheta del nord ha goduto di una sorta di immunità, o meglio di impunità, perché?

Dipende caso per caso, il contesto familiare è determinante o, almeno, lo è stato per Di Bella, che ha deciso di rompere ogni omertà residua e con il suo incredibile racconto, per la prima volta, ci ha permesso di conoscere la ‘ndrangheta da dentro, in un saggio che pare per tempo narrativo un romanzo. Ma è anche importante il contesto sociale, la prospettiva di lunghi periodi di detenzione per

La ‘ndrangheta è stata man mano perseguita dalle indagini delle varie procure – si pensi solo ai maxi processi celebrati a Milano alla fine dello scorso millennio – ma è mancata la consapevolezza culturale e sociale che ormai questa mafia ha: la capacità di poter contare su un’impressionante rete logistica, finanziaria e produttiva nel nord Italia. L’omicidio di Lea Garofalo, la pentita sciolta nell’acido a pochi


L’INTERVISTA

mafia dalla criminalità comune.

chilometri dalla Madonnina, lo testimonia. C’è poi un problema di percezione. Non si ha la percezione della vastità della penetrazione in atto, né si coglie il profilo di sangue che sconvolge le classifiche degli omicidi in certe regioni del nord. E quindi?

Mi spiego: molti omicidi rimangono senza movente perché la vittima è un incensurato quando, in realtà, si tratta di delitti di ‘ndrangheta. Così per le persone scomparse, è lupara bianca calabrese in terra settentrionale ma si pensa a fughe volontarie. Così ancora un’associazione delinquere a processo raramente viene colpita dall’accusa di mafia perché non sempre si distingue la

Metastasi non è solo un caso letterario, ma ha già suscitato le ire di molti personaggi di spicco della classe dirigente italiana. In primis Santo Versace, deputato Pdl e fratello del defunto Gianni, indignato per le presunte rivelazioni sull’omicidio dello stilista. Qual è la sua opinione a riguardo? Che su Versace noi abbiamo fatto il nostro dovere di cronisti. Abbiamo registrato le affermazioni di due diversi collaboratori di giustizia. Parole e accuse convergenti sebbene i due collaboratori non si conoscano. Parole e accuse tutte da dimostrare, che feriscono la famiglia dello stilista ed è un aspetto che umanamente ci colpisce, ma che saranno vagliate dai magistrati. E poi, al di là del capitolo Versace, che andrà bene a chi ama le polemiche, non vorrei che si distogliesse l’attenzione dal vero messaggio del libro. Ovvero?

Questo non è un saggio tecnico sulla ‘ndrangheta, ma sulla sua capacità di entrare nel corpo Italia e fagocitarne le cellule sane. Per questo credo che sia il momento di raccogliere segnali importanti dalle Istituzioni che presidiano i settori economici. Dalla moda, ad esempio, in Italia sarebbe auspicabile attendersi un moderno codice etico, un sistema di controllo interno per consentire al nostro made in Italy di costruirsi un’immagine indiscutibile in tutto il mondo. Iniziative

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Intervista a Gianluigi Nuzzi di Clio Pedone

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significative e, soprattutto, preventive, metterebbero a tacere qualsiasi voce. Non è, infatti, tollerabile che su alcuni marchi, concorrenti sleali o in malafede facciano aleggiare leggende negative e voci infamanti sulla costituzione dei primi capitali. Ed è ovvio che non mi riferisco a quanto due collaboratori di giustizia affermano in Metastasi. È un discorso generale. Sarebbe bene che si prendesse esempio da quanto Confindustria sta facendo nel Mezzogiorno, perché il silenzio confina con la complicità. Farebbe bene la Camera della moda e ogni istituzione a segnalare alla magistratura le aziende associate in odore di mafia e camorra. Qualunque organo di rappresentanza dovrebbe cercare la collaborazione della magistratura e non far finta di nulla. I ricordi e le accuse che muove Di Bella nelle 183 pagine del suo libro sono inediti e potrebbero scaturire nuove imputazioni, riaprendo la sua partita con la giustizia. La domanda che sorge spontanea è: perché? Può essere solo la morte improvvisa della moglie ad aver spinto un uomo, peraltro con la responsabilità di un figlio piccolo a carico, a mettere la propria vita a repentaglio più di quanto già non fosse?

Sì, può essere “solo” la morte se tutti questi ricordi ti pesano come un fardello sulle spalle, se la moglie rappresenta nella tua vita chi ti ha fatto chiudere con la criminalità organizzata, se, in definitiva, devi affrancarti definitivamente rompen-

do i sigilli delle ultime omertà visto che non riesci a progettare, pensare, ideare un futuro senza che questi fantasmi si animino. Gamma, una figura che ha ricoperto importanti incarichi di governo, un bell’uomo che è un leghista. Nel libro si raccontano le collusioni della Lega, «che parla un’altra lingua ma vuole le stesse cose degli altri partiti: voti e potere», con la ‘ndrangheta. Era evidente che queste affermazioni avrebbero suscitato non poco clamore negli ambienti del Carroccio. Lei cosa immaginava sarebbe successo? E soprattutto cosa pensa succederà?

Credo che generalizzare sia un rischio e una colpa da evitare. Nessuno, nemmeno Giuseppe Di Bella, accusa la Lega che, anzi, fin dalla sua nascita ha evidenziato, soprattutto nella seconda metà degli anni Ottanta, le degenerazioni di sistemi preventivi e repressivi come il confino dei mafiosi. È, però, un dato di fatto che in alcune inchieste emergano profili di esponenti locali del Carroccio. Di Bella riferisce, assumendosene le responsabilità, di un incontro tra il suo boss Franco Coco Trovato e l’ingegnere Roberto Castelli. Sarà la magistratura a verificare questo racconto, mentre noi abbiamo il dovere di fare un’analisi più complessiva e di cogliere queste occasioni per esaminare la penetrazione della ‘ndrangheta nel tessuto sociale del nord Italia. Ed è esattamente quanto cerca di compiere il mio saggio.


