Bollettino n 2 2015

Page 1

2015 Anche quest’anno si terrà la mini rassegna estiva dal titolo Montagna Estate. Si tratta di due incontri serali, con la proiezione di audiovisivi che vedono la montagna e la natura come protagonista. Teatro delle serate è la suggestiva Piazza Nenni, (ex Piazza della Molinella) con inizio alle ore 21,30. In caso di maltempo, verrà indicata una sede alternativa al coperto. L’ iniziativa è organizzata grazie al patrocinio dell’assessorato alla cultura del Comune di Faenza e il determinante aiuto tecnico e logistico del Socio Carlo Antonio Conti.

PROGRAMMA Giovedì 16 luglio 2015: a spasso nell’Appennino romagnolo. Sulle tracce della libertà: un trekking di sette tappe che unisce i luoghi della memoria. Presentazione dell’ opuscolo guida e del trekking, percorso nella primavera appena trascorsa in occasione del settantesimo anniversario della liberazione. Proiezione a cura della Sezione CAI di Faenza. Sentiero Roberto TTassinari: assinari: trekking da Piancaldoli, sul Sillaro, alla sorgente del Tevere, sul Monte Fumaiolo. assinari Presentazione della nuova guida escursionistica, di Anna Boschi e Roberto TTassinari assinari, scritta per ricordare il Socio ed Amico Roberto Tassinari, recentemente scomparso. Proiezione a cura di Anna Boschi e Roberto Tassinari. Giovedì 23 Luglio 2015: trittico Himalayano “Buthan, Ladakh, Nepal” di Michele Nicolis: una visione etnico culturale di una zona tra le più spirituali del pianeta. La Natura fotografata a tutto campo: questa è la visione di Michele Nicolis di Verona, viaggiatore e fotografo naturalistico, che fa parte di GENIUS LOCI, gruppo di quattordici fotografi. Info su www.geniusloci.photo In copertina: Il Monviso, meta dell’uscita sezionale di settembre. 2 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

2

01/06/2015, 15.52


Editoriale Cari Soci, fino a non molto tempo fa la mia attività in montagna era limitata all’escursionismo; non conoscevo né la palestra di arrampicata Yellowstone né la Scuola di Alpinismo e Scialpinismo Pietramora, che è l’Organo Tecnico che le sezioni del CAI di Cesena, Faenza, Imola, Ravenna e Rimini hanno costituito per formare e addestrare gli alpinisti romagnoli. Per me la Scuola Pietramora era una struttura lontana adatta a pochi, dotati di capacità atletiche e coraggio fuori dal comune, di arrampicare non ci pensavo proprio e la sola idea di lasciare il piano orizzontale per avventurarmi sul verticale, legato a una “fragile corda”, mi terrorizzava; poi, complice la mia carica sociale, ho cominciato a frequentare istruttori ed esperti di alpinismo che mi hanno, con tanta pazienza, lentamente introdotto nel mondo dell’arrampicata. Credo che lo abbiano fatto per una sorta di rispetto nei confronti del loro Presidente e per emanciparmi (in senso alpinistico) e non essere rappresentati da un “alpinista di pianura”. Io ne ho approfittato e grazie a loro posso dire di aver in gran parte vinto i miei timori (ora quando arrampico non sono più terrorizzato, ma ho solo… una gran paura!). Per completare l’opera, come l’arzilla vecchietta novantenne che ha voluto provare l’ebrezza del paracadutismo, ho iniziato un corso di alpinismo su roccia presso la Scuola Pietramora; con grande piacere ho trovato istruttori molto motivati, con elevata professionalità e grande cordialità, qualità che certamente consentiranno agli allievi di apprendere le tecniche per praticare l’alpinismo divertendosi e in buona sicurezza. Ebbene, cari Soci, vi ho raccontato tutto questo per rimarcare che tutti possono aspirare a migliorare le proprie capacità alpinistiche senza essere “marziani”, non ci sono impedimenti assoluti, ma se si vuole si può fare! Chi più chi meno! L’importante è divertirsi! Riguardo alla mia partecipazione al corso: “Io speriamo che me la cavo”. Il Presidente Ettore Fabbri

SEDE E ORARI DELLA SEZIONE C.A.I. DI FAENZA La sezione del C.A.I. di Faenza è posta in Via Campidori, 28 (sede Rione Rosso). Tel. 0546 22966 - La Sede Sociale della Sezione è aperta a tutti il giovedì dalle ore 20,30 alle ore 23,00 ed il sabato dalle ore 10,00 alle ore 12,00. È possibile effettuare le iscrizioni e rinnovare l’adesione al club: AENZA: Presso la Sede Sociale negli orari sopra indicati; A FFAENZA: Presso la Ferramenta Chesi, Centro Commerciale Cappuccini, Via Canal Grande, Tel. 0546 21616 (ore negozio); A TREDOZIO: Presso Gabriele Ferrini, Via XX Settembre, 65 - Tel. 0546 943929; A RUSSI: Presso Ballardini Luigi, Via Molinaccio, 61 - Tel. 339 2625666; A RIOLO TERME: Presso Piero Pasini, Via Zauli, 9 - Tel. 0546 70871. Informazioni sull’attività della Sezione: A FFAENZA: AENZA: nella bacheca di Via Severoli (angolo palazzo comunale di fronte alla Pretura). A TREDOZIO: nella bacheca di Via XX Settembre. A RUSSI: nella bacheca di Piazza Dante, Sede Banca S. Geminiano e S. Prospero. A CASTEL BOLOGNESE: nella bacheca di Via Garavini (di fronte Credito Romagnolo), con informazioni presso il Sig. Sportelli Domenico, Via Giovanni XXIII, 333. A RIOLO TERME: nella bacheca di Via Aldo Moro (di fronte al Comune) 3 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

3

01/06/2015, 15.52


CERVINO 150 ANNI

Salite i monti, ma ricordate, coraggio e vigore nulla contano senza la prudenza; ricordate che la negligenza di un solo istante può distruggere la felicità di una vita. Non fate nulla con fretta, guardate bene ad ogni passo, e fin dal principio pensate quale può essere la fine. Edward Whymper E l’ebbrezza di quell’ora passata lassù isolato dal mondo (...) potrebbe essere sufficiente a giustificare qualunque follia. Giusto Gervasutti

Il Cervino viene salito per la prima volta il 14 luglio 1865 da Edward Whymper con sei compagni improvvisati ed eterogenei fra loro, coinvolti nell’impresa in tutta fretta a Zermatt, per le ragioni che vedremo più avanti. Poche ore dopo, durante la discesa, la caduta del giovane Hadow trascina nel baratro quattro dei sette alpinisti: gli esperti Hudson e Douglas e l’uomo di punta della cordata, la guida Michel Croz. Solo la rottura di una delle corde salva Whymper e le altre due guide; i tre scendono a Zermatt e devono subire un’indagine sul-

l’accaduto, per dissolvere il sospetto che uno di loro abbia tagliato la corda. È un esempio celebre e tragico di quella “follia” a cui Giusto Gervasutti accenna, maledizione ma anche rivelazione dell’alpinismo, contraddizione insanabile che riempie di fascino l’andare in montagna. Ben presto la nostra montagna viene salita da ogni versante; Eugen Guido Lammer, audace precursore dell’alpinismo senza guida, nel 1887 si salva da una caduta di 200 metri dalla parete ovest e parla di “esperienza sfa-

