Vengo dopo il Pci

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Vengo dopo il Pci. Breve storia della sinistra italiana da Occhetto a Renzi Giuseppe Guarino Il presente file può essere usato esclusivamente per finalità di carattere personale. Tutti i contenuti sono protetti dalla Legge sul diritto d'autore. Caffè News declina ogni responsabilità per ogni utilizzo del file non previsto dalla legge. Prima edizione ebook: 2014 by Caffè News www. caffenews. it


Giuseppe Guarino

Vengo dopo il Pci Breve storia della sinistra italiana da Occhetto a Renzi


Indice 0. Prefazione 1. Gli anni del Pds 2. Rifondazione e la scissione del Pdci 3. La “Cosa 2” 4. Il fronte sinistro 5. Verso il Pd 6. Da Veltroni a Bersani 7. Né falce né martello 8. Il partito di Renzi 9. Il governo del Rottamatore 10. Alla fine della storia Appendice 1: Risultati elettorali Appendice 2: I simboli Appendice 3: Le primarie Riferimenti bibliografici


0. Prefazione Ho scritto questo libretto con una semplicità disarmante. Dentro non c'è nulla di speciale, non è altro che un riepilogo di eventi che raccontano una storia che posso dire in parte anche mia. La mia generazione è stata la prima a non aver vissuto sulla propria pelle la guerra fredda, la divisione del mondo in blocchi, le certezze e i timori dell'epoca. Ecco perché, per noi, è stato forse già tardi per riconoscerci in una certa simbologia, retaggio nostalgico d'un mondo che non abbiamo mai vissuto. Il Pci rappresentava per tanti l'utopia dell’uguaglianza sociale. Chi si identificava nel partito delle bandiere rosse e della falce e martello credeva in un sogno, un mondo nuovo, un sistema diverso. Ma per farlo ci si limitava a rispettare questo, per quanto lacunoso e discutibile, e si conviveva con gli altri liberatori dal fascismo, ossia i partiti avversari nonché gli stessi americani. Alcuni di noi, me compreso, si sono riconosciuti fuori tempo massimo nelle ideologie d'un tempo. Poi si cresce, si migliora, ci si ripensa. E con noi, con quelli della mia generazione e di quelle immediatamente precedenti, si sono evoluti i partiti. Abbiamo vissuto, anche solo per sentito dire, tutte le trasformazioni del Pci: il Pds, i Democratici di Sinistra, il Partito Democratico. Abbiamo visto i dissidenti del Pdci uscire da Rifondazione Comunista, nascere Sel, i fallimenti delle liste della Sinistra Arcobaleno e di Rivoluzione Civile. L'idea di riepilogare questa storia, questi anni, queste passioni, è giunta nel dicembre 2013, quando Matteo Renzi si è imposto alle primarie del Partito Democratico, segnando così la fine di un'ulteriore era e, almeno idealmente, di un'intera classe dirigente che andava trascinandosi sin dai tempi del Pci. Ci


fermiamo qui, dove siamo potuti arrivare, a un passo dalle elezioni europee del 2014. D'accordo con Paolo Esposito (che ispirandosi a Renzo Arbore ha dato il nome alla rubrica e poi all'e-book) e gli amici di Caffè News, dunque, abbiamo qui raccolto, rivisto e corretto, tutte le puntate di “Vengo dopo il Pciâ€?, al fine di dare al discorso un'impostazione e uno sguardo d'insieme. Alla fine del libro, invece, ho provveduto ad inserire una serie di dati elettorali, grafici e reminiscenze volti a costituire un rapido e comodo sunto in termini numerici e immediati. Vi auguro una buona lettura. Giuseppe Guarino


1. Gli anni del Pds Era il 1989 quando Achille Occhetto, alla Bolognina, annuncia che il Partito Comunista Italiano, fondato da Antonio Gramsci nel 1921, avrebbe cambiato nome e simbolo. Non un abbandono totale dello storico simbolo della Falce e Martello, piuttosto un rinnovamento che, con gli ultimi sgoccioli di vita dell’Urss e la caduta del muro, ha portato il principale partito d’opposizione di fronte al timore di poter diventare un triste anacronismo storico. Il Pci smetterà di esistere il 3 febbraio 1991, quando nasce ufficialmente il Partito Democratico della Sinistra. Il nuovo simbolo è una quercia, ai cui piedi campeggia ancora il logo del vecchio partito. Un nutrito gruppo di dissidenti, che al congresso viene bollato come “Fronte del NO”, non ci sta. I nomi sono quelli di alcuni rappresentanti storici del Pci, dirigenti in vista e figure di spicco: Alessandro Natta, Pietro Ingrao, Armando Cossutta. Quest’ultimo darà vita al Movimento per la Rifondazione Comunista, che l’anno dopo porterà alla nascita del Partito della Rifondazione Comunista, portandosi dietro circa un terzo dei vecchi compagni. Il Pds nasce con un incidente di percorso: Occhetto non ha il quorum per essere eletto segretario, soprattutto a causa dell'assenza di oltre cento delegati del Consiglio Nazionale. L'elezione, però, è solo questione di tempo e l'8 febbraio 1992 l'ultimo segretario comunista diventa primo segretario del pidiessino. Il Pds di Occhetto, ereditate gran parte delle strutture e degli iscritti (nonché della classe dirigente) del Pci, si presenta così alle politiche del 1992. Alla Camera il nuovo partito prende il


16.11%, mentre Rifondazione Comunista il 5.6%. Il risultato è piuttosto deludente: il Pci, infatti, aveva ottenuto ben il 27.58% alle precedenti europee del 1989 e il 26.57% alle politiche 1987. Con le consultazioni del ’92 si consolida l’alleanza quadripartito tra Dc, Psi, Psdi e Pli. Giuliano Amato forma il suo primo governo poiché il neoeletto Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro rifiuta di affidare l’incarico agli inquisiti (leggasi Bettino Craxi). Il Pds entra così, in accordo con Psi e Psdi e non senza polemiche, nell’Internazionale Socialista e contribuisce a fondare il Partito Del Socialismo Europeo, nel quale rimarrà fino alla dissoluzione dei Ds e alla nascita del Partito Democratico. L'esecutivo Amato non dura molto e viene presto sostituito da una maggioranza alternativa. Ad essere scelto come Presidente del Consiglio in via transitoria è un eminente tecnico toscano che non è nemmeno parlamentare: Carlo Azeglio Ciampi. A sostenerlo è un governo di larghe intese, basato sull'asse Dc-Pds-Psi più alcune formazioni minori. Rifondazione (come Msi e Lega Nord) preferisce rimanere all'opposizione. L'esecutivo comprende inizialmente anche alcuni ministri di Pds e Verdi: Vincenzo Visco, Luigi Berlinguer e Francesco Rutelli. Questi, il giorno dopo il giuramento del nuovo governo, si dimettono per protesta contro un Parlamento che non ha concesso l'autorizzazione a procedere contro Craxi. Nasce così, piano piano, dopo il passaggio al sistema elettorale del Mattarellum, il fronte dei Progressisti in vista delle politiche del 1994: Pds, un Psi ridotto all’osso dalle vicende personali del suo ex segretario, Rifondazione Comunista, Verdi, Cristiano Sociali, Rete e Rinascita Socialista. Il candidato alla presidenza del Consiglio è Achille


Occhetto. Il risultato è, ancora una volta, deludente. Silvio Berlusconi stravince e il Polo del Buon governo \ Polo delle Libertà va al governo. Per il Pds il consenso sale al 20.36%. Berlusconi dà così vita al primo governo della storia italiana a comprendere ex esponenti del Movimento Sociale nonché della Lega Nord, ma l’avventura dura soltanto 8 mesi proprio a causa dell'abbandono della maggioranza da parte del Carroccio. Nel frattempo, dall'altra parte, Occhetto si è dimesso e alla segreteria della Quercia è salito Massimo D’Alema. Anche la sua elezione è risultata però controversa: avrebbero dovuto partecipare al congresso circa 19mila delegati, ma se ne sono presentati soltanto 12mila. I due sfidanti, D'Alema e Walter Veltroni, si ritrovano quasi alla pari, e l'elezione viene rimandata al ristretto Consiglio Nazionale. Qui la linea “kennediana” di Veltroni è battuta di misura. Con la caduta di Berlusconi, Scalfaro nomina Presidente del Consiglio Lamberto Dini, dando vita a un governo interamente tecnico che vede l’appoggio esterno di Pds, Ppi, Psi, Lega Nord, Verdi, Rete, Cristiano Sociali, Ccd, Cdu, Patto dei Democratici ed alcuni dissidenti di Rifondazione Comunista. All'interno del centrosinistra cominciano così i sondaggi per una nuova alleanza da presentare alle elezioni politiche che, col governo tecnico in carica, sembrano sempre più vicine. Romano Prodi, nei primi mesi del 1995, lancia il movimento de L’Ulivo, una riedizione in miniatura del centrosinistra e del compromesso storico. La nuova sigla del professore, infatti, vorrebbe creare un’alleanza tra i partiti di centro e quelli di sinistra per contrastare la deriva verso le destre avviata da Berlusconi. Il Patto Segni e il Ppi si dicono d’accordo, così come i Verdi e, appunto, il Pds. Rifondazione Comunista, invece, approva un “patto di desistenza” nei confronti delle forze appartenenti a L’Ulivo: alle politiche del 1996, in 42 collegi “sicuri”, il Prc si presenterà al posto dell’Ulivo con il


vecchio simbolo dei Progressisti. Sotto la quercia e la falce e martello del simbolo del Pds, inoltre, compare la scritta “Sinistra Europea”. La nuova coalizione Ulivo-Rifondazione vince le elezioni politiche con il 43.39% dei consensi. Nella quota proporzionale il Pds raccoglie il 21.06%. Prodi è il nuovo Presidente del Consiglio e il Pds è il primo partito italiano. Molti uomini-chiave del partito ottengono nomine nel nuovo esecutivo: Walter Veltroni alla vice-presidenza del Consiglio e alla Cultura, Giorgio Napolitano al Viminale, Vincenzo Visco alle Finanze, Luigi Berlinguer alla Pubblica Istruzione, Pier Luigi Bersani a Industria, Commercio e Artigianato, mentre Anna Finocchiaro, Livia Turco e Franco Bassanini approdano a tre ministeri senza portafoglio (rispettivamente Pari Opportunità, Solidarietà Sociale e Funzione Pubblica). Tuttavia, all’interno del Partito non tutto funziona come dovrebbe: Massimo D’Alema è fortemente critico nei confronti del governo Prodi e scende addirittura in piazza contro di esso. Nel frattempo, egli spinge per unificare il Pds con altre forze della sinistra italiana, anche di quella non post-comunista. I malumori cominciano a circolare anche all’interno di Rifondazione che, guidata dall’asse Cossutta-Bertinotti, comincia ad opporsi al governo soprattutto in materia finanziaria. Controversa la questione sulla bicamerale per le riforme costituzionali del 1997: D'Alema viene eletto presidente della commissione con i voti del centrodestra, inciuciando più volte con il Polo e la Lega Nord. La bicamerale, che aveva proposto temi come il semi-presidenzialismo e il sistema tedesco di cancellierato, naufraga per l'ostruzionismo esercitato da Berlusconi in collaborazione con i suoi rinnovati alleati leghisti. La bicamerale resta nella storia e quest'esempio sarà riportato dalle cronache ogni volta che il centrosinistra proverà,


negli anni successivi, a trattare con Berlusconi, ricordando come quest'ultimo sia sempre pronto a far saltare il banco.


2. Rifondazione e la scissione del Pdci Dopo l’ultimo congresso del Pci, nel 1991, alcuni delegati rifiutano di partecipare alla fondazione del Pds e optano per una scissione a sinistra. Il confronto è acceso e serrato e, alla fine, la corrente cossuttiana e filosovietica va a costituire l’ossatura iniziale del Movimento per la Rifondazione Comunista. Questo nasce formalmente il 25 febbraio 1991. Il primo obiettivo è quello di strappare al Pds anche lo storico simbolo, ma l’operazione fallisce miseramente. Il partito fondato da Occhetto pone il vecchio logo del Pci ai piedi della quercia e al neonato movimento non resta che accontentarsi dei soli falce e martello, su una bandiera stilizzata, senza il tricolore. Il primo segretario (dapprima definito “coordinatore”) è Sergio Garavini, che deve però subito fare i conti con una coabitazione insieme a Cossutta. Intanto, Democrazia Proletaria, guidata da Giovanni Russo Spena, decise di sciogliersi e confluire nel nuovo soggetto politico. Segue la medesima strada anche il Partito Comunista d’Italia – Marxista Leninista e qualche dissidente entrato nel primo Pds decide di tornare sui propri passi e seguire la nuova avventura di rosso vestita. Dopo numerose lotte di piazza, soprattutto riguardanti la richiesta d’impeachment nei confronti del Presidente della Repubblica Cossiga, il Partito della Rifondazione Comunista vede ufficialmente la luce il 15 dicembre 1991. Nel 1992 arriva il primo test elettorale nazionale (anche se Rifondazione aveva già presentato alcune liste durante le amministrative dell’anno precedente). Si vota ancora col


proporzionale e il nuovo partito ottiene il 5.6% dei voti della Camera dei Deputati e il 6.5% di quelli del Senato. Siamo in anni difficili. È il periodo di Mani Pulite e della riforma elettorale. Rifondazione prende posizione contro il maggioritario e, com’era già successo un tempo nel Pci, si esprime contro il processo d’integrazione europea, non approvando la ratifica del Trattato di Maastricht e mostrando un anti-europeismo che negli anni successivi finirà per scemare e tradursi in un sentimento quasi completamente opposto. Il ’92 è, inoltre, il primo anno senza l’Unione Sovietica e il colpo è forte anche per l'ormai fragile comunismo italiano. Cominciano una serie di dissidi interni, soprattutto tra il segretario Garavini e il Presidente Cossutta: Garavini spinge per un’alleanza con il Pds, mentre Cossutta rimane su posizioni massimaliste. Sentendosi sfiduciato dal direttorio del partito, Garavini decide di rassegnare le dimissioni. Sembra dovergli succedere Lucio Libertini, che però muore improvvisamente prima del congresso, lasciando il Prc nelle mani di un direttorio temporaneo. Dal Pds, intanto, alcuni sindacalisti della Cgil che temono un avvicinamento troppo stretto a Bettino Craxi e al Psi (e una conseguente deriva filo-capitalista) decidono di chiamarsi fuori. Alla loro testa c’è l’ingraiano Fausto Bertinotti, che il 28 settembre 1993 decide di iscriversi a Rifondazione Comunista. Nel gennaio successivo, dopo il II congresso del Prc, l’ex sindacalista dalla erre moscia conquista la stragrande maggioranza dei voti dei delegati (circa l’83%) e diventa così il secondo segretario del partito, facendo il primo passo di una leadership che durerà incontrastatamente per più di dodici anni. È il 1994 e si vota per la prima volta col Mattarellum e, in abbinato, anche per le europee. Insieme ad altri sette partiti (tra cui il Pds e i cocci rotti del Psi), Rifondazione forma l’Alleanza dei Progressisti, già testata in alcuni comuni l’anno precedente


(Napoli, Torino, Roma, Genova, Palermo). I risultati non sono dei migliori. L’alleanza berlusconiana trionfa e Rifondazione si attesta intorno al 6% nella quota proporzionale della Camera, oltre che al Parlamento Europeo. Alla caduta di Berlusconi, però, anche i Progressisti ricominciano a fare scaramucce. Il Prc, nonostante il forte dibattito interno, non concede la fiducia al governo Dini (sostenuto da Pds, Ppi e Lega) e, al contempo, espelle Umberto Carpi (che aveva invece votato la fiducia). Il clima si fa rovente e un gruppo che arriverà fino a 16 dissidenti (tra cui Nappi, Roventi, Vendola, l’ex segretario Garavini e il capogruppo alla Camera Crucianelli) diventa parte decisiva della maggioranza parlamentare a sostegno dell’esecutivo. Crucianelli viene sostituito così da Oliviero Diliberto. Il conflitto si conclude con la scissione del gruppo dei Comunisti Unitari (con a capo Sergio Garavini e Lucio Magri) che comincerà un rapporto di intensa collaborazione con il Pds (nel 1996 presenterà i propri candidati all’interno delle liste della Quercia), finendo poi per partecipare alla fondazione dei Democratici di Sinistra. Nel 1995 si vota alle Regionali e Rifondazione, nonostante le diatribe interne ma forte dell’opposizione al governo, ottiene l’8% circa. Il partito arriva così ad un patto con Dini: nessun voto di sfiducia in cambio della promessa del presidente del Consiglio di dimettersi entro la fine dell’anno. Dini acconsente (si dimetterà il 30 dicembre). Romano Prodi, nel frattempo, ha cominciato i lavori per la creazione dell’Ulivo, ma Rifondazione rifiuta di aderirvi, bocciando il documento programmatico del professore. Il patto di desistenza sarà raggiunto in un secondo momento: nessun accordo sulla formazione del governo, ma rinuncia dell’Ulivo a presentarsi in una quarantina di “collegi sicuri”, dove Rifondazione torna con il vecchio simbolo dei Progressisti.


