Piû vie di fuga sicure verso la Svizzera

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«In un rapporto pubblicato nel 2022, la Segreteria di Stato della migrazione assegna alla Svizzera un buon voto per quanto riguarda la facilitazione di vie di fuga sicure verso il nostro Paese. Secondo Caritas Svizzera, però, questo giudizio è troppo positivo perché nella pratica, gli accessi sono molto limitati»

Documento di posizione di Caritas

Più vie di fuga sicure verso la Svizzera


In breve: sempre più persone nel mondo sono in fuga. I Paesi confinanti con le aree di conflitto, che accolgono gran parte dei rifugiati, sono particolarmente sollecitati. Questi Paesi spesso vivono anch’essi situazioni politiche ed economiche difficili. Per aiutarli, ma anche per porre fine alle tragedie e ai pericoli che i profughi incontrano sulle vie di fuga, occorre pertanto rendere queste ultime più sicure. Con il Patto globale sui rifugiati, l’ONU ha dato un segnale importante, dimostrando che la tutela delle persone in fuga va affrontata congiuntamente a livello internazionale e che urge più solidarietà tra i Paesi membri. La Svizzera è firmataria del Patto dell’ONU sui rifugiati e dispone di vari strumenti in grado di consentire ai soggetti in fuga di entrare nel nostro Paese in tutta sicurezza. Tuttavia, sono poche le persone che ne possono beneficiare, poiché l’accesso viene limitato da notevoli ostacoli burocratici, condizioni troppo restrittive e leggi rigide. La Svizzera deve fare di più, affinché più persone in fuga possano raggiungere in sicurezza il territorio elvetico.

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Esodi di massa in crescita e Paesi confinanti sopraffatti Distribuzione iniqua degli sfollati 42 %

58 %

fugge all’estero, ossia circa 46 milioni di persone

resta nel proprio Paese come sfollati interni

14 mln fuggono in altri Paesi

32 mln restano in un Paese confinante

108,4 milioni di persone in fuga Cifre: UNHCR Global Trends 2022/Grafica: Caritas Svizzera

Il numero delle persone in fuga nel mondo è in aumento da anni e nel 2022 è esploso ancora una volta, raggiungendo i 108,4 milioni. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR) prevede per la fine del 2023 117 milioni di sfollati. Sebbene la questione dei rifugiati e dell’asilo porti molte volte a discussioni accese e controverse, la distribuzione effettiva dei rifugiati nel mondo è molto iniqua. Il 58 per cento degli sfollati cerca protezione all’interno del proprio Paese, mentre per il 70 per cento dei profughi che lasciano la patria, la fuga termina già una volta varcato il confine con il Paese limitrofo. La stragrande maggioranza dei soggetti in fuga cerca protezione in Paesi che sono a loro volta alle prese con difficoltà economiche e finanziarie. Nel 2022, oltre tre quarti dei profughi viveva in Paesi a basso o medio reddito. Questi Paesi hanno pochissime risorse e non riescono a offrire protezione, condizioni dignitose o addirittura una prospettiva a chi arriva sul loro territorio. Le persone che già vivono lì e che a loro

volta lottano contro la povertà sono inoltre in competizione con i profughi in cerca di protezione per i pochi posti di lavoro, la mancanza di alloggi o gli aiuti insufficienti da parte dello Stato. Gli sfollati diventano pertanto molto spesso terreno di scontro della politica e vengono ritenuti responsabili dei problemi di politica interna. Nel 2018 la comunità internazionale ha adottato il Patto dell’ONU sui rifugiati con l’obiettivo di contrastare le tensioni nei Paesi coinvolti e trovare un equilibrio nell’iniqua distribuzione di coloro che cercano protezione (vedi riquadro «Il Patto dell’ONU sui rifugiati»). Due dei quattro traguardi fissati pongono l’attenzione su una distribuzione solidale che dovrà avvenire sgravando i cosiddetti Paesi di prima accoglienza, ma anche aumentando il numero delle persone in fuga accolte da Stati terzi. Il bisogno di trovare soluzioni che coinvolgano Stati terzi è enorme. L’ACNUR cerca per il 2024 più di 2,4 milioni di posti di accoglienza nei Paesi terzi. Negli ultimi cinque anni, però, è stato possibile trovare un posto soltanto per il tre per cento dei bisognosi.