4 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

4

01/06/2015, 15.52


villante del pericolo, che ridesta le profondità del nostro essere”. Sono certo che anche Whymper avesse il medesimo stato d’animo quel giorno di 150 anni fa. Il riserbo inglese e la tragedia accaduta alla sua comitiva nella discesa dopo la vetta gli dettarono invece altre parole, un capolavoro di buon senso che gli alpinisti dovrebbero considerare in ogni momento - non solo quando è troppo tardi o troppo presto - per orientare l’azione e gestire il rischio. Nelle parole dell’inglese risuona non la ricerca di una sicurezza da garantire a tutti i costi, ma la consapevolezza che pericolo e responsabilità sono componenti essenziali dell’alpinismo. Rispetto a questa saggezza, comune a tutti i grandi alpinisti sopravvissuti, la storia del Cervino è un monito a non esagerare, e a sapere individuare i propri limiti. Lo è per la celebre prima ascensione così come per le innumerevoli piccole storie delle tante salite realizzate o sognate, ciascuna delle quali per quanto modesta richiede l’audacia di mettersi in gioco, lasciando le sicurezze quotidiane alla ricerca di qualcosa che per molti non si vede. Spesso in ciascun alpinista nei primi anni di attività l’entusiasmo rasenta l’incoscienza; il segreto è temperare il prima possibile l’impeto giovanile, che espone inevitabilmente a maggiori rischi, attraverso il confronto e la consapevolezza: oggi una buona scuola di alpinismo può integrare la massima di Whymper nel migliore dei modi, e non è certo un caso se gli iscritti ai corsi del Club Alpino sono i meno coinvolti in incidenti in montagna, pur essendone i più assidui frequentatori. Anche Giusto Gervasutti è legato al Cervino per averne compiuto la prima solitaria invernale, nel dicembre 1936. Il giorno precedente l’ascensione dalla terrazza della capanna Carrel, lungo la via normale italiana, così immaginava i concittadini torinesi affaccendati nelle incombenze natalizie: “essi non sanno e non sentono ciò che io sono e sento in questo momento; ieri ero come loro, domani tornerò come loro, ma oggi sono un prigioniero che ha ritrovato la libertà”. Mi piacciono queste parole, sfiorate dalla retorica del tempo ma subito riscattate da una sensibilità non comune, capace di arginare il legittimo orgoglio di sé con empatia e umiltà. E potete immaginare che quando, 53 anni dopo Gervasutti, mi sono trovato sulla medesima terrazza, aspettando l’alba per la salita, sentissi

quel luogo selvaggio abitato da persone, parole ed emozioni famigliari. Le montagne più belle della Terra non sono mai le più alte. E’ una circostanza geologicamente casuale - che accomuna al Cervino altre montagne come il Campanile di Val Montanaia, il K2, l’Alpamayo, il Campanile Basso - ma che porta in sé qualcosa di giusto e di umano: una misura di moderazione che la natura ha riservato a proteggere queste vette, altrimenti così appariscenti. Oggi però che ricorrono i 150 anni l’occasione è ghiotta per ricordare le storie grandi o piccole che il Cervino ci ha offerto. Se Dani Arnold oggi percorre la nord in 1 ora e 46 minuti, non dobbiamo ignorare che la prima salita di questa parete i fratelli Schmidt la fecero giungendo da Monaco di Baviera in bicicletta; se Killian Jornet Burgada sale e scende da Cervinia in 2 ore e 52 minuti, pensiamo a chi ha fissato i solidi canaponi che a lui e anche a noi hanno agevolato la salita; se Hervè Barmasse ha salito in giornata le 4 creste nel recente inverno 2014, pensiamo alle giornate trascorse sulla nord da Walter Bonatti nell’inverno 1965 e da Alessandro Gogna nell’estate 1969. La vicenda della prima salita del Cervino è rocambolesca: oltre che sfida all’ultima grande cima “inaccessibile” delle Alpi, diviene una questione politica nazionale. Da Torino, il giovane Regno d’Italia guarda alle Alpi come palcoscenico da sfruttare per il prestigio nazionale. Del resto l’alpinismo è sempre stato metafora della guerra: ieri con le nazioni - pensiamo all’Italia che con il K2 nel 1954 si riscatta dal passato di fronte ai grandi del mondo - oggi con se stessi.

5 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

5

01/06/2015, 15.52


Nel 1863 viene costituito sul modello inglese il Club Alpino Italiano, e il suo primo presidente, Quintino Sella, da ministro del Regno, spinge con forza per una salita tutta italiana. Jean Antoin Carrel, guida di Breuil (Cervinia), è in quegli anni l’accompagnatore di fiducia di Edward Whymper, ma già si trova in discussione con l’inglese sulla via di salita da seguire. Mentre il primo, per ragioni affettive e di sviluppo economico della vallata, preferirebbe una via italiana, il secondo si rende conto dopo i primi tentativi e con lucide indagini geologiche che il versante svizzero offre una via più facile. Mentre i due si confrontano per un accordo, le pressioni politiche di Quintino Sella - che non partecipa direttamente all’impresa - si concretizzano, e da quel momento la coppia Carrel-Whymper gioca due partite separate. Come mostra, con qualche licenza romanzesca, il bellissimo film “La grande conquista” di Luis Trenker, mentre il primo organizza il gruppo italiano per affrontare la difficile cresta sud-ovest, il secondo, rimasto solo, si precipita a Zermatt per organizzare al volo - con alcuni compatrioti e guide assoldate sul posto - un tentativo da nord-est. Le maggiori difficoltà del versante italiano fanno sì che, quando la comitiva di Whymper giunge sulla cima, Carrel si trovi con il suo gruppo qualche centinaio di metri sotto. Dopo lo scambio di alcuni richiami, entrambe le cordate scendono: Carrel per riprovare nei giorni successivi e completare la via italiana alla cima; Whymper per incappare nella tragedia che cancellò ogni gioia per l’ascensione riuscita. Molto più modestamente rispetto a queste vicende, nel 1989 Quinto Zaccarelli e io ci trovavamo alla capanna Carrel; accomunati dal nostro entusiasmo e dalla scarsa esperienza, volevamo salire il Cervino in autonomia, con lo stile spartano ed essenziale che ci veniva dalla speleologia. Per me significava fra l’altro portare a compimento un desiderio dei miei genitori, che programmarono di fare la salita negli anni ’70, senza trovarne l’occasione concreta. Forse nessuno fra gli esperti che conoscevamo avrebbe accettato in quel momento di legarsi con noi - del resto sono convinto che in alpinismo gli obiettivi debbano crescere e maturare in autonomia, senza influenze esterne sia quando ti “spingono” sia quando ti “frenano”. Eravamo molto allenati, e reduci da un bel successo ”la fortuna dei principianti” - sul versante della Brenva al Monte Bianco. Ci sentivamo pronti ad affrontare la traversata che, unendo la salita per la cresta italiana alla discesa per la cresta svizzera, permetteva allora e per-