Alle elezioni del 1996 arriva così il massimo risultato della storia del Prc: 8.5% alla quota proporzionale della Camera. Forte del proprio risultato, il partito sceglie di fornire a Prodi un appoggio esterno, ma i primi segnali di una nuova fase burrascosa cominciano a notarsi nello stesso partito. Mara Malavenda abbandona il Prc e fonda i Cobas per l'autorganizzazione, che nel 1999 arriveranno a presentare il proprio contrassegno alle elezioni europee raccogliendo poco più di quattromila consensi. Bertinotti annuncia quasi ogni giorno di non essere disposto a sostenere la politica moderata dell’esecutivo Prodi, e di essere pronto a revocare la fiducia in caso di bisogno. La prima crisi arriva sulla “missione Alba” in Albania, che viene approvata con i voti decisivi del Polo. La seconda giunge sulla finanziaria 1998: Prodi arriva a dimettersi ma, con la mediazione del Presidente della Repubblica Scalfaro, Bertinotti accorda la fiducia al governo dichiarando di essere pronto a sostenerlo per un altro anno. La terza e ultima crisi arriva puntuale esattamente un anno dopo e, ancora una volta, sulla finanziaria: Bertinotti è sfavorevole e decide di non voler votare la fiducia. Cossutta si dimette da presidente del partito, che così si spacca. La maggioranza assoluta del gruppo parlamentare (Cossutta e Diliberto) resta fedele all’Ulivo e al centrosinistra, mentre le mozioni di Bertinotti e Marco Ferrando optano per rimanere all’opposizione. I dissidenti fondano così il Partito dei Comunisti Italiani. Con un accordo tra il nuovo partito e i Ds, che avevano ormai rimosso la falce e martello dai piedi della quercia, il Pdci riprende il simbolo ch’era stato del Pci. Rifondazione impugna però l’atto, dichiarando che il simbolo della nuova formazione è troppo simile al proprio. La Corte d’Appello di Roma trova la soluzione: il Pdci dovrà utilizzare un fondo blu (poi diventato azzurro) per distinguersi da Rifondazione, che negli anni successivi continuerà ugualmente


a presentare ricorsi a riguardo (gli stessi però non troveranno più accoglimento). Il 21 ottobre 1998 il nuovo gruppo parlamentare vota la fiducia al governo di Massimo D’Alema (insieme all’Udr di Cossiga, Mastella e Buttiglione), mentre Rifondazione comincia ad arroccarsi su posizioni estremiste. Al governo partecipa il Pdci con Oliviero Diliberto (Ministro di Grazia e Giustizia) e Katia Bellillo (Ministro degli Affari Regionali). I Comunisti Italiani scelgono come presidente Armando Cossutta e, alle elezioni europee del 1999, raccoglie il 2% dei consensi. Alle stesse elezioni, Rifondazione raccoglie il 4.3%, eleggendo 4 europarlamentari. Dopo le dimissioni di Massimo D’Alema, il Pdci decide di dare il proprio sostegno anche al governo di Giuliano Amato, formatosi nell’aprile del 2000, dove porterà in quota ancora Katia Bellillo (Pari opportunità) e, invece di Diliberto, Nerio Nesi (Lavori Pubblici). Nello stesso aprile, Oliviero Diliberto diventa segretario. All’interno di Rifondazione, intanto, è scontro tra gli ingraiani e i trozkisti di Ferrando, che si danno battaglia nei congressi locali. Bertinotti, tuttavia, rimane segretario, orientando le proprie politiche soprattutto verso l’autodeterminazione dei popoli e le istanze dei no-global. Rifondazione acquista in questo periodo una rinnovata connotazione movimentista, staccandosi dalla logica del partito-struttura in favore della piazza. Si arriva così alle elezioni del 2001. La coalizione di centrosinistra è quella de L’Ulivo, che sostiene come candidato premier l’ex sindaco di Roma Francesco Rutelli. Si giunge a un nuovo patto tra Rifondazione e l'agglomerato ulivista, questa volta definito di “non belligeranza”: il Prc si presenta alla Camera soltanto in quota proporzionale, mentre corre normalmente per il Senato. Questa opzione si rivelerà


distruttiva, il centrosinista non conquista la maggioranza del Senato proprio per il mancato accordo con Bertinotti, permettendo a Berlusconi di ottenere circa 40 seggi altrimenti persi e costituire cosÏ il suo secondo governo. Il Prc ottiene, in ogni caso, il 5.03% dei consensi alla Camera e il 5.04% al Senato. Il Pdci raccoglie l’1.67% (Camera, quota proporzionale).


3. La “Cosa 2” È il 1998 quando il principale partito italiano dell’area di sinistra elimina definitivamente la falce e martello dal proprio simbolo. È il completamento di un percorso, cominciato con la svolta della Bolognina, verso il socialismo europeo. Da un’idea di Massimo D’Alema, il Pds subisce la sua prima trasformazione dando avvio a quella che sarà chiamata “La Cosa 2”. Al Congresso 1997 la via da perseguire appare chiara: riunire gli stati generali della sinistra in modo da mettere in cantiere l’idea di una nuova forza sempre più slegata dal passato comunista e abbracciante le idee socialdemocratiche. Il Pds avvia così un’apertura a forze politiche ed esperienze provenienti da percorsi alternativi, come repubblicani (Sinistra Repubblicana), socialisti (Federazione Laburista, Riformatori per l’Europa) e, addirittura, anche ex democristiani (Cristiano Sociali). Inoltre, i Comunisti Unitari di Crucianelli, abbandonata del tutto Rifondazione, entrano a pieno titolo nel partito. Infine, anche la piccola formazione di Giuseppe Lumia Agire Solidale, già da anni vicina al Pds, sancisce la propria convergenza nel nuovo progetto. Come anticipato, il simbolo del Pci scompare dai piedi della quercia. A sostituirlo la rosa rossa socialista e la sigla “Pse”, estesa successivamente in “Partito del Socialismo Europeo”. Il rinnovato soggetto perde inoltre il termine “Partito” ed assume un nuovo nome: Democratici di Sinistra. Con la caduta di Prodi e la rottura con Rifondazione Comunista, i Democratici di Sinistra vedono nominare Massimo D’Alema alla presidenza del Consiglio. D’Alema è il


primo ex comunista a salire a Palazzo Chigi, designato poiché i nuovi alleati dell’Udr di Mastella hanno posto un veto su un eventuale conferimento di un secondo mandato a Romano Prodi. Alla nomina del governo il Presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, ora alleato del centrosinistra, ironizza con D'Alema regalandogli un bambino di zucchero in riferimento al luogo comune sui comunisti mangiatori di bambini. I ministri diessini sono sette: Visco alla Finanza, Luigi Berlinguer all’Istruzione, Bersani ad Industria, Commercio e Artigianato, Bassolino al Lavoro e alla Previdenza Sociale, Fassino al Commercio Estero, Melandri ai Beni Culturali e Turco alla Solidarietà Sociale. Il nuovo capo dell’esecutivo lascia così la testa del partito e a succedergli in segreteria è l’avversario sconfitto del precedente congresso del Pds: Walter Veltroni. Alle europee del 1999 i Democratici di Sinistra prendono soltanto il 17.4% delle preferenze, ottenendo 15 seggi al Parlamento di Strasburgo. Intanto, una grande coalizione abbracciante praticamente tutto l’arco parlamentare ad esclusione della Lega Nord, ha provveduto ad eleggere il primo Presidente della Repubblica a non appartenere a nessun partito: Carlo Azeglio Ciampi (già Presidente del Consiglio, Ministro del Tesoro negli esecutivi Prodi e D’Alema, nonché ex Governatore della Banca d’Italia). Tra gli atti più eclatanti del governo di Massimo D’Alema si ricorda il contrastato sostegno all’intervento della Nato in Kosovo. Nell’ottobre del ’99, allo scopo di favorire l’ingresso nel governo dei Democratici di Romano Prodi, D’Alema annuncia una crisi pilotata, al fine di operare un rimpasto della maggioranza. Tuttavia, il dibattito finisce per infervorare gli animi, e il cattivo rapporto con i socialisti di Boselli fa il resto: lo Sdi critica la gestione di D’Alema (e soprattutto del Ministro Amato) rifiutando poi di partecipare al rimpasto. Nel dicembre ’99 Massimo D’Alema dà le dimissioni e


ottiene subito il reincarico. Forma così il suo secondo governo, al quale partecipano, come nei piani, anche i prodiani dell’Asinello. È di questo periodo l’emanazione della legge della par condicio, che regola i tempi di partecipazione e visibilità televisiva delle diverse parti politiche, al fine di contrastare il dominio mediatico di Berlusconi. Durante il primo congresso dei Democratici di Sinistra, dal 13 al 16 gennaio 2000, a scontrarsi sono un’anima filogovernativa, volta a mantenere la salda alleanza con i moderati, e quella prettamente di sinistra, insistente sull’affermazione dell’identità partitica. La prima, con a capo Walter Veltroni, risulta ancora vincente. Intanto, ripresa l’alleanza con la Lega Nord, il centrodestra si impone, ottenendo alle elezioni regionali una netta vittoria. D’Alema, preso atto della sconfitta, decide di dimettersi. Il governo passa così a Giuliano Amato che, recuperando l’alleanza con lo Sdi, mantiene nell’esecutivo gran parte dei ministri nominati da D’Alema, portando a termine la legislatura. Intanto non si ritrova, nonostante il dialogo, un’alleanza con Rifondazione Comunista e si arriva alle elezioni politiche del 2001 contro la macchina da guerra della Casa delle Libertà, schierata in campo con forza e magnificenza da Silvio Berlusconi. La coalizione dell’Ulivo, pressoché immutata se non per l’ingresso dell’Udeur di Mastella, non può ripresentare Romano Prodi (impegnato nella Presidenza della Commissione Europea) e, quindi, opta per Francesco Rutelli, ex sindaco di Roma. Rutelli, inoltre, è il principale ispiratore della nuova lista de La Margherita, che raccoglie i moderati della coalizione: I Democratici, il Ppi, l’Udeur e la Lista Dini. Per il centrosinistra è una sconfitta netta e i Ds ottengono soltanto il 16.6% dei consensi elettorali. In contemporanea alle elezioni politiche si vota anche in molti comuni e Walter


Veltroni, a Roma, viene eletto sindaco, lasciando quindi la segreteria del partito. Nell’autunno del 2001 si arriva così al secondo congresso dei Democratici di Sinistra: i tre candidati sono Piero Fassino (sostenuto da D’Alema, Violante, Bersani), Giovanni Berlinguer (con il sostegno di Cofferati, Occhetto e Bassolino) e Enrico Morando (sostenuto dall’area minoritaria di stampo liberale). Con oltre il 64% dei voti congressuali a prevalere è l’espressione massima dell’apparato, Piero Fassino. Il governo Berlusconi, nel frattempo, procede come un treno. Alla vigilia delle elezioni il Cavaliere aveva firmato il cosiddetto “Contratto con gli italiani”, alle cui promesse disattende in maniera talvolta palese, talvolta velata. Spesso ricorre a delle forzature. Nel frattempo, nel 2003, vi è un punto di ricompattamento delle opposizioni: l’intervento in Iraq. La scelta del Presidente americano George W. Bush, infatti, vede Silvio Berlusconi schierarsi al fianco degli americani, autorizzando l’invio di contingenti militari italiani per operazioni logistiche e di supporto. L’opposizione (forte dei rifiuti di Germania, Francia e Russia) si schiera in maniera decisa contro l’intervento (a fare eccezione è l’Udeur di Mastella). Il dialogo con Rifondazione, già ripreso all’inizio del 2003, sembra così procedere positivamente. Diventa concretamente fattibile il ristabilimento dell’alleanza tra il centrosinistra e la sinistra movimentista. L'Ulivo allarga così i propri confini, aprendo a Rifondazione Comunista e all’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro: nasce la Grande Alleanza Democratica. Prodi viene intanto individuato come il possibile leader della nuova coalizione e lancia l’idea della lista unica a sinistra, che riprenda il simbolo dell’Ulivo e si presenti così alle elezioni europee del 2004. Accettano di aderire al progetto il Movimento dei Repubblicani Europei, lo Sdi di Boselli,


Democratici di Sinistra e Margherita. Il progetto riprende quello della lista dell’Asinello presentata da Prodi nel 1999 e vede il rifiuto di aderirvi da parte dei Verdi (che nel frattempo hanno cominciato una convergenza massiccia verso le posizioni di Rifondazione Comunista) e del Pdci. La lista (che vede tra i suoi candidati due noti giornalisti: Michele Santoro e Lilli Gruber) ottiene il 31% dei consensi, risultando la prima forza italiana. La prima spaccatura (che si protrarrà poi anche negli anni successivi, quando il processo d’unità sarà completato con la nascita del Partito Democratico) si ha immediatamente e riguarda l’adesione ai gruppi europei: i parlamentari eletti con l’Ulivo ma iscritti ai Ds scelgono di passare tra i banchi del Pse, mentre quelli eletti in quota Margherita fondano, insieme all’Udf di Bayrou, il Partito Democratico Europeo, che aderisce al gruppo Alde. I Ds, nel frattempo, tengono il loro terzo congresso. La mozione di Piero Fassino vince con percentuali bulgare (79% circa), ma comincia a formarsi una prima crepa con Fabio Mussi, che non vorrebbe partecipare al movimento federativo con la Margherita. La lista unica viene riciclata anche in occasione delle regionali 2005, con Prodi che propone che venga riproposta anche alle politiche del 2006. Tuttavia, nelle stesse elezioni regionali, fa la sua prima comparsa un nuovo simbolo, portatore di valori pacifisti e universalistici: l’arcobaleno. La Grande Alleanza Democratica ha lasciato il posto a L’Unione, che vince in 12 regioni su 14 e, in Puglia, elegge addirittura un Presidente di Rifondazione Comunista: Nichi Vendola. Un ulteriore scontro interno alla Federazione dell’Ulivo arriva sui referendum del giugno 2005 sulla procreazione assistita: Ds e Sdi sono favorevoli al sì, mentre la Margherita vede un forte dibattito ma è tendenzialmente propensa (su


indicazione della Conferenza Episcopale Italiana) all’astensione. Il referendum fallisce e se i Ds scelgono di non deteriorare ulteriormente i rapporti con la Margherita, lo Sdi, laicista, inasprisce i toni ed accusa i Dl di clericalismo. Un altro ostacolo al progetto unitario viene da una mozione interna alla Margherita, sostenuta da Rutelli e contrastata dall’ulivista e prodiano Parisi: alle politiche il listone si dovrà fare solo nella quota maggioritaria, mentre in quella proporzionale i due partiti presenteranno i rispettivi simboli. Parisi minaccia di uscire dalla Margherita ma poi rientra nei ranghi, non abbandonando però le tesi unitariste che, poi, finiranno per prevalere. Con questo clima si giunge, in ottobre, alle primarie di coalizione. I candidati sono Romano Prodi, Fausto Bertinotti (Prc), Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi), Antonio Di Pietro (Idv), Clemente Mastella (Udeur), Ivan Scalfarotto (Libertà e Giustizia), Simona Panzino (dei movimenti no global). Prodi si impone con il 74.17% dei consensi, confermandosi come leader assoluto dell’Unione. Il successo delle primarie spinge Rutelli a rivedere le proprie tesi e a rinegoziare la questione della lista unitaria. Ma è lo Sdi ad effettuare lo strappo: stanco del clericalismo degli alleati della Margherita, decide di allearsi coi Radicali nel progetto spiccatamente laicista della Rosa nel Pugno. Ma il 2005 è anche l’anno dello scandalo Unipol. Da sempre vicina alle posizioni dei Ds, la compagnia assicurativa aveva tentato una scalata a Bnl e, da alcune intercettazioni, risulta che Fassino si era espresso in maniera favorevole all’operazione. Lo stesso Berlusconi si recherà al processo, testimoniando di essere a conoscenza dei fatti, anche se le sue dichiarazioni saranno dichiarate dai giudici non penalmente rilevanti. Convinto di non vincere le elezioni politiche del 2006, Silvio Berlusconi caldeggia fortemente l’approvazione di una nuova


legge elettorale che possa mettere i bastoni tra le ruote a Romano Prodi. La legge arriva alla fine del 2005 ed è firmata da Roberto Calderoli che la definisce senza troppi fronzoli“una porcata”: addio al Mattarellum, arriva un proporzionale con soglia di sbarramento al 4%, liste bloccate, premio di maggioranza e una diversa formazione di Camera e Senato. Ds e Margherita rinegoziano così il proprio accordo e, al fine di valutare reciprocamente le rispettive forze, decidono di presentarsi sotto il simbolo dell’Ulivo alla Camera e in liste separate al Senato. Preceduta da una campagna elettorale senza esclusione di colpi (Berlusconi annuncia in diretta televisiva e senza alcun preavviso l’eliminazione dell’Ici sulla prima casa in caso di vittoria), la tornata del 2006 si riduce ad una beffa sia per il centrosinistra che per il centrodestra: Prodi ha la maggioranza dei seggi alla Camera dei Deputati grazie a una differenza di poco più di 24mila voti; al Senato, invece, la Casa delle Libertà ha addirittura più consensi dell’Unione ma, grazie al sistema del Porcellum, è il centrosinistra ad ottenere la maggioranza dei seggi anche in virtù dei voti degli italiani all’estero (e all’appoggio dei senatori a vita). Berlusconi accuserà l’esistenza di brogli elettorali e pretenderà il riconteggio delle schede. Il risultato, però, è ormai definito e Romano Prodi forma così il suo secondo governo. Il listone dell’Ulivo vede confermati i consensi al 31.3%, mentre al Senato i Ds ottengono il 17.4% (la Margherita il 10.72%). I risultati dimostrano che l’unione tra i due partiti porta con sé un maggiore consenso elettorale e il discorso sulla trasformazione dell’Ulivo in un partito (si parla già di un Partito Democratico di stampo americano) prende via via nuova concretezza. In una ripartizione dei poteri, le tre principali forze politiche optano per la spartizione delle tre principali cariche repubblicane: i Ds eleggono Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica, mentre Camera e Senato vengono


rispettivamente presiedute da Fausto Bertinotti (Prc) e Franco Marini (Margherita). Fassino sceglie di rimanere fuori dal governo per dedicarsi alle nuove trasformazioni che attendono i Ds, mentre vi parteciperanno 9 ministri: Massimo D’Alema (Esteri e Vicepresidente del Consiglio), Pierluigi Bersani (Sviluppo Economico), Fabio Mussi (Università e Ricerca), Livia Turco (Salute), Vannino Chiti (Riforme istituzionali e rapporti con il Parlamento), Cesare Damiano (Lavoro e Previdenza Sociale), Giovanna Melandri (Politiche Giovanili e Attività Sportive), Luigi Nicolais (Riforme e innovazione nella Pubblica Amministrazione), Barbara Pollastrini (Pari Opportunità). Anche questo governo non avrà vita facile, soprattutto per via della maggioranza risicata e dei dibattiti interni alla stessa coalizione di governo. Sarà l’ultimo atto della grande alleanza di centrosinistra, mentre i Ds e la Margherita preparano la strada al Partito Democratico.