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Tragedie senza fine per chi fugge verso l’Europa Chi è in cerca di un rifugio, si ritrova di fronte a condizioni precarie e non solo nei Paesi confinanti. Una fuga comporta sempre molti pericoli ed enormi rischi. In quanto persone senza diritto di soggiorno, sono in balia di attacchi e repressioni da parte di attori statali, milizie o bande di trafficanti. Oltre alle deportazioni arbitrarie, all’incarcerazione e alla tortura possono diventare vittime di violenza sessuale o traffico di esseri umani, un rischio particolarmente elevato per donne e bambini. Senza calcolare i pericoli legati alle traversate in barca e all’attraversamento dei deserti e altre aree impervie. Il confine esterno dell’Europa ne è un esempio lampante. Ogni anno, migliaia di persone muoiono mentre attraversano il Mediterraneo. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), dal 2014 vi sono morte o scomparse più di 28 200 persone. L’OIM parla pertanto della rotta migratoria più letale al mondo. Tuttavia, scenari disumani si svolgono anche in altri punti lungo il confine europeo. Siccome le persone in fuga viaggiano senza visto o senza i documenti necessari, si parla spesso di migrazione irregolare che va fermata. Il fatto che in tali casi non si agisca sempre in conformità con il diritto internazionale è dimostrato da innumerevoli segnalazioni di respingimenti illegali di rifugiati da parte degli Stati dell’Unione europea, i cosiddetti pushback. Alcuni di questi respingimenti sono stati effettuati con la complicità di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Questi respingimenti sono incompatibili con gli obblighi internazionali quali il diritto all’asilo e il principio di non-refoulement. Ma anche gli accordi con gli Stati confinanti dell’UE, che permettono alla Libia, alla Turchia o alla Tunisia di trattenere i migranti in cambio di un impegno finanziario, portano a sofferenze umane inconcepibili. Intanto gli Stati europei discutono sulla ridistribuzione dei profughi che sono riusciti a varcare i confini e cercano strategie per impedire la cosiddetta migrazione irregolare verso l’Unione europea. Il fatto che con il rafforzamento della sicurezza alle frontiere aumenta però soprattutto la pressione sui profughi, li obbliga a correre un rischio maggiore e a scegliere percorsi ancora più impervi, accrescendo così la loro dipendenza dai passatori, non trova posto nel dibattito politico.

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Il Patto dell’ONU sui rifugiati Il Patto globale delle Nazioni Unite sui rifugiati (Global Compact on Refugees) è un accordo internazionale per proteggere le persone in fuga. La Svizzera ha approvato il Patto nell’ambito dell’Assemblea generale dell’ONU il 17 dicembre 2018, insieme ad altri 180 Paesi. Non è giuridicamente vincolante. Tuttavia, deve essere inteso come un impegno alla cooperazione internazionale per la protezione dei rifugiati. Il Patto si basa sui principi della Convenzione di Ginevra sui rifugiati e definisce la protezione dei rifugiati come un compito internazionale. Oltre alla protezione dei rifugiati, l’obiettivo principale è quello di rafforzare la solidarietà con i Paesi limitrofi alle aree di conflitto che sono gravemente colpiti. Questi ultimi devono essere sgravati mediante un’equa divisione globale delle responsabilità. In concreto, il Patto dell’ONU sui rifugiati persegue quattro obiettivi: • Sgravare i Paesi di accoglienza • Potenziare l’autonomia dei rifugiati • Estendere le soluzioni di accoglienza in Paesi terzi • Incoraggiare il ritorno in sicurezza e con dignità nei Paesi di origine, ove possibile Nonostante la chiara impostazione del Patto sui rifugiati, il numero delle persone assegnate a Paesi terzi è diminuito nel corso della pandemia del Covid-19 e anche della guerra in Ucraina. Per questa ragione, nel 2022 l’ACNUR ha lanciato una nuova strategica Roadmap 2030 che mostra come 3,1 milioni di persone dovranno trovare una nuova dimora sicura in uno Stato terzo entro la fine del 2028.