mette oggi - con qualche patema in più per l’aumentata instabilità delle creste - di seguire in successione le orme di entrambe le cordate delle prime ascensioni della montagna. Valse davvero la pena di viverla, quella giornata, per il meraviglioso ambiente, l’orgoglio di misurarci con un capitolo di storia dell’alpinismo, la gioia della cima che provai uguale solo pochissime volte sul Brenta. Era il 3 agosto 1989, compleanno di una ragazza conosciuta all’università di cui ero dolcemente e irresolutamente innamorato, il cui pensiero mi fece dimenticare del tutto, nella sosta della vetta, il tributo dovuto ai miei genitori... Degna chiusura della giornata, la nostra ombra proiettata all’infinito nel tramonto e più tardi, dopo alcune doppie fatte a tentoni, una macchia chiara nel buio: il tetto della capanna Solvay, nido d’aquila dove passammo una scomoda deliziosa notte sul pavimento. Di fronte alla potenza dell’ambiente e della storia, mi è rimasta la sensazione di avere sfiorato là per una volta il grande alpinismo, e ciò che ho vissuto dopo sulle Dolomiti mi appare al confronto, benché più difficile, un gioco grazioso e leggiadro. Questa è la lezione del Cervino, alla portata di tutti a patto di non temere il mettersi alla prova. Rientrammo il giorno dopo, senza fretta. La valle si avvicinava lentamente e sentivamo di tornare con gioia al nostro destino di normalità. Un ultimo brivido per attraversare una zona sotto il tiro di seracchi incombenti e infine la lunga discesa al Breuil, attraverso prati dalla fioritura esuberante. Sentii di diventarne parte mentre mi addormentavo sull’erba tiepida, per svegliarmi solo alcune ore più tardi, al calare del sole. Non sono più tornato sulla cima del Cervino. Non credo ci tornerò più. Oggi mi piace pensarla lontana nel tempo e nello spazio, più di quanto sia in realtà. Ne abbiamo percorso il periplo durante un memorabile corso di scialpinismo negli anni duemila, dove tutto si è incastrato alla perfezione. Anche se a una quota più bassa, i maestri erano sempre Gervasutti e Whymper. Perché, come dice Enrico Camanni in Mal di montagna “anche se il mondo va cambiando intorno a te, e altre ragioni di vita meno egoistiche e più nobili vengono a sovrapporsi nel corso del tempo (...) anche dopo una ragionevole scelta di abbandono dettata dal buon senso (...) alpinisti si rimane, e il cuore resta imprigionato nella passione originaria, esclusiva, come un amore dell’adolescenza mai del tutto consumato, un dolce rimpianto che fa male fino alla fine.” Vittorio Lega

6 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

6

01/06/2015, 15.52


Roberto Tassinari e la cascata dell'Acquacheta

Il sempre crescente bisogno di stare a contatto con la natura ci ha portato alla ricerca sia di spazi aperti dove la vista non si ferma, ma anche di ombrose valli e intricati boschi. Questi ultimi erano i più amati da Roberto. Lo studio di un percorso non segnato, di una mulattiera ormai scomparsa che un tempo collegava case e borghi, la ricerca dei toponimi, delle sorgenti e delle Maestà, assorbivano tutta la sua attenzione. Tutte queste strutture lo portavano mentalmente a rivivere un’epoca ormai passata che non accettava di dover lasciare andar via. Egli soffriva alla vista di una casa ridotta a rudere e, incurante del pericolo, la avvicinava e, regolarmente, le dedicava una visita accurata fotografando tutto quello che ancora rimaneva in piedi. Non gli sfuggiva nulla: un fregio, un arco, una data, una finestra aperta sul cielo, un campanile a vela sostenuto solo da un groviglio di edera. Si portava a casa queste immagini e, con ostinazione, ne ricercava il toponimo ed era felice quando riusciva a scoprire il nome dell’ultimo abitante, quasi a sperare che questo potesse rallentare il lento ma inevitabile avanzare della pietosa natura che tutto copre facendolo sparire per sempre. E’ stato l’interesse per questi luoghi abbandonati che ci ha portato su percorsi non

molto frequentati, spesso non segnati o di difficile individuazione sulle carte. Ma Roberto ormai si era dotato di una buona attrezzatura tecnologica ed era diventato esperto nell’usarla, al punto che, per Lui, il territorio non aveva più segreti. E’ stato il girovagare per queste valli che ha fatto nascere, a Roberto, l’idea di unire i vari tratti percorsi per far sì che divenissero un unico sentiero. Mi chiedeva spesso cosa ne pensavo, perché chiaramente c’era tanto lavoro per entrambi, ma memori della bella esperienza passata per la ricerca del sentiero “00”, non ho avuto alcun dubbio e l’ho incoraggiato ad andare avanti. Si è messo al lavoro per creare un’unica traccia. Non è stato semplice ma alla fine il risultato è venuto alla luce. Così siamo partiti, Lui armato di gps, carte e buona macchina fotografica, io con registratore e una piccola compatta. Abbiamo percorso il sentiero passo a passo descrivendone minuziosamente tutti i passaggi. Una volta, però, che il lavoro era arrivato a buon punto, il male è sopraggiunto improvviso e feroce. Smarrimento, angoscia e dolore, mi hanno bloccata per mesi, ma poi quando sono riuscita di nuovo a ragionare ho pensato che non potevo mollare. Roberto meritava che portassi a termine questo lavoro a cui aveva dedicato tanto tempo e tanta passione. Così, con tutti i miei appunti ,mi sono precipitata dall’editore Raffaele Monti, già al corrente del lavoro che avevamo iniziato. Non ero sicura che avrebbe accettato di portare a termine la nostra guida. Devo dire, invece, che con squisita gentilezza non solo ha accettato la mia richiesta, ma mi ha assistita ed aiutata a comporre tutti i pezzi. Grazie Raffaele!! Così è nata questa guida che ho voluto dedicare a Roberto. Una guida che, come per il sentiero 00, ha ottenuto il “plauso” del Vicepresidente del CAI Nazionale Paolo Borciani, che ringrazio di cuore. Anna Boschi

7 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

7

01/06/2015, 15.52


CAMMINARE NELLA STORIA (E NON SOLO) SULLE TRACCE DELLA LIBERTA’ In occasione della ricorrenza del settantesimo anniversario della Liberazione le Sezioni CAI di Faenza e di Imola, con la collaborazione delle rispettive Sezioni ANPI, hanno inaugurato il percorso denominato “Sulle tracce della libertà” con un trekking partito domenica 19 aprile e terminato sabato 25 aprile. L’itinerario ripercorre i luoghi dove si sono svolti alcuni dei principale fatti di guerra e della resistenza negli anni 1943/1945, fino appunto alla definitiva liberazione. Attraversa molte realtà cariche di significato storico e collega idealmente due vecchie abitazioni di montagna, oggi luoghi simbolo per il ricordo di quel periodo: Cà Cornio, dove furono uccisi Silvio Corbari ed altri componenti del suo gruppo, e Cà Malanca, dove ha sede il museo della Resistenza. L’intero percorso, spiegato molto bene nell’opuscolo

La copertina della guida del trekking.