4. Il fronte sinistro Gli anni di opposizione al secondo (e terzo) governo di Silvio Berlusconi riescono a ricompattare le diverse anime della minoranza, segnando un netto riavvicinamento tra Rifondazione Comunista e la coalizione ulivista. Il partito di Bertinotti, in particolare, completa del tutto il proprio scivolamento verso le posizioni movimentiste (strada già tentata, ma con successo minore, anche dai Democratici di Sinistra). Il Pdci, invece, è ormai parte integrante dell’Ulivo. Prima delle elezioni del 2001, il partito di Diliberto ha tentato (senza successo) di partecipare al cartello elettorale de Il Girasole (Verdi e Sdi). Il veto è provenuto proprio dai socialisti e il Pdci è stato così costretto a presentarsi da solo alle urne. Nel Girasole, tuttavia, il clima non si rivelerà dei migliori: il deludente esito elettorale (2.2%) e la differenza di vedute su temi molto sentiti (in particolare sulla ricerca) spingeranno verso una rottura annunciata già durante la creazione della nuova formazione politica. Comincerà allora un nuovo processo di dialogo tra i Verdi e il Pdci. L’obiettivo dei Comunisti Italiani è il creare un fronte a sinistra, volto a spostare l’attenzione degli alleati verso i temi cari a quest'area. Tale visione sarà confermata al Congresso del 2004: sopra la falce e martello, nel simbolo, appare la scritta “Per la sinistra” e nel Pdci confluisce anche Democrazia Popolare, uscita da Rifondazione prima delle elezioni del 2001. Rifondazione recupera, nel frattempo, la vena pacifista. Sono nette le opposizioni agli interventi in Afghanistan e Iraq, e gli arcobaleni cominciano ad accompagnare falce e martello (e, ironicamente, il volto di Che Guevara) durante le


manifestazioni di piazza e i cortei. Il G8 di Genova del 2001, inoltre, vede il Prc impegnato in prima linea nelle contestazioni (il partito imporrà successivamente, in maniera controversa, una linea ufficiale che disapprova la violenza tra forze dell’ordine e manifestanti nei fatti di Genova). Un allontanamento tra i due principali partiti comunisti italiani riguarderà Cuba. Nel 2003, infatti, Fidel Castro fa fucilare tre oppositori di destra e ne imprigiona altri 75. Alla Camera vengono presentate 4 mozioni: una della maggioranza, una dei Ds, una del Prc e una quarta dei Pdci. La mozione del Pdci, però, pur ribadendo la piena condanna alla pena di morte, mira sostanzialmente a far passare questi eventi in secondo piano, chiedendo la revoca dell’embargo da parte degli Usa e l’incremento dei rapporti tra Italia e Cuba. Iacopo Venier (Pdci) arriverà a dire che “A Cuba non c’è una feroce dittatura, c’è un regime politico che si può criticare ma che ha assicurato al suo popolo dignità e diritti impensabili in quella parte del mondo. Chi vuole la caduta di un Paese e di una speranza ancora viva lo dica.” Bertinotti, invece, pur essendo oggetto di numerose critiche da parte delle correnti più dure e pure del suo partito, sceglie di condannare le scelte del dittatore cubano pur proclamando il fatto che Rifondazione sia ancora amica di Cuba e, proprio per questo motivo, disposta a metterne in luce i problemi. I Democratici di Sinistra, dal canto loro, sembrano abbracciare le stesse tesi di Rifondazione, chiedendo la fine sia dell’embargo americano verso Cuba che dell’embargo democratico del regime nei confronti del popolo cubano. Successivamente, nel gennaio 2004, cominciano i lavori che porteranno alla nascita del partito della Sinistra Europea, presieduto da Fausto Bertinotti e volto a raccogliere tutte le facce della sinistra anticapitalista del continente. Rifondazione aggiunge il nuovo nome nel suo simbolo, che verrà racchiuso


in un secondo cerchio, rosso. Nel nuovo partito europeo non entrerà il Pdci, che ne sarà sempre soltanto un osservatore (i suoi parlamentari a Strasburgo faranno però parte del gruppo Sinistra Europea – Sinistra Verde Nordica). Si arriva così alle elezioni europee del 2004: Rifondazione ottiene il 6.06% dei consensi, a fronte del 2.42% (massimo storico) del Pdci. Il Pdci si è presentato da solo, rifiutando l’alleanza con Ds e Margherita nel progetto de L’Ulivo. Al contempo, al suo interno, cominciano i primi dissensi tra Marco Rizzo e Armando Cossutta: quest’ultimo viene “trombato” da Rizzo e gli chiede di dimettersi e cedergli il seggio al Parlamento Europeo, ottenendo in risposta un sonoro rifiuto. Dopo alcuni tira e molla e un clima rovente all’interno del partito, si finisce per accettare lo status quo e l’elezione di Rizzo in Europa. Alle europee del 2004 ha partecipato anche uno dei grandi nomi della sinistra italiana, che da tempo aveva già abbandonato i Ds: Achille Occhetto. Presentatosi in lista con Antonio Di Pietro e l’Idv, raccoglie il 2.4% dei consensi, ma si dimette per lasciare spazio a Giulietto Chiesa. Avvia dunque un dialogo con Verdi, Ds, Rifondazione, Sdi e Pdci per creare un fronte di sinistra alternativo all’alleanza al centro portata avanti dalla classe dirigente dei Democratici di Sinistra. Tanto è vero che la lista Di Pietro-Occhetto porta nel simbolo, in principio, la dicitura “per il nuovo Ulivo”, poi eliminata dopo la diffida dell’omonimo listone prodiano. Sarà proprio all’Idv di Di Pietro oltre che a Rifondazione Comunista che, nell’ottobre del 2004, i partiti del centrosinistra aprono per la creazione di un nuovo fronte: la Grande Alleanza Democratica. Romano Prodi termina in quell’autunno il suo mandato in Commissione Europea e si candida così a diventare il leader aggregante della rinata coalizione. Il primo braccio di ferro giunge con le elezioni regionali


pugliesi. Bertinotti vorrebbe imporre Nichi Vendola, mentre il centrosinistra moderato ha optato per Francesco Boccia. Si decide di demandare la scelta all’esito delle primarie del 16 gennaio 2005 dove, a sorpresa, Nichi Vendola batte di misura l’avversario. Vendola vince anche le regionali, come 12 candidati del centrosinistra su 14 regioni al voto, ma il suo successo non è esteso al partito. Mentre la coalizione di centrosinistra (che intanto ha assunto il nome de L’Unione) si dimostra pronta a trionfare alle politiche dell’anno dopo, il Prc perde voti, mentre il Pdci vede confermati i propri consensi e, nella media nazionale, sale addirittura sopra il 3%. Laddove va delineandosi il quadro delle primarie di coalizione per la scelta del candidato Presidente del Consiglio, il Pdci sembra appoggiare in un primo momento la candidatura di Fausto Bertinotti, chiedendogli di diventare poi leader di tutta la sinistra radicale unita. Bertinotti rifiuta e il Pdci opta per Prodi. In realtà, il partito di Diliberto, fedele al centralismo democratico, era contrario allo strumento stesso delle primarie, ed aveva accettato di parteciparvi soltanto per non intaccare il quieto vivere della nascente coalizione. Il 16 ottobre 2005, i risultati del voto vedono Bertinotti al 14.69%, contro il 74.17% di Romano Prodi. L’operazione di “spostamento a sinistra” dell’asse dell’Unione si rileva deludente, ma Rifondazione rimane ugualmente nella coalizione come terza forza dell’asse dietro Ds e Margherita. Si arriva così al voto del 2006, il primo con il sistema del Porcellum. Rifondazione Comunista candida nelle proprie liste personaggi come la transgender Vladimir Luxuria e il leader no-global Francesco Caruso. Il Pdci presenta il proprio simbolo soltanto alla Camera. Al Senato, invece, d’accordo con Verdi e Consumatori Uniti, viene ripreso il progetto rosso-verde, in un cartello elettorale denominato “Insieme con l’Unione”.


L’Unione vince di misura le elezioni, ma al suo interno c’è soddisfazione soprattutto per Rifondazione: 5.84% alla Camera e 7.37% al Senato. Il Pdci ottiene il 2.32%, mentre Insieme con l’Unione si ferma al 4.17% (i Verdi hanno ottenuto il 2.06% alla Camera, rivelando l’infruttuosità dell’alleanza). Bertinotti viene eletto Presidente della Camera dei Deputati e, in Rifondazione, gli succede come segretario Franco Giordano, che prevale su Marco Ferrando. Seguono dunque delle scissioni a sinistra: prima il Progetto di Alternativa Comunista, poi il Partito Comunista dei Lavoratori dello stesso Ferrando e, infine, il gruppo di Unità Comunista. Nel frattempo si forma il secondo esecutivo di Romano Prodi. Rifondazione partecipa con un solo Ministro (Paolo Ferrero, alla Solidarietà Sociale), un viceMinistro e sei sottosegretari. Il Pdci non partecipa direttamente alla formazione di governo, proponendo a Prodi alcuni nomi graditi al partito, tra cui quello di Alessandro Bianchi, già candidato come indipendente al Senato nella lista Insieme con l’Unione. Bianchi ottiene il ministero dei Trasporti ma non prenderà mai la tessera del Pdci, e nel 2007 entrerà addirittura nel neonato Partito Democratico. Nello stesso Pdci, Armando Cossutta si sente messo da parte e decide di dimettersi da ogni carica partitica. Diliberto prova inoltre a spianare la strada verso un discorso unitario con Rifondazione, ma è Giordano a placare i toni, mettendo in risalto le differenze di vedute tra i due partiti. Il governo assiste intanto alle prime beghe interne. Il Pdci si astiene sull’indulto proposto da Mastella, mentre in Rifondazione si discute sull’opportunità di votare contro il rifinanziamento della missione in Afghanistan. Altre polemiche si accendono con le componenti cattoliche della coalizione (in particolare Rutelli e Fioroni) sul progetto dei Diritti dei Conviventi (DiCo), visti come una forma velata di introduzione del matrimonio tra omosessuali. Fioroni, Ministro


dell’Istruzione, arriverà a scendere addirittura in piazza contro il governo di cui è parte per ribadire il suo no al progetto dei DiCo, che finirà per naufragare. Ma la prima vera crisi del governo Prodi si avrà il 21 febbraio 2007, proprio sull’Afghanistan. Su mozione del Ministro degli Esteri D’Alema, Fernando Rossi (eletto in quota Pdci nella lista Insieme con l’Unione) e Franco Turigliatto (Rifondazione) non partecipano al voto. Rossi passa così al gruppo misto (l’anno dopo si presenterà alle elezioni con la lista Per il Bene Comune). Turigliatto viene espulso da Rifondazione e fonda in Senato la componente Sinistra Critica, dal nome della corrente del Prc alla quale aderiva. Sul lato moderato della coalizione, nel frattempo, si consolida l’asse Margherita-Ds per la nascita del Partito Democratico e anche a sinistra qualcosa sembra muoversi al fine di ricreare un fronte unitario.


5. Verso il Pd L’ultimo congresso dei Democratici di Sinistra, il quarto, si tiene a Firenze dal 19 al 21 aprile del 2007. Le mozioni che si presentano sono tre: Fassino, Mussi e Angius-Zani. La prima, presentata dal segretario ed appoggiata dalla maggioranza delle componenti partitiche, è quella che porta avanti l’obiettivo chiave di sciogliere definitivamente i Ds e confluire, insieme alla Margherita, nel nascente Partito Democratico. La mozione di Fabio Mussi, allora Ministro dell’Università del governo Prodi II, propone invece la nascita di una forza che abbia come riferimento il Partito del Socialismo Europeo, rafforzandone all’interno sia la presenza che la partecipazione. La terza mozione, invece, mira all’esplicito richiamo al Pse da parte del nascente Partito Democratico. Piero Fassino raccoglie più del 75% dei consensi, affermando così la linea del partito e perseguendo l’obiettivo di fusione con le altre forze politiche dell’Ulivo. Mussi e Angius scelgono di non essere più della partita. Entrambi costituiranno, più tardi e senza uscire dalla maggioranza di governo né interrompere (almeno in un primo momento) l’alleanza con il Pd, un nuovo partito con esplicito riferimento al Pse: Sinistra Democratica. Anche sul fronte post-democristiano è tutto pronto: al secondo congresso della Margherita è stata presentata un’unica mozione congressuale che non fa chiarezza sull’affiliazione al Pse, sebbene vi siano stati ancora dei contrasti principalmente tra le correnti vicine a Rutelli (fortemente contrario) e quelle che hanno come riferimento Arturo Parisi (favorevole a riguardo ad un dialogo con i Ds). L’ex sindaco di Roma viene, in ogni caso, confermato in testa alla compagine e, d’accordo


con la Quercia, programma che il nuovo partito dovrà vedere la luce entro il 2008. Nel frattempo, nella vita dell’esecutivo, Prodi può contare su una maggioranza alquanto risicata. Al Senato è tenuto in piedi da pochi voti di differenza e gli scontri, legati soprattutto alla contrapposizione tra le aree centrista e la sinistra radicale, si susseguono regolarmente. Più volte, inoltre, la tenuta del governo è stata garantita dal voto favorevole dei senatori a vita. Marco Follini, ex segretario dell’Udc e leader del movimento Italia di Mezzo, si avvicina gradualmente alle posizioni del centrosinistra, votando con la maggioranza in numerose occasioni, Il Partito Democratico si sta intanto organizzando, mettendosi in moto nella creazione di una struttura: il 23 maggio 2007 vengono nominati i membri del Comitato 14 ottobre (giorno nel quale si terranno le primarie per l’elezione del segretario), con il compito di costruire e preparare una serie di regole che stabiliranno il funzionamento interno della nascente organizzazione. A far parte del comitato 45 membri eminenti più qualche new entry, su tutti Marco Follini, il fondatore di Slow Food Carlo Petrini e il giornalista Gad Lerner. Cominciano ad arrivare anche le prime candidature per la carica di segretario. Walter Veltroni dichiara di voler scendere in campo per proporre, mantenendo fortemente l’appoggio al governo di Romano Prodi, un partito nuovo che sdogani la Tav, sia attento sul tema della sicurezza (non lasciandola ad assoluto appannaggio delle destre) e, soprattutto, che riesca ad avanzare un patto generazionale per il paese. Veltroni, appoggiato da gran parte degli esponenti di Ds e Margherita, viene paragonato a Tony Blair e, con un programma liberale e riformista, chiede consensi anche agli italiani. A fargli subito eco è Rosy Bindi, che lamentando la poca attenzione di Veltroni nei confronti


della cultura cattolica decide di candidarsi a sua volta a segretaria del partito. Altri candidati saranno Enrico Letta (che lancia via web la cosiddetta “sfida dei quarantenni”), il blogger e giornalista Mario Adinolfi, gli economisti Pier Giorgio Gawronski e Jacopo Schettini Gherardini e il direttore de L’Unità Furio Colombo. Schettini lancia l’idea del “partito tricolore”, prendendo il rosso, il bianco e verde come duplice riferimento alle aree politiche di provenienza oltre che alla bandiera nazionale. Questa proposta sarà poi ripresa negli studi che porteranno alla nascita del simbolo. Lo stesso Schettini ritira poi la sua candidatura, sostenendo Gawronski. Colombo, invece, entra in conflitto con il Comitato per via dell’eccessivo burocratismo mostrato nei confronti della sua candidatura, rinunciando a correre per la segreteria. Provano a presentarsi anche Marco Pannella e Antonio Di Pietro, che vedono ricusate le proprie candidature per il fatto di essere leader di partiti o movimenti che non hanno annunciato il loro scioglimento per entrare nel Pd. Qui si può parlare di un errore del Comitato 14 ottobre, in quanto Pannella, pur essendo di fatto un leader radicale, al momento della presentazione della proposta non è titolare di alcuna carica ufficiale presso i Radicali Italiani. Alle primarie del 14 ottobre 2007 partecipano oltre 3 milioni e mezzo di elettori. A risultare vincitore è Walter Veltroni, che ottiene il 75.82% dei consensi. Rosy Bindi non raggiunge il 13%, mentre Enrico Letta raccoglie poco più dell’11%. Gawronski e Adinolfi si fermano ampiamente al di sotto del punto percentuale. Nello stesso giorno smettono di esistere i soggetti politici che hanno preceduto il Pd. La nuova sede nazionale è a Roma, in Piazza Sant’Anastasia, mentre il nuovo simbolo riprende sia il tricolore che il rametto di ulivo, ridotto e posto tra le parole “Partito” e “Democratico”. Il 27 ottobre 2007 si tiene la prima assemblea del nuovo