Migliore protezione e fuga sicura Per prevenire queste tragedie, urgono soluzioni alternative che offrano protezione e sgravino i Paesi di primo approdo. Il Patto sui rifugiati e la Roadmap 2030 dell’ONU hanno tracciato una strada da seguire la cui messa in atto dipende tuttavia dalla solidarietà e dal consenso dei singoli Stati membri. A livello internazionale si sono affermate varie forme di vie di fuga sicure che possono essere suddivise in tre categorie: accoglienza diretta di gruppi, domande di protezione sul posto ed estensione delle possibilità esistenti di migrazione per le persone in fuga.

Accoglienza diretta di gruppi Quando gli Stati accolgono direttamente, si tratta spesso di persone in fuga bloccate da qualche parte, senza prospettive. In tal caso, gli Stati definiscono i contingenti che sono disposti ad accogliere. La Svizzera partecipa dal 2013 al programma di reinsediamento dell’ACNUR (vedi riquadro «Cosa si intende per resettlement?»). Nel 2018 si è impegnata a garantire, in modo duraturo, l’accoglienza di 750 a 1000 profughi all’anno. Questo ha permesso di creare continuità e sicurezza di pianificazione sia a livello di Confederazione, Cantoni e Comuni che anche per l’ACNUR. Per il 2024 e il 2025 è previsto l’ingresso di 800 persone all’anno, lo stesso numero degli anni precedenti. La Svizzera si trova quindi nella media europea. Tuttavia, nel 2022 il programma è stato temporaneamente sospeso in seguito al numero elevato di domande di asilo e di protezione di persone provenienti dall’Ucraina.

Cosa si intende per resettlement? Il programma di reinsediamento (resettlement) dell’ACNUR è lo strumento più importante per offrire alle persone un posto sicuro e duraturo in uno Stato terzo. Organizza la ricollocazione di rifugiati che si trovano già fuori dal Paese di origine, ma che non hanno né la possibilità di trattenersi più a lungo sul posto né di tornare nella loro patria. L’ACNUR è responsabile della registrazione, del controllo delle caratteristiche dei rifugiati e della selezione delle persone. Affinché il reinsediamento sia effettivo, ha però bisogno del consenso dei singoli Stati. In passato, gli Stati Uniti hanno messo a disposizione circa la metà di tutti i posti destinati al reinsediamento. Rispetto alla popolazione, hanno accolto il maggior numero di persone mediante resettlement la Norvegia, la Svezia e il Canada. Tuttavia, poiché i posti offerti a livello mondiale sono lungi dall’essere sufficienti, l’ACNUR deve effettuare un’ulteriore scelta delle priorità. Propone perciò agli Stati di accogliere persone in fuga particolarmente vulnerabili e bisognose di protezione, ovvero vittime di tortura, soggetti traumatizzati e malati senza possibilità di farsi curare adeguatamente sul posto, anche donne e bambini non accompagnati che sono esposti a rischi particolari nel Paese di primo arrivo.

Domande di protezione sul posto

Estensione delle possibilità esistenti di migrazione

Reinsediamento (Resettlement)

Visto umanitario

Ricongiungimento familiare

Sponsorizzazione comunitaria e privata (Community & Private Sponsorship)

Domanda di asilo presso un’ambasciata

Formazione e lavoro

Accoglienza diretta di gruppi

Figura 1: panoramica vie di fuga sicure

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Accanto al programma di reinsediamento sono previsti altri approcci che consentono l’ingresso diretto di gruppi di rifugiati provenienti da Paesi di prima accoglienza. In gran parte dei Paesi confinanti con la Svizzera sono già in atto progetti definiti programmi di sponsorizzazione comunitaria e privata (vedi riquadro «Cosa si intende per sponsorizzazione comunitaria e privata?»). In Svizzera finora non esistono programmi di questo genere. Le esperienze fatte nel contesto europeo dimostrano però che permettono di creare un valore aggiunto.