L’INTERVISTA

IL LIBRO

Metastasi: come funziona la ‘ndrangheta «Per lavorare con la ‘ndrangheta bisogna ragionare come uomini d’onore. Ma non basta essere uomini d’onore: bisogna capire le debolezze altrui e farle fruttare». Inquietante, sconvolgente, spietato, eppure circostanziato e verosimile. Metastasi, il nuovo libro di Gianluigi Nuzzi con Claudio Antonelli ci conduce in un “viaggio all’inferno”, ci fa vedere “la ‘ndrangheta entrare nel corpo Italia e fagocitarne le cellule sane”, e si candida ad entrare nell’Olimpo dei casi letterari. Non ci sono intermediazioni, non sono ammessi trucchi, il libro si presenta in tutta la sua brutale icasticità, tracciando un ritratto della ‘ndrangheta come non l’avevamo mai vista prima. Giuseppe Di Bella si racconta, racconta la sua sconvolgente biografia criminale, lo fa senza esitazione, con il figlioletto di dieci anni al suo fianco e mosso dalla rabbia per la prematura perdita della moglie. E questo saggio, che pare per tempo narrativo un romanzo, desta polemiche già prima di essere pubblicato: tira in ballo la Lega Nord, il partito che fa della limpidezza e dalla giustizia il suo cavallo di battaglia; racconta di crimini e delitti che a lungo sono stati relegati nel dimenticatoio; tira in ballo il defunto Gianni Versace, accusato di collusioni con la criminalità organizzata calabrese, e addirittura “sospettato” di essere vivo. Nuzzi non ci consegna un libro facile, ci presenta 183 pagine sulle quali è inevitabile riflettere. La ‘ndrangheta viene descritta, forse per la prima volta, nella sua realtà più cruda, esaminandone la penetrazione nell’apparentemente immacolato tessuto sociale del nord Italia, e ne deriva il ritratto di un sistema perverso di valori, potere e supremazia, una brutale macchina del consenso che porta a ritenere l’affiliazione un privilegio sociale e il clan un’élite. «Vorrei che in ogni Stato ci fosse un codice morale, o una sorta di professione di fede civile che contenesse, in forma affermativa, i principi sociali che ognuno sarebbe obbligato a rispettare», scriveva Jean Jacques Rousseau a Voltaire nell’agosto del 1756. Eppure, le indicazioni del filosofo illuminista non sono state ancora messe in pratica, ed è lo stesso Nuzzi a porre l’accento sulla necessità «di dotare l’Italia di un moderno codice etico, un sistema di controllo interno per consentire al nostro made in Italy un’immagine indiscutibile in tutto il mondo». È giunto il momento che si apra una riflessione seria e concreta sulla criminalità organizzata, perché “il silenzio confina con la complicità” ed è dunque inevitabile che lo Stato si ponga davanti al problema in maniera pragmatistica. «Sarà la magistratura a verificare questo racconto, a noi giornalisti il dovere di rompere i silenzi», chiosa l’autore.

Metastasi Sangue, soldi e politica tra Nord e Sud. La nuova ‘ndrangheta nella confessione di un pentito Gianluigi Nuzzi con Claudio Antonelli Chiarelettere

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Intervista a Gianluigi Nuzzi di Clio Pedone

I leghisti hanno sempre cercato di preservare la loro immagine di “purezza”, definendo il partito secessionista una sorta di “isola felice” rispetto agli altri. Però è probabile che, già prima delle rivelazioni del pentito Di Bella, qualcuno avesse dei dubbi. Tuttavia, in effetti, è solo con Metastasi che è scoppiata la bufera. Perché?

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In realtà le prime indiscrezioni le pubblicammo noi di Libero a fine autunno dello scorso anno. Iniziammo a novembre per poi spingerci oltre con un’inchiesta che ho firmato proprio sulle indagini denominate Infinito e Crimine della procura di Milano e di quella di Reggio Calabria, che avrebbero coinvolto esponenti della Lega. Poi la massima evidenza, dopo gli arresti di luglio, è arrivata con le accuse espresse da Roberto Saviano. Per quanto mi riguarda, io sono contrario alle generalizzazioni e poi qui né Castelli né altri sono indagati quindi mi pare davvero prematuro e fuorviante arrivare a delle conclusioni. Di Bella ha descritto una ‘ndrangheta concreta, viva e spietata, non più un fenomeno offuscato e astratto. Qual è il valore della sua testimonianza?

Di Bella è come la sonda che viene calata nel pozzo per capire se chi è caduto può uscire, se c’è spazio di manovra. Di Bella ci svela una ‘ndrangheta da “dietro le quinte” fatta di accordi, di affari, di collusioni, di quel mare immenso che è la zona grigia, degli occhi chiusi e dei silenzi, nel quale la

‘ndrangheta prospera. È il suo habitat naturale. Per questo la prevenzione passa per gli ordini professionali, le associazioni di categoria, Confindustria. Lo sforzo deve essere di tutti. Il libro è crudo, diretto, talmente sconvolgente che a volte si preferirebbe non terminare il capitolo. Il racconto dell’omicidio della diciottenne Cristina Mazzotti è a dir poco scioccante. Perché così tanto silenzio attorno ai fatti di ‘ndrangheta?