soggetto. Veltroni si insedia come segretario e nomina Dario Franceschini suo vice. L’Assemblea Nazionale del partito elegge anche un Presidente, individuato nella figura carismatica del capo del governo Romano Prodi, principale ispiratore del progetto Ulivo-Partito Democratico. In contemporanea, Veltroni comincia a discutere di superamento del Porcellum, cercando un dialogo con l'opposizione di centrodestra almeno in tema di legge elettorale. Per Romano Prodi, però, sono in vista nuovi guai. La finanziaria 2008 passa ancora di misura, con Lamberto Dini che ha votato contro. Dini era stato eletto senatore nella lista della Margherita e aveva anche partecipato alla fase iniziale dei lavori per la fondazione del Pd. Con il voto contrario avvia il suo neonato movimento dei Liberal Democratici ad una collaborazione con il centrodestra, dove importanti cambiamenti sono in vista. Silvio Berlusconi, infatti, sull’onda dell’entusiasmo portato dalle primarie del Pd, dal predellino della sua auto annuncia, spiazzando anche i suoi stessi alleati, la nascita di un nuovo partito di centrodestra, un soggetto unitario che superi le singole sigle, in modo da poter contrapporsi al Partito Democratico. Ad esso parteciperanno poi i piccoli partiti della Cdl (Nuovo Psi, Democrazia Cristiana per le Autonomie, Azione Sociale) e soprattutto Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini. Freddo invece Pierferdinando Casini che, critico nei confronti dell’idea di Berlusconi, non vi fa confluire l’Udc (ma numerosi esponenti, stretti intorno a Carlo Giovanardi, lasceranno poi lo scudo crociato per seguire il nuovo progetto). Dopo qualche giorno viene annunciato il nome del soggetto politico unitario, quando nasce ufficialmente il Popolo della Libertà. Non che l’idea del partito unico anche a destra sia così nuova (era stata più volte rilanciata negli anni precedenti, con un impegno crescente di personaggi come Marcello Dell’Utri e Michela Vittoria Brambilla), ma Berlusconi ha dimostrato, con


la fondazione del Pdl, di poter fare in pochi mesi quanto il centrosinistra ha realizzato in circa dieci anni. In un fallico sfoggio di muscoli, il leader del centrodestra organizza il suo attacco al “governo delle Tasse”, convinto della breve vita dell’esecutivo. Il ciclone, puntualmente, arriva. Il 17 gennaio 2008 la procura di Santa Maria Capua Vetere mette sotto inchiesta il Ministro della Giustizia Clemente Mastella e la moglie Sandra Lonardo. L’accusa è di concussione. Mastella aveva già criticato diverse volte l’operato del governo, non contento soprattutto della finanziaria 2008, auspicando finanche il ritorno alle urne (e trovandosi d’accordo con quanto affermato anche dal Presidente della Camera Bertinotti). Dimettendosi da Ministro, però, il politico di Ceppaloni mantiene l’appoggio esterno dell’Udeur al governo. Ma la fine è vicina. Veltroni annuncia che alle prossime elezioni il Partito Democratico andrà da solo, interrompendo così la storia dell’Unione e proponendo a Berlusconi di fare lo stesso al fine di rafforzare il sistema bipolare che, pur senza riforma elettorale, sembra andare ad affermarsi. Mastella, timoroso di rimanere fuori dal parlamento decide così di revocare la fiducia all’esecutivo per “mancata solidarietà politica”. Lascia così il centrosinistra, prendendo via via posizioni sempre più vicine a Berlusconi (nel 2009 sarà eletto all’Europarlamento nella lista del Pdl e nel 2013 farà confluire l’Udeur nella rinata Forza Italia). Il 24 gennaio Prodi non ha più i numeri e si dimette. Giorgio Napolitano, dopo le consultazioni, affida un mandato esplorativo al Presidente del Senato Franco Marini che, sentiti a sua volta i rappresentanti di partiti e gruppi parlamentari, rimette l’incarico nelle mani del Presidente della Repubblica. Si va così verso nuove elezioni, con Berlusconi pronto a tornare al governo in pompa magna.


6. Da Veltroni a Bersani Si vota il 13 e 14 aprile del 2008 e il risultato delle urne parla chiaro: Silvio Berlusconi ha vinto e la coalizione Pdl-LegaMovimento per le Autonomie si appresta a governare il paese. Il quadro parlamentare è notevolmente semplificato, dato che alle Camere accedono soltanto tre coalizioni elettorali. Restano fuori La Destra di Storace-Santanché e La Sinistra – L’Arcobaleno di Fausto Bertinotti (ne parleremo dettagliatamente più avanti). Entrano, invece, le liste rispettivamente a sostegno di Silvio Berlusconi, Walter Veltroni e Pierferdinando Casini. Sconfitto dunque il Partito Democratico, che ha presentato per la prima volta il proprio simbolo alle elezioni politiche. L’accordo di coalizione era stato raggiunto (contrariamente alla volontà iniziale di Veltroni di correre da solo) soltanto con altre due forze: Italia Dei Valori e Radicali. I primi hanno presentato il proprio simbolo accanto a quello democratico, raccogliendo così anche il “voto utile” di gran parte dell’elettorato della sinistra radicale o degli altri partiti che avevano fatto parte dell’Unione. I radicali, invece, hanno portato nove candidati nelle liste del Pd (tra cui Rita Bernardini ed Emma Bonino, ma escludendo Marco Pannella), la cosiddetta “delegazione Radicale nel Partito Democratico”. Un negoziato c’è stato anche con il ricostituito Partito Socialista, che però ha preferito non rinunciare al proprio simbolo, correndo autonomamente. Tuttavia, il centrosinistra ha avuto sin dal principio la consapevolezza di andare verso una sicura sconfitta, dato gli scontenti ancora freschi sull’operato del governo Prodi, la separazione dalla sinistra radicale e la conduzione di una campagna elettorale particolarmente aggressiva da parte di


Berlusconi. Veltroni ha invece optato per una campagna elettorale itinerante e ispirata a quella di Barack Obama, impegnato intanto nella battaglia per le primarie dei democrats. Da Obama Veltroni mutua anche lo slogan ed è così che il “Yes we can” del futuro Presidente Usa diventa un italianissimo “Si può fare”. Il risultato prettamente numerico è del 33.18% alla Camera e del 33.69% al Senato (intorno al 38% il risultato di coalizione). A seguito del voto Romano Prodi si dimette da Presidente del Partito, ritirandosi dalla politica e chiedendo alla classe dirigente del partito di operare per un forte rinnovamento futuro. L’approdo all’opposizione insieme all’Idv di Di Pietro e all’Udc di Casini porta il Pd a ripensare il proprio ruolo e Walter Veltroni a nominare uno shadow cabinet in perfetto british-style. Il governo Ombra di Veltroni ha così la funzione di contrapporsi a quello ufficiale di Silvio Berlusconi, al fine di vagliarne le proposte e di intervenire per tentare di correggerne le storture. A farne parte, tra gli altri, Piero Fassino, Enrico Letta, Pier Luigi Bersani e Anna Finocchiaro. Non è la prima volta che in Italia si ricorre ad un simile strumento, già nel 1989 Achille Occhetto aveva lanciato l’esperimento in contrapposizione al penultimo esecutivo di Andreotti. Sulla formazione dei gruppi parlamentari arriva il primo attrito con Di Pietro: il leader Idv aveva promesso, prima delle elezioni, di creare un gruppo unico con i dem. Ora invece, temendo di venire assorbito dal Pd, preferisce ritrattare la scelta, formando così compagini separate. La componente radicale resta invece nel gruppo del Pd, pur opponendosi nettamente a vincoli di mandato e forzature di ogni sorta. Ulteriori sconfitte per il Partito Democratico arrivano anche anche in occasione delle regionali abruzzesi (dicembre 2008) e sarde (febbraio 2009), superato sempre dai candidati della coalizione di centrodestra. È in seguito a queste débâcle che


Walter Veltroni decide di abbandonare la carica di segretario tramite dimissioni irrevocabili. Il partito vive così, dopo nemmeno due anni dalla sua fondazione, una prima crisi interna coincidente con diffuso un senso di smarrimento. Anna Finocchiaro viene chiamata a coprire temporaneamente la carica di Presidente lasciata vacante da Romano Prodi, mentre per la segreteria c’è già un nuovo scontro tra chi chiede l’immediata indizione di elezioni primarie e chi sostiene l’elezione del nuovo segretario da parte di una convention di delegati. A prevalere sembra essere questa seconda linea, mentre i due sfidanti sono individuati in Dario Franceschini e Arturo Parisi. A trionfare è, come da previsioni, Dario Franceschini. Ex Dc, Cristiano Sociali, Ppi e poi Margherita, all’Assemblea Nazionale ottiene 1047 preferenze contro le sole 92 di Parisi. Franceschini rimanda così il congresso e le conseguenti primarie a dopo le Elezioni europee, in ottobre. Peggio del previsto le elezioni comunitarie. Il Partito Democratico scende infatti al 26.12%. Ancora una volta sorge il nodo del gruppo parlamentare, sciolto all’indomani delle elezioni: con un accordo con il Pse, il Pd italiano, il Partito Democratico cipriota e il Partito dell’Armonia Nazionale lettone (che non aderiscono a nessun partito europeo) entrano nello stesso gruppo dei socialisti europei. Nasce così l’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D), un gruppo parlamentare che volto a comprendere anche le forze progressiste che non si riconoscono nel Pse. Perdendo circa 7 punti percentuali, la discussione interna si concentra soprattutto sulle strategie da adottare per il futuro, dato che un risultato così deludente rischia di compromettere seriamente il percorso unitario. È con questo spirito che cominciano ad emergere le nuove candidature in vista della convention e delle primarie di ottobre. Alla fine saranno


ritenute valide tre proposte: Pierluigi Bersani, Ignazio Marino e, appunto, Dario Franceschini. Ad emergere ci sono anche Debora Serracchiani, Mario Adinolfi e Sergio Chiamparino, che alla fine non presentano una proposta ufficiale. Beppe Grillo, intanto, si è iscritto in una sede sarda del Pd e ha cominciato a raccogliere le firme necessarie per presentare la propria candidatura, che viene però bocciata dal partito, (per via dei toni esclusivamente polemici) che ne invalida inoltre anche l’iscrizione (in quanto Grillo non si è iscritto nella sede Pd di riferimento rispetto alla propria residenza). Più complesso il caso di Amerigo Rutigliano, che dopo aver raccolto le firme sufficienti, si vede invalidare la candidatura poiché molte di queste risultano appartenenti a persone non iscritte al Pd. Il voto congressuale promuove tutti e tre i candidati, con Bersani al 55.13%, Franceschini al 36.95% e Marino al 7.92%. La consultazione popolare delle primarie, tenutasi il 25 ottobre 2009, conferma in gran parte gli esiti della convenzione. Ignazio Marino prende il 12.5% mentre Franceschini il 34.3%. Pierluigi Bersani, quindi, con il 53.2% dei consensi diventa ufficialmente il nuovo segretario del Partito Democratico, subentrando a Dario Franceschini. Dopo l’elezione di Bersani, Rosy Bindi diventa la nuova Presidente del partito, mentre Enrico Letta ottiene la nomina di vicesegretario. L'approdo di Bersani alla segreteria causa una scissione: Francesco Rutelli ed altri esponenti vicini all’area exMargherita denunciano un passo indietro del processo unitario del Partito Democratico, un eccessivo riavvicinamento alle posizioni che erano state del Pds. Di pari passo, dall’altra parte, Tabacci lascia l’Udc per l’eccessiva convergenza della compagine di Casini alle posizioni del centrodestra. Rutelli e Tabacci, così, fondano Alleanza Per l’Italia, un partito centrista che si pone come alternativa all’Udc di Casini ma pronto a


dialogare con il centrosinistra. Anche Luciana Sbarbati e il Mre lasceranno presto il Pd per poi effettuare una riconciliazione storica con il Partito Repubblicano Italiano. Tuttavia, nonostante i malumori di Tabacci e Rutelli, è di questo periodo l’iniziativa di Bersani e Casini di discutere riguardo alla prospettiva di un’alleanza tra il Partito Democratico e l’Udc, che sarà già collaudata in occasione delle Regionali 2010 in Liguria, Basilicata, Marche e Piemonte. Sul Lazio, invece, il Pd subisce un’ulteriore abbandono: la numeraria dell’Opus Dei Paola Binetti, irritata dell’appoggio democratico a Emma Bonino, decide di lasciare il partito passando proprio all’Udc, che in questa regione si presenta alleato del centrodestra a sostegno di Renata Polverini. Anche la Federazione della Sinistra (composta da Prc e Pdci più altre piccole forze a sinistra del Pd) pare, almeno in principio, voler mantenere una trattativa elettorale con il Pd, che poi si realizzerà con un nulla di fatto sul piano nazionale e sparute alleanze in chiave locale. Da segnalare il caso pugliese. Il Partito Democratico ha chiesto a Nichi Vendola (che nel frattempo ha fondato Sel) di rinunciare ad una seconda candidatura. Vendola non accetta e dopo lunghe polemiche si opta ancora una volta per le primarie, al fine di selezionare chi sarà il nuovo candidato Presidente per il centrosinistra in Puglia. Il Pd presenta Francesco Boccia, riproponendo così lo stesso scontro elettorale già presentato cinque anni prima. Questa volta però la sconfitta per Boccia è schiacciante e prepara a Vendola una nuova ascesa che lo porterà per la seconda volta ai vertici della regione Puglia. Le proposte di alleanza con l’Udc si arenano subito dopo. Gianfranco Fini, infatti, ha appena lasciato la maggioranza di governo, lanciando un nuovo partito, Futuro e Libertà per l’Italia, e la proposta ad altre sigle d’area per rilanciare un


Terzo Polo. Tale proposta viene raccolta da Mpa, Api e Udc che tentano in tal modo di ricostituire una forza centrista. Il Pd è quindi “costretto” a guardare a sinistra, ricorrendo ad accordi con i vecchi alleati in occasione delle amministrative 2011, dove correrà quasi ovunque insieme a Idv e Sel. Nel frattempo si vanno ricucendo i rapporti anche con il Psi e i Verdi, soprattutto per la sintonia trovata in occasione dei referendum 2011 su nucleare, acqua pubblica e legittimo impedimento. Le nuove alleanze vengono sancite dalla “foto di Vasto”, quando in occasione della festa dell’Italia Dei Valori, Bersani lancia l’idea di un nuovo Ulivo che veda il Pd correre per le politiche 2013 insieme al partito di Di Pietro e a Sel di Nichi Vendola. L’8 novembre 2011, però, Berlusconi prende atto del venir meno della maggioranza e annuncia di conseguenza le proprie dimissioni da Presidente del Consiglio. Bersani si dice disponibile a venire incontro al Pdl, sostenendo un eventuale esecutivo di natura tecnica. Mario Monti, appena nominato senatore a vita, riceve così dal Presidente Napolitano l’incarico di formare un nuovo governo. Con il senno di poi, la mossa responsabile di Bersani si rivelerà disastrosa in quanto i risultati delle successive politiche 2013 metteranno poi in seria difficoltà il Partito Democratico, mentre nel novembre 2011 gran parte dei sondaggi lo danno vincente. Riguardo alla futura sconfitta del Pd, però, bisogna anche tenere in conto che nel periodo 2011-2013 emergeranno anche nuovi fattori esogeni, su tutti l’exploit di Grillo e lo scandalo Mps, di cui diremo più avanti. Torniamo al nostro novembre 2011. La maggioranza che sostiene il nuovo governo è formata inizialmente da tutti i partiti presenti in Parlamento ad eccezione della Lega Nord. L’Italia dei Valori sarà il primo movimento ad uscire dalla maggioranza quando, in dicembre, il governo Monti vara una


manovra economica giudicata iniqua da Di Pietro. A consolidarsi come voce politica del governo tecnico è quindi il triplice asse Pd-Pdl-Udc, ribattezzato ironicamente dalla stampa come “Abc”, acronimo dei nomi del segretario Pdl Alfano, del segretario Pd Bersani e del leader Udc Casini. Nel Pd il dibattito tra montiani e antimontiani, nonostante paia creare più volte squilibri, non darà mai particolare problemi, rivelando come l’armonia di partito venga sempre mantenuta nonostante la mancata unità interna su determinati temi dell’Agenda Monti. Sembra addirittura che si debba presto giungere ad un accordo per una riforma elettorale, oltre che a mantenere l’esecutivo Monti per tutta la durata naturale della legislatura. Nel 2012, mentre il Pd va delineando il nuovo schema di alleanze in vista delle politiche dell’anno successivo, ha luogo lo strappo con l’Italia dei Valori. In occasione delle regionali siciliane, infatti, il Partito Democratico ha stretto un accordo elettorale con l’Udc non gradito all’Idv, che sostiene invece i candidati della sinistra radicale (prima Claudio Fava, poi Giovanna Marano). Le elezioni siciliane, vinte dal candidato Pd-Udc Rosario Crocetta, vedono inoltre il primo vero successo elettorale del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che conquista il 14.88% dei voti (il 18.17% delle preferenze per il candidato Presidente Giancarlo Cancelleri).