Domande di protezione sul posto Data la mancanza di posti, l’accesso a questi programmi di accoglienza diretta è molto limitato e dunque riservato per lo più a persone particolarmente vulnerabili. Per essere prese in considerazione dall’ACNUR, le persone devono inoltre essere registrate e riconosciute come rifugiati al di fuori del proprio Paese. Per molti soggetti perseguitati politicamente è quindi importante poter richiedere protezione anche a livello locale, sia nel Paese di origine che presso la rappresentanza diplomatica più vicina. Diversi Stati forniscono un visto umanitario che autorizza l’ingresso nel Paese e consente di presentare una domanda di asilo dopo l’arrivo. In Svizzera, un visto richiesto per motivi umanitari viene concesso solo dopo una valutazione del caso individuale. La soglia per detta valutazione è molto alta e per quanto riguarda la persecuzione individuale si applicano requisiti simili a quelli della procedura di asilo. Viene inoltre mossa la critica che è assai difficile fornire prove in zone di guerra e in situazioni di violenza, ma che questo aspetto viene praticamente ignorato durante la valutazione. Per giunta, ora è necessario dimostrare di avere uno stretto legame con la Svizzera. Quindi, di conseguenza, non vengono rilasciati quasi mai visti umanitari. Secondo quanto riportato dalla Croce Rossa Svizzera, sulle 10 000 domande ricevute dalla Segreteria di Stato della migrazione (SEM) dopo la presa di potere dei talebani in Afghanistan nel 2021, sono stati rilasciati soltanto 37 visti umanitari.

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Una seconda possibilità per richiedere protezione sul posto è la domanda di asilo presso un’ambasciata. A differenza del visto umanitario, la procedura di asilo si svolge e si decide in loco. La Svizzera è stato l’ultimo Paese ad abolire, nel 2012, la possibilità di presentare una domanda di asilo presso una rappresentanza diplomatica all’estero. Tuttavia, ci sono state ripetute mozioni parlamentari volte a reintrodurla e a chiedere al Consiglio federale di promuovere l’introduzione della domanda di asilo presso un’ambasciata in tutti i Paesi europei.


Cosa si intende per sponsorizzazione comunitaria e privata? Analogamente ai programmi di reinsediamento, la sponsorizzazione comunitaria e privata prevede che i rifugiati ricevano protezione e uno statuto di soggiorno in uno Stato terzo sicuro. La particolarità è che lo Stato condivide la responsabilità dell’accoglienza, dell’accompagnamento e degli alloggi con gruppi di cittadini privati e organizzazioni della società civile. Concretamente significa che un gruppo di persone si impegna a sostenere i rifugiati dal punto di vista finanziario, sociale ed emotivo. Ad esempio, possono essere aiutati nella ricerca di un alloggio o di un lavoro, nella creazione di una rete di contatti sul posto, nell’acquisizione della lingua oppure nell’affrontare le sfide quotidiane come il sistema scolastico o l’assistenza sanitaria. I programmi di sponsorizzazione comunitaria e privata sono già stati messi in pratica con successo in diversi Paesi, tra cui Canada, Nuova Zelanda, Germania, Italia, Irlanda e Francia. Si distinguono per quanto concerne la procedura, l’orientamento e la ripartizione dei compiti e hanno nomi molto diversi come «corridoi umanitari» (in Francia, Italia o Belgio) oppure «Neustart im Team» (in Germania). In Canada i primi programmi sono stati introdotti nei lontani anni ’70, in Germania il primo progetto pilota è stato lanciato nel 2019. In questo progetto, gruppi di cinque persone, i cosiddetti «mentori», si occupano dell’accompagnamento dei profughi.

Questi volontari hanno preso l’impegno da un lato, di occuparsi dell’alloggio e di provvedere al suo finanziamento per almeno un anno, e dall’altro, di sostenere le persone in cerca di protezione in questo periodo nel disbrigo di pratiche amministrative, nella ricerca di un lavoro o, in generale, nel loro percorso verso una partecipazione alla vita sociale. Nel programma tedesco, la selezione e l’assegnazione dei rifugiati si svolge mediante l’ACNUR; lo Stato fornisce un permesso di soggiorno, mentre un ufficio di contatto della società civile è responsabile dell’accompagnamento e della formazione dei mentori. I programmi devono avere un impatto positivo sull’integrazione dei rifugiati, ma anche contribuire a ridurre i pregiudizi nella popolazione e a rafforzare l’accettazione. In questa ripartizione dei compiti vi è un importante aspetto da criticare, ovvero che i privati si assumono responsabilità che in realtà dovrebbe assumersi lo Stato. Sta comunque di fatto che l’impegno portato avanti nei suddetti programmi ha permesso di potenziare il numero dei posti disponibili per i bisognosi di protezione. È pertanto molto importante che vengano attuati a complemento delle attuali ammissioni statali e che non sostituiscano i contingenti esistenti di reinsediamento.