Perché è sempre stata ritenuta una mafia povera, relegata nei confini della miseria della Calabria, senza i personaggi noti di Cosa Nostra, da Al Capone ai pizzini di Bernardo Provenzano. È cresciuta nell’ombra e oggi ne paghiamo le conseguenze ritrovandola monopolista nell’importazione di cocaina in Europa e ancora poco conosciuta. «Sia da me, sia dai giudici, Giuseppe Di Bella è stato ritenuto credibile, vi sono stati riscontri obiettivi con le indagini condotte dai carabinieri. È indubbio che il suo contributo nelle indagini sia stato fondamentale». Queste le parole di Galileo Proietto, sostituto procuratore della procura di Milano. Cosa risponde alle accuse sull’inattendibilità della sua fonte?

Io non sposo le parole di Di Bella ma consegno la prima copia del libro in procura perché vengano compiuti tutti gli accertamenti. Di Bella ha fatto condannare 120 persone. Oggi si autoaccusa di


L’INTERVISTA

fatti nuovi, accusa suoi parenti, indica gli esecutori e i mandanti di omicidi: credo ce ne sia abbastanza per verificare quanto dice. Ma quello che più mi interessa è la possibilità di entrare in quella mentalità che Di Bella ci offre con la sua persona e i suoi sconvolgenti racconti. Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, mi ha detto proprio questo: «È il primo libro che entra nel retrobottega della ‘ndrangheta». Il suo nome è associato a due libri che hanno sconvolto l’opinione pubblica, riaprendo dibattiti e indagini che i più avrebbero preferito relegare nel dimenticatoio. Come vive Gianluigi Nuzzi questo scomodo successo?

È dal 1994 che cerco notizie. Mi ricordo ancora quando al Giornale pubblicammo le intercettazioni telefoniche dell’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro che conversava amabilmente con dei bancarottieri, uno scoop che preoccupò persino uno come Vittorio Feltri. Mi chiamò in ufficio e mi disse: «Gianluigi, stavolta ci arrestano». Erano altri anni, c’erano pochissime intercettazioni (note). Credo che il giornalismo debba fare anche questo: rompere dei silenzi.

L’Intervistato

Nazionale.

GianluiGi nuzzi

Inviato di Libero e autore del programma di Gad Lerner L’Infedele, ha lavorato a Panorama e collaborato con Il Corriere della Sera. Dal 1994 segue le più rilevanti inchieste giudiziarie con implicazioni politiche e finanziarie. Ha pubblicato nel 2009 Vaticano S.p.A., il caso editoriale dell’anno, tradotto e venduto in moltissimi paesi stranieri.

l’autore clio pedone Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali a La Sapienza, specializzata in Politica internazionale alla Lumsa. Responsabile dell’ufficio stampa dell’on. Roberto Menia, scrive per AreaNazionale, La Destra delle Libertà. Ha collaborato con Il Tempo e L’Occidentale.

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Adriano Scianca

Il PENTITO del postmodernismo Ecco come (e perché) i vecchi fautori dell’approccio postmodernista hanno cambiato idea sulla vita e sul mondo. 154

«Non si capisce cos’altro se non la realtà si possa offrire, come alternativa filosofica e politica, in un mondo ammalato di favole». Detta così ha ragione da vendere, Maurizio Ferraris. Ma bastava ricordarsi di quanto diceva già Clément Rosset: «Niente è più fragile della facoltà umana di ammettere la realtà, di accettare senza riserve l’imperiosa prerogativa del reale». Ferraris, tuttavia, è, per così dire, un fresco innamorato degli imperativi del reale, ai quali invece ha per molto tempo preferito le più ardite tesi decostruttive tanto in voga qualche decennio fa. Il suo ultimo libro, Ricostruire la decostruzione. Cinque saggi a partire da Jacques Derrida (Bompiani, pp. 106, 10 euro), è un po’ il diario di bordo di questo cambiamento di prospettiva, del resto già reso noto in diversi altri saggi di filosofia (più o meno pop). Stavolta lo studioso torine-

se torna a parlare del suo vecchio amico Jacques Derrida (19302004), un pensatore troppo spesso affogato nel grande minestrone postmoderno. Sì, i postmoderni, i filosofi che facevano un po’ i fighi con le giacche di velluto e i capelli a mezzo collo, divertendosi a smontare ogni concetto fino a che non rimaneva più nulla del linguaggio ordinario, quello per intenderci che noi usiamo per andare a fare la spesa (e il fatto che quei pensatori siano riusciti a non morire di fame riuscendo comunque a comprarsi una bistecca come facciamo tutti è già di per sé un argomento filosofico di cui tener conto). Ferraris viene esattamente da quella generazione, si è nutrito di quelle suggestioni, ha giocato anche lui a mettere in dubbio tutte le certezze, salvo accorgersi ad un certo punto che c’è un nocciolo duro di realtà che si sottrae ad ogni gioco, para-


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dosso o decostruzione. Una conclusione, ci spiega, che ha implicazioni anche politiche e morali, oltre che, “semplicemente”, epistemologiche. Per spiegarci tutto ciò, l’autore fa ricorso per l’appunto a Derrida, un pensatore che, per l’approccio originalissimo alla filosofia che lo contraddistingue, è stato spesso interpretato come l’idealtipo del pensatore postmoderno: gauchiste, provocatore e piuttosto

incomprensibile. E invece, a ben vedere, è stato proprio quello che per primo ha reagito alle mode filosofiche inconcludenti e irresponsabili, cominciando a dirci che no, non tutto può essere messo in discussione, smontato, ribaltato, schernito, decostruito. La giustizia, ad esempio, ambito nel quale è difficile e pericoloso ribadire che tutto è relativo e che in fondo la verità non esiste. Una riflessione più