7. Né falce né martello Già alle amministrative del 2007 Rifondazione Comunista vede scendere i propri consensi, con un calo del 2% circa. Anche il Pdci è in caduta, ma nel frattempo comincia a registrarsi il riavvicinamento del partito di Diliberto a Rifondazione, in un clima di distensione che mancava dai tempi precedenti alla scissione. I motivi vanno ricercati (anche) nella nascita di un nuovo partito alternativo al Pd: Sinistra Democratica di Fabio Mussi, fondato all’Eur il 5 maggio 2007. Sd non nasce però sotto una buona stella. L’ex sinistra Ds comincia subito a perdere pezzi. Il nuovo partito perde dapprima la componente vicina a Gavino Angius e Valdo Spini (che andranno di lì a poco a ricostituire il Partito Socialista con Nencini, Di Lello e Bobo Craxi) e poi dell’area vicina alla Cgil, Sinistra per il paese, che dopo l’incertezza iniziale finirà per rientrare nel Partito Democratico. Sotto iniziativa di Mussi vengono quindi convocati gli Stati Generali della Sinistra e degli Ecologisti, che riuniscono Sd, Rifondazione, Pdci e Verdi. Dopo diversi incontri, i quattro segretari illustrano entusiasti il nuovo progetto unitario, una coalizione dei partiti a sinistra del Pd: nasce La Sinistra – L’Arcobaleno, subito soprannominata “Cosa Rossa”. Non mancano nemmeno i contrasti con l’esecutivo, soprattutto in materia economica. Non finirà bene: il 24 gennaio 2008 Prodi cade al Senato per opera dell’Udeur. Rifondazione, Sd e Pdci si dicono favorevoli ad un governo istituzionale che modifichi la legge elettorale, ma il mandato esplorativo di Franco Marini si conclude con un nulla di fatto. Si va dunque a nuove elezioni, La Sinistra – L’Arcobaleno


tenta dapprima di intavolare un discorso d’alleanza con il Partito Democratico, ma poi opta per presentarsi fuori dallo schieramento di centrosinistra e in un’unica lista. La causa è, soprattutto, la mancanza di un accordo con Veltroni, che rifiuta categoricamente ogni proposta. Il Pd, poi, disattenderà la tanto declamata “vocazione maggioritaria” stringendo accordi d’alleanza con Italia dei Valori e Radicali. Il leader della Sinistra Arcobaleno, nonché candidato alla carica di Presidente del Consiglio, viene naturalmente individuato in Fausto Bertinotti. Le liste bloccate, invece, vedono la presenza del 45% di candidati del Prc, il 19% a testa di Verdi e Pdci ed il restante 17% riservato ai candidati di Sd. Il risultato atteso è dell’8% circa e la stila delle liste avviene tenendo conto di questo fattore. Un’altra questione spinosa è quella riguardante il simbolo. Per la prima volta la falce e martello viene messa completamente da parte, optando per un più pacifista arcobaleno, già presente in forme diverse sui contrassegni di Sd e Verdi. Non mancano remore da parte di Rifondazione e soprattutto del Pdci, che finiscono però per cedere in nome della rappresentatività comune dell’arcobaleno. Una delle principali scissioni da Rifondazione è Sinistra Critica di Turigliatto, che giocherà gran parte della campagna elettorale 2008 insistendo proprio sul “tradimento” (da parte di Rifondazione e Pdci) della causa comunista, confermato ovviamente dalla scelta di abbandonare la falce e martello. Imperniata soprattutto sui tormentoni portati avanti da Pd, Pdl e rispettivi alleati (voto utile e necessità di affermare il bipolarismo), la tornata elettorale 2008 si rileva come la più disastrosa nella storia della sinistra. La formazione guidata da Fausto Bertinotti ottiene un misero 3.08% alla Camera e il 3.21% al Senato. La soglia di sbarramento del 4% decreta così l’esclusione de La Sinistra – L’Arcobaleno dalla sedicesima


legislatura: i comunisti sono, per la prima volta nella storia repubblicana, fuori dal Parlamento. Risultati ancor più deludenti arrivano per le formazioni scissioniste Sinistra Critica, Per il Bene Comune, Partito Comunista dei Lavoratori e Partito di Alternativa Comunista, tutte ampiamente al di sotto del punto percentuale. Si noti come il Porcellum, che sarà poi dichiarato incostituzionale nel 2013, escluda dal Parlamento forze come la Cosa rossa o La Destra – Fiamma Tricolore di Storace-Santanché (2.43% Camera, 2.10% Senato), premiando invece un partito come il Movimento per le Autonomie di Raffaele Lombardo che, presentandosi in coalizione con Pdl e Lega, pur raggiungendo soltanto l’1.13% alla Camera e l’1.08% al Senato conquisti ben 8 deputati e 2 senatori. La sconfitta apre una serie di tensioni all’interno delle diverse componenti dell’Arcobaleno, che metteranno in discussione lo stesso progetto unitario, che viene così accantonato (sarà però fondata una piccola associazione che rivendica i valori unitari, Per la sinistra, che l’anno dopo farà da base di partenza per Sinistra e Libertà). Bertinotti e Franco Giordano decidono di abbandonare ogni incarico direttivo all’interno di Rifondazione. Nel Pdci, invece, Diliberto non si dimette, ma la corrente vicino a Katia Bellillo annuncia la fuoriuscita dal partito e la fondazione del movimento Unire la sinistra. Anche Rosario Crocetta lascia il Pdci e decide di aderire al Partito Democratico. Nicola Tranfaglia, invece, decide di abbandonare i Comunisti Italiani per avvicinarsi a Di Pietro e all’Idv. In Sinistra Democratica si assiste alle dimissioni del coordinatore nazionale Mussi (sostituito da Claudio Fava), che diventa però presidente del partito. Sd conferma di voler rimanere un partito “temporaneo”, che prepari ancora una volta una costituente della sinistra. A questa linea si oppone la corrente Socialismo 2000, facente capo a Cesare Salvi, che in


polemica con Claudio Fava abbandona il partito. Nei Verdi, infine, Pecoraro Scanio si dimette lasciando il posto al nuovo portavoce nazionale, Grazia Francescato. A commento del deludente risultato della sinistra radicale, l’ex premier Romano Prodi si toglie un sassolino dalla scarpa per i numerosi bastoni tra le ruote messigli a più riprese da Diliberto e Bertinotti. Commenterà infatti: “si dorme nel letto che ci si è preparato”. Rifondazione arriva così al suo settimo congresso nel luglio del 2008. I due candidati a segretario sono il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e l’ex Ministro della Solidarietà Sociale Paolo Ferrero. Lo scontro è duro e si acuisce soprattutto sul possibilismo vendoliano di ricostruire un’unità a sinistra senza disdegnare un eventuale confronto con il Pd. Ferrero, dal canto suo, è invece convinto della necessità di proseguire il progetto di Rifondazione senza alleanze fallimentari come quelle della Sinistra Arcobaleno. Partito in minoranza, sarà proprio lui ad ottenere la maggior parte dei voti dei delegati, vincendo di misura. Finisce l’epoca del bertinottismo di Rifondazione, ma il partito è destinato ad un nuovo strappo: nel gennaio 2009, complici numerose incomprensioni e lotte di potere, Nichi Vendola annuncia la scissione del suo Movimento per la Sinistra, portando con sé esponenti come Franco Giordano e Gennaro Migliore (e ottenendo la benedizione di Fausto Bertinotti). I tempi però stringono. Si va verso le europee e le amministrative del 2009 e l’area a sinistra del Pd appare più frammentata di quanto non si potesse credere soltanto un anno prima. Inoltre, la legge elettorale per il Parlamento Europeo è appena stata modificata e per accedere alla ripartizione dei seggi bisogna ottenere almeno il 4%. Per i piccoli partiti, quindi, l’alleanza non diventa soltanto una base programmatica bensì una necessità.


È così che, sulla scia di quanto accaduto ai tempi della Sinistra Arcobaleno, il Movimento per la Sinistra arriva ad un accordo con i Verdi, il rifondato Partito Socialista e Sinistra Democratica al fine di unirsi in un cartello elettorale che si presenti alle comunitarie. Partecipano al progetto anche Unire la Sinistra e il Nuovo Partito d’Azione (che ne uscirà però quasi immediatamente). Nonostante le pressioni del Ps di Di Lello e Nencini, i Radicali, entusiasti del progetto, rimangono fuori dalla lista per un veto di Vendola. Si discute anche sul nome del soggetto, volto a non lasciare la parola “Libertà” ad appannaggio della destra berlusconiana, tant’è che viene anche proposta la variante “Sinistra delle libertà”. Alla fine si opta per il nome definitivo: “Sinistra e Libertà”. Il simbolo è quello di un cerchio diviso in due metà (rossa e bianca con le scritte verdi), dove sotto al nome del cartello compaiono anche i loghi dei principali movimenti: la rosa socialista, il sole che ride dei Verdi e il baffo rosso-verde simbolo del gruppo parlamentare europeo Gue\Ngl del quale il Movimento per la Sinistra e Unire la Sinistra sono parte (ma anche il Pdci e Rifondazione). Nella lista per le europee Sl ospiterà poi anche Alessandro Bottoni del Partito Pirata. Sull’altro fronte, Rifondazione pare finalmente accettare definitivamente le offerte di collaborazione dei Comunisti Italiani, avviando con loro un dialogo, al fine di giungere ad un accordo per la presentazione delle liste. Si parla di presentazione di un simbolo condiviso che si riveda nei valori della Sinistra Unitaria Europea – Sinistra Verde Nordica, di una Costituente Comunista. Il Pcl di Ferrando rifiuta a priori ogni collaborazione, mentre, dopo un dialogo serrato, Sinistra Critica rifiuta di aderire per mancata discontinuità con il passato. I Consumatori Uniti invece, dopo l’iniziale appoggio, ritirano il proprio sostegno al progetto quando oramai il simbolo è stato già depositato. Partecipa alla Lista Anticapitalista anche il movimento Socialismo 2000, mentre il


Nuovo Partito D’Azione (dopo aver lasciato definitivamente Sl) decide di sostenere la lista dall’esterno. La dura campagna elettorale di Sl e LA si basa soprattutto sulla lotta per la conquista dell’elettorato di riferimento, che è in gran parte lo stesso. Sl accusa la Lista Anticapitalista di conservatorismo e stalinismo, Rifondazione e Pdci, di rimando, denigrano la scelta di Vendola di dialogare con le forze estranee all’area, in particolare il Ps, accusandolo di perseguire il subdolo fine di cancellare la sinistra dalla politica italiana. Al momento del voto nessuna delle due liste raggiunge il 4%. La Lista Anticapitalista ottiene il 3.39% dei consensi, mentre la nuova Sinistra e Libertà non raggiunge il milione di voti, fermandosi al 3.13%. Le due forze sono ancora una volta le prime escluse dal Parlamento Europeo, dietro alle formazioni già presenti in quello nazionale (Pd, Pdl, Udc, Idv e Lega Nord ma non il piccolo Mpa, che si è presentato in un fallimentare cartello insieme a La Destra, Pensionati e Alleanza di Centro, rimanendo a sua volta escluso). La Lista Anticapitalista, forte del simbolo storico e della rete territoriale di Rifondazione, si piazza quasi ovunque meglio di Sl, ad eccezione della circoscrizione Meridione, dove l’effetto Vendola è più forte. Al Sud, infatti, Sinistra e Libertà raccoglie ben il 5.19% (con punte talvolta superiori all’8% in Puglia), ma un buon risultato viene raggiunto anche dalla Lista Anticapitalista (4.06%). Ci ha riprovato anche il Pcl di Marco Ferrando, fermandosi allo 0.54%. Sinistra Critica invece, dopo aver rifiutato ogni collaborazione con la Federazione Della Sinistra, ha rinunciato a presentare le proprie liste. Il nuovo fallimento elettorale mette le forze politiche della sinistra alternativa al Partito Democratico di fronte a una nuova presa di coscienza. Non si può più contare sulle percentuali di una volta e, dunque, è necessario avviare un po’ ovunque


discorsi che mirino ad inserirsi in un sistema di alleanze, sia pure soltanto d’area. C’è inoltre anche da tener conto che in molte amministrazioni locali la collaborazione tra Rifondazione, Pdci, Sl, Verdi e Ps con il Partito Democratico e l’Idv non si è mai interrotta. Sia Ferrero in Rifondazione che Diliberto nei Comunisti Italiani presentano così le proprie dimissioni, in entrambi i casi respinte. È di questo momento la rottura, nel Pdci, tra Diliberto e Marco Rizzo, unico ad aver votato a favore della sfiducia del segretario. Rizzo viene accusato di non aver sostenuto la lista unitaria Prc-Pdci nella campagna per le europee, propagandando invece il voto a favore dell’Idv di Di Pietro, ma egli risponde accusando Diliberto di essere colluso con ambienti vicini alla vecchia P2 di Licio Gelli. La frattura diventa insanabile e Marco Rizzo viene espulso dal Pdci. Fonderà poi il movimento Comunisti – Sinistra Popolare, che abbandonerà le istanze dell’eurocomunismo apparentandosi con i partiti comunisti massimalisti di molti altri paesi, tra i quali Corea del Nord e Cuba. Nel frattempo, su entrambi i fronti, si decide di proseguire il discorso unitario. La Lista Anticapitalista avvia la fase costituente della Federazione della Sinistra, coordinando a livello nazionale l’operato di Pdci, Prc e Socialismo 2000, a cui si aggiunge l’Associazione 23 marzo “Lavoro-Solidarietà”. La Federazione della Sinistra apre anche un dialogo con l’Idv e il Pd in funzione anti-governo, ma sostiene fermamente di voler restare fuori dall’alleanza. Presenterà le proprie liste alle Regionali 2010, apparentandosi al Pd nella gran parte delle regioni, ponendosi talvolta al di fuori dagli schemi e altre insieme a Vendola o Verdi. Nella fase costituente, a rotazione, i leader delle tre componenti principali (Ferrero, Salvi e Diliberto) faranno da portavoce del neonato movimento. Un piccolo dissidio interno alla Federazione si avrà nel febbraio 2011: la corrente di Rifondazione denominata “L’Ernesto” (dal


nome della rivista d’area) lascia il Prc e aderisce al Pdci, più vicino alle proprie posizioni, nel quale si scioglie. Più complicata la questione in casa Sinistra e Libertà. Sd e MpS spingono per la creazione di un nuovo partito, mentre Ps e Verdi preferirebbero mantenere soltanto l’alleanza federativa. Il 19 settembre 2009 si convoca l’Assemblea Nazionale di Sinistra e Libertà, dove si pongono le basi per il partito che verrà. I Verdi, però, nel frattempo hanno eletto Angelo Bonelli (che ha battuto di misura Loredana De Petris) come nuovo Presidente. Bonelli sostiene l’autonomia del movimento ecologista e la sua elezione determina l’uscita immediata della Federazione dei Verdi da Sinistra e Libertà. De Petris, Francescato e Paolo Cento, però, fondando l’Associazione Ecologisti, preferiranno partecipare al progetto partitico di Nichi Vendola. Anche nel Partito Socialista (che ha intanto ripreso il nome storico di Psi) i malumori non mancano. La componente vicina a Bobo Craxi è contraria alla convergenza in Sl, e lascia il partito fondando i “Socialisti Uniti – Psi” (Craxi rientrerà poi nel 2010). Mentre nel movimento Sl si preme per costituire il partito, il Psi sembra schiacciare il freno. Su alcuni dettagli tecnici e sullo schema di alcune alleanze in vista delle Regionali 2010, la rottura finisce per consumarsi. Il Partito Socialista abbandona Sinistra e Libertà, diffidando il gruppo dal continuare ad utilizzare nome e simbolo. Diversamente da quanto avvenuto pochi mesi prima durante la rottura coi Verdi, il Psi non vedrà alcuna scissione da parte dei propri dissidenti interni (che pure non mancheranno), continuando unitariamente il proprio percorso politico. Si arriva così all’Assemblea fondativa di Sinistra Ecologia Libertà (tale denominazione era stata già approvata in settembre, insieme alla modifica del simbolo, ed è stata mantenuta nonostante le proteste del Psi). Nichi Vendola viene


eletto portavoce nazionale e verrà confermato segretario di partito durante il primo congresso, dal 22 al 24 ottobre 2010. Nel mezzo, le elezioni regionali, che vedono Sel spesso schierata accanto allo schieramento di centrosinistra. In alcuni casi (Calabria, Campania, Emilia Romagna, Veneto) non si è rotto l’apparentamento con i Socialisti o coi Verdi, presentando però contrassegni differenti rispetto a quello di Sinistra e Libertà. Alle amministrative del 2011 si ripete uno schema simile, nonostante il dominio del centrosinistra in tutta Italia. In particolare, a Milano viene eletto Giuliano Pisapia (di Sel ma sostenuto da tutto il centrosinistra, compresi Verdi e Fds) e a Napoli Luigi De Magistris (sostenuto da FdS e Idv). Il fronte unitario dei partiti di sinistra lo si rivede in occasione del referendum del giugno successivo, quando, in occasione delle consultazioni su acqua pubblica, legittimo impedimento e nucleare, Sel e Fds si schierano nette a favore dei 4 sì, poi risultati vincenti. Ulteriori avvicinamenti si hanno anche nella contrarietà all'operato dei governi di Berlusconi prima e Monti poi. Ma è a Vasto, sempre nel 2011, durante la festa dell’Idv, che Sel dà la sua svolta netta e si prepara ad entrare nel sistema di alleanze del centrosinistra. In una celeberrima foto che ritrae Vendola, Bersani e Di Pietro sottobraccio va determinandosi il nuovo schema di alleanze. In realtà, era da tempo che Vendola e Di Pietro sembravano marciare su fronti simili, ma una (seppur fredda) adesione del segretario del Pd Pierluigi Bersani era mancata. L’alleanza sarà confermata un po’ ovunque in occasione delle amministrative 2012, tranne in Sicilia, dove Sel, Verdi e FdS (in lista unica) più l’Idv, si presentano contro la coalizione formata da Pd e Udc a sostegno dell’ex Pdci Rosario Crocetta. Le forze della sinistra, ineditamente di nuovo insieme, sostengono dapprima Claudio Fava che, per un problema


burocratico, è costretto a rinunciare alla candidatura, cedendo il posto a Giovanna Marano (ex sindacalista della Fiom). Causa anche l’exploit del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo (e nonostante il 6.10% dei consensi) le liste a sostegno di Marano non ottengono seggi, rimanendo fuori anche dall’Assemblea regionale siciliana. Vendola, nel frattempo, ha dichiarato ufficialmente di volersi candidare alle primarie di coalizione del centrosinistra che si terranno nell’ottobre dello stesso 2012. L’alleanza con Antonio Di Pietro, però, si rompe, a causa di un avvicinamento del leader molisano alle posizioni di Beppe Grillo e una scissione del gruppo Idv vicino a Massimo Donadi. Ed è proprio sulle primarie della coalizione di centrosinistra (denominata “Italia. Bene Comune”) che la Federazione della Sinistra, oramai allo sbando, si sgretola. Diverse sezioni locali del Pdci, infatti, decidono di mobilitarsi per sostenere Nichi Vendola come leader di Ibc, mentre Rifondazione si oppone a qualsiasi collaborazione con il centrosinistra. Si vota il 25 novembre 2012, ma Vendola si ferma al 15.6%, dietro al sindaco di Firenze Matteo Renzi e al segretario Pd Bersani, che vanno al ballottaggio. Vendola decide di schierarsi (come gli ulteriori altri due candidati, Tabacci e Puppato) a favore di Pierluigi Bersani nel voto decisivo del 2 dicembre. Le sezioni Pdci che avevano scelto di appoggiare Vendola decidono di seguirlo anche sul sostegno a Bersani, che vince con il 60.9% dei consensi. Nel frattempo si delineano i tratti ultimi della coalizione elettorale, che sarà definitivamente formata da Partito Democratico, Sinistra Ecologia Libertà, Psi e Centro Democratico, oltre ad alcune liste regionali. La parte della sinistra esclusa da Ibc (Pdci, Verdi, il Movimento Arancione di De Magistris, le componenti di un’Idv allo sbando) lancia, su impulso dell’ex pm Antonio