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Apertura di canali migratori esistenti per le persone in fuga Tuttavia, anche i canali di migrazione legale esistenti possono essere vie di fuga sicure se sono effettivamente aperti ai rifugiati. Tali canali migratori sono soprattutto i permessi di soggiorno nell’ambito del ricongiungimento familiare, della formazione o dell’occupazione. I ricongiungimenti familiari, in particolare, sono di enorme importanza per tutte le parti coinvolte e permettono ai parenti di trovare sin dal loro arrivo un ambiente con una certa stabilità. Ma anche l’accesso al lavoro e alla formazione ha il vantaggio di avere già un contatto con una rete al momento dell’ingresso, che si tratti di un istituto di formazione o di un’azienda. Tuttavia, queste opportunità di ingresso sono soggette a limiti legali molto restrittivi e legate a molte condizioni per lo più fuori dalla portata dei rifugiati. In Svizzera, l’accesso al ricongiungimento familiare è regolato in modo relativamente restrittivo. Risulta particolarmente difficile per le persone ammesse provvisoriamente che provengono da Paesi in guerra e colpiti da violenza e il cui ritorno non è realistico. Da un lato ci sono scadenze che ritardano il ricongiungimento familiare, dall’altro devono essere in grado di sostenere finanziariamente sé stessi e la propria famiglia. A causa del basso reddito o della situazione sanitaria, questo spesso è illusorio, soprattutto se devono essere raggiunti da più membri della famiglia. La conseguenza è che i membri della famiglia sono costretti a rimanere in Paesi come l’Afghanistan, la Siria o la Somalia, con evidenti ripercussioni negative anche sulla salute della persona che già si trova in Svizzera. I rifugiati riconosciuti sono più avvantaggiati da questo punto di vista. Ma anche loro, nel migliore dei casi, possono fare entrare solo i propri figli minorenni e la/ il coniuge. In questo contesto, i Paesi Bassi fanno un passo avanti e applicano un concetto più ampio di famiglia: infatti possono beneficiare del ricongiungimento familiare anche i genitori, i partner non sposati e i figli adulti dei rifugiati. A complicare la situazione in Svizzera sono tuttavia anche gli ostacoli burocratici. La domanda, ad esempio, deve essere inoltrata presso una rappresentanza svizzera che spesso si trova al di fuori del Paese di residenza, i tempi di elaborazione sono molto lunghi e si insiste sulla presentazione di documenti che possono essere ottenuti solo con grande difficoltà nel Paese di origine.

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In Svizzera esistono programmi di borse di studio per l’ingresso a scopo formativo che in linea di principio sono aperti anche ai rifugiati all’estero. Oltre alla complessa mediazione tra le persone idonee e gli istituti di formazione corrispondenti, costituiscono un ostacolo in particolare i rigidi criteri relativi al permesso di soggiorno per motivi di studio. Un soggiorno di questo tipo verrebbe approvato soltanto se si ritiene sicura la possibilità di un ritorno nel Paese di origine o in un altro Paese dopo la formazione. Spesso non è il caso dei rifugiati, che hanno bisogno di una protezione permanente. Il Portogallo dimostra che esiste un’altra soluzione. Qui i rifugiati possono richiedere asilo, se necessario, dopo aver completato la formazione. Contestualmente, la possibilità di rimpatrio non ha alcun ruolo nella concessione del permesso di soggiorno per motivi di formazione. È inoltre difficile ottenere un permesso di soggiorno per un’attività lucrativa in Svizzera se si proviene da Paesi non appartenenti all’UE e all’AELS. Ciò è limitato in particolare dalla cosiddetta «preferenza agli indigeni» che obbliga le aziende ad assumere, quando possibile, persone che vivono già in Svizzera o che provengono da uno Stato dell’UE o dell’AELS. Pertanto, questo accesso è praticamente aperto solo ai richiedenti protezione particolarmente qualificati. In Paesi come l’Australia e il Canada sono nate organizzazioni che cercano esplicitamente richiedenti protezione qualificati, che poi collocano nelle aziende. Nonostante il difficile accesso legale, la Svizzera potrebbe imparare da queste iniziative.