Adriano Scianca

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volte ribadita da Ferraris recita: continua, «le cose si sono realizzache cosa accadrebbe se nei tribu- te, per così dire, fin troppo, con nali, al posto del caro e vecchio leader populistici che comandano “La legge è uguale per tutti”, tro- a colpi di barzellette, offrendo l'invassimo la frase nietzscheana così carnazione (perversa o perfetta?) amata dai postmoderni: “Non esi- del “teorico ironico” di cui parla stono fatti, esistono solo le interpre- Rorty vedendoci un desiderabile tazioni”? Filosoficamente l’argo- avvenire per la democrazia». Il pomento regge fino a un certo punto, stmodernismo aprirebbe quindi la ma per grandi linee l’interrogativo strada ad un modo di fare politica ha un senso. E qui arriviamo, co- in cui l’apparenza conta più della me si vede, all’aspetto più propria- sostanza, l’entusiasmo per la brilmente politico della vicenda. Che lantezza mediatica dei significanti Ferraris cala dritto dritto nell’attuali- più della pregnanza etica dei sità politica italiana con un prologo gnificati, e non esiste più alcun settore giuridico o significativamente intietico che si sottolato Dal postmoderPer Ferraris il populismo tragga alle torsiono al populismo. ni concettuali di L’autore non cita mai di destra realizza una interessata un noto politico lompoliticamente i sogni “ermeneutica afbardo con un particofilosofici postmoderni faristica”. Insomlare feeling con la tema, per Ferraris il levisione, ma è abbadi sinistra populismo (di destanza chiaro dove stra) realizza polivoglia andare a parare. È trasparente, ad esempio, ticamente i sogni filosofici del pol’allusione politica quando il filoso- stmoderno (di sinistra), anche se in fo torinese ricorda l’imperativo po- una maniera che nessuno dei teoristmoderno di «non aderire fino in ci postmodernisti avrebbe apprezfondo alle proprie credenze e di zato. Da qui l’auspicato cambio di presentarsi come “teorici ironici”, rotta, teorico e pratico: «Se i poche non credono fino in fondo a stmoderni si trovavano di fronte a quello che dicono, a quello che una realtà compatta e granitica fanno e persino (difficilissimo!) a (magari anche solo ideologicaquello che pensano». Aspirazione mente) e sentivano l'esigenza di eminentemente emancipativa, spie- decostruire, oggi mi sembra che ci ga Ferraris, in quanto intendeva si trovi di fronte a un processo antiprendere le distanze da chi si ritie- tetico, cioè a una realtà intimamenne possessore di verità assolute in te decostruita e, se così posso nome delle quali, eventualmente, si esprimermi, delegittimata in quanto può persino scatenare una guerra realtà. Dunque è proprio dalla redi religione ogni tanto. Eppure, altà che si tratta di ripartire». Altro-


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ve, Ferraris era stato meno criptico, identità borghese vi sarebbe inveparlando esplicitamente di “esiti ce una marcata “affinità elettiva”. Il berlusconiani” del postmoderni- pubblico della cultura postmodersmo. Dichiarazione presente nella na, infatti, sarebbe quella classe introduzione alla nuova edizione media post-industriale, quella bordi Tracce. Nichilismo, moderno, ghesia “yuppificata” cresciuta con postmoderno, (Mimesis Edizioni), i mass-media e la pubblicità, già un testo in cui, nei primi anni Ot- abituata ad una estrema mobilità tanta, il filosofo esprimeva la sua sociale. Richard Wolin, poi, ha passione per il postmoderno e nel- persino parlato di “fascinazione la cui ristampa, avvenuta nel verso il fascismo” da parte dei po2006, compiva invece un mea stmoderni: «La mia opinione – ha culpa filosofico. Insomma, Ferraris spiegato – è che a un certo punto critica il postmoderno come fareb- l’ostilità del postmodernismo nei be un innamorato tradito. In que- confronti della “ragione” e della “verità” sia intelsto, in realtà, segue lettualmente insoun po’ lo Zeitgeist. Il postmodernismo, stenibile e politiGià Scott Lash, infatti, camente debiliaveva evidenziato alla lunga, si è rivelato tante. Spesso la l’inadeguatezza del inadeguato a portare sua diffidenza postmodernismo a avanti battaglie politiche nei confronti delportare avanti battala logica e delglie politiche di stamdi stampo progressista l’argomentaziopo progressista: «Rine è così estretengo che la cultura postmodernista, tutto sommato, non ma che i suoi praticanti restano abbia approntato un terreno favo- sbalorditi e disorientati – moralrevole per la politica di sinistra. Il mente e politicamente senza difemodernismo ha offerto un’arena se. Quando, in virtù della pratica molto più favorevole su cui ingag- dell’“ermeneutica del sospetto” giare le tradizionali battaglie cultu- neo-nietzscheana, la ragione e la rali della sinistra» (Modernismo e democrazia sono ridotti ad oggetti postmodernismo, Armando). Il po- di diffidenza, si è invitati all’impostmodernismo, per Lash, non costi- tenza politica: si rischia di abbantuisce una sfida per i valori borghe- donare ogni capacità di azione efsi: nella postmodernità non c’è più fettiva nel mondo» (The seduction posto né per lo sperimentalismo of unreason, Princeton University estetico né per le avanguardie arti- Press). Per tacere, poi, della critica stiche o politiche. In quest’ottica, il radicale del marxista Fredric Jamemodernismo è stato indubitabilmen- son, la cui condanna è senza apte più antiborghese del postmoder- pello: «Il postmoderno ha infatti sunismo. Tra cultura postmodernista e bito tutto il fascino di questo pae-