Ingroia (leader di Azione Civile), il manifesto “Io ci sto”, che chiede una convergenza ed un’alleanza con il centrosinistra. Gli sguardi di Bersani, però, sono volti più ad un’eventuale collaborazione di governo con l’Udc e Monti piuttosto che con la sinistra radicale (anche Vendola accetterà poi questa posizione). Ingroia decide così di sviluppare autonomamente il progetto unitario, ottenendo anche l’adesione di Rifondazione, Verdi e altri movimenti d’area ambientalista (che stavano tentando di dar vita alla Costituente Ecologista) e del Nuovo Partito D’Azione: nasce Rivoluzione Civile. Sinistra Critica, ancora una volta, decide di non appoggiare il neonato movimento. Con la fine del governo Monti, le elezioni diventano imminenti e, in fretta e furia, Sel e il Pd si mobilitano per organizzare le primarie per stilare le liste dei parlamentari secondo un metodo democratico volto a superare il problema delle liste bloccate. Il 29 e 30 dicembre si tengono così anche le “parlamentarie” di collegio. Si vota a febbraio 2013, ancora con il Porcellum e lo sbarramento al 4%. Italia. Bene Comune è la coalizione maggioritaria, ma per Sel le cose non vanno nel migliore dei modi: soltanto il 3.20% alla Camera e il 2.98% al Senato (ma la soglia di sbarramento è superata per via della partecipazione alla coalizione). Rimane fuori dal Parlamento, invece, Rivoluzione Civile: 2.25% alla Camera e 1.80% al Senato. Il movimento di Ingroia, così, si scioglie e finirà per scomparire. Diliberto decide di dimettersi da segretario dei Comunisti Italiani dopo più di tredici anni. Anche la segreteria di Rifondazione presenta le proprie dimissioni, ma queste vengono respinte dal Comitato politico nazionale in attesa del nuovo congresso. I problemi, però, non mancano nemmeno in Italia. Bene Comune. Il sistema elettorale rende la maggioranza assoluta


alla Camera e quella relativa al Senato una non-vittoria. È impossibile un governo monocolore, ma anche un’alleanza di governo che prescinda dal centrosinistra. Inoltre, il centro dell’asse Monti-Udc non ha i numeri per creare una maggioranza: per formare un governo è dunque necessario un accordo con la coalizione di centrodestra (Berlusconi) o con il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. In questo clima, Sel vede una propria rappresentante, Laura Boldrini, eletta a Presidente della Camera dei Deputati. Al Senato, complice il voto di alcuni grillini, l’asse Sel-Pd elegge presidente l’ex magistrato Pietro Grasso. I primi problemi con il Pd arrivano al momento dell’elezione del Presidente della Repubblica. I dem sostengono Franco Marini, mentre Vendola si schiera a favore di Stefano Rodotà, proposto dal M5S. Dopo una convergenza al quarto scrutinio su Romano Prodi (che non viene eletto per via di 101 franchi tiratori), Sel torna a sostenere Rodotà, senza concordare sulla rielezione di Giorgio Napolitano (riconfermato grazie all’inedito accordo tra Pd e Pdl). Da qui sarà rottura definitiva. Sel chiede di procedere verso la ricerca di un’alleanza con il Movimento 5 Stelle, ma dopo il fallimento dell’incarico esplorativo a Bersani (che si vedrà sbattere le porte in faccia da Grillo) si prospetta la creazione di un governo Pd-Pdl. Questo puntualmente avviene, con la nomina di Enrico Letta (Pd), al quale Sel non accorderà la fiducia, passando ufficialmente all’opposizione. Prc e Pdci vanno intanto riorganizzandosi. Nel luglio del 2013, durante il VII Congresso dei Comunisti Italiani, Cesare Procaccini subentra ad Oliviero Diliberto con il 75% circa dei voti. Per Rifondazione Comunista, invece, bisognerà attendere il 2014 per vedere un nuovo segretario. Il IX congresso, tenutosi a Perugia nel novembre 2013, non riesce a decretare un vincitore, affidando la gestione del partito ad un comitato


politico che rispecchi le tre mozioni presentate. Nei primi giorni del nuovo anno, poi, il comitato ha riconfermato Paolo Ferrero, creando però nuovo scompiglio e malcontento all’interno del partito stesso. In ottobre, la Sinistra Europea aveva individuato nel greco Alexis Tsipras il proprio candidato alla presidenza dalla Commissione Europea in vista delle elezioni del 2014, ponendo le basi per un nuovo discorso unitario. In Italia, a lanciare l'appello per la Lista Tsipras sono poi, all'inizio del nuovo anno, alcune figure della cultura italiana, ossia Barbara Spinelli, Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Luciano Gallino, Marco Revelli e Guido Viale. Nuove prospettive si aprono nel mondo della sinistra italiana: Sel e Rifondazione potrebbero correre sotto un nuovo simbolo unitario, insieme ai residui di quella che fu Rivoluzione Civile e a qualche parlamentare espulso dal Movimento 5 Stelle. Viene inoltre lanciato un sito web a sostegno della lista, nel quale i sostenitori sono chiamati a scegliere il simbolo tra quattro bozzetti. Fa discutere la scelta di non includere la parola “sinistra” nel logo elettorale, esclusa in favore del nome Tsipras e del termine “Europa”. Il nome definitivo, votato da 7.637 persone, è “L'altra Europa / Con Tsipras”. Vendola, leader incontrastato di Sel, viene coinvolto in una serie di scandali. Già dal 2012 si era parlato di alcuni suoi abusi di ufficio nella nomina di un primario in una Asl di Bari (pratica archiviata perché il fatto non sussiste) e di peculato e falso in alcune transazioni finanziarie dell'ente da lui presieduto. Stavolta, nell'ambito delle indagini sull'Ilva di Taranto, il presidente pugliese viene accusato di concussione e pressioni al fine di evitare il rilevamento dei veleni prodotti dall'azienda. Questo non gli impedirà di essere rieletto a capo del partito nel secondo congresso di Sel (gennaio 2014). Al congresso, inoltre, i delegati si esprimono in favore del sostegno europeo a Tsipras, pur approvando l'ingresso del


partito nel Pse. Alcune spaccature però si notano, soprattutto in virtÚ della candidatura alla Commissione Europea di Martin Schulz (candidato del Pse), a cui alcuni deputati del partito vendoliano intendono comunque dare appoggio. Con le elezioni regionali sarde del febbraio 2014, il centrosinistra conquista l'isola (complice anche la mancata presentazione delle liste da parte del Movimento 5 Stelle). Vince Francesco Pigliaru, a capo di un'alleanza in vecchio stile, comprendendo Pd, Sel, Cd, Rifondazione e Pdci in lista unitaria, Idv e Verdi sotto lo stesso simbolo e altri partiti locali. Sel raggiunge il 5.18% eleggendo 4 consiglieri; la lista di PrcPdci denominata Sinistra Sarda raccoglie invece il 2.03% e 2 consiglieri.


8. Il partito di Renzi Il renzismo è il passo necessario a completare il processo unitario del Partito Democratico, la marcia in più sopravvenuta dal tempo in cui Romano Prodi aveva lanciato le prime idee di convergenza tra i progressisti. Matteo Renzi comincia il percorso che lo porterà a diventare segretario del Pd nel 2010. Già iscritto a Ppi prima e Margherita poi, ex Presidente della Provincia di Firenze e sindaco della città gigliata, lancia insieme a Giuseppe Civati, Michele Emiliano e Debora Serracchiani la “Carta di Firenze”. Nel corso di una manifestazione denominata Prossima fermata: Italia nasce il movimento dei rottamatori, ottenendo il consenso di alcuni parlamentari democratici. Renzi propone un rinnovo del Pd, al fine di allontanarlo dall’immagine di partito di quadri e d’apparato che lo contraddistingue. La sinistra che si autocommisera, dice in breve il messaggio della Leopolda, non serve, è cosa antica. Il nuovo Pd deve farsi capire e deve capire, incidendo positivamente sulla vita del paese. E, soprattutto, deve vincere le elezioni 2013. La figura di Renzi, nuovo emergente leader dell’area rottamatrice del Pd, viene tuttavia messa in discussione l’autunno seguente. Dividendo l’opinione pubblica, il sindaco si reca ad Arcore, nella residenza privata dell’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, per discutere questioni riguardanti Firenze. Nasce da qui una delle accuse che accompagneranno Renzi in tutto il suo percorso, ossia quella di essere un berlusconiano, di non essere di sinistra e di essere soltanto un arrivista. Renzi si difende dalle accuse ricordando che l’incontro tra il sindaco di una grande città e il Presidente del Consiglio non è nulla di così inusuale. Quanto alla sede,


invece, si giustifica dicendo che Arcore è stata scelta da Berlusconi. Sulla scia della crescente notorietà e guidato dal produttore e fondatore di Magnolia Giorgio Gori, il sindaco di Firenze raccoglie attenzione mediatica anche a fronte del proprio personale carisma, lanciando così l’idea di una nuova Leopolda, stavolta denominata Big Bang, nel 2011. Lo strappo nei confronti della classe dirigente del Pd diventa stavolta brusco. Renzi viene apertamente criticato da gran parte degli esponenti di primo piano dei dem, in particolare dall’area vicina al segretario Pierluigi Bersani. Il successo aumenta le possibilità di una futura candidatura di Renzi a guida di un movimento rinnovatore del Pd e nel 2012 l’esperienza Big Bang verrà replicata con il medesimo successo. Alle nuove primarie dell’ormai definita coalizione (Pd, Psi, Api, Sel) Renzi si candida ufficialmente in settembre. Per il Pd si presentano altri due candidati: il segretario Pierluigi Bersani e il consigliere regionale del Veneto Laura Puppato. Per Sel si presenta Nichi Vendola, mentre per l’Api si candida Bruno Tabacci. Tra gli altri candidati emersi e poi ritiratasi senza presentarsi ufficialmente: Giuseppe Civati, Stefano Boeri e Fulvio Abbate. Il Psi di Nencini non presenta invece propri esponenti e si schiera a sostegno di Bersani. Una delle maggiori discussioni della campagna per le primarie è quella riguardante il fatto che per poter votare occorre sottoscrivere un documento dove si dichiara il sostegno a Italia Bene Comune indipendentemente dal vincitore. Renzi, visto di buon occhio da molti ambienti vicini al centrodestra, critica la clausola, appoggiata invece dagli altri candidati, poiché inibirebbe gli elettori di altre aree politiche. Il sindaco di Firenze, sotto il nuovo slogan “Adesso!”, comincia un giro d’Italia in camper, tenendo comizi in tutte le principali città della penisola. Le federazioni locali del Partito Democratico,


invece, si schierano quasi in massa a favore di Bersani. Poco sostegno raccoglie Puppato. Vendola e Tabacci ottengono l’impegno delle rispettive sezioni territoriali di partito. Si vota per il primo turno il 25 novembre 2012. Le urne non decretano una vittoria netta. Bersani ha la maggioranza relativa (44.9%) e Renzi lo segue a ruota, distanziato di quasi dieci punti (35.5%). Seguono Vendola (15.6%), Puppato (2.6%) e Tabacci (1.4%). Durante la settimana successiva, tutti i tre candidati esclusi dal primo turno si schierano a favore di Pierluigi Bersani, isolando Renzi. Lo scontro tra i due si acuisce e punta sull’alleanza con l’Udc dopo il voto: Bersani si è più volte detto possibilista e vedrebbe la collaborazione con Casini come “nell’ordine delle cose”; Renzi, al contrario, esclude qualsiasi convergenza verso partiti diversi da quelli di Ibc. Ulteriore motivo di divisione si ha sulle regole del ballottaggio: Renzi chiede che possano votare tutti, anche coloro che non si sono recati alle urne al primo turno; Bersani, di rimando, respinge le primarie aperte, appellandosi alle regole prestabilite dalla coalizione e sottoscritte dallo stesso Renzi. La spunterà il segretario. Potranno votare al ballottaggio soltanto gli iscritti ai partiti e coloro che lo hanno già fatto il 25 novembre. Il 2 dicembre si tiene così il secondo turno di votazione. L’esito è scontato: Pierluigi Bersani guiderà la coalizione grazie al 60.9% delle preferenze. Matteo Renzi si ferma al restante 39.1%. Il rottamatore ribadisce così il suo incondizionato sostegno a Bersani in vista delle successive elezioni. Dopo alcuni giorni il governo Monti cade, dopo che Silvio Berlusconi ha ritirato il proprio partito dalla maggioranza di governo. Bersani si troverà di fronte a numerosi avversari. Oltre a Berlusconi (che in un’intervista a Radio 105 dichiara di essersi ripresentato in prima persona per la mancata vittoria di Renzi


alle primarie del centrosinistra) e Beppe Grillo, ci sono anche Mario Monti (alleato con Fini e Casini nella coalizione Con Monti per l’Italia e nel nuovo partito Scelta Civica), Antonio Ingroia e Oscar Giannino (in un movimento liberale denominato Fare per fermare il declino). Ulteriori problemi per Bersani sono causati dallo scandalo Monte dei Paschi di Siena. La banca, retta da una fondazione vicina al Pd, è coinvolta in diverse inchieste riguardanti speculazioni finanziarie e relativi disastri, problemi sull'acquisizione di Antonveneta, giri di tangenti, nonché aiuti ad hoc provenienti dal governo. Bersani prova a defilarsi addossando le colpe al management di Mps, ma la risonanza dello scandalo avrà irrimediabilmente i suoi effetti sul partito, soprattutto per via delle speculazioni in campagna elettorale ad opera del centrodestra e soprattutto del M5S. In fretta e furia, Sel e il Pd organizzano le primarie per i parlamentari. L’iniziativa era stata voluta nel corso del 2012 dai Giovani Democratici (organizzazione giovanile del Pd), che aveva anche promosso una raccolta firme, al fine di supplire alle liste bloccate previste dal Porcellum. Con le parlamentarie del Movimento 5 Stelle la questione si è riproposta e il Partito Democratico (di concerto con Sel) decide di indirle a sua volta per il 29 e 30 dicembre. Le regole sono le stesse del secondo turno: votano solo coloro che hanno già votato per le primarie e gli iscritti ai due partiti. In più, ogni elettore deve scegliere se votare i candidati parlamentari per Sel o per il Pd. Tabacci ha nel frattempo annunciato la fondazione di Centro Democratico, un nuovo partito nato dall’unione di alcuni fuoriusciti dall’Api con i dissidenti di Diritti e Libertà di Massimo Donadi (fuoriusciti dall’Idv di Di Pietro per via dell’avvicinarsi di questi a Grillo piuttosto che al Pd). Il Psi, inoltre, annuncia che presenterà le proprie liste solo in alcune circoscrizioni, mentre nelle altre i propri candidati si candideranno in quelle del Partito Democratico.