La commemorazione a Cà Cornio. 8 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

8

01/06/2015, 15.52


conda tappa ci ha visto partire da Ponte della Valle, per arrivare al cippo dove abbiamo ricordato Bruno Neri e Vittorio Bellenghi e subito dopo arrivare all’eremo di Gamogna, poi alle Canove, al Lavane, al Capanno dei Partigiani, Farfareta ed infine Campigno. Qualcuno è tornato a casa, noi siamo rimaste a Marradi assieme ad altri sei irriducibili, a pernottare nella casa vacanze di Collecchio, dove abbiamo trascorso una divertentissima serata. Il martedì siamo partiti da Campigno e attraverso Poggio La Frasca siamo arrivati a Crespino. Lì siamo stati accolti dal comitato presso il sacrario che ricorda la strage del 1944 e con loro abbiamo fatto una bella cerimonia per ricordare il sacrificio dei civili che nella seconda guerra furono loro malgrado coinvolti. Ci siamo poi spostati per il pernottamento a Casaglia. Il mercoledì siamo stati raggiunti dal grosso del gruppo, e da questo momento saremo sempre quasi una ventina. Partiti da Casaglia siamo saliti al Passo dei Ronchi di Berna, le Spiagge, Capanna Marcone, la

Sosta all'Eremo di Gamogna.

SRL

stampato per l’occasione ma che rimane quale valida guida, si snoda in sette giorni, sono presenti punti di appoggio per le soste ed i pernottamenti, ma vi è anche la possibilità di fare singoli percorsi giornalieri. E così in occasione dell’inaugurazione, abbiamo pensato che fosse un’opportunità unica per percorrerlo interamente, ed un modo per celebrare la ricorrenza del settantesimo in sintonia con la nostra passione per il camminare. Certo quasi tutti i sentieri li avevamo già percorsi, conoscevamo già quasi tutti i luoghi, ma questo trekking è stato veramente qualcosa di diverso: si è trattato di camminare non solo per conoscere i luoghi, né tanto meno per fare esercizio fisico, ma è stato soprattutto un cammino nel ricordo. Come detto abbiamo iniziato domenica 19 aprile con quello che ci piace definire il prologo: un percorso di andata e ritorno da Modigliana a San Valentino, passando da Cà Cornio dove è stato presentato ufficialAttraverso l'abitato di Casetta di Tiara. mente il percorso e si è tenuta una piccola cerimonia per ricordare i fatti del 1944. E già lì, nonostante avesse piovuto dal 1983 fino alla notte precedente ed il freddo fosse veramente pungente, abbiamo capito quanto fosse apprezzato il progetto. Oltre ai camminatori abituali si sono aggregate a noi TENDE - ZAINI - ACCESSORI ZAINI tante persone di Modigliana, poi a San Valentino abbiamo trovato altri amici con i quali abbiamo condiviso il pranzo. Via Lapi, 117 - Tel. e Fax 0546 661678 - Tel. 0546 061602 Poi ognuno è ritornato a casa proCell. 333 5379660 - 48018 FAENZA (RA) pria e ci siamo trovati il lunedì matinfo@gommaplastica.it - www.gommaplastica.it tinaFoto per la8partenza ufficiale. La se-

SCONTO 15% SOCI CAI

9 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

9

01/06/2015, 15.52


Il gruppo alla partenza da Casaglia.

Serra e Badia Moschea, dove abbiamo pernottato. Un tappa molto lunga ma affrontata con calma, fermandoci in ogni luogo citato per spiegare come questo è stato coinvolto negli eventi e per questo molto piacevole. Il giovedì da Badia Moschea abbiamo risalito la Valle dell’Inferno per fermarci a Casetta di Tiara per un breve ricordo dei partigiani uccisi in quei luoghi, poi a Lotro, alla Faina per arrivare al Passo della Sambuca. Una tappa tutta in salita! Abbiamo dormito a Badia di Susinana e Palazzuolo ci ha riservato una gradita sorpresa. Venerdì dal passo del Paretaio, dove abbiamo reso omaggio al monumento della Faggiola, ci siamo portati a Monte Battaglia, teatro di una delle più feroci battaglie fra eserciti regolari. Ritornati a valle siamo rimasti a Casola per la notte. Il sabato il gruppo è notevolmente aumentato con l’aggiunta di tanti amici del CAI e dell’UOEI, e da Rivacciola siamo saliti a Monte Cece e poi a Cà di Malanca dove era nel pieno la festa del 25 aprile con canti e balli, tantissima gente sparsa nei prati, giovani, anziani e bambini che pareva volessero riempire di en-

tusiasmo quei luoghi solitamente silenziosi. Scontato raccontare del percorso, che tanti conoscono, e del quale è quasi superfluo descrivere le bellezze: dalle faggete con le foglie appena sbocciate di un verde chiaro cangiante, quasi giallo, ai crinali dove lo sguardo si perde lungo l’Appennino, ai prati in questa stagione pieni di fiori dai tanti colori, alle costruzioni che testimoniano un passato pieno di persone e di vita, sicuramente dura e difficile, ma vita. Ci piace invece raccontare del clima e dello spirito che ha fatto

Il guado del Rio Rovigo.