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saggio degradato di kitsch e scarti, di serial televisivi e cultura da Reader’s Digest, di pubblicità e motel, di show televisivi, film hollywoodiani di serie B e della cosiddetta paraletteratura con i suoi paperback da aeroporto, divisi nelle categorie del gotico e del romanzo rosa, della biografia romanzata e del giallo, della fantascienza e del fantasy: materiali che nei prodotti postmoderni non vengono semplicemente “citati”, come sarebbe potuto accadere in Joyce o Mahler, ma incorporati in tutta la loro sostanza» (Il postmoderno, o la logica culturale del tardo capitalismo, Garzanti). Insomma, passata la sbornia in cui se non si era letto, possibilmente in francese, L'Antiedipo si era gli ultimi dei cialtroni, è poi arrivato il momento del riflusso. Miserie di un intellighentsia estenuata. Quello che ci interessa, tuttavia, è altro. Il richiamo alla realtà operato da Ferraris è in effetti interessante (e può servire anche a destra). Va da sé che il nesso fra Rorty e Berlusconi o fra Deleuze e Ghedini è puramente polemico, poco più di una battuta ben riuscita o di un’ossessione mal sublimata. Che, tuttavia, noi si abbia bisogno di districarci fra gli spettri della società dello spettacolo e ritrovare un nuovo senso della terra è certamente vero. Fare i conti con la realtà e trovare soluzioni adeguate ad essa: detta così sembra semplice, ma se la politica si limitasse anche solo a ciò avremmo comunque fatto un passo avan-

ti non indifferente. “Fare i conti con la realtà”, senza rinunciare a trasformarla (come diceva Marx, ma anche Gentile) ma evitando anche di credere di trasformala attraverso giochi di parole. Abbandonare tanto la Ragione con la maiuscola, verità assoluta padroneggiata solo da pochi eletti onnipotenti, quanto la sragione più irresponsabile, l’irrazionalità inconcludente e spiritosa. Stai a vedere che alla fine il pensiero più attuale è quello di Aristotele, che invitava il politico a servirsi della phronesis, che è una via di mezzo tra la prudenza, la saggezza, la ragionevolezza e la furbizia. Una “razionalità pratica” che, a differenza di quella teoretica, sa di non poter essere esatta e deve quindi sempre navigare un po’ a vista, facendo i conti con la complessità del reale. Per farla più semplice: serve concretezza, perché oggi solo la concretezza è rivoluzionaria. Diciamo che serve un governo dei fatti, più che un governo del (voler) fare. Non è chiedere troppo.

l’autore adriano scianca Giornalista, studioso di filosofia, dottore di ricerca all’Università La Sapienza di Roma. Collabora con il Secolo d’Italia.



Giuseppe Pennisi

Doppia ricorrenza

La crisi dell’intellettuale mitteleuropeo nelle note di Gustav Mahler A centocinquant’anni dalla nascita e a cento dalla morte, anche Roma celebra il genio del compositore austriaco. Tra musica e approccio alla cultura, ecco chi era e cosa ha rappresentato. DI GIUSEPPE PENNISI

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In tutto il mondo si celebra un doppia ricorrenza: quella di Gustav Mahler, nato a Kalischt in Boemia il 7 luglio del 1860 e morto a Vienna, ancora capitale della duplice monarchia austroungarica, il 18 maggio 1911. Si tratta, dunque, di due celebrazioni, il centocinquantenario della nascita e il centenario della morte del compositore. In numerose città del mondo di cultura tedesca ed anglosassone viene eseguita integralmente, per l’occasione, l’opera del compositore. In Italia, non mancano complessi sinfonici che affrontano lavori importanti di Mahler, ma solo Roma è dotata di due grandi orchestre che si sono poste l’obiettivo di eseguire Mahler o quasi: l’orchestra sinfonica dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia (che Mahler diresse quando la sede del complesso era all’Auditorium Augusteo) e la più

giovane Orchestra sinfonica di Roma. Non è una sfida vera e propria: l’Orchestra Sinfonica di Roma (una realtà che ha meno di dieci anni, con orchestrali mediamente trentenni, che non riceve alcun sussidio dal settore pubblico e ha un budget di meno di cinque milioni di euro l’anno) non può gareggiare con una delle più antiche e meglio dotate (un budget di cinquanta milioni di euro l’anno) formazioni sinfoniche europee. In effetti, nell’auditorium di via della Conciliazione (sede dell’Orchestra sinfonica di Roma) non si ascolterà l’Ottava sinfonia (che richiede almeno 500 esecutori – è chiamata la “sinfonia dei mille”), ma il più struggente dei Lieder che, in questo arco di tempo, non si ascolteranno alla Sala Santa Cecilia. Di converso, nella Sala Santa Cecilia, l’unico tempo completato della decima sinfonia si


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ascolterà – leggermente al di fuori del ciclo – l’11 dicembre 2011 ad opera dei complessi del Teatro Marinskiy di San Pietroburgo guidati da Valery Gergiev. Per tener conto dello sforzo richiesto dall’esecuzione dell’integrale di Mahler occorre tener presente che l’Accademia di Santa Cecilia ha realizzato un progetto analogo

quando il direttore musicale era Myung-Whun Chung, grazie all’immaginazione e alla tenacia del coordinatore artistico Gastón FournierFacio (ora alla Scala di Milano). Allora il progetto venne articolato dall’ottobre 1997 (il concerto inaugurale delle stagioni guidate da Chung) al maggio 2005 (quando sempre Chung ha condotto la No-