Le elezioni arrivano e con loro una situazione disastrosa che comporterà un nuovo stallo politico. Ibc ha preso il 29.55% alla Camera e il 31.6% al Senato. Il Partito Democratico (rispettivamente 25.42% e 27.43%) è il primo partito italiano grazie ai voti degli elettori all’estero. Considerando solo i voti della penisola viene invece superato dal Movimento 5 Stelle. La situazione è praticamente di parità. La coalizione di centro destra si è infatti attestata a sua volta intorno al 30%, mentre il M5S è circa al 24%. Grazie al premio di maggioranza Ibc ottiene 340 seggi alla Camera. Il problema è il Senato, dove Pd, Sel, Psi e Cd sono fermi a 113 eletti. Il cattivo risultato ottenuto anche dall’asse centrista Monti-Casini non permette un’alleanza in grado di sostenere un governo (Con Monti per l’Italia ha solo 18 senatori). Per il Pd è una non-vittoria e si rende necessario un governo di grandi intese, da fare necessariamente in alleanza con uno tra il Movimento 5 Stelle e la coalizione di centrodestra. Prima, però, ci sono le elezioni delle cariche istituzionali. Alla Camera viene eletta facilmente Laura Boldrini di Sel, mentre al Senato né Pd né Pdl presentano inizialmente un nome (il M5S individua invece Luis Alberto Orellana). Al terzo scrutinio emergono le candidature di Renato Schifani (Pdl) e Pietro Grasso (Pd). Quest’ultimo risulta eletto alla quarta votazione, grazie probabilmente ai voti di alcuni senatori del M5S. Bersani, che ha nel frattempo ricevuto l’incarico di formare un nuovo governo, chiede ai pentastellati di accordarsi per un governo di scopo, basato su otto punti cari al M5S: legge elettorale; taglio dei costi della politica e riduzione del numero dei parlamentari; conflitto di interessi; nuova legge anticorruzione; riduzione delle spese militari; rimborso dei crediti vantati dalle aziende nei confronti dello Stato; esenzione Imu per la prima casa fino a 500 euro; interventi urgenti per


l’occupazione e la crescita. Grillo risponde di non voler accordare nessuna fiducia, semmai di ribadire il “modello Sicilia”, ossia voto su ogni questione presentata, senza appoggio incondizionato all’esecutivo. Si prospetta, tra l’altro, l’ipotesi di un governo di minoranza, ma dopo un incontro con i capigruppo del M5S Vito Crimi e Roberta Lombardi tutto sembra naufragare. Bersani rimette così l’incarico nelle mani di Napolitano. Si arriva intanto all’elezione del Presidente della Repubblica. I grillini presentano Stefano Rodotà (ex Pci e Pds), mentre i dem parlano di Franco Marini (si è fatto inizialmente il nome anche di Anna Finocchiaro). Si oppone alla scelta Sel, che sostiene Rodotà. Forti dubbi su Marini sono mossi anche dai renziani, che sebbene orientati a votare per Romano Prodi finiranno per accordare le proprie preferenze all’ex Presidente del Senato. Al quarto scrutinio, però, pare fattibile l’elezione, appunto, di Romano Prodi che sarà affossato da 101 franchi tiratori (identificati da alcuni nell’area dalemiana, da altri proprio nei renziani). È al sesto scrutinio che succede l’inaspettato: Berlusconi strappa un accordo al Pd sulla rielezione di Giorgio Napolitano, la prima nella storia repubblicana. È questo l’inizio delle larghe intese tra Pd e Pdl. Bersani, contestualmente, si dimette da segretario insieme a tutta la segreteria nazionale per il fallimento nella tentata elezione di Marini e Prodi. Oramai è chiaro che per governare sia necessaria un’alleanza con il centrodestra, ed è così che Napolitano, il 24 aprile 2013 affida l’incarico di formare un governo di larghe intese ad Enrico Letta (si era parlato, tra gli altri, di Amato, Marini e Renzi). Il Pd cede così alle avance di Berlusconi. Letta propone un governo bi-partizan, nel quale i dem sono presenti con 9 ministri (Zanonato, Orlando, Carrozza, Bray, Franceschini, Delrio, Trigilia, Idem, Kyenge). Fanno parte della maggioranza


il Pdl di Berlusconi-Alfano (quest'ultimo nominato vicepremier), l’Udc di Casini e Scelta Civica di Monti, Centro Democratico, Psi e altri piccoli partiti. Restano all’opposizione Lega Nord, Fratelli d’Italia, Movimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà. Si oppongono alla formazione dell’esecutivo, in principio, i piddini Giuseppe Civati e Laura Puppato. Fabrizio Barca (ex Ministro per la Coesione territoriale del governo Monti), frattanto, ha lanciato una carta di intenti volta a chiedere un partito capace di governare l’Italia. Intorno a Barca sembra raccogliersi tutta la parte sinistra del Pd, mentre quella centrista e liberale pare fare a sua volta capannello intorno a Renzi, che sta acquistando quotazioni anche negli exostili quadri. Si paventano ipotesi di scissione, poi rientrate. L’assemblea nazionale del Pd elegge invece a segretario Guglielmo Epifani, ex segretario generale della Cgil, con l’85.8% dei consensi (unico candidato). Marco Follini ha intanto lasciato il Pd. non riconoscendosi nella vocazione del partito verso la tradizione socialista europea. Il governo vede minato il suo cammino dopo solo due mesi, quando l’ex canoista Josefa Idem, Ministro per le Pari Opportunità, lo Sport e le Politiche Giovanili, si dimette per via di uno scandalo dovuto ad una presunta evasione fiscale di Ici e Imu. Altre controversie hanno al centro la ministra di colore Cécile Kyenge, netta sostenitrice di una legge che introduca lo ius soli. La Kyenge viene definita un orango da Roberto Calderoli (Lega Nord) e largamente contestata dagli ambienti delle minoranze. Inoltre, a causa della vicenda Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Ablyazov rimpatriata a causa di un passaporto ritenuto falso, vengono chieste le dimissioni del Ministro degli Interni Alfano dalle opposizioni e dalle componenti Pd vicine a Renzi e alla sinistra. Una prima crisi di governo, intanto, arriva con il rifiuto da


parte di Enrico Letta di posticipare l’aumento dell’Iva dal 21% al 22%. I ministri del Pdl si dimettono su impulso di Silvio Berlusconi, per poi ritrattare e formare gruppi parlamentari autonomi. La spaccatura è nel Popolo della Libertà, falchi e colombe si dividono sul fatto di continuare a sostenere il governo o passare all’opposizione. Tutto si definirà poco prima del voto sulla decadenza di Berlusconi da senatore, il 27 novembre 2013. Anche Matteo Renzi prende posizioni contro il governo e le proposte di indulto o amnistia. Alfano e gli altri quattro ministri Pdl insieme ad alcuni parlamentari formano il Nuovo Centrodestra, che rimane a sostenere l’esecutivo. Berlusconi annuncia la rifondazione di Forza Italia e l’uscita dalla maggioranza parlamentare insieme a gran parte dei suoi parlamentari. Il governo, però, regge. Subito dopo l’ex premier decade da senatore con il voto favorevole e decisivo degli ormai ex alleati di governo del Pd, uscendo dal Parlamento. Nello stesso periodo arriva anche una sentenza della Corte Costituzionale: il Porcellum è dichiarato contrario ai principi della legge fondamentale. Ad essere giudicate incostituzionali sono le liste bloccate lunghe e il premio di maggioranza alla formazione politica che prende relativamente più voti. Diventa così necessaria una più volte annunciata ma mai realizzata riforma del sistema elettorale, messa ormai al centro del dibattito politico. È in questo clima che si arriva alle elezioni primarie per la scelta del nuovo segretario del Partito Democratico, l’8 dicembre 2013. I quattro candidati sono Matteo Renzi (sostenuto da Delrio, Emiliano, Fassino, Parisi e Franceschini), Gianni Cuperlo (appoggiato dall’area vicina a D’Alema e Bersani), Giuseppe Civati e Gianni Pittella. I congressi delle sezioni di partito segneranno la vittoria di Renzi (45.3%), seguito da Cuperlo (39.4%), Civati (9.4%) e Pittella (5.8%). Quest’ultimo viene dunque escluso dalle primarie, per le quali si schiererà a favore di Renzi. Le primarie, stavolta, sono


aperte: tutti possono partecipare al voto, senza differenze. Tutti i candidati, inoltre, si esprimono a favore dell'ingresso definitivo del Partito Democratico nel Pse, mettendo così fine ad un dibattito che attanagliava la formazione politica sin dalla sua nascita. L’8 dicembre 2013, così, la partita del sindaco di Firenze è infine vinta: con il 67.55% dei consensi Matteo Renzi diventa il nuovo segretario del Partito Democratico. Cuperlo si ferma al 18.21%, Civati al 14.24%. È il primo passo oltre le compagini costituenti il Pd: Renzi è un “alieno” che mira a dare al partito una unità interna, superando le divisioni tra post-comunisti e post-democristiani, al di là dell’autoconservazione di un gruppo dirigente rimasto quasi immutato a partire dal 1991. Il partito prende un nuovo stampo, e Renzi si avvia a condurre, come recita il titolo di un e-book pubblicato a caldo da Mario Lavia e Fabrizio Rondolino, un “viaggio al termine del Pci”.


9. Il governo del Rottamatore Dopo le primarie, l'assemblea nazionale del Partito Democratico elegge il proprio nuovo Presidente. Lo stesso Renzi annuncia la candidatura di Gianni Cuperlo, che accetta la proposta (non senza titubanze) ed assume così la carica. Ma il partito è ormai in mano al sindaco di Firenze. Renzi provoca polemicamente il vice-Ministro dell'economia Stefano Fassina. Rispondendo ad un giornalista che gli pone una domanda proprio su quest'ultimo, Renzi esordisce con uno scherzoso ma provocatorio “Chi?”. Fassina si dimette per ragioni che dirà essere una “questione politica” dovuta ai contrasti con la nuova segreteria. Intanto si apre il dibattito sulla legge elettorale e le riforme istituzionali. Renzi chiede che il Porcellum sia modificato in modo da ottenere un sistema decisionista che possa dare certezze riguardo al governo. Dopo aver fatto le sue proposte, il segretario decide di incontrarsi a riguardo con Silvio Berlusconi. L'incontro si tiene il 18 gennaio 2014 nella sede del Partito Democratico al Nazareno, e causa notevoli polemiche dovute all'apertura di un dialogo con il leader di Forza Italia dopo la sua decadenza da senatore. Renzi e Berlusconi arrivano all'accordo Italicum: voto con il sistema spagnolo (collegi piccoli, liste corte e bloccate, alta soglia di sbarramento, premio di maggioranza al raggiungimento di determinate soglie altrimenti ballottaggio) e trasformazione del Senato in una camera delle autonomie locali con potere legislativo ma non di fiducia nei confronti del governo (superamento del bicameralismo perfetto). In contrasto con la linea del segretario, Cuperlo si dimette da presidente del Pd lamentando attacchi personali da parte dello stesso Renzi. Sulla legge


elettorale si avranno altri malumori all'interno della stessa maggioranza, soprattutto da parte del Nuovo Centrodestra di Alfano e dei partiti centristi, che chiedono l'introduzione delle preferenze. Inoltre, Casini sembra deciso a riportare l'Udc nell'orbita del centrodestra, mentre pare prospettarsi un'alleanza tra Centro Democratico e Scelta Civica in accordo col Pd. Il governo di Enrico Letta è ancora nell'occhio del ciclone. Nell'ambito di un'inchiesta sull'Asl di Benevento, Nunzia De Girolamo, Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali appartenente a Ncd, è al centro di una serie di polemiche riguardanti alcune sue presunte influenze nella gestione sanitaria sannita. Il 26 gennaio 2014 De Girolamo si dimette (a chiederne le dimissioni era stato il Movimento 5 Stelle ma anche alcuni esponenti della stessa maggioranza di governo, tra cui il deputato beneventano del Pd Umberto Del Basso De Caro). Ma è dal principio di febbraio che il governo viene messo in discussione dal suo interno. Le indiscrezioni parlano sia di rimpasto che, addirittura, di sostituzione del premier Letta con Matteo Renzi. Questi inizialmente glissa, poi dichiara di non voler sostituire il Presidente del Consiglio. Tutto precipita durante la direzione Pd del 13 febbraio. Renzi propone il voto di sfiducia nei confronti del governo, Letta ne prende atto e decide pertanto di dimettersi. Subito dopo il Parlamento approva l'abolizione graduale del finanziamento pubblico ai partiti entro il 2017, quando sarà sostituito da donazioni volontarie dei cittadini (2 per mille) e accompagnato dall'obbligo della certificazione esterna nei bilanci delle formazioni politiche stesse. A votare a favore c'è anche Forza Italia, aprendo nuovi spiragli di distensione nei confronti del Pd e di Ncd. In seguito alle dimissioni di Enrico Letta, Napolitano avvia le consultazioni per verificare la fattibilità del governo Renzi.


Da queste emerge la volontà non scontata della stessa maggioranza dell'esecutivo uscente, con aperture da parte di frangenti di Forza Italia nonché da Sel. Vendola è possibilista ma si dice contrario a qualsiasi alleanza con il Nuovo Centrodestra. Alfano, a sua volta, dichiara di non volere spostamenti a sinistra dell'asse di governo. Berlusconi esprime invece la sua fiducia nell'operato di Renzi, dichiarando di voler mantenere fede agli accordi sull'Italicum. Il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord decidono di non partecipare alle consultazioni presidenziali, motivando il rifiuto con il fatto che, secondo loro, tutto sia già stato deciso. Le opposizioni danno intanto battaglia al probabile nascente esecutivo, insistendo sul fatto che sia il terzo governo di seguito non nato dalla volontà popolare. Sul web impazza il toto-ministri. Con uno scherzo telefonico, un imitatore di Nichi Vendola de La Zanzara, trasmissione di Radio24, chiama Fabrizio Barca fingendosi il leader di Sel. L'ex Ministro, beffato, gli rivela di aver rifiutato l'offerta di Carlo De Benedetti (presidente del Gruppo Editoriale L'Espresso) di occupare il posto alle Finanze nel nuovo governo. La dichiarazione provocherà nuove polemiche da parte di Sel, M5S, Lega e Forza Italia, che accuseranno Renzi di essere manovrato dalle lobby economiche. Renzi riceve l'incarico di formare il nuovo governo il 17 febbraio, cominciando a sua volta le consultazioni. Grillo è ancora orientato a non partecipare, ma a decidere è il blog: dopo un referendum sul web il popolo degli iscritti pentastellati gli chiede di presentarsi all'incontro. All'incontro, trasmesso in diretta streaming, Renzi prova ad esprimere a Grillo il proprio programma di governo. Il comico genovese non gli permette di parlare e, dopo un monologo che non lascia spazi d'intervento al Presidente incaricato, lascia polemicamente la sala. Renzi dapprima ironizza, poi si dice dispiaciuto per l'atteggiamento disfattista del M5S. Ma anche all'interno del partito le cose non


sembrano andare per il meglio: Pippo Civati, infatti, dichiara di essere orientato a non votare la fiducia al nascente esecutivo e ad abbandonare il Pd. La maggioranza, intanto, pare confermata: sarà quella basata sull'asse Pd-Ncd, comprendente anche i centristi. Renzi presenta la nuova squadra il 22 febbraio. Dopo un tira e molla, il Ncd vede confermati 3 ministri (Lupi alle Infrastrutture, Lorenzin alla Salute e soprattutto Alfano al Viminale, al quale Renzi ha però chiesto di rinunciare però all'incarico di vicepremier). Il Partito Democratico partecipa con Federica Mogherini alla Farnesina, Andrea Orlando alla Giustizia, Roberta Pinotti alla Difesa, Maurizio Martina alle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Franceschini alla Cultura, Maria Elena Boschi alle Riforme Costituzionali e Rapporti con il Parlamento, Marianna Madia alla Semplificazione e Pubblica Amministrazione, Maria Carmela Lanzetta agli Affari Regionali. Gli altri ministeri vengono ripartiti tra Scelta Civica, l'Udc e tre tecnici (tra cui anche Federica Guidi, imprenditrice ritenuta vicina a Berlusconi). Renzi, con i suoi 39 anni, è il più giovane Presidente del Consiglio della storia repubblicana e con lui lo è anche il suo esecutivo (per il 50% composto da donne). Sotto la gestione Renzi, il Pd chiede al Pse di aderire come “full member” al partito europeo, sostenendo la candidatura del Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz nella corsa per la presidenza della Commissione. Sulla fiducia, Pippo Civati (insieme a un piccolo gruppo di dissidenti Pd) appare dapprima orientato a non votarla (era già successo per Letta). Poi, dopo aver consultato gli elettori dal proprio blog (riprendendo il modus operandi del M5S), ed aver convocato i parlamentari a lui vicini, opta per accordarla in maniera condizionata. Dopo aver conferito alle camere, il 24 e 25 febbraio, il


Governo Renzi ottiene la fiducia del Parlamento, accordata da Pd, Ncd, Psi, Cd, Popolari per l'Italia, Scelta Civica e altre formazioni minori.


10. Alla fine della storia Termina così questo e-book, una carrellata sulla storia della sinistra italiana, come più volte rimarcato, dalla svolta di Occhetto fino a quella di Renzi. Non è una storia completa, in quanto nessuno può ancora dire fin dove Matteo Renzi condurrà i dem (e il governo italiano) e quali evoluzioni toccheranno al Pd e al resto delle formazioni che si richiamano alla sinistra e alla sua storia. Pertanto, volutamente, ci siamo fermati a ieri, a quando un Renzi che aveva appena preso in mano le redini del partito si è installato a Palazzo Chigi sfrattando indelicatamente Enrico Letta, sconvolgendo anche gli equilibri interni allo stesso Pd. Verranno le elezioni europee e poi le politiche e tanti nuovi governi. La situazione cristallizzata alla fine del 2013 sembra già antica e destinata a mutevoli evoluzioni. Partito Democratico, Sel, Pdci, Rifondazione seguiranno nuovi percorsi, nuove strade, di cui avremo sicuramente modo di parlare ancora su Caffè News. Per ora ci fermiamo qui, dopo aver raccontato quello che è stato. Abbiamo tentato di vestirci più da “storici” (la definizione è da prendere con le dovute pinze) che da cronisti. Un ringraziamento va a tutti coloro che hanno seguito la rubrica in due mesi che sembrano volati via di colpo. Vi lasciamo con la promessa di rivederci presto e raccogliendo in questo e-book tutte le puntate di “Vengo dopo il Pci”, più una (il nono capitolo) dedicata al governo Renzi. Questa invece, l’ultima, è intitolata “Alla fine della storia” in maniera provocatoria, in quanto la storia (specie politica) può essere ciclica ma di sicuro non volge mai al termine. Sarà così anche


per le forze che, in un modo o nell’altro, hanno ereditato qualcosa dal Partito Comunista Italiano, pur cambiando, rivoluzionandosi e distanziandosene notevolmente.