10 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

10

01/06/2015, 15.52


La torre di Monte Battaglia.

sì che un viaggio a due passi da casa, su terreni conosciuti, si è trasformato in una vera e propria avventura di cui porteremo il ricordo per molto tempo. Intanto i compagni di viaggio, che potremo definire sicuramente stupendi. Da quelli che conosciamo da tempo e con i quali abbiamo già condiviso tante uscite a quelli che abbiamo conosciuto in questa occasione, tutti accomunati da quel senso di fare qualcosa insieme, di appartenere ad un unico gruppo che non solo condivide la passione per camminare ma che nel suo piccolo sta facendo qualcosa per non dimenticare la storia ed il valore della libertà. E poi come dimenticare i momenti, a volte anche intensi, dove ai piedi di un rudere o di fronte ad un cippo in silenzio abbiamo ascoltato la storia di quel luogo e delle persone che lì hanno combattuto e sono morte. E, pure, quando ognuno di noi portava la propria testimonianza raccontando quello che ci hanno tramandato i nostri genitori e nonni, in una sorta di rito collettivo della memoria. Poi le discussioni anche intense sia sulla storia, dove ognuno ha una sua interpretazione, che sull’attualità, tanto che nei primi giorni per sedare una discussione qualcuno buttava sempre là un “alla fine della settimana l’avremo poi fatta l’Italia!”. Infine i posti dove siamo stati, conosciuti da anni e frequentati da camminatori per parcheggiare o pren-

dere un caffè. In questa occasione questi luoghi ed i loro abitanti sono stati delle vere sorprese. A cominciare dal gruppo di case delle Crognole che abbiamo incontrato scendendo dal Lavane, dove con orgoglio ci é stato mostrata la ristrutturazione del borghetto. Poi la cerimonia a Crespino dove le ferite inferte a quella piccola comunità dall’eccidio sono ancora aperte e dove con piacere accolgono chi assieme a loro ricorda le loro vittime. I posti tappa che ci hanno ospitato, entusiasti dell’iniziativa e di far conoscere gli investimenti fatti per incentivare il turismo itinerante nel nostro Appennino. A Palazzuolo la sorpresa maggiore: l’amministrazione comunale ha colto l’occasione del trekking per celebrare assieme a noi la ricorrenza della liberazione con poesie, racconti e suoni della banda del paese in una serata molto partecipata ed intensa di emozioni. Crediamo proprio che da oggi conosciamo meglio queste realtà, e se noi abbiamo dato un piccolissimo

Due parole in cima a Monte Cece.

contributo al ricordo del sacrificio di tante persone per la nostra libertà, noi ne abbiamo ricevuto giornate belle, intense, con una bellissima compagnia. E di questo è doveroso ringraziare Franco Conti che ha lavorato in prima persona al progetto, e tutti quelli che ci hanno creduto e lo hanno aiutato nella realizzazione, e tutti i partecipanti, anche chi ci ha aiutato nella logistica: in una settimana fra chi andava e chi arrivava, chi si fermava per la giornata e chi invece pernottava, hanno partecipato qualche decina di persone e non tornavano mai i conti. Ci contavamo e ricontavamo ed eravamo sempre un numero diverso, quindi un solo appunto al CAI per la prossima volta: forniteci un pallottoliere! Clara e Emma

11 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

11

01/06/2015, 15.52


Relatore: Andrea Martinino

Iscrizioni a partire da GiovedĂŹ 3 Settembe 12 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

12

01/06/2015, 15.53


ulteriore Sconto del 5% per i Soci CAI Via Malpighi, 88/5-6 - 48018 Faenza (Ra) Tel. 0546 623428 - Fax 0546 626371

Corso Garibaldi, 8/B FAENZA (RA) Tel. 0546 22652 Cell. 339 7250541

e-mail:cianipao@hotmail.it Si informano i soci che la sezione C.A.I. di Faenza ha raggiunto un accordo con lo studio legale

Sconti per soci CAI

AVV. MARCO SOLAROLI sito in Faenza, via Firenze 1/3 tel. 054628847 mail: solarolim@fastmail.it

in base al quale i tesserati in regola con l’iscrizione annuale possono godere di un primo consulto gratuito e di tariffe agevolate nel caso di prosecuzione dell’incarico professionale. 13 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

13

01/06/2015, 15.53


TRA LE TESTIMONIENZE DELLA GRANDE GUERRA IL VAL DOGNA (UDINE) La val Dogna è una delle tante vallate tra le Alpi Carniche e Giulie che si apre lateralmente alla val Canale percorrendo la Strada Pontebbana in direzione Tarvisio. Chi ha svolto il servizio militare nei battaglioni della Julia sicuramente avrà conosciuto l’erta strada che, dal fondovalle a 423 m, raggiunge con tornanti mozzafiato, dopo 15 km, la sella Somdogna a 1.392 m. Sudore, scarponi consumati e… “le sante” bestemmie degli alpini in armi hanno attraversato i minuscoli agglomerati di case: Ronchesin, Chiut di Puppe Chiutzucuin, Mincigos, Plans Spadovai, oggi tutti abbandonati, la valle non offre risorse economiche e l’esodo è stato inevitabile. Questa strada fu approntata nei primi anni del 1900 in previsione del conflitto con l’Austria, poiché il confine correva sulle alte cime della dorsale destra: Clap Forat, Jôf di Dogna, M. Sechieiz, Due Pizzi, Jôf di Somdogna, Jôf di Miezegnot, Montasio. Allo scoppio del conflitto, il 24 maggio 1915, erano già da tempo schierate le compagnie alpine del Battaglione Gemona, che presidiavano il confine, e con rapidi colpi di mano scacciarono gli austriaci dalla linea di cresta, che rimase totalmente italiana, e la attrezzarono con opere difensive di ardita ingegneria militare. Le selle, le cime, i passi e le linee dove poteva avvenire un ipotetico sfondamento nemico dalla val Saisera (allora austriaca), furono rinforzate con casematte, caverne, trincee in cemento armato per fucilieri. Ci furono alcune cruente battaglie, ma fu soprattutto uno scambio di colpi di artiglieria a suon di obici da 305 (i famosi ippopotami) che dai fondovalle scaricavano granate da due quintali e shrapnel sulle posizioni avversarie. Su queste montagne combatterono romagnoli famosi come il capitano Carlo Mazzoli di Cesena, nipote di Felice Orsini. Ufficiale stravagante e pluridecorato, utilizzò i cani come ausiliari nei trasporti in linea, portava lunghi capelli ed era conosciuto come il Garibaldi della Val Dogna, lo “sgjavelaat” in friulano (letteralmente lo scapigliato). Il dott.Pio Bertini di Rocca San Casciano (FC), richiamato come tenente medico al Gemona, diresse posti di medicazione avanzati in prima linea, poi gli ospedaletti di smistamento di Resia e Moggio. Il dott. Bertini ci ha lasciato una ricca documentazione fotografica conservata in un album dove ha fissato con meticolose didascalie le immagini di due anni e mezzo passati in alta val Dogna. C’è il progetto (qualora si trovino amministrazioni sensibili e sponsor!) di dare alle stampe l’album fotografico, così da rendere pubbliche tutte le storiche e uniche immagini scattate. Anche il caporal maggiore dei bersaglieri Benito Mussolini per un breve periodo prestò servizio il Val Dogna e troviamo nel suo diario la descrizione della strada militare costruita per servire le truppe in linea. Mussolini rimase