Giuseppe Pennisi

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na sinfonia prima di cedere il po- interrogativi in un breve saggio dio all’attuale direttore musicale, pubblicato dalla rivista Ideazione Antonio Pappano). Chung ha avuto nel primo scorcio del 2005. Torno la responsabilità di guidare i com- sull’argomento, a sei anni di distanplessi dell’Accademia nella versio- za, non solamente a ragione della ne integrale; in quell’arco di tempo passione per Mahler ravvivata dal vari concerti mahleriani sono stati duplice anniversario o perché i prodiretti, a Santa Cecilia, da Yuri Te- getti di oggi tanto dell’Accademia mirkanov, James Colon, Daniele nazionale di Santa Cecilia quanto Gatti, Kent Nagano, Roberto Ab- dell’allora nascente Orchestra sinfobato, Leonard Slatkin, Lorin Maa- nica di Roma, sono differenti da zel, Zubin Metha, Gary Bertini, Mi- quelli del 1997-2005 ma perché il chael Tilson Thomas, Paavo Järvi e contesto storico-politico ed econoClaudio Abbado (in ordine rigoro- mico-culturale è profondamente samente cronologico). Manca al- cambiato nell’arco di questi sei anni (quando la crisi l’appello uno dei più economica e figrandi interpreti di Boemo vissuto a Vienna, nanziaria esplosa Mahler, Giuseppe Sinopoli: avrebbe dovupoi emigrato negli Usa, nel luglio 2007 era lontana e ci si to dirigere la Nona Mahler esprime la crisi compiaceva delle nel novembre 2002 dell’Europa occidentale prospettive della ma se ne è andato poco più di un anno a cavallo tra due epoche new economy). Nato in Boemia prima, mentre dirigenella seconda meva Aida a Berlino. L’integrale è uno dei risultati del po- tà dell’Ottocento, costruitasi una ter disporre di un auditorium appro- prima carriera a cavallo tra l’Impepriato – le sinfonie di Mahler richie- ro tedesco (sempre più dominato dono organici orchestrali enormi, dalla Prussia) e la monarchia aucantanti, cori e doppi cori nonché stroungarica; stabilitosi a Vienna cori di voci bianche – e del ricordo proprio mentre un secolo stava per della direzione da parte dello stes- terminare e l’altro per iniziare; esiso Mahler dei complessi dell’Acca- liatosi, poi, a New York per fuggire demia all’Augusteo il 28 aprile del dagli intrighi di una società già sul 1910, un anno prima di morire? punto di correre verso il suicidio; Oppure c’è un nesso meno visibile rientrato a Vienna quasi giusto in ma più profondo, tale da trascen- tempo per morirvi, Mahler esprime dere gli aspetti più spiccatamente la crisi della cultura dell’Europa ocmusicali dell’evento e di riguardare cidentale a cavallo tra due epoche. anche quelli storico-politici ed eco- È stato direttore d’orchestra acclamato ed innovativo in quanto volto nomico-culturali? Ho cercato di rispondere a questi alla rigorosa interpretazione della


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partitura senza abbellimenti da par- avanzate – dalla stereofonia della te degli interpreti. In effetti, in vita, musica elettronica e cinematografivenne apprezzato più come con- ca all’estremismo delle composiziocertatore che come compositore in ni di John Luther Adams che possoquanto troppo netta era la rottura no essere eseguite ed ascoltate unisia nella sinfonia (dove venivano in- camente in The place you go to litrodotti elementi folkoristici e popo- sten, la casa speciale costruitasi in lari, oltre alla voce umana, e non si uno dei luoghi più isolati dell’Alaapplicavano i quattro movimenti ska. della sintassi in atto sin da quando Lo stesso Mahler, a fronte del relatiera stata formalizzata da Haydn) vo disinteresse di parte del pubblisia nel Lieder (dove il canto veniva co per le sue enormi sinfonie, amagiustapposto non ad uno o due stru- va ripetere che sarebbero state menti oppure al grande organico). comprese ed applaudite solamente L’Olanda diventò la roccaforte de- 20 o 30 anni dopo la sua morte. Erano consideragli estimatori delle sue te, dai critici e composizioni, perplesLa sua musica, messa dal pubblico delsità le accoglievano l’epoca, come nel mondo germanico al bando in Germania espressione tare (nonostante certe afnel 1933, tornò do-romantica e finità con Respighi) in ad essere eseguita post-wagneriana Italia i rari concerti a di un epigono. lui dedicati suscitarosolo negli anni ‘50 Una lettera di Anno curiosità più che ton Webern a Alentusiasmo. La sua musica, messa al bando in Germania ban Berg, scritta poco dopo la nel 1933 (Mahler era ebreo, an- morte del loro amico comune, illuche se agnostico e convertitosi in stra come l’avanguardia stessa delgran pompa al cattolicesimo per la scuola viennese lo considerassepuri motivi di convenienza), è tor- ro, invece, un anticipatore di quello nata a essere eseguita con frequen- che sarebbe diventato, nel lessico za soltanto dalla fine degli anni musicale di oggi, il “Novecento stoCinquanta, non solo grazie ai suoi rico”. allievi (Walter, Kemplerer) ed alla Mahler è stato partecipe attivo dei nidiata di (allora) giovani concerta- movimenti culturali al tempo stesso tori (Kubelik, Bernstein, Solti, Hai- più nuovi e più tormentati del suo tink) ma pure a ragione della ste- periodo (in primo luogo la “secesreofonia che ha reso possibile la sione” in architettura e nelle arti firealizzazione del concetto mahle- gurative): ben lo raffigurano le ririano di suono spaziale, un concet- produzioni di Klimt nel cofanetto fito davvero moderno che oggi pla- ne anni Sessanta dei quattordici sma le esperienze musicali più long-playing delle sinfonie dirette