La Svizzera permette soltanto ingressi selezionati I numerosi sfollati che hanno bisogno di un soggiorno sicuro in un Paese terzo, le sfide affrontate dai Paesi confinanti con i conflitti, le tragedie che si verificano durante la fuga e alle frontiere esterne dell’Europa: tutto ciò indica che la comunità degli Stati e quindi soprattutto i singoli Paesi devono fare di più. Con l’approvazione del Patto dell’ONU sui rifugiati, nel 2018 la Svizzera si è impegnata per la solidarietà e per il potenziamento delle vie di fuga sicure.

dei rifugiati ammessi temporaneamente valgono requisiti e scadenze molto rigidi che troppo spesso rendono impossibile un ricongiungimento. A ciò si aggiungono gli ostacoli burocratici. La Svizzera ha dimostrato in due casi che lo spazio per la semplificazione e l’espansione ci sarebbe. Nei primi giorni della guerra in Siria e successivamente per i bambini profughi non accompagnati in Grecia, è stato applicato temporaneamente un concetto più ampio di famiglia.

In un rapporto pubblicato nel 2022, la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) assegna alla Svizzera un buon voto per quanto riguarda la facilitazione di vie di fuga sicure verso il nostro Paese. Il rapporto fa riferimento al programma di reinsediamento e al fatto che in Svizzera esiste la maggior parte degli strumenti riconosciuti a livello internazionale per le vie di fuga sicure. Secondo Caritas Svizzera, però, questo giudizio è troppo positivo perché l’esistenza degli strumenti non deve nascondere il fatto che, nella pratica, gli accessi sono molto limitati.

In Svizzera non esistono ancora programmi di sponsorizzazione comunitaria o privata. Tuttavia, il potenziale di una maggiore partecipazione della società civile è emerso in modo impressionante nell’esempio delle famiglie ospitanti per i rifugiati ucraini. Le famiglie ospitanti non solo sono state insostituibili per l’alloggio, ma hanno anche aiutato i rifugiati a orientarsi nella vita quotidiana e a imparare la lingua. Anche il Consiglio federale vede la possibilità di una maggiore divisione delle responsabilità tra Stato e attori privati e l’introduzione di un simile programma in Svizzera. È tuttavia scettico e ritiene necessario un chiarimento, in particolare per quanto riguarda l’equa distribuzione dei rifugiati tra Cantoni e Comuni.

Il programma di reinsediamento in Svizzera si è consolidato negli ultimi dieci anni. Tuttavia, i contingenti sono ancora limitati in termini quantitativi. In media, negli ultimi otto anni, meno del quattro per cento dei richiedenti asilo è giunto in Svizzera attraverso il programma di reinsediamento. Nonostante questa bassa percentuale, il programma è stato temporaneamente sospeso alla fine del 2022 a causa di problemi di alloggio e assistenza nel settore dell’asilo. Le altre vie di accesso sono ancora più limitate. Gli elevati requisiti per quel che concerne il rischio individuale, le prove da apportare e lo stretto legame che si deve avere con la Svizzera rendono impossibile per la maggior parte dei richiedenti protezione ottenere un visto umanitario. Anche l’ingresso in Svizzera per motivi di studio o di lavoro è quasi impossibile a causa delle leggi severe. Attraverso il ricongiungimento familiare, l’accesso è in linea di principio aperto almeno per il nucleo familiare dei rifugiati riconosciuti. Tuttavia, per i parenti

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Urgono più vie di fuga sicure verso la Svizzera Per permettere a chi è in cerca di protezione e si trova in situazioni di emergenza molteplice e complessa di entrare in Svizzera percorrendo vie di fuga sicure, occorre adottare una serie di misure diverse. In concreto significa:

1. Potenziare e non sospendere il programma di reinsediamento È enorme e continua a crescere ogni anno il bisogno globale di soluzioni in Paesi terzi per i rifugiati particolarmente vulnerabili. Attualmente la Svizzera accoglie 800 richiedenti protezione all’anno attraverso il programma di reinsediamento. Per Caritas è chiaro che il contributo della ricca Svizzera alle persone coinvolte, ma anche ai Paesi confinanti particolarmente sopraffatti, è nettamente troppo esiguo. Caritas chiede perciò un sostanziale potenziamento del programma e la fine delle sospensioni.