stupito dalle ardimentose opere d’ingegneria stradale eseguite. Probabilmente ci furono altri romagnoli che combatterono tra queste montagne, di cui purtroppo non abbiamo il ricordo. Oggi la valle è percorsa dalla strada asfaltata, ben tenuta, che arriva fino alla sella, è meta di escursionisti e alpinisti che si cimentano lungo le ferrate e le vie più impegnative nelle pareti del Montasio, dello Jôf Fuart, dei Nabois. Non privo di fascino e di ricordi storici è percorrere le linee di cresta delle posizioni italiane. Come punto di partenza si può utilizzare Plans Spadovai; è un ampio spazio, in parte pianeggiante, dove era collocato il comando del Gemona con tutti i magazzini e i depositi avanzati. Qui arrivavano le colonne di salmerie dal fondovalle ed erano smistate alle varie compagnie in linea. Sono ancora evidenti i resti degli edifici, le fondamenta dei ricoveri, numerosi i resti di gavette e scatolette oramai arrugginite, testimonianze dei frugali pasti degli alpini. Nei pressi fu edificata una cappelletta, prima in legno, poi nel 1917 in muratura, tuttora ben conservata, dove l’ultima domenica di luglio si celebra una messa in ricordo di tutti i caduti del Gemona. Nei pressi della costa di Brusinizze in località Stavoli dei Plans, è visibile l’opera difensiva italiana di seconda linea, che consiste in una serie di trincee che chiudono la valle con postazioni blindate per mitragliatrici. Una galleria immette nel sistema sotterraneo che ospitava tre pezzi d’artiglieria in caverna, collegate da ampie scalinate interne. L’opera fu più volte visitata anche dal re Vittorio Emanuele che ne restò entusiasta. Durante il conflitto non fu mai utilizzata, le azioni belliche si consumarono molto più in alto e anche con lo sfondamento di Caporetto la linea difensiva del Plans non fu messa in opera, ormai le truppe austro-tedesche stavano scendendo dalla val Canale e avrebbero aggirato e imbottigliato gli alpini. Oggi il comune di Dogna ha già in gran parte restaurato la linea difensiva che è agibile, si presenta intatta, e attraverso sentieri e percorsi si può facilmente visitare entrando in trincee e caverne. L’itinerario è semplice, si percorre in circa 60 minuti, il dislivello è di 75 m. (sito web: www.comune.dogna.ud.it). Come punto di appoggio si può utilizzare la Locanda Ai Due Pizzi. L’alpino Giovanni Compassi ha riadattato, con maestria non comune, un vecchio edificio militare della grande guerra, trasformandolo in un’accogliete locanda con alcune camere, che gestisce con la cordiale consorte Sig.ra Concettina mettendo a disposizione ottimi piatti carnici. La locanda è la base ideale per le escursioni alla scoperta delle testimonianze storiche della grande guerra, e il gestore accoglie tutti con semplicità e amicizia alpina, mettendo a disposizione la sua grande esperienza di rocciatore e sciatore, passione che ha coronato durante il servizio militare gareggiando nella squadra atletica della Julia. Recapiti: Locanda Ai Due Pizzi, Plans Spadovai, Val Dogna (UD) Tel.0428-93127 cell. 347-6605734 E-mail locandaduepizzi@libero.it. Luigi Melloni

14 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

14

01/06/2015, 15.53


FIORI SPONTANEI DELL’APPENNINO ROMAGNOLO (a cura di Ettore Contarini)

25 – LE ORCHIDEE (9o) GLI ASPETTI ESTREMAMENTE PECULIARI DEL GENERE OPHRYS. Il genere Ophrys, nell’ambito della famiglia orchidacee, rappresenta un fenomeno biologico unico per la struttura del fiore che mostra per ogni specie del gruppo singolarissime forme e colori che ne caratterizzano il labello, ossia la parte centrale inferiore, pendula, del fiore stesso. Per questi motivi straordinariamente unici nel vastissimo mondo delle piante merita in questa sede parlarne un po’. Già era noto ai botanici dell’800 il fatto sorprendente che i fiori delle singole specie di Ophrys venissero visitati di regola esclusivamente dai maschi dei loro specifici insetti impollinatori, mentre le rispettive femmine ignoravano queste orchidee e si orientavano su altre fioriture. La spiegazione dell’insolito fenomeno è arrivata soltanto quasi un secolo dopo quando uno studioso tedesco (Kullenberg) nel 1961 pubblicò, dopo lunghe e attente osservazioni, la sua teoria sui perchè dell’attrazione fatale riservata ai soli maschi della specie, teoria tuttora valida e ulteriormente confermata da altri ricercatori. In pratica, il succitato labello funge per il suo aspetto insettiforme da “esca sessuale” poiché imita, spesso con incredibile somiglianza di forme, di colori, di pelosità, ecc., la femmina della medesima specie impollinatrice. Inoltre, per aumentare la potenza del richiamo sessuale sui maschi di passaggio in volo, il fiore emette particolari odori stimolanti che accrescono l’attrazione verso la giusta direzione dove il ritenuto esemplare dell’altro sesso se ne sta tranquillamente posato a bottinare su una corolla. Ne deriva una pseudo-copulazione che comporta, dopo l’atterraggio del maschio, un focoso tentativo di amplesso che perdura per un po’ di tempo finchè il malcapitato non si rende conto di essere stato ferocemente ingannato! Tra l’altro, detta manovra avviene in posizione “obbligata” in modo che il maschio dell’insetto venga così a contatto con le masse polliniche. Una parte dei granuli di polline resta in tal modo attaccato alle pelurie di quest’ultimo e successivamente ceduta ai fiori successivi, della stessa specie di orchi15 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

15

LXXXVIII - LE ORCHIDEE 01/06/2015, 15.53


Fig. 1 – Ofride fior d’ape (Ophrys apifera); pianta intera in fioritura (Foto E. Contarini).

Fig. 2 – Ofride fior d’ape (Ophrys apifera); fiori in primo piano (Foto E. Contarini).

LXXXIX - LE ORCHIDEE rivista 2_2015.p65

16

dea, che l’impollinatore andrà a visitare attratto di nuovo dall’illusione di un’altra femmina a sua disposizione. Senza questo straordinario fenomeno evolutivo, che ha coinvolto strettamente i fiori delle Ophrys e i loro specifici visitatori, verosimilmente questo gruppo di piante si sarebbe già da tempo in gran parte estinto. Gli insetti impollinatori di cui sopra appartengono tutti al vasto ordine degli imenòtteri e, come famiglie, agli àpidi (api, bombi, calabroni, ecc.) e ai vèspidi (vespe di varie specie, di medio e piccola taglia). Di qui sono derivati i nomi di parecchie specie di tali orchidee come òfride bombilìflora (con fiore a forma di bombo), òfride apìfera (a forma di ape), òfride aracnitifòrme (a forma di ragno), òfrida fucìflora (a forma di fuco), òfride insettìfera (a forma di insetto), ecc. Difficilmente si potrebbe immaginare un sistema più complicato di questo per garantire l’impollinazione incrociata. Forma e colore del labello, l’organo fiorale che attiva il complesso meccanismo, sono stati ovviamente un processo avvenuto, lungo milioni di anni, di pari passo tra la pianta e l’insetto, fino a creare tra i due uno specifico e tenace rapporto fisso che ancor oggi possiamo osservare mirabilmente funzionante. Se, però, tale specifico impollinatore per i motivi più vari, naturali o antropici, scomparisse da una regione più o meno vasta o addirittura dall’intero areale della Ophrys della specie x (e le attività umane sono sempre più pericolose e invadenti), anche queste esili ma elegantissime pianticelle, ormai estremamente “specializzate”, difficilmente sopravviverebbero. Chi mai le impollinerebbe? Bisognerebbe ricominciare da capo, e in tempi lunghissimi, una nuova linea evolutiva che portasse a un diverso modo di impollinazione... Ben sappiamo che ogni essere vivente, animale o vegetale, più si specializza nei suoi modi di vivere e nei suoi comportamenti e più rischia l’estinzione sotto il peso dei cambiamenti ambientali. E questo del genere Ophrys appare un meccanismo biologico così evoluto e Fig. 3 – Ofride insettifera complesso da risultare di (Ophrys insectifera); aspetto della pianta intera conseguenza estrema(Foto E. Contarini). mente fragile. 16 MAGGIO_AGOSTO_2015