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da Kubelik alla guida dall’orchestra della radio della Baviera. Avido lettore di Dostoevskij, Nietzsche e (ovviamente) Goethe, nonché accompagnato da una vita interioMahler rappresenta le difficoltà di percorso re complessa (da una converdell’intellettuale mitteleuropeo sione di maniera al cattolicesimo, passo essenziale per diventare direttore generale dell’Opera di Stato di Vienna, al complicato rapporto con la giovane e bellissima – ma non fedelissima – moglie Alma Schindler), Mahler rappresenta più di altri compositori di quel periodo le difficoltà del percorso dell’intellet164 tuale mitteleuropeo agganciato ad un passato sul punto di scomparire e rivolto verso un futuro da contenuti e contorni ancora non definiti. A titolo di raffronto, Richard Strauss è stato anch’egli espressione di una crisi di transizione, almeno sino ad Elektra; già con il Rosenkavalier mostrò di avere meravigliosamente metabolizzato il passaggio del tempo dalla fine dell’Ottocento ad un Novecento denso di tormenti ma anche di progresso tecnologico, economico e anAnche Richard Strauss che musicale; è stato espressione con Ariadne auf di una crisi Naxos e Die di transizione Frau ohne Schatten (ambedue concepite durante la Prima guerra mondiale ma, rispettivamente, trionfo dell’eros sulla morte e inno alla paternità e alla maternità) provò di aver superato ogni timore e di essere tra gli intellettuali

del Ventesimo secolo che guardavano con una punta di ironica melanconia al Diciannovesimo. Circa sei anni fa mi chiedevo se le passeggiate nel romano Parco della Musica o in via della Conciliazione di Roma in compagnia della musica di Mahler (analoghe a quelle che faceva, in compagnia di musicisti, scrittori, pittori e scrittori, nello Stadtpark e nel Volksgarten di Vienna o al Central Park di New York), non abbiano assonanze con la crisi dell’intellettuale europeo in questi anni di transizione tra il Novecento al segno dell’industrializzazione ed il Duemila al segno invece


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della net economy e della hightech. Oggi mi chiedo se non assomiglino di più alla fine della prima fase di globalizzazione dei tempi moderni – posta da storici dell’economia come Kevin O’Rourke e Jeffrey Williamson tra il 1870 ed il 1910) – in cui l’Europa fu al centro del fenomeno. Quella fase della globalizzazione terminò con due colpi di pistola a Sarajevo e una lunga guerra intereuropea, dal 1914 al 1945, interrotta da un armistizio di vent’anni. L’Europa non è stata al centro dell’integrazione economica internazionale in corso dalla metà degli anni Ottanta, e

che ora è sull’orlo di arrestarsi o di tornare indietro. Ha anche perso la centralità innovativa e culturale, pure nel campo musicale, come dimostrato, ad esempio, dall’irresistibile ascesa dell’opera lirica americana (in febbraio a L’Europa è oggi Roma vedremo sull’orlo di arrestarsi A view from the o addirittura bridge di Wildi tornare indietro liam Bolcom ed abbiamo appena visto Powder your nose di Thomas Aldès a Bologna e For You di Iam McEwan e Micheal Berkeley in tournée in diverse città italiane) e dalla stessa musica elettronica (i cinesi e i giap-


Giuseppe Pennisi

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ponesi, non più i tedeschi, i france- l’intellighentsia cominciava a sposi e gli italiani, hanno trionfato al starsi dall’Europa all’altra sponda dell’Atlantico. Oggi, l’integrazione recente Emufest romano). Non solo, il sistema monetario in- economica internazionale e la ternazionale si sta spappolando “morte della distanza” derivante (come avvenne attorno al 1910), dalla telematica, non solo rendono la stessa unione monetaria europea più tenue il ruolo dell’intellettuale va avanti a pezze e rattoppi (come europeo, rispetto al suo omologo avveniva, negli ultimi anni della vita americano, ma quest’ultimo guarda di Mahler, a quell’unione moneta- con maggiore attenzione al bacino ria latina definitivamente sciolta nel del Pacifico (ed alle sue controparti 1927), torna il protezionismo (in in quell’area) che al Vecchio ContiItalia da quello “imperfetto” del nente, nella cui demografia e strut1878, ossia la tariffa doganale as- tura produttiva si avvertono segni di sociata al nome del ministro delle senilità. E la senilità – ci ha ammonito Italo Svevo – Finanze Luigi Luzzati, non si condona a si andava, ai tempi di All’epoca di Mahler nessuno. Mahler, a contingenti Nell’immaginario duri in occasione delil centro della politica del pubblico mela guerra di Libia ed e dell’economia no accorto, Maora ad intese bilateracominciava a spostarsi hler condivide, li), si profila la frammentazione del comdall’Europa all’America con Wagner, una leggenda: quella mercio e dell’econodi essere stato un mia mondiale in aree di libero scambio, accordi regiona- compositore fluviale. Invece, al pari li e bilaterali preferenziali. E soprat- di Wagner, Mahler compose relatitutto non è la bella addormentata vamente poche ore di musica. WaEuropa, ma sono la formica asiati- gner rivoluzionò il teatro in musica, ca, la cicala nord-americana e le ti- ove non la musica occidentale in gri dell’America latina (Brasile in tutti i suoi canoni, con 13 drammi primo luogo) ad essere i protagoni- (e pochissime composizioni orchesti di partite in cui il Vecchio Conti- strali) per un totale di 40 ore di nente ha tanti seggi (al Fondo mo- ascolto (50 se si includono le tre netario, in Banca mondiale) ma dà opere giovanili da lui stesso, a mio l’impressione di costituire un coretto avviso ingenerosamente ed ingiu(non sempre all’unisono) di compri- stamente, ripudiate). Mahler ci ha lasciato appena dieci sinfonie (di mari. All’epoca di Mahler, era in atto il cui l’ultima incompiuta) e 43 Lieder crepuscolo degli Stati-nazione e de- (uno di meno di quelli contenuti nel gli imperi multinazionali; il centro solo ciclo del “Libro dei Lieder spadella politica, dell’economia e del- gnoli” di Hugo Wolf), un numero