Appendice 1. Risultati elettorali Tabella 1 – Pci, Pds, Progressisti, Ds, L'Ulivo, Pd Elezioni

Lista

Percentuali Camera

Politiche 1987

Partito Comunista Italiano

26.58% Senato

28.33% Europee 1989

Partito Comunista Italiano

27.58%

Partito Democratico della Sinistra

16.11%

Camera

Politiche 1992

Senato

17.05% Europee 1994

Partito Democratico della Sinistra Progressisti

Politiche 1994

Partito Democratico della Sinistra Progressisti L'Ulivo

Politiche 1996

Partito Democratico della Sinistra L'Ulivo

Europee 1999

Democratici di Sinistra L'Ulivo

Politiche 2001

Democratici di Sinistra L'Ulivo

19.06% Camera (uninominale)

32.81% Camera (proporzionale)

20.36% Senato

32.90% Camera (uninominale)

42.20% Camera (proporzionale)

21.06% Senato

39.91% 17.34% Camera (uninominale)

43.73% Camera (proporzionale)

16.57% Senato

38.70%


Elezioni

Lista

Percentuali

Europee 2004

Uniti nell'Ulivo

31.08%

L'Ulivo

31.27%

Democratici di Sinistra

17.50%

Politiche 2006

Camera Senato Camera

Politiche 2008

Partito Democratico

33.18% Senato

33.69% Europee 2009

Partito Democratico

26.12% Camera

Politiche 2013

Partito Democratico

25.43% Senato

27.44%

Tabella 2 – Rifondazione, Pdci, Sel Elezioni

Lista

Percentuali Camera

Politiche 1992

Rifondazione Comunista

5.62% Senato

6.52% Europee 1994

Rifondazione Comunista

Politiche 1994

Rifondazione Comunista

6.08% Camera

6.05% Camera

Politiche 1996

Progressisti

2.62% Senato

2.87% Europee 1999

Rifondazione Comunista

4.27%

Comunisti Italiani

2.00%


Elezioni

Lista

Percentuali Camera (proporzionale)

Rifondazione Comunista

Politiche 2001

Senato

5.04% Comunisti Italiani

Europee 2004

5.03%

Camera (proporzionale)

1.67%

Rifondazione Comunista

6.06%

Comunisti Italiani

2.42% Camera

Rifondazione Comunista

5.84% Senato

7.37%

Politiche 2006 Comunisti Italiani Insieme con l'Unione

Camera

2.32% Senato

4.17% Camera

Politiche 2008

La Sinistra - L'Arcobaleno

3.08% Senato

3.21% Europee 2009

Federazione della Sinistra

3.39%

Sinistra e libertĂ

3.13% Camera

Rivoluzione Civile

2.25% Senato

1.80%

Politiche 2013

Camera

Sinistra Ecologia LibertĂ

3.20% Senato

2.98% Nota: Sono qui riportati i soli risultati elettorali dei partiti e delle liste che abbiano raggiunto il punto percentuale almeno in un'occasione.


Appendice 2. I simboli

Partito Comunista Italiano

Partito Democratico della Sinistra (1991-1998) Ai piedi della quercia, nuovo simbolo del rinnovato partito, permane il logo storico del Partico Comunista Italiano.

Democrazia Proletaria

Partito Democratico Democratici di della Sinistra Sinistra (Politiche 1996) (1998-2004) Il logo del Pci rimane, Il logo del Pci sebbene rimpicciolito. scompare del tutto. Nell'emiciclo verde Viene sostituito dalla compare la scritta rosa rossa, simbolo del “Sinistra Europea”, socialismo europeo e simbolo dell'adesione già apparsa sulle tessere del partito agli ideali del Pds negli anni 1997 del socialismo europeo. e 1998, e dalla sigla P. S. E. ← Democratici di Sinistra (2005-2007) La scritta P. S. E. viene estesa e sostituita da “Partito del Socialismo Europeo”. Questo simbolo compare per la prima volta alle elezioni regionali e amministrative del 2005.


Movimento per la Rifondazione Rifondazione Rifondazione Comunista Comunista Comunista (1999-2004) (1992-1999) (1991) Opportunamente Il primo simbolo del Una falce e un martello partito viene scelto in modificato al fine di stilizzati, a confermare non creare confusione modo da mantenere la volontà di mantenere quanto più possibile i con il neonato Pdci, il la continuità con il nuovo simbolo perde i riferimenti al Pci. La passato comunista, che bordini neri del bandiera non è più insieme formano la sventolante, ma assume tricolore ma inserisce la “R”, iniziale di scritta “Rifondazione”. la nuova forma “Rifondazione”. romboide e colora di rosso l'asta (ora obliqua). Il tricolore diventa un nastro disposto a semicerchio.

2004-2008

2006

2008-attuale

Rifondazione Comunista – Sinistra Europea Con la creazione della Sinistra Europea si rende necessario l'aggiornamento del simbolo che subisce diverse elaborazioni grafiche e ridimensionamenti volti ancora a distinguersi nettamente dal Pdci, fino ad arrivare al simbolo attuale, che inverte le posizioni di “Rifondazione” (ingradita e posta in alto) e “Partito Comunista” (spostata sotto la bandiera).


Comunisti Italiani 1998-2001 2001-2004 (1998) Comunisti Italiani Il primo simbolo Dopo il ricorso di Rifondazione, il contrassegno riprende del Pdci si dota in un primo momento di sfondo completamente quello blu e poi, definitivamente, azzurro, eliminando le originale del Pci, grazie dal nome del partito. disegnato da Guttuso, ad eccezione dell'asta, che viene eliminata su richiesta dei Ds (ai quali il simbolo ancora apparteneva).

Comunisti Italiani Comunisti Italiani Insieme con l'Unione (2004) (2004-attuale) (2006) Con modifica statutaria, Resosi conto Presentato al Senato nel in vista delle europee dell'illeggibilità dei 2006, è il simbolo del 2004, viene aggiunta la precedenti colori sulle cartello elettorale con scritta “Per la sinistra” schede elettorali, il Verdi e Consumatori al di sopra del simbolo partito opta per un Uniti. Riprende i originale. restyling: da fine 2004 simboli dei tre partiti e il colore azzurro viene l'arcobaleno, già logo schiarito e le scritte, della coalizione guidata che recuperano le da Romano Prodi. grazie del simbolo originale, diventano blu.


Progressisti (1994-1996) Primo simbolo della coalizione di centrosinistra, presentato in occasione delle politiche 1994 e ripreso talvolta durante le Regionali 1995 e, in alcuni collegi, alle politiche del 1996.

L'Ulivo L'Ulivo (1996) (2001) Nasce L'Ulivo, che vince Politiche 2001: Francesco le elezioni. Il ramoscello e Rutelli è il candidato l'apostrofo rosso premier e il suo nome rimarranno invariati nel compare sotto il corso degli anni. ramoscello d'ulivo. Nell'emiciclo inferiore la Cambia anche lo slogan: scritta “Alleanza per il “Insieme per l'Italia”. governo”.

L'Ulivo (regionali 2000-2001) Diverse elaborazioni grafiche del simbolo de L'Ulivo in alcune Regioni al voto tra il 2000 e il 2001. Nelle Marche, accanto al ramoscello, permane ancora la striscia tricolore dell'alleanza dei Progressisti.


Uniti nell'Ulivo Uniti nell'Ulivo L'Ulivo (2004) (2005) (2006-2007) Lista unitaria di Ds, Simbolo base, Simbolo unitario di Ds Margherita, Sdi e Mre. presentato in diverse e Margherita in Presentata in occasione varianti alle Regionali e occasione delle delle europee 2004. Amministrative del politiche 2006. 2005.

Partito Democratico Partito Democratico (2007-attuale) (2008) Simbolo ufficiale del Simbolo presentato alle Pd, disegnato da Nicola politiche del 2008. Storto. Riprende il Sotto il logo compare il simbolo del rametto nome del candidato d'ulivo. I colori verde, Presidente del bianco e rosso Consiglio Walter L'Unione (2005-2006) riprendono la bandiera Veltroni. italiana e le tre anime Simbolo dell'arcobaleno, logo della coalizione del nuovo guidata da Romano Prodi. In versione nazionale centrosinistra. (in alto) e della circoscrizione Estero (in basso). Da L'Ulivo mutua il font (ora verde) e l'apostrofo rosso.


La Sinistra – L'Arcobaleno Sinistra Democratica (2008) (2007-2009) Simbolo della Loghi della Sinistra Democratica di Fabio Mussi. coalizione di Prc, Pdci, È ripreso l'elemento dell'arcobaleno, nonché il Sd e Verdi guidata da riferimento al Pse. Fausto Bertinotti.

Sinistra e Libertà (2009) Cartello elettorale rosso-verde. Presenta un doppio baffo rossoverde, la rosa rossa socialista e il logo dei Verdi.

Sinistra e Libertà (2009) Simbolo del progetto dopo l'abbandono dei Verdi.

Sinistra e Libertà (2009) Simbolo del progetto dopo l'abbandono del Partito Socialista.

2009-2010

2009-2013

2010-attuale

Sinistra Ecologia Libertà Diverse versioni del nuovo logo del partito dopo la diffida a utilizzare il nome “Sinistra e Libertà”, di proprietà del Psi.


Sel – Psi (2010) Elaborazioni grafiche del logo Sel nelle elezioni locali, laddove si è continuata la collaborazione con il Psi.

Lista Anticapitalista (2009) Lista unitaria di Rifondazione, Pdci, Socialismo 2000 e Consumatori Uniti, presentata alle elezioni europee del 2009. Il simbolo è calcato sulla base di quello di Rifondazione. La bandiera romboide perde l'asta ma, come nel simbolo del Pci, sovrasta il tricolore italiano. Di conseguenza il nastro perde il verde e diventa totalmente rosso.

Veneto

2009

2009

2010 - Provvisorio

2009

2010 - 2012

Campania Federazione della Sinistra Insieme di loghi della Fds, a partire dal post-elezioni europee, passando per la defezione dei Consumatori Uniti fino alla realizzazione della Federazione.

Rivoluzione Civile (2013) Simbolo della lista unitaria Rivoluzione Civile (politiche 2013), che unisce Prc, Pdci, Azione Civile, Verdi, Idv e Movimento Arancione. Il simbolo riprende quello di Azione Civile di Antonio Ingroia, scomodando il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, riprodotto in versione stilizzata.


Cobas per 2006-2008 Comunisti Unitari l'autorganizzazione (1995-1998) (1996-1999) Primo esempio di associazione tra il blu e Simbolo che riprende il pugno chiuso, un gesto la falce e martello. di lotta carico di Anche il tricolore viene significati per gran mantenuto ma, per parte della sinistra evitare ricuse da parte 2009-attuale italiana. Il movimento del Prc, volutamente conquista pochissimi Partito di Alternativa elaborato. Questo simbolo non è consensi e farà perdere Comunista definitivamente le mai stato presentato Da notare la falce e proprie tracce alle elezioni politiche, martello secondo l'uso all'interno in quanto i suoi trozkista. Nel primo dell'omonimo gruppo permane ancora il nome rappresentanti sono sindacale. stati ospitati nelle liste della corrente “Progetto del Pds. Comunista”.

2006

2006 – attuale

Per il bene comune (2007-attuale) Partito Comunista dei Lavoratori Contrassegno elettorale Raccogliendo trozkisti e sindacalisti contrari al del movimento di governo Prodi, questi simboli sono quelli Fernando Rossi, lanciato da Marco Ferrando non appena uscito da riprende i colori Rifondazione. Riprende dapprima l' “unghia” dell'arcobaleno, ormai rossa già presente nel Prc, sovrapponendo la simbolo della sinistra falce e martello al globo mondiale (già presente radicale. in Dp). Nella versione definitiva l'unghia viene eliminata e le scritte passano dal rosso al nero.


Solidarietà Internazionalista (2013-attuale) Sinistra Secondo movimento Sinistra Critica Anticapitalista nato da Sinistra Critica. (2007-2013) (2013-attuale) Riprende la figura Nato sulla polemica dell'omino-stella già dell'abbandono di falce Movimento nato dallo presente nel partito e martello da parte di scioglimento di Sinistra Critica, nel simbolo precedente. Rifondazione. La stella mantiene gran parte comunista diventa un degli elementi del omino. precedente partito.

Comunisti Sinistra Popolare (2009-2011) Partito d'ispirazione marxista-leninista scissosi dal Pdci, guidato da Marco Rizzo.

2012-2013

2013-attuale

Comunisti Sinistra Popolare Pur lasciando immutato il nome ufficiale del movimento, sul contrassegno scompare e viene sostituito da un più generico “Partito Comunista”. Nella seconda versione, presentata nel 2013 nella circoscrizione Estero di Camera e Senato, la falce e martello diventa bianca.

Lista Tsipras Loghi provvisori e definitivo della lista unitaria a sostegno della candidatura di Tsipras a Presidente della Commissione Europea.

2014 simbolo definitivo


Appendice 3. Le Primarie Tabella 3 – L'Unione – 16 Ottobre 2005 (Leader Coalizione) Candidato

Percentuale

Voti

Romano Prodi

74.17%

3.182.686

Fausto Bertinotti

14.69%

631.592

Clemente Mastella

4.56%

196.014

Antonio Di Pietro

3.28%

142.143

Alfonso Pecoraro Scanio

2.22%

95.388

Ivan Scalfarotto

0.62%

26.912

Simona Panzino

0.46%

19.752

Tabella 4 – Partito Democratico – 14 Ottobre 2007 (Segretario) Candidato

Percentuale

Voti

Walter Veltroni

75.82%

2.694.721

Rosy Bindi

12.93%

459.398

Enrico Letta

11.02%

391.775

Mario Adinolfi

0.17%

5.924

Pier Giorgio Gawronski

0.07%

2.351

Tabella 5 – Partito Democratico – 25 Ottobre 2009 (Segretario) Candidato

Percentuale

Voti

Pier Luigi Bersani

53.23%

1.623.239

Dario Franceschini

34.27%

1.045.123

Enrico Letta

12.50%

380.904


Tabella 6a – Italia. Bene Comune – 25 Novembre 2012 (Leader Coalizione) – Primo Turno Candidato

Percentuale

Voti

Pier Luigi Bersani

44.85%

1.395.096

Matteo Renzi

35.53%

1.104.958

Nichi Vendola

15.62%

485.689

Laura Puppato

2.59%

80.628

Bruno Tabacci

1.41%

43.840

Tabella 6b – Italia. Bene Comune – 2 Dicembre 2012 (Leader Coalizione) – Ballottaggio Candidato

Percentuale

Voti

Pier Luigi Bersani

60.89%

1.706.457

Matteo Renzi

39.11%

1.095.925

Tabella 7 – Partito Democratico – 8 Dicembre 2013 (Segretario) Candidato

Percentuale

Voti

Matteo Renzi

67.55%

1.895.332

Gianni Cuperlo

18.21%

510.970

Giuseppe Civati

15.62%

399.473


Riferimenti bibliografici Nello scrivere questo testo mi sono affidato, soprattutto per quanto riguarda gli avvenimenti degli ultimi anni, alla memoria. Lungi dal voler elevare questa piccola trattazione al pari di una pubblicazione scientifica, ritengo opportuno citare qualche lettura che ha favorito la redazione del testo che vi ritrovate sotto gli occhi. I dati elettorali provengono tutti dal sito web dell'archivio storico elezioni del Ministero dell'Interno, consultabile gratuitamente all'url http://elezionistorico. interno. it/. Quanto alle singole storie, il testo fondamentale, dal quale non si può prescindere è: Telese, Luca, Qualcuno era comunista. Dalla caduta del muro alla fine del PCI: come i comunisti italiani sono diventati ex e post, Sperling Paperback, 2012; si consiglia inoltre una lettura delle seguenti monografie sulla storia del Pds e dei Ds: Ciofi, Paolo, Passaggio a sinistra. Il Pds tra Occhetto e D'Alema, Rubbettino, 1995; MulÊ, Rosa, Dentro i Ds, Il Mulino, 2007; Stramaccioni, Alberto, La Sinistra e la sfida riformista. Dal PCI al PDS ai DS (1989-2001), Edimond, 2002;


sulla storia di Rifondazione Comunista, invece, vi consiglio: Cannavò, Salvatore, La Rifondazione Mancata.19912008, una storia del Prc, Alegre, 2009; Caponi, Leonardo, Rifondazione comunista: la scommessa perduta. Fatti, personaggi, retroscena, Editori Riuniti, 2003; Roselli, Ciro, Storia di una Rifondazione, Lulu, 2013; quanto al Pdci, ho consultato soprattutto il ricco archivio presente sul portale: http://www. comunisti-italiani. it/; sul Partito Democratico, i principali strumenti sono stati: Lavia, Mario; Rondolino, Fabrizio, Renzi, viaggio al termine del Pci, Europa Quotidiano, 2013; (a cura di) Pasquino, Gianfranco; Venturino, Fulvio, Il Partito democratico di Bersani : persone, profilo e prospettive, Bononia University Press, 2010; quanto ai protagonisti, ho utilizzato in particolare: Bersani, Pierluigi, Per una buona ragione, Laterza, 2011; Bertinotti, Fausto, Chi comanda qui? Come e perchÊ si è smarrito il ruolo della Costituzione, Mondadori, 2010;


Occhetto, Achille, Il Sentimento e la ragione, Rizzoli, 1994; Renzi, Matteo, Fuori!, Rizzoli, 2011; Vendola, Nichi, C'è un'Italia migliore, Fandango, 2011; sui partiti in generale: Ignazi, Piero, Partiti politici in Italia. Da Forza Italia al Partito democratico, Il Mulino, 2008; Maestri, Gabriele, I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti, Giuffrè, 2012; mi hanno infine fornito moltissimo supporto gli archivi web dei quotidiani, in particolare de L'Unità , La Stampa e Il Corriere della Sera.


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