01/06/2015, 15.53


Ofride fior d’ape (Ophrys apifera Hudson). fusto: alto di solito tra i 20 e i 40 cm (raramente fino a 50), foglioso solamente nella parte bassa (Fig. 1); foglie: lanceolate, acute al vertice, ma larghe e striate, addensate nel basso fusto; fiori: di norma in numero di 5-10 posti in lunga spiga rada; tepali esterni ovato-acuti, equidistanti, di colore variabile (generalmente rosei, ma a volte rosso-violacei o biancastri); tepali interni molto corti, 1/ 6 o anche 1/8 soltanto di quelli esterni, tendenzialmente triangolari, pubescenti; labello rosso-bruno con linee gialle, nettamente trilobo; il lobo mediano fortemente revoluto, con l’appendice rivolta in basso e con peluria solamente nella parte apicale; lobi laterali con parte rilevata nel settore basale, nettamente pubescenti (Fig. 2); frutti: capsule ripiene di minutissimi semi, come in tutte le orchidee; habitat: ambienti erbosi tendenzialmente freschi, raramente al di sopra dei 700-800 m di altitudine; fioritura: maggio-giugno, raramente oltre e solamente nelle zone più elevate di quota; distribuzione: presente in tutte le terre intorno al Mediterraneo (specie euri-mediterranea); etimologia: il primo nome del binomio scientifico, Ophrys, deriva dal greco “sopraciglio”, poiché gran parte delle specie appartenenti a questo genere di orchidee presenta le foglie calicine a forma di arco, come appunto un sopraciglio; il secondo nome latino, apifera, non lascia dubbi per via dell’aspetto del fiore che simula un’ape. Lo stesso vale per il nome popolare, òfride fior d’ape. Ofride insettifera (Ophrys insectifera Linnaeus). fusto: alto fino a 40 cm, eretto, molto esile, in gran parte nudo; foglie: presenti solamente nella parte basale del fusto, in numero di 2-4, lanceolate (Fig. 3); fiori: di solito 5-8, raramente di più, sparsi lungo il fusto in modo rado e distanziato, con ampi spazi nudi di fusto; tepali esterni lanceolati, verdi; quelli interni di lunghezza circa la metà dei precedenti, filiformi, di colore brunastro, 17 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

17

Fig. 4 – Ofride insettifera (Ophrys insectifera); fiori in primo piano (Foto E. Contarini).

Fig. 5 – Ofride di Bertoloni (Ophrys bertolonii); pianta intera in fioritura (Foto E. Contarini).

Fig. 6 – Ofride di Bertoloni (Ophrys bertolonii); primo piano del fiore (Foto E. Contarini).

XC - LE ORCHIDEE 01/06/2015, 15.53


pubescenti; labello a 3 lobi, quasi piano, con lobo mediano bifido, scuro, vellutato, da cui emerge una chiazza glabra e azzurrastra al centro (Fig. 4); frutti: capsule ripiene di piccolissimi semi; habitat: ambienti caldi prativi in generale, anche di modesta estensione come margini di sentieri soleggiati, stradelle forestali, chiarie erbose nel bosco, ecc.; fin oltre i 1000 metri di altitudine; fioritura: maggio giugno, a volte già da aprile alle quote più basse; distribuzione: limitata all’Europa; etimologia: del primo nome del binomio scientifico, Ophrys, già si è parlato alla scheda precedente (vedi); il secondo termine, insectifera, non richiede spiegazioni, così come il nome popolare che ne deriva, poiché indica più che ovviamente un fiore a forma di insetto; un sinonimo, oggi non più in uso, è anche Ophrys muscifera, ossia òfride con fiore a forma di mosca. Ofride di Bertoloni (Ophrys bertolonii Mor.) fusto: di altezza 15-30 cm, eretto, foglioso solamente nella parte bassa (Fig. 5); foglie: lanceolate, acute, a nervature parallele come in tutte le specie affini, poste in modo nettamente alternato sul fusto; fiori: di solito in numero di 4-6 (ma a volte fino a 8), distanziati l’uno dall’altro; tepali esterni oblunghi, più brevi del labello, di colore variabile ma generalmente rosei o violacei; tepali interni lunghi la metà o meno degli esterni, rossastri; labello intero, raramente un po’ trilobato, con appendice terminale nettamente rivolta all’insù, molto peloso, di colore violaceo molto scuro sull’intera superficie, ma con una piccola chiazza azzurra e glabra nella metà inferiore (Fig. 6); frutti: capsule ripiene di minutissimi semi scuri; habitat: ambienti prativi caldo-aridi in generale, e per questo è specie di quote basse collinari; fioritura: strettamente primaverile, tra aprile e maggio secondo l’andamento stagionale dell’annata; distribuzione: specie presente nella sola area mediterranea occidentale; etimologia: del genere Ophrys, primo nome del binomio latino, già s’è detto (vedi); il secondo termine, bertolonii, è dovuto alla dedica da parte dell’ottocentesco descrittore al grande botanico A. Bertoloni (1775-1869), professore di botanica all’università di Bologna e autore di una Flora Italica in 10 volumi, tuttora per molte ragioni insuperata, e di altri importanti studi sulla flora italiana.