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modesto rispetto a quelli di Schu- tegrali delle sinfonie di Schumann e bert, Schumann e Brahms. Mahler, di Brahms) – quindi nell’arco di notuttavia, rivoluzionò la sinfonia to- ve mesi. Quello dell’Accademia di gliendola dalle strutture formali ri- Santa Cecilia si estende su tre stamaste sostanzialmente immutate da gioni, ma in pratica su poco più di Haydn a Beethoven, aggiungendo- un anno e mezzo in quanto spazia vi voci e cori e fondendola con il dall’ultima parte della stagione Lied (si pensi al quarto tempo della 2009-2010 all’inizio di quella seconda, della terza e della quarta 2011-2012. L’ascoltatore ha, sinfonia, nonché al quinto della ter- quindi, la possibilità di meglio afza). Una concezione nuovissima: il ferrare il significato dell’opera di musicologo Luigi Rognoni ha scritto Mahler (anche se, per motivi orgaefficacemente che così come Wa- nizzativi, nessuna delle due istitugner introdusse la sinfonia nell’ope- zioni la offre in ordine cronologira, Mahler introdusse l’opera nella co). La compattezza deriva anche dai maestri consinfonia. Nella specificertatori: si posca forma del Lied, poi, Mahler introdusse sono contare innovò la struttura mettendo la voce a conl’opera nella sinfonia e quasi sulle dita di una mano. Nella fronto dell’enorme orinnovò il Lied mettendo sala Santa Ceciganico orchestrale a confronto la voce lia, cinque sinfopost-wagneriano. Inoltre, nelle prime quattro e l’organico orchestrale nie sono affidate ad Antonio Papsinfonie è presente pano, due a Vaquella “musica a programma” (i “poemi sinfonici” nel lery Gergiev e le altre a Mikko lessico italiano) che Mahler affer- Franck e Andris Nelsons – tutti direttori di grande fama internazionale. mava di respingere in toto. Veniamo al cartellone, offerto per All’Auditorium di via della Conciliala doppia ricorrenza, dall’Accade- zione, sede dell’Orchestra sinfonimia di Santa Cecilia e dall’Orche- ca di Roma, Francesco La Vecchia stra sinfonica di Roma. In primo luo- si prende carico dell’intero ciclo. go, mentre nel 1997-2005 , l’intra- Siamo all’inizio del percorso – al presa richiese otto anni e una doz- momento in cui viene scritto questo zina di direttori d’orchestra (ma di- articolo sono state eseguite tre sinverse sinfonie e Lieder vennero ese- fonie a Santa Cecilia e una a via guite, con bacchette e voci diffe- della Conciliazione, quando uscirà renti, anche più volte), ora i pro- ne sarà stata eseguita un’altra – ma grammi sono più compatti. Quello già da ora è chiaro che le due “indell’Orchestra sinfonica di Roma è tegrali” sono marcatamente diffecontenuto in un’unica stagione (in renti, non solamente perché Santa cui, in parallelo, si presentano le in- Cecilia ha cento anni e dispone di

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molti più mezzi della Sinfonica romana e la prima è avvezza a Mahler molto più della seconda, ma soprattutto in quanto – come si è avvertito sin dall’esecuzione della seconda sinfonia in maggio – Pappano proviene dal teatro d’opera e, quindi, enfatizza i colori più spiccatamente drammatici della partitura, accentuando il ruolo dei solisti vocali e il coro; al grande tema della morte e della resurrezione panteistica (argomento della sinfonia) si avvertiva quasi la presenza di un apparato scenico. Valery Gergiev, dal canto suo, ama i chiaroscuri e pone l’accento su una tinta orchestrale forte (come si è notato nell’esecuzione della quinta in cui si prende l’avvio dal profondo dolore della marcia funebre per giungere all’estasi eroica del rondò). Francesco La Vecchia, invece, segue il dettame dello stesso Mahler: eseguire puntualmente quanto composto dall’autore senza abbellimenti personali e, sin dalla lettura della prima sinfonia, Il Titano, dà rilievo al sinfonismo continuo mahleriano. Un’ultima notazione: l’estremo Canto della terra, che verrà eseguito dalla Sinfonica di Roma il 18 maggio (giorno, lo ricordiamo ancora, della morte di Mahler). Il compositore sapeva di essere malato quando si accinse a comporlo sulla base di una raccolta di liriche cinesi. La morte è vista come liberazione, è il tema fondante delle sei parti, specialmente dell’ultimo, straziante, Lied L’addio. Una visione zen, più

che cattolica o ebrea, della fine dell’avventura umana. E un messaggio lanciato all’Europa di cento anni dopo, quella di oggi.

Per saperne di più: Fournier-Facio G. Gustav Mahler: il mio tempo verrà Milano, Il Saggiatore 2010. Mahler A. Gustav Mahler Ricordi e Lettere. Milano, Il Saggiatore 2010. Mahler G-Walter B. Carteggio Pordenone, Edizione Studio Tesi 1995. Principe Q. Mahler. La Musica tra Eros e Tanatos Milano, Bompiani 2002. Per chi si avvicina a Mahler è molto utile il cofanetto Gustav Mahler- Complete Edition edito nel 2010 dalla Deutche Grammophon.

l’autore Giuseppe pennisi Consigliere del Cnel e docente di economia all’Università Europea di Roma ed alla Università di Malta a Roma, è un musicofilo collabora in materia di musica a varie testate italiane e straniere (Il Foglio, Milano Finanza, Il Velino, Music & Vision).


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