2. Ridimensionare i requisiti per ottenere un visto umanitario Il visto umanitario è uno strumento importante. Ma con gli attuali requisiti molto elevati e la restrittiva prassi di assegnazione, la stragrande maggioranza delle persone bisognose di protezione non ha nessuna prospettiva di ottenerlo. Pertanto, Caritas chiede l’abolizione del legame con la Svizzera come condizione per ottenere un visto umanitario. In più, vanno adeguati anche i requisiti per la presentazione delle prove in modo tale che rimanga realistico dimostrare il bisogno di protezione anche in un contesto di guerra e violenza. Caritas Svizzera ritiene opportuna anche la reintroduzione della domanda di asilo presso un’ambasciata. Invitiamo il Consiglio federale a sostenere questa causa a livello europeo. Ciò significa che in futuro sarà possibile far esaminare una domanda di asilo presso una rappresentanza all’estero in tutti i Paesi europei.

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3. Migliorare l’accesso al ricongiungimento familiare Il diritto all’unità familiare deve essere considerato con maggiore attenzione. Questo diritto è molto limitato soprattutto per le persone ammesse temporaneamente. E ciò, nonostante la maggior parte di loro provenga da Paesi in cui il ritorno è generalmente impossibile a causa di guerre e violenze. Caritas Svizzera chiede quindi che le persone ammesse provvisoriamente siano trattate alla pari dei rifugiati riconosciuti per quanto riguarda il ricongiungimento familiare. Caritas chiede anche che vengano migliorate le condizioni presso le rappresentanze svizzere in modo da ridurre i tempi di attesa e tenere conto della realtà dei rispettivi Paesi al momento della richiesta dei documenti. Il visto di ingresso dovrebbe inoltre essere presentato solo dopo l’approvazione del ricongiungimento familiare. Infine, chiediamo anche che nei casi di crisi umanitarie, il ricongiungimento familiare sia facilitato applicando sempre un concetto di famiglia più ampio.

4. Avviare un programma pilota di sponsorizzazione comunitaria e privata La sponsorizzazione comunitaria e privata è un approccio innovativo e promettente. Caritas auspica il lancio di un programma pilota da parte di attori governativi, della società civile e privati. I programmi messi in atto nei Paesi confinanti hanno svolto un lavoro di base di successo e i progetti di famiglie ospitanti per i richiedenti protezione ucraini hanno mostrato il loro potenziale. Chiediamo alla Confederazione di sostenere un progetto di questo genere e di trovare soluzioni costruttive e pragmatiche insieme ai Cantoni e ai Comuni, in modo che alla fine il progetto non venga bloccato da questioni amministrative, come ad esempio la questione della chiave di ripartizione. È inoltre importante che i posti di accoglienza siano creati in aggiunta ai contingenti di reinsediamento esistenti e che un eventuale progetto pilota sia valutato attentamente.


5. Facilitare l’ingresso a scopo formativo e lavorativo È necessario intervenire anche nei settori dell’istruzione e dell’occupazione. Non basta che le offerte siano in linea di principio accessibili. Caritas Svizzera invita la Confederazione a collaborare attivamente con le scuole e i rappresentanti dell’economia per migliorare l’accesso dei rifugiati alla formazione e al lavoro in Svizzera. Il permesso di soggiorno svolge un ruolo importante in questo senso. Pertanto, anche in Svizzera dovrebbe essere considerata legittima la richiesta di asilo da parte dei rifugiati che hanno completato una formazione.

Alla versione online di questo documento e alla grafica animata.

Novembre 2023 Redatto da: Michael Egli, responsabile Servizio Politica migratoria; e-mail: megli@caritas.ch; telefono: 041 419 22 03 www.caritas.ch/it/politica-migratoria

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