XCI - LE ORCHIDEE rivista 2_2015.p65

18

18 MAGGIO_AGOSTO_2015

01/06/2015, 15.53


20 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

20

01/06/2015, 15.53


IL NEGOZIO DEGLI SPOR TIVI SPORTIVI Via Colombo, 6 - 48018 FAENZA (RA) - Tel. (+39) 0546.46944 - Fax (+39)0546.46948

Rivivi le emozioni del tuo sport preferito passeggiando nel nostro negozio! Troverai un’equipe pronta a soddisfare ogni tua esigenza! 29 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

29

01/06/2015, 15.53


NOTIZIE DALLA SEGRETERIA A cura di Claudio Patuelli

Rinnovo delle iscrizioni per l’anno 2015 Ricordo a tutti i Soci che al 31 marzo sono scadute le coperture assicurative previste con il tesseramento 2014, come pure l’invio delle pubblicazioni della Sede Centrale e di tutte le altre agevolazioni previste. Il rinnovo è comunque possibile fino alla fine di ottobre, tenendo presente che la copertura assicurativa parte dall’avvenuta conferma del rinnovo alla Sede Centrale. Le quote associative per l’anno 2015 sono le seguenti: Ordinari E 43,00 Familiari E 22,00 Juniores (dai 18 ai 25 anni) E 22,00 Giovani (minore di 18 anni) E 16,00 Inoltre per i nuclei familiari in cui sono presenti almeno un Socio ordinario e un giovane, gli eventuali ulteriori Soci giovani presenti nel nucleo pagano solo E 9,00. La quota associativa è comprensiva di copertura assicurativa per spese di soccorso in caso d’incidenti in montagna, R.C. e di polizza infortuni, che però copre esclusivamente i Soci in attività sociale (escursioni in programma da bollettino, manutenzione programmata di sentieri, ecc,). I massimali della polizza infortuni sono E 55.000 caso morte, E 80.000 per invalidità permanente, E 1.600 per spese mediche. I massimali possono essere raddoppiati per i casi morte e invalidità con il versamento aggiuntivo di E 3,80 all’atto del rinnovo.

Rinnovo associativo per i Soci lontani Per i Soci che non hanno la possibilità di venire a Faenza, è possibile rinnovare la tessera pagando la quota sociale tramite Bonifico bancario indicando chiaramente nella causale il cognome e nome del Socio (o dei Soci) di cui si chiede il rinnovo. L’importo va aumentato di E 1,00 per le spese di spedizione del bollino. Le coordinate bancarie per il bonifico sono: Beneficiario: CAI FAENZA Banca di appoggio: Credito Cooperativo Ravennate e Imolese – Sede di Faenza IBAN: IT 61 Q 08542 23700 000000086438 Indirizzo e-mail della Sezione: info@caifaenza.it Sito Internet della sezione: www.caifaenza.it Rivista CAI nazionale on-line: www.loscarpone.cai.it Bollettino CAI Faenza: Direttore Responsabile Prof. Domenico Tampieri. Redaz. e amministraz.: Via Campidori, 28 - 48018 FAENZA (RA) - Tel. 0546 22966 - 0546 21616 (c/o Chesi). Riunioni, Biblioteca, iscrizioni ed escursioni: ogni giovedì dalle ore 20,30 alle ore 22,30. Sabato dalle 10,00 alle 12,00. Redazione: Maurizio Solaroli, Fabbri Ettore, Bisi Giovanni. Impaginazione: Romano Leonardi e-mail: fotomec3f@libero.it - Ivan Calamelli e-mail: ivancalamelli@gmail.com Stampa: Tipografia Romagna - Faenza - Tel. 0546 31314 - Autorizzazione Tribunale di Ravenna n. 711 del 5/7/1982. 30 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

30

01/06/2015, 15.53


NOTIZIE DALLA SEGRETERIA A cura di Claudio Patuelli

ORDINARI: Morsiani Paolo Ciani Francesca Rondinini Cinzia Monti Susanna Spiriti Daniele Visani Valerio Capiani Filippo (Juniores) Rocchi Giulia (Juniores) Celli Francesco Furlini Luca Ragazzini Emanuele (Juoniores) Materni Luca (Juniores) Cardinali Cristina Fabbri Davide Gonelli Matteo Silvagni Luca (Juniores) Vincenzi Enrico Soglia Leonardo Monti Stefano

Fenati Serena Suzzi Franca Zinzani Gianluca Bandini Luca (Juniores) Conti Adamo Silvagni Laura Paiocchi Greta (Juniores) Enei Simone (Juniores) Ballardini Francesca Morfino Andrea Nenni Andrea (Juniores) Alberghi Francesco Morigi Mattia Piazza Valentino Bassi Laura Suzzi Giuseppe Minni Eleonora Morsiani Sandro Diversi Samuele Benini Roberto

NUOVI SOCI

FAMILIARI: Piani Franco Argnani Soeva Liverani Renato Montanari Chiara Giacuzzo Sarah

GIOVANI: Martini Tobia Bertozzi Jacopo Guerra Michele

Di seguito i negozi convenzionati con la nostra sezione: * DECATHLON Centro Comm.le Le Maioliche Faenza (sconto, vedi sotto) ERBORISTERIA BELLENGHI Via Castellani Faenza – Sconto 10% IL GRANDE SLAM A.s.d. Palestra Via Volta Faenza – Sconti fino al 10% BETTOLI SPORT Corso Garibaldi Faenza – Sconto 15% CAPO NORD Corso Mazzini Forlì – Sconto 15% GOMMAPLASTICA Via Lapi 117 Faenza – Sconto 15% FERRAMENTA CHESI Centro Comm.le Cappuccini Faenza – Sconto 10% CICLI TASSINARI – Via Strocchi 17 Faenza – Sconto 10% CARTOLERIA LEGA – Corso Mazzini 33 Faenza – Sconto 10% OUTDOOR & TREKKING STORE - Via Trieste 48/a Ravenna - Sconto 15 % Convenzione Salewa. Comunichiamo a tutti i soci, quanto inviatoci dal punto vendita Outlet Salewa di Castel Guelfo. Tutti i soci dietro presentazione tessera CAI otterranno uno sconto del 10% sul materiale ad eccezione di quello già in offerta, o in saldo. La promozione vale comunque anche negli altri Outlet Salewa in Italia. * Convenzione sconto ai soci CAI presso negozio Decathlon di Faenza Riceviamo e proviamo a spiegarvelo in due parole, la nuova convenzione sconti. I soci interessati a una raccolta punti per accumulo di uno sconto, devono passare in sede e ritirare una Tessera Fedeltà Decathlon, che va esibita ad ogni acquisto. Sulla tessera verranno caricati dei punti pari a 10 ogni 8,00 euro di spesa. Ogni 400 punti si accumula uno sconto di 6,00 euro che si può decidere di scontare da un prossimo acquisto, ecc. La tessera è valida per acquisti nei negozi Decathlon su qualsiasi genere di materiale, e non più come era in passato solo per materiale da montagna. In sede abbiamo tutto il materiale informativo. Chi crede può attivare la tessera anche presso il punto vendita di Faenza. Grazie ai vostri acquisti anche la sezione riceverà una percentuale di punti, con i quali a fine anno potrà acquisire materiale tecnico da utilizzare durante le uscite sezionali.

31 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

31

01/06/2015, 15.53


32 MAGGIO_AGOSTO_2015

rivista 2_2015.p65

32

01/06/2015, 15.53